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a cura diMassimo Arcangeli

Katarína ChovancováKatarína Klimová

Eva Reichwalderová

LINGUE E LETTERATURE

ROMANZE

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Copyright © MMXIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma(06) 93781065

ISBN 978–88–548–3457-6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio 2011

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Indice

La lingua della Chiesa ieri e oggi: dalla predicazione di etàmedievale alla comunicazione via InternetMassimo Arcangeli

Novela posmoderna: una renuncia a la búsqueda de la ver-dad o un testimonio de una época de relativismo (EduardoMendoza, Juan Eslava Galán, Arturo Pérez-Reverte)Jirí Chalupa

La dualité constitutive du prédicatAmr Helmy Ibrahim

Parte ISezione italiana

a cura di Kataríná Klimová

Italské divadelní adaptace Hrabalových del. Dva pohledy naPríliš hlucnou samotuTána Alešová

La divulgazione culturale in lingua italiana nella Vienna del-l’Ottocento. Aspetti, fondamenti e attualitàGualtiero Boaglio

La Romània esternaGiorgio Cadorini

L’ordine delle parole nell’italiano e nello slovacco nel conte-sto della traduzioneNicola Cardia

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Lingue e letterature romanze

La questione della lingua italiana come fondamento teoricodella questione della lingua presso gli slaviPaolo Di Vico

Arcaicità e vitalità del linguaggio giuridico–burocraticoZora Jacová

L’aspettualità verbale tra l’universale e lo specificoKatarína Klimová

Considerazioni sul modo deontico in italianoEva Klímová

Le variazioni della figura di Medea nel teatro italiano e slo-vacco del primo novecentoAlexandra Kucmová

Riflessioni sull’uso del pensiero letterario nella legittima-zione intellettuale e culturale di teorie e pratiche discrimina-torie: il caso italiano nella difesa della razzaPatrizia Prando

Riflessioni sull’insegnamento della pragmatica–interculturalenella classe di italiano per studenti slovacchiFrancesca Schiavo

Rete! o Non Rete! Alcune s/proposte didattichePavol Štubna

Un’analisi comparata delle opere memorialistiche di PrimoLevi e Leo Kohút. Analogie e differenzeIvan Šuša

Relazione fra il significato e il significante: classificazionee funzioni dei gesti quasi–linguistici nelle lingue italiana epolaccaBeata Szarota

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Indice

Parte IISezione spagnola e portoghesea cura di Eva Reichwalderová

Hacia una clasificatión jerárquica de los valores del seCarlos Alonso Hidalgo Alfageme

Caló como etnolecto. El léxico del caló en el español actualZuzana Cengerová

Observaciones sobre el barroco: funcionalidad estética yfilosófica de la oscuridad y el ingenioJuan Carlos Cruz Suárez

Hacia una didáctica de la traducción literariaLadislav Franek

Traducción como manipulación y manipulación en traduc-ciónIwona Kasperska

El uso de ordenadores e Internet en el aprendizaje del españolcomo lengua extranjeraKatarína Klimentová

Los factores que influyen en la recepción literariaAdriána Koželová

años de estudio de hispanística en la Universidad de OstravaKornélia Machová

La influencia del inglés sobre el léxico español de las tecnolo-gías de la información y la comunicaciónMária Medveczká

Primeros testimonios traductores en la península ibéricaJana Michalcíková

Recepción de la literatura española en la revista «NoweKsiazki» entre y Marta Minkiewicz

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Lingue e letterature romanze

El español de América: actualidad y perspectivas de investi-gaciónAnna Mištinová

La enseñanza de la asignaturaNegociaciones en la lengua española:una aproximación didácticaJana Pal’ková

Las traduccioneas al eslovaco de las literaturas hispánicasdesde el ano : continuación y rupturaEva Palkovicová

Acerca de la utopía en El Periquillo SarnientoEva Reichwalderová, Magda Kucerková

La ¿necesidad? de la traducción en la clase de ELEMónica Sánchez Presa

Investigaciones cervantinas, su estado actual y sus perspecti-vasPaulína Šišmišová

Extranjerismos necesarios e innecesariosVeronika Sliacanová

La locura y la muerte en la poesía de Leopoldo María PaneroEwa Smilek

Aprender del cine. Azul oscuro casi negro y su explotacióndidáctica en el aula de ELEAgnieszka Sycinska

Clasificación del estilo coloquialBohdan Ulašin

Dor e resistência na poesia de Manuel da FonsecaVlastimil Váne

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Indice

Parte IIISezione francese

a cura di Kataríná Chovancová

L’emploi des embrayeurs de personne dans les analyses dudiscoursKatarína Bacová

Les divers sens du verbe « chanter » dans la langue françaiseet du verbe « spievat’ »Júlia Bubáková

Nouveaux aspects dans l’enseignement de la langue juridiqueLeona Cerná

Quelques structures à verbe support en slovaqueKatarína Chovancová

Éléments absurdes dans le théâtre d’ombres turc: le Karagöz(karagueuz)Ayten Er

Marguerite Duras: Reine masquéeTugrul Inal

Taxis: temps déictique, temps relatif, ordre séquentielDiana Jamborová; Nicolas Tournadre

Rwanda, pays francophone et/ou anglophone?Jaromír Kadlec

Analyse comparative de deux traductions slovaques du conteAuprès d’un mortIvona Kompišová

Traitement de la terminologie linguistique bilingue (slovaque–français)Vlasta Krecková

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Lingue e letterature romanze

Les arrêts de la Cour de justice des Communautés Européen-nes. Une analyse et quelques remarques sur les spécifiés dela traduction juridique à la CJCEBlanka Kulhajová

Pourquoi contraster deux langues non apparentées? L’exempled’un projet de recherches portant sur les anomalies commu-nicatives des personnes francophones et finnophones attein-tes du syndrome d’AspergerMari Lehtinen

Le dispositif d’enrichissement de la langue françaiseBénédicte Madinier

Réflexions sur la place de la phraséologie dans la linguistiquefrançaiseL’udmila Mešková

La terminologie grammaticale françaiseJana Pavlisková

Bases de données à pivot français pour l’étude lexicale etgrammaticale des langues slavesPatrice Pognan

Communications contextuellesŠtefan Povchanic

Efficacité de la communication scientifiqueIveta Rizeková

La nature et la mythologie dans l’œuvre romanesque deFrançois MauriacPaulína Šperková

Le roman du conquérant de Nedim Gürsel à travers l’histoireturque–ottomaneAli Tilbe

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Indice

La description des mécanismes de création synonymiquedans la terminologie sur l’exemple du langage de la chasseMagdalena Tkaczyk

Syntaxe comparée : méthodologie et applicationsDražen Varga

La place du sens dans les réflexions linguistiquesMonika Zázrivcová

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Lingue e letterature romanzeISBN 978–88–548–xxxx–xDOI 10.4399/97888548xxxxx1pag. 13–35 (aprile 2011)

La lingua della Chiesa ieri e oggi:dalla predicazione di età medievale

alla comunicazione via Internet

Massimo Arcangeli

: . Il primato del latino nella scienza e filosofia medievale: il ruolodella Chiesa, – . La spinta dal basso: latino rustico e volgare nellapredicazione religiosa, – . Tre finestre sul presente, .

. Il primato del latino nella scienza e filosofia medievale: il ruolodella Chiesa

Per Dante, nel De vulgari eloquentia, la gramatica è soprattutto il latino,per lo più quello della scolastica. Una lingua ritenuta convenzionale(non c’era allora la consapevolezza che fosse la “madre” dei volgariromanzi), ma pur sempre ritagliata nello spazio delle varie lingueconcretamente fruibili in termini di osservazione e passibili di analisi.Nel pensiero linguistico medievale sono tre le principali accezioni deltermine grammatica: ) struttura mentale insita nella natura stessa delgenere umano; ) insieme astratto di concetti; ) insieme di regolerelativo a una lingua specifica. La prima corrisponde grosso modoalla grammatica naturale, giudicata assai spesso come imperfetta, laseconda alla grammatica speculativa, inventata dai filosofi, la terza allagrammatica positiva (o impositiva), con cui si «fa riferimento alla costi-tuzione delle singole parole» (Maierù : ). A un primo livello,quello naturale, la grammatica sarebbe dunque diretta espressionedella natura degli uomini, non però in un senso propriamente antro-pologico: essi comunicano infatti, a questo stadio, secondo quantoconcesso loro da una “legge” naturale che regola in modo del tuttosimile la comunicazione animale. A un secondo livello, quello specu-

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Massimo Arcangeli

lativo, subentra alla grammatica in quanto naturale, e, per ciò stesso,universale, la grammatica in quanto insieme anch’esso universale diprincipi: in virtù di tali principi l’uomo, grazie al suo potere cono-scitivo, ha potuto emanciparsi dalla condizione di animale bruto. Aun terzo livello, quello positivo (o impositivo), la grammatica non èmolto diversa da quel complesso di regole con cui siamo oggi soliti,comunemente, riferirci alle grammatiche normative delle diverselingue. Nel trattato linguistico dantesco a coprire le varie accezionidi grammatica intervengono diverse espressioni. È questo il caso dilocutio vulgaris (I, , ), incaricata di rappresentare, secondo alcuni, ilpolo dell’oralità contrapposta alla scrittura, secondo Eco (: ) lafacoltà del parlare in quanto propria dell’uomo e, dunque, identificati-va della specie. Forse, è una mia teoria, locutio vulgaris accenna invecealla futura possibilità di una grammatica volgare universale, plausibileestensione della retorica del perfetto volgare su cui è incardinato iltrattato e dell’aspirazione a una lingua poetica “universale e naturaleinsieme” (Corti : ). Una grammatica ideale, da un punto divista filosofico oltreché artistico, che è contemporaneamente arte escienza.

Sta di fatto, però, che Dante compone il De vulgari eloquentia inlatino anziché nella locutio vulgaris di cui si servirà nel Convivio perdiffondere il verbo filosofico a chi non intendeva l’antica lingua diRoma. Una contraddizione, variamente spiegata dagli studiosi, nonrisolvibile con facilità: anche perché il latino, nella opinione comunemedievale, era proprio la lingua inventata dai filosofi, l’idyoma philoso-phorum, la grammatica speculativa. Si potrebbe pensare, contro tuttele apparenze, che sul trattato linguistico dantesco abbia continuatoa pesare l’idea di una grammatica non ancora in grado di saldare ilsuo debito formale nei confronti del volgare: sarebbe come dire chechiedere a Dante di intervenire a modificare la forma dell’espressione,insieme alla sostanza del pensiero, sarebbe stato forse in questo casochiedere troppo; non poteva – sarebbe stato impossibile anche perlui prevenire i tempi – scrivere in volgare della materia affrontatanel trattato. Ma forse, più semplicemente, nell’attendere al De vul-gari eloquentia Dante non era mosso dagli stessi intenti apertamentedivulgativi, espressi del resto a chiare lettere, che lo avevano spinto

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La lingua della Chiesa ieri e oggi

a cimentarsi nella filosofia (nel Convivio, appunto) ricorrendo allerisorse per certi versi ancora acerbe del fiorentino.

Le contraddizioni, stando almeno alle apparenze, non finisconoqui. Nel primo libro del Convivio, composto in data di poco anterioreal De vulgari eloquentia, è attribuito al latino un ruolo superiore, diautentico primato, a quello riconosciuto al volgare. Un dilemma,anche in forza di un singolare paradosso, che sembrerebbe insolubile:nel contesto latino del De vulgari eloquentia è messo sugli scudi ilvolgare e, del tutto specularmente, nel contesto volgare del Convivio èmesso sugli scudi il latino. In realtà i motivi per i quali il volgare, nel Devulgari eloquentia, è ritenuto più nobile del latino sono intimamentelegati alla naturalità e all’universalità dell’uso, quelli per i quali illatino, nel Convivio, è ritenuto più nobile, bello e virtuoso del volgaresono intimamente legati alla convenzionalità e alla selettività dell’arte.È come se Dante avesse insomma voluto assegnare due diverse patentidi gloria, limitando precisamente di ciascuna il campo di utilizzazione:il volgare è espressione più intima della natura dell’uomo, il latino èla chiave per realizzare le sue aspirazioni artistiche.

Un brano assai spesso citato del Convivio (IV, , –), nel quale èriportata una illuminante citazione tratta dalla Fisica aristotelica, miparrebbe di utile sostegno a questo assunto:

per questo vocabulo ‘nobilitade’ s’intende perfezione di propria natura inciascuna cosa. Onde non pur de l’uomo è predicata, ma eziandio di tuttecose – ché l’uomo chiama nobile pietra, nobile pianta, nobile cavallo, nobilefalcone – qualunque in sua natura si vede essere perfetta. [. . . ] Questa perfe-zione intende lo Filosofo nel settimo de la Fisica quando dice: «Ciascuna cosaè massimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propria,e allora è massimamente secondo sua natura; onde allora lo circulo si puòdicere perfetto quando veramente è circulo», cioè quando aggiugne la suapropria virtude; e allora è in tutta sua natura, e allora si può dire nobilecirculo. [. . . ] E così manifestamente vedere si può che generalmente questovocabulo, cioè nobilitade, dice in tutte cose perfezione di loro natura.

L’idea di una «perfezione di propria natura in ciascuna cosa» nonfa che confermare l’ipotesi di una nobiltà del latino e del volgarecondizionata dalle loro rispettive vocazioni: ogni cosa è perfetta inrelazione alla sua natura, alle sue virtù intrinseche.

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Se Dante, con il Convivio, aveva aperto le porte alla filosofia involgare, pochi anni prima Restoro d’Arezzo aveva compiuto analogaoperazione con la Composizione del mondo (terminato nel ), ilprimo trattato scientifico originale in lingua volgare di cui siamo aconoscenza. In un passo famoso dell’opera (II, , ) in cui giustifica,teologicamente, la varietà del mondo (“emperciò che quanto l’artificeè più nobele, tanto de rascione adopara più diverse e variate cose”),Restoro attribuisce pari dignità alle varie lingue esistenti, quelle perlèttara e quelle per vulgare; tutte insieme, per il fatto stesso di portaretestimonianza dell’ampio ventaglio di scelte messo a disposizionedell’uomo perché lodi e glorifichi Dio, accrescono la grandezza diquest’ultimo:

Adonqua per magiure operazione e per magiure diversità, de rascionedeano èssare ello mondo diverse lingue e diverse operazioni de voci e deparlare per lèttara e per vulgare; e emperciò trovamo lettera greca, e lèttaralatina, e lèttara ebraica e molte altre; e de le genti avere vulgare e parlareche non entende l’uno l’altro, come so’ Greci, e Ermini, e Tedeschi, e Latini,e Saracini e molti altri. E questo è per magiure operazione, en tale modoche l’altissimo Deo per magiure grandezza sia laudato e glorificato perdiverse lingue.

Egidio Colonna in un passo del De regimine principum, opera bennota anche a Dante, aveva però sostenuto l’incapacità del volgare diparlare la lingua della scienza ritenendo invece che questo compitodovesse continuare a spettare al latino, allora creduto, al pari dellealtre lingue grammaticali, una locutio artificialis originata «de comuniconsensu multarum gentium» (De vulg. eloq. I, , ):

Videntes [. . . ] [p]hilosophi nullum idioma vulgare esse completum et per-fectum, per quod perfecte exprimere possent naturam rerum, et moreshominum, et cursus astrorum, et alia de quibus disputare volebant, invene-runt sibi quasi proprium idioma, quod dicitur latinum, vel idioma litterale:quod consituerunt adeo latum et copiosum, ut per ipsum possent omnessuos conceptus sufficienter exprimere.

. “I filosofi, maturata la consapevolezza che nessuna lingua volgare è da ritenersicompleta e perfetta, tanto da poter consentire loro di parlare compiutamente della natura

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La lingua della Chiesa ieri e oggi

Fu questa idea del Colonna, al di là delle singole sfaccettature,ad avere avuto com’è noto la meglio, in seno al dibattito medievalesull’argomento, sull’idea di un possibile primato in materia scientificadel volgare: un primato alla fine mancato di cui tenterò di indicare unpaio di possibili ragioni. La prima chiama in causa le responsabilitàdi una Chiesa che più o meno a metà del XIV secolo, «preoccupatadelle potenzialità eversive di un avvicinamento alla filosofia che leistessa aveva contribuito a promuovere» (Gualdo : ), si può direabbandoni «a una circolazione marginale (ed emarginata) la letturadiretta dei testi sacri e l’accostamento a scienza e filosofia in volgare»(ibid.). La seconda andrà individuata invece proprio nella negazioneal volgare di quella perfezione e di quella completezza di cui parlail Colonna, entrambe caratteristiche che nella sua prospettiva nonerano costitutive del solo volgare italico ma di tutte le lingue naturali.

Per quanto si debba attendere il solito De vulgari eloquentia perché“il mondo medievale cristiano affront[i] organicamente un progetto dilingua perfetta” (Eco : ), l’aspirazione a una lingua senza difetticircolava ampiamente, durante il Medioevo, anche prima che Dantemettesse mano al suo trattato linguistico. Il volgare, declinato nelletante realtà geografiche accertabili dal nord al sud della penisola enonostante il tentativo di promozione dantesca, non dovette eviden-temente mostrarsi appetibile a chi, imbevuto di ideali universali, nonriusciva a ricavare da esso nemmeno l’ombra di una soluzione peraccomunare in nome della cultura scientifica ciò che gli sembravadisperantemente diviso. Potrebbe essere forse sufficiente quest’unicacircostanza a giustificare agli occhi della maggior parte degli intellet-tuali dell’epoca l’idea di una sostanziale inadeguatezza del volgarealla materia scientifica. Un volgare inadatto a rappresentare degna-mente il sapere delle diverse scienze ai piani alti della complessaelaborazione concettuale e della comunicazione tra gli studiosi tantoquanto invece adattissimo ai piani bassi della circolazione in un’otticadi divulgazione.

delle cose, e dei costumi degli uomini, e del corso degli astri, e delle altre cose di cuiamavano discutere, inventarono a proprio vantaggio una lingua quasi loro esclusivachiamata latino o lingua delle lettere: e le infusero una tale ricchezza ed eloquenza dariuscire a esprimere adeguatamente per mezzo di essa tutte le loro idee”.

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Si riaffaccerebbe così una vecchia teoria difficile da scalzare, tanti etali potrebbero esserne i riscontri da portare. A cominciare natural-mente dal clamoroso esempio del Convivio, nel quale l’intento divul-gativo sembra coesistere ancora una volta con la costante tensionemetafisica di Dante verso la lingua perfetta.

. La spinta dal basso: latino rustico e volgare nella predicazionereligiosa

Dal XIV secolo, dunque, al fine di evitare che la loro diffusione possafavorire l’insorgenza di un pensiero eretico o “irregolare”, la Chiesatenta di emarginare la filosofia e la scienza in volgare e di interporrenumerosi ostacoli alla “lettura diretta” della Bibbia. Essa, del resto,pur essendo “sempre stata molto attenta alla lingua da adoperarenella comunicazione con i fedeli”, non si può certo dire abbia maimanifestato la reale intenzione di favorire i volgari o, in progressodi tempo, l’italiano che ne ha poi preso il posto; il suo principaleintento è sempre stato solo e unicamente quello “di mantenere saldi idettami della fede” (Librandi : ). Un analogo comportamentoha tenuto, a un certo punto, nei confronti della retorica ereditatadai classici; “[q]uando, in fase già molto avanzata di decadenza”, haosservato Auerbach (/: sg.):

il movimento cristiano poté espandersi liberamente e si servì, come eranaturale, della lingua già esistente e retoricamente formata, esso dette allatino un contenuto nuovo e anche un particolare tono stilistico [. . . ]. Ma icristiani, anche i più colti, non avevano intenzione di prendersi cura dellacultura in decadenza: per quanto se ne servissero, infatti, essa non era perloro oggetto di cure o di preoccupazione. Essi misero la cultura retorica alservizio della Chiesa, ma ciò fu fatto solo in quanto essa appariva pratica-mente utilizzabile per la predica, l’apologetica e la polemica; se qualcunoandava oltre, ciò provocava la critica, che qualche volta era autocritica.La Chiesa adattò la retorica antica alle necessità, o meglio si prese curadegli uomini così come li trovava; lasciò cadere con indifferenza le artiretoriche dove e quando non le parvero più necessarie; a quel tempo nonsi sentiva ancora responsabile dell’istruzione e della cura dell’espressione.Solo molto tardi, quando tutto il resto scomparve, essa fu costretta per

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La lingua della Chiesa ieri e oggi

ragioni pratiche ad istituire scuole proprie, e così diventò, senza volerlo,la depositaria degli avanzi della cultura antica. Ma allora non si tratta piùdi cultura spontanea: i contenuti della cultura erano diventati oggetto diconservazione, di raccolta e di interpretazione erudita; spontaneamente,dal loro stesso spirito, non li capiva più nessuno.

Il “tono stilistico” cui allude Eric Auerbach è quello che lui stessodefinisce sermo humilis, su cui tornerò. Gli ostacoli frapposti al “tra-sferimento” linguistico dei testi sacri e liturgici evolveranno, dopoil Concilio di Trento (–), nell’esplicito divieto di tradurli enel ridimensionamento strumentale dell’italiano (per molto tempo,però, dei vari italiani regionali) agli usi più propriamente comuni-cativi costituiti dall’attività di predicazione e dall’insegnamento delcatechismo:

La scelta fu condizionata, soprattutto negli anni immediatamente successi-vi al Concilio di Trento, dalla necessità di arginare la riforma protestante edi trasmettere, per contrasto, una dottrina ben codificata e sorvegliata; ilprogetto fu perseguito con costanza anche nei secoli successivi, nonostantel’affievolirsi del pericolo protestante avesse attenuato la drasticità di alcunemisure e gradualmente adeguato alle nuove esigenze la comunicazionecon i fedeli. Le strategie discorsive della predicazione e l’insegnamento ca-techetico, pur uniformandosi a direttive unitarie, si differenziarono da areaad area e da contesto a contesto, cercando sempre di adattarsi all’uditoriocui ci si rivolgeva

E comunque, “nonostante il divieto di tradurre la Bibbia e i testiliturgici”, la Chiesa post–tridentina “dispiegò, attraverso la predica-zione e la catechesi, un’azione di tale intensità da forgiare forme divita profonde, con ricadute sensibili anche sulla lingua” (Librandi: ); non diversamente da quanto quella pre–tridentina, in parte,anche dopo lo spartiacque del XIV secolo, aveva fatto con i volgari.L’italiano, anzi, prende origine da “un latino già pervaso dalla linguacristiana e, sia pure in modi non sempre percepiti dalla comunitàdei parlanti, ne porta tuttora le tracce” (Ead., p. ). Umile e umiltà,sull’esempio del latino cristiano, hanno ribaltato la gerarchia delle

. Librandi (: sg.).

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accezioni di humilis e humilitas di quello pagano: i significati astrattidei due termini che qui prevalevano erano negativi, mentre quellipositivi erano assai poco frequenti.

Qualcosa di simile è avvenuto per passione. La parola ha rimossoda sé ogni traccia del significato più antico del lat. passio (gr. παθoς),contrapposta, in quanto espressione di una condizione passiva (cfr.paziente), ad actio; e se oggi, della passione, non avvertiamo tantol’urgenza semantica nella sofferenza nel corpo e nello spirito, memoridell’antico sacrificio (gloriosa passio) di Cristo, tuttavia, anche qui, lepassioni che continuamente c’inquietano e ci tormentano, accendonoi nostri sensi e danno sfogo alle nostre naturali inclinazioni, devonomolto all’esempio del cristianesimo, per quanto influenzato dallostoicismo:

Solo attraverso la morale stoica le passiones diventano irrequietezza,quell’essere mosso e agitato senza direzione che distrugge la calma delsaggio. La parola passio riceve così un senso accentuatamente peggiorativo:ogni stato di irrequietezza e di agitazione provocato dalle cose del mondova evitato per quanto possibile; compito del saggio è di non incontrareil mondo, almeno interiormente, di non farsi turbare da esso, di essereimpassibile. In questo modo l’originaria opposizione con actio passa in se-condo piano, e passio diventa l’opposto di ratio; alle passiones agitate sicontrappone la calma della ragione; ma il movimento racchiude in sé unaspecie di attività [. . . ]; sorgono a questo punto le immagini delle tempestee dei turbini delle passioni, e per passio viene adoperato spesso l’evidentepeggiorativo perturbatio. [. . . ] Il significato stoico di passio era tanto piùefficace in quanto acquistò influenza subito all’inizio su autori cristiani dellatarda antichità. [. . . ] In molti autori cristiani le passiones sono equiparatealle concupiscentiae carnis, spesso addirittura ai peccati.

D’altronde il cristianesimo dei primi secoli (e, in buona sostanza,anche quello dei secoli seguenti) ricava dalla “religione della parola”(Le Goff, Schmitt /: ), tanto scritta quanto orale, i mag-giori punti di forza per la sua azione predicatrice ed evangelizzatrice,tutta volta a trasmettere contenuti dottrinali e argomenti di fede nelmodo più piano e trasparente possibile senza tuttavia rinunciare al-

. Auerbach (/: sg.). Cfr. Mohrmann (: ).

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La lingua della Chiesa ieri e oggi

l’ausilio degli insegnamenti retorici. «È ben noto del resto», ha notatoRita Librandi:

il doppio ruolo esercitato dalla Chiesa dopo i primissimi secoli di vita: se daun lato infatti essa non perse mai la sua funzione mediatrice verso il popolo,dall’altra dovette assumersi anche il compito di custodire e tramandare ilsapere “scientifico”. Questo è forse ciò che dà origine a una costante maivenuta meno nelle regole della predicazione, e che congiunge in un’uni-ca formula la semplicità e la chiarezza ai contenuti elevati. Ciò che verràcontinuamente ribadito è la necessità di adoperare una lingua accessibilea tutti, senza mai perdere completamente di vista le regole di una linguapiù elevata, obbediente ai dettami della retorica: è il sermo humilis eviden-ziato dall’Auerbach, in cui la retorica si sottomette con semplicità ai finipedagogici.

Questo principio–guida (lingua non dimentica delle regole reto-riche, ma semplice e chiara) verrà riaffermato a più riprese, e saràribadito soprattutto nei momenti cruciali della storia della Chiesa,fino al punto di rischiare la sua trasformazione in un topos. Dome-nico Cavalca, che con altri rappresentanti del suo ordine condividela fiducia nel volgare come mezzo elettivo di diffusione della fede,richiamandosi a san Girolamo, ricorda nei Frutti della lingua che “èmeglio aver santa rusticità, che loquenza peccatrice”; ma il grandepredicatore domenicano Giordano da Pisa, che si rivolge prevalen-temente alla gente comune e certamente condivide l’obbligo dellafacilità di parola, ribadisce in una predica del che la retorica nonè altro “se non dottrina di saper bene impetrare grazia per tue parolebene ordinate e acconce” (Librandi : sg.).

In uno dei Racconti esemplari, dedicato all’argomento di cui si fa quiquestione e dal titolo inequivocabile (Sulla predicazione), DomenicoCavalca esprime in modo netto la sua posizione in materia. Ecco ilracconto:

In ciò che dice predicate evangelium monstra che pur le cose della fede enon le filosofie dobbiamo predicare. In ciò che dice omni creaturae vuolmonstrare che non dobbiamo escludere dalla nostra dottrina né poveriné peccatori, ma a tutti ferventemente e umilmente annunziare lo regnod’Iddio. Come esso Cristo medesimo di tutte le predette cose ci diedeexemplo. Così anche troviamo che fece sam–Pagolo lo quel, com’elli dice,

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Massimo Arcangeli

da Ierusalem infin ad Illirico e quasi per grande parte del mondo predicoeo scrisse la dottrina del santo vangelo. E però anche si vantoe e disse: “Losermone mio e la predicazione mia non è stato in parole persuasibili daingannare né in argomenti filosofici, ma in mostrar la grazia dello SpiritoSanto e la via della verità”. E però anche di ciò in altra epistola: “Nonmonstrai di sapere altro fra voi se non Cristo crucifisso”, quasi dica: Io nonparlai altro che di Cristo sì che parea ch’io non sapesse altro che dirmi.Così ch’elli non pur a’ grossi e litterati, ma a tutti predicar volesse monstraquando dice a’ Romani: “A’ savi e alli stolti sono debitore, sì che volentieri atutti sono apparecchiato di predicare”.

E che questo a–dDio molto piaccia monstrasi per la istoria di santoBeda nella qual si dice che essendo elli accecato per grande vecchiezza,nientedimeno pur andava predicando per le ville e le castella. Onde una fiatapassando per una valle petrosa, lo fanciullo che ’l guidava disse per sollazzoche quine era grande popolo ch’aspettava la sua predicazione. Al qualequelli credendo incomincioe a predicare. E dicendo una certa sentenziosaparola e affermando che per certo era vera, le pietre rispuosono con apertavoce: “Così è, venerabile padre”. E per questo miracolo l’ecclesia li fa questoonore che ’l chiama venerabile prete. E così troviamo che feciono li altriapostoli e veri predicatori come furono sam–Bernardo e san Domenicoe san Francesco e altri lor seguaci, sì che per verità molto sono di lungidalla perfezione di Cristo e delli apostoli quelli predicatori che troppo sicareggiano e non si vuolno affatigar discorrendo, né predicare se non inluoghi solenni, o che lassando lo vangelo predicano le sapienzie mondaneper essere tenuti grandi litterati.

Contra questa fa molto quel che leggiamo di sam–Ieronimo, cioè chestudiando elli più volentieri in della ioventù i libri di Cicerone filosofo cheli profeti e li altri divoti libri, fu rapito in visione dinanzi ad un giudice edomandato di che condizione e setta era, e rispondendo elli ch’era cristiano,lo giudice li disse: “Tu ne menti, anzi se’ ciceroniano, però che in lui ponipiù lo tuo studio”. E dopo questo lo fece crudelmente fragellare, sì chetornando in sé tutto si trovò piagato. Ma inanzi ch’elli in sé ritornasse, fubisogno che permettesse di mai più leggere né insegnare scienze né librisecolari. Or così ne cogliesse oggi a molti li quali lassando lo studio e ladottrina della vera teologia, studiano e praticano la vana filosofia.

Dall’esortazione di Cristo agli apostoli nella versione di Marco («Itein universum mundum et predicate evangelium omni creature», Mc, ), e dalle tre testimonianze paoline, Cavalca ricava una doppia,ovvia indicazione: ) superiorità della verità teologica, rispetto allaspeculazione filosofica e alla persuasione retorica, nel ministero della

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predicazione; ) universalità del messaggio religioso, rivolto in egualmisura a ricchi e poveri, saggi e stolti, letterati e illetterati, santi epeccatori. Per dare più corpo alle sue parole, e aumentarne il peso,il predicatore domenicano prima ricorre a un esempio concreto (lagrandezza di Beda il Venerabile, che è riuscito a far parlare le pietre);ricorda quindi, in sequenza, alcune figure di santi e predicatori illustri(Bernardo di Chiaravalle, Domenico di Guzmán, Francesco d’Assisi),criticando subito dopo quei tanti la cui unica aspirazione è il raggiun-gimento della gloria letteraria; recupera infine un noto episodio conprotagonista san Girolamo, che in una visione immagina di esserepunito da un giudice che gli rimprovera, prima di farlo frustare, diessere più ciceroniano che cristiano.

La posizione del Cavalca non è isolata. Nel XV secolo, in unapredica () dedicata ai rispettivi ruoli giocati dal predicatore eda chi lo ascolta, Bernardino da Siena cita in apertura un branoestratto da un salmo (“Declaratio sermonum tuorum illuminat, etintellectum dat parvulis”, Ps , ) e racconta più avanti l’aneddotodi un eloquentissimo frate domenicano, traendone poi le conclusioni:

. Fondamentale, per questo aspetto, la posizione assunta da sant’Agostino, attentis-simo a recuperare al messaggio cristiano e alle Sacre Scritture, spesso riprovate o snobbateper la massiccia presenza di ebraismi e per la loro ruvidezza stilistica – non solo la VetusLatina ma anche i precedenti tentativi greci, almeno finché (metà del III sec.) i romanicristiani parlarono e scrissero in greco: cfr. Auerbach /: – –, sia i più raffinatiintellettuali che le persone di media cultura. A quest’ultima categoria, in particolare, eglisi rivolge in un passo molto citato del De catechizandibus rudibus (IX, ). Dopo averlaesattamente individuata in chiunque fosse provenuto da una normalissima scuola di gram-matica e retorica, e avesse perciò occupato una posizione intermedia fra gli “idioti” e i“dottissimi”, impegnati a consumare le loro energie intellettuali nelle grandi questioni(«quorum mens magnarum rerum est esercitata quaestiones»), Agostino ammonisce ainsegnare ai suoi esponenti l’umiltà cristiana, perché imparino a non manifestare disprezzoverso chi, anziché preoccuparsi delle proprie carenze espressive, eviti piuttosto di precipi-tare nel vizio («discant non contenere quos cognoverint morum vitia quam verbo rumamplius devitare»), nonché il valore di una interpretazione non letterale del testo biblico el’importanza di cimentarsi nella sua lettura senza alcun pregiudizio di natura formale. Essi,infatti, «maxime utile est nosse, ita esse praeponendas verbis sententias, ut praeponituranimus corpori. Ex quo fit ut ita malle debeant veriores quam disertiores audire sermones,sicut malle debent prudentiores, quam formosiores habere amicos» (“è utilissimo cheimparino ad anteporre alle parole la sostanza dei concetti, così come si antepone l’animaal corpo. È perciò necessario che preferiscano ascoltare discorsi più veri che elaborati, cosìcome è loro dovere che preferiscano avere amici più saggi che belli”).

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Elli fu uno frate di nostro Ordine, il quale fu valentissimo in predicazione,e diceva tanto sottile, tanto sottile, che era una meraviglia; più sottile che’l filato delle vostre figliuole. E questo frate aveva uno fratello oppositoa lui; tanto grosso, di quelli grossolani, che era una confusione tanto eragrosso; el quale andava a udire le prediche di questo suo fratello. Advenneche, una volta fra l’altre, avendo udita la predica di questo suo fratello,elli si misse un dì in uno cerchio degli altri frati, e disse: “O voi, fuste voistamane alla predica del mio fratello, che disse così nobile cosa?”. Costoroli dissero: “O che disse?”. “Oh! elli disse le più nobili cose che voi udistemai”. “Ma dicci di quello che elli disse”. E elli: “Disse le più nobili cose dicielo, più che tu l’udisti. Elli disse. . . doh, perché non vi veniste voi? chemai non credo che elli dicesse le più nobili cose!”. “Doh, dicci di quello cheelli disse”. E costui pure: “Doh, voi avete perduta la più bella predica chevoi poteste mai udire!”. Infine, avendo costui detto molte volte in questomodo, pure e’ disse: “Elli parlò pure le più alte cose e le più nobili coseche io mai udisse! Elli parlò tanto alto, che io non intesi nulla”. Or costuiera di quelli. . . tu m’intendi!| Io dico che a voi bisogna dire e predicare ladottrina di Cristo per modo che ognuno la intenda; e però dico: “Declaratiosermonum tuorum”. Elli bisogna che ’l nostro dire sia inteso. Sai come? Dirlochiarozzo chiarozzo, acciò che chi ode, ne vada contento e illuminato, enone imbarbagliato.

Un ammonimento, quello di parlare chiarozzo chiarozzo, che sanBernardino è il primo a seguire. Tutto concorre, nel brano, a garanti-re la semplicità del dettato. In particolare: a) le continue ripetizioni,secondo i modi dell’epanalessi, la più semplice e iconica fra le figu-re della ripetizione («e diceva tanto sottile, tanto sottile, che era unameraviglia»; lo stesso chiarozzo chiarozzo), o i procedimenti, appenapiù mossi, che applicano alla replicazione di lemmi o radici a brevedistanza l’apparente, involontaria antiretorica di chi, non controllan-do adeguatamente l’espressione, reca cacofonico fastidio a chi leggeo ascolta («tanto grosso, di quelli grossolani, che era una confusionetanto era grosso»; «elli si misse un dì in uno cerchio degli altri frati,e disse: “O voi, fuste voi stamane alla predica del mio fratello, chedisse così nobile cosa?”. Costoro li dissero: “O che disse?”. “Oh! ellidisse le più nobili cose che voi udiste mai”. “Ma dicci di quello cheelli disse”. E elli: “Disse le più nobili cose di cielo, più che tu l’udisti.Elli disse. . . doh, perché non vi veniste voi? che mai non credo cheelli dicesse le più nobili cose!”. “Doh, dicci di quello che elli disse”».);

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) la disadorna limitatezza del vocabolario squadernato, quasi unadeficitaria basicità al servizio dell’ossessione della ripetizione: il ven-taglio delle possibilità, oltre a quella decina di termini che sono statiseminati lungo tutto il percorso (predica e cosa, grosso e sottile, nobile ealto, dire, udire e intendere; e relativi, eventuali omoradicali), non hagranché da offrire al lettore.

Sembrerebbe apparentemente sopravvivere qualcosa della dram-matizzazione narrativa assimilata dalle prediche cristiane già durantela tarda latinità ed esemplata sulla diatriba e sulla «declamazionescolastica filosofico–morale» (Auerbach /: ). In quelle pre-diche la resa scenica che ne derivava era in realtà funzionale a unpreciso disegno retorico in cui le credenze e opinioni altrui costituiva-no domande alle quali il predicatore forniva, prontamente, le giusterisposte (ibid.), mentre nell’esempio fornito il dialogo è, per così dire,reso obbligato dalla tradizione e dalla natura stessa del genere sfrutta-to allo scopo: il racconto aneddotico. Faremmo un buco nell’acqua,d’altronde, se tentassimo di avvicinare troppo le prediche bernardi-niane anche solo a quelle di un Sant’Agostino (per non parlare di unRaterio), con la loro ordinata mescolanza di tratti grammaticali altie bassi e l’asservimento della superficiale linearità sintattica a unastudiatissima retorica, dissimulata a fini didattici, i cui schemi sonorie le cui architetture testuali non si limitano a soddisfare i palati piùfini ma cospirano a facilitare la memorizzazione del messaggio daparte dell’ascoltatore ignaro, a rispondere alle aspettative di quelloappena più consapevole:

Al tempo di Agostino, intorno al , l’espressione incolta o semicolta dellaletteratura cristiana primitiva, non greca o non latina e quindi sgradevoleper orecchie antiche, aveva cessato da tempo di prevalere. In oriente e anchein occidente c’era stata una fusione o un adattamento. La predica cristianasi serviva della tradizione retorica che aveva dominato nel mondo antico;essa parlava nelle forme alle quali gli ascoltatori erano abituati; infatti quasitutti ritenevano che ascoltare orazioni significasse innanzi tutto goderne ilsuono armonioso; anche nell’Africa punica, dove gli ascoltatori per contoloro non parlavano affatto un latino puro. Ciò non diminuiva il piacere diun bel discorso: che era diventato generale. Gli ascoltatori applaudivano eapprovavano rumorosamente quando apprezzavano particolarmente nellapredica una figura retorica; come attestano i famosi predicatori dell’oriente,

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per esempio Giovanni Crisostomo, come pure, in Occidente, lo stesso Ago-stino. Noi sentiamo le figure retoriche come qualche cosa di artistico, colto,raffinato; esse lo sono, ma si fondano sul più generale gusto dell’armonia edella sentenziosità; e, d’altra parte, ciò che in una determinata epoca è arteraffinata, alcune generazioni dopo può essere diventato una convenzionecomunissima.

Troveremmo comunque qualcosa, nelle prediche di Bernardino,della raffinata propensione di Agostino (prima di sposare il cristiane-simo, aveva insegnato magistralmente l’arte retorica) per isocolie eantitesi, il suo particolare gusto del chiasmo e delle strutture ternarie,il martellamento sonoro con cui allitterazioni e assonanze, anafore edepifore, clausole “rimanti” o ritmicamente equivalenti rimbombanonella sua prosa (cfr. Auerbach /: sgg.). E se tutto questosembra andar contro la notissima affermazione dell’Ipponense cheè meglio patire i rimproveri dei grammatici anziché rischiare di nonessere compresi dalla gente comune (“Melius est reprehendant nosgrammatici quam non intelligant populi”, Enarrationes in Psalmos,, ), o confermare sul piano dell’uso del mezzo linguistico unadichiarazione di principio rilasciata nel De doctrina cristiana (IV, ,), albergava in realtà, in quel misto di popolare e sublime che èil sermo humilis nella visione di Auerbach, la nuova retorica di uncristianesimo che aveva saputo irrorare di nuova linfa le esauritissimevene di quella antica. Quell’humilitas espressiva, emanazione di unacomunitaria visione del mondo testimone e custode di un’unitarietàsuperiore, pervade lungo l’intero arco del Medioevo, svettando nellaCommedia dantesca, tutti i generi e le forme di scrittura:

Jos[eph] Schrijnen, al quale (a lui e alla sua scuola) risalgono il concetto di la-tino cristiano e ricerche quanto mai interessanti in proposito, sopravvaluta,secondo me, l’importanza della differenza fra latino colto e latino popolareantico cristiano. Agostino, per esempio, nelle prediche scrive diversamen-te che negli scritti esegetici e dogmatici; [. . . ] Gregorio Magno scrive in

. Auerbach (/: sg.).. Nel passo, perché il lettore si metta l’animo in pace, perché non pensi che affrontan-

do l’oratoria voglia impartirne anche le regole retoriche, Agostino mette le cose in chiaro:è un compito che non gli si può chiedere di assolvere, tanto nel De doctrina christianaquanto altrove.