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DOI: 10.4440/201601/castaldi
© Educare.it (rivista on line - ISSN: 2039-943X) - Vol. 16, n. 1 – Gennaio 2016 10
L’importanza dell’errore nel processo di apprendimento
Antonella Castaldi
Docente abilitata di Diritto ed Economia presso la scuola secondaria di II grado, esperta di didattica in contesti multicultu-rali e cultore di Diritto Romano. Studiosa di lingue classiche, collabora con alcune testate on-line ed attualmente frequen-ta la scuola di Archivistica, Paleografia, Diplomatica presso l'Archivio di Stato di Bari.
In ogni ambito, da quello filosofico a quello pedagogico e scientifico,
l’errore è stato sempre demonizzato, percepito come qualcosa di peccami-
noso e assolutamente da punire o cancellare. Fin’oltre la metà del ‘900 sono
state elaborate teorie, ampiamente adottate anche in ambito scolastico, vol-
te a sanzionare l’errore e a recriminarlo. Considerazioni positive sulla fun-
zione dell’errore sono invece rimaste minoritarie fino a quando i filosofi
Bachelard e Popper hanno provveduto a destrutturare le vecchie tesi. Le
più interessanti riflessioni sul ruolo educativo che l’errore riveste in ambito
scolastico, nonché il suo uso per consolidare gli apprendimenti, si devono
proprio alla scienza epistemologica. L’articolo presenta l’evoluzione peda-
gogica della considerazione dell’errore e le sue implicazioni nel processo di
insegnamento-apprendimento.
La concezione dell’errore fino agli anni settanta
Nell'esperienza scolastica del passato e, in
generale, nella storia della didattica fino agli
anni ’70, l'errore veniva percepito come
qualcosa di assolutamente negativo e consi-
derato frutto di un’interferenza negativa so-
prattutto a causa del prevalere delle teorie
del “condizionamento operante” di Skinner1
che a loro volta affondono le radici negli as-
sunti filosofici di Agostino e Cartesio. Lo
psicologo statunitense infatti evidenziò
chiaramente come l'apprendimento non
debba necessariamente avvenire seguendo
una curva graduale, una “learning curve”
secondo il paradigma dei tentativi ed errori
descritto da Edward Lee Thorndike. In par-
ticolar modo, secondo Skinner, le metodo-
logie di insegnamento non prevedevano che
la persona dovesse passare attraverso una
fase di errori per imparare qualcosa perché
si riteneva che commettere un errore equiva-
lesse automaticamente ad apprenderlo2. Gli
errori dunque potevano essere evitati con
particolari tecniche che consistevano in un
controllo severo della produzione dello stu-
dente ma, nel caso in cui fossero stati com-
messi, andavano corretti immediatamente.
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Tutta la scuola, d'altronde, era organizza-
ta sostanzialmente su due aspetti basilari:
l'insegnamento e la valutazione. Questo
modello scolastico era sostanzialmente auto-
referenziale e poneva al centro dell'attenzio-
ne i contenuti da trasmettere e la valutazio-
ne dell'alunno, tesa ad evidenziare minuzio-
samente errori ed incertezze e a verificare
che ciò che era stato insegnato fosse stato
“imparato” con meno inesattezze possibili,
per essere riutilizzato al momento dell'inter-
rogazione o dell'esecuzione corretta di un
esercizio scolastico.
L'errore veniva quindi addebitato in toto
allo scolaro, alla sua distrazione, alla sua
scarsa applicazione ecc. In questo modello,
naturalmente, non è solo la pratica a rivelar-
si parziale e difettosa, ma anche la teoria: il
focus non è tanto sull'alunno quanto sul con-
tenuto dell'insegnamento.
La rivalutazione dell’errore
Più recentemente è emersa una visione
diversa e positiva dell’errore, non più inteso
come un corpo estraneo alla ragione, ma
come un elemento imprescindibile del pro-
cesso conoscitivo. Secondo questa nuova
prospettiva, nata già a partire dalla metà del
secolo scorso, l’errore non solo è inelimina-
bile in ogni processo di ricerca, ma è anche
ciò che ne consente il progresso attraverso le
sue confutazioni3. Non rappresenta più
dunque un fallimento, ma un valido stru-
mento che promuove l’apprendimento e ne
rafforza la riuscita. Bachelard, noto filosofo e
illustre epistemologo del ‘900, arriva ad af-
fermare che l’errore è «un fatto positivo,
normale ed utile»4; Popper invece, con rife-
rimento specifico al metodo scientifico, scri-
ve che
«non siamo interessati allo stabilimento di teo-
rie scientifiche in quanto sicure, certe o proba-
bili. Consapevoli della nostra fallibilità, siamo
soltanto interessati a criticarle e a controllarle
con la speranza di scoprire dove sbagliano, di
apprendere dagli errori e, se abbiamo fortuna,
di pervenire a teorie migliori»5.
Inizia così a farsi strada una concezione
dell’errore inteso in termini di “normalità”:
l’errore è connaturato all’essere umano, gli
appartiene profondamente e costituisce un
fatto logico positivo in quanto rappresenta
un’esperienza attraverso la quale egli pla-
sma la sua personalità e dal quale trae forza
ed energia per cogliere le soluzioni dei suoi
problemi e procedere così nella ricerca della
verità.
Le riflessioni degli epistemologi richiama-
ti, oltre ad indicare il ruolo che l’errore svol-
ge nel processo di accrescimento della scien-
za, non mancano di sottolineare
l’importanza che esso riveste nel processo
educativo, ritenendolo anche in
quest’ambito normale, positivo, utile. Normale
perché, come già detto, rientra
nell’esperienza e nell’attività propria di ogni
essere vivente, quindi anche dell’essere u-
mano; positivo perché con la sua correzione
permette al soggetto di giungere a cono-
scenze più prossime alla verità; utile perché
lo mette in condizione di imparare dagli er-
rori.
L’ errore in ambito scolastico
Sulla scia delle teorie epistemologiche,
anche la scuola ha iniziato ad interrogarsi
sulla concezione dell’errore che dominava
nelle aule. A partire dagli anni ’60, e soprat-
tutto negli anni ’70, comincia infatti a svi-
lupparsi, in ambito statunitense e in parte
europeo, un movimento di profonda revi-
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sione critica dei sistemi educativi. Nel 1969
Postman scrive: «E’ sorprendente vedere
come gli studenti possano perdere una parte
della loro paura di sbagliare, profondamen-
te radicata in loro, quando si trovano con un
insegnante che non chiede loro di essere nel
giusto, ma soltanto di unirsi a lui nella ricer-
ca dell’errore: del suo come del proprio»6.
Da allora è andata col tempo maturando
l'idea dell'urgenza e dell'importanza di una
formazione degli insegnanti che li renda ca-
paci di comprendere e riconoscere cosa suc-
cede nell'alunno che si mette in contatto con
i saperi scolastici, come si possa facilitare la
sua capacità di apprendimento e in quali
modi si possano raggiungere le mete forma-
tive proposte dai documenti programmatici
ministeriali. In quest'ottica, si è cominciato a
ragionare sul problema dell'errore come a-
spetto connotato di valenza non solo negati-
va ma anche positiva. Si è teorizzato anche
su una vera e propria pedagogia dell'errore,
intesa come una forma di educazione attenta
alla partecipe ed attiva costruzione del sé e
del proprio sapere da parte dell'alunno, at-
traverso prove ed errori.
Così, mano a mano, sono state modificate
la teoria e la prassi scolastica; a livello teori-
co c'è stata una vera e propria “svolta epi-
stemologica” e, nei processi scolastici, si è
passati da una concezione centrata sull'inse-
gnamento ad una concezione di tipo “com-
binatorio”, in cui gli aspetti di insegnamento
e di apprendimento sono inscindibili ed ap-
partengono all'unico processo formativo
scolastico.
L'apprendimento si connota di una sua
specificità di “processo mentale”, e l'inse-
gnamento si configura come attività di me-
diazione tra il soggetto che costruisce questi
processi e l'oggetto culturale che diviene la
fonte ineliminabile di alimentazione degli
stessi. In questa logica, l'attenzione è tutta
spostata sui processi di apprendimento che
l'alunno attiva, sui suoi sforzi, le sue difficol-
tà, i suoi errori.
La sottolineatura dell'errore è di tipo po-
sitivo, l'insegnante supporta cioè l'alunno
nella riflessione su ciò che sta avvenendo
nella sua mente mentre sta imparando. Il
compito dell’insegnante è anche quello di
far comprendere ai propri allievi che l’errore
non è un “peccato” o qualcosa di drammati-
co e scandaloso, ma il motore del progresso
scientifico e del processo educativo nel qua-
le sono coinvolti.
A tal proposito Dario Antiseri scrive:
«Quando in una scolaresca si scopre un er-
rore, questo deve essere un momento di gio-
ia. Ed è da apprezzare sia chi ha “osato”
sbagliare, sia chi ha scoperto l’errore. Ab-
biamo scoperto un errore, cerchiamo quindi
di eliminarlo, cerchiamo di migliorarci. In
questo modo nessuno si vergognerà di ten-
tare soluzioni, nessuno cioè sarà costretto a
bloccare la sua creatività. E nessuno si insu-
perbirà per aver trovato nell’altro un erro-
re»7.
Si può sottolineare pertanto come la pe-
dagogia positiva dell'errore si realizzi in
questi due aspetti: portare il soggetto-
alunno alla riflessione sul suo apprendere e
aiutarlo a controllare in modo positivo i suoi
sforzi, i suoi insuccessi, le sue insicurezze.
Questo vuol dire, per l'insegnante, saper en-
trare nell'analisi degli errori con competenza
e serietà, per poter comprendere cos'è che ha
ingenerato l'errore, se l'errore stesso è di no-
zione o di procedura, e così via.
Anche l'insegnante, in questo processo, si
mette in discussione circa i propri possibili
errori e su come riuscire a prevenire gli er-
rori degli alunni, nei processi di insegna-
mento-apprendimento che attiva. Egli si in-
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terroga soprattutto in rapporto al tipo di
strategie da attivare per favorire il successo
nell' apprendimento, attraverso processi di
controllo differenziati a seconda della diffi-
coltà del compito di apprendimento. Tra le
strategie più utili a tal fine vi è certamente la
necessità di tener conto che è necessario sa-
per proporre in modo chiaro ed inequivoca-
bile obiettivi, comportamenti, risultati attesi
rispetto al processo di apprendimento atti-
vato.
Questo significa che l'attenzione sull'a-
lunno non sarà tanto focalizzata sul fatto che
egli sta acquisendo competenze comporta-
mentali, quanto sulle sue modalità di perve-
nire alla conoscenza, sui procedimenti men-
tali ed emozionali che lo portano a modifi-
care la sua struttura di conoscenza in modo
flessibile e articolato, ed a “sapere di sape-
re”, modificando in tal modo i propri pro-
cessi mentali.
Altra strategia sicuramente da tener pre-
sente è quella di abilitare alla capacità di
transfert, che significa essere attenti non solo
all'acquisizione di uno specifico apprendi-
mento, ma soprattutto alla capacità dell'al-
lievo di “sfruttare” il beneficio dell'appren-
dimento precedente per estenderlo a situa-
zioni scolastiche ed extrascolastiche nuove;
questo è un aspetto davvero importante ai
fini della formazione.
Infine occorre rendere la comunicazione
interattiva: maggiore è l'interattività, miglio-
ri sono le capacità di riflettere dell'alunno, le
possibilità di arricchimento delle sue rifles-
sioni, delle sue strategie, delle sue analisi e
del controllo dei propri processi di appren-
dimento. Questo tipo di comunicazione na-
turalmente si dilata a tutto campo, per cui
diviene importante valorizzare e sfruttare
positivamente le dinamiche che si possono
sviluppare nella classe. Le conoscenze sco-
perte, contrattate e condivise si integrano
più significativamente nel proprio essere,
nei propri pensieri che ritornano in modo ri-
flesso dal rispecchiamento con quelli dei
propri simili. L'apprendimento si configura
così tutto correlato di motivazioni, di ten-
sioni esplorative, di conoscenze acquisite, di
stati d'animo.
Tutto ciò è davvero importante non solo
perché può contribuire ad evidenziare e a
mettere a nudo gli errori degli altri ed anche
i propri, ma soprattutto perché rende possi-
bile anche l'apprezzamento per i supporti
positivi che vengono da altri punti di vista e
che possono aiutare a superare un modo di
vedere sbagliato.
Le forme di “correzione tra pari” in situa-
zione interattiva significativa, dove diventa
possibile riconoscere modi diversi di solu-
zione di un problema e percepire la diversi-
tà delle menti in tali processi, risultano a
volte molto più incisive di quelle che pro-
vengono direttamente dagli adulti, nel no-
stro caso dagli insegnanti.
Certamente l'insegnante assume un ruolo
molto importante dentro questi percorsi: e-
gli diviene “regista” e insieme “co-
protagonista” con gli alunni, sia attraverso
la predisposizione di ogni possibile “dispo-
sitivo didattico” finalizzato alla migliore cir-
colazione di idee, proposte, ipotesi di solu-
zione, sia tramite il suo diretto contributo
per la eventuale correzione di errori di per-
corso e di processo. In quest'ottica l'inse-
gnante sdrammatizza, riporta l'insuccesso a
un fattore di apprendimento che può essere
analizzato ed attribuito a delle procedure
meno corrette, aiuta a vivere gli insuccessi
in modo accettabile e motivante creando co-
sì un circolo del benessere della conoscenza.
A tal fine il “metodo dell’indagine”, ri-
preso dalla pratica scientifica, è sicuramente
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quello più adottato ed utile nel mettere in
risalto il ruolo fondamentale e positivo
dell’errore nel processo dialogico di inse-
gnamento-apprendimento8. Esso può essere
definito come
«processo di apprendimento in cui lo studente
assume un onere pesante nel risolvere problemi
intellettuali. Ciò richiede che gli studenti im-
parino a porre domande, a raccogliere dati, a
formulare generalizzazioni di natura non su-
perficiale»9.
All’interno di questo processo di progres-
sive scoperte, l’errore perde quindi la sua fi-
sionomia di “risposta sbagliata”, incom-
prensibile ed oscura, e diventa invece
l’indicatore di soluzioni diverse e più ade-
guate. Infatti se la risposta erronea, in quan-
to frutto di riflessione creativa da parte dello
studente, è criteriata e supportata da un ra-
gionamento logico, seppur scorretto, è gra-
zie ad essa che il docente – insieme
all’alunno - ha la possibilità di trovare di-
verse modalità di soluzione e di esaminare
ipotesi di risoluzione più efficaci e significa-
tive.
La didattica che prende forma in tal mo-
do è basata sui problemi, anziché sugli eser-
cizi, sul «promuovere negli studenti un at-
teggiamento riflessivo e inventivo»10,
sull’adozione da parte degli insegnanti di un
atteggiamento “fallibilista”. Antiseri afferma
infatti che «il problema esige una scoperta
da farsi: l’esercizio si esegue perché una
scoperta è già stata fatta»11, rafforzando così
il ruolo positivo dell’errore nell’acquisizione
di porzioni di verità sempre più ampie.
NOTE:
1 B. F. Skinner, La tecnologia dell'insegnamento, trad. Lidia Magliano, La Scuola, Brescia, 1970.
2 A. Ciliberti, Manuale di glottodidattica, La Nuova Italia, Firenze, 1995.
3 G. Zuccari, L’errore generativo. Pedagogia (-didattica) scolastica ed errore, in “ReS” n° 4/2003, pp. 65-69
4 G. Bachelard, La formation de l’esprit scientifique, Paris,1977. Trad. it. ed. integrale “La formazione dello spirito scientifico.
Contributo a una psicoanalisi della conoscenza oggettiva”, a cura di Enrico Castelli Gattinara, R. Cortina, MIlano, 1995. 5 K. R. Popper, Problemi, scopi e responsabilità della scienza, in Scienza e filosofia, tr.it., Einaudi, Torino, 1969, p. 34.
6 N. Postman, Teaching as a subversive activity. Trad. It. L’insegnamento come attività sovversiva, a cura di D. Mamo, La
Nuova Italia, Firenze, 1963, p. 128. 7 D. Antiseri, Epistemologia e didattica delle scienze, Armando, Roma, 1972, p. 232.
8 G. Zollo, Il valore dell’errore nel processo di apprendimento. Quaderni del dipartimento di Scienze dell’Educazione
dell’Università di Salerno: http://www.disced.unisa.it/quadlzol.htm 9 G. Mollo, Il valore dell’errore nella dinamica dell’apprendimento, in “Cultura e scuola”, aprile-giugno 1986, n° 98, pp.
128-145. 10
Ibidem. 11
D. Antiseri, Insegnare per problemi, in “Riforma della scuola”, 1985, n°2, pp.18-27