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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAMERINO Facoltà di Scienze e Tecnologie Classe 82/S Gestione dell’ambiente naturale e delle aree protette A Dipartimento di Biologia Molecolare, Cellulare, Animale IL RADIOTRACKING DEL CERVO NEL PARCO NAZIONALE DEL GRAN SASSO – MONTI DELLA LAGA Tesi Sperimentale di Laurea in Metodi di Rilevamento e Censimento della Biodiversità nimale Specializzando: Relatore: Marco Bonanni Dott. Andrea Brusaferro Dott.ssa Nicoletta Riganelli Anno Accademico 2006/2007

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAMERINO

Facoltà di Scienze e Tecnologie Classe 82/S

Gestione dell’ambiente naturale e delle aree protette

A

Dipartimento di Biologia Molecolare, Cellulare, Animale

IL RADIOTRACKING DEL CERVO NEL PARCO NAZIONALE

DEL GRAN SASSO – MONTI DELLA LAGA

Tesi Sperimentale di Laurea

in Metodi di Rilevamento e Censimento della Biodiversità

nimale

Specializzando: Relatore: Marco Bonanni Dott. Andrea Brusaferro Dott.ssa Nicoletta Riganelli

Anno Accademico 2006/2007

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INDICE

Introduzione…………………………………………………………………………………3

1. Sistematica e cenni di ecologia e biologia………………………………………...……4

2. Le immissioni faunistiche: la reintroduzione………………………………….…....….7

2.1. Le immissioni faunistiche………………………………………….……….7

2.2. Aspetti generali…………………………………….………………...….….9

2.3. La reintroduzioni in Italia………………………………………..….......…11

2.3.1. Reintroduzioni del cervo in Appennino ……………….……….....12

3. Area di studio…………………………………………………………………….…....15

3.1. Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga…………….……...15

3.1.1. Aree con accertata presenza del cervo…………………………….16

3.1.1.1. Valle del Vomano………………………………………….16

3.1.1.2. Monti della Laga e lago di Campotosto…………………...17

3.1.1.3. Val Chiarino……………………………………………….19

3.1.2. Aspetti faunistici………………………………………………..…19

4. Oggetto dello studio…………………………………………………………………..21

4.1. Presenza storica ed attuale del cervo in Italia……………………………..21

4.2. La reintroduzione nel Parco Nazionale del Gran Sasso e

Monti della Laga………………………………………………………..…24

4.2.1. Dati sulla reintroduzione………………………….…………….…24

4.2.2. Obiettivi della reintroduzione………………………….……….….28

4.2.3. Osservazioni generali…………………………………………..….30

5. Materiali e metodi………………………………………………………….………….33

5.1. Il Radio-Tracking………………………………………………………….33

5.2. Attrezzatura utilizzata……………………………………………….……..36

5.3. Monitoraggio………………………………………………………………39

5.4. Metodi di elaborazione dei dati……………………………………………45

6. Risultati………………………………………………………………………………..49

7. Discussioni………………………………………………………………………….…81

Bibliografia………………………………………………………………………………...86

Ringraziamenti…………………………………………………………………………….92

Allegati…………………………………………………………………………………….93

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INTRODUZIONE

In tutto il mondo le comunità biologiche, che hanno impiegato milioni di anni per

evolversi, sono fortemente minacciate dall’azione dell’uomo. Mai prima d’ora era capitato

che tante specie si avvicinassero alla soglia di estinzione in così breve tempo.

Creare aree protette per la salvaguardia della diversità biologica può non essere

sufficiente ad interrompere questo declino.

Tra gli esseri viventi che più hanno sofferto l’azione umana vi sono senza dubbio gli

ungulati, per i quali il conseguimento di una gestione pianificata con criterio risulta

prioritaria. Il cervo (Cervus elaphus Linnaeus, 1758) è specie naturalmente caratteristica

del bosco rado e delle praterie cespugliose, tuttavia, fin dal Medioevo, la necessità di

escluderlo dalle aree coltivate ne ha fatto un animale di foresta. La progressiva

frammentazione degli habitat, la diffusione capillare dell’agricoltura, la drastica riduzione

delle grandi coperture boschive, ne hanno causato l’estinzione in quasi tutta Italia.

A partire dal 2004 è iniziato il progetto di reintroduzione dei cervi nel Parco del Gran

Sasso e dei Monti della Laga. L’importanza di tale intervento si colloca in una più ampia

strategia che ha come obiettivo il ripristino sul territorio di popolazioni di cervi un tempo

presenti. Questa immissione, insieme a quella effettuata nel Parco Nazionale dei Monti

Sibillini, segue numerose altre reintroduzioni avvenute dapprima nell’Appennino

settentrionale e successivamente in quello meridionale. Le reintroduzioni in Appennino

centrale assumono un significato ancora maggiore considerando che la riuscita di questi

interventi può garantire la sopravvivenza delle popolazioni presenti nel resto del territorio

italiano fornendo una connessione tra nuclei distanti. Inoltre la ricostruzione della

zoocenosi originaria contribuisce al miglioramento degli equilibri esistenti negli

ecosistemi.

Questo studio si inserisce in un più vasto progetto di gestione delle popolazioni

immesse che, nel corso del tempo, deve monitorare tutte le varie fasi conseguenti la

reintroduzione. Indagare sull’area che gli animali utilizzano e comprendere le dinamiche di

spostamento all’interno dell’area protetta individuando i corridoi frequentati, sono

operazioni che possono essere intraprese solo attraverso un lavoro di monitoraggio che

utilizzi una tecnica, seppur dispendiosa dal punto di vista delle energie e dei costi, come il

radiotracking. Nell’anno trascorso l’attività di monitoraggio ha proseguito quella iniziata

negli anni precedenti, garantendo continuità temporale e fornendo una serie di

informazioni utili per i futuri programmi di gestione della fauna selvatica.

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CAPITOLO 1 SISTEMATICA E CENNI DI ECOLOGIA E BIOLOGIA

Regno: Animale

Phylum: Cordati

Subphylum: Vertebrati

Classe: Mammiferi

Superordine: Ungulati

Ordine: Artiodattili

Sottordine: Ruminanti

Famiglia: Cervidi

Genere: Cervus

Specie: Cervus elaphus Linnaeus, 1758

Sottospecie italiane :

Cervus elaphus elaphus Linnaeus, 1758.

Cervus elaphus corsicanus Erxleben, 1777.

Il cervo (Cervus elaphus L., 1758) è un mammifero ruminante artiodattilo ed è il più

grande ungulato della fauna selvatica italiana. La lunghezza media del corpo (testa-radice

della coda) nei maschi adulti europei è normalmente compresa tra i 190 e i 205 cm, mentre

nelle femmine adulte si aggira sui 165 - 180 cm (Boitani et al., 2003). Il peso corporeo nei

maschi adulti è compreso tra i 160 e i 220 kg; nelle femmine adulte si attesta sui 90-120

kg. Il manto estivo è prevalentemente rossiccio; la testa e la parte ventrale del collo sono

grigiastre. La parte interna delle zampe, il petto, il ventre sono di colore biancastro. Le

zampe appaiono grigiastre (Boitani, Lovari, Vigna Taglianti, 2003). Il manto invernale è

bruno, bruno-grigiastro; nel maschio si sviluppa una folta criniera golare. I maschi adulti

presentano palchi cilindrici ramificati; il peso del palco varia trai 3,5 e i 6 kg. Questo viene

perduto tra la fine dell’inverno (esemplari anziani) e l’inizio della primavera (esemplari

subadulti e giovani).

Il cervo vive in ambienti molto diversificati, sia per clima che per vegetazione ed

altitudine. È presente in Italia, dalla macchia mediterranea fino alle praterie montane, con

netta prevalenza per boschi di media ed alta montagna, sia in presenza di conifere che di

latifoglie, preferendo tuttavia quest’ultime. Predilige ambienti ecotonali.

È una specie versatile, capace di adattare e modificare le necessità trofiche in funzione

dell’ambiente in cui vive. Secondo Hofmann (1985) il cervo è un pascolatore selettivo di

tipo intermedio, cioè un erbivoro con possibilità di passare dalla nutrizione tipica del

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brucatore (foglie di arbusti, di cespugli e di piante legnose) a quella di pascolatore puro

(erbe di prato anche coriacee, foraggi). Il pascolo (10-12 ore), la ruminazione (5-6 ore) e il

riposo (2- 4 ore) si alternano durante la giornata. Un cervo adulto ingerisce mediamente

ogni giorno una quantità di vegetali pari a 10 - 15 kg (Mattioli & Nicolosio, 2002) .

Il cervo è una specie gregaria che trova nel branco una maggior protezione nei confronti

dei pericoli, una

collaborazione nella

ricerca del cibo e nelle

cure parentali. L’unità

principale è il gruppo

familiare: più femmine

imparentate possono

riunirsi a formare

branchi guidati da

femmine dominanti.

Figura 1.1 – Cervo maschio marcato.

Il cervo possiede capacità per comunicare abbastanza sviluppate, necessarie per

un’intensa vita sociale. Il verso più noto è il bramito, esclusivo dei maschi e presente

soprattutto negli adulti (Boitani, Lovari, Vigna Taglianti, 2003). È udibile dalla seconda

metà dell’estate alla prima metà dell’inverno e caratterizza la stagione riproduttiva

autunnale. Le contese vocali permettono di valutare il rango degli altri cervi maschi e se i

due animali sono di taglia comparabile possono avvenire lotte con i palchi, precedute da

studio dell’avversario tramite caratteristiche marce parallele (Boitani, Lovari, Vigna

Taglianti, 2003).

Il sistema di accoppiamento adottato dal cervo è la poligamia con difesa delle femmine.

Il maschio, abbandonato il branco degli altri giovani, raggiunge le aree degli amori, dove

costruisce il suo harem di femmine. In questo periodo manifesta atteggiamenti di

esibizione: si rotola nel fango, si spruzza urina, scorna la vegetazione, raspa il terreno con

gli zoccoli e bramisce. I cerbiatti nascono dopo circa 8 mesi di gestazione, tra la metà di

maggio e la metà di giugno.

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Tabella 1.1 – Caratteristiche riproduttive del cervo (Boitani et al., 2003 mod.).

PERIODO DEGLI

ACCOPPIAMENTI

Settembre-ottobre

(il 75-80% delle femmine in 2-3 settimane)

CICLO ESTRALE 18 giorni

RICETTIVITÁ 12-24 ore

GESTAZIONE In media 234-236 giorni

PARTI Maggio-giugno

NATI 1 piccolo (i parti gemellari <1%)

PESO ALLA NASCITA 7-10 Kg

SVEZZAMENTO Intorno ai sei mesi

La longevità massima in natura si situa intorno ai 17-18 anni con rari casi fino a 24 anni

(Boitani, Lovari, Vigna Taglianti, 2003) .

Il cervo nobile è una specie ad amplissimo areale con adattamenti all’ambiente molto

diversificati.

È una specie a distribuzione olartica originariamente diffusa in Gran Bretagna,

nell’Europa continentale, dalla penisola iberica al Caucaso, sull’Atlante in Nordafrica, in

Asia Minore, in Iran settentrionale, in Turkestan, sull’Himalaya, in Tibet, nel Tien Shan, in

Altai, in Siberia sud orientale, in Manciuria, in Corea, in Nord america e dalla Columbia

britannica al Messico.

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CAPITOLO 2 LE REINTRODUZIONI

2.1 Le immissioni faunistiche

La fauna attuale è in parte il risultato di trasformazioni storiche e recenti di origine

antropica. L’uomo ha determinato l'estinzione di numerose specie per persecuzione diretta

o eccessivo sfruttamento, il più delle volte per incuria e/o sottovalutazione delle

conseguenze possibili (Perco, 1997).

Le immissioni faunistiche hanno sempre caratterizzato le attività dell’uomo: sia quelle

intenzionali che quelle accidentali hanno rappresentato un fattore di notevole influenza

sulle zoocenosi.

Una trasferimento di animali da un' area ad un altra è un' immissione. Questo atto

provoca, intenzionalmente o meno, modificazioni dell'ecosistema, cambiamenti che sono

diversi sotto molti profili (durata, intensità etc.) (Perco, 1997).

Appare doveroso distinguere tra le varie forme di immissione, poiché queste possono

portare a dinamiche di popolazioni animali e ad effetti sull’intero ecosistema

completamente diversi; si può quindi definirle, secondo diversi autori, come segue:

1. Introduzione: immissione di una entità faunistica in un’area posta al di fuori del

suo areale di documentata presenza naturale in tempi storici.

2. Reintroduzione: traslocazione finalizzata a ristabilire una popolazione di una

determinata entità faunistica in una parte dei suo areale di documentata

presenza naturale in tempi storici nella quale risulti estinta.

3. Ripopolamento: traslocazione di individui appartenenti ad una entità faunistica

che è già presente nell’area di rilascio.

Le prime operazioni furono quasi sempre introduzioni e solo dopo una presa di

coscienza da parte dell’uomo sulle dinamiche dei sistemi ecologici e sulle possibili

manipolazioni che questo poteva arrecare agli ecosistemi naturali, le immissioni sono

progrssivamente diminuite, fino a ridursi attualmente ad isolati casi, spesso accidentali.

Con la crescita delle lobbies venatorie, già nel primo dopoguerra, prendeva piede la pratica

dei ripopolamenti, strumento che è ancora oggi uno di quelli più utilizzati nella gestione

della fauna. Una corretta politica di conservazione dovrebbe invece tendere a ridurre o

evitare gli interventi dell’uomo sulla composizione e sulla struttura delle comunità animali

(Spagnesi et al., 1997).

Introduzioni, reintroduzioni e ripopolamenti che caratterizzano in maniera consistente

anche l’attuale gestione faunistica del nostro paese, pongono rilevanti problemi di natura

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biologica, conservazionistica e gestionale le cui cause vanno ricercate principalmente nei

seguenti fattori (Spagnesi et al., 1997):

- inadeguatezza del quadro normativo che non definisce modalità e limiti delle

diverse tipologie degli interventi di immissione in maniera completa ed

univoca;

- mancanza di una seria progettazione di tali interventi, ovvero la loro

pianificazione ed attuazione da parte di operatori spesso privi di adeguata

professionalità;

- assenza di un organismo formalmente delegato ad esprimere pareri in merito

all’opportunità, alla congruità ed alla priorità degli interventi, nel contesto

nazionale ed internazionale;

- progettazione e realizzazione degli interventi senza un’analisi del rapporto costi-

benefici, a fronte di una limitatezza delle risorse complessivamente

disponibili per la conservazione della fauna.

La verifica dell’idoneità dell’area di una immissione va valutata anche da un punto di

vista sanitario, da effettuarsi con indagini mirate, poiché la traslocazione di animali

comporta comunque rischi sanitari; è necessario procedere con estrema cautela, evitando

azione avulse da una finalità di restauro ambientale ed estremamente costose (Lanfranchi

& Ghuberti, 1997). La gestione delle popolazioni immesse dunque è un atto conseguente,

di fatto obbligatorio alle opere di immissione e deve tener conto di due presupposti: la

correttezza "formale" dell' immissione e le finalità della stessa (Perco, 1997).

È importante sottolineare che mentre introduzioni e ripopolamenti riguardano

principalmente le aree venatorie, le reintroduzioni vengono effettuate quasi esclusivamente

nelle aree protette.

Le introduzioni di specie animali posso produrre conseguenze estremamente deleterie

che vanno dall’inquinamento genetico, all’eccessivo sfruttamento delle risorse trofiche,

alla predazione, all’invasione della nicchia ecologica di specie autoctone. Alcune situazioni

potrebbero essere viste quali quasi-reintroduzioni (la specie è autoctona ma la sottospecie è

ignota) o quasi-introduzioni e cioè quando la sottospecie ancora sopravvive ma si intende

immettere soggetti appartenenti sicuramente ad altre (Perco, 1997).

I ripopolamenti hanno il fine di incrementare il numero di individui in un’area. Essi

rappresentano tuttavia degli interventi da limitare se non addirittura da eliminare del tutto,

in quanto producono una serie di danni che non giustificano il fine (venatorio) per il quale

si effettuano. Così non possono risolvere la carenza di selvaggina se non per i primi giorni

dell’immissione, considerate le basse probabilità di sopravvivenza degli individui immessi;

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provocano diffusione di patologie; modificano il pool genetico delle popolazioni

originarie, poiché raramente si possono immettere animali affini dal punto di vista

genetico; alterano le dinamiche preda-predatore in quanto incrementano solo per brevi

periodi le disponibilità alimentari di specie predatrici; non permettono la ricostruzione di

popolazioni selvatiche poiché spesso gli individui immessi, provenienti dalla cattività,

risultano estranei alle interazioni con gli individui della stessa specie presenti già

naturalmente sul territorio.

Infine, attualmente mancano norme che trattano direttamente le immissioni faunistiche e

quelle contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157, “Norme per la protezione della

fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” riguardanti solo mammiferi ed

uccelli, sembrano pensate più per regolamentare l’esercizio dell’attività venatoria. Nella

suddetta legge inoltre, il termine reintroduzione non viene mai preso in considerazione e

non vengono definiti quindi i principi cui questo tipo di intervento faunistico deve attenersi

(Spagnesi & Toso, 1997).

2.2 Aspetti generali

L’interesse per le reintroduzioni è cresciuto negli ultimi anni e si sono moltiplicati i

tentativi di restituire agli ambienti naturali le specie che un tempo ben li caratterizzavano.

Questo per esigenze estetiche, storiche, ma soprattutto per necessità funzionali di tutto

l’ecosistema (Boitani, 1976).

Lo scopo di una reintroduzione è quello di ricostruire una popolazione vitale, in

condizioni naturali, di un taxon localmente estinto. Il fine è quindi biologico; si cerca, con

questo strumento di gestione, di ristabilire rapporti ed equilibri distrutti. Secondo Spagnesi

(1997) sono diverse le motivazioni che portano ad effettuare una reintroduzione:

- mantenimento della biodiversità attraverso la conservazione dei taxa minacciati;

- ricostituzione della complessità e della funzionalità dei sistemi naturali come

elemento in grado di favorire la loro stabilità;

- sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti dei problemi della

conservazione;

- miglioramento della qualità della vita umana sotto il profilo estetico e culturale;

- possibilità di fruizione economica diretta o indotta;

- miglioramento delle conoscenze scientifiche.

Anche se il fine di una reintroduzione è accettabile in senso ecologico, va ricordato che

questa è comunque un intervento artificiale su un ecosistema. Le reintroduzioni sono

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operazioni complesse, rappresentano manipolazioni dei sistemi ecologici, e in quanto tali

hanno il carattere di un esperimento.

La scienza delle reintroduzioni è relativamente recente e le tecniche usate variano in

funzione delle specie, degli habitat e delle condizioni locali. Non esiste un approccio

standardizzato, ed ogni programma di reintroduzione deve necessariamente contenere le

componenti ricerca e sviluppo. La loro probabilità di successo è bassa, e il più delle volte si

deve tener conto del possibile fallimento. Alcuni studi effettuati dimostrano questa

affermazione, così su 121 specie allevate in cattività e poi reintrodotte solo 16 (11%)

hanno avuto successo (Beck et al., 1994); poco migliore è la situazione se si aggiungono

individui catturati in natura, visto che in questo caso la probabilità di successo sale al 38%

(Boitani, 1997), valore sempre contenuto. Molto quindi si deve ancora fare per migliorare

questa tecnica. Si evince comunque da questi dati che le reintroduzioni si mostrano più

efficaci con animali catturati direttamente in natura; questo purtroppo non può sempre

avvenire, in quanto prevale la necessità di non intaccare la consistenza delle popolazioni

sorgente, o di evitare un possibile inquinamento genetico con sottospecie differenti o

distanti da quelle originarie. In ogni caso una reintroduzione non è un meccanismo per

rimuovere animali in surplus da un popolazione in cattività (Kleiman, 1994).

In considerazione di questa elevata probabilità di insuccesso, sarebbe auspicabile che in

ogni tentativo di immettere animali selvatici in un’area che naturalmente li ospitava, venga

tratto il massimo insegnamento per ogni fase che caratterizza la reintroduzione. Una causa

che ha portato ai numerosi fallimenti è stata probabilmente la sbagliata gestione di queste

operazioni, che ha lasciato troppo spesso al caso alcune decisioni. Oggi sono notevoli, ma

ancora insufficienti, le informazioni a disposizione di chi pianifica una immissione

faunistica, e un aiuto sicuramente importante viene dalla biologia della conservazione

integrando in una prospettiva strettamente evoluzionistica, contributi di ecologia, biologia,

etologia, genetica ecc.

Le reintroduzioni hanno spesso un grande significato dal punto di vista dell’educazione

e della partecipazione del pubblico poiché hanno a che fare con l’uso di specie

carismatiche, o di specie potenzialmente tali, e il semplice fatto di essere al centro di un

programma di conservazione fa loro acquisire importanza. L’effetto benefico delle

reintroduzioni si esercita anche facilitando la diffusione delle conoscenze sulla specie e

contrastando le percezioni negative della popolazione nei confronti di esse. Questa

attenzione può avere un effetto positivo a catena ed essere riversa anche ad altre specie e

altri elementi dell’habitat (Lambertini, 1997). Condizioni necessarie affinché possa

avvenire una reintroduzione di animali in natura sono uno studio ecologico e biologico

esaustivo della specie e dell’habitat in cui si va ad operare e una valutazione delle possibili

conseguenze dannose su altre specie e sugli ecosistemi. Andranno preventivamente

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eliminate tutte le cause che possono aver provocato l’estinzione locale della specie e

verificata la disponibilità di fondatori, che dovranno rispondere ai seguenti requisiti

(Spagnesi et al., 1997):

a. appartenenza allo stesso taxon della popolazione originariamente presente,

possibilmente a livello sottospecifico;

b. appartenenza ad una popolazione per la quale il prelievo dei fondatori non

costituisca un sostanziale fattore di rischio;

c. provenienza da aree con condizioni ecologiche il più possibile simili a quelle

dell’area di intervento;

d. gestione dello stock secondo i principi della moderna biologia della conservazione

dal punto di vista genetico-demografico nel caso esso provenga dalla cattività o

da popolazioni presenti in natura ma fortemente manipolate;

e. appartenenza ad una popolazione la cui idoneità sanitaria sia stata verificata con

indagini mirate, condotte su base campionaria.

La buona riuscita di una reintroduzione non può prescindere, inoltre, da una accurata

valutazione dei potenziali effetti che questa operazione potrebbe esercitare sulle

popolazioni umane locali e sulle loro attività economiche; al fine di evitare ripercussioni

negative, devono essere preparati interventi di sensibilizzazione ed educazione.

Inoltre molte reintroduzioni sono tali solo in senso geografico e non ecologico: un’area

che ha perso una specie, può aver subito nel tempo modificazioni che hanno alterato la sua

ecologia; a questo punto l’immissione di quella specie avviene in un’area ecologicamente

estranea, e questa diventa un’introduzione (Boitani, 1976).

Concludendo, sarebbe auspicabile che l’obiettivo di una reintroduzione rimanesse

sempre quello di ristabilire dinamiche naturali e non solo quello di aumentare il numero

delle specie presenti in un’area. La reintroduzione resta comunque, per numerose specie,

l’unica via di salvezza o di ritorno ai propri antichi areali.

2.3 La reintroduzioni in Italia

Le reintroduzioni in Italia sono state effettuate in tempi relativamente recenti e hanno

riguardato poche specie appartenenti quasi esclusivamente alla classe dei mammiferi e solo

marginalmente a quella degli uccelli. Di seguito vengono riportate le specie di mammiferi

reintrodotte nel territorio italiano sulla base di testimonianze fossili oloceniche e storiche

(Amori & Lapini, 1997):

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Volpe (Vulpes vulpes): reintrodotta nel Bosco della Mesola;

Orso Bruno (Ursus arctos): diversi tentativi di immette animali provenienti dalla

Slovenia in Trentino Alto Adige;

Lince (Lynx lynx): reintrotta nelle Alpi;

Marmotta (Marmota marmota): reintrodotta nelle alpi sud-orientali, ma questa

operazione è da considerarsi una parareintroduzione, dato che non esistono

testimonianze storiche inerenti la sua presenza in quest’area;

Cinghiale (Sus scrofa): numerose reintroduzioni in Italia centrale e meridionale

avvenute con individui appartenenti a varie sottospecie alloctone;

Camoscio (Rupicapra rupicapra): localmente reintrodotto con individui

provenienti da popolazioni alpine (Monte Grappa, Monte Baldo, ecc.);

Camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pyrenaica ornata): reintrodotto nei comprensori

montuosi della Majella e del Gran Sasso con individui provenienti dal parco

nazionale d’Abruzzo;

Stambecco (Capra ibex): reintrodotta nell’arco alpino orientale. Mancano

testimonianze storiche inerenti la sua pregressa presenza nelle aree di recente

reintroduzione, tanto che è possibile introdurla nelle para-reintroduzioni;

Capriolo (Capreolus capreolus): numerose reintroduzioni avvenute con individui

appartenenti a sottospecie alloctone;

Cervo (Cervus elaphus): diverse reintroduzioni avvenute con individui

appartenenti a sottospecie alloctone.

2.3.1 Le reintroduzioni del cervo in Appennino Lungo la catena Appenninica è solo grazie alle numerose reintroduzioni, effettuate già

più di 150 anni fa, che si deve la presenza del cervo. Nel 1840 in Casentino, furono

reintrodotti diversi esemplari provenienti dall’Europa centrale (Pedrotti et al., 2000), e

questi resistettero al bracconaggio fino agli anni Trenta, quando probabilmente furono

uccisi gli ultimi individui.

La facilità di reperimento degli individui, la nuova esigenza di ripristinare le

popolazioni sul territorio e la presenza di areali idonei, hanno permesso di effettuare una

serie di interventi di reintroduzioni su gran parte della catena appenninica, avvenuti a

partire dagli anni ’50 e intensificatisi con l’istituzione di aree protette:

1950-60: Casentino, le provenienze dei cervi rilasciati sono state diverse: Svizzera,

Germania, P. N. Stelvio, Tarvisio e Scozia. Attualmente distribuiti lungo

l’Appennino tosco-romagnolo dal Mugello orientale alla Val Tiberina;

1958: Appennino Tosco-Emiliano, con individui provenienti da Tarvisio;

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1966-72: Garfagnana, Riserva Naturale dell’Orecchiella, con individui provenienti da

Tarvisio e dal Parco Nazionale dello Stelvio;

1972-75: Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, in cui furono rilasciati

complessivamente 64 animali provenienti dalla Svizzera, dalla

Germania, dal P.N. di Triglav (SLO) e da Montalto di Castro;

1983-1995: Parco Nazionale Majella (Valle dell’Orfento), individui provenienti da

Tarvisio. Nelle due reintroduzioni avvenute nel 1983 e nel 1995 sono

stati rilasciati in totale 47 animali;

1990: Parco Regionale del Velino Sirente, rilasciati 117 cervi, provenienti dalla

foresta di Tarvisio e dal Parco Nazionale dello Stelvio.

I tentavi più recenti di immettere cervi nei territori che anticamente li ospitavano sono

avvenuti agli inizi di questo secolo soprattutto nel centro e nel meridione, poiché è proprio

in queste due realtà che la presenza del cervo è più sporadica e senza una continuità di

areale. Le ultime reintroduzioni hanno riguardato 4 grandi parchi nazionali:

2002-03: Parco Nazionale del Pollino, con un primo rilascio di 8-10 cervi

provenienti dalla foresta dell’Acquerino, avvenuto nel 2002 ed un

secondo nel 2003 con circa 30 cervi provenienti dalla Carinzia

(Austria);

2004: Parco Nazionale del Cilento, reintroduzione di cervi con 35 esemplari

provenienti dalla Carinzia;

2005-06: Parco Nazionale dei Monti Sibillini, una prima reintroduzione nel 2005

con 21 individui provenienti da Tarvisio e una seconda effettuata nel

2006 con altri 28 individui;

2004-07: Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.

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Figura 2.1 – Reintroduzione di cervi nel Parco Nazionale Gran sasso Monti della Laga.

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CAPITOLO 3 AREA DI STUDIO

3.1 Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (PNGSL) viene istituito dalla

Legge Quadro sulle Aree

Protette, n° 394 del 6

dicembre 1991 e nel 1995

(con il D.P.R. del 5 giugno)

si costituisce l’Ente Parco

Nazionale del Gran Sasso e

Monti della Laga.

Gran parte dell’area protetta

ricade amministrativamente

nella regione Abruzzo

(L’Aquila, Teramo e

Pescara) e solo una piccola

porzione di territorio a nord

del parco si trova nelle

regioni Lazio (Rieti) e

Marche (Ascoli Piceno).

Figura 3.1 – Parco del Gran Sasso Monti della Laga.

Il territorio del parco si estende per circa 150.000 ha e comprende tre distinti gruppi

montuosi: i Monti della Laga a nord, con la loro vetta più alta, il Gorzano (m. 2458) che

costituiscono il complesso montuoso arenaceo-marmoso più elevato ed esteso

dell’Appennino; i Monti Gemelli, a nord-est, due elevati complessi calcarei (Monte

Foltrone m. 1718 e Monte Girella m. 1814); il massiccio calcareo-dolomitico del Gran

Sasso, con la vetta più alta degli Appennini, il Corno Grande (m. 2912), alla cui base è

presente il Calderone, il ghiacciaio più meridionale d’Europa. Il parco interessa due

distinte regioni biogeografiche: la mediterranea e l’eurosiberiana.

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Sono presenti 32 Siti di Interesse Comunitario, 5 foreste demaniali (S. Gerbone, Codaro

Campiglione, Monte Picca, Colle S. Angelo, Roccatagliata), 2 Riserve Naturali Regionali

(Gole del Salinello e Voltigno–Valle d’Angri), una Riserva Naturale Comunale (Corno

Grande di Pietracamela), la Riserva dello Stato di Monte Rotondo e la Riserva dello Stato

del Lago di Campotosto.

La popolazione residente all’interno dei confini del Parco, appartenente a 44 comuni

(dati ISTAT 1991), ammonta a circa 14.870 individui, per una densità media di 10 abitanti

per kmq (Rolli e De Bonis, 2001).

3.1 Aree con accertata presenza del cervo

Sulla base degli studi di monitoraggio post-rilascio dei cervi reintrodotti è stato

possibile individuare diverse aree del parco in cui la presenza degli animali è documentata.

Il presente studio ha interessato una rilevante porzione del parco, che non costituisce

comunque la totalità del territorio occupato dal cervo. Le aree in cui sono presenti cervi

muniti di radiocollare e dove vengono osservati numerosi altri individui sono la valle del

Vomano, la Valle del Chiarino, i Monti della Laga e il lago di Campotosto. Rimangono

escluse dal presente studio l’area del Voltigno, in provincia di Pescara, in cui sono presenti

tre cervi muniti di radiocollare, e altre aree in cui non si può escludere né confermare la

presenza del cervo viste le difficoltà oggettive nel determinarne l’effettiva dislocazione.

3.1.1.1 Valle del Vomano

La valle del Vomano si estende dai 1320 m s.l.m. del Valico delle Capannelle (AQ) sino

ai 260 m s.l.m. dell’abitato di Montorio al Vomano (TE) con orientamento SW - NE; è

delimitata a sinistra dai Monti della Laga e a destra dalla catena del Gran Sasso, da Monte

San Franco sino a Corno Grande. La valle prende il nome dall’omonimo fiume, che

caratterizza l’ambiente con formazioni vegetali esclusive, piccole cascate, rapide e,

nell’area più a monte, da numerose sorgenti che formano delle zone paludose ricche di

torba. L’area inferiore della valle, compresa tra i 250 ed i 600 m s.l.m., a monte di

Montorio al Vomano (TE), è caratterizzata da una vegetazione mediterranea con parziali

rimboschimenti, alternata a coltivi e boschi di querce, con la presenza di alte pareti di

arenaria a evidenziare una millenaria attività fluviale. Questa parte della valle si mostra

meno interessante dal punto di vista vegetazionale e faunistico rispetto alla porzione a

monte poiché maggiori sono le attività antropiche che alterano la composizione dell’area.

Dai 400 ai 1900 m s.l.m. circa, ai piedi del massiccio del Gran Sasso sono presenti aree

boschive composte, dalle quote inferiori a quelle più alte, rispettivamente da castagneti,

querceti, faggeti e praterie d’altitudine oltre il limite della vegetazione arborea. Per quanto

riguarda la faggeta, va segnalata la presenza in associazione con questa di piccoli nuclei di

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Abete bianco (Abies alba), mentre i castagneti stanno subendo una contrazione a causa del

diffondersi del “cancro corticale del castagno”; persistono comunque alcuni esemplari

secolari. Il substrato è prevalentemente calcareo ed in minima parte arenaceo.

Tra i 900 e i 1400 m s.l.m. sono presenti le sorgenti del fiume Vomano; quest’area

mostra un elevato interesse naturalistico soprattutto per la presenza di rare essenze

vegetali. Sono presenti numerose aree impaludate accompagnate dalla formazione della

torba, così tra le entità turficole si possono osservare l’erioforo (Eriophorum latifolium), la

rarissima carice di Davall (Carex davalliana), il giuncastrello alpino (Triglochin palustre)

e il morso del diavolo (Succisia protensis). In primavera la piana allagata si ricopre di

colori delle numerosissime piante di calta (Caltha palustris) e di trifoglio fibrino

(Menianthes trifoliata), specie alquanto sporadiche in Italia peninsulare, e di due rare

orchidee, l’elleborine di palude (Epipocus palustris) e l’orchidea palmata (Dactylorhiza

incarnata). Gli altri settori sono ricoperti da cariceti a carice palustre (Carex gracilis) e da

giuncheti (juncus sp.), specie utilizzate in passato per alcuni impieghi dall’uomo.I boschi

sono prevalentemente di faggeta mista, con acero montano (Acer pseudoplatanus), olmo

montano (Ulmus glabra), tiglio (Tilia cordata), rovere (Quercus petraea) e cerro (Quercus

cerris) (Tammaro, 1998).

Alle stesse quote, ma sul versante opposto, l’areale ricade sui Monti della Laga.

3.1.1.2 Monti della Laga e lago di Campotosto I Monti della Laga, situati nel settore Nord del Parco e con andamento Nord-Sud, sono

costituiti da materiali arenacei ed argillosi. Queste rocce costruiscono la cosiddetta

“Formazione della Laga”. Le maggiori pendenze sono presenti in corrispondenza degli

affioramenti arenaceo-pelitici disposti a reggipoggio, che danno luogo, talvolta, a gradini e

scarpate, in seguito alla diversa erosione delle rocce affioranti. Pendenze più dolci sono

presenti, invece, sui versanti modellati dalle argille (Manetta, 2001). Data la natura

geologica, il comprensorio della Laga è soggetto a rapida erosione e presenta un paesaggio

dominato da numerosi torrenti; i terreni ricchi di umidità e sorgenti, permettono lo sviluppo

di una vegetazione rigogliosa e verdeggiante. L’acqua che scende copiosa in superficie

oltre a raccogliersi in rivoli, ruscelli e fiumi dà vita a decine di suggestive cascate e salti

d’acqua. Tra le più spettacolari si segnalano quelle della Prata, della Volpara, delle Barche,

della Cavata, della Morricana e della Fiumata. Il substrato geologico condiziona anche la

vegetazione; qui è possibile individuare una flora silicofila con 4 piani altitudinali, ognuno

con proprie caratteristiche ecologiche e vegetazionali (Pedrotti, 1996):

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- piano collinare (dal fondovalle ai 1000 m) con la serie di vegetazione del

leccio (Quercus ilex), della roverella (Quercus pubescens), del carpino

nero (Ostrya carpinifolia) e del carpino bianco (Carpinus betulus);

- piano montano (da 1000 a 1850 m) con la serie dell’acero (Acer

pseudoplstsnus) e dell’olmo montano (Ulmus montana) nel piano

montano inferiore e del faggio (Fagus sylvatica) nel piano montano

superiore;

- piano subalpino (da 1850 a 2300 m) con la serie del mirtillo nero (Vaccinium

myrtillus);

- piano alpino (altre i 2300 m) con la serie dei pascoli orofili.

Su tutta l’area dei Monti della Laga si ritrovano boschi misti trattati a ceduo, e sono

presenti diversi rimboschimenti. Il castagno (Castanea sativa), specie introdotta nel

periodo romano tra i 700 e i 1110 metri s.l.m., rappresenta nella Laga un vero monumento

naturale; per secoli le comunità locali si sono nutrite con i sui frutti e anche il legno era

tenuto in grande considerazione per le sue virtù.

Alla base del versante ovest dei Monti della Laga adagiato su un altipiano si estende il

Lago di Campotosto, un bacino artificiale formato per scopi idroelettrici. Nel lago,

realizzato nel 1939, confluiscono i torrenti Rio Castellano, affluente del Tronto, e Rio

Fucino tributario del fiume Vomano; inoltre l’invaso attinge le acque di numerosi torrenti

dei versanti occidentali e orientali dei monti della Laga, grazie ad una imponente opera di

ingegneria idraulica. Profondo fino a 60 metri, con i suoi 1400 ha è uno dei più estesi laghi

artificiali d’Europa. Precedentemente alla realizzazione dell’opera, nell’altipiano era

presente la più grande torbiera della catena appenninica e notevole era la presenza

floristica in quest’area. Prima di essere inondata la torbiera fu sfruttata dall’uomo per

l’estrazione della torba, usata come combustibile e in altri impieghi. La distruzione portò

all’estinzione nell’Italia centrale e peninsulare di alcune rare specie vegetali presenti

esclusivamente a Campotosto come Camarum palustre, Salix repens rosmarinifolia,

Poligala serpyllifolia e Carex lasiocarpa, solo per citarne alcune. Fortunatamente non tutte

si sono estinte, anzi, intorno al lago, nelle sponde paludose e torbose è possibile rinvenire,

oltre che ad un’avifauna particolarmente abbondante, alcune specie floristiche di notevole

importanza come Pinguicula vulgaris, una delle poche piante carnivore in Italia,

Ophioglossum vulgatum, Carum carvi, Eriophorum latifolium. In primavera e in estate

spiccano i colori dei fiori di alcune piante rare come Geum rivale, Menyanthes trifoliata e

Caltha palustris (Fonte archivio PNGSL).

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3.1.1.3 Val Chiarino La Valle del Chiarito si trova nel versante occidentale del Gran Sasso, compresa tra

1060 m s.l.m. (lago di Provvidenza) e 2236 m s.l.m. (Sella del Venacquaro). È delimitata

da monti che costituiscono la catena più importante dell’Appennino, quella del Gran Sasso,

in particolare Monte Corvo, Monte Ienca e Monte San Franco. Nella valle scorre

l’omonimo torrente Chiarino, le cui sorgenti sono comprese tra i 1500 ed i 1700 m s.l.m.;

in parte captato da un acquedotto, confluisce nel lago artificiale di Provvidenza, parte del

sistema di produzione idroelettrica installato sulla Valle del Vomano. Nella valle

predominano gli estesi boschi misti di caducifoglie che sono accompagnati da sporadiche

radure. In passato i boschi della Val Chiarino venivano intensamente utilizzati dall’uomo,

in particolare dagli abitanti di Arischia tanto che sono ancora riconoscibili le piazzole dove

venivano realizzate le carbonaie per la produzione del carbone vegetale ed è presente

nell’area anche un vecchio mulino, il molino Cappelli. La formazione vegetale che

maggiormente caratterizza la valle è la faggeta che si estende fino ai 1800 metri s.l.m..

Oltre al faggio (Fagus sylvatica) le altre essenze vegetali che concorrono alla formazione

del bosco sono nello strato arboreo ed in quello arbustivo il tasso (Taxus baccata),

l’agrifoglio (Ilex aquifolium), il perastro (Pyrus communis pyraster) e nelle aree rocciose

anche il tiglio (Tilia platyphyllos), l’olmo montano (Ulmus glabra) e l’acero di monte

(Acer seudoplatanus). Alla base del Monte Corvo, sul versante destro della valle, si trova

un’insolita associazione vegetale costituita da il ramno alpino (Rhamnus alpinus), il

ciliegio canino (Prunus mahaleb) e il pero corvino (Amelanchier ovalis) (Fonte archivio

PNGSL). A quote maggiori, le praterie alpine e le rupi di alta quota ospitano una rara flora

d’altitudine tra cui spiccano genziane, sassifraghe, cerasti e androsaci, specie endemiche e

relitte di epoche glaciali. Un’ultima citazione la merita una specie rarissima ed esclusiva

delle alte vette come la adonide ricurva (Adonis distorta) che con la sua straordinaria

fioritura è presente sulle pendici del Monte Corvo; questa montagna rappresenta un fetta

consistente del sua areale distributivo (Fonte archivio PNGSL).

3.1.2 Aspetti faunistici

Del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga risultano presenti oltre trecento

vertebrati, tra cui 22 specie di pesci, 14 specie di anfibi, 16 specie di rettili, 51 specie di

mammiferi ed oltre 200 specie di uccelli (Di Martino, 2001).

I Pesci sono presenti con 22 specie, 8 sono alloctone e 14 sono autoctone; tra quelle

alloctone è presente il coregone (Coregonus lavaretus), introdotto nel lago di Campotosto.

Tra le specie autoctone è presente la trota fario (Salmo macrostigma) e da notare è la

presenza della lasca (Chondrostoma genei) nel fiume Vomano e nel lago di Campotosto;

questa specie ha nel fiume il limite meridionale di diffusione (Osella & Di Marco).

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Tra gli Anfibi si sottolinea la presenza del geotritone italiano (Speleomantes italicus),

della salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), del tritone alpestre (Triturus

alpestris), dell’ululone a ventre giallo (Bombina pachipus) e della rana temporaria (Rana

temporaria).

Per i Rettili l’entità zoologica più interessante è rappresentata dalla vipera dell’Orsini

(Vipera ursinii), esempio di specie relitta.

Sono 134 le specie di Uccelli nidificanti nel parco e circa 74 quelle non nidificanti:

l’aquila reale (Aquila chrysaetos) presente con sei coppie nidificanti, il falco pellegrino

(Falco peregrinus), il lanario (Falco biarmicus), il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus)

ed il gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), la coturnice (Alectoris graeca), il

succiacapre (Caprimulgus europaeus) e il fringuello alpino (Montifringilla nivalis).

Particolarmente interessante è stato il recente ritorno del grifone (Gyps fulvus) reintrodotto

dal Parco Regionale del Sirente-Velino negli anni ’90 e la conseguente realizzazione nel

2007 presso Castel del Monte (AQ) di un apposito carnaio che consente agli avvoltoi di

usufruire di carcasse per tutto l’anno, realizzato con lo scopo di ampliare l’attuale

popolazione. Il lago di Campotosto costituisce un ambiente ideale a numerose specie, in

particolare anatre, come il moriglione (Aythya ferina), il fischione (Anas penelope),

l’alzavola (Anas crecca), la rara moretta tabaccata (Aythya nyroca); durante le migrazione

è accertata la presenza di alcune specie alquanto rare in Italia come il cormorano minore

(Phalacrocorax aristotelis), la volpoca (Tadorna tadorna), l’airone bianco maggiore

(Casmerodius albus) e numerose specie di limicoli.

Diversi sono i Mammiferi estinti nel parco come la lontra (Lutra lutra), l’orso

marsicano (Ursus arctos marsicanus) e la lince (Lynx lynx). Attualmente sono tornati e

numerosi il cinghiale, presente con densità notevolmente elevate, e il capriolo, grazie ad

opere di reintroduzione e alla naturale dispersione della specie. Negli anni ’90 è iniziato il

“Progetto Life Camoscio” con la reintroduzione di individui provenienti dal Parco

Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise che ha portato alla nascita di una popolazione che

conta oggi circa 300 esemplari sul massiccio del Gran Sasso. Il cervo (Cervus elaphus) sta

lentamente riprendendo possesso dell’intero territorio del parco, dopo la reintroduzione

avvenuta nel 2004. Tra le altre specie meritano una nota il lupo (Canis lupus) presente con

numerosi branchi, il gatto selvatico (Felis silvestris) il cui stato è tutt’ora sconosciuto,

l’arvicola delle nevi (Chionomys nivalis), il toporagno appenninico (Sorex samniticus) e

cinque specie appartenente al gruppo dei Chirotteri.

Numerose sono le specie di invertebrati nel territorio del parco; si riscontrano 21

endemismi, 4 nei Monti della Laga e 17 nel massiccio del Gran Sasso.

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CAPITOLO 4 OGGETTO DELLO STUDIO

4.1 Presenza storica ed attuale del cervo in Italia In Italia il cervo era distribuito lungo tutta la penisola sino al X-XI secolo e il suo

declino si fece drastico tra il XVIII secolo e l’inizio del XX. Scomparve in seguito dalla

maggior parte delle aree planiziali e collinari, rifugiandosi a quote maggiori, e risultò quasi

completamente estinto agli inizi del ‘900.

Figura 4.1 - Distribuzione del Cervo in Italia dal dopoguerra

(Pedrotti L. et al., 2000)

Popolazioni limitate rimanevano nel Gran Bosco della Mesola e presenze sporadiche,

probabilmente non stabili, sopravvivevano nell’alta Val Venosta (Glorenza e Val

Monastero) (Pedrotti et al., 2000). Agli inizi del rinascimento il cervo era presente dalle

foreste costiere ai boschi di alta quota. L’intero arco alpino aveva perso, nel secolo scorso,

gran parte del proprio patrimonio faunistico, e una delle poche popolazioni di cervo

sopravvissute trovava rifugio nel Vorarlberg austriaco; è da qui che la specie ha iniziato

una progressiva espansione, arrivando dapprima in Svizzera e poi, tramite l’Engandina in

Val Venosta, nel 1925 (Mattioli, 1992). La specie sopravvisse inoltre nel Tirolo

settentrionale e sul monte Nevoso, nell’attuale Slovenia (Pedrotti et al., 2000).

Con l’eccezione del nucleo della Mesola, i cervi presenti in Italia derivano o da

espansione naturale dai paesi confinanti o da reintroduzioni. I cervi provenienti dalla

Svizzera, dall’Austria e dalla Slovenia ricolonizzarono spontaneamente il versante italiano

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delle Alpi centrali ed orientali, tanto che nel 1975 erano presenti in Italia circa 4000

esemplari. In Appennino vennero effettuate numerose reintroduzioni con individui

provenienti dall’Europa centrale o alpina e più di recente dalla Francia.

L’estensione dell’areale è di circa 40.000 km2, pari a circa il 14% del territorio

nazionale (dati INFS). Quasi l’80% dei cervi in Italia è attualmente concentrato lungo

l’arco alpino. È individuabile un grande areale alpino che si estende da Cuneo ad Udine,

praticamente senza soluzione di continuità; nell’Appennino centro-settentrionale il cervo

occupa aree distinte. Le densità sono distanti da quelle potenziali in quasi tutti i settori

dell’areale occupato, soprattutto in Italia peninsulare (Pedrotti et al., 2000).

Le popolazioni presenti nell’area appenninica, tutte originate da reintroduzioni,

risultano quasi del tutto isolate tra loro ed occupano i seguenti settori geografici:

Foresta dell’Acquerino e Monte Calvi: territorio montano delle province di

Pistoia, Prato, Firenze e Bologna.

Il Casentino: lungo l’Appennino tosco-romagnolo dal Mugello orientale alla Val

Tiberina.

Il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo e le aree limitrofe.

Il massiccio montuoso della Maiella, ed in particolare la Valle dell’Orfento.

La zona del Velino-Sirente.

Parte della Garfagnana (Lucca) nei pressi del Parco dell’Orecchiella. Presenze

ormai consolidate, anche registrano anche in provincia di Modena e Reggio.

Le aree delle recenti reintroduzioni: i Sibillini, l’area del massiccio del Gran

Sasso, il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e il Pollino.

Il cervo manca invece in Sicilia. Alcuni nuclei di modeste dimensioni sono mantenuti in

grandi aree recintate come La Mandria (Torino) e Castelporziano (Roma) (S. Toso, 2002 ).

Il nucleo più interessante della penisola resta quello della Riserva Naturale Gran Bosco

della Mesola: negli anni ’30 contava 250-300 esemplari, ridotti ad appena una decina

nell’immediato dopoguerra (Boitani, Lovari, Vigna Taglianti, 2003).

L’origine del Cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus) sembrerebbe essere legata

all’azione dell’uomo; si ipotizza che la diffusione sull’isola possa essere avvenuta tramite

l’introduzione di individui provenienti dal Medio Oriente, probabilmente già nel tardo

Neolitico (circa 8000 anni fa) visto che mancano reperti fossili antecedenti. Il Cervo

scomparve dalla Sardegna settentrionale e centrale intorno al 1940 dove era distribuito

praticamente su tutti i massicci montuosi; in seguito si è verificato un frazionamento e una

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conseguente drastica riduzione dell’habitat (Monni & Murgia, 1991). Oggi la specie è

presente nella parte meridionale dell’isola con alcune popolazioni allo stato selvatico tra

loro ancora sostanzialmente disgiunte. Grazie anche al Corpo Forestale dello stato, con la

realizzazione di recinti di acclimatazione per ripopolamenti e reintroduzioni, è possibile la

sopravvivenza della specie sull’isola, e sta aumentando la sua presenza anche in nuove

aree, pur rimanendo classificato dall’IUCN come specie in pericolo. Tra il 1970 e il 1998

l’estensione dell’areale del cervo in Italia è quintuplicata e la consistenza decuplicata. Nel

1998 la popolazione complessiva era valutabile in circa 32.000 capi (Boitani, Lovari,

Vigna Taglianti, 2003). Attualmente la consistenza della specie sul territorio italiano è

stimabile in circa 57.000 capi così ripartiti: 14.000 Alpi centro-occidentali, 28.000 Alpi

centro orientali, 6.400 Appennino settentrionale, 2.500 Appennino Centrale, 6.000

Sardegna (Carnevali et al., 2006).

Il cervo viene regolarmente cacciato in molte province alpine secondo piani di

abbattimento selettivo. Nell’anno 2004 furono abbattuti 5552 cervi (71 % del carniere)

nelle Alpi orientali, 1827 (23 % del carniere) nelle Alpi centro-occidentali e 391 cervi (6 %

del carniere) in Toscana e in Emilia Romagna (Carnevali et al., 2006). Le altre popolazioni

appenniniche e la popolazione sarda non sono sottoposte a prelievo venatorio (Toso, 2002).

Figura 4.2 - Presenza del cervo sul Figura 4.3 - Distribuzione potenziale

territorio italiano (2005) con l'indicazione e distribuzione reale del cervo in Italia (INFS). delle reintroduzioni più recenti (INFS).

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4.2 Reintroduzione nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

4.2.1 Dati sulla reintroduzione La reintroduzione del cervo nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga è

iniziata il 28 febbraio 2004, in località Piano Vomano, dopo 200 anni dalla sua scomparsa.

La prima liberazione dei cervi è avvenuta secondo quanto auspicato nello studio di

fattibilità della reintroduzione (Calò, 2004) e cioè, rilasciando una ventina di esemplari,

possibilmente tutti o in buona parte muniti di radio-collari, strutturati come multiplo di un

“nucleo base” composto da 1 maschio di uno-due anni (perfettamente in grado di

riprodursi), 1 femmina anziana (la cui presenza dovrebbe aiutare a mantenere la coesione

dei branchi limitando la naturale dispersione iniziale) e 3 femmine giovani.

La scelta sulla provenienza ed origine dei cervi da immettere nel Parco è stata

estremamente difficoltosa in quanto non si hanno conoscenze precise sulla posizione

sistematica delle originarie popolazioni appenniniche del cervo. Quindi, considerata

l'origine e la composizione delle attuali popolazioni di cervi nell'Appennino, la scelta sulla

provenienza dei capi da immettere (escludendo di utilizzare cervi indigeni dalla Mesola), si

è basata sulla qualità e sulla convenienza della fornitura dei capi (Calò, 2004).

La sottospecie Cervus elaphus hippelaphus, originaria dell’arco Appeninico, rimasta

attualmente solo nel bosco della Mesola, con un solo nucleo indigeno di 60 individui, non

può essere utilizzata per nessuna reintroduzione a causa dei problemi sanitari legati alla

presenza di parassiti ed alle ridotte dimensioni della popolazione stessa, che non

sosterrebbe il prelievo dei capi necessari per una reintroduzione (Riganelli, 2004).

La popolazione di cervi del Parco Nazionale d’Abruzzo deriva da ripetute immissioni,

effettuate a partire dal 1971 fino al 1976, con animali provenienti dalla Maremma del

Lazio, dallo zoo di Vienna, dal Parco Nazionale Triglav in Slovenia e dal Parco Nazionale

di Baviera in Germania, con corredi cromosomici alloctoni (Tassi, 1976); perciò,

nonostante questi individui vivano in condizioni decisamente simili a quelle del Gran

Sasso-Laga non sono stati utilizzati come popolazione sorgente. Peraltro, fin dal 1840

nell'Appennino settentrionale, così come in altre parti dell'Appennino centrale, furono

immessi cervi di origine centro-europea (Boema) ed ancora dal 1950 in poi capi di origine

alpina, progenitori delle attuali popolazioni della specie nell'Appennino Tosco-Emiliano-

Romagnolo (Calò, 2004; Mattioli, 1992).

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Tabella 4.1- Cervi reintrodotti nell’anno 2004.

Marche

auricolari Sex Età

Data di

cattura Località Nomi Frequenze

Peso

(Kg)

M10A rossa M 3 24/02/2004 Carinzia

M20 rossa M 3 24/02/2004 Carinzia

M 40 rossa M 1 23/02/2004 Carinzia

M 50 rossa M 1 23/02/2004 Carinzia

M 60 rossa M 1 23/02/2004 Carinzia

M 70 rossa M 1 24/02/2004 Carinzia

M 90 rossa M 1 24/02/2004 Carinzia

F10 A gialla F 1 26/02/2004 Carinzia

F20 A gialla F +4 24/02/2004 Carinzia

F40 A gialla F 2 24/02/2004 Carinzia

F50 A gialla F 1 26/02/2004 Carinzia

F60 A gialla F 1* 26/02/2004 Carinzia †

F70 A gialla F 1* 26/02/2004 Carinzia

F90 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia cesa 150.001

F100 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia tanta 150.181

F110 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia † ossa 150.031

F120 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia muta 150.209

F140 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia casta 150.148

F150 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia † due 150.120

F160 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia mama 150.091

F170 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia tosta 150.059

I 21 cervi rilasciati nell’anno 2004, provengono dalla Carinzia (Austria). Il complesso

forestale del loro areale di origine è di ca. 70.000 ha, costituito da boschi misti a

prevalenza di abete rosso, faggio e abete bianco. Il territorio, compreso tra i 760 e i 2500 m

s.l.m., è caratterizzato per il 35 % da aree di pascolo, per il 15 % da zone rocciose e per la

restante parte da foresta; l’area non è protetta, vi si praticata regolarmente l’attività

venatoria ed è soggetta ad una discreta pressione turistica (Riganelli, 2004). Su tutto il

territorio di provenienza sono totalmente assenti il lupo, greggi con cani e cani vaganti. La

scelta è ricaduta su questi cervi poiché quelli della Carinzia sono gli unici a non aver subito

incroci con i cervi della Gran Bretagna o del centro Europa o addirittura con quelli

americani e asiatici (Riganelli, 2004).

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Tabella 4.2 - Cervi reintrodotti nell’anno 2005

Marche

auricolari Sesso Età

Data di

cattura Località Nomi Frequenze Peso Kg

F1 celeste F 1 29/04/2005 R.Montefalcone berta 151.035 70

M+ bianca M 1 29/04/2005 R..Montefalcone † umbo 151.135 70

Tabella 4.3 - Cervi reintrodotti nell’anno 2006.

Marche auricolari Sex Età

Data di

cattura Località Nomi

Frequen

z

Pes

Kg

n.n. M 6 14/03/2006

R.N.S.

Montefalcone (PI) mizio 151.446 240

n.n. F 5 14/03/2006

R.N.S

Montefalcone 110

arancio sx M vitello 21/02/2006 Forte - Tarvisio

bianco sx M fusone 23/02/2006 M. Palla - Tarvisio

giallo sx M adulto 23/02/2006 Pittino - Tarvisio

azzurro sx M vitello 23/02/2006 Pittino - Tarvisio

dx bianco - bianco sx M vitello 23/02/2006 Ton - Tarvisio

dx bianco -

arancio/nero sx M vitello 01/03/2006 Pittino - Tarvisio

dx bianco - arancio sx M vitello 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio

dx bianco - azzurro sx M vitello 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio

dx arancio - bianco sx M fusone 24/02/2006 M. Palla - Tarvisio

dx arancio - giallo sx M vitello 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio

dx arancio - arancio sx M vitello 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio

dx bianco -

nero/azzurro sx M fusone 01/03/2006 Pittino - Tarvisio

dx bianco - giallo sx M adulto 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio solo 151.249

dx arancio - azzurro M adulto 01/03/2006 Piussi - Tarvisio † con 151.269

dx giallo - azzurro sx F adulta 24/02/2006 M. Palla - Tarvisio † nico 151.305

dx azzurro - azzurro

sx F adulta 04/03/2006 Palder - Tarvisio sara 151.349

dx bianco F adulta 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio gina 151.405

dx giallo - giallo sx F adulta 23/02/2006 Ton - Tarvisio angi 151.428

dx azzurro F adulta 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio † inga 151.483

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dx azzurro - giallo sx F adulta 03/03/2006 Palder - Tarvisio chiara 151.530

dx giallo F adulta 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio rina 151.546

dx arancio F adulta 23/02/2006 Pittino - Tarvisio piera 151.565

dx giallo - bianco sx F adulta 23/02/2006 Ton - Tarvisio paola 151.585

dx giallo - arancio sx F giovenca 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio

dx azzurro - bianco sx F giovenca 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio

verde 4 dx e sx F

adulta

>2 12/10/2006 Pistoia-Sambuca speranza 151.605 108

verde 3 dx e sx F

adulta

>2 05/10/2006 Pistoia-Sambuca primaver 151.305 90

verde 2 dx e sx F

adulta

>2 01/10/2006 Pistoia-Montale † ivana 151.483 101

arancio 2 dx e sx M 16-18 m 08/10/2006 Pistoia-Sambuca tiratardi 101

arancio 1 dx e sx M 3-4 anni 07/10/2006 Pistoia-Sambuca lunapien 132

arancio 3 dx e sx M 16-18 m 10/10/2006 Pistoia 4 padelle 109

verde 5 dx e sx F

adulta

>2 27/11/2006

Pistoia Castel di

Casio angela 151.685 104

verde 6 dx e sx F

adulta

>2 28/11/2006

Pistoia

Camugnano nebbia 121

verde 7 dx e sx F

adulta

>2 28/11/2006

Pistoia Castel di

Casio circe 123

verde 8 dx e sx M

adulta

>2 30/11/2006

Pistoia

Camugnano lorenza 110

arancio 4 dx e sx M adulto 5 19/11/2006 Pistoia-Sambuca grattate 151.269 142

arancio 5 dx e sx M adulto 5 21/11/2006

Pistoia Castel di

Casio agonia 151.285 180

Tabella 4.4 - Cervi reintrodotti nell’anno 2007

Marche auricolari Sex Età

Data di

cattura Località Nomi Frequenze

Peso

Kg

fuxia 1 dx e sx F 4-5 anni 22/02/2007 Foreste Casentinesi luxuria 106

Per quanto riguarda i successivi anni, 2005-2006-2007, considerata l'origine e la

composizione delle attuali popolazioni di cervi nell'Appennino, la scelta sulla provenienza

dei capi da immettere si è basata sulla qualità e sulla convenienza della fornitura dei capi. I

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cervi immessi provengono dalla libertà, sono stati correttamente catturati ed

adeguatamente certificati.

4.2.2 Obiettivi della reintroduzione

Le motivazioni dell'intervento di ripopolamento del cervo nel Parco Nazionale del Gran

Sasso e Monti della Laga sono essenzialmente le seguenti (Calò, 2004):

1. Ricostituzione della zoocenosi originaria.

Reinserimento/rafforzamento della presenza del cervo come passo di "restauro"

(consolidamento) della zoocenosi del territorio del Gran Sasso e dei Monti della

Laga, ancora segnata dalla limitata presenza (diffusione e consistenza) degli

erbivori selvatici. Si inquadra nei compiti di ripristino e tutela della funzionalità

della biocenosi, propri del Parco.

2. Incremento della disponibilità trofica per specie predatrici e necrofaghe.

L'intervento di ripopolamento del cervo è fondamentale per gli obiettivi di

conservazione delle più importanti specie carnivore già presenti nel Parco: per

il lupo (Canis lupus ) e per l'orso bruno (Ursus arctos marsicanus) (Genovesi &

Duprè, 2000; Di Martino, 2001), ai quali vengono offerte maggiori risorse

trofiche, anche a vantaggio della loro possibile minor incidenza (necessità)

predatoria sul patrimonio zootecnico dell'area. L'incremento di disponibilità

trofiche è inoltre un aspetto positivo per specie tipicamente necrofaghe, in

particolare per il corvo imperiale (Corvus corax) già segnalato presente (Di

Martino, 2001) e per il grifone (Gyps fulvus) occasionalmente proveniente dal

vicino comprensorio del Velino-Sirente e per il quale è stato recentemente

realizzato un carnaio per incentivare la sua presenza nel parco.

3. Valorizzazione didattico-turistica del territorio

La presenza del cervo, con le possibilità della sua percezione ed osservazione, è

di per se motivo di grande suggestione per i visitatori del Parco. Lo stesso

intervento di ripopolamento della specie, presenta un elevato contenuto

educativo per l'opinione pubblica ed i visitatori, con la dimostrazione di

impegno di ricostituzione degli equilibri naturali da parte dell'uomo.

4. Definizione sperimentale del ripopolamento e della gestione del cervo.

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La immissione monitorata di cervi nel Parco può rappresentare una occasione di

affinamento sperimentale della stessa azione di ripopolamento ed eventuale

gestione della specie.

Dal punto di vista tecnico-operativo, sono possibili verifiche dirette sugli aspetti

spaziali e di limitazione del cervo nel territorio del Parco, con risultati di

conoscenza ed esperienza utili alla miglior puntuale definizione degli interventi

di ripopolamento e gestione del cervide.

Lo stesso controllo degli animali immessi, monitorati nel tempo e nello spazio

(aree di insediamento), produce informazioni immediate per eventuali

provvedimenti necessari.

5. Connessione tra le popolazioni già esistenti.

La reintroduzione nel Parco Nazionale del Gran Sasso, accompagnata da quella

del Parco nazionale dei Sibillini e dalla presenza di popolazioni con un discreto

numero di individui nella Riserva Naturale della Duchessa e nel Parco

Regionale Sirente-Velino, può contribuire alla connessione tra le popolazioni di

cervo dell’Appennino Settentrionale e quelle dell’Appennino Centro-

Meridionale. Quest’ultime sono anch’esse frutto di reintroduzioni avvenute

negli ultimi decenni. Per le popolazioni dell’Appennino Tosco-Emiliano, sono

ipotizzabili in tempi relativamente veloci, delle dinamiche di dispersione che

consentano il movimento degli individui verso le popolazioni neointrodotte in

Appennino centrale.

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Figura 3.4 - Importanza delle reintroduzioni nell’Appennino centrale

(Carnevali et al., 2006 mod.)

4.2.3 Osservazioni generali

La presenza storica del cervo nel territorio del Gran Sasso e dei Monti della Laga è

testimoniata oltre che da considerazioni biogeografiche, anche da toponimi (ad es. Colle

Cervino, Cervaro nel comprensorio della Laga), citazioni in documenti storici relativi al

Teramano (1700) e all’Aquilano (Calò, 2004) e reperti oggettivi (Tassi, 1974).

Le cause della sua estinzione sono state di origine antropica, riconducibili al diffuso

disboscamento, alla competizione della pastorizia ed alla caccia, come in gran parte

dell'Appennino (Mattioli, 1992; Pedrotti et al., 2001).

Il cervo (Cervus elaphus) è stato probabilmente presente, ancora indigeno, nel territorio

dell'attuale Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga fino al XIX secolo (Tassi,

1974; Mattioli, 1992; Pedrotti et al., 2001; Di Martino, 2001). Il cervo non è mai stato

reintrodotto nel territorio del Gran Sasso e dei Monti della Laga e vi è giunto naturalmente

da zone relativamente vicine, probabilmente in particolare dall’area della Majella. Solo 4

esemplari (2 maschi e 2 femmine) di origine alpina (Tarvisio) furono liberati nel 1987 a

cura del Coordinamento Provinciale delle Foreste di Ascoli Piceno nell’area della Laga

marchigiana nella Foresta Demaniale Regionale di “S. Gerbone” tuttavia senza risultati

(Calò, 2004). La sua reintroduzione locale è stata già auspicata in passato (Tassi, 1974).

Appennino centrale

Sibillini

Appennino settentrionale Gran Sasso

Laga

R.N. Duchessa P.R. Sirente Velino

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Oggi, la specie è ricomparsa nel territorio del Parco in seguito alle reintroduzioni effettuate

nel territorio del Gran Sasso e negli anni precedenti in aree vicine (Parco Nazionale

d’Abruzzo, Parco Nazionale della Majella) con esemplari di provenienza alpina e centro-

europea (Pedrotti et al., 2001; Di Martino, 2001; Mattioli 1992).

Lo studio di fattibilità della reintroduzione del Cervo nel P.N.G.S.L. ha permesso di

individuare due aree in cui era auspicabile il rilascio di animali in natura e queste sono i

Monti della Laga, alle pendici di Monte Gorzano e il Gran Sasso, nella Val Chiarino, per

un totale di 36.000 ettari. Questa porzione del parco è stata reputata fornire la base

territoriale minima, Area Minima Vitale (AMV), necessaria per la reintroduzione/presenza

della specie. L'individuazione delle aree per il ripopolamento del cervo nel Parco è stata

formulata seguendo i seguenti criteri (Calò, 2004):

maggior idoneità ambientale per la specie in continuità territoriale nel Parco;

assenza o ridotta presenza spontanea della specie in possibile o già probabile

continuità di popolamento con zone di insediamento/”sorgenza”;

maggior compatibilità ovvero minor criticità prevedibile (sensibilità agro-pascoliva

o vegetazionale, incidenza randagismo canino) per la presenza della specie;

minor eventualità competitiva con altre specie (camoscio appenninico e capriolo);

adeguatezza logistica (raggiungibilità, vicinanza sito di eventuale ambientamento o

“trattenimento” dei capi).

È stata valutata la problematica della coesistenza del cervo nel Parco con altri ungulati

selvatici, che riguarda essenzialmente il camoscio appenninico, del quale è in sviluppo la

popolazione a seguito delle operazioni di reintroduzione ed il capriolo, in fase di

espansione e reinsediamento. La presenza del Parco ha permesso la rimozione delle cause

storiche dell’estinzione del cervo o quantomeno il loro controllo o la loro riduzione. Nel

territorio, l'attività forestale è controllata ed indirizzata verso principi naturalistici; la

pastorizia, comunque contrattasi, viene riqualificata su presupposti di sostenibilità; la

caccia è vietata a norma di legge (Calò, 2004).

Rimangono comunque diversi i possibili fattori condizionanti lo sviluppo della

popolazione di cervo nel territorio del Parco e riassunti di seguito:

I. randagismo canino: è da ritenersi abbastanza diffuso e deve essere considerato il

principale fattore limitante per lo sviluppo della popolazione di cervo, provocando

disturbo e interagendo direttamente tramite predazione.

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II. bracconaggio: è presente nel territorio del Parco come in molte altre realtà italiane

e non. Diverse aree si presentano maggiormente interessate da questo fenomeno,

con diverse tipologie di reato, dall’uso dei lacci alla caccia diretta con fucile.

III. predazione naturale: la possibile predazione naturale sul cervo è da attribuire

soprattutto alla presenza del lupo nel Parco la quale potrà riguardare soprattutto i

piccoli cervi dell'anno e comunque rappresenta una dinamica naturale.

IV. viabilità: è un notevole fattore di incidenza, con possibilità di investimenti della

specie lungo strade di maggior scorrimento (S.S. 80) e quindi una rilevante

interferenza con la sua dinamica spaziale (Calò, 2004).

V. disturbo antropico: presenze antropiche diffuse e consistenti, in zone topiche e

periodi critici del cervo, possono rappresentare un fattore di interferenza, in

particolare nel periodo autunnale ed invernale, quando escursionisti e cercatori di

funghi, sciatori fuori pista e fondisti, possono arrecare disturbo nelle aree di

riproduzione e nei quartieri di svernamento del cervo, creando interferenze con le

sue dinamiche spaziali/alimentari nel territorio (Calò, 2004).

Gli interventi per prevenire o ridurre l'eventuale incidenza sulla specie sono stati: un

adeguato risarcimento dei danni arrecati dal cervo; opere di prevenzione ai danni agro-

forestali; prevenzione stradale con l’utilizzo di opportuna segnaletica o accorgimenti

dissuasivi all’attraversamento; azioni educativo-promozionali sulla specie, con l'obiettivo

di comunicare, sensibilizzare e coinvolgere il pubblico; interventi di miglioramento

ambientale; adeguatezza di normative e forme di gestione faunistica nelle zone limitrofe al

Parco; procedure di informazione e/o coinvolgimento degli Enti interessati; controllo sulla

provenienza ed origine dei capi da immettere e sulla idoneità sanitaria (Calò, 2004)

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CAPITOLO 5 MATERIALI E METODI

5.1 Il radiotracking

La tecnica nasce in Nord America all’inizio degli anni ’60, ed è utilizzata per studi di

fisiologia, comportamento e demografia della fauna selvatica (Kenward, 2001). Il

radiotracking fornisce informazioni sulla distribuzione degli individui, sui loro movimenti,

sulle interazioni e sulla dispersione (Garrot et al., 1987; McCulloch & Cain, 1989). Con

l’ausilio del radiotracking è possibile analizzare inoltre la selezione dell’habitat in funzione

della distribuzione delle risorse trofiche (White & Garrot, 1986), o di effettuare stime della

densità di popolazione (White & Garrot, 1990).

Un primo passo determinante nel perfezionamento della tecnica fu l’utilizzo, negli anni

sessanta, di segnali pulsanti brevi al posto del segnale continuo; questo permise ai primi

dispositivi, montati su diverse specie, di trasmettere per un periodo più lungo. Nel corso

dei decenni successivi il radiotracking ha subito notevoli miglioramenti, ed è stato

utilizzato in un numero sempre crescente di studi. Dagli anni ’90, l’ingresso del Global

Positioning System (GPS), ha permesso di usufruire della precisione dei satelliti con

conseguente semplificazione e aumento dell’affidabilità del metodo.

Oggi, anche dopo la realizzazione di trasmettitori in grado di dare la posizione dei

soggetti collegandosi ai satelliti, la tecnologia di cui più frequentemente si avvale il

radiotracking si basa sulla propagazione di un segnale radio di breve durata (nell’ordine di

pochi millisecondi), emesso ad intermittenza da un trasmettitore applicato ad un animale.

Tale segnale viene captato a distanza da un’antenna direzionale collegata ad una radio

ricevente, che assolve il compito di demodulare il segnale, renderlo udibile al rilevatore e

registrabile in termini quantitativi, in base a misure dell’intensità del segnale ricevuto

(Pedrotti et al., 1995). L’attrezzatura di base consiste in una stazione trasmittente costituita

dal radiocollare applicato all’animale ed una ricevente in possesso del rilevatore,

rappresentata da un’antenna ed una radio.

Stazione trasmittente

Nel caso degli emettitori in uso per il radiotracking, la stazione trasmittente è costituita

da un transistor, che utilizza l’oscillazione prodotta da un cristallo (Cochran & Lord,

1963). Il cristallo utilizzato è il quarzo che viene inserito nell’emettitore; questo trasforma

la corrente elettrica continua, fornita dalla pila, in corrente oscillante con una determinata

frequenza, propria del cristallo utilizzato (Pedrotti et al., 1995). L’oscillazione ottenuta

viene resa pulsante da un sistema accoppiato (resistenza e condensatore), amplificata da un

transistor ed emessa dall’antenna, generando cosi un campo elettromagnetico che si

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propaga nel mezzo fisico in cui l’antenna è inserita, sia esso l’aria o l’acqua (Pedrotti et al.,

1995).

La necessità di una batteria per garantire un periodo lungo di oscillazione, fa sì che la

sua scelta rappresenti un capitolo importante nella costruzione di un radiocollare, in

quando la sua durata aumenta con l’aumento del peso/volume, ma un eccessivo peso

influisce sulla mobilità dell’animale (non dovrebbe superare il 6% del peso corporeo nei

mammiferi (Pedrotti et al., 1995)). Un buon compromesso è rappresentato dalle pile al

litio, le quali, nonostante siano più voluminose delle pile a mercurio o all’ossido d’argento

assicurano una durata ben maggiore. Gli emettitori vengono di frequente dotati di

particolari sensori grazie ai quali si ottengono informazioni sull’attività del soggetto: sono

formati da un microinterruttore contenente una goccia di mercurio che, muovendosi in base

alla posizione ed ai movimenti del soggetto, apre o chiude un circuito facendo così

aumentare o diminuire la frequenza di emissione del segnale (Mari & Lovari, 1999).

Questi sensori mostrano la posizione assunta dalla animale o semplicemente se questo è in

vita. I componenti vengono integrati in un involucro ermetico (tag), costituito da materiale

plastico o vetroresina da cui fuoriesce un antenna.

La relazione che lega la frequenza di oscillazione ( ) e la lunghezza d’onda

elettromagnetica ( ) emessa da una sorgente radio è definita dalla formula:

c

dove c è la velocità della luce, misurata in m/s, rappresenta la lunghezza d’onda ed è

espressa in m, e , la frequenza di oscillazione, in Hertz.

La scelta della frequenza di trasmissione rappresenta un aspetto di notevole importanza:

ogni ostacolo presente sul territorio di studio può provocare un attenuazione del segnale e

generare una “zona d’ombra”, cioè una attenuazione della potenza del segnale. Questo si

verifica quando un ostacolo si presenta di taglia superiore alla lunghezza d’onda. Le

frequenze generalmente scelte sono quelle comprese tra i 148 ed i 172 Mhz (lunghezze tra

i 2,02 e i 1,174 metri). Segnali trasmessi a frequenze più basse, che presentano lunghezze

d’onda minori, quindi più piccole della maggior parte degli ostacoli, sono caratterizzati da

scarsa direzionalità e tendono a propagarsi meglio nelle zone a fitta vegetazione e

nell’acqua; inoltre necessitano di antenne emettitrici di dimensioni non sempre compatibili

con quelle dell’animale (Pedrotti et al., 1995). Nella scelta delle frequenze si deve

comunque tener conto delle caratteristiche geomorfologiche in cui il lavoro viene svolto.

Stazione ricevente

La stazione ricevente è composta da una radio e da una antenna collegati da un cavo

coassiale. La radio è caratterizzata da un intervallo di frequenze (range utile di ascolto) e

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all’interno di questo range, agendo su un comando di sintonia fine, è possibile scegliere la

sintonia richiesta (Pedrotti et al., 1995). Alcuni ricevitori sono dotati di due dispositivi di

comando separati: un primo per la regolazione del volume, un secondo per la regolazione

del guadagno dell’amplificatore che riceve il segnale dall’antenna. Mentre la regolazione

del volume agisce sull’intensità del segnale, il guadagno (gain) agisce in modo da regolare

un fattore moltiplicativo del segnale in rapporto al rumore di fondo, aumentando la

grandezza al numeratore nel rapporto che definisce il SINAD (insieme delle onde

elettromagnetiche che raggiungono il demodulatore) (Pedrotti et al., 1995). Utile è la

presenza di un amperometro che misura l’intensità del segnale e permette di individuare

con più oggettività l’effettiva direzione.

Le antenne sono lo strumento più coinvolto nella determinazione della direzione del

segnale. I diversi tipi di antenna più frequentemente utilizzati sono quattro: dipolo a

singolo elemento, antenna ad H, “Yagi “ a tre o quattro elementi ed antenna a loop; si

differenziano per tre caratteristiche operative principali (Pedrotti et al., 1995):

1. direttività;

2. il guadagno (gain): misura espressa in decibel, che esprime quale è il valore

dell’intervallo di ricezione di una data antenna rispetto ad un’antenna dipolo a

singolo elemento, usata come riferimento;

3. front to back ratio (rapporto anteriore/posteriore): è il rapporto esistente tra

l’intensità del segnale ricevuto in direzione della sorgente e quello ricevuto nella

direzione opposta ad essa. Più questo rapporto è elevato, più è facile capire quale

sia la reale direzione di provenienza del segnale, annullando così in parte gli

effetti dei possibili “rimbalzi”, dovuti alla conformazione del territorio.

Esistono 4 modelli di antenna utilizzati per il radiotracking e le loro caratteristiche sono

sintetizzate in tabella 5.1:

Tabella 5.1 - Peculiarità dei modelli di antenna (Pedrotti et al., 1995, mod)

Modello antenna Gain in dB Direttività Front/Back ratio

Dipolo 3 Nulla Nullo

Yagi 7 Accentuata Buono

Antenna ad H 6 Buona Nullo

Antenna a loop 3 Accettabile Nullo

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L’antenna Yagi è quella maggiormente utilizzata per il radiotracking in Italia,

caratterizzata da un ottimo rapporto Front/Back e da un alta Gain. Il numero di elementi

caratterizza le Yagi; 4 è il numero compatibile per le esigenze di campo. Gli elementi più

corti, direzionali, incanalano il segnale e lo fanno confluire verso il cavo coassiale

collegato alla radio ricevente. L’elemento posto dietro al ricevente è il riflettore, il quale

svolge la funzione di riflettere in concordanza di fase il segnale radio verso il ricevente,

schermandola anche dai tipi rimbalzi.

5.2 Attrezzatura utilizzata

Per il presente lavoro è stata utilizzata una radio ricevente del tipo Executive TRX 2000,

importata in Italia dalla Ziboni Ornitecnica s.r.l., le cui principali caratteristiche tecniche

sono:

una banda di ricezione da 150.000 a 151.999 Mhz;

un amperometro per individuare la direzione;

un led rosso lampeggiante con la stessa funzione dell’amperometro;

un attenuatore di segnale, utile per individuazione del trasmettitore in prossimità di

questo;

un altoparlante per captare il segnale acustico.

Per l’individuazione della direzione da cui proviene il segnale ci si è avvalsi di

un’antenna Yagi a quattro elementi in alluminio, collegata alla radio tramite un cavo

coassiale. Questo modello Yagi, basato sul funzionamento del dipolo in grado di ricevere i

segnali in ogni direzione, è un’antenna direzionale che riceve il segnale in maniera più

nitida e intensa nella direzione in cui è localizzata la stazione trasmittente (radiocollare).

Per l’attività di campo sono stati, inoltre, utilizzati:

una bussola, per rilevare l’esatta direzione verso cui era orientata l’antenna

(espressa in gradi di divergenza dal Nord magnetico/geografico);

un binocolo Nikon con risoluzione 8x42;

carte turistico-escursionistiche con scala 1:50.000 del Parco Nazionale Gran Sasso-

Laga;

stampe di Carte IGM con scala 1:25.000 del territorio del parco;

automezzo proprio, nella maggior parte delle uscite un fuoristrada 4x4;

scheda per il rilevamento dei dati (Figura 5.1).

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Tutti i cervi reintrodotti dal 2004 al 2007 sono stati, al momento della cattura, marcati

con delle marche auricolari, di diverso colore, in base al sesso, per l’identificazione in caso

di avvistamento. Questo ci ha permesso di distinguere con facilità, al momento

dell’avvistamento, i cervi nati nel territorio del parco da quelli reintrodotti.

Degli animali reintrodotti nel corso del triennio 2004-2007, 28 sono stati dotati di

radiocollare, con emettitori costituiti da:

la radio trasmittente;

l’antenna;

un collare di materiale resistente (plastica) su cui fissare radio e antenna.

Gli emettitori utilizzati sono stati forniti da due diverse ditte produttrici e presentano le

seguenti caratteristiche tecniche:

1. Televilt: batterie garantite per 5 anni (vita massima), con un raggio massimo di

ricezione di 10 km.

Questi collari sono dotati di sensori di attività:

60 pulsazioni al minuto = ATTIVO

40 pulsazioni al minuto = INATTIVO

30 pulsazioni al minuto = MORTO

Il segnale di mortalità entra in funzione dopo 2 ore e mezzo di assoluta inattività del

collare. Due cervi tra quelli seguiti sono stati dotati di questo tipo di collare

(Frequenze: 150.059 e 151.035)

2. Ziboni: batterie garantite per 3 anni (vita massima), con un raggio minimo di

ricezione di 6 km e massimo di 10 km.

Questi collari sono dotati di sensori di attività:

90 pulsazioni al minuto = POSIZIONE DELLA TESTA RECLINATA VERSO IL

BASSO-ALIMENTAZIONE

70 pulsazioni al minuto = POSIZIONE DELLA TESTA ERETTA

135/150 pulsazioni al minuto = MORTO

Questi emettitori sono stati utilizzati per gli animali rilasciati negli anni 2006 e 2007

(Frequenze: 151.446, 151.349, 151.249, 151.428, 151.530, 151.546, 151.565, 151.585).

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Tabella 5.2- Cervi oggetto dello studio.

Marche auricolari Sesso Nome Frequenza Sito e anno

di rilascio

F170 gialla F Tosta 150.059 Crognaleto 2004

F1 celeste F Berta 151.035 Crognaleto 2005

n.n. M Mizio 151.446 Crognaleto 2006

Dx bianca - Sx gialla M Solo 151.249 Val Chiarino 2006

Dx-sx azzurra F Sara 151.349 Val Chiarino 2006

Dx-sx gialla F Angi 151.428 Val Chiarino 2006

Dx azzurra - Sx gialla F Chiara 151.530 Val Chiarino 2006

Dx gialla F Rina 151.546 Val Chiarino 2006

Dx arancio F Piera 151.565 Val Chiarino 2006

Dx gialla - Sx bianca F Paola 151.585 Val Chiarino 2006

Dx-sx verde F Primavera 151.305 Voltigno 2006

Figura 5.2 – Tosta con il piccolo dell’anno.

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5.3 Monitoraggio Il mio lavoro è iniziato il 17 gennaio 2007 ed è terminato il 30 dicembre 2007.

Il monitoraggio attraverso il radiotracking ha riguardato un gruppo di 11 cervi muniti di

radiocollare (Tabella 5.2) su un totale di 15 cervi con radiocollare effettivamente

funzionante al momento dell’inizio dello studio (gennaio 2007).

I radiocollari non più funzionanti sono stati in parte recuperati mentre per altri non si è

potuto procedere al recupero in quanto la scomparsa repentina del segnale non ha permesso

questa operazione. I collari recuperati sono stati trovati in prossimità degli animali morti o

in alcuni casi sono stati ritrovati senza l’animale. La perdita è imputabile a rotture della

cintura dei collari per cause naturali, ad una manomissione antropica riconducibile ad

attività di bracconaggio o al mancato funzionamento della trasmittente.

L’attività consisteva nel monitorare i cervi con collare localizzando la loro posizione sul

territorio (fix) e riportando l’attività dell’animale nel corso della giornata. Per far questo è

stata utilizzata la tecnica della “triangolazione” che consiste nel localizzare la direzione

dell’animale da due o tre postazioni di ascolto, nel minor tempo possibile o meglio,

contemporaneamente (Pedrotti et

al., 1995). Questa direzione è

stata valutata attraverso una

bussola, come angolo di

divergenza dal Nord magnetico,

e riportata su carta. Le rette

disegnate si incontrano cosi in un

punto che rappresenta la

localizzazione del cervo (fix). La

localizzazione rimane comunque

una stima della reale posizione

dell’animale e questa stima,

specie in ambiente montano

come quello dell’area di studio

di questo lavoro, può presentare

notevoli discrepanze dalla realtà.

Non è stata impiegata l’altra

tecnica per la localizzazione, “la

cerca”, che consiste

nell’indirizzare il rilevatore

verso la direzione di provenienza

Figura 5.3 – Tralicci dell’alta tensione presenti nell’area.

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del segnale con lo scopo finale di avvistare l’animale. Questo perché il presente lavoro non

prevedeva la raccolta di dati ausiliari sugli animali, utili per informazioni sulla dinamica

della popolazione, e perché il suo utilizzo non è indicato in ambienti con scarsa

contattabilità come quello montano. L’unico caso in cui è stato utile impiegare la cerca, è

stato quando, dopo aver ricevuto il segnale di mortalità di un cervo, è stato necessario

recuperare il radiocollare. La determinazione della direzione del segnale, con l’ausilio

dell’antenna Yagi a 4 elementi, è stata ottenuta prevalentemente con il Metodo del Segnale

più Forte e solo in talune occasioni con il Metodo della Bisettrice. Con il primo metodo il

rilevatore ruota l’antenna in cerca della direzione in cui il segnale ha maggiori intensità;

con il secondo il rilevatore ruota l’antenna finché non sente più il segnale. Segnato questo

margine, ripete l’operazione nel verso opposto; il segnale avrà la direzione della bisettrice

dell’angolo così ottenuto (Pedrotti et al., 1995). Per ottenere un angolo stretto si può

operare sul gain dell’antenna diminuendolo. Quando l’antenna è orientata lungo la

direzione di provenienza del segnale, la ricevente emette il “bip”.

Durante l’ascolto l’antenna veniva mantenuta con gli elementi orizzontali (paralleli al

suolo) o verticali. Questo permette di controllare i due piani di polarizzazione del segnale

(Kenward, 1987). In aree aperte il segnale ottenuto tenendo gli elementi orizzontali ha un

utilizzo più diffuso perché il suolo riflette di più i segnali nel piano di polarizzazione

orizzontale.

In ambienti boscati è invece preferibile usare l’antenna con gli elementi verticali perché

gli alberi producono molti più riflessi e diffrazioni nel piano verticale di polarizzazione. I

rilevamenti determinati dal radiotracking rappresentano stime più o meno accurate: la

presenza sul territorio di elementi morfologicamente rilevanti (dorsali, creste, canali, ecc.),

di condizioni meteorologiche avverse (nebbia, vento, strati riflettenti di nubi, precipitazioni

varie) e di campi magnetici locali, possono provocare zone d’ombra e riflessi, che alterano

l’esatta collocazione del fix.

Nelle rilevazioni è dunque possibile incappare in due genere di errori:

1. l’errore di sistema (system error) che è l’angolo tra la direzione della

localizzazione ottenuta con il sistema di radiolocalizzazione e la direzione vera

dell’animale. È causato da movimenti dell’antenna (dovuti ad esempio al vento)

e, in zone accidentate, da riflessioni del segnale (Hupp & Ratti, 1983).

2. Gli errori di lettura (reading errors) che si verificano nelle imprecisioni di

lettura come ad esempio l’approssimazione al mezzo grado nella lettura

dell’angolo in bussola; questi errori tendono a diventare più rilevanti

all’aumentare della distanza tra animale e rilevatore. Springer (1979) li

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In considerazione di questi errori, che limitano l’individuazione della provenienza del

segnale, il rilevamento non fornisce in realtà una linea retta, ma un angolo, più o meno

ampio a seconda dell’accuratezza del dato. Quindi la posizione dell’animale non può

essere ricercata in un’intersezione di due o tre rette, ma in un’area, chiamata poligono

d’errore.

Heezen e Tester (1967) hanno dimostrato che il poligono d’errore è più piccolo quando

l’angolo tra l’animale ed il rilevatore è di 90°. Per questa ragione nel presente lavoro si è

cercato di utilizzare postazioni di ascolto che garantissero un angolo il più possibile vicino

al valore di 90°. Ai fini di questo studio è risultato necessario valutare il poligono di errore,

ossia l’area di confidenza associata alla localizzazione stimata mediante triangolazione.

L’accuratezza del dato è stata ottenuta posizionando due radiocollari in due diverse

tipologie ambientali quali il pascolo e il bosco, ad una distanza di 1500 m dal punto di

ricezione (Springer, 1979). Per ogni radiocollare sono state effettuate 5 misure della

direzione; la media degli errori di localizzazione commessi a destra e a sinistra dei

radiocollari è risultata di 250 m. (Riganelli, 2004).

In questa tesi sono stati utilizzati i punti ottenuti dall’incrocio di due direzioni. Per

quanto riguarda la distanza tra l’animale ed il rilevatore, all’aumentare di questa,

mantenendo fisso l’errore angolare, aumenta la larghezza dell’arco di errore e quindi la

superficie del poligono d’errore.

L’archiviazione dei dati registrati sulle schede è avvenuta su fogli di lavoro Excel

(Microsoft Office XP), nei quali venivano riportate anche le coordinate della

localizzazione. Queste sono state ottenute manualmente (utilizzando un’estensione del

programma ArcGis) da carte topografiche digitali dell’area di studio, georeferenziate in

coordinate UTM fuso 33 e visualizzate con il programma ArcGis 9.1.

Il lavoro di radiotracking si è distribuito su 130 giornate, percorrendo circa 165 km di

media per ogni uscita con automezzo proprio e un numero variabile di km giornalieri

percorsi a piedi per raggiungere le postazioni di vantaggio. Per studiare il comportamento

dell’animale e per poter effettuare analisi statistiche dell’uso dello spazio, è stato

programmato preventivamente un calendario di uscite, che prevedeva, per raggiungere gli

scopi sopra citati, un obiettivo minimo di 12 fix per ogni animale al mese. Non tutti i mesi

è stato possibile per tutti i cervi raggiungere questo obiettivo, per una serie di

problematiche, seppur contenute (condizioni meteorologiche, guasti alla attrezzatura per il

radiotracking, guasti all’automezzo, periodi di malattia, ecc.). Le uscite di radiotracking,

stabilite in tre alla settimana, sono state distribuite in maniera omogenea nel corso del

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mese, mantenendo un intervallo minimo tra un turno e l’altro di 24 ore; questo per

garantire l’indipendenza biologica e statistica dei dati.

Per ogni giornata di radiotracking sono state registrate su un’apposita scheda (Figura

5.4) una serie di parametri utili all’elaborazione finale dei dati e in particolare:

1. Data

2. Luce (alba, giorno, tramonto, notte)

3. Intensità del vento (assente, debole, medio, forte)

4. Condizioni meteorologiche (sereno, coperto, pioggia, neve, nebbia)

5. Copertura del suolo (neve, scoperto)

6. Ora di ascolto del segnale per ogni postazione

7. Attività del cervo (movimento, posizione della testa)

8. Direzione (gradi rispetto al Nord)

Le localizzazioni, per essere precise, dovrebbero essere prese simultaneamente in

stazioni differenti (2 o 3) da più operatori per ridurre il lasso di tempo in cui l’animale

potrebbe spostarsi (Pedrotti et al., 1995). Mancando il supporto di altri operatori ho

limitato questo intervallo nel peggiore dei casi ad 1 ora, intervallo questo inevitabile

considerata la morfologia del territorio.

Ogni sessione di radiotracking ha avuto una durata compresa tra le 2 e le 4 ore.

Soprattutto nel periodo invernale i tempi si sono considerevolmente allungati, per le

difficoltà di procedere con il territorio innevato, sia in automobile che a piedi.

Prima dell’inizio del lavoro è stato concordato di effettuare le uscite cercando di coprire

al meglio tutte le ore della giornata, in considerazione del fatto che la strumentazione

consentiva di valutare anche l’attività degli animali. L’intenzione è stata quella di indagare

se fossero presenti delle differenze evidenti nel comportamento dei cervi nel corso della

giornata. Per far questo si è ritenuto opportuno suddividere la giornata in 4 fasce orarie per

un totale 20 ore; sono state escluse da questa suddivisione le ore comprese tra la

mezzanotte e le 4 di mattina poiché lo sforzo per coprire questa fascia oraria non sembrava

giustificato e per evidenti difficoltà di rispettare questo orario nei mesi invernali.

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PROGETTO CERVO

SCHEDA DI RILEVAMENTO RADIOTELEMETRICO

Data____________________Rilevatore__________________________Km percorsi______________

Meteo________________Vento________________Suolo________________Luce_______________

Animale Ora

Siti di rilevamento

A, B, C, D…

Localizzazioni

in gradi Nord Attività

Homing

1,2,3,4… Habitat

Meteo: Sereno, Coperto, Pioggia, Neve, Nebbia Vento: Assente, Debole, Medio, Forte Suolo: Neve, Scoperto

Luce: Alba, Giorno, Tramonto, Notte Attività: Attivo, Inattivo, Morto Habitat: Bosco (lecceta, faggetta,

conifere, misto, ceduo, alto fusto), Arbusteto, Pascolo (primario, secondario), Vegetazione ripariale (lago,

torrente), Radura, Fosso, Costa rocciosa o ghiaione, Coltivi, Sorgente.

Figura 5.4 – Scheda rilevamento dati.

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Figura 5.5 – Rilevamento con difficoltà meteorologiche.

Le sessioni di radiotracking sono risultate cosi distribuite nelle varie fasce orarie (Tabella

5.3):

Fascia oraria

N° uscite

04 00 - 09 00

32

09 00 - 14 00

33

14 00 - 19 00

32

19 00 - 24 00

33

Totale uscite

130

Tabella 5.3 - Suddivisione in fasce orarie

delle giornate di radiotracking.

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5.4 Metodi di elaborazione dei dati L’obiettivo principale della radiotelemetria consiste nella stima e nell’analisi degli

Home Range (HR). Secondo Burt (1943), questa, è l’area attraversata da una animale

durante le sue normali attività di ricerca di cibo, accoppiamento e crescita della prole.

L’HR è dunque l’area in cui l’animale esplica tutte le proprie funzioni vitali, dalla ricerca

di cibo, alla riproduzione e allevamento della prole, al riposo.

Oggi si affianca una definizione di tipo statistico di Home Range, resa possibile

dall’utilizzo della tecnica di radiotracking: questa infatti ha consentito un considerevole

aumento dei dati utili per analizzare le dimensioni, la forma e la configurazione interna

degli HR. La definizione statistica di gran parte dei modelli indica l’HR come quella

regione di confidenza a percentuale prefissata (solitamente il 95%) ottenuta dalla funzione

di distribuzione dell’utilizzo dello spazio (UD) dell’animale (Van Winkle, 1975).

L’HR viene rappresentato utilizzando dati in forma di localizzazioni spaziali al variare

del tempo (fix indipendenti) e la tecnica analitica utilizzata (il radiotracking) è assimilabile

ad un campionamento nel tempo di una popolazione statistica di fix. Cosi i fix rilevati in

questo studio, espressi in coordinate geografiche, hanno permesso di conoscere gli HR di

ciascun cervo, valutandone la forma, le dimensioni e la configurazione interna. L’Home

Range è stato considerato come una stima delle probabilità di presenza di un cervo in un

determinato spazio.

Oltre all’ Home Range, con l’isopleta kernel 50% è possibile rappresentare la core area

(area principale): la core area secondo Burt 1943, include le porzioni di territorio più

frequentemente utilizzate, che contengono le zone di rifugio o le risorse trofiche. A

seconda della specie le core area variano in dimensioni e numero. Secondo Clutton-Brock

et al. 1982, per il Cervo queste sono definite dalle isoplete che vanno dal 50 al 65%. Le

isoplete permettono di conoscere più precisamente, rispetto agli HR, le modalità di

cambiamento nell’uso dello spazio.

Il calcolo degli HR è stata ottenuto utilizzando due metodi: uno deterministico, il

Minimo Poligono Convesso (MPC), ed uno probabilistico, lo stimatore di Kernel (KHR).

Metodo del Minimo Poligono Convesso

Con il metodo del minimo poligono convesso, l’Home Range viene racchiuso nella più

piccola area possibile, contenente tutte le localizzazioni dell’animale. Il poligono si ottiene

unendo i fix più esterni, con gli angoli interni che non superano mai i 180° (per questa

ragione si chiama Minimo Poligono Convesso).

La formula per calcolare l’area del poligono è:

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2

1

2111121

n

inniiin yyxyyxyyx

A

dove x e y sono le coordinate dei fix.

I vantaggi di questo metodo sono rappresentati dalla semplicità e la facilità di calcolo,

dalla robustezza delle stime anche con un basso numero di fix e dalla mancanza di

assunzioni sulla distribuzione dei dati. Per contro, basandosi solo su localizzazioni

periferiche il Metodo del Minimo Poligono Convesso non dà alcuna stima dell’utilizzo

interno dello spazio, o se ad esempio gli animali hanno delle preferenze spaziali nei diversi

momenti della giornata. Spesso accade di sovrastimare le dimensioni degli HR perché la

presenza di fix periferici può far includere aree raramente o mai utilizzate.

Metodo del Kernel Per caratterizzare la forma degli Home Range possono essere utilizzati metodi

parametrici e non parametrici. Nei primi viene determinata la probabilità di incontrare

l’individuo indagato in ciascun punto dello spazio, associandovi un intervallo di

confidenza; nei non parametrici non viene fatta nessuna assunzione per caratterizzare la

forma dell’Home Range, che dipende esclusivamente dai dati posizionali (Pedrotti et al.,

1993). Secondo Worton 1989 e 1995, i metodi non parametrici hanno il vantaggio di

essere maggiormente flessibili e non presentano i limiti nell’utilizzazione pratica che

invece caratterizzano i metodi parametrici.

La funzione della probabilità decrescente di densità, denominata kernel, è posizionata

sopra ogni punto dei dati e l’estimatore è costruito aggiungendo n componenti. La stima

della probabilità dell’uso dello spazio è ottenuta con l’uso di una griglia che viene

sovrapposta alla mappa in cui è riportato l’insieme delle localizzazioni indipendenti degli

animali. La griglia converte la stima della distribuzione dell’utilizzo del territorio (UD) in

un contorno, che definisce la dimensione dell’Home Range. Viene calcolata la probabilità

(in genere 95%) associata ad ogni cella della griglia e determinata l’area all’interno del

contorno selezionando il numero minimo di celle la cui probabilità corrisponde a quella

scelta (Worton, 1995). Quando c’è un’area con un’elevata concentrazione di punti, il

kernel la stima come ad alta densità, rispetto ad aree in cui i punti sono in numero inferiore

(Worton, 1989). Poiché ogni kernel è una densità, la stima risultante è essa stessa una reale

probabilità di densità.

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Utilizzando diverse percentuali di localizzazioni (a partire dalle zone maggiormente

frequentate), si ottengono poligoni (isoplete) che mostrano l’utilizzo interno dell’HR

stesso.

La formula della funzione è:

n

i

ii

UD nh

zy

nh

zxk

nhnhnaf

1 2

2

1

1

21

,111

dove: a è il nodo della griglia, e le localizzazioni, x e y le coordinate del nodo, e

i parametri di smoothing (che regolano la quantità di variazione in ciascun componente

della stima; per valori piccoli di h si ottiene un dettaglio più fine), n è il numero totale di

localizzazioni, k è la funzione di densità di probabilità la cui formula è:

1z 2z 1h

2h

dove: sono le localizzazioni, a è il nodo della griglia, iz è una costante.

n

i

azi

eak1

5.02

2

1

I parametri di smoothing controllano la quota di variazione dalla stima in ogni

componente. Se si usa un valore piccolo di h, si può ottenere accuratezza nel dettaglio dei

dati. I tipi di estimatori di kernel considerati finora sono estimatori “fissi” perché i

parametri di smoothing sono relativi a valori fissi sul piano (Worton, 1989).

La scelta del kernel k non è tanto importante quanto la scelta di parametri di smoothing.

Un metodo empirico per scegliere tali parametri è quello di utilizzare il valore di h ottimale

ottenuto per alcune distribuzioni standard, come la distribuzione normale (Worton, 1989).

Si ottiene che il valore ottimale di h per campioni numerosi è: hopt = σ n – 1/6.

Limitazioni nell’uso di questa tecnica sono la necessità di disporre di localizzazioni

indipendenti tra loro e il fatto che per diversi valori di h i risultati differiscono.

Indici ambientali e di paesaggio Indice di rugosità del territorio

Lunghezza isoipse

RU = ────────────

Area Unità Campione

Indice di Frammentazione

FRM = 1- ∑ (Ai - At) 2

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At rappresenta la superficie totale. Ai del tipo di vegetazione i-esimo.

Rappresenta una misura della complessità del paesaggio.

Effective mesh size

MESH = (1/At) · ∑ (Ai2)

Rappresenta una misura della dimensione media in ettari di ciascun tipo

vegetazionale all’interno dell’UC.

Diversità ambienale mediante la formula di Shannon

SHA = -∑ (pi · ln pi)

pi è la proporzione del tipo vegetazionale i-esimo.

Usata per calcolare la diversità ambientale.

Indice ecotonale

lunghezza perimetro Ai

ECO = MEDIA ──────────────

area tot Ai

Analisi uni e multivariate Le analisi sono state eseguite con il programma SPSS PC 13.0.

Per studiare quali variabili siano più importanti per poter separare dei gruppi, ci si è

avvalsi dell’analisi discriminante. Questa analisi effettua la comparazione tra i vari gruppi

sulla base di un diverso numero di variabili, mettendo in luce quali di queste rivestano un

ruolo primario nella separazione dei gruppi. L’insieme degli oggetti appartenenti al

medesimo gruppo forma una nuvola di punti e una misura sintetica della posizione di

questa nuvola è data dalla posizione del centroide del gruppo. Per centroide si intende il

centro di massa degli oggetti di un gruppo. Per verificare se la posizione dei centroidi fosse

effettivamente diversa per i gruppi presi in considerazione ci si è avvalsi del test Wilks’

Lambda. Con questo test è possibile effettuare il test di significatività per l’uguaglianza

della posizione dei gruppi, calcolata, per ciascuna funzione, dal rapporto tra la devianza

d’errore entro i gruppi e devianza totale. Il λ di Wilks stima quale percentuale della

varianza non è spiegata dalle differenze tra gruppi; λ diminuisce di valore al crescere della

significatività delle differenze osservate tra gruppi.

È stata utilizzata anche l’analisi della varianza (ANOVA) ad una via di classificazione.

Questa tecnica permette di comparare l’andamento di una variabile in campioni diversi, ma

anche di analizzare l’andamento della variabile in relazione a due variabili indipendenti

(ANOVA a due criteri di classificazione).

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CAPITOLO 6 RISULTATI

I risultati riguardano le analisi dei dati raccolti nel monitoraggio attraverso il

radiotracking di un gruppo di cervi (Tabella 6.1). Lo studio è iniziato il 1 gennaio 2007 ed

è terminato il 30 dicembre 2007. Per i cervi Berta e Mizio la raccolta dei dati è iniziata il

23 febbraio 2007.

Tabella 6.1 – Cervi oggetto dello studio.

Cervi con radiocollare Periodo radio-tracking

Nome Frequenza Inizio Fine Causa interruzione

Tosta 150.059 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio

Berta 151.035 23-feb-07 30-dic-07 Termine studio

Solo 151.249 17-gen-07 30-giu-07 Scomparsa segnale

Primavera 151.305 29-gen-07 30-dic-07 Termine studio

Sara 151.349 17-gen-07 13-nov-07 Morte cervo

Angi 151.428 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio

Mizio 151.446 23-feb-07 28-set-07 Rottura collare

Chiara 151.530 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio

Rina 151.546 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio

Piera 151.565 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio

Paola 151.585 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio

Degli 11 cervi seguiti nel periodo di studio, è stata accertata la morte per un solo

individuo, Sara, trovata nella Val Chiarino dopo circa 10 giorni dalla ricezione del segnale

di mortalità emesso dal suo collare. Non è stato possibile individuare prima il corpo

dell’animale in quanto i giorni successivi al 13 novembre 2007 sono stati caratterizzati da

condizioni meteorologiche sfavorevoli e soprattutto perché la presenza di neve sul collare

non permetteva una ricezione continua del segnale di mortalità (Figura 6.1).

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Figura 6.1 – Resti della cerva Sara.

Il segnale del maschio Solo è stato ascoltato l’ultima volta il 30 giugno 2007 a

Campotosto sui monti della Laga. Dopo questa rilevazione non si è ricevuto più nessun

segnale dal collare dell’animale.

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Il collare dell’altro maschio,

Mizio, è stato trovato il 28

settembre 2007 dopo poche ore

dalla ricezione del segnale di

mortalità. Il collare si è

presumibilmente rotto per usura

in prossimità del modulo

trasmittente (Figura 6.3) ed è

stato ritrovato in un cespuglio di

ginepro alle pendici del Monte

Falcone tra Crognaleto e

Cesacastina (Figura 6.2).

Figura 6.2 - Collare 446, cervo Mizio.

I collari degli altri cervi

hanno continuato ad inviare

segnali fino al termine dello

studio.

Sono stati raccolti un totale

di 1202 fix, come riportato

in Tabella 6.2.

In Allegato I sono riportati

tutti i fix raccolti.

Figura 6.3 - Collare 446, cervo Mizio.

- 52 -

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Tabella 6.2 – Numero complessivo delle localizzazioni (fix).

Cervo N° Fix

Berta 104

Tosta 112

Solo 51

Primavera 122

Sara 109

Angi 127

Mizio 78

Chiara 125

Rina 123

Piera 127

Paola 124

Tot 1202

Per le analisi presenti in questo capitolo si è ritenuto opportuno considerare

singolarmente i cervi o raggrupparli in funzione del sesso e dell’area utilizzata; in

quest’ultimo caso le femmine sono state suddivise in due raggruppamenti come illustrato

in tabella 6.3.

Tabella 6.3 – Suddivisone delle Cerve per area.

Cerve Area

Tosta

Primavera Campotosto

Sara

Angi

Chiara

Rina

Piera

Paola

Val Chiarino

Questo raggruppamento è stato possibile poiché le sei cerve rilasciate in Val Chiarino

nel 2006, sono rimaste nella valle anche per tutto il 2007 salvo occasionali spostamenti.

Solo la cerva Rina si è spostata in alcuni periodi dell’anno verso la bassa Val Vomano. È

stata esclusa da questa classificazione la cerva Berta poiché distante dalle altre femmine e

ricadente in parte fuori dai confini del parco. Si è ritenuto opportuno escludere anche i

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maschi poiché Mizio presentava un home range distante diversi km dalle due aree in

questione e poiché per Solo, benché il suo home range si trovasse nell’area di Campotosto,

le rilevazioni si sono fermate il 30 giugno, giorno in cui si è ricevuta l’ultima emissione dal

suo collare. I dati forniti dalle rilevazioni di questi due individui sono stati considerati

singolarmente o in taluni casi si è ritenuto opportuno accorparli, questo principalmente

quando le analisi venivano separate per sesso.

Distanze percorse dai siti di rilascio

I cervi oggetto del seguente studio, sono stati rilasciati nel triennio 2004-2006 in tre aree

come riportato nella figura 6.4:

D

DDD

D

TERAMO

L'AQUILA

RIETI

ASCOLI PICENO

PESCARA

Voltigno

Piano Vomano

Val Chiarino

Figura 6.4 – Siti di rilascio (i siti sono indicati con una croce).

- 54 -

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Lo spostamento di ogni singolo cervo compiuto dal sito di rilascio è stato valutato

attraverso la Hawths Tools del programma ArcGis 9.1 (ESRI) (Tabella 6.4).

La cerva Primavera si è spostata molto dal sito di rilascio collocandosi ad una distanza

media di circa 38 km. I cervi rilasciati a Piano Vomano hanno un home range piuttosto

distante dal sito di rilascio. Le femmine della Val Chiarino sono rimaste, invece, tutte

nell’area della Valle salvo alcuni spostamenti stagionali della cerva Rina verso la bassa Val

Vomano. Il maschio rilasciato in Val Chiarino si è spostato nell’area di Campotosto ad una

distanza media del punto di rilascio di 5 km (Grafico 6.1) .

Tabella 6.4 – Siti di rilascio, anno e distanze percorse dal punto di immissione in metri.

Nome Sito di rilascio Anno Minima Massima Media Dev.St

Mizio Piano Vomano 2006 3.742 6.426 4.717 548

Berta Piano Vomano 2005 803 7.307 2.984 1.132

Tosta Piano Vomano 2004 2.766 16.766 12.240 2.402

Primavera Voltigno 2006 29.066 43.425 38.100 3.572

Solo Val Chiarino 2006 3.686 7.862 5.214 830

Sara Val Chiarino 2006 358 5.869 2.214 966

Angi Val Chiarino 2006 457 9.747 2.599 1.428

Chiara Val Chiarino 2006 21 7.020 2.073 1.141

Rina Val Chiarino 2006 95 11.932 5.303 3.934

Piera Val Chiarino 2006 486 9.926 2.223 1.594

Paola Val Chiarino 2006 249 9926 2503 1671

Tabella 6.5 – Distanze medie percorse da tutti i cervi dai 3 siti di rilascio (metri).

Area Minima Massima Media Dev.St

Piano Vomano 2.437 10.166 6.647 1.361

Val Chiarino 765 8.897 3.161 1.652

Voltigno 29.066 43.425 38.100 3.572

Escludendo i maschi, si può notare come le distanze dai siti di rilascio tendono a

diminuire nei valori minimi e ad aumentare in quelli massimi sia per l’area di Piano

Vomano che per l’area della Val Chiarino (Tabella 6.6).

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0

5

10

15

20

25

30

35

40

45M

izio

Berta

Tost

a

Prim

ave

ra

Solo

Sara

Angi

Chia

ra

Rin

a

Pie

ra

Paola

Km

Grafico 6.1 – Distanze medie percorse dai cervi dal sito di reintroduzione.

Tabella 6.6 - Distanze medie percorse dalle cerve dai 3 siti di rilascio (metri).

Area Minima Massima Media Dev.St

Piano Vomano 1.785 12.037 7.612 1.767

Val Chiarino 278 9.070 2.819 1.789

Voltigno 29.066 43.425 38.100 3.572

Dalla figura 6.5 si può notare come i cervi rilasciati nel punto di immissione Val

Chiarino siano rimasti nei pressi del sito (poligoni gialli), i cervi rilasciati a Piano vomano

si siano spostati in maniera più marcata (poligoni rosa) e la cerva rilascia al Voltigno

(poligono verde) abbia compiuto un spostamento di parecchi chilometri, posizionandosi

nell’area degli altri cervi, a testimonianza dell’idoneità ambientale di questa zona.

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D

DDD

D

TERAMO

L'AQUILA

RIETI

ASCOLI PICENO

PESCARA

Voltigno

Piano Vomano

Val Chiarino

Figura 6.5 – Home range (core area 50%) di tutti i cervi con colorazione differente per i

diversi siti di rilascio; colore verde: Mizio-Berta-Tosta; colore giallo: Sara-Angi-Piera-

Solo-Rina-Chiara-Paola; colore rosa: Primavera.

Distanze medie giornaliere È stato valutato lo spostamento di ogni singolo cervo attraverso la Hawths Tools del

programma ArcGis 9.1 (ESRI). Tra una rilevazione e la successiva sono trascorsi 2-3

giorni con una media di 12 rilevazioni al mese. Sono stati calcolati così gli spostamenti

giornalieri, ottenuti dividendo lo spostamento, in metri, per il tempo medio trascorso tra un

fix e l’altro (2,5 giorni).

La tabella 6.7 mostra le distanze percorse giornalmente dai cervi. I valori minimi si

presentano molto simili tra loro; per quanto riguarda i valori massimi ed il valore medio si

evidenzia come in generale i due maschi abbiamo effettuato spostamenti più brevi rispetto

alle femmine (Grafico 6.2). Quest’ultime presentano valori medi di spostamento uniformi

che variano dal valore minore della cerva Tosta (500 metri) al valore maggiore della cerva

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Rina (700 metri). I valori massimi di spostamento delle cerve sono eterogenei variando dai

1800 metri di Angi ai 5000 metri di Primavera.

Tabella 6.7 – Distanze percorse giornaliere (metri).

Distanze giornaliere per ciascun cervo

Cervo Min Max Media Dev.St.

Angi 53 1823 546 434

Berta 16 2655 536 546

Chiara 31 2278 592 431

Mizio 15 892 263 207

Paola 38 3674 629 612

Piera 41 3698 660 693

Primavera 48 5152 580 704

Rina 53 3242 684 571

Sara 32 2002 664 430

Solo 7 1166 342 255

Tosta 43 4049 522 569

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

Metri

Min 40 11

Max 3175 1029

Media 601 302

Femmine Maschi

Grafico 6.2 – Distanze giornaliere suddivise per sesso.

Il grafico 6.2 mostra le medie degli spostamenti tra due fix successivi suddivisi per

sesso. Sia nei valori massimi che in quelli minimi e medi, le femmine si sono spostate in

maniera più marcata rispetto ai maschi. I maschi non hanno compiuto spostamenti

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significativi dai loro home range; il loro dato tuttavia si riferisce al periodo precedente al

mese di luglio per il cervo Solo e al periodo precedente al mese di settembre per il cervo

Mizio, poiché successivamente si è registrata l’impossibilità di continuare le rilevazioni

(Tabella 6.1).

Tabella 6.8 – Distanze giornaliere suddivise per stagioni.

Distanze giornaliere per ciascuna stagione

Cervo Stagione Min Max Media Dev.St

Inverno 53 1823 450 389

Primavera 312 3556 1142 825

Estate 24 1113 376 278

Angi

Autunno 75 694 288 176

Inverno 186 1050 510 308

Primavera 42 2655 994 782

Estate 16 1334 351 320

Berta

Autunno 40 920 334 221

Inverno 53 1640 706 458

Primavera 66 2278 760 542

Estate 128 1307 475 300

Chiara

Autunno 31 1509 446 323

Inverno 63 257 132 73

Primavera 15 892 264 219

Mizio

Estate 34 842 303 213

Inverno 53 1426 470 317

Primavera 139 3674 1244 921

Estate 48 1395 452 305

Paola

Autunno 38 1260 415 325

Inverno 41 1420 482 372

Primavera 72 3698 1150 1132

Estate 164 1914 648 388

Piera

Autunno 44 1022 341 209

Inverno 51 5152 784 1142

Primavera 48 2564 553 566

Estate 59 2208 452 509

Primavera

Autunno 80 2120 581 590

Inverno 53 1622 526 358

Primavera 460 3242 1137 752

Rina

Estate 62 1578 540 318

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Autunno 110 2371 507 487

Inverno 53 1682 790 464

Primavera 34 1898 740 479

Estate 84 1440 506 287

Sara

Autunno 157 2002 672 475

Inverno 68 1166 436 332 Solo

Primavera 58 688 270 156

Inverno 44 4049 844 1022

Primavera 80 1760 518 418

Estate 43 1520 356 351

Tosta

Autunno 71 1883 510 490

Poiché per i maschi mancano i dati dell’estate e dell’autunno sono stati valutati gli

spostamenti giornalieri stagionali delle sole femmine. Con livello altamente significativo

(P < 0,001) (tabella 6.10) è possibile affermare che le cerve si spostano di più in primavera.

In estate e in autunno le cerve si spostano meno rispetto al resto dell’anno e in queste due

stagioni le cerve percorrono distanze giornaliere comparabili.

Tabella 6.9 - Distanze giornaliere in metri percorse dalle cerve nelle stagioni.

DISTANZE FEMMINE STAGIONI Intervallo di confidenza

95% Stagioni Media Errore Standard Min Max inverno 608 44 522 701

primavera 914 47 821 1006 estate 462 20 422 501

autunno 460 24 412 506

Tabella 6.10 - Valore di F e significatività.

ANOVA F Significatività

42,414 0,000

Aumentando il livello di significatività dal 99% al 99,9% (tabelle 6.11 e 6.12) le

distanze giornaliere compiute in inverno, estate ed autunno vengono assimilate in un unico

gruppo, mentre risulta ancor più evidente come in primavera le cerve abbiano compiuto gli

spostamenti più significativi (grafico 6.3).

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Tabella 6.11 – Livello di significatività 0,01.

Student-Newman-Keulsa,b Subset for alpha= 0.01

Stagioni 1 2 3 autunno 460 estate 462 inverno 608

primavera 914 Significatività 0,961 1,000 1,000

Tabella 6.12 - Livello di significatività 0,001.

Student-Newman-Keulsa,b

Subset for alpha=

0.001 Stagioni 1 2 autunno 460 estate 462 inverno 608

primavera 914 Significatività 0,060 1,000

3000

2500

2000

Min metri

Max 1500

Media 1000

500

0 Autunno Inverno Primavera Estate

Grafico 6.3 - Distanze giornaliere suddivise per stagioni delle femmine.

È stato possibile effettuare il confronto tra le distanze percorse nelle stagioni dai cervi

suddivisi nei 2 sessi solo per l’inverno e la primavera, mancando per i maschi gli altri dati.

Le femmine nelle due stagioni prese in esame (Tabella 6.13) hanno coperto distanze

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maggiori rispetto ai maschi. Quest’ultimi nelle due stagioni hanno effettuato spostamenti

pressoché costanti (Grafico 6.4).

Tabella 6.13 – Distanze giornaliere percorse dai cervi suddivisi nei due sessi in inverno.

DISTANZE SEX INVERNO Intervallo di confidenza 95% Sesso Media Errore Standard Min Max Maschi 345 57 228 461

Femmine 608 44 522 694

Tabella 6.14 – Valore di F e significatività.

ANOVA F Significatività

5,357 0,022

In primavera si conferma il dato dell’inverno in cui le femmine compiono spostamenti

giornalieri più pronunciati rispetto ai maschi (Tabella 6.15). Rispetto all’inverno le

femmine percorrono in primavera spostamenti notevolmente maggiori.

Tabella 6.15 – Distanze giornaliere percorse dai cervi suddivisi nei due sessi in primavera.

DISTANZE SEX PRIMAVERA Intervallo di confidenza 95% Sesso Media Errore Standard Min Max Maschi 267 24 218 316

Femmine 914 47 821 1006

Tabella 6.16 - Valore di F e significatività.

ANOVA F Significatività

41,02 0,001

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0

500

1000

1500

2000

2500

3000

Inverno Primavera Inverno Primavera

Maschi Femmine

Met

r

Min

Max

Media

Grafico 6.4 - Distanza percorsa tra i fix per ciascuna stagione suddivise per sesso (metri).

Tabella 6.17 - Distanze giornaliere in metri percorse dalle cerve dei due siti in estate.

DISTANZE LOCALITA' ESTATE Intervallo di confidenza 95% Località Media Errore Standard Min Max

Val Chiarino 630 21 589 671 Campotosto 406 53 300 512

Tabella 6.18 - Valore di F e significatività.

ANOVA F Significatività

10,306 0,001

Come già accennato poco sopra, nelle altre tre stagioni non si hanno livelli di

significatività accettabili. Vengono comunque indicati i confronti tra le distanze nelle varie

stagioni e i relativi livelli di significatività (tabella 6.19).

Tabella 6.19 – Valori di significatività e confronto delle distanze tra i due gruppi di cervi nelle altre 3 stagioni.

Stagione Significatività Confronto distanze Autunno 0,353 Val Chiarino > Campotosto Inverno 0,066 Campotosto > Val Chiarino

Primavera 0,216 Val Chiarino > Campotosto

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Home Range Gli home range sono stati calcolati sia con il metodo Kernel al 50% con un valore di

smoothing di 1000 metri e sia attraverso il metodo del Minimo Poligono Convesso. Poiché

quest’ultimo metodo tende a sovrastimare le dimensioni reali degli home range

considerando anche i fix occasionali e marginali, per le analisi in questo lavoro ci si è

avvalsi della core area calcolata al 50% dei fix rilevati (KHR50%). Il calcolo della

superficie delle suddette aree e la loro rappresentazione grafica sono state realizzate

mediante l’estensione Animal Movement 2.04 del software ArcGis 9.1. Tutte le core

areas sono riportate in allegato II.

Le core areas dei cervi maschi si presentano più piccole di quelle delle femmine

(Tabella 6.21). Tra le cerve, Rina ha l’HR più ampio con circa 900 ha mentre,

considerando il minimo poligono convesso, la cerva Primavera occupa l’area più grande in

quanto ha frequentato l’area di Campotosto e gran parte della Val Vomano.

Tabella 6.20 – Core area (in ettari) annuali calcolati con il

metodo del Kernel al 50% e del Minimo Poligono Convesso.

Cervo KHR 50% MPC

Chiara 433 3070

Angi 300 3507

Rina 913 8195

Paola 331 4406

Sara 525 2433

Piera 371 5692

Berta 276 4270

Tosta 332 5525

Primavera 763 9008

Solo 183 608

Mizio 142 349

Media 415 4279

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0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

1000

Ettari

Ch

iara

An

gi

Rin

a

Pa

ola

Sa

ra

Pie

ra

Be

rta

To

sta

Pri

ma

vera

So

lo

Miz

io

Grafico 6.5 – Core area (KHR50%) di ciascun cervo.

Tabella 6.21 – Core area (KHR50%) e MPC medi suddivisi per sesso.

Sesso Core area (KHR50%) (ha) MPC (ha)

Maschi 163 479

Femmine 472 5123

Il confronto delle dimensioni delle core areas tra i maschi e le femmine è stato

affrontato attraverso l’analisi della varianza con la tecnica dell’ANOVA ad una via di

classificazione. Come è possibile vedere dalla tabella 6.22 le femmine presentano una core

area annuale di dimensioni maggiori rispetto ai due maschi.

Tabella 6.22 – HR suddivisi per sesso

HR SEX Intervallo di confidenza 95% Sesso Media Errore Standard Min Max

Femmine 471 74 299 643 Maschi 162 20 -95 420

- 65 -

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La significatività (P< 0.01) è provata tramite il Test F (tabella 6.23); questo test

permette di controllare la similarità tra due varianze.

Tabella 6.23 –Valore di F e significatività.

ANOVA F Significatività

0,094 0.094

In tabella 6.24 le sole cerve, con l’eccezione di Berta distante da questi nuclei, sono

state raggruppate in due aree per valutare se l’ambiente differente influenzasse in maniera

significativa il comportamento degli animali. Sono state calcolate cosi le core areas per le

singole stagioni. Come è possibile notare anche dal grafico 6.6 per entrambi i nuclei nelle

stagioni inverno ed autunno l’utilizzo dello spazio è stato più contenuto rispetto alla

primavera e all’estate. Le due cerve presenti a Campotosto hanno nel complesso core areas

stagionali maggiori rispetto alle 6 cerve della Val Chiarino; i due ambienti si presentano

molto diversi e da questi dati emerge una maggiore motilità a Campotosto.

Tabella 6.24 – Core areas (KHR50%) stagionali delle cerve presenti

in Val Chiarino e a Campotosto.

Core area (ha)

Cerve Area Inverno Primavera Estate Autunno

Tosta

Primavera Campotosto 501 565 848 442

Sara

Angi

Chiara

Rina

Piera

Paola

Val Chiarino 321 702 516 349

- 66 -

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200

300

400

500

600

700

800

900

Inverno Primavera Estate Autunno

Ha

Campotosto Val Chiarino

Grafico 6.6 - Core areas (KHR50%) stagionali delle cerve presenti

in Val Chiarino e a Campotosto.

Legend

MCPtotale

confini provincie

TERAMO

L'AQUILA

RIETI

ASCOLI PICENO

PESCARA

PESCARA

Figura 6.6 – Minimo poligono convesso totale degli 11 cervi.

- 67 -

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In figura 6.6 è illustrato il Minimo Poligono Convesso totale, realizzato con tutti i fix

dei cervi monitorati. L’area che esso racchiude si estende per 22.726 ha ricadenti in 3 delle

5 province comprese nel PNGSL e per una esigua porzione al di fuori dei confini del

parco.

Analisi ambientale Per il presente studio sono stati calcolati gli indici ambientali riportati in tabella 6.25.

Questa analisi consente di confrontare le aree utilizzate dai cervi e valutare la diversità

ambientale. Oltre all’indice di Shannon (grafico 6.7) vengono mostrati gli indici effective

mesh size, di frammentazione, di ecotono e di rugosità rispettivamente nei grafici 6.8, 6.9,

6.10 e 6.11. Gli indici ambientali esprimono dati relativi alle core areas (KHR 50%) di

ogni singolo cervo.

Tabella 6.25 – Indici ambientali e di paesaggio.

Cervi H MESH_tot FRM_tot ECO RUG

Chiara 0,875 258,158 0,404 4,540 0,010

Angi 0,389 263,883 0,122 4,285 0,012

Rina 2,106 298,599 0,673 1,654 0,011

Paola 0,501 272,055 0,179 4,770 0,011

Sara 0,610 399,488 0,239 3,689 0,011

Piera 0,648 279,335 0,247 4,406 0,010

Berta 3,126 18,146 0,934 4,770 0,026

Tosta 1,892 84,877 0,745 5,489 0,008

Primavera 2,291 159,548 0,791 2,216 0,010

Solo 1,566 77,091 0,578 0,001 0,009

Mizio 1,229 63,849 0,550 0,001 0,012

Dai grafici 6.7, 6.8, 6.9, 6.10 e 6.11 i diversi indici si presentano pressoché identici nei

due maschi, ad indicare una scelta dell’habitat simile. Le femmine invece, hanno indici che

variano considerevolmente a seconda degli habitat in cui si trovano le core areas delle

cerve.

- 68 -

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0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

Chi

ara

Angi

Rin

a

Paol

a

Sara

Pie

ra

Berta

Tosta

Prim

aver

a

Solo

Mizio

Grafico 6.7 – Indice di Shannon.

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

Chi

ara

Angi

Rin

a

Paol

a

Sara

Pier

a

Berta

Tosta

Prim

aver

a

Solo

Mizio

Grafico 6.8– Indice Effective mesh size .

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

Chi

ara

Angi

Rin

a

Paol

a

Sara

Pier

a

Berta

Tosta

Prim

aver

a

Solo

Mizio

Grafico 6.9 – Indice di Frammentazione.

- 69 -

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0

1

2

3

4

5

6

Chi

ara

Angi

Rin

a

Paol

a

Sara

Pier

a

Berta

Tosta

Prim

aver

a

Solo

Mizio

Grafico 6.10 – Indice di Ecotono.

0

0,005

0,01

0,015

0,02

0,025

0,03

Chi

ara

Angi

Rin

a

Paol

a

Sara

Pier

a

Berta

Tosta

Prim

aver

a

Solo

Mizio

Grafico 6.11 – Indice di Rugosita.

È stata eseguita una analisi ambientale suddividendo i cervi in due gruppi in base al

sesso, e sono state valutate tutte le variabili prese in considerazione nei paragrafi

precedenti in questo capitolo. In tabella 6.26 sono riportati il valore del Wilks’Lambda

(0,005) e il livello di significatività (0,005). In questo caso il livello di significatività P <

0,01 può essere indicato come molto significativo.

- 70 -

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Tabella 6.26 – Wilks’ Lambda

,005 23,743 9 ,005Test of Function(s)1

Wilks'Lambda Chi-square df Sig.

La tabella 6.27 mostra le variabili che pesano in maniera maggiore sui due sessi. Le

variabili con indice positivo pesano più per i cervi femmina, mentre i valori negativi

pesano più per i cervi maschi. Per le femmine la diversità ambientale, la dimensione

effettiva dei singoli tipi vegetazionali, la percentuale di ecotono e l’altezza massima delle

core area rappresentano tutte variabili che pesano in maniera maggiore. Per i maschi

l’altezza media delle core area pesa in maniera maggiore rispetto alle altre variabili.

Tabella 6.28 – Indici stagionali delle cerve presenti in Val Chiarino e a Campotosto.

Cerve Area Stagione H MESH_tot FRM_tot ECO RUG

Inverno 2,768 58,724 0,883 4,326 0,006

Tosta Primavera 2,573 85,442 0,849 3,563 0,009

Primavera Estate 2,886 95,276 0,888 1,834 0,009

Campotosto

Autunno 2,113 102,595 0,768 3,637 0,011

Sara

Angi Inverno 0,771 224,517 0,300 4,570 0,011

Chiara Primavera 0,769 513,211 0,269 2,619 0,011

Rina Estate 0,677 385,601 0,253 3,276 0,011

Piera Autunno 0,54 278,821 0,201 5,193 0,010

Paola

Val Chiarino

3,732

5,251

-,300

6,281

,792

-,629

8,104

-6,898

1,070

H

MESH_tot

FRM_tot

ECO

RUG

ALT_min

ALT_max

ALT_med

GIN1

1

Function

Tabella 6.27 - Standardized Canonical Discriminant Function Coefficients.

- 71 -

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L’analisi ambientale è stata condotta anche per comprendere l’utilizzo dell’habitat nelle

diverse stagioni dai due gruppi di femmine (Campotosto e Val Chiarino). I due gruppi non

evidenziano uniformità nella scelta dei parametri ambientali nelle diverse stagioni.

Nel grafico 6.12 sono illustrati gli indici di Shannon delle cerve presenti in Val

Chiarino e a Campotosto suddivisi nelle diverse stagioni. Come è possibile notare la

diversità ambientale si mostra maggiore nell’area di Campotosto; questo perché l’area

presenta un certo grado di antropizzazione dovuto alla presenta del lago artificiale e a due

abitati, Mascioni e Campotosto. La Val Chiarino è una valle più omogenea con ampi

boschi di latifoglie e solo in un’area marginale è presente il paese di Ortolano, dove le

poche attività umane sono circoscritte nei pressi dell’abitato.

0

0,51

1,5

2

2,53

3,5

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Campotosto Val Chiarino

Grafico 6.12 – Indice di Shannon dei due gruppi di cerve nelle varie stagioni.

Dal grafico 6.13 si evidenzia come per quanto riguarda l’indice Effective Mesh Size,

che rappresenta una misura della dimensione media in ettari di ciascun tipo vegetazionale

all’interno della core area (KHR50%), l’ambiente utilizzato dalle cerve della Val Chiarino

presenta nelle diverse stagioni dimensioni medie di ogni associazione vegetale maggiori

rispetto all’area di Campotosto. Questo è facilmente spiegabile e in accordo con le

considerazioni fatte sopra per l’indice di Shannon. È possibile confrontare questo dato

anche con il grafico 6.14 che conferma come l’area di Campotosto sia più frammentata dal

punto di vista delle tipologie vegetazionali con una maggiore diversità ambientale.

- 72 -

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0100200300400500600

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Campotosto Val Chiarino

Grafico 6.13 – Indice effective mesh size dei due gruppi di cerve

nelle varie stagioni.

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Campotosto Val Chiarino

Grafico 6.14 – Indice di frammentazione dei due gruppi

di cerve nelle varie stagioni.

Nei grafici 6.15 e 6.16 vengo mostrati rispettivamente gli indici di ecotono e di rugosità.

I due indici si presentano abbastanza simili in tutte e due le aree nelle diverse stagioni

- 73 -

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0

1

23

4

5

6

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Campotosto Val Chiarino

Grafico 6.15 – Indice di ecotono dei due gruppi

di cerve nelle varie stagioni.

00,0020,0040,0060,0080,01

0,012

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Inve

rno

Prim

avera

Estate

Autunn

o

Campotosto Val Chiarino

Grafico 6.16 – Indice di rugosità dei due gruppi

di cerve nelle varie stagioni.

Vegetazione

La core area (KHR50%), è stata sovrapposta alla carta (scala 1:25000) della vegetazione

del Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga per valutare l’uso dell’habitat. Le

core area degli 11 cervi ricadono tutte in 35 tipologie vegetazionali naturali più 3 ambienti

antropizzati (seminativo in rotazione, urbanizzato, diga), come illustrato in Allegato III.

- 74 -

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9%

2%

2%

2%

4%

7%

8%

60%

6%

Altro

RIMB

CER2

CAR2

CAR4

CER1

GIN2

FAG1

GIN1

Grafico 6.17 – Percentuali di associazioni vegetali utilizzate nel corso dell’anno da tutti i cervi

(Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con ginestra dei carbonai = GIN2; Arbusteto

di ginepro emisferico e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo, acidofilo di faggio = FAG1;

Bosco di cerro e citiso trifloro con acero a foglie ottuse = CER1; Bosco di cerro e citiso trifloro =

CER2; Bosco basifilo di carpino nero = CAR2; Bosco subacidofilo di carpino nero = CAR4;

Rimboschimento a Pinus nigra = RIMB).

Dal grafico 6.17 si può notare come la quasi totalità dello spazio utilizzato dai cervi,

circa il 90 %, ricada in 8 tipologie vegetazionali. Il bosco termofilo, acidofilo di faggio

(associazione: Dactylorhyzo-Fagetum sylvaticae, FAG1) costituisce l’associazione

vegetale più frequentata dai cervi nel corso dell’anno con circa il 60 % di utilizzo. Nel 9 %

indicato nel grafico 6.17 con ALTRO sono comprese le altre 30 tipologie vegetazionali

illustrate in allegato III.

Raggruppando le cerve nei due grandi areali di Campotosto e Val Chiarino e valutando

lo sfruttamento del territorio in funzione delle stagioni, è possibile notare come anche in

questo caso l’associazione vegetale più utilizzata sia nel complesso FAG1.

I cervi di Campotosto nel corso dell’anno hanno frequentato in prevalenza tre tipi

vegetazionali (Grafico 6.18), arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con

ginestra dei carbonai (GIN2), arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune (GIN1) e

bosco termofilo, acidofilo di faggio (FAG1).

- 75 -

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23%

19%

5%

33%

3%2%

2%7%

3% 3% GIN1

GIN2

CAR4

FAG1

ERBA

PASC

PRA5

RIMB

Altro

PRA6

Grafico 6.18 – Associazioni vegetali utilizzate dalle cerve di Campotosto nel corso dell’anno

(Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con ginestra dei carbonai = GIN2; Arbusteto

di ginepro emi. e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo, acidofilo di faggio = FAG1;

Rimboschimento sempreverde a Pinus nigra = RIMB, Prateria densa a cervino con festuca

mediterranea = PRA6; Prateria a trifoglio bianco e covetta dei prati = PRA5; Formazione

erbacea a falasco rupestre = ERBA; Pascolo ad astragalo spinoso e sesleria dei macereti =

PASC; Bosco subacidofilo di carpino nero = CAR4).

Nel grafico 6.19 vengono mostrate le associazioni vegetali utilizzate nel corso delle

stagioni dalle cerve di Campotosto. Si evidenzia una differente frequentazione del territorio

a seconda delle stagioni ed in particolare, oltre alle 3 tipologie vegetazionali evidenziate

anche dal grafico 6.18, si può notare come in estate aumenti la percentuale di utilizzo del

bosco subacidofilo di carpino nero (Associazione: Cephalanthero damasoni-Ostryetum

carpinifoliae, CAR4) ed solo in autunno le cerve non utilizzino i rimboschimenti

sempreverde a Pinus nigra (RIMB).

- 76 -

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0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

Ha

Inverno Primavera Estate Autunno

GIN1 GIN2 CAR4 FAG1 ERBA PASC PRA5 PRA6 RIMB Altro

Grafico 6.19 – Ettari di associazioni vegetali utilizzati nel corso delle stagioni dalle cerve di

campotosto (Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con ginestra dei carbonai =

GIN2; Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo, acidofilo di

faggio = FAG1; Rimboschimento a Pinus nigra = RIMB, Prateria densa a cervino con festuca

mediterranea =PRA6; Prateria a trifoglio bianco e covetta dei prati = PRA5; Formazione erbacea

a falasco rupestre = ERBA; Pascolo ad astragalo spinoso e sesleria dei macereti = PASC; Bosco

subacidofilo di carpino nero = CAR4).

- 77 -

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Il grafico 6.20 mostra le associazioni vegetali utilizzate dalle cerve della Val Chiarino nel

corso dell’anno. In Val Chiarino in maniera più marcata rispetto a Campotosto, le cerve

utilizzano un solo tipo di vegetazione, il bosco termofilo, acidofilo di faggio (FAG1) e solo

in maniera esigua altre associazioni vegetazionali (15%).

1% 4% 4%

85%

1% 5%

Altro

GIN1

CER1

FAG1

PRA8

CER2

Grafico 6.20 – Associazioni vegetali utilizzate dalle cerve della Val Chiarino nel corso dell’anno

(Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo, acidofilo di faggio

= FAG1; Bosco di cerro e citiso trifloro con acero a foglie ottuse = CER1; Bosco di cerro e citiso

trifloro = CER2; Prateria mesofila a fienarola delle Alpi e festuca mediterranea = PRA8).

L’utilizzo della vegetazione durante le stagioni (Grafico 6.21) è ancora legato in

maniera vistosa all’associazione bosco termofilo, acidofilo di faggio (FAG1) e solo

marginalmente in primavera ed estate si nota uno spostamento verso il bosco di cerro e

citiso trifloro con acero a foglie ottuse (Associazione: Cytiso villosae-Quercetum cerris,

CER1). Le cerve utilizzano la prateria mesofila a fienarola delle Alpi e festuca

mediterranea (PRA8) nelle varie stagioni ad eccezione dell’inverno.

- 78 -

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0

100

200

300

400

500

600

700

800

Ha

Inverno Primavera Estate Autunno

Altro GIN1 CER1 CER2 FAG1 PRA8

Grafico 6.21 – Ettari di associazioni vegetali utilizzati nel corso delle stagioni dalle cerve della

Val Chiarino (Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo,

acidofilo di faggio = FAG1; Bosco di cerro e citiso trifloro con acero a foglie ottuse = CER1;

Bosco di cerro e citiso trifloro = CER2; Prateria mesofila a fienarola delle Alpi e festuca

mediterranea = PRA8).

Movimenti altitudinali

Le core area frequentate dai cervi si trovano in ambiente montano quasi tutte sopra i

1000 metri s.l.m. (Grafico 6.22). Solo, per i 6 mesi in cui è stato monitorato, è il cervo che

ha frequentato le zone più in quota arrivando sopra i 1900 metri s.l.m. e non scendendo

- 79 -

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sotto i 1400 metri s.l.m. che peraltro è la quota a cui si trova il lago di Campotosto che

caratterizza l’area. La cerva Berta ha utilizzato un’area periferica del parco, trovandosi

spesso anche al di fuori di esso; è stato l’unico cervo che ha visitato aree più collinari, in

particolare intorno l’abitato di Fano Adriano. Le 6 cerve della Val Chiarino hanno preferito

rimanere in questa valle tra i 1000 metri s.l.m. e le praterie sopra il limite del bosco. La

core area della cerva Primavera presenta il dislivello maggiore tra altezza massima e

altezza minima arrivando a 1150 metri; questa cerva ha frequentato sia l’area i Campotosto

che l’area collinare intorno il fiume Vomano.

0

200

400

600

800

1.000

1.200

1.400

1.600

1.800

2.000

2.200

Chi

ara

Ang

i

Rin

a

Pao

la

Sar

a

Pie

ra

Ber

ta

Tost

aPrim

aver

a

Sol

o

Mizio

Met

r Minima

Massima

Media

Grafico 6.22 – Quote core area.

Il gruppo delle femmine di Campotosto ha mostrato uno spostamento in senso

altitudinale nel corso delle stagioni (Grafico 6.23). La core area autunnale è situata nel

fascia montana più alta fino ai 1900 metri s.l.m. con quote medie intorno ai 1600 metri

s.l.m., mentre in inverno ed in primavera le cerve sono rimaste intorno i 1400 metri s.l.m..

In estate le cerve si sono mosse di più in senso altitudinale arrivando ai 1800 metri s.l.m. e

scendendo fino agli 800 metri s.l.m.; quest’ultimo dato e riferibile alla cerva Primavera che

in questa stagiona ha temporaneamente abbandonato l’area di Campotosto per passare il

periodo estivo nell’area del Vomano.

- 80 -

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0

200

400

600

800

1.000

1.200

1.400

1.600

1.800

2.000

Inverno Primavera Estate Autunno

Met

riMinima

Massima

Media

Grafico 6.23 - Quote core area stagionali delle cerve di Campotosto.

Le cerve presenti in Val Chiarino sono rimaste in primavera, estate, inverno nelle valli

più basse mentre in autunno si sono spostate fino i 1600 metri s.l.m. (Grafico 6.24). In

primavera si sono spostate in un intervallo altitudinale più grande dai 1000 ai 1750 metri

s.l.m. confermando che in questa stagione hanno compiuto le distanze più elevate.

800

900

1.000

1.100

1.200

1.300

1.400

1.500

1.600

1.700

1.800

1.900

Inverno Primavera Estate Autunno

Met

ri

Minima

Massima

Media

Grafico 6.24 - Quote core area stagionali delle cerve della Val Chiarino.

Neve I dati raccolti in questo studio non mostrano una relazione tra i rilevamenti con neve al

suolo e quelli in cui il suolo era scoperto. Va tenuto conto che l’inverno 2007 si è distinto

per le temperature costantemente sopra la media e per precipitazioni nevose alquanto

scarse rispetto agli stessi periodi degli anni precedenti. Anche tra fine autunno e l’inizio

dell’inverno 2008 non si sono registrate precipitazioni nevose importanti.

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CAPITOLO 7

DISCUSSIONI

Le core areas annuali sono state calcolate con il metodo di kernel al 50%; questa scelta

è stata fatta considerando che nel presente studio è stato raccolto un numero consistente di

rilevazioni e la scelta di ridurre al 50% i fix sembra essere un buona soluzione per poter

escludere dagli home range tutte quelle rilevazioni marginali che potrebbero fornire un

elevato grado di errore nel rappresentare l’area più frequentata dai cervi. Inoltre, appena

reintrodotti, i cervi tendono ad esplorare di più il territorio; cosi l’utilizzo delle core areas

ha permesso di ottenere risultati maggiormente attendibili. Come anche dimostrato nello

studio di Anderson et al. (2005) le dimensioni degli HR sono inversamente proporzionali

alla densità di popolazione; di conseguenza con un numero di fix maggiore del 50%, i

movimenti potrebbero far includere aree poco utilizzate nella selezione delle core areas. In

genere negli altri lavori, gli home range sono stati calcolati con il metodo di kernel al 90%

o al 95%. Detto ciò il confronto tra studi può non essere sempre facile, d'altronde la

difformità nella scelta della percentuale di fix è da considerare uno dei limiti della Kernel

Analysis.

Le dimensioni degli home range trovati in questo studio, confrontate tra i due sessi,

sono in accordo con quelle rilevate in un altro studio e discordanti con diversi altri studi. In

questo lavoro gli home range delle femmine sono risultati maggiori rispetto a quelli dei

maschi. I confronti sono supportati da un buon livello di significatività (P < 0,01). Anche

nel lavoro di Clutton-Brock et al. (1982) vengono illustrati gli stessi risultati. Al contrario

in numerose ricerche (Carranza et al., 1991; Luccarini & Mauri, 2000; Cederlund & Sand,

1994; Perco, 1986) i maschi hanno home range notevolmente più grandi delle femmine.

I maschi, nel confronto con le femmine, hanno evidenziato una motilità decisamente

minore nelle stagioni considerate (inverno e primavera), rimanendo per tutta la durata della

raccolta dei dati sempre nello stesso areale. Mancano per entrambi i cervi maschi le

rilevazioni durante il periodo del bramito, fase dell’anno in cui si muovono per raggiungere

i quartieri riproduttivi. Il cervo Mizio ha comunque, presumibilmente, passato anche

questo periodo nella core area individuata, considerato che, il 28 settembre, data in cui il

cervo ha perso il collare, i cervi hanno i genere già individuato il loro territorio

riproduttivo.

Le aree dei cervi maschi presentano minori indici di ecotono rispetto a quelli delle

femmine, indicando come questi si adattano a zone con basse percentuali di habitat

marginale. L’habitat ecotonale è invece per le femmine indispensabile probabilmente

perchè queste necessitano di un’alimentazione maggiormente differenziata specie nel

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periodo riproduttivo. Ciò è confermato anche dalla preferenza delle cerve femmine per

aree con un alto livello di diversità ambientale, condizione non richiesta dai maschi.

Gli home range delle femmine calcolati in questa tesi si mostrano in linea con quelli di

altri lavori: Debeljak et al. (2001), hanno trovato un home range per due femmine

rispettivamente di 544 ha e di 468 ha; Carranza et al. (1991) hanno rilevato un home range

medio delle femmine di circa 250 ha, valore peraltro individuato anche in Danimarca da

Jeppesen (1987). Risultati simili sono stati trovati in altri studi: Perco (1986) rileva HR

medi femminili di 400 ha, in generale la metà di quelli dei maschi, e Catt & Staines (1987)

individuano home range femminili tra i 400 e i 1000 ha. La cerva Berta ha l’home range

più piccolo; quest’area presenta una diversità ambientale maggiore rispetto a tutti gli altri

cervi. In accordo con Anderson et al. (2005), l’home range degli ungulati è minore in aree

ad alta diversità ambientale.

Le dimensioni degli home range individuate attraverso il metodo del minimo poligono

convesso sono maggiormente confrontabili rispetto a quelle ottenute con le core areas;

infatti, i poligoni così rappresentati forniscono un dato assoluto includendo tutti i

rilevamenti. In alta Val di Susa nello studio condotto da Luccarini & Mauri (2000), in cui

sono stati rilasciati 10 cervi con radiocollare (6 ♀;), l’home range annuale medio

individuale delle femmine, pari a 1000 ha (HR 95%), risulta essere molto inferiore a quello

individuato in questo studio. Nello stesso lavoro gli HR dei maschi presentano valori

compresi tra i 900 e i 2000 ha. I cervi adulti delle Haute Ardenne, presentano home range

medi, calcolati attraverso il MPC, di 666 ha con HR minimo di 156 ha e massimo di 2664

ha (Licoppe, 2006). Anche il valore massimo di quest’ultimo lavoro si mostra inferiore a

quello medio rinvenuto nel presente studio.

Probabilmente i motivi che hanno portato all’individuazione di core areas con

estensione maggiore rispetto ad altri studi sono le seguenti:

1. nell’area di studio sono presenti densità molto basse. Le dimensioni degli HR sono

inversamente proporzionali alla densità di popolazione (Anderson et al., 2005);

2. le cerve della Val Chiarino si trovano in un’area estesa con una grande superficie

boschiva, che offre tranquillità e rifugio, ma potrebbe risultare carente in alcune

categorie alimentari, come evidenziato anche nell’analisi della diversità ambientale.

Lo dimostrano i frequenti spostamenti “esplorativi” delle cerve che si muovono

nelle aree prossimali la valle, e tornano dopo alcuni giorni. Questo è in accordo con

quanto descritto da Anderson et al. (2005), i quali hanno rilevato che i cervi

preferiscono aree con boschi non troppo estesi, caratterizzati da buona

frammentazione ed aree ecotonali; in queste realtà gli home range sono di

dimensioni inferiori. In Val Chiarino la bassa percentuale di ecotono e di diversità

ambientale spinge i cervi ad ampliare i propri areali;

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3. le cerve di Campotosto, Primavera e Tosta, si trovano in un’area con una diversità

ambientale maggiore rispetto alla Val Chiarino. Tuttavia queste femmine si sono

rivelate fin dai primi giorni della reintroduzione due cerve definite “migratrici”

(Luccarini et al., 2006). In particolare la cerva Primavera ha percorso circa 40 km

prima di arrivare nell’area di Campotosto. Entrambe le cerve si sono spostate, per

un periodo dell’estate e della primavera, anche nell’area del Vomano oltrepassando

i Monti della Laga. In queste due stagioni nell’area di Campotosto aumenta il

disturbo antropico, con l’arrivo di greggi di pecore con cani al seguito e con alcune

attività umane come il campeggio e gli sport intorno il lago;

4. le core areas in questa tesi sono state ricavate utilizzando un numero cospicuo di

rilevazioni, non è sempre accaduto lo stesso negli altri studi. Questa differenza di

fix può spiegare il fatto che le core areas individuate nel presente lavoro siano, in

termini di dimensioni, comparabili con gli HR degli altri studi, realizzati con kernel

differente. È possibile giungere ad una considerazione identica anche per gli home

range individuati attraverso il MPC.

Le core areas stagionali sono state calcolate per le femmine presenti nei due grandi

comprensori. A Campotosto le dimensioni maggiori sono state raggiunte in estate, stagione

che anche in altri studi (Clutton-Brock et al., 1982; Luccarini et al., 2006; Koubek P. & V.

Hrabe, 1990) presenta i valori più alti. Queste cerve hanno compiuto spostamenti verso la

Val Vomano, lasciando l’area di Campotosto, in estate ed in primavera, in maniera minore

in inverno, e mai in autunno. L’abbandono dell’area principale in estate può esser stata

causata dal disturbo antropico. In inverno la copertura nevosa fa sì che gli animali si

concentrino nelle zone più basse dell’altopiano di Campotosto, in quanto la neve aumenta il

dispendio energetico, limita l’accesso al foraggio e rende più vulnerabili gli animali

(Luccarini et al., 2006). Questo dato non è riferibile alla cerva Primavera che si è spostata

in un’area diversa da quella di Campotosto a quote inferiori in estate; questo spostamento

potrebbe essere riconducibile al disturbo antropico presente nell’area intorno al lago,

disturbo che ha raggiunto il culmine nel mese di agosto. La cerva Primavera tra i cervi

seguiti è quella che più si è spostata nel corso dell’anno, tanto da poter parlare di cervo

migratore. Secondo Luccarini et al. (2006), i cervi considerati migratori raggiungono quote

più elevate dei cervi stanziali. Gli spostamenti fino ai 2000 metri s.l.m. della cerva

Primavera confermano quanto affermato da questi autori.

Le cerve della Val Chiarino in linea con quanto riportato in altri studi (Palmer &

Truscott, 2003; Luccarini et al., 2006; Debeljak et al., 2001; Pepin et al., 2008) in inverno

hanno frequentato aree a quote inferiori rispetto ai mesi estivi. L’autunno è la stagione in

cui le cerve hanno frequentato le aree più in quota, presso il limite superiore del bosco.

Questo spostamento è evidente in tutti e due i gruppi di femmine. La Val Chiarino è una

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valle che soddisfa tutte le esigenze dei cervi, ma le radure per il pascolo sono presenti in

numero ridotto e verso la fine della stagione estiva le erbe, a partire dalle quote più basse,

tendono a seccarsi e i cervi seguono questo trend spostandosi più in quota (Pepin et al.,

2008). Questa strategia può essere quindi spiegata con cambiamenti qualitativi e

quantitativi delle risorse di foraggio nel corso dell’anno (Pepin et al., 2008; Langvtan &

Albon 1986; Garrott et al. 1987). Le cerve di Campotosto in autunno si sono spostate nei

pascoli più in quota approfittando anche del fatto che la neve in questa stagione non è mai

caduta, mentre in primavera a causa dell’innevamento presente nell’area, hanno frequentato

le più basse quote come in inverno. L’altezza della neve al suolo è un fattore limitante per

il cervo (Pepin et al., 2008). Verosimilmente le cerve della Val Chiarino e in misura meno

marcata quelle di Campotosto, poiché già presenti nel resto dell’anno a quote elevate,

tendono a salire sui pascoli sopra il limite del bosco e a passare qui la prima parte

dell’autunno, trovando migliore foraggio. Lo spostamento in quota nella stagione autunnale

può essere anche il risultato delle interazioni sessuali con i maschi, che spingono le cerve

femmine negli alti quartieri riproduttivi.

Per i cervi di Campotosto la core area invernale è sovrapponibile a quella della

primavera. In queste stagioni le cerve utilizzano le aree prossime al lago, alle quote più

basse del comprensorio, situate nelle vicinanze dei paesi di Mascioni e Campotosto. Nelle

suddette stagioni le attività umane sono pressoché inesistenti. La core area estiva è

sovrapponibile per buona parte a quella autunnale salvo movimenti nella prima stagione

verso il basso Vomano. In Val Chiarino il gruppo delle sei cerve presenta core areas

stagionali parzialmente sovrapposte, situate tutte nella stessa porzione della valle. La

dimensione della core area primaverile è influenzata dai continui spostamenti di tutti gli

individui; le femmine, come l’anno precedente (Riganelli com. pers.), si spostano nell’area

ai piedi del monte Corvo, limitrofa alla Val Chiarino, per trovare luoghi dove partorire.

Queste zone presentano un elevato numero di specie vegetali che forniscono un apporto

nutritivo maggiore, utile nel periodo dell’allattamento. Il disturbo antropico però aumenta

in quest’area all’inizio dell’estate con l’arrivo di escursionisti, ciclisti e greggi con cani al

seguito. Cosi come accaduto anche negli anni precedenti questo studio (Riganelli, 2004), in

estate le cerve tornano nell’area della Valle del Chiarino. A fine autunno ed in inverno le

core areas stagionali si fanno più concentrate poiché gli animali non abbandonano mai la

porzione più bassa della valle, presumibilmente a causa dell’innevamento delle quote

superiori. In tutte le stagioni le cerve della Val Chiarino soddisfano in un’area circoscritta

le proprie esigenze.

I maggiori spostamenti delle femmine avvengono in primavera rispetto alle altre

stagioni, e sono da ricondurre alla necessità degli individui di localizzare aree idonee al

parto. Le cerve nell’arco nell’anno, comunque, si spostano con regolarità dal centro della

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Val Chiarino, costituita per l’85% da una copertura omogenea di bosco ad alto fusto di

faggio, verso la periferia della valle, in cui è presente una copertura vegetale più ricca e

idonea all’alimentazione.

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Ringraziamenti

Il primo ringraziamento è per l’ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e

all’ufficio del servizio scientifico che mi ha dato la possibilità di vivere una

indimenticabile esperienza. In particolare vorrei ringraziare la dott.sa Nicoletta Riganelli

che mi ha seguito in ogni fase del lavoro e Carlo, Federico e Umberto con cui ho passato

dei bei momenti. Sono grato al prof. Andrea Brusaferro per l’insegnamento continuo e per

i preziosi consigli che mi ha fornito.

Ringrazio la mia famiglia per avermi sempre supportato. Infine ringrazio Ilaria, i cervi e le

montagne.

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Allegati

I - Distribuzione di tutti i fix.

II - Core areas annuali di tutti i cervi

III – Legenda delle associazioni vegetali ed ambienti utilizzati dai cervi.

IV – Distribuzione dei fix in base alla stagione delle cerve di Campotosto.

V – Distribuzione dei fix in base alla stagione delle cerve di Val Chiarino.

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Allegato I

TERAMO

L'AQUILA

RIETI

Legenda

Angi Berta

Chiara Mizio Paola

Piera

±Primavera Rina

Sara Solo 0 1.610 3.220 4.830 6.440805

MetersTosta confini provincie

Allegato I - Distribuzione di tutti i fix.

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TERAMO

L'AQUILA

RIETI

0 1.920 3.840 5.760 7.680960Meters

96

Allegato II

Allegato II - Core area annuali di tutti i cervi.

±

Legenda

Confini provincie Primavera Sara

Rina

Solo

Tosta

Piera

Paola

Mizio

Chiara

Berta

Angi

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Allegato III

Vegetazione Codice

Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune. Associazione: Juniperetum communis-hemisphaericae GIN1

Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con ginestra dei carbonai. Associazione: Juniperetum communis-

hemisphaericae GIN2

Boscaglia rupestre a leccio. Aggr. a Quercus ilex LECC

Bosco basifilo di carpino nero e carpino orientale. Associazione: Scutellario columnae-Ostryetum carpinifoliae CAR1

Bosco basifilo di carpino nero. Associazione: Scutellario columnae-Ostryetum carpinifoliae subass. violetosum

reichenbachianae CAR2

Bosco di abete bianco e faggio. Associazione: Cirsio erisithales-Abietum albae ass. nova ABET

Bosco di castagno. Associazione: Melampyro italici-Castanetum sativae CAST

Bosco di cerro e citiso trifloro con acero a foglie ottuse. Associazione: Cytiso villosae-Quercetum cerris CER1

Bosco di cerro e citiso trifloro. Associazione: Cytiso villosae-Quercetum cerris ass. nova subass. cytisetosum villosae CER2

Bosco di pioppo tremulo. Associazione: Melico uniflorae-Populetum tremulae PIOP

Bosco di roverella con citiso a foglie sessili. Associazione: Cytiso sessilifoliae-Quercetum pubescentis ROV1

Bosco di roverella e quercia virgiliana con carpino orientale. Associazione: Quercetum pubescentis-virgilianae ROV2

Bosco di roverella e quercia virgiliana. Associazione: Quercetum pubescentis-virgilianae ROV3

Bosco mesofilo di cerro e acero di monte. Associazione: Listero ovatae-Quercetum cerridis CER3

Bosco ripariale a rovo e salice bianco. Associazione: Rubo ulmifolii-Salicetum albae Allegrezza RIPA

Bosco subacidofilo di carpino nero con citiso villoso. Associazione: Cephalanthero damasoni-Ostryetum carpinifoliae CAR3

Bosco subacidofilo di carpino nero. Associazione: Cephalanthero damasoni-Ostryetum carpinifoliae CAR4

Bosco termofilo, acidofilo di faggio. Associazione: Dactylorhyzo-Fagetum sylvaticae FAG1

Bosco termofilo, neutro-basifilo di faggio. Associazione: Lathyro veneti-Fagetum sylvaticae FAG2

Diga DIGA

Formazione erbacea a falasco rupestre. Aggr. a Brachypodium rupestre ERBA

Mosaico delle praterie palustri: Phragmitetum australis, Caricetum gracilis, Eleocharitetum palustris, Glycerietum

plicatae, Mentho longifoliae-Juncetum inflexi PALU

Pascolo ad astragalo spinoso e sesleria dei macereti. Associazione: Astragalo sempervirentis-Seslerietum nitidae PASC

Prateria a carlina zolfina e sesleria dei macereti. Associazione: Carlino acanthifoliae-Seslerietum nitidae PRA1

Prateria a covetta dei prati e colchico portoghese. Associazione: Colchico lusitani-Cynosuretum cristati PRA9

Prateria a forasacco comune e fiordaliso bratteato con falasco rupestre. Associazione: Centaureo bracteatae-Brometum

erecti PRA2

Prateria a forasacco comune e fiordaliso bratteato. Associazione: Centaureo bracteatae-Brometum erecti PRA3

Prateria a forasacco comune e sonaglini comuni. Associazione: Brizo mediae-Brometum erecti PRA4

Prateria a forasacco e stellina purpurea. Associazione: Asperulo purpureae-Brometum erectiastragaletosum PRA0

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98

sempervirentis

Prateria a trifoglio bianco e covetta dei prati. Associazione: Cynosuro cristati-Trifolietum repentis PRA5

Prateria densa a cervino con festuca mediterranea. Associazione: Poo violaceae-Nardetum strictae PRA6

Prateria discontinua a cornetta minima e astragalo rosato. Associazione: Coronillo minimae-Astragaletum

monspessulani PRA7

Prateria mesofila a fienarola delle Alpi e festuca mediterranea. Associazione: Poo alpinae-Festucetum

circummediterraneae PRA8

Rimboschimento sempreverde a Pinus nigra RIMB

Seminativo in rotazione SEMI

Urbanizzato URBA

Vegetazione a felce aquilina. Aggr. a Pteridium aquilinum FELC

Vegetazione arbustiva a ginepro rosso e comune. Associazione: Juniperetum oxycedri-communis ass. nova GIN3

Allegato III – Legenda delle associazioni vegetali ed ambienti utilizzati dai cervi.

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Allegato IV

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Legenda

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0 2.210 4.420 6.630 8.8401.105Meters

Allegato IV – Distribuzione dei fix in base alla stagione delle cerve di Campotosto.

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±Allegato V – Distribuzione dei fix in base alla stagione delle cerve della Val Chiarino.

0 2.210 4.420 6.630 8.8401.105Meters

Allegato V

Legenda

Autunno

d Inverno

XWPrimavera

k Estate

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