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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAMERINO
Facoltà di Scienze e Tecnologie Classe 82/S
Gestione dell’ambiente naturale e delle aree protette
A
Dipartimento di Biologia Molecolare, Cellulare, Animale
IL RADIOTRACKING DEL CERVO NEL PARCO NAZIONALE
DEL GRAN SASSO – MONTI DELLA LAGA
Tesi Sperimentale di Laurea
in Metodi di Rilevamento e Censimento della Biodiversità
nimale
Specializzando: Relatore: Marco Bonanni Dott. Andrea Brusaferro Dott.ssa Nicoletta Riganelli
Anno Accademico 2006/2007
INDICE
Introduzione…………………………………………………………………………………3
1. Sistematica e cenni di ecologia e biologia………………………………………...……4
2. Le immissioni faunistiche: la reintroduzione………………………………….…....….7
2.1. Le immissioni faunistiche………………………………………….……….7
2.2. Aspetti generali…………………………………….………………...….….9
2.3. La reintroduzioni in Italia………………………………………..….......…11
2.3.1. Reintroduzioni del cervo in Appennino ……………….……….....12
3. Area di studio…………………………………………………………………….…....15
3.1. Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga…………….……...15
3.1.1. Aree con accertata presenza del cervo…………………………….16
3.1.1.1. Valle del Vomano………………………………………….16
3.1.1.2. Monti della Laga e lago di Campotosto…………………...17
3.1.1.3. Val Chiarino……………………………………………….19
3.1.2. Aspetti faunistici………………………………………………..…19
4. Oggetto dello studio…………………………………………………………………..21
4.1. Presenza storica ed attuale del cervo in Italia……………………………..21
4.2. La reintroduzione nel Parco Nazionale del Gran Sasso e
Monti della Laga………………………………………………………..…24
4.2.1. Dati sulla reintroduzione………………………….…………….…24
4.2.2. Obiettivi della reintroduzione………………………….……….….28
4.2.3. Osservazioni generali…………………………………………..….30
5. Materiali e metodi………………………………………………………….………….33
5.1. Il Radio-Tracking………………………………………………………….33
5.2. Attrezzatura utilizzata……………………………………………….……..36
5.3. Monitoraggio………………………………………………………………39
5.4. Metodi di elaborazione dei dati……………………………………………45
6. Risultati………………………………………………………………………………..49
7. Discussioni………………………………………………………………………….…81
Bibliografia………………………………………………………………………………...86
Ringraziamenti…………………………………………………………………………….92
Allegati…………………………………………………………………………………….93
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INTRODUZIONE
In tutto il mondo le comunità biologiche, che hanno impiegato milioni di anni per
evolversi, sono fortemente minacciate dall’azione dell’uomo. Mai prima d’ora era capitato
che tante specie si avvicinassero alla soglia di estinzione in così breve tempo.
Creare aree protette per la salvaguardia della diversità biologica può non essere
sufficiente ad interrompere questo declino.
Tra gli esseri viventi che più hanno sofferto l’azione umana vi sono senza dubbio gli
ungulati, per i quali il conseguimento di una gestione pianificata con criterio risulta
prioritaria. Il cervo (Cervus elaphus Linnaeus, 1758) è specie naturalmente caratteristica
del bosco rado e delle praterie cespugliose, tuttavia, fin dal Medioevo, la necessità di
escluderlo dalle aree coltivate ne ha fatto un animale di foresta. La progressiva
frammentazione degli habitat, la diffusione capillare dell’agricoltura, la drastica riduzione
delle grandi coperture boschive, ne hanno causato l’estinzione in quasi tutta Italia.
A partire dal 2004 è iniziato il progetto di reintroduzione dei cervi nel Parco del Gran
Sasso e dei Monti della Laga. L’importanza di tale intervento si colloca in una più ampia
strategia che ha come obiettivo il ripristino sul territorio di popolazioni di cervi un tempo
presenti. Questa immissione, insieme a quella effettuata nel Parco Nazionale dei Monti
Sibillini, segue numerose altre reintroduzioni avvenute dapprima nell’Appennino
settentrionale e successivamente in quello meridionale. Le reintroduzioni in Appennino
centrale assumono un significato ancora maggiore considerando che la riuscita di questi
interventi può garantire la sopravvivenza delle popolazioni presenti nel resto del territorio
italiano fornendo una connessione tra nuclei distanti. Inoltre la ricostruzione della
zoocenosi originaria contribuisce al miglioramento degli equilibri esistenti negli
ecosistemi.
Questo studio si inserisce in un più vasto progetto di gestione delle popolazioni
immesse che, nel corso del tempo, deve monitorare tutte le varie fasi conseguenti la
reintroduzione. Indagare sull’area che gli animali utilizzano e comprendere le dinamiche di
spostamento all’interno dell’area protetta individuando i corridoi frequentati, sono
operazioni che possono essere intraprese solo attraverso un lavoro di monitoraggio che
utilizzi una tecnica, seppur dispendiosa dal punto di vista delle energie e dei costi, come il
radiotracking. Nell’anno trascorso l’attività di monitoraggio ha proseguito quella iniziata
negli anni precedenti, garantendo continuità temporale e fornendo una serie di
informazioni utili per i futuri programmi di gestione della fauna selvatica.
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CAPITOLO 1 SISTEMATICA E CENNI DI ECOLOGIA E BIOLOGIA
Regno: Animale
Phylum: Cordati
Subphylum: Vertebrati
Classe: Mammiferi
Superordine: Ungulati
Ordine: Artiodattili
Sottordine: Ruminanti
Famiglia: Cervidi
Genere: Cervus
Specie: Cervus elaphus Linnaeus, 1758
Sottospecie italiane :
Cervus elaphus elaphus Linnaeus, 1758.
Cervus elaphus corsicanus Erxleben, 1777.
Il cervo (Cervus elaphus L., 1758) è un mammifero ruminante artiodattilo ed è il più
grande ungulato della fauna selvatica italiana. La lunghezza media del corpo (testa-radice
della coda) nei maschi adulti europei è normalmente compresa tra i 190 e i 205 cm, mentre
nelle femmine adulte si aggira sui 165 - 180 cm (Boitani et al., 2003). Il peso corporeo nei
maschi adulti è compreso tra i 160 e i 220 kg; nelle femmine adulte si attesta sui 90-120
kg. Il manto estivo è prevalentemente rossiccio; la testa e la parte ventrale del collo sono
grigiastre. La parte interna delle zampe, il petto, il ventre sono di colore biancastro. Le
zampe appaiono grigiastre (Boitani, Lovari, Vigna Taglianti, 2003). Il manto invernale è
bruno, bruno-grigiastro; nel maschio si sviluppa una folta criniera golare. I maschi adulti
presentano palchi cilindrici ramificati; il peso del palco varia trai 3,5 e i 6 kg. Questo viene
perduto tra la fine dell’inverno (esemplari anziani) e l’inizio della primavera (esemplari
subadulti e giovani).
Il cervo vive in ambienti molto diversificati, sia per clima che per vegetazione ed
altitudine. È presente in Italia, dalla macchia mediterranea fino alle praterie montane, con
netta prevalenza per boschi di media ed alta montagna, sia in presenza di conifere che di
latifoglie, preferendo tuttavia quest’ultime. Predilige ambienti ecotonali.
È una specie versatile, capace di adattare e modificare le necessità trofiche in funzione
dell’ambiente in cui vive. Secondo Hofmann (1985) il cervo è un pascolatore selettivo di
tipo intermedio, cioè un erbivoro con possibilità di passare dalla nutrizione tipica del
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brucatore (foglie di arbusti, di cespugli e di piante legnose) a quella di pascolatore puro
(erbe di prato anche coriacee, foraggi). Il pascolo (10-12 ore), la ruminazione (5-6 ore) e il
riposo (2- 4 ore) si alternano durante la giornata. Un cervo adulto ingerisce mediamente
ogni giorno una quantità di vegetali pari a 10 - 15 kg (Mattioli & Nicolosio, 2002) .
Il cervo è una specie gregaria che trova nel branco una maggior protezione nei confronti
dei pericoli, una
collaborazione nella
ricerca del cibo e nelle
cure parentali. L’unità
principale è il gruppo
familiare: più femmine
imparentate possono
riunirsi a formare
branchi guidati da
femmine dominanti.
Figura 1.1 – Cervo maschio marcato.
Il cervo possiede capacità per comunicare abbastanza sviluppate, necessarie per
un’intensa vita sociale. Il verso più noto è il bramito, esclusivo dei maschi e presente
soprattutto negli adulti (Boitani, Lovari, Vigna Taglianti, 2003). È udibile dalla seconda
metà dell’estate alla prima metà dell’inverno e caratterizza la stagione riproduttiva
autunnale. Le contese vocali permettono di valutare il rango degli altri cervi maschi e se i
due animali sono di taglia comparabile possono avvenire lotte con i palchi, precedute da
studio dell’avversario tramite caratteristiche marce parallele (Boitani, Lovari, Vigna
Taglianti, 2003).
Il sistema di accoppiamento adottato dal cervo è la poligamia con difesa delle femmine.
Il maschio, abbandonato il branco degli altri giovani, raggiunge le aree degli amori, dove
costruisce il suo harem di femmine. In questo periodo manifesta atteggiamenti di
esibizione: si rotola nel fango, si spruzza urina, scorna la vegetazione, raspa il terreno con
gli zoccoli e bramisce. I cerbiatti nascono dopo circa 8 mesi di gestazione, tra la metà di
maggio e la metà di giugno.
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Tabella 1.1 – Caratteristiche riproduttive del cervo (Boitani et al., 2003 mod.).
PERIODO DEGLI
ACCOPPIAMENTI
Settembre-ottobre
(il 75-80% delle femmine in 2-3 settimane)
CICLO ESTRALE 18 giorni
RICETTIVITÁ 12-24 ore
GESTAZIONE In media 234-236 giorni
PARTI Maggio-giugno
NATI 1 piccolo (i parti gemellari <1%)
PESO ALLA NASCITA 7-10 Kg
SVEZZAMENTO Intorno ai sei mesi
La longevità massima in natura si situa intorno ai 17-18 anni con rari casi fino a 24 anni
(Boitani, Lovari, Vigna Taglianti, 2003) .
Il cervo nobile è una specie ad amplissimo areale con adattamenti all’ambiente molto
diversificati.
È una specie a distribuzione olartica originariamente diffusa in Gran Bretagna,
nell’Europa continentale, dalla penisola iberica al Caucaso, sull’Atlante in Nordafrica, in
Asia Minore, in Iran settentrionale, in Turkestan, sull’Himalaya, in Tibet, nel Tien Shan, in
Altai, in Siberia sud orientale, in Manciuria, in Corea, in Nord america e dalla Columbia
britannica al Messico.
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CAPITOLO 2 LE REINTRODUZIONI
2.1 Le immissioni faunistiche
La fauna attuale è in parte il risultato di trasformazioni storiche e recenti di origine
antropica. L’uomo ha determinato l'estinzione di numerose specie per persecuzione diretta
o eccessivo sfruttamento, il più delle volte per incuria e/o sottovalutazione delle
conseguenze possibili (Perco, 1997).
Le immissioni faunistiche hanno sempre caratterizzato le attività dell’uomo: sia quelle
intenzionali che quelle accidentali hanno rappresentato un fattore di notevole influenza
sulle zoocenosi.
Una trasferimento di animali da un' area ad un altra è un' immissione. Questo atto
provoca, intenzionalmente o meno, modificazioni dell'ecosistema, cambiamenti che sono
diversi sotto molti profili (durata, intensità etc.) (Perco, 1997).
Appare doveroso distinguere tra le varie forme di immissione, poiché queste possono
portare a dinamiche di popolazioni animali e ad effetti sull’intero ecosistema
completamente diversi; si può quindi definirle, secondo diversi autori, come segue:
1. Introduzione: immissione di una entità faunistica in un’area posta al di fuori del
suo areale di documentata presenza naturale in tempi storici.
2. Reintroduzione: traslocazione finalizzata a ristabilire una popolazione di una
determinata entità faunistica in una parte dei suo areale di documentata
presenza naturale in tempi storici nella quale risulti estinta.
3. Ripopolamento: traslocazione di individui appartenenti ad una entità faunistica
che è già presente nell’area di rilascio.
Le prime operazioni furono quasi sempre introduzioni e solo dopo una presa di
coscienza da parte dell’uomo sulle dinamiche dei sistemi ecologici e sulle possibili
manipolazioni che questo poteva arrecare agli ecosistemi naturali, le immissioni sono
progrssivamente diminuite, fino a ridursi attualmente ad isolati casi, spesso accidentali.
Con la crescita delle lobbies venatorie, già nel primo dopoguerra, prendeva piede la pratica
dei ripopolamenti, strumento che è ancora oggi uno di quelli più utilizzati nella gestione
della fauna. Una corretta politica di conservazione dovrebbe invece tendere a ridurre o
evitare gli interventi dell’uomo sulla composizione e sulla struttura delle comunità animali
(Spagnesi et al., 1997).
Introduzioni, reintroduzioni e ripopolamenti che caratterizzano in maniera consistente
anche l’attuale gestione faunistica del nostro paese, pongono rilevanti problemi di natura
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biologica, conservazionistica e gestionale le cui cause vanno ricercate principalmente nei
seguenti fattori (Spagnesi et al., 1997):
- inadeguatezza del quadro normativo che non definisce modalità e limiti delle
diverse tipologie degli interventi di immissione in maniera completa ed
univoca;
- mancanza di una seria progettazione di tali interventi, ovvero la loro
pianificazione ed attuazione da parte di operatori spesso privi di adeguata
professionalità;
- assenza di un organismo formalmente delegato ad esprimere pareri in merito
all’opportunità, alla congruità ed alla priorità degli interventi, nel contesto
nazionale ed internazionale;
- progettazione e realizzazione degli interventi senza un’analisi del rapporto costi-
benefici, a fronte di una limitatezza delle risorse complessivamente
disponibili per la conservazione della fauna.
La verifica dell’idoneità dell’area di una immissione va valutata anche da un punto di
vista sanitario, da effettuarsi con indagini mirate, poiché la traslocazione di animali
comporta comunque rischi sanitari; è necessario procedere con estrema cautela, evitando
azione avulse da una finalità di restauro ambientale ed estremamente costose (Lanfranchi
& Ghuberti, 1997). La gestione delle popolazioni immesse dunque è un atto conseguente,
di fatto obbligatorio alle opere di immissione e deve tener conto di due presupposti: la
correttezza "formale" dell' immissione e le finalità della stessa (Perco, 1997).
È importante sottolineare che mentre introduzioni e ripopolamenti riguardano
principalmente le aree venatorie, le reintroduzioni vengono effettuate quasi esclusivamente
nelle aree protette.
Le introduzioni di specie animali posso produrre conseguenze estremamente deleterie
che vanno dall’inquinamento genetico, all’eccessivo sfruttamento delle risorse trofiche,
alla predazione, all’invasione della nicchia ecologica di specie autoctone. Alcune situazioni
potrebbero essere viste quali quasi-reintroduzioni (la specie è autoctona ma la sottospecie è
ignota) o quasi-introduzioni e cioè quando la sottospecie ancora sopravvive ma si intende
immettere soggetti appartenenti sicuramente ad altre (Perco, 1997).
I ripopolamenti hanno il fine di incrementare il numero di individui in un’area. Essi
rappresentano tuttavia degli interventi da limitare se non addirittura da eliminare del tutto,
in quanto producono una serie di danni che non giustificano il fine (venatorio) per il quale
si effettuano. Così non possono risolvere la carenza di selvaggina se non per i primi giorni
dell’immissione, considerate le basse probabilità di sopravvivenza degli individui immessi;
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provocano diffusione di patologie; modificano il pool genetico delle popolazioni
originarie, poiché raramente si possono immettere animali affini dal punto di vista
genetico; alterano le dinamiche preda-predatore in quanto incrementano solo per brevi
periodi le disponibilità alimentari di specie predatrici; non permettono la ricostruzione di
popolazioni selvatiche poiché spesso gli individui immessi, provenienti dalla cattività,
risultano estranei alle interazioni con gli individui della stessa specie presenti già
naturalmente sul territorio.
Infine, attualmente mancano norme che trattano direttamente le immissioni faunistiche e
quelle contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157, “Norme per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” riguardanti solo mammiferi ed
uccelli, sembrano pensate più per regolamentare l’esercizio dell’attività venatoria. Nella
suddetta legge inoltre, il termine reintroduzione non viene mai preso in considerazione e
non vengono definiti quindi i principi cui questo tipo di intervento faunistico deve attenersi
(Spagnesi & Toso, 1997).
2.2 Aspetti generali
L’interesse per le reintroduzioni è cresciuto negli ultimi anni e si sono moltiplicati i
tentativi di restituire agli ambienti naturali le specie che un tempo ben li caratterizzavano.
Questo per esigenze estetiche, storiche, ma soprattutto per necessità funzionali di tutto
l’ecosistema (Boitani, 1976).
Lo scopo di una reintroduzione è quello di ricostruire una popolazione vitale, in
condizioni naturali, di un taxon localmente estinto. Il fine è quindi biologico; si cerca, con
questo strumento di gestione, di ristabilire rapporti ed equilibri distrutti. Secondo Spagnesi
(1997) sono diverse le motivazioni che portano ad effettuare una reintroduzione:
- mantenimento della biodiversità attraverso la conservazione dei taxa minacciati;
- ricostituzione della complessità e della funzionalità dei sistemi naturali come
elemento in grado di favorire la loro stabilità;
- sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti dei problemi della
conservazione;
- miglioramento della qualità della vita umana sotto il profilo estetico e culturale;
- possibilità di fruizione economica diretta o indotta;
- miglioramento delle conoscenze scientifiche.
Anche se il fine di una reintroduzione è accettabile in senso ecologico, va ricordato che
questa è comunque un intervento artificiale su un ecosistema. Le reintroduzioni sono
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operazioni complesse, rappresentano manipolazioni dei sistemi ecologici, e in quanto tali
hanno il carattere di un esperimento.
La scienza delle reintroduzioni è relativamente recente e le tecniche usate variano in
funzione delle specie, degli habitat e delle condizioni locali. Non esiste un approccio
standardizzato, ed ogni programma di reintroduzione deve necessariamente contenere le
componenti ricerca e sviluppo. La loro probabilità di successo è bassa, e il più delle volte si
deve tener conto del possibile fallimento. Alcuni studi effettuati dimostrano questa
affermazione, così su 121 specie allevate in cattività e poi reintrodotte solo 16 (11%)
hanno avuto successo (Beck et al., 1994); poco migliore è la situazione se si aggiungono
individui catturati in natura, visto che in questo caso la probabilità di successo sale al 38%
(Boitani, 1997), valore sempre contenuto. Molto quindi si deve ancora fare per migliorare
questa tecnica. Si evince comunque da questi dati che le reintroduzioni si mostrano più
efficaci con animali catturati direttamente in natura; questo purtroppo non può sempre
avvenire, in quanto prevale la necessità di non intaccare la consistenza delle popolazioni
sorgente, o di evitare un possibile inquinamento genetico con sottospecie differenti o
distanti da quelle originarie. In ogni caso una reintroduzione non è un meccanismo per
rimuovere animali in surplus da un popolazione in cattività (Kleiman, 1994).
In considerazione di questa elevata probabilità di insuccesso, sarebbe auspicabile che in
ogni tentativo di immettere animali selvatici in un’area che naturalmente li ospitava, venga
tratto il massimo insegnamento per ogni fase che caratterizza la reintroduzione. Una causa
che ha portato ai numerosi fallimenti è stata probabilmente la sbagliata gestione di queste
operazioni, che ha lasciato troppo spesso al caso alcune decisioni. Oggi sono notevoli, ma
ancora insufficienti, le informazioni a disposizione di chi pianifica una immissione
faunistica, e un aiuto sicuramente importante viene dalla biologia della conservazione
integrando in una prospettiva strettamente evoluzionistica, contributi di ecologia, biologia,
etologia, genetica ecc.
Le reintroduzioni hanno spesso un grande significato dal punto di vista dell’educazione
e della partecipazione del pubblico poiché hanno a che fare con l’uso di specie
carismatiche, o di specie potenzialmente tali, e il semplice fatto di essere al centro di un
programma di conservazione fa loro acquisire importanza. L’effetto benefico delle
reintroduzioni si esercita anche facilitando la diffusione delle conoscenze sulla specie e
contrastando le percezioni negative della popolazione nei confronti di esse. Questa
attenzione può avere un effetto positivo a catena ed essere riversa anche ad altre specie e
altri elementi dell’habitat (Lambertini, 1997). Condizioni necessarie affinché possa
avvenire una reintroduzione di animali in natura sono uno studio ecologico e biologico
esaustivo della specie e dell’habitat in cui si va ad operare e una valutazione delle possibili
conseguenze dannose su altre specie e sugli ecosistemi. Andranno preventivamente
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eliminate tutte le cause che possono aver provocato l’estinzione locale della specie e
verificata la disponibilità di fondatori, che dovranno rispondere ai seguenti requisiti
(Spagnesi et al., 1997):
a. appartenenza allo stesso taxon della popolazione originariamente presente,
possibilmente a livello sottospecifico;
b. appartenenza ad una popolazione per la quale il prelievo dei fondatori non
costituisca un sostanziale fattore di rischio;
c. provenienza da aree con condizioni ecologiche il più possibile simili a quelle
dell’area di intervento;
d. gestione dello stock secondo i principi della moderna biologia della conservazione
dal punto di vista genetico-demografico nel caso esso provenga dalla cattività o
da popolazioni presenti in natura ma fortemente manipolate;
e. appartenenza ad una popolazione la cui idoneità sanitaria sia stata verificata con
indagini mirate, condotte su base campionaria.
La buona riuscita di una reintroduzione non può prescindere, inoltre, da una accurata
valutazione dei potenziali effetti che questa operazione potrebbe esercitare sulle
popolazioni umane locali e sulle loro attività economiche; al fine di evitare ripercussioni
negative, devono essere preparati interventi di sensibilizzazione ed educazione.
Inoltre molte reintroduzioni sono tali solo in senso geografico e non ecologico: un’area
che ha perso una specie, può aver subito nel tempo modificazioni che hanno alterato la sua
ecologia; a questo punto l’immissione di quella specie avviene in un’area ecologicamente
estranea, e questa diventa un’introduzione (Boitani, 1976).
Concludendo, sarebbe auspicabile che l’obiettivo di una reintroduzione rimanesse
sempre quello di ristabilire dinamiche naturali e non solo quello di aumentare il numero
delle specie presenti in un’area. La reintroduzione resta comunque, per numerose specie,
l’unica via di salvezza o di ritorno ai propri antichi areali.
2.3 La reintroduzioni in Italia
Le reintroduzioni in Italia sono state effettuate in tempi relativamente recenti e hanno
riguardato poche specie appartenenti quasi esclusivamente alla classe dei mammiferi e solo
marginalmente a quella degli uccelli. Di seguito vengono riportate le specie di mammiferi
reintrodotte nel territorio italiano sulla base di testimonianze fossili oloceniche e storiche
(Amori & Lapini, 1997):
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Volpe (Vulpes vulpes): reintrodotta nel Bosco della Mesola;
Orso Bruno (Ursus arctos): diversi tentativi di immette animali provenienti dalla
Slovenia in Trentino Alto Adige;
Lince (Lynx lynx): reintrotta nelle Alpi;
Marmotta (Marmota marmota): reintrodotta nelle alpi sud-orientali, ma questa
operazione è da considerarsi una parareintroduzione, dato che non esistono
testimonianze storiche inerenti la sua presenza in quest’area;
Cinghiale (Sus scrofa): numerose reintroduzioni in Italia centrale e meridionale
avvenute con individui appartenenti a varie sottospecie alloctone;
Camoscio (Rupicapra rupicapra): localmente reintrodotto con individui
provenienti da popolazioni alpine (Monte Grappa, Monte Baldo, ecc.);
Camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pyrenaica ornata): reintrodotto nei comprensori
montuosi della Majella e del Gran Sasso con individui provenienti dal parco
nazionale d’Abruzzo;
Stambecco (Capra ibex): reintrodotta nell’arco alpino orientale. Mancano
testimonianze storiche inerenti la sua pregressa presenza nelle aree di recente
reintroduzione, tanto che è possibile introdurla nelle para-reintroduzioni;
Capriolo (Capreolus capreolus): numerose reintroduzioni avvenute con individui
appartenenti a sottospecie alloctone;
Cervo (Cervus elaphus): diverse reintroduzioni avvenute con individui
appartenenti a sottospecie alloctone.
2.3.1 Le reintroduzioni del cervo in Appennino Lungo la catena Appenninica è solo grazie alle numerose reintroduzioni, effettuate già
più di 150 anni fa, che si deve la presenza del cervo. Nel 1840 in Casentino, furono
reintrodotti diversi esemplari provenienti dall’Europa centrale (Pedrotti et al., 2000), e
questi resistettero al bracconaggio fino agli anni Trenta, quando probabilmente furono
uccisi gli ultimi individui.
La facilità di reperimento degli individui, la nuova esigenza di ripristinare le
popolazioni sul territorio e la presenza di areali idonei, hanno permesso di effettuare una
serie di interventi di reintroduzioni su gran parte della catena appenninica, avvenuti a
partire dagli anni ’50 e intensificatisi con l’istituzione di aree protette:
1950-60: Casentino, le provenienze dei cervi rilasciati sono state diverse: Svizzera,
Germania, P. N. Stelvio, Tarvisio e Scozia. Attualmente distribuiti lungo
l’Appennino tosco-romagnolo dal Mugello orientale alla Val Tiberina;
1958: Appennino Tosco-Emiliano, con individui provenienti da Tarvisio;
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1966-72: Garfagnana, Riserva Naturale dell’Orecchiella, con individui provenienti da
Tarvisio e dal Parco Nazionale dello Stelvio;
1972-75: Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, in cui furono rilasciati
complessivamente 64 animali provenienti dalla Svizzera, dalla
Germania, dal P.N. di Triglav (SLO) e da Montalto di Castro;
1983-1995: Parco Nazionale Majella (Valle dell’Orfento), individui provenienti da
Tarvisio. Nelle due reintroduzioni avvenute nel 1983 e nel 1995 sono
stati rilasciati in totale 47 animali;
1990: Parco Regionale del Velino Sirente, rilasciati 117 cervi, provenienti dalla
foresta di Tarvisio e dal Parco Nazionale dello Stelvio.
I tentavi più recenti di immettere cervi nei territori che anticamente li ospitavano sono
avvenuti agli inizi di questo secolo soprattutto nel centro e nel meridione, poiché è proprio
in queste due realtà che la presenza del cervo è più sporadica e senza una continuità di
areale. Le ultime reintroduzioni hanno riguardato 4 grandi parchi nazionali:
2002-03: Parco Nazionale del Pollino, con un primo rilascio di 8-10 cervi
provenienti dalla foresta dell’Acquerino, avvenuto nel 2002 ed un
secondo nel 2003 con circa 30 cervi provenienti dalla Carinzia
(Austria);
2004: Parco Nazionale del Cilento, reintroduzione di cervi con 35 esemplari
provenienti dalla Carinzia;
2005-06: Parco Nazionale dei Monti Sibillini, una prima reintroduzione nel 2005
con 21 individui provenienti da Tarvisio e una seconda effettuata nel
2006 con altri 28 individui;
2004-07: Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
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Figura 2.1 – Reintroduzione di cervi nel Parco Nazionale Gran sasso Monti della Laga.
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CAPITOLO 3 AREA DI STUDIO
3.1 Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga
Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (PNGSL) viene istituito dalla
Legge Quadro sulle Aree
Protette, n° 394 del 6
dicembre 1991 e nel 1995
(con il D.P.R. del 5 giugno)
si costituisce l’Ente Parco
Nazionale del Gran Sasso e
Monti della Laga.
Gran parte dell’area protetta
ricade amministrativamente
nella regione Abruzzo
(L’Aquila, Teramo e
Pescara) e solo una piccola
porzione di territorio a nord
del parco si trova nelle
regioni Lazio (Rieti) e
Marche (Ascoli Piceno).
Figura 3.1 – Parco del Gran Sasso Monti della Laga.
Il territorio del parco si estende per circa 150.000 ha e comprende tre distinti gruppi
montuosi: i Monti della Laga a nord, con la loro vetta più alta, il Gorzano (m. 2458) che
costituiscono il complesso montuoso arenaceo-marmoso più elevato ed esteso
dell’Appennino; i Monti Gemelli, a nord-est, due elevati complessi calcarei (Monte
Foltrone m. 1718 e Monte Girella m. 1814); il massiccio calcareo-dolomitico del Gran
Sasso, con la vetta più alta degli Appennini, il Corno Grande (m. 2912), alla cui base è
presente il Calderone, il ghiacciaio più meridionale d’Europa. Il parco interessa due
distinte regioni biogeografiche: la mediterranea e l’eurosiberiana.
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Sono presenti 32 Siti di Interesse Comunitario, 5 foreste demaniali (S. Gerbone, Codaro
Campiglione, Monte Picca, Colle S. Angelo, Roccatagliata), 2 Riserve Naturali Regionali
(Gole del Salinello e Voltigno–Valle d’Angri), una Riserva Naturale Comunale (Corno
Grande di Pietracamela), la Riserva dello Stato di Monte Rotondo e la Riserva dello Stato
del Lago di Campotosto.
La popolazione residente all’interno dei confini del Parco, appartenente a 44 comuni
(dati ISTAT 1991), ammonta a circa 14.870 individui, per una densità media di 10 abitanti
per kmq (Rolli e De Bonis, 2001).
3.1 Aree con accertata presenza del cervo
Sulla base degli studi di monitoraggio post-rilascio dei cervi reintrodotti è stato
possibile individuare diverse aree del parco in cui la presenza degli animali è documentata.
Il presente studio ha interessato una rilevante porzione del parco, che non costituisce
comunque la totalità del territorio occupato dal cervo. Le aree in cui sono presenti cervi
muniti di radiocollare e dove vengono osservati numerosi altri individui sono la valle del
Vomano, la Valle del Chiarino, i Monti della Laga e il lago di Campotosto. Rimangono
escluse dal presente studio l’area del Voltigno, in provincia di Pescara, in cui sono presenti
tre cervi muniti di radiocollare, e altre aree in cui non si può escludere né confermare la
presenza del cervo viste le difficoltà oggettive nel determinarne l’effettiva dislocazione.
3.1.1.1 Valle del Vomano
La valle del Vomano si estende dai 1320 m s.l.m. del Valico delle Capannelle (AQ) sino
ai 260 m s.l.m. dell’abitato di Montorio al Vomano (TE) con orientamento SW - NE; è
delimitata a sinistra dai Monti della Laga e a destra dalla catena del Gran Sasso, da Monte
San Franco sino a Corno Grande. La valle prende il nome dall’omonimo fiume, che
caratterizza l’ambiente con formazioni vegetali esclusive, piccole cascate, rapide e,
nell’area più a monte, da numerose sorgenti che formano delle zone paludose ricche di
torba. L’area inferiore della valle, compresa tra i 250 ed i 600 m s.l.m., a monte di
Montorio al Vomano (TE), è caratterizzata da una vegetazione mediterranea con parziali
rimboschimenti, alternata a coltivi e boschi di querce, con la presenza di alte pareti di
arenaria a evidenziare una millenaria attività fluviale. Questa parte della valle si mostra
meno interessante dal punto di vista vegetazionale e faunistico rispetto alla porzione a
monte poiché maggiori sono le attività antropiche che alterano la composizione dell’area.
Dai 400 ai 1900 m s.l.m. circa, ai piedi del massiccio del Gran Sasso sono presenti aree
boschive composte, dalle quote inferiori a quelle più alte, rispettivamente da castagneti,
querceti, faggeti e praterie d’altitudine oltre il limite della vegetazione arborea. Per quanto
riguarda la faggeta, va segnalata la presenza in associazione con questa di piccoli nuclei di
- 17 -
Abete bianco (Abies alba), mentre i castagneti stanno subendo una contrazione a causa del
diffondersi del “cancro corticale del castagno”; persistono comunque alcuni esemplari
secolari. Il substrato è prevalentemente calcareo ed in minima parte arenaceo.
Tra i 900 e i 1400 m s.l.m. sono presenti le sorgenti del fiume Vomano; quest’area
mostra un elevato interesse naturalistico soprattutto per la presenza di rare essenze
vegetali. Sono presenti numerose aree impaludate accompagnate dalla formazione della
torba, così tra le entità turficole si possono osservare l’erioforo (Eriophorum latifolium), la
rarissima carice di Davall (Carex davalliana), il giuncastrello alpino (Triglochin palustre)
e il morso del diavolo (Succisia protensis). In primavera la piana allagata si ricopre di
colori delle numerosissime piante di calta (Caltha palustris) e di trifoglio fibrino
(Menianthes trifoliata), specie alquanto sporadiche in Italia peninsulare, e di due rare
orchidee, l’elleborine di palude (Epipocus palustris) e l’orchidea palmata (Dactylorhiza
incarnata). Gli altri settori sono ricoperti da cariceti a carice palustre (Carex gracilis) e da
giuncheti (juncus sp.), specie utilizzate in passato per alcuni impieghi dall’uomo.I boschi
sono prevalentemente di faggeta mista, con acero montano (Acer pseudoplatanus), olmo
montano (Ulmus glabra), tiglio (Tilia cordata), rovere (Quercus petraea) e cerro (Quercus
cerris) (Tammaro, 1998).
Alle stesse quote, ma sul versante opposto, l’areale ricade sui Monti della Laga.
3.1.1.2 Monti della Laga e lago di Campotosto I Monti della Laga, situati nel settore Nord del Parco e con andamento Nord-Sud, sono
costituiti da materiali arenacei ed argillosi. Queste rocce costruiscono la cosiddetta
“Formazione della Laga”. Le maggiori pendenze sono presenti in corrispondenza degli
affioramenti arenaceo-pelitici disposti a reggipoggio, che danno luogo, talvolta, a gradini e
scarpate, in seguito alla diversa erosione delle rocce affioranti. Pendenze più dolci sono
presenti, invece, sui versanti modellati dalle argille (Manetta, 2001). Data la natura
geologica, il comprensorio della Laga è soggetto a rapida erosione e presenta un paesaggio
dominato da numerosi torrenti; i terreni ricchi di umidità e sorgenti, permettono lo sviluppo
di una vegetazione rigogliosa e verdeggiante. L’acqua che scende copiosa in superficie
oltre a raccogliersi in rivoli, ruscelli e fiumi dà vita a decine di suggestive cascate e salti
d’acqua. Tra le più spettacolari si segnalano quelle della Prata, della Volpara, delle Barche,
della Cavata, della Morricana e della Fiumata. Il substrato geologico condiziona anche la
vegetazione; qui è possibile individuare una flora silicofila con 4 piani altitudinali, ognuno
con proprie caratteristiche ecologiche e vegetazionali (Pedrotti, 1996):
- 18 -
- piano collinare (dal fondovalle ai 1000 m) con la serie di vegetazione del
leccio (Quercus ilex), della roverella (Quercus pubescens), del carpino
nero (Ostrya carpinifolia) e del carpino bianco (Carpinus betulus);
- piano montano (da 1000 a 1850 m) con la serie dell’acero (Acer
pseudoplstsnus) e dell’olmo montano (Ulmus montana) nel piano
montano inferiore e del faggio (Fagus sylvatica) nel piano montano
superiore;
- piano subalpino (da 1850 a 2300 m) con la serie del mirtillo nero (Vaccinium
myrtillus);
- piano alpino (altre i 2300 m) con la serie dei pascoli orofili.
Su tutta l’area dei Monti della Laga si ritrovano boschi misti trattati a ceduo, e sono
presenti diversi rimboschimenti. Il castagno (Castanea sativa), specie introdotta nel
periodo romano tra i 700 e i 1110 metri s.l.m., rappresenta nella Laga un vero monumento
naturale; per secoli le comunità locali si sono nutrite con i sui frutti e anche il legno era
tenuto in grande considerazione per le sue virtù.
Alla base del versante ovest dei Monti della Laga adagiato su un altipiano si estende il
Lago di Campotosto, un bacino artificiale formato per scopi idroelettrici. Nel lago,
realizzato nel 1939, confluiscono i torrenti Rio Castellano, affluente del Tronto, e Rio
Fucino tributario del fiume Vomano; inoltre l’invaso attinge le acque di numerosi torrenti
dei versanti occidentali e orientali dei monti della Laga, grazie ad una imponente opera di
ingegneria idraulica. Profondo fino a 60 metri, con i suoi 1400 ha è uno dei più estesi laghi
artificiali d’Europa. Precedentemente alla realizzazione dell’opera, nell’altipiano era
presente la più grande torbiera della catena appenninica e notevole era la presenza
floristica in quest’area. Prima di essere inondata la torbiera fu sfruttata dall’uomo per
l’estrazione della torba, usata come combustibile e in altri impieghi. La distruzione portò
all’estinzione nell’Italia centrale e peninsulare di alcune rare specie vegetali presenti
esclusivamente a Campotosto come Camarum palustre, Salix repens rosmarinifolia,
Poligala serpyllifolia e Carex lasiocarpa, solo per citarne alcune. Fortunatamente non tutte
si sono estinte, anzi, intorno al lago, nelle sponde paludose e torbose è possibile rinvenire,
oltre che ad un’avifauna particolarmente abbondante, alcune specie floristiche di notevole
importanza come Pinguicula vulgaris, una delle poche piante carnivore in Italia,
Ophioglossum vulgatum, Carum carvi, Eriophorum latifolium. In primavera e in estate
spiccano i colori dei fiori di alcune piante rare come Geum rivale, Menyanthes trifoliata e
Caltha palustris (Fonte archivio PNGSL).
- 19 -
3.1.1.3 Val Chiarino La Valle del Chiarito si trova nel versante occidentale del Gran Sasso, compresa tra
1060 m s.l.m. (lago di Provvidenza) e 2236 m s.l.m. (Sella del Venacquaro). È delimitata
da monti che costituiscono la catena più importante dell’Appennino, quella del Gran Sasso,
in particolare Monte Corvo, Monte Ienca e Monte San Franco. Nella valle scorre
l’omonimo torrente Chiarino, le cui sorgenti sono comprese tra i 1500 ed i 1700 m s.l.m.;
in parte captato da un acquedotto, confluisce nel lago artificiale di Provvidenza, parte del
sistema di produzione idroelettrica installato sulla Valle del Vomano. Nella valle
predominano gli estesi boschi misti di caducifoglie che sono accompagnati da sporadiche
radure. In passato i boschi della Val Chiarino venivano intensamente utilizzati dall’uomo,
in particolare dagli abitanti di Arischia tanto che sono ancora riconoscibili le piazzole dove
venivano realizzate le carbonaie per la produzione del carbone vegetale ed è presente
nell’area anche un vecchio mulino, il molino Cappelli. La formazione vegetale che
maggiormente caratterizza la valle è la faggeta che si estende fino ai 1800 metri s.l.m..
Oltre al faggio (Fagus sylvatica) le altre essenze vegetali che concorrono alla formazione
del bosco sono nello strato arboreo ed in quello arbustivo il tasso (Taxus baccata),
l’agrifoglio (Ilex aquifolium), il perastro (Pyrus communis pyraster) e nelle aree rocciose
anche il tiglio (Tilia platyphyllos), l’olmo montano (Ulmus glabra) e l’acero di monte
(Acer seudoplatanus). Alla base del Monte Corvo, sul versante destro della valle, si trova
un’insolita associazione vegetale costituita da il ramno alpino (Rhamnus alpinus), il
ciliegio canino (Prunus mahaleb) e il pero corvino (Amelanchier ovalis) (Fonte archivio
PNGSL). A quote maggiori, le praterie alpine e le rupi di alta quota ospitano una rara flora
d’altitudine tra cui spiccano genziane, sassifraghe, cerasti e androsaci, specie endemiche e
relitte di epoche glaciali. Un’ultima citazione la merita una specie rarissima ed esclusiva
delle alte vette come la adonide ricurva (Adonis distorta) che con la sua straordinaria
fioritura è presente sulle pendici del Monte Corvo; questa montagna rappresenta un fetta
consistente del sua areale distributivo (Fonte archivio PNGSL).
3.1.2 Aspetti faunistici
Del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga risultano presenti oltre trecento
vertebrati, tra cui 22 specie di pesci, 14 specie di anfibi, 16 specie di rettili, 51 specie di
mammiferi ed oltre 200 specie di uccelli (Di Martino, 2001).
I Pesci sono presenti con 22 specie, 8 sono alloctone e 14 sono autoctone; tra quelle
alloctone è presente il coregone (Coregonus lavaretus), introdotto nel lago di Campotosto.
Tra le specie autoctone è presente la trota fario (Salmo macrostigma) e da notare è la
presenza della lasca (Chondrostoma genei) nel fiume Vomano e nel lago di Campotosto;
questa specie ha nel fiume il limite meridionale di diffusione (Osella & Di Marco).
- 20 -
Tra gli Anfibi si sottolinea la presenza del geotritone italiano (Speleomantes italicus),
della salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), del tritone alpestre (Triturus
alpestris), dell’ululone a ventre giallo (Bombina pachipus) e della rana temporaria (Rana
temporaria).
Per i Rettili l’entità zoologica più interessante è rappresentata dalla vipera dell’Orsini
(Vipera ursinii), esempio di specie relitta.
Sono 134 le specie di Uccelli nidificanti nel parco e circa 74 quelle non nidificanti:
l’aquila reale (Aquila chrysaetos) presente con sei coppie nidificanti, il falco pellegrino
(Falco peregrinus), il lanario (Falco biarmicus), il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus)
ed il gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), la coturnice (Alectoris graeca), il
succiacapre (Caprimulgus europaeus) e il fringuello alpino (Montifringilla nivalis).
Particolarmente interessante è stato il recente ritorno del grifone (Gyps fulvus) reintrodotto
dal Parco Regionale del Sirente-Velino negli anni ’90 e la conseguente realizzazione nel
2007 presso Castel del Monte (AQ) di un apposito carnaio che consente agli avvoltoi di
usufruire di carcasse per tutto l’anno, realizzato con lo scopo di ampliare l’attuale
popolazione. Il lago di Campotosto costituisce un ambiente ideale a numerose specie, in
particolare anatre, come il moriglione (Aythya ferina), il fischione (Anas penelope),
l’alzavola (Anas crecca), la rara moretta tabaccata (Aythya nyroca); durante le migrazione
è accertata la presenza di alcune specie alquanto rare in Italia come il cormorano minore
(Phalacrocorax aristotelis), la volpoca (Tadorna tadorna), l’airone bianco maggiore
(Casmerodius albus) e numerose specie di limicoli.
Diversi sono i Mammiferi estinti nel parco come la lontra (Lutra lutra), l’orso
marsicano (Ursus arctos marsicanus) e la lince (Lynx lynx). Attualmente sono tornati e
numerosi il cinghiale, presente con densità notevolmente elevate, e il capriolo, grazie ad
opere di reintroduzione e alla naturale dispersione della specie. Negli anni ’90 è iniziato il
“Progetto Life Camoscio” con la reintroduzione di individui provenienti dal Parco
Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise che ha portato alla nascita di una popolazione che
conta oggi circa 300 esemplari sul massiccio del Gran Sasso. Il cervo (Cervus elaphus) sta
lentamente riprendendo possesso dell’intero territorio del parco, dopo la reintroduzione
avvenuta nel 2004. Tra le altre specie meritano una nota il lupo (Canis lupus) presente con
numerosi branchi, il gatto selvatico (Felis silvestris) il cui stato è tutt’ora sconosciuto,
l’arvicola delle nevi (Chionomys nivalis), il toporagno appenninico (Sorex samniticus) e
cinque specie appartenente al gruppo dei Chirotteri.
Numerose sono le specie di invertebrati nel territorio del parco; si riscontrano 21
endemismi, 4 nei Monti della Laga e 17 nel massiccio del Gran Sasso.
- 21 -
CAPITOLO 4 OGGETTO DELLO STUDIO
4.1 Presenza storica ed attuale del cervo in Italia In Italia il cervo era distribuito lungo tutta la penisola sino al X-XI secolo e il suo
declino si fece drastico tra il XVIII secolo e l’inizio del XX. Scomparve in seguito dalla
maggior parte delle aree planiziali e collinari, rifugiandosi a quote maggiori, e risultò quasi
completamente estinto agli inizi del ‘900.
Figura 4.1 - Distribuzione del Cervo in Italia dal dopoguerra
(Pedrotti L. et al., 2000)
Popolazioni limitate rimanevano nel Gran Bosco della Mesola e presenze sporadiche,
probabilmente non stabili, sopravvivevano nell’alta Val Venosta (Glorenza e Val
Monastero) (Pedrotti et al., 2000). Agli inizi del rinascimento il cervo era presente dalle
foreste costiere ai boschi di alta quota. L’intero arco alpino aveva perso, nel secolo scorso,
gran parte del proprio patrimonio faunistico, e una delle poche popolazioni di cervo
sopravvissute trovava rifugio nel Vorarlberg austriaco; è da qui che la specie ha iniziato
una progressiva espansione, arrivando dapprima in Svizzera e poi, tramite l’Engandina in
Val Venosta, nel 1925 (Mattioli, 1992). La specie sopravvisse inoltre nel Tirolo
settentrionale e sul monte Nevoso, nell’attuale Slovenia (Pedrotti et al., 2000).
Con l’eccezione del nucleo della Mesola, i cervi presenti in Italia derivano o da
espansione naturale dai paesi confinanti o da reintroduzioni. I cervi provenienti dalla
Svizzera, dall’Austria e dalla Slovenia ricolonizzarono spontaneamente il versante italiano
- 22 -
delle Alpi centrali ed orientali, tanto che nel 1975 erano presenti in Italia circa 4000
esemplari. In Appennino vennero effettuate numerose reintroduzioni con individui
provenienti dall’Europa centrale o alpina e più di recente dalla Francia.
L’estensione dell’areale è di circa 40.000 km2, pari a circa il 14% del territorio
nazionale (dati INFS). Quasi l’80% dei cervi in Italia è attualmente concentrato lungo
l’arco alpino. È individuabile un grande areale alpino che si estende da Cuneo ad Udine,
praticamente senza soluzione di continuità; nell’Appennino centro-settentrionale il cervo
occupa aree distinte. Le densità sono distanti da quelle potenziali in quasi tutti i settori
dell’areale occupato, soprattutto in Italia peninsulare (Pedrotti et al., 2000).
Le popolazioni presenti nell’area appenninica, tutte originate da reintroduzioni,
risultano quasi del tutto isolate tra loro ed occupano i seguenti settori geografici:
Foresta dell’Acquerino e Monte Calvi: territorio montano delle province di
Pistoia, Prato, Firenze e Bologna.
Il Casentino: lungo l’Appennino tosco-romagnolo dal Mugello orientale alla Val
Tiberina.
Il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo e le aree limitrofe.
Il massiccio montuoso della Maiella, ed in particolare la Valle dell’Orfento.
La zona del Velino-Sirente.
Parte della Garfagnana (Lucca) nei pressi del Parco dell’Orecchiella. Presenze
ormai consolidate, anche registrano anche in provincia di Modena e Reggio.
Le aree delle recenti reintroduzioni: i Sibillini, l’area del massiccio del Gran
Sasso, il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e il Pollino.
Il cervo manca invece in Sicilia. Alcuni nuclei di modeste dimensioni sono mantenuti in
grandi aree recintate come La Mandria (Torino) e Castelporziano (Roma) (S. Toso, 2002 ).
Il nucleo più interessante della penisola resta quello della Riserva Naturale Gran Bosco
della Mesola: negli anni ’30 contava 250-300 esemplari, ridotti ad appena una decina
nell’immediato dopoguerra (Boitani, Lovari, Vigna Taglianti, 2003).
L’origine del Cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus) sembrerebbe essere legata
all’azione dell’uomo; si ipotizza che la diffusione sull’isola possa essere avvenuta tramite
l’introduzione di individui provenienti dal Medio Oriente, probabilmente già nel tardo
Neolitico (circa 8000 anni fa) visto che mancano reperti fossili antecedenti. Il Cervo
scomparve dalla Sardegna settentrionale e centrale intorno al 1940 dove era distribuito
praticamente su tutti i massicci montuosi; in seguito si è verificato un frazionamento e una
- 23 -
conseguente drastica riduzione dell’habitat (Monni & Murgia, 1991). Oggi la specie è
presente nella parte meridionale dell’isola con alcune popolazioni allo stato selvatico tra
loro ancora sostanzialmente disgiunte. Grazie anche al Corpo Forestale dello stato, con la
realizzazione di recinti di acclimatazione per ripopolamenti e reintroduzioni, è possibile la
sopravvivenza della specie sull’isola, e sta aumentando la sua presenza anche in nuove
aree, pur rimanendo classificato dall’IUCN come specie in pericolo. Tra il 1970 e il 1998
l’estensione dell’areale del cervo in Italia è quintuplicata e la consistenza decuplicata. Nel
1998 la popolazione complessiva era valutabile in circa 32.000 capi (Boitani, Lovari,
Vigna Taglianti, 2003). Attualmente la consistenza della specie sul territorio italiano è
stimabile in circa 57.000 capi così ripartiti: 14.000 Alpi centro-occidentali, 28.000 Alpi
centro orientali, 6.400 Appennino settentrionale, 2.500 Appennino Centrale, 6.000
Sardegna (Carnevali et al., 2006).
Il cervo viene regolarmente cacciato in molte province alpine secondo piani di
abbattimento selettivo. Nell’anno 2004 furono abbattuti 5552 cervi (71 % del carniere)
nelle Alpi orientali, 1827 (23 % del carniere) nelle Alpi centro-occidentali e 391 cervi (6 %
del carniere) in Toscana e in Emilia Romagna (Carnevali et al., 2006). Le altre popolazioni
appenniniche e la popolazione sarda non sono sottoposte a prelievo venatorio (Toso, 2002).
Figura 4.2 - Presenza del cervo sul Figura 4.3 - Distribuzione potenziale
territorio italiano (2005) con l'indicazione e distribuzione reale del cervo in Italia (INFS). delle reintroduzioni più recenti (INFS).
- 24 -
4.2 Reintroduzione nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga
4.2.1 Dati sulla reintroduzione La reintroduzione del cervo nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga è
iniziata il 28 febbraio 2004, in località Piano Vomano, dopo 200 anni dalla sua scomparsa.
La prima liberazione dei cervi è avvenuta secondo quanto auspicato nello studio di
fattibilità della reintroduzione (Calò, 2004) e cioè, rilasciando una ventina di esemplari,
possibilmente tutti o in buona parte muniti di radio-collari, strutturati come multiplo di un
“nucleo base” composto da 1 maschio di uno-due anni (perfettamente in grado di
riprodursi), 1 femmina anziana (la cui presenza dovrebbe aiutare a mantenere la coesione
dei branchi limitando la naturale dispersione iniziale) e 3 femmine giovani.
La scelta sulla provenienza ed origine dei cervi da immettere nel Parco è stata
estremamente difficoltosa in quanto non si hanno conoscenze precise sulla posizione
sistematica delle originarie popolazioni appenniniche del cervo. Quindi, considerata
l'origine e la composizione delle attuali popolazioni di cervi nell'Appennino, la scelta sulla
provenienza dei capi da immettere (escludendo di utilizzare cervi indigeni dalla Mesola), si
è basata sulla qualità e sulla convenienza della fornitura dei capi (Calò, 2004).
La sottospecie Cervus elaphus hippelaphus, originaria dell’arco Appeninico, rimasta
attualmente solo nel bosco della Mesola, con un solo nucleo indigeno di 60 individui, non
può essere utilizzata per nessuna reintroduzione a causa dei problemi sanitari legati alla
presenza di parassiti ed alle ridotte dimensioni della popolazione stessa, che non
sosterrebbe il prelievo dei capi necessari per una reintroduzione (Riganelli, 2004).
La popolazione di cervi del Parco Nazionale d’Abruzzo deriva da ripetute immissioni,
effettuate a partire dal 1971 fino al 1976, con animali provenienti dalla Maremma del
Lazio, dallo zoo di Vienna, dal Parco Nazionale Triglav in Slovenia e dal Parco Nazionale
di Baviera in Germania, con corredi cromosomici alloctoni (Tassi, 1976); perciò,
nonostante questi individui vivano in condizioni decisamente simili a quelle del Gran
Sasso-Laga non sono stati utilizzati come popolazione sorgente. Peraltro, fin dal 1840
nell'Appennino settentrionale, così come in altre parti dell'Appennino centrale, furono
immessi cervi di origine centro-europea (Boema) ed ancora dal 1950 in poi capi di origine
alpina, progenitori delle attuali popolazioni della specie nell'Appennino Tosco-Emiliano-
Romagnolo (Calò, 2004; Mattioli, 1992).
- 25 -
Tabella 4.1- Cervi reintrodotti nell’anno 2004.
Marche
auricolari Sex Età
Data di
cattura Località Nomi Frequenze
Peso
(Kg)
M10A rossa M 3 24/02/2004 Carinzia
M20 rossa M 3 24/02/2004 Carinzia
M 40 rossa M 1 23/02/2004 Carinzia
M 50 rossa M 1 23/02/2004 Carinzia
M 60 rossa M 1 23/02/2004 Carinzia
M 70 rossa M 1 24/02/2004 Carinzia
M 90 rossa M 1 24/02/2004 Carinzia
F10 A gialla F 1 26/02/2004 Carinzia
F20 A gialla F +4 24/02/2004 Carinzia
F40 A gialla F 2 24/02/2004 Carinzia
F50 A gialla F 1 26/02/2004 Carinzia
F60 A gialla F 1* 26/02/2004 Carinzia †
F70 A gialla F 1* 26/02/2004 Carinzia
F90 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia cesa 150.001
F100 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia tanta 150.181
F110 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia † ossa 150.031
F120 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia muta 150.209
F140 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia casta 150.148
F150 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia † due 150.120
F160 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia mama 150.091
F170 gialla F +4 26/02/2004 Carinzia tosta 150.059
I 21 cervi rilasciati nell’anno 2004, provengono dalla Carinzia (Austria). Il complesso
forestale del loro areale di origine è di ca. 70.000 ha, costituito da boschi misti a
prevalenza di abete rosso, faggio e abete bianco. Il territorio, compreso tra i 760 e i 2500 m
s.l.m., è caratterizzato per il 35 % da aree di pascolo, per il 15 % da zone rocciose e per la
restante parte da foresta; l’area non è protetta, vi si praticata regolarmente l’attività
venatoria ed è soggetta ad una discreta pressione turistica (Riganelli, 2004). Su tutto il
territorio di provenienza sono totalmente assenti il lupo, greggi con cani e cani vaganti. La
scelta è ricaduta su questi cervi poiché quelli della Carinzia sono gli unici a non aver subito
incroci con i cervi della Gran Bretagna o del centro Europa o addirittura con quelli
americani e asiatici (Riganelli, 2004).
- 26 -
Tabella 4.2 - Cervi reintrodotti nell’anno 2005
Marche
auricolari Sesso Età
Data di
cattura Località Nomi Frequenze Peso Kg
F1 celeste F 1 29/04/2005 R.Montefalcone berta 151.035 70
M+ bianca M 1 29/04/2005 R..Montefalcone † umbo 151.135 70
Tabella 4.3 - Cervi reintrodotti nell’anno 2006.
Marche auricolari Sex Età
Data di
cattura Località Nomi
Frequen
z
Pes
Kg
n.n. M 6 14/03/2006
R.N.S.
Montefalcone (PI) mizio 151.446 240
n.n. F 5 14/03/2006
R.N.S
Montefalcone 110
arancio sx M vitello 21/02/2006 Forte - Tarvisio
bianco sx M fusone 23/02/2006 M. Palla - Tarvisio
giallo sx M adulto 23/02/2006 Pittino - Tarvisio
azzurro sx M vitello 23/02/2006 Pittino - Tarvisio
dx bianco - bianco sx M vitello 23/02/2006 Ton - Tarvisio
dx bianco -
arancio/nero sx M vitello 01/03/2006 Pittino - Tarvisio
dx bianco - arancio sx M vitello 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio
dx bianco - azzurro sx M vitello 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio
dx arancio - bianco sx M fusone 24/02/2006 M. Palla - Tarvisio
dx arancio - giallo sx M vitello 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio
dx arancio - arancio sx M vitello 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio
dx bianco -
nero/azzurro sx M fusone 01/03/2006 Pittino - Tarvisio
dx bianco - giallo sx M adulto 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio solo 151.249
dx arancio - azzurro M adulto 01/03/2006 Piussi - Tarvisio † con 151.269
dx giallo - azzurro sx F adulta 24/02/2006 M. Palla - Tarvisio † nico 151.305
dx azzurro - azzurro
sx F adulta 04/03/2006 Palder - Tarvisio sara 151.349
dx bianco F adulta 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio gina 151.405
dx giallo - giallo sx F adulta 23/02/2006 Ton - Tarvisio angi 151.428
dx azzurro F adulta 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio † inga 151.483
- 27 -
dx azzurro - giallo sx F adulta 03/03/2006 Palder - Tarvisio chiara 151.530
dx giallo F adulta 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio rina 151.546
dx arancio F adulta 23/02/2006 Pittino - Tarvisio piera 151.565
dx giallo - bianco sx F adulta 23/02/2006 Ton - Tarvisio paola 151.585
dx giallo - arancio sx F giovenca 24/02/2006 Pagonia - Tarvisio
dx azzurro - bianco sx F giovenca 28/02/2006 Pagonia - Tarvisio
verde 4 dx e sx F
adulta
>2 12/10/2006 Pistoia-Sambuca speranza 151.605 108
verde 3 dx e sx F
adulta
>2 05/10/2006 Pistoia-Sambuca primaver 151.305 90
verde 2 dx e sx F
adulta
>2 01/10/2006 Pistoia-Montale † ivana 151.483 101
arancio 2 dx e sx M 16-18 m 08/10/2006 Pistoia-Sambuca tiratardi 101
arancio 1 dx e sx M 3-4 anni 07/10/2006 Pistoia-Sambuca lunapien 132
arancio 3 dx e sx M 16-18 m 10/10/2006 Pistoia 4 padelle 109
verde 5 dx e sx F
adulta
>2 27/11/2006
Pistoia Castel di
Casio angela 151.685 104
verde 6 dx e sx F
adulta
>2 28/11/2006
Pistoia
Camugnano nebbia 121
verde 7 dx e sx F
adulta
>2 28/11/2006
Pistoia Castel di
Casio circe 123
verde 8 dx e sx M
adulta
>2 30/11/2006
Pistoia
Camugnano lorenza 110
arancio 4 dx e sx M adulto 5 19/11/2006 Pistoia-Sambuca grattate 151.269 142
arancio 5 dx e sx M adulto 5 21/11/2006
Pistoia Castel di
Casio agonia 151.285 180
Tabella 4.4 - Cervi reintrodotti nell’anno 2007
Marche auricolari Sex Età
Data di
cattura Località Nomi Frequenze
Peso
Kg
fuxia 1 dx e sx F 4-5 anni 22/02/2007 Foreste Casentinesi luxuria 106
Per quanto riguarda i successivi anni, 2005-2006-2007, considerata l'origine e la
composizione delle attuali popolazioni di cervi nell'Appennino, la scelta sulla provenienza
dei capi da immettere si è basata sulla qualità e sulla convenienza della fornitura dei capi. I
- 28 -
cervi immessi provengono dalla libertà, sono stati correttamente catturati ed
adeguatamente certificati.
4.2.2 Obiettivi della reintroduzione
Le motivazioni dell'intervento di ripopolamento del cervo nel Parco Nazionale del Gran
Sasso e Monti della Laga sono essenzialmente le seguenti (Calò, 2004):
1. Ricostituzione della zoocenosi originaria.
Reinserimento/rafforzamento della presenza del cervo come passo di "restauro"
(consolidamento) della zoocenosi del territorio del Gran Sasso e dei Monti della
Laga, ancora segnata dalla limitata presenza (diffusione e consistenza) degli
erbivori selvatici. Si inquadra nei compiti di ripristino e tutela della funzionalità
della biocenosi, propri del Parco.
2. Incremento della disponibilità trofica per specie predatrici e necrofaghe.
L'intervento di ripopolamento del cervo è fondamentale per gli obiettivi di
conservazione delle più importanti specie carnivore già presenti nel Parco: per
il lupo (Canis lupus ) e per l'orso bruno (Ursus arctos marsicanus) (Genovesi &
Duprè, 2000; Di Martino, 2001), ai quali vengono offerte maggiori risorse
trofiche, anche a vantaggio della loro possibile minor incidenza (necessità)
predatoria sul patrimonio zootecnico dell'area. L'incremento di disponibilità
trofiche è inoltre un aspetto positivo per specie tipicamente necrofaghe, in
particolare per il corvo imperiale (Corvus corax) già segnalato presente (Di
Martino, 2001) e per il grifone (Gyps fulvus) occasionalmente proveniente dal
vicino comprensorio del Velino-Sirente e per il quale è stato recentemente
realizzato un carnaio per incentivare la sua presenza nel parco.
3. Valorizzazione didattico-turistica del territorio
La presenza del cervo, con le possibilità della sua percezione ed osservazione, è
di per se motivo di grande suggestione per i visitatori del Parco. Lo stesso
intervento di ripopolamento della specie, presenta un elevato contenuto
educativo per l'opinione pubblica ed i visitatori, con la dimostrazione di
impegno di ricostituzione degli equilibri naturali da parte dell'uomo.
4. Definizione sperimentale del ripopolamento e della gestione del cervo.
- 29 -
La immissione monitorata di cervi nel Parco può rappresentare una occasione di
affinamento sperimentale della stessa azione di ripopolamento ed eventuale
gestione della specie.
Dal punto di vista tecnico-operativo, sono possibili verifiche dirette sugli aspetti
spaziali e di limitazione del cervo nel territorio del Parco, con risultati di
conoscenza ed esperienza utili alla miglior puntuale definizione degli interventi
di ripopolamento e gestione del cervide.
Lo stesso controllo degli animali immessi, monitorati nel tempo e nello spazio
(aree di insediamento), produce informazioni immediate per eventuali
provvedimenti necessari.
5. Connessione tra le popolazioni già esistenti.
La reintroduzione nel Parco Nazionale del Gran Sasso, accompagnata da quella
del Parco nazionale dei Sibillini e dalla presenza di popolazioni con un discreto
numero di individui nella Riserva Naturale della Duchessa e nel Parco
Regionale Sirente-Velino, può contribuire alla connessione tra le popolazioni di
cervo dell’Appennino Settentrionale e quelle dell’Appennino Centro-
Meridionale. Quest’ultime sono anch’esse frutto di reintroduzioni avvenute
negli ultimi decenni. Per le popolazioni dell’Appennino Tosco-Emiliano, sono
ipotizzabili in tempi relativamente veloci, delle dinamiche di dispersione che
consentano il movimento degli individui verso le popolazioni neointrodotte in
Appennino centrale.
- 30 -
Figura 3.4 - Importanza delle reintroduzioni nell’Appennino centrale
(Carnevali et al., 2006 mod.)
4.2.3 Osservazioni generali
La presenza storica del cervo nel territorio del Gran Sasso e dei Monti della Laga è
testimoniata oltre che da considerazioni biogeografiche, anche da toponimi (ad es. Colle
Cervino, Cervaro nel comprensorio della Laga), citazioni in documenti storici relativi al
Teramano (1700) e all’Aquilano (Calò, 2004) e reperti oggettivi (Tassi, 1974).
Le cause della sua estinzione sono state di origine antropica, riconducibili al diffuso
disboscamento, alla competizione della pastorizia ed alla caccia, come in gran parte
dell'Appennino (Mattioli, 1992; Pedrotti et al., 2001).
Il cervo (Cervus elaphus) è stato probabilmente presente, ancora indigeno, nel territorio
dell'attuale Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga fino al XIX secolo (Tassi,
1974; Mattioli, 1992; Pedrotti et al., 2001; Di Martino, 2001). Il cervo non è mai stato
reintrodotto nel territorio del Gran Sasso e dei Monti della Laga e vi è giunto naturalmente
da zone relativamente vicine, probabilmente in particolare dall’area della Majella. Solo 4
esemplari (2 maschi e 2 femmine) di origine alpina (Tarvisio) furono liberati nel 1987 a
cura del Coordinamento Provinciale delle Foreste di Ascoli Piceno nell’area della Laga
marchigiana nella Foresta Demaniale Regionale di “S. Gerbone” tuttavia senza risultati
(Calò, 2004). La sua reintroduzione locale è stata già auspicata in passato (Tassi, 1974).
Appennino centrale
Sibillini
Appennino settentrionale Gran Sasso
Laga
R.N. Duchessa P.R. Sirente Velino
- 31 -
Oggi, la specie è ricomparsa nel territorio del Parco in seguito alle reintroduzioni effettuate
nel territorio del Gran Sasso e negli anni precedenti in aree vicine (Parco Nazionale
d’Abruzzo, Parco Nazionale della Majella) con esemplari di provenienza alpina e centro-
europea (Pedrotti et al., 2001; Di Martino, 2001; Mattioli 1992).
Lo studio di fattibilità della reintroduzione del Cervo nel P.N.G.S.L. ha permesso di
individuare due aree in cui era auspicabile il rilascio di animali in natura e queste sono i
Monti della Laga, alle pendici di Monte Gorzano e il Gran Sasso, nella Val Chiarino, per
un totale di 36.000 ettari. Questa porzione del parco è stata reputata fornire la base
territoriale minima, Area Minima Vitale (AMV), necessaria per la reintroduzione/presenza
della specie. L'individuazione delle aree per il ripopolamento del cervo nel Parco è stata
formulata seguendo i seguenti criteri (Calò, 2004):
maggior idoneità ambientale per la specie in continuità territoriale nel Parco;
assenza o ridotta presenza spontanea della specie in possibile o già probabile
continuità di popolamento con zone di insediamento/”sorgenza”;
maggior compatibilità ovvero minor criticità prevedibile (sensibilità agro-pascoliva
o vegetazionale, incidenza randagismo canino) per la presenza della specie;
minor eventualità competitiva con altre specie (camoscio appenninico e capriolo);
adeguatezza logistica (raggiungibilità, vicinanza sito di eventuale ambientamento o
“trattenimento” dei capi).
È stata valutata la problematica della coesistenza del cervo nel Parco con altri ungulati
selvatici, che riguarda essenzialmente il camoscio appenninico, del quale è in sviluppo la
popolazione a seguito delle operazioni di reintroduzione ed il capriolo, in fase di
espansione e reinsediamento. La presenza del Parco ha permesso la rimozione delle cause
storiche dell’estinzione del cervo o quantomeno il loro controllo o la loro riduzione. Nel
territorio, l'attività forestale è controllata ed indirizzata verso principi naturalistici; la
pastorizia, comunque contrattasi, viene riqualificata su presupposti di sostenibilità; la
caccia è vietata a norma di legge (Calò, 2004).
Rimangono comunque diversi i possibili fattori condizionanti lo sviluppo della
popolazione di cervo nel territorio del Parco e riassunti di seguito:
I. randagismo canino: è da ritenersi abbastanza diffuso e deve essere considerato il
principale fattore limitante per lo sviluppo della popolazione di cervo, provocando
disturbo e interagendo direttamente tramite predazione.
- 32 -
II. bracconaggio: è presente nel territorio del Parco come in molte altre realtà italiane
e non. Diverse aree si presentano maggiormente interessate da questo fenomeno,
con diverse tipologie di reato, dall’uso dei lacci alla caccia diretta con fucile.
III. predazione naturale: la possibile predazione naturale sul cervo è da attribuire
soprattutto alla presenza del lupo nel Parco la quale potrà riguardare soprattutto i
piccoli cervi dell'anno e comunque rappresenta una dinamica naturale.
IV. viabilità: è un notevole fattore di incidenza, con possibilità di investimenti della
specie lungo strade di maggior scorrimento (S.S. 80) e quindi una rilevante
interferenza con la sua dinamica spaziale (Calò, 2004).
V. disturbo antropico: presenze antropiche diffuse e consistenti, in zone topiche e
periodi critici del cervo, possono rappresentare un fattore di interferenza, in
particolare nel periodo autunnale ed invernale, quando escursionisti e cercatori di
funghi, sciatori fuori pista e fondisti, possono arrecare disturbo nelle aree di
riproduzione e nei quartieri di svernamento del cervo, creando interferenze con le
sue dinamiche spaziali/alimentari nel territorio (Calò, 2004).
Gli interventi per prevenire o ridurre l'eventuale incidenza sulla specie sono stati: un
adeguato risarcimento dei danni arrecati dal cervo; opere di prevenzione ai danni agro-
forestali; prevenzione stradale con l’utilizzo di opportuna segnaletica o accorgimenti
dissuasivi all’attraversamento; azioni educativo-promozionali sulla specie, con l'obiettivo
di comunicare, sensibilizzare e coinvolgere il pubblico; interventi di miglioramento
ambientale; adeguatezza di normative e forme di gestione faunistica nelle zone limitrofe al
Parco; procedure di informazione e/o coinvolgimento degli Enti interessati; controllo sulla
provenienza ed origine dei capi da immettere e sulla idoneità sanitaria (Calò, 2004)
- 33 -
CAPITOLO 5 MATERIALI E METODI
5.1 Il radiotracking
La tecnica nasce in Nord America all’inizio degli anni ’60, ed è utilizzata per studi di
fisiologia, comportamento e demografia della fauna selvatica (Kenward, 2001). Il
radiotracking fornisce informazioni sulla distribuzione degli individui, sui loro movimenti,
sulle interazioni e sulla dispersione (Garrot et al., 1987; McCulloch & Cain, 1989). Con
l’ausilio del radiotracking è possibile analizzare inoltre la selezione dell’habitat in funzione
della distribuzione delle risorse trofiche (White & Garrot, 1986), o di effettuare stime della
densità di popolazione (White & Garrot, 1990).
Un primo passo determinante nel perfezionamento della tecnica fu l’utilizzo, negli anni
sessanta, di segnali pulsanti brevi al posto del segnale continuo; questo permise ai primi
dispositivi, montati su diverse specie, di trasmettere per un periodo più lungo. Nel corso
dei decenni successivi il radiotracking ha subito notevoli miglioramenti, ed è stato
utilizzato in un numero sempre crescente di studi. Dagli anni ’90, l’ingresso del Global
Positioning System (GPS), ha permesso di usufruire della precisione dei satelliti con
conseguente semplificazione e aumento dell’affidabilità del metodo.
Oggi, anche dopo la realizzazione di trasmettitori in grado di dare la posizione dei
soggetti collegandosi ai satelliti, la tecnologia di cui più frequentemente si avvale il
radiotracking si basa sulla propagazione di un segnale radio di breve durata (nell’ordine di
pochi millisecondi), emesso ad intermittenza da un trasmettitore applicato ad un animale.
Tale segnale viene captato a distanza da un’antenna direzionale collegata ad una radio
ricevente, che assolve il compito di demodulare il segnale, renderlo udibile al rilevatore e
registrabile in termini quantitativi, in base a misure dell’intensità del segnale ricevuto
(Pedrotti et al., 1995). L’attrezzatura di base consiste in una stazione trasmittente costituita
dal radiocollare applicato all’animale ed una ricevente in possesso del rilevatore,
rappresentata da un’antenna ed una radio.
Stazione trasmittente
Nel caso degli emettitori in uso per il radiotracking, la stazione trasmittente è costituita
da un transistor, che utilizza l’oscillazione prodotta da un cristallo (Cochran & Lord,
1963). Il cristallo utilizzato è il quarzo che viene inserito nell’emettitore; questo trasforma
la corrente elettrica continua, fornita dalla pila, in corrente oscillante con una determinata
frequenza, propria del cristallo utilizzato (Pedrotti et al., 1995). L’oscillazione ottenuta
viene resa pulsante da un sistema accoppiato (resistenza e condensatore), amplificata da un
transistor ed emessa dall’antenna, generando cosi un campo elettromagnetico che si
- 34 -
propaga nel mezzo fisico in cui l’antenna è inserita, sia esso l’aria o l’acqua (Pedrotti et al.,
1995).
La necessità di una batteria per garantire un periodo lungo di oscillazione, fa sì che la
sua scelta rappresenti un capitolo importante nella costruzione di un radiocollare, in
quando la sua durata aumenta con l’aumento del peso/volume, ma un eccessivo peso
influisce sulla mobilità dell’animale (non dovrebbe superare il 6% del peso corporeo nei
mammiferi (Pedrotti et al., 1995)). Un buon compromesso è rappresentato dalle pile al
litio, le quali, nonostante siano più voluminose delle pile a mercurio o all’ossido d’argento
assicurano una durata ben maggiore. Gli emettitori vengono di frequente dotati di
particolari sensori grazie ai quali si ottengono informazioni sull’attività del soggetto: sono
formati da un microinterruttore contenente una goccia di mercurio che, muovendosi in base
alla posizione ed ai movimenti del soggetto, apre o chiude un circuito facendo così
aumentare o diminuire la frequenza di emissione del segnale (Mari & Lovari, 1999).
Questi sensori mostrano la posizione assunta dalla animale o semplicemente se questo è in
vita. I componenti vengono integrati in un involucro ermetico (tag), costituito da materiale
plastico o vetroresina da cui fuoriesce un antenna.
La relazione che lega la frequenza di oscillazione ( ) e la lunghezza d’onda
elettromagnetica ( ) emessa da una sorgente radio è definita dalla formula:
c
dove c è la velocità della luce, misurata in m/s, rappresenta la lunghezza d’onda ed è
espressa in m, e , la frequenza di oscillazione, in Hertz.
La scelta della frequenza di trasmissione rappresenta un aspetto di notevole importanza:
ogni ostacolo presente sul territorio di studio può provocare un attenuazione del segnale e
generare una “zona d’ombra”, cioè una attenuazione della potenza del segnale. Questo si
verifica quando un ostacolo si presenta di taglia superiore alla lunghezza d’onda. Le
frequenze generalmente scelte sono quelle comprese tra i 148 ed i 172 Mhz (lunghezze tra
i 2,02 e i 1,174 metri). Segnali trasmessi a frequenze più basse, che presentano lunghezze
d’onda minori, quindi più piccole della maggior parte degli ostacoli, sono caratterizzati da
scarsa direzionalità e tendono a propagarsi meglio nelle zone a fitta vegetazione e
nell’acqua; inoltre necessitano di antenne emettitrici di dimensioni non sempre compatibili
con quelle dell’animale (Pedrotti et al., 1995). Nella scelta delle frequenze si deve
comunque tener conto delle caratteristiche geomorfologiche in cui il lavoro viene svolto.
Stazione ricevente
La stazione ricevente è composta da una radio e da una antenna collegati da un cavo
coassiale. La radio è caratterizzata da un intervallo di frequenze (range utile di ascolto) e
- 35 -
all’interno di questo range, agendo su un comando di sintonia fine, è possibile scegliere la
sintonia richiesta (Pedrotti et al., 1995). Alcuni ricevitori sono dotati di due dispositivi di
comando separati: un primo per la regolazione del volume, un secondo per la regolazione
del guadagno dell’amplificatore che riceve il segnale dall’antenna. Mentre la regolazione
del volume agisce sull’intensità del segnale, il guadagno (gain) agisce in modo da regolare
un fattore moltiplicativo del segnale in rapporto al rumore di fondo, aumentando la
grandezza al numeratore nel rapporto che definisce il SINAD (insieme delle onde
elettromagnetiche che raggiungono il demodulatore) (Pedrotti et al., 1995). Utile è la
presenza di un amperometro che misura l’intensità del segnale e permette di individuare
con più oggettività l’effettiva direzione.
Le antenne sono lo strumento più coinvolto nella determinazione della direzione del
segnale. I diversi tipi di antenna più frequentemente utilizzati sono quattro: dipolo a
singolo elemento, antenna ad H, “Yagi “ a tre o quattro elementi ed antenna a loop; si
differenziano per tre caratteristiche operative principali (Pedrotti et al., 1995):
1. direttività;
2. il guadagno (gain): misura espressa in decibel, che esprime quale è il valore
dell’intervallo di ricezione di una data antenna rispetto ad un’antenna dipolo a
singolo elemento, usata come riferimento;
3. front to back ratio (rapporto anteriore/posteriore): è il rapporto esistente tra
l’intensità del segnale ricevuto in direzione della sorgente e quello ricevuto nella
direzione opposta ad essa. Più questo rapporto è elevato, più è facile capire quale
sia la reale direzione di provenienza del segnale, annullando così in parte gli
effetti dei possibili “rimbalzi”, dovuti alla conformazione del territorio.
Esistono 4 modelli di antenna utilizzati per il radiotracking e le loro caratteristiche sono
sintetizzate in tabella 5.1:
Tabella 5.1 - Peculiarità dei modelli di antenna (Pedrotti et al., 1995, mod)
Modello antenna Gain in dB Direttività Front/Back ratio
Dipolo 3 Nulla Nullo
Yagi 7 Accentuata Buono
Antenna ad H 6 Buona Nullo
Antenna a loop 3 Accettabile Nullo
- 36 -
L’antenna Yagi è quella maggiormente utilizzata per il radiotracking in Italia,
caratterizzata da un ottimo rapporto Front/Back e da un alta Gain. Il numero di elementi
caratterizza le Yagi; 4 è il numero compatibile per le esigenze di campo. Gli elementi più
corti, direzionali, incanalano il segnale e lo fanno confluire verso il cavo coassiale
collegato alla radio ricevente. L’elemento posto dietro al ricevente è il riflettore, il quale
svolge la funzione di riflettere in concordanza di fase il segnale radio verso il ricevente,
schermandola anche dai tipi rimbalzi.
5.2 Attrezzatura utilizzata
Per il presente lavoro è stata utilizzata una radio ricevente del tipo Executive TRX 2000,
importata in Italia dalla Ziboni Ornitecnica s.r.l., le cui principali caratteristiche tecniche
sono:
una banda di ricezione da 150.000 a 151.999 Mhz;
un amperometro per individuare la direzione;
un led rosso lampeggiante con la stessa funzione dell’amperometro;
un attenuatore di segnale, utile per individuazione del trasmettitore in prossimità di
questo;
un altoparlante per captare il segnale acustico.
Per l’individuazione della direzione da cui proviene il segnale ci si è avvalsi di
un’antenna Yagi a quattro elementi in alluminio, collegata alla radio tramite un cavo
coassiale. Questo modello Yagi, basato sul funzionamento del dipolo in grado di ricevere i
segnali in ogni direzione, è un’antenna direzionale che riceve il segnale in maniera più
nitida e intensa nella direzione in cui è localizzata la stazione trasmittente (radiocollare).
Per l’attività di campo sono stati, inoltre, utilizzati:
una bussola, per rilevare l’esatta direzione verso cui era orientata l’antenna
(espressa in gradi di divergenza dal Nord magnetico/geografico);
un binocolo Nikon con risoluzione 8x42;
carte turistico-escursionistiche con scala 1:50.000 del Parco Nazionale Gran Sasso-
Laga;
stampe di Carte IGM con scala 1:25.000 del territorio del parco;
automezzo proprio, nella maggior parte delle uscite un fuoristrada 4x4;
scheda per il rilevamento dei dati (Figura 5.1).
- 37 -
Tutti i cervi reintrodotti dal 2004 al 2007 sono stati, al momento della cattura, marcati
con delle marche auricolari, di diverso colore, in base al sesso, per l’identificazione in caso
di avvistamento. Questo ci ha permesso di distinguere con facilità, al momento
dell’avvistamento, i cervi nati nel territorio del parco da quelli reintrodotti.
Degli animali reintrodotti nel corso del triennio 2004-2007, 28 sono stati dotati di
radiocollare, con emettitori costituiti da:
la radio trasmittente;
l’antenna;
un collare di materiale resistente (plastica) su cui fissare radio e antenna.
Gli emettitori utilizzati sono stati forniti da due diverse ditte produttrici e presentano le
seguenti caratteristiche tecniche:
1. Televilt: batterie garantite per 5 anni (vita massima), con un raggio massimo di
ricezione di 10 km.
Questi collari sono dotati di sensori di attività:
60 pulsazioni al minuto = ATTIVO
40 pulsazioni al minuto = INATTIVO
30 pulsazioni al minuto = MORTO
Il segnale di mortalità entra in funzione dopo 2 ore e mezzo di assoluta inattività del
collare. Due cervi tra quelli seguiti sono stati dotati di questo tipo di collare
(Frequenze: 150.059 e 151.035)
2. Ziboni: batterie garantite per 3 anni (vita massima), con un raggio minimo di
ricezione di 6 km e massimo di 10 km.
Questi collari sono dotati di sensori di attività:
90 pulsazioni al minuto = POSIZIONE DELLA TESTA RECLINATA VERSO IL
BASSO-ALIMENTAZIONE
70 pulsazioni al minuto = POSIZIONE DELLA TESTA ERETTA
135/150 pulsazioni al minuto = MORTO
Questi emettitori sono stati utilizzati per gli animali rilasciati negli anni 2006 e 2007
(Frequenze: 151.446, 151.349, 151.249, 151.428, 151.530, 151.546, 151.565, 151.585).
- 38 -
Tabella 5.2- Cervi oggetto dello studio.
Marche auricolari Sesso Nome Frequenza Sito e anno
di rilascio
F170 gialla F Tosta 150.059 Crognaleto 2004
F1 celeste F Berta 151.035 Crognaleto 2005
n.n. M Mizio 151.446 Crognaleto 2006
Dx bianca - Sx gialla M Solo 151.249 Val Chiarino 2006
Dx-sx azzurra F Sara 151.349 Val Chiarino 2006
Dx-sx gialla F Angi 151.428 Val Chiarino 2006
Dx azzurra - Sx gialla F Chiara 151.530 Val Chiarino 2006
Dx gialla F Rina 151.546 Val Chiarino 2006
Dx arancio F Piera 151.565 Val Chiarino 2006
Dx gialla - Sx bianca F Paola 151.585 Val Chiarino 2006
Dx-sx verde F Primavera 151.305 Voltigno 2006
Figura 5.2 – Tosta con il piccolo dell’anno.
- 39 -
5.3 Monitoraggio Il mio lavoro è iniziato il 17 gennaio 2007 ed è terminato il 30 dicembre 2007.
Il monitoraggio attraverso il radiotracking ha riguardato un gruppo di 11 cervi muniti di
radiocollare (Tabella 5.2) su un totale di 15 cervi con radiocollare effettivamente
funzionante al momento dell’inizio dello studio (gennaio 2007).
I radiocollari non più funzionanti sono stati in parte recuperati mentre per altri non si è
potuto procedere al recupero in quanto la scomparsa repentina del segnale non ha permesso
questa operazione. I collari recuperati sono stati trovati in prossimità degli animali morti o
in alcuni casi sono stati ritrovati senza l’animale. La perdita è imputabile a rotture della
cintura dei collari per cause naturali, ad una manomissione antropica riconducibile ad
attività di bracconaggio o al mancato funzionamento della trasmittente.
L’attività consisteva nel monitorare i cervi con collare localizzando la loro posizione sul
territorio (fix) e riportando l’attività dell’animale nel corso della giornata. Per far questo è
stata utilizzata la tecnica della “triangolazione” che consiste nel localizzare la direzione
dell’animale da due o tre postazioni di ascolto, nel minor tempo possibile o meglio,
contemporaneamente (Pedrotti et
al., 1995). Questa direzione è
stata valutata attraverso una
bussola, come angolo di
divergenza dal Nord magnetico,
e riportata su carta. Le rette
disegnate si incontrano cosi in un
punto che rappresenta la
localizzazione del cervo (fix). La
localizzazione rimane comunque
una stima della reale posizione
dell’animale e questa stima,
specie in ambiente montano
come quello dell’area di studio
di questo lavoro, può presentare
notevoli discrepanze dalla realtà.
Non è stata impiegata l’altra
tecnica per la localizzazione, “la
cerca”, che consiste
nell’indirizzare il rilevatore
verso la direzione di provenienza
Figura 5.3 – Tralicci dell’alta tensione presenti nell’area.
- 40 -
del segnale con lo scopo finale di avvistare l’animale. Questo perché il presente lavoro non
prevedeva la raccolta di dati ausiliari sugli animali, utili per informazioni sulla dinamica
della popolazione, e perché il suo utilizzo non è indicato in ambienti con scarsa
contattabilità come quello montano. L’unico caso in cui è stato utile impiegare la cerca, è
stato quando, dopo aver ricevuto il segnale di mortalità di un cervo, è stato necessario
recuperare il radiocollare. La determinazione della direzione del segnale, con l’ausilio
dell’antenna Yagi a 4 elementi, è stata ottenuta prevalentemente con il Metodo del Segnale
più Forte e solo in talune occasioni con il Metodo della Bisettrice. Con il primo metodo il
rilevatore ruota l’antenna in cerca della direzione in cui il segnale ha maggiori intensità;
con il secondo il rilevatore ruota l’antenna finché non sente più il segnale. Segnato questo
margine, ripete l’operazione nel verso opposto; il segnale avrà la direzione della bisettrice
dell’angolo così ottenuto (Pedrotti et al., 1995). Per ottenere un angolo stretto si può
operare sul gain dell’antenna diminuendolo. Quando l’antenna è orientata lungo la
direzione di provenienza del segnale, la ricevente emette il “bip”.
Durante l’ascolto l’antenna veniva mantenuta con gli elementi orizzontali (paralleli al
suolo) o verticali. Questo permette di controllare i due piani di polarizzazione del segnale
(Kenward, 1987). In aree aperte il segnale ottenuto tenendo gli elementi orizzontali ha un
utilizzo più diffuso perché il suolo riflette di più i segnali nel piano di polarizzazione
orizzontale.
In ambienti boscati è invece preferibile usare l’antenna con gli elementi verticali perché
gli alberi producono molti più riflessi e diffrazioni nel piano verticale di polarizzazione. I
rilevamenti determinati dal radiotracking rappresentano stime più o meno accurate: la
presenza sul territorio di elementi morfologicamente rilevanti (dorsali, creste, canali, ecc.),
di condizioni meteorologiche avverse (nebbia, vento, strati riflettenti di nubi, precipitazioni
varie) e di campi magnetici locali, possono provocare zone d’ombra e riflessi, che alterano
l’esatta collocazione del fix.
Nelle rilevazioni è dunque possibile incappare in due genere di errori:
1. l’errore di sistema (system error) che è l’angolo tra la direzione della
localizzazione ottenuta con il sistema di radiolocalizzazione e la direzione vera
dell’animale. È causato da movimenti dell’antenna (dovuti ad esempio al vento)
e, in zone accidentate, da riflessioni del segnale (Hupp & Ratti, 1983).
2. Gli errori di lettura (reading errors) che si verificano nelle imprecisioni di
lettura come ad esempio l’approssimazione al mezzo grado nella lettura
dell’angolo in bussola; questi errori tendono a diventare più rilevanti
all’aumentare della distanza tra animale e rilevatore. Springer (1979) li
- 41 -
In considerazione di questi errori, che limitano l’individuazione della provenienza del
segnale, il rilevamento non fornisce in realtà una linea retta, ma un angolo, più o meno
ampio a seconda dell’accuratezza del dato. Quindi la posizione dell’animale non può
essere ricercata in un’intersezione di due o tre rette, ma in un’area, chiamata poligono
d’errore.
Heezen e Tester (1967) hanno dimostrato che il poligono d’errore è più piccolo quando
l’angolo tra l’animale ed il rilevatore è di 90°. Per questa ragione nel presente lavoro si è
cercato di utilizzare postazioni di ascolto che garantissero un angolo il più possibile vicino
al valore di 90°. Ai fini di questo studio è risultato necessario valutare il poligono di errore,
ossia l’area di confidenza associata alla localizzazione stimata mediante triangolazione.
L’accuratezza del dato è stata ottenuta posizionando due radiocollari in due diverse
tipologie ambientali quali il pascolo e il bosco, ad una distanza di 1500 m dal punto di
ricezione (Springer, 1979). Per ogni radiocollare sono state effettuate 5 misure della
direzione; la media degli errori di localizzazione commessi a destra e a sinistra dei
radiocollari è risultata di 250 m. (Riganelli, 2004).
In questa tesi sono stati utilizzati i punti ottenuti dall’incrocio di due direzioni. Per
quanto riguarda la distanza tra l’animale ed il rilevatore, all’aumentare di questa,
mantenendo fisso l’errore angolare, aumenta la larghezza dell’arco di errore e quindi la
superficie del poligono d’errore.
L’archiviazione dei dati registrati sulle schede è avvenuta su fogli di lavoro Excel
(Microsoft Office XP), nei quali venivano riportate anche le coordinate della
localizzazione. Queste sono state ottenute manualmente (utilizzando un’estensione del
programma ArcGis) da carte topografiche digitali dell’area di studio, georeferenziate in
coordinate UTM fuso 33 e visualizzate con il programma ArcGis 9.1.
Il lavoro di radiotracking si è distribuito su 130 giornate, percorrendo circa 165 km di
media per ogni uscita con automezzo proprio e un numero variabile di km giornalieri
percorsi a piedi per raggiungere le postazioni di vantaggio. Per studiare il comportamento
dell’animale e per poter effettuare analisi statistiche dell’uso dello spazio, è stato
programmato preventivamente un calendario di uscite, che prevedeva, per raggiungere gli
scopi sopra citati, un obiettivo minimo di 12 fix per ogni animale al mese. Non tutti i mesi
è stato possibile per tutti i cervi raggiungere questo obiettivo, per una serie di
problematiche, seppur contenute (condizioni meteorologiche, guasti alla attrezzatura per il
radiotracking, guasti all’automezzo, periodi di malattia, ecc.). Le uscite di radiotracking,
stabilite in tre alla settimana, sono state distribuite in maniera omogenea nel corso del
- 42 -
mese, mantenendo un intervallo minimo tra un turno e l’altro di 24 ore; questo per
garantire l’indipendenza biologica e statistica dei dati.
Per ogni giornata di radiotracking sono state registrate su un’apposita scheda (Figura
5.4) una serie di parametri utili all’elaborazione finale dei dati e in particolare:
1. Data
2. Luce (alba, giorno, tramonto, notte)
3. Intensità del vento (assente, debole, medio, forte)
4. Condizioni meteorologiche (sereno, coperto, pioggia, neve, nebbia)
5. Copertura del suolo (neve, scoperto)
6. Ora di ascolto del segnale per ogni postazione
7. Attività del cervo (movimento, posizione della testa)
8. Direzione (gradi rispetto al Nord)
Le localizzazioni, per essere precise, dovrebbero essere prese simultaneamente in
stazioni differenti (2 o 3) da più operatori per ridurre il lasso di tempo in cui l’animale
potrebbe spostarsi (Pedrotti et al., 1995). Mancando il supporto di altri operatori ho
limitato questo intervallo nel peggiore dei casi ad 1 ora, intervallo questo inevitabile
considerata la morfologia del territorio.
Ogni sessione di radiotracking ha avuto una durata compresa tra le 2 e le 4 ore.
Soprattutto nel periodo invernale i tempi si sono considerevolmente allungati, per le
difficoltà di procedere con il territorio innevato, sia in automobile che a piedi.
Prima dell’inizio del lavoro è stato concordato di effettuare le uscite cercando di coprire
al meglio tutte le ore della giornata, in considerazione del fatto che la strumentazione
consentiva di valutare anche l’attività degli animali. L’intenzione è stata quella di indagare
se fossero presenti delle differenze evidenti nel comportamento dei cervi nel corso della
giornata. Per far questo si è ritenuto opportuno suddividere la giornata in 4 fasce orarie per
un totale 20 ore; sono state escluse da questa suddivisione le ore comprese tra la
mezzanotte e le 4 di mattina poiché lo sforzo per coprire questa fascia oraria non sembrava
giustificato e per evidenti difficoltà di rispettare questo orario nei mesi invernali.
- 43 -
PROGETTO CERVO
SCHEDA DI RILEVAMENTO RADIOTELEMETRICO
Data____________________Rilevatore__________________________Km percorsi______________
Meteo________________Vento________________Suolo________________Luce_______________
Animale Ora
Siti di rilevamento
A, B, C, D…
Localizzazioni
in gradi Nord Attività
Homing
1,2,3,4… Habitat
Meteo: Sereno, Coperto, Pioggia, Neve, Nebbia Vento: Assente, Debole, Medio, Forte Suolo: Neve, Scoperto
Luce: Alba, Giorno, Tramonto, Notte Attività: Attivo, Inattivo, Morto Habitat: Bosco (lecceta, faggetta,
conifere, misto, ceduo, alto fusto), Arbusteto, Pascolo (primario, secondario), Vegetazione ripariale (lago,
torrente), Radura, Fosso, Costa rocciosa o ghiaione, Coltivi, Sorgente.
Figura 5.4 – Scheda rilevamento dati.
- 44 -
Figura 5.5 – Rilevamento con difficoltà meteorologiche.
Le sessioni di radiotracking sono risultate cosi distribuite nelle varie fasce orarie (Tabella
5.3):
Fascia oraria
N° uscite
04 00 - 09 00
32
09 00 - 14 00
33
14 00 - 19 00
32
19 00 - 24 00
33
Totale uscite
130
Tabella 5.3 - Suddivisione in fasce orarie
delle giornate di radiotracking.
- 45 -
5.4 Metodi di elaborazione dei dati L’obiettivo principale della radiotelemetria consiste nella stima e nell’analisi degli
Home Range (HR). Secondo Burt (1943), questa, è l’area attraversata da una animale
durante le sue normali attività di ricerca di cibo, accoppiamento e crescita della prole.
L’HR è dunque l’area in cui l’animale esplica tutte le proprie funzioni vitali, dalla ricerca
di cibo, alla riproduzione e allevamento della prole, al riposo.
Oggi si affianca una definizione di tipo statistico di Home Range, resa possibile
dall’utilizzo della tecnica di radiotracking: questa infatti ha consentito un considerevole
aumento dei dati utili per analizzare le dimensioni, la forma e la configurazione interna
degli HR. La definizione statistica di gran parte dei modelli indica l’HR come quella
regione di confidenza a percentuale prefissata (solitamente il 95%) ottenuta dalla funzione
di distribuzione dell’utilizzo dello spazio (UD) dell’animale (Van Winkle, 1975).
L’HR viene rappresentato utilizzando dati in forma di localizzazioni spaziali al variare
del tempo (fix indipendenti) e la tecnica analitica utilizzata (il radiotracking) è assimilabile
ad un campionamento nel tempo di una popolazione statistica di fix. Cosi i fix rilevati in
questo studio, espressi in coordinate geografiche, hanno permesso di conoscere gli HR di
ciascun cervo, valutandone la forma, le dimensioni e la configurazione interna. L’Home
Range è stato considerato come una stima delle probabilità di presenza di un cervo in un
determinato spazio.
Oltre all’ Home Range, con l’isopleta kernel 50% è possibile rappresentare la core area
(area principale): la core area secondo Burt 1943, include le porzioni di territorio più
frequentemente utilizzate, che contengono le zone di rifugio o le risorse trofiche. A
seconda della specie le core area variano in dimensioni e numero. Secondo Clutton-Brock
et al. 1982, per il Cervo queste sono definite dalle isoplete che vanno dal 50 al 65%. Le
isoplete permettono di conoscere più precisamente, rispetto agli HR, le modalità di
cambiamento nell’uso dello spazio.
Il calcolo degli HR è stata ottenuto utilizzando due metodi: uno deterministico, il
Minimo Poligono Convesso (MPC), ed uno probabilistico, lo stimatore di Kernel (KHR).
Metodo del Minimo Poligono Convesso
Con il metodo del minimo poligono convesso, l’Home Range viene racchiuso nella più
piccola area possibile, contenente tutte le localizzazioni dell’animale. Il poligono si ottiene
unendo i fix più esterni, con gli angoli interni che non superano mai i 180° (per questa
ragione si chiama Minimo Poligono Convesso).
La formula per calcolare l’area del poligono è:
- 46 -
2
1
2111121
n
inniiin yyxyyxyyx
A
dove x e y sono le coordinate dei fix.
I vantaggi di questo metodo sono rappresentati dalla semplicità e la facilità di calcolo,
dalla robustezza delle stime anche con un basso numero di fix e dalla mancanza di
assunzioni sulla distribuzione dei dati. Per contro, basandosi solo su localizzazioni
periferiche il Metodo del Minimo Poligono Convesso non dà alcuna stima dell’utilizzo
interno dello spazio, o se ad esempio gli animali hanno delle preferenze spaziali nei diversi
momenti della giornata. Spesso accade di sovrastimare le dimensioni degli HR perché la
presenza di fix periferici può far includere aree raramente o mai utilizzate.
Metodo del Kernel Per caratterizzare la forma degli Home Range possono essere utilizzati metodi
parametrici e non parametrici. Nei primi viene determinata la probabilità di incontrare
l’individuo indagato in ciascun punto dello spazio, associandovi un intervallo di
confidenza; nei non parametrici non viene fatta nessuna assunzione per caratterizzare la
forma dell’Home Range, che dipende esclusivamente dai dati posizionali (Pedrotti et al.,
1993). Secondo Worton 1989 e 1995, i metodi non parametrici hanno il vantaggio di
essere maggiormente flessibili e non presentano i limiti nell’utilizzazione pratica che
invece caratterizzano i metodi parametrici.
La funzione della probabilità decrescente di densità, denominata kernel, è posizionata
sopra ogni punto dei dati e l’estimatore è costruito aggiungendo n componenti. La stima
della probabilità dell’uso dello spazio è ottenuta con l’uso di una griglia che viene
sovrapposta alla mappa in cui è riportato l’insieme delle localizzazioni indipendenti degli
animali. La griglia converte la stima della distribuzione dell’utilizzo del territorio (UD) in
un contorno, che definisce la dimensione dell’Home Range. Viene calcolata la probabilità
(in genere 95%) associata ad ogni cella della griglia e determinata l’area all’interno del
contorno selezionando il numero minimo di celle la cui probabilità corrisponde a quella
scelta (Worton, 1995). Quando c’è un’area con un’elevata concentrazione di punti, il
kernel la stima come ad alta densità, rispetto ad aree in cui i punti sono in numero inferiore
(Worton, 1989). Poiché ogni kernel è una densità, la stima risultante è essa stessa una reale
probabilità di densità.
- 47 -
Utilizzando diverse percentuali di localizzazioni (a partire dalle zone maggiormente
frequentate), si ottengono poligoni (isoplete) che mostrano l’utilizzo interno dell’HR
stesso.
La formula della funzione è:
n
i
ii
UD nh
zy
nh
zxk
nhnhnaf
1 2
2
1
1
21
,111
dove: a è il nodo della griglia, e le localizzazioni, x e y le coordinate del nodo, e
i parametri di smoothing (che regolano la quantità di variazione in ciascun componente
della stima; per valori piccoli di h si ottiene un dettaglio più fine), n è il numero totale di
localizzazioni, k è la funzione di densità di probabilità la cui formula è:
1z 2z 1h
2h
dove: sono le localizzazioni, a è il nodo della griglia, iz è una costante.
n
i
azi
eak1
5.02
2
1
I parametri di smoothing controllano la quota di variazione dalla stima in ogni
componente. Se si usa un valore piccolo di h, si può ottenere accuratezza nel dettaglio dei
dati. I tipi di estimatori di kernel considerati finora sono estimatori “fissi” perché i
parametri di smoothing sono relativi a valori fissi sul piano (Worton, 1989).
La scelta del kernel k non è tanto importante quanto la scelta di parametri di smoothing.
Un metodo empirico per scegliere tali parametri è quello di utilizzare il valore di h ottimale
ottenuto per alcune distribuzioni standard, come la distribuzione normale (Worton, 1989).
Si ottiene che il valore ottimale di h per campioni numerosi è: hopt = σ n – 1/6.
Limitazioni nell’uso di questa tecnica sono la necessità di disporre di localizzazioni
indipendenti tra loro e il fatto che per diversi valori di h i risultati differiscono.
Indici ambientali e di paesaggio Indice di rugosità del territorio
Lunghezza isoipse
RU = ────────────
Area Unità Campione
Indice di Frammentazione
FRM = 1- ∑ (Ai - At) 2
- 48 -
At rappresenta la superficie totale. Ai del tipo di vegetazione i-esimo.
Rappresenta una misura della complessità del paesaggio.
Effective mesh size
MESH = (1/At) · ∑ (Ai2)
Rappresenta una misura della dimensione media in ettari di ciascun tipo
vegetazionale all’interno dell’UC.
Diversità ambienale mediante la formula di Shannon
SHA = -∑ (pi · ln pi)
pi è la proporzione del tipo vegetazionale i-esimo.
Usata per calcolare la diversità ambientale.
Indice ecotonale
lunghezza perimetro Ai
ECO = MEDIA ──────────────
area tot Ai
Analisi uni e multivariate Le analisi sono state eseguite con il programma SPSS PC 13.0.
Per studiare quali variabili siano più importanti per poter separare dei gruppi, ci si è
avvalsi dell’analisi discriminante. Questa analisi effettua la comparazione tra i vari gruppi
sulla base di un diverso numero di variabili, mettendo in luce quali di queste rivestano un
ruolo primario nella separazione dei gruppi. L’insieme degli oggetti appartenenti al
medesimo gruppo forma una nuvola di punti e una misura sintetica della posizione di
questa nuvola è data dalla posizione del centroide del gruppo. Per centroide si intende il
centro di massa degli oggetti di un gruppo. Per verificare se la posizione dei centroidi fosse
effettivamente diversa per i gruppi presi in considerazione ci si è avvalsi del test Wilks’
Lambda. Con questo test è possibile effettuare il test di significatività per l’uguaglianza
della posizione dei gruppi, calcolata, per ciascuna funzione, dal rapporto tra la devianza
d’errore entro i gruppi e devianza totale. Il λ di Wilks stima quale percentuale della
varianza non è spiegata dalle differenze tra gruppi; λ diminuisce di valore al crescere della
significatività delle differenze osservate tra gruppi.
È stata utilizzata anche l’analisi della varianza (ANOVA) ad una via di classificazione.
Questa tecnica permette di comparare l’andamento di una variabile in campioni diversi, ma
anche di analizzare l’andamento della variabile in relazione a due variabili indipendenti
(ANOVA a due criteri di classificazione).
- 49 -
CAPITOLO 6 RISULTATI
I risultati riguardano le analisi dei dati raccolti nel monitoraggio attraverso il
radiotracking di un gruppo di cervi (Tabella 6.1). Lo studio è iniziato il 1 gennaio 2007 ed
è terminato il 30 dicembre 2007. Per i cervi Berta e Mizio la raccolta dei dati è iniziata il
23 febbraio 2007.
Tabella 6.1 – Cervi oggetto dello studio.
Cervi con radiocollare Periodo radio-tracking
Nome Frequenza Inizio Fine Causa interruzione
Tosta 150.059 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio
Berta 151.035 23-feb-07 30-dic-07 Termine studio
Solo 151.249 17-gen-07 30-giu-07 Scomparsa segnale
Primavera 151.305 29-gen-07 30-dic-07 Termine studio
Sara 151.349 17-gen-07 13-nov-07 Morte cervo
Angi 151.428 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio
Mizio 151.446 23-feb-07 28-set-07 Rottura collare
Chiara 151.530 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio
Rina 151.546 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio
Piera 151.565 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio
Paola 151.585 17-gen-07 30-dic-07 Termine studio
Degli 11 cervi seguiti nel periodo di studio, è stata accertata la morte per un solo
individuo, Sara, trovata nella Val Chiarino dopo circa 10 giorni dalla ricezione del segnale
di mortalità emesso dal suo collare. Non è stato possibile individuare prima il corpo
dell’animale in quanto i giorni successivi al 13 novembre 2007 sono stati caratterizzati da
condizioni meteorologiche sfavorevoli e soprattutto perché la presenza di neve sul collare
non permetteva una ricezione continua del segnale di mortalità (Figura 6.1).
- 50 -
Figura 6.1 – Resti della cerva Sara.
Il segnale del maschio Solo è stato ascoltato l’ultima volta il 30 giugno 2007 a
Campotosto sui monti della Laga. Dopo questa rilevazione non si è ricevuto più nessun
segnale dal collare dell’animale.
- 51 -
Il collare dell’altro maschio,
Mizio, è stato trovato il 28
settembre 2007 dopo poche ore
dalla ricezione del segnale di
mortalità. Il collare si è
presumibilmente rotto per usura
in prossimità del modulo
trasmittente (Figura 6.3) ed è
stato ritrovato in un cespuglio di
ginepro alle pendici del Monte
Falcone tra Crognaleto e
Cesacastina (Figura 6.2).
Figura 6.2 - Collare 446, cervo Mizio.
I collari degli altri cervi
hanno continuato ad inviare
segnali fino al termine dello
studio.
Sono stati raccolti un totale
di 1202 fix, come riportato
in Tabella 6.2.
In Allegato I sono riportati
tutti i fix raccolti.
Figura 6.3 - Collare 446, cervo Mizio.
- 52 -
Tabella 6.2 – Numero complessivo delle localizzazioni (fix).
Cervo N° Fix
Berta 104
Tosta 112
Solo 51
Primavera 122
Sara 109
Angi 127
Mizio 78
Chiara 125
Rina 123
Piera 127
Paola 124
Tot 1202
Per le analisi presenti in questo capitolo si è ritenuto opportuno considerare
singolarmente i cervi o raggrupparli in funzione del sesso e dell’area utilizzata; in
quest’ultimo caso le femmine sono state suddivise in due raggruppamenti come illustrato
in tabella 6.3.
Tabella 6.3 – Suddivisone delle Cerve per area.
Cerve Area
Tosta
Primavera Campotosto
Sara
Angi
Chiara
Rina
Piera
Paola
Val Chiarino
Questo raggruppamento è stato possibile poiché le sei cerve rilasciate in Val Chiarino
nel 2006, sono rimaste nella valle anche per tutto il 2007 salvo occasionali spostamenti.
Solo la cerva Rina si è spostata in alcuni periodi dell’anno verso la bassa Val Vomano. È
stata esclusa da questa classificazione la cerva Berta poiché distante dalle altre femmine e
ricadente in parte fuori dai confini del parco. Si è ritenuto opportuno escludere anche i
- 53 -
maschi poiché Mizio presentava un home range distante diversi km dalle due aree in
questione e poiché per Solo, benché il suo home range si trovasse nell’area di Campotosto,
le rilevazioni si sono fermate il 30 giugno, giorno in cui si è ricevuta l’ultima emissione dal
suo collare. I dati forniti dalle rilevazioni di questi due individui sono stati considerati
singolarmente o in taluni casi si è ritenuto opportuno accorparli, questo principalmente
quando le analisi venivano separate per sesso.
Distanze percorse dai siti di rilascio
I cervi oggetto del seguente studio, sono stati rilasciati nel triennio 2004-2006 in tre aree
come riportato nella figura 6.4:
D
DDD
D
TERAMO
L'AQUILA
RIETI
ASCOLI PICENO
PESCARA
Voltigno
Piano Vomano
Val Chiarino
Figura 6.4 – Siti di rilascio (i siti sono indicati con una croce).
- 54 -
Lo spostamento di ogni singolo cervo compiuto dal sito di rilascio è stato valutato
attraverso la Hawths Tools del programma ArcGis 9.1 (ESRI) (Tabella 6.4).
La cerva Primavera si è spostata molto dal sito di rilascio collocandosi ad una distanza
media di circa 38 km. I cervi rilasciati a Piano Vomano hanno un home range piuttosto
distante dal sito di rilascio. Le femmine della Val Chiarino sono rimaste, invece, tutte
nell’area della Valle salvo alcuni spostamenti stagionali della cerva Rina verso la bassa Val
Vomano. Il maschio rilasciato in Val Chiarino si è spostato nell’area di Campotosto ad una
distanza media del punto di rilascio di 5 km (Grafico 6.1) .
Tabella 6.4 – Siti di rilascio, anno e distanze percorse dal punto di immissione in metri.
Nome Sito di rilascio Anno Minima Massima Media Dev.St
Mizio Piano Vomano 2006 3.742 6.426 4.717 548
Berta Piano Vomano 2005 803 7.307 2.984 1.132
Tosta Piano Vomano 2004 2.766 16.766 12.240 2.402
Primavera Voltigno 2006 29.066 43.425 38.100 3.572
Solo Val Chiarino 2006 3.686 7.862 5.214 830
Sara Val Chiarino 2006 358 5.869 2.214 966
Angi Val Chiarino 2006 457 9.747 2.599 1.428
Chiara Val Chiarino 2006 21 7.020 2.073 1.141
Rina Val Chiarino 2006 95 11.932 5.303 3.934
Piera Val Chiarino 2006 486 9.926 2.223 1.594
Paola Val Chiarino 2006 249 9926 2503 1671
Tabella 6.5 – Distanze medie percorse da tutti i cervi dai 3 siti di rilascio (metri).
Area Minima Massima Media Dev.St
Piano Vomano 2.437 10.166 6.647 1.361
Val Chiarino 765 8.897 3.161 1.652
Voltigno 29.066 43.425 38.100 3.572
Escludendo i maschi, si può notare come le distanze dai siti di rilascio tendono a
diminuire nei valori minimi e ad aumentare in quelli massimi sia per l’area di Piano
Vomano che per l’area della Val Chiarino (Tabella 6.6).
- 55 -
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45M
izio
Berta
Tost
a
Prim
ave
ra
Solo
Sara
Angi
Chia
ra
Rin
a
Pie
ra
Paola
Km
Grafico 6.1 – Distanze medie percorse dai cervi dal sito di reintroduzione.
Tabella 6.6 - Distanze medie percorse dalle cerve dai 3 siti di rilascio (metri).
Area Minima Massima Media Dev.St
Piano Vomano 1.785 12.037 7.612 1.767
Val Chiarino 278 9.070 2.819 1.789
Voltigno 29.066 43.425 38.100 3.572
Dalla figura 6.5 si può notare come i cervi rilasciati nel punto di immissione Val
Chiarino siano rimasti nei pressi del sito (poligoni gialli), i cervi rilasciati a Piano vomano
si siano spostati in maniera più marcata (poligoni rosa) e la cerva rilascia al Voltigno
(poligono verde) abbia compiuto un spostamento di parecchi chilometri, posizionandosi
nell’area degli altri cervi, a testimonianza dell’idoneità ambientale di questa zona.
- 56 -
D
DDD
D
TERAMO
L'AQUILA
RIETI
ASCOLI PICENO
PESCARA
Voltigno
Piano Vomano
Val Chiarino
Figura 6.5 – Home range (core area 50%) di tutti i cervi con colorazione differente per i
diversi siti di rilascio; colore verde: Mizio-Berta-Tosta; colore giallo: Sara-Angi-Piera-
Solo-Rina-Chiara-Paola; colore rosa: Primavera.
Distanze medie giornaliere È stato valutato lo spostamento di ogni singolo cervo attraverso la Hawths Tools del
programma ArcGis 9.1 (ESRI). Tra una rilevazione e la successiva sono trascorsi 2-3
giorni con una media di 12 rilevazioni al mese. Sono stati calcolati così gli spostamenti
giornalieri, ottenuti dividendo lo spostamento, in metri, per il tempo medio trascorso tra un
fix e l’altro (2,5 giorni).
La tabella 6.7 mostra le distanze percorse giornalmente dai cervi. I valori minimi si
presentano molto simili tra loro; per quanto riguarda i valori massimi ed il valore medio si
evidenzia come in generale i due maschi abbiamo effettuato spostamenti più brevi rispetto
alle femmine (Grafico 6.2). Quest’ultime presentano valori medi di spostamento uniformi
che variano dal valore minore della cerva Tosta (500 metri) al valore maggiore della cerva
- 57 -
Rina (700 metri). I valori massimi di spostamento delle cerve sono eterogenei variando dai
1800 metri di Angi ai 5000 metri di Primavera.
Tabella 6.7 – Distanze percorse giornaliere (metri).
Distanze giornaliere per ciascun cervo
Cervo Min Max Media Dev.St.
Angi 53 1823 546 434
Berta 16 2655 536 546
Chiara 31 2278 592 431
Mizio 15 892 263 207
Paola 38 3674 629 612
Piera 41 3698 660 693
Primavera 48 5152 580 704
Rina 53 3242 684 571
Sara 32 2002 664 430
Solo 7 1166 342 255
Tosta 43 4049 522 569
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
Metri
Min 40 11
Max 3175 1029
Media 601 302
Femmine Maschi
Grafico 6.2 – Distanze giornaliere suddivise per sesso.
Il grafico 6.2 mostra le medie degli spostamenti tra due fix successivi suddivisi per
sesso. Sia nei valori massimi che in quelli minimi e medi, le femmine si sono spostate in
maniera più marcata rispetto ai maschi. I maschi non hanno compiuto spostamenti
- 58 -
significativi dai loro home range; il loro dato tuttavia si riferisce al periodo precedente al
mese di luglio per il cervo Solo e al periodo precedente al mese di settembre per il cervo
Mizio, poiché successivamente si è registrata l’impossibilità di continuare le rilevazioni
(Tabella 6.1).
Tabella 6.8 – Distanze giornaliere suddivise per stagioni.
Distanze giornaliere per ciascuna stagione
Cervo Stagione Min Max Media Dev.St
Inverno 53 1823 450 389
Primavera 312 3556 1142 825
Estate 24 1113 376 278
Angi
Autunno 75 694 288 176
Inverno 186 1050 510 308
Primavera 42 2655 994 782
Estate 16 1334 351 320
Berta
Autunno 40 920 334 221
Inverno 53 1640 706 458
Primavera 66 2278 760 542
Estate 128 1307 475 300
Chiara
Autunno 31 1509 446 323
Inverno 63 257 132 73
Primavera 15 892 264 219
Mizio
Estate 34 842 303 213
Inverno 53 1426 470 317
Primavera 139 3674 1244 921
Estate 48 1395 452 305
Paola
Autunno 38 1260 415 325
Inverno 41 1420 482 372
Primavera 72 3698 1150 1132
Estate 164 1914 648 388
Piera
Autunno 44 1022 341 209
Inverno 51 5152 784 1142
Primavera 48 2564 553 566
Estate 59 2208 452 509
Primavera
Autunno 80 2120 581 590
Inverno 53 1622 526 358
Primavera 460 3242 1137 752
Rina
Estate 62 1578 540 318
- 59 -
Autunno 110 2371 507 487
Inverno 53 1682 790 464
Primavera 34 1898 740 479
Estate 84 1440 506 287
Sara
Autunno 157 2002 672 475
Inverno 68 1166 436 332 Solo
Primavera 58 688 270 156
Inverno 44 4049 844 1022
Primavera 80 1760 518 418
Estate 43 1520 356 351
Tosta
Autunno 71 1883 510 490
Poiché per i maschi mancano i dati dell’estate e dell’autunno sono stati valutati gli
spostamenti giornalieri stagionali delle sole femmine. Con livello altamente significativo
(P < 0,001) (tabella 6.10) è possibile affermare che le cerve si spostano di più in primavera.
In estate e in autunno le cerve si spostano meno rispetto al resto dell’anno e in queste due
stagioni le cerve percorrono distanze giornaliere comparabili.
Tabella 6.9 - Distanze giornaliere in metri percorse dalle cerve nelle stagioni.
DISTANZE FEMMINE STAGIONI Intervallo di confidenza
95% Stagioni Media Errore Standard Min Max inverno 608 44 522 701
primavera 914 47 821 1006 estate 462 20 422 501
autunno 460 24 412 506
Tabella 6.10 - Valore di F e significatività.
ANOVA F Significatività
42,414 0,000
Aumentando il livello di significatività dal 99% al 99,9% (tabelle 6.11 e 6.12) le
distanze giornaliere compiute in inverno, estate ed autunno vengono assimilate in un unico
gruppo, mentre risulta ancor più evidente come in primavera le cerve abbiano compiuto gli
spostamenti più significativi (grafico 6.3).
- 60 -
Tabella 6.11 – Livello di significatività 0,01.
Student-Newman-Keulsa,b Subset for alpha= 0.01
Stagioni 1 2 3 autunno 460 estate 462 inverno 608
primavera 914 Significatività 0,961 1,000 1,000
Tabella 6.12 - Livello di significatività 0,001.
Student-Newman-Keulsa,b
Subset for alpha=
0.001 Stagioni 1 2 autunno 460 estate 462 inverno 608
primavera 914 Significatività 0,060 1,000
3000
2500
2000
Min metri
Max 1500
Media 1000
500
0 Autunno Inverno Primavera Estate
Grafico 6.3 - Distanze giornaliere suddivise per stagioni delle femmine.
È stato possibile effettuare il confronto tra le distanze percorse nelle stagioni dai cervi
suddivisi nei 2 sessi solo per l’inverno e la primavera, mancando per i maschi gli altri dati.
Le femmine nelle due stagioni prese in esame (Tabella 6.13) hanno coperto distanze
- 61 -
maggiori rispetto ai maschi. Quest’ultimi nelle due stagioni hanno effettuato spostamenti
pressoché costanti (Grafico 6.4).
Tabella 6.13 – Distanze giornaliere percorse dai cervi suddivisi nei due sessi in inverno.
DISTANZE SEX INVERNO Intervallo di confidenza 95% Sesso Media Errore Standard Min Max Maschi 345 57 228 461
Femmine 608 44 522 694
Tabella 6.14 – Valore di F e significatività.
ANOVA F Significatività
5,357 0,022
In primavera si conferma il dato dell’inverno in cui le femmine compiono spostamenti
giornalieri più pronunciati rispetto ai maschi (Tabella 6.15). Rispetto all’inverno le
femmine percorrono in primavera spostamenti notevolmente maggiori.
Tabella 6.15 – Distanze giornaliere percorse dai cervi suddivisi nei due sessi in primavera.
DISTANZE SEX PRIMAVERA Intervallo di confidenza 95% Sesso Media Errore Standard Min Max Maschi 267 24 218 316
Femmine 914 47 821 1006
Tabella 6.16 - Valore di F e significatività.
ANOVA F Significatività
41,02 0,001
- 62 -
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
Inverno Primavera Inverno Primavera
Maschi Femmine
Met
r
Min
Max
Media
Grafico 6.4 - Distanza percorsa tra i fix per ciascuna stagione suddivise per sesso (metri).
Tabella 6.17 - Distanze giornaliere in metri percorse dalle cerve dei due siti in estate.
DISTANZE LOCALITA' ESTATE Intervallo di confidenza 95% Località Media Errore Standard Min Max
Val Chiarino 630 21 589 671 Campotosto 406 53 300 512
Tabella 6.18 - Valore di F e significatività.
ANOVA F Significatività
10,306 0,001
Come già accennato poco sopra, nelle altre tre stagioni non si hanno livelli di
significatività accettabili. Vengono comunque indicati i confronti tra le distanze nelle varie
stagioni e i relativi livelli di significatività (tabella 6.19).
Tabella 6.19 – Valori di significatività e confronto delle distanze tra i due gruppi di cervi nelle altre 3 stagioni.
Stagione Significatività Confronto distanze Autunno 0,353 Val Chiarino > Campotosto Inverno 0,066 Campotosto > Val Chiarino
Primavera 0,216 Val Chiarino > Campotosto
- 63 -
Home Range Gli home range sono stati calcolati sia con il metodo Kernel al 50% con un valore di
smoothing di 1000 metri e sia attraverso il metodo del Minimo Poligono Convesso. Poiché
quest’ultimo metodo tende a sovrastimare le dimensioni reali degli home range
considerando anche i fix occasionali e marginali, per le analisi in questo lavoro ci si è
avvalsi della core area calcolata al 50% dei fix rilevati (KHR50%). Il calcolo della
superficie delle suddette aree e la loro rappresentazione grafica sono state realizzate
mediante l’estensione Animal Movement 2.04 del software ArcGis 9.1. Tutte le core
areas sono riportate in allegato II.
Le core areas dei cervi maschi si presentano più piccole di quelle delle femmine
(Tabella 6.21). Tra le cerve, Rina ha l’HR più ampio con circa 900 ha mentre,
considerando il minimo poligono convesso, la cerva Primavera occupa l’area più grande in
quanto ha frequentato l’area di Campotosto e gran parte della Val Vomano.
Tabella 6.20 – Core area (in ettari) annuali calcolati con il
metodo del Kernel al 50% e del Minimo Poligono Convesso.
Cervo KHR 50% MPC
Chiara 433 3070
Angi 300 3507
Rina 913 8195
Paola 331 4406
Sara 525 2433
Piera 371 5692
Berta 276 4270
Tosta 332 5525
Primavera 763 9008
Solo 183 608
Mizio 142 349
Media 415 4279
- 64 -
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
Ettari
Ch
iara
An
gi
Rin
a
Pa
ola
Sa
ra
Pie
ra
Be
rta
To
sta
Pri
ma
vera
So
lo
Miz
io
Grafico 6.5 – Core area (KHR50%) di ciascun cervo.
Tabella 6.21 – Core area (KHR50%) e MPC medi suddivisi per sesso.
Sesso Core area (KHR50%) (ha) MPC (ha)
Maschi 163 479
Femmine 472 5123
Il confronto delle dimensioni delle core areas tra i maschi e le femmine è stato
affrontato attraverso l’analisi della varianza con la tecnica dell’ANOVA ad una via di
classificazione. Come è possibile vedere dalla tabella 6.22 le femmine presentano una core
area annuale di dimensioni maggiori rispetto ai due maschi.
Tabella 6.22 – HR suddivisi per sesso
HR SEX Intervallo di confidenza 95% Sesso Media Errore Standard Min Max
Femmine 471 74 299 643 Maschi 162 20 -95 420
- 65 -
La significatività (P< 0.01) è provata tramite il Test F (tabella 6.23); questo test
permette di controllare la similarità tra due varianze.
Tabella 6.23 –Valore di F e significatività.
ANOVA F Significatività
0,094 0.094
In tabella 6.24 le sole cerve, con l’eccezione di Berta distante da questi nuclei, sono
state raggruppate in due aree per valutare se l’ambiente differente influenzasse in maniera
significativa il comportamento degli animali. Sono state calcolate cosi le core areas per le
singole stagioni. Come è possibile notare anche dal grafico 6.6 per entrambi i nuclei nelle
stagioni inverno ed autunno l’utilizzo dello spazio è stato più contenuto rispetto alla
primavera e all’estate. Le due cerve presenti a Campotosto hanno nel complesso core areas
stagionali maggiori rispetto alle 6 cerve della Val Chiarino; i due ambienti si presentano
molto diversi e da questi dati emerge una maggiore motilità a Campotosto.
Tabella 6.24 – Core areas (KHR50%) stagionali delle cerve presenti
in Val Chiarino e a Campotosto.
Core area (ha)
Cerve Area Inverno Primavera Estate Autunno
Tosta
Primavera Campotosto 501 565 848 442
Sara
Angi
Chiara
Rina
Piera
Paola
Val Chiarino 321 702 516 349
- 66 -
200
300
400
500
600
700
800
900
Inverno Primavera Estate Autunno
Ha
Campotosto Val Chiarino
Grafico 6.6 - Core areas (KHR50%) stagionali delle cerve presenti
in Val Chiarino e a Campotosto.
Legend
MCPtotale
confini provincie
TERAMO
L'AQUILA
RIETI
ASCOLI PICENO
PESCARA
PESCARA
Figura 6.6 – Minimo poligono convesso totale degli 11 cervi.
- 67 -
In figura 6.6 è illustrato il Minimo Poligono Convesso totale, realizzato con tutti i fix
dei cervi monitorati. L’area che esso racchiude si estende per 22.726 ha ricadenti in 3 delle
5 province comprese nel PNGSL e per una esigua porzione al di fuori dei confini del
parco.
Analisi ambientale Per il presente studio sono stati calcolati gli indici ambientali riportati in tabella 6.25.
Questa analisi consente di confrontare le aree utilizzate dai cervi e valutare la diversità
ambientale. Oltre all’indice di Shannon (grafico 6.7) vengono mostrati gli indici effective
mesh size, di frammentazione, di ecotono e di rugosità rispettivamente nei grafici 6.8, 6.9,
6.10 e 6.11. Gli indici ambientali esprimono dati relativi alle core areas (KHR 50%) di
ogni singolo cervo.
Tabella 6.25 – Indici ambientali e di paesaggio.
Cervi H MESH_tot FRM_tot ECO RUG
Chiara 0,875 258,158 0,404 4,540 0,010
Angi 0,389 263,883 0,122 4,285 0,012
Rina 2,106 298,599 0,673 1,654 0,011
Paola 0,501 272,055 0,179 4,770 0,011
Sara 0,610 399,488 0,239 3,689 0,011
Piera 0,648 279,335 0,247 4,406 0,010
Berta 3,126 18,146 0,934 4,770 0,026
Tosta 1,892 84,877 0,745 5,489 0,008
Primavera 2,291 159,548 0,791 2,216 0,010
Solo 1,566 77,091 0,578 0,001 0,009
Mizio 1,229 63,849 0,550 0,001 0,012
Dai grafici 6.7, 6.8, 6.9, 6.10 e 6.11 i diversi indici si presentano pressoché identici nei
due maschi, ad indicare una scelta dell’habitat simile. Le femmine invece, hanno indici che
variano considerevolmente a seconda degli habitat in cui si trovano le core areas delle
cerve.
- 68 -
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
Chi
ara
Angi
Rin
a
Paol
a
Sara
Pie
ra
Berta
Tosta
Prim
aver
a
Solo
Mizio
Grafico 6.7 – Indice di Shannon.
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
Chi
ara
Angi
Rin
a
Paol
a
Sara
Pier
a
Berta
Tosta
Prim
aver
a
Solo
Mizio
Grafico 6.8– Indice Effective mesh size .
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
0,9
1
Chi
ara
Angi
Rin
a
Paol
a
Sara
Pier
a
Berta
Tosta
Prim
aver
a
Solo
Mizio
Grafico 6.9 – Indice di Frammentazione.
- 69 -
0
1
2
3
4
5
6
Chi
ara
Angi
Rin
a
Paol
a
Sara
Pier
a
Berta
Tosta
Prim
aver
a
Solo
Mizio
Grafico 6.10 – Indice di Ecotono.
0
0,005
0,01
0,015
0,02
0,025
0,03
Chi
ara
Angi
Rin
a
Paol
a
Sara
Pier
a
Berta
Tosta
Prim
aver
a
Solo
Mizio
Grafico 6.11 – Indice di Rugosita.
È stata eseguita una analisi ambientale suddividendo i cervi in due gruppi in base al
sesso, e sono state valutate tutte le variabili prese in considerazione nei paragrafi
precedenti in questo capitolo. In tabella 6.26 sono riportati il valore del Wilks’Lambda
(0,005) e il livello di significatività (0,005). In questo caso il livello di significatività P <
0,01 può essere indicato come molto significativo.
- 70 -
Tabella 6.26 – Wilks’ Lambda
,005 23,743 9 ,005Test of Function(s)1
Wilks'Lambda Chi-square df Sig.
La tabella 6.27 mostra le variabili che pesano in maniera maggiore sui due sessi. Le
variabili con indice positivo pesano più per i cervi femmina, mentre i valori negativi
pesano più per i cervi maschi. Per le femmine la diversità ambientale, la dimensione
effettiva dei singoli tipi vegetazionali, la percentuale di ecotono e l’altezza massima delle
core area rappresentano tutte variabili che pesano in maniera maggiore. Per i maschi
l’altezza media delle core area pesa in maniera maggiore rispetto alle altre variabili.
Tabella 6.28 – Indici stagionali delle cerve presenti in Val Chiarino e a Campotosto.
Cerve Area Stagione H MESH_tot FRM_tot ECO RUG
Inverno 2,768 58,724 0,883 4,326 0,006
Tosta Primavera 2,573 85,442 0,849 3,563 0,009
Primavera Estate 2,886 95,276 0,888 1,834 0,009
Campotosto
Autunno 2,113 102,595 0,768 3,637 0,011
Sara
Angi Inverno 0,771 224,517 0,300 4,570 0,011
Chiara Primavera 0,769 513,211 0,269 2,619 0,011
Rina Estate 0,677 385,601 0,253 3,276 0,011
Piera Autunno 0,54 278,821 0,201 5,193 0,010
Paola
Val Chiarino
3,732
5,251
-,300
6,281
,792
-,629
8,104
-6,898
1,070
H
MESH_tot
FRM_tot
ECO
RUG
ALT_min
ALT_max
ALT_med
GIN1
1
Function
Tabella 6.27 - Standardized Canonical Discriminant Function Coefficients.
- 71 -
L’analisi ambientale è stata condotta anche per comprendere l’utilizzo dell’habitat nelle
diverse stagioni dai due gruppi di femmine (Campotosto e Val Chiarino). I due gruppi non
evidenziano uniformità nella scelta dei parametri ambientali nelle diverse stagioni.
Nel grafico 6.12 sono illustrati gli indici di Shannon delle cerve presenti in Val
Chiarino e a Campotosto suddivisi nelle diverse stagioni. Come è possibile notare la
diversità ambientale si mostra maggiore nell’area di Campotosto; questo perché l’area
presenta un certo grado di antropizzazione dovuto alla presenta del lago artificiale e a due
abitati, Mascioni e Campotosto. La Val Chiarino è una valle più omogenea con ampi
boschi di latifoglie e solo in un’area marginale è presente il paese di Ortolano, dove le
poche attività umane sono circoscritte nei pressi dell’abitato.
0
0,51
1,5
2
2,53
3,5
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Campotosto Val Chiarino
Grafico 6.12 – Indice di Shannon dei due gruppi di cerve nelle varie stagioni.
Dal grafico 6.13 si evidenzia come per quanto riguarda l’indice Effective Mesh Size,
che rappresenta una misura della dimensione media in ettari di ciascun tipo vegetazionale
all’interno della core area (KHR50%), l’ambiente utilizzato dalle cerve della Val Chiarino
presenta nelle diverse stagioni dimensioni medie di ogni associazione vegetale maggiori
rispetto all’area di Campotosto. Questo è facilmente spiegabile e in accordo con le
considerazioni fatte sopra per l’indice di Shannon. È possibile confrontare questo dato
anche con il grafico 6.14 che conferma come l’area di Campotosto sia più frammentata dal
punto di vista delle tipologie vegetazionali con una maggiore diversità ambientale.
- 72 -
0100200300400500600
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Campotosto Val Chiarino
Grafico 6.13 – Indice effective mesh size dei due gruppi di cerve
nelle varie stagioni.
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Campotosto Val Chiarino
Grafico 6.14 – Indice di frammentazione dei due gruppi
di cerve nelle varie stagioni.
Nei grafici 6.15 e 6.16 vengo mostrati rispettivamente gli indici di ecotono e di rugosità.
I due indici si presentano abbastanza simili in tutte e due le aree nelle diverse stagioni
- 73 -
0
1
23
4
5
6
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Campotosto Val Chiarino
Grafico 6.15 – Indice di ecotono dei due gruppi
di cerve nelle varie stagioni.
00,0020,0040,0060,0080,01
0,012
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Inve
rno
Prim
avera
Estate
Autunn
o
Campotosto Val Chiarino
Grafico 6.16 – Indice di rugosità dei due gruppi
di cerve nelle varie stagioni.
Vegetazione
La core area (KHR50%), è stata sovrapposta alla carta (scala 1:25000) della vegetazione
del Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga per valutare l’uso dell’habitat. Le
core area degli 11 cervi ricadono tutte in 35 tipologie vegetazionali naturali più 3 ambienti
antropizzati (seminativo in rotazione, urbanizzato, diga), come illustrato in Allegato III.
- 74 -
9%
2%
2%
2%
4%
7%
8%
60%
6%
Altro
RIMB
CER2
CAR2
CAR4
CER1
GIN2
FAG1
GIN1
Grafico 6.17 – Percentuali di associazioni vegetali utilizzate nel corso dell’anno da tutti i cervi
(Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con ginestra dei carbonai = GIN2; Arbusteto
di ginepro emisferico e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo, acidofilo di faggio = FAG1;
Bosco di cerro e citiso trifloro con acero a foglie ottuse = CER1; Bosco di cerro e citiso trifloro =
CER2; Bosco basifilo di carpino nero = CAR2; Bosco subacidofilo di carpino nero = CAR4;
Rimboschimento a Pinus nigra = RIMB).
Dal grafico 6.17 si può notare come la quasi totalità dello spazio utilizzato dai cervi,
circa il 90 %, ricada in 8 tipologie vegetazionali. Il bosco termofilo, acidofilo di faggio
(associazione: Dactylorhyzo-Fagetum sylvaticae, FAG1) costituisce l’associazione
vegetale più frequentata dai cervi nel corso dell’anno con circa il 60 % di utilizzo. Nel 9 %
indicato nel grafico 6.17 con ALTRO sono comprese le altre 30 tipologie vegetazionali
illustrate in allegato III.
Raggruppando le cerve nei due grandi areali di Campotosto e Val Chiarino e valutando
lo sfruttamento del territorio in funzione delle stagioni, è possibile notare come anche in
questo caso l’associazione vegetale più utilizzata sia nel complesso FAG1.
I cervi di Campotosto nel corso dell’anno hanno frequentato in prevalenza tre tipi
vegetazionali (Grafico 6.18), arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con
ginestra dei carbonai (GIN2), arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune (GIN1) e
bosco termofilo, acidofilo di faggio (FAG1).
- 75 -
23%
19%
5%
33%
3%2%
2%7%
3% 3% GIN1
GIN2
CAR4
FAG1
ERBA
PASC
PRA5
RIMB
Altro
PRA6
Grafico 6.18 – Associazioni vegetali utilizzate dalle cerve di Campotosto nel corso dell’anno
(Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con ginestra dei carbonai = GIN2; Arbusteto
di ginepro emi. e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo, acidofilo di faggio = FAG1;
Rimboschimento sempreverde a Pinus nigra = RIMB, Prateria densa a cervino con festuca
mediterranea = PRA6; Prateria a trifoglio bianco e covetta dei prati = PRA5; Formazione
erbacea a falasco rupestre = ERBA; Pascolo ad astragalo spinoso e sesleria dei macereti =
PASC; Bosco subacidofilo di carpino nero = CAR4).
Nel grafico 6.19 vengono mostrate le associazioni vegetali utilizzate nel corso delle
stagioni dalle cerve di Campotosto. Si evidenzia una differente frequentazione del territorio
a seconda delle stagioni ed in particolare, oltre alle 3 tipologie vegetazionali evidenziate
anche dal grafico 6.18, si può notare come in estate aumenti la percentuale di utilizzo del
bosco subacidofilo di carpino nero (Associazione: Cephalanthero damasoni-Ostryetum
carpinifoliae, CAR4) ed solo in autunno le cerve non utilizzino i rimboschimenti
sempreverde a Pinus nigra (RIMB).
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200
300
400
500
600
700
800
900
Ha
Inverno Primavera Estate Autunno
GIN1 GIN2 CAR4 FAG1 ERBA PASC PRA5 PRA6 RIMB Altro
Grafico 6.19 – Ettari di associazioni vegetali utilizzati nel corso delle stagioni dalle cerve di
campotosto (Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con ginestra dei carbonai =
GIN2; Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo, acidofilo di
faggio = FAG1; Rimboschimento a Pinus nigra = RIMB, Prateria densa a cervino con festuca
mediterranea =PRA6; Prateria a trifoglio bianco e covetta dei prati = PRA5; Formazione erbacea
a falasco rupestre = ERBA; Pascolo ad astragalo spinoso e sesleria dei macereti = PASC; Bosco
subacidofilo di carpino nero = CAR4).
- 77 -
Il grafico 6.20 mostra le associazioni vegetali utilizzate dalle cerve della Val Chiarino nel
corso dell’anno. In Val Chiarino in maniera più marcata rispetto a Campotosto, le cerve
utilizzano un solo tipo di vegetazione, il bosco termofilo, acidofilo di faggio (FAG1) e solo
in maniera esigua altre associazioni vegetazionali (15%).
1% 4% 4%
85%
1% 5%
Altro
GIN1
CER1
FAG1
PRA8
CER2
Grafico 6.20 – Associazioni vegetali utilizzate dalle cerve della Val Chiarino nel corso dell’anno
(Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo, acidofilo di faggio
= FAG1; Bosco di cerro e citiso trifloro con acero a foglie ottuse = CER1; Bosco di cerro e citiso
trifloro = CER2; Prateria mesofila a fienarola delle Alpi e festuca mediterranea = PRA8).
L’utilizzo della vegetazione durante le stagioni (Grafico 6.21) è ancora legato in
maniera vistosa all’associazione bosco termofilo, acidofilo di faggio (FAG1) e solo
marginalmente in primavera ed estate si nota uno spostamento verso il bosco di cerro e
citiso trifloro con acero a foglie ottuse (Associazione: Cytiso villosae-Quercetum cerris,
CER1). Le cerve utilizzano la prateria mesofila a fienarola delle Alpi e festuca
mediterranea (PRA8) nelle varie stagioni ad eccezione dell’inverno.
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0
100
200
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400
500
600
700
800
Ha
Inverno Primavera Estate Autunno
Altro GIN1 CER1 CER2 FAG1 PRA8
Grafico 6.21 – Ettari di associazioni vegetali utilizzati nel corso delle stagioni dalle cerve della
Val Chiarino (Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune = GIN1; Bosco termofilo,
acidofilo di faggio = FAG1; Bosco di cerro e citiso trifloro con acero a foglie ottuse = CER1;
Bosco di cerro e citiso trifloro = CER2; Prateria mesofila a fienarola delle Alpi e festuca
mediterranea = PRA8).
Movimenti altitudinali
Le core area frequentate dai cervi si trovano in ambiente montano quasi tutte sopra i
1000 metri s.l.m. (Grafico 6.22). Solo, per i 6 mesi in cui è stato monitorato, è il cervo che
ha frequentato le zone più in quota arrivando sopra i 1900 metri s.l.m. e non scendendo
- 79 -
sotto i 1400 metri s.l.m. che peraltro è la quota a cui si trova il lago di Campotosto che
caratterizza l’area. La cerva Berta ha utilizzato un’area periferica del parco, trovandosi
spesso anche al di fuori di esso; è stato l’unico cervo che ha visitato aree più collinari, in
particolare intorno l’abitato di Fano Adriano. Le 6 cerve della Val Chiarino hanno preferito
rimanere in questa valle tra i 1000 metri s.l.m. e le praterie sopra il limite del bosco. La
core area della cerva Primavera presenta il dislivello maggiore tra altezza massima e
altezza minima arrivando a 1150 metri; questa cerva ha frequentato sia l’area i Campotosto
che l’area collinare intorno il fiume Vomano.
0
200
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1.000
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2.000
2.200
Chi
ara
Ang
i
Rin
a
Pao
la
Sar
a
Pie
ra
Ber
ta
Tost
aPrim
aver
a
Sol
o
Mizio
Met
r Minima
Massima
Media
Grafico 6.22 – Quote core area.
Il gruppo delle femmine di Campotosto ha mostrato uno spostamento in senso
altitudinale nel corso delle stagioni (Grafico 6.23). La core area autunnale è situata nel
fascia montana più alta fino ai 1900 metri s.l.m. con quote medie intorno ai 1600 metri
s.l.m., mentre in inverno ed in primavera le cerve sono rimaste intorno i 1400 metri s.l.m..
In estate le cerve si sono mosse di più in senso altitudinale arrivando ai 1800 metri s.l.m. e
scendendo fino agli 800 metri s.l.m.; quest’ultimo dato e riferibile alla cerva Primavera che
in questa stagiona ha temporaneamente abbandonato l’area di Campotosto per passare il
periodo estivo nell’area del Vomano.
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0
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1.200
1.400
1.600
1.800
2.000
Inverno Primavera Estate Autunno
Met
riMinima
Massima
Media
Grafico 6.23 - Quote core area stagionali delle cerve di Campotosto.
Le cerve presenti in Val Chiarino sono rimaste in primavera, estate, inverno nelle valli
più basse mentre in autunno si sono spostate fino i 1600 metri s.l.m. (Grafico 6.24). In
primavera si sono spostate in un intervallo altitudinale più grande dai 1000 ai 1750 metri
s.l.m. confermando che in questa stagione hanno compiuto le distanze più elevate.
800
900
1.000
1.100
1.200
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1.800
1.900
Inverno Primavera Estate Autunno
Met
ri
Minima
Massima
Media
Grafico 6.24 - Quote core area stagionali delle cerve della Val Chiarino.
Neve I dati raccolti in questo studio non mostrano una relazione tra i rilevamenti con neve al
suolo e quelli in cui il suolo era scoperto. Va tenuto conto che l’inverno 2007 si è distinto
per le temperature costantemente sopra la media e per precipitazioni nevose alquanto
scarse rispetto agli stessi periodi degli anni precedenti. Anche tra fine autunno e l’inizio
dell’inverno 2008 non si sono registrate precipitazioni nevose importanti.
- 81 -
CAPITOLO 7
DISCUSSIONI
Le core areas annuali sono state calcolate con il metodo di kernel al 50%; questa scelta
è stata fatta considerando che nel presente studio è stato raccolto un numero consistente di
rilevazioni e la scelta di ridurre al 50% i fix sembra essere un buona soluzione per poter
escludere dagli home range tutte quelle rilevazioni marginali che potrebbero fornire un
elevato grado di errore nel rappresentare l’area più frequentata dai cervi. Inoltre, appena
reintrodotti, i cervi tendono ad esplorare di più il territorio; cosi l’utilizzo delle core areas
ha permesso di ottenere risultati maggiormente attendibili. Come anche dimostrato nello
studio di Anderson et al. (2005) le dimensioni degli HR sono inversamente proporzionali
alla densità di popolazione; di conseguenza con un numero di fix maggiore del 50%, i
movimenti potrebbero far includere aree poco utilizzate nella selezione delle core areas. In
genere negli altri lavori, gli home range sono stati calcolati con il metodo di kernel al 90%
o al 95%. Detto ciò il confronto tra studi può non essere sempre facile, d'altronde la
difformità nella scelta della percentuale di fix è da considerare uno dei limiti della Kernel
Analysis.
Le dimensioni degli home range trovati in questo studio, confrontate tra i due sessi,
sono in accordo con quelle rilevate in un altro studio e discordanti con diversi altri studi. In
questo lavoro gli home range delle femmine sono risultati maggiori rispetto a quelli dei
maschi. I confronti sono supportati da un buon livello di significatività (P < 0,01). Anche
nel lavoro di Clutton-Brock et al. (1982) vengono illustrati gli stessi risultati. Al contrario
in numerose ricerche (Carranza et al., 1991; Luccarini & Mauri, 2000; Cederlund & Sand,
1994; Perco, 1986) i maschi hanno home range notevolmente più grandi delle femmine.
I maschi, nel confronto con le femmine, hanno evidenziato una motilità decisamente
minore nelle stagioni considerate (inverno e primavera), rimanendo per tutta la durata della
raccolta dei dati sempre nello stesso areale. Mancano per entrambi i cervi maschi le
rilevazioni durante il periodo del bramito, fase dell’anno in cui si muovono per raggiungere
i quartieri riproduttivi. Il cervo Mizio ha comunque, presumibilmente, passato anche
questo periodo nella core area individuata, considerato che, il 28 settembre, data in cui il
cervo ha perso il collare, i cervi hanno i genere già individuato il loro territorio
riproduttivo.
Le aree dei cervi maschi presentano minori indici di ecotono rispetto a quelli delle
femmine, indicando come questi si adattano a zone con basse percentuali di habitat
marginale. L’habitat ecotonale è invece per le femmine indispensabile probabilmente
perchè queste necessitano di un’alimentazione maggiormente differenziata specie nel
- 82 -
periodo riproduttivo. Ciò è confermato anche dalla preferenza delle cerve femmine per
aree con un alto livello di diversità ambientale, condizione non richiesta dai maschi.
Gli home range delle femmine calcolati in questa tesi si mostrano in linea con quelli di
altri lavori: Debeljak et al. (2001), hanno trovato un home range per due femmine
rispettivamente di 544 ha e di 468 ha; Carranza et al. (1991) hanno rilevato un home range
medio delle femmine di circa 250 ha, valore peraltro individuato anche in Danimarca da
Jeppesen (1987). Risultati simili sono stati trovati in altri studi: Perco (1986) rileva HR
medi femminili di 400 ha, in generale la metà di quelli dei maschi, e Catt & Staines (1987)
individuano home range femminili tra i 400 e i 1000 ha. La cerva Berta ha l’home range
più piccolo; quest’area presenta una diversità ambientale maggiore rispetto a tutti gli altri
cervi. In accordo con Anderson et al. (2005), l’home range degli ungulati è minore in aree
ad alta diversità ambientale.
Le dimensioni degli home range individuate attraverso il metodo del minimo poligono
convesso sono maggiormente confrontabili rispetto a quelle ottenute con le core areas;
infatti, i poligoni così rappresentati forniscono un dato assoluto includendo tutti i
rilevamenti. In alta Val di Susa nello studio condotto da Luccarini & Mauri (2000), in cui
sono stati rilasciati 10 cervi con radiocollare (6 ♀;), l’home range annuale medio
individuale delle femmine, pari a 1000 ha (HR 95%), risulta essere molto inferiore a quello
individuato in questo studio. Nello stesso lavoro gli HR dei maschi presentano valori
compresi tra i 900 e i 2000 ha. I cervi adulti delle Haute Ardenne, presentano home range
medi, calcolati attraverso il MPC, di 666 ha con HR minimo di 156 ha e massimo di 2664
ha (Licoppe, 2006). Anche il valore massimo di quest’ultimo lavoro si mostra inferiore a
quello medio rinvenuto nel presente studio.
Probabilmente i motivi che hanno portato all’individuazione di core areas con
estensione maggiore rispetto ad altri studi sono le seguenti:
1. nell’area di studio sono presenti densità molto basse. Le dimensioni degli HR sono
inversamente proporzionali alla densità di popolazione (Anderson et al., 2005);
2. le cerve della Val Chiarino si trovano in un’area estesa con una grande superficie
boschiva, che offre tranquillità e rifugio, ma potrebbe risultare carente in alcune
categorie alimentari, come evidenziato anche nell’analisi della diversità ambientale.
Lo dimostrano i frequenti spostamenti “esplorativi” delle cerve che si muovono
nelle aree prossimali la valle, e tornano dopo alcuni giorni. Questo è in accordo con
quanto descritto da Anderson et al. (2005), i quali hanno rilevato che i cervi
preferiscono aree con boschi non troppo estesi, caratterizzati da buona
frammentazione ed aree ecotonali; in queste realtà gli home range sono di
dimensioni inferiori. In Val Chiarino la bassa percentuale di ecotono e di diversità
ambientale spinge i cervi ad ampliare i propri areali;
- 83 -
3. le cerve di Campotosto, Primavera e Tosta, si trovano in un’area con una diversità
ambientale maggiore rispetto alla Val Chiarino. Tuttavia queste femmine si sono
rivelate fin dai primi giorni della reintroduzione due cerve definite “migratrici”
(Luccarini et al., 2006). In particolare la cerva Primavera ha percorso circa 40 km
prima di arrivare nell’area di Campotosto. Entrambe le cerve si sono spostate, per
un periodo dell’estate e della primavera, anche nell’area del Vomano oltrepassando
i Monti della Laga. In queste due stagioni nell’area di Campotosto aumenta il
disturbo antropico, con l’arrivo di greggi di pecore con cani al seguito e con alcune
attività umane come il campeggio e gli sport intorno il lago;
4. le core areas in questa tesi sono state ricavate utilizzando un numero cospicuo di
rilevazioni, non è sempre accaduto lo stesso negli altri studi. Questa differenza di
fix può spiegare il fatto che le core areas individuate nel presente lavoro siano, in
termini di dimensioni, comparabili con gli HR degli altri studi, realizzati con kernel
differente. È possibile giungere ad una considerazione identica anche per gli home
range individuati attraverso il MPC.
Le core areas stagionali sono state calcolate per le femmine presenti nei due grandi
comprensori. A Campotosto le dimensioni maggiori sono state raggiunte in estate, stagione
che anche in altri studi (Clutton-Brock et al., 1982; Luccarini et al., 2006; Koubek P. & V.
Hrabe, 1990) presenta i valori più alti. Queste cerve hanno compiuto spostamenti verso la
Val Vomano, lasciando l’area di Campotosto, in estate ed in primavera, in maniera minore
in inverno, e mai in autunno. L’abbandono dell’area principale in estate può esser stata
causata dal disturbo antropico. In inverno la copertura nevosa fa sì che gli animali si
concentrino nelle zone più basse dell’altopiano di Campotosto, in quanto la neve aumenta il
dispendio energetico, limita l’accesso al foraggio e rende più vulnerabili gli animali
(Luccarini et al., 2006). Questo dato non è riferibile alla cerva Primavera che si è spostata
in un’area diversa da quella di Campotosto a quote inferiori in estate; questo spostamento
potrebbe essere riconducibile al disturbo antropico presente nell’area intorno al lago,
disturbo che ha raggiunto il culmine nel mese di agosto. La cerva Primavera tra i cervi
seguiti è quella che più si è spostata nel corso dell’anno, tanto da poter parlare di cervo
migratore. Secondo Luccarini et al. (2006), i cervi considerati migratori raggiungono quote
più elevate dei cervi stanziali. Gli spostamenti fino ai 2000 metri s.l.m. della cerva
Primavera confermano quanto affermato da questi autori.
Le cerve della Val Chiarino in linea con quanto riportato in altri studi (Palmer &
Truscott, 2003; Luccarini et al., 2006; Debeljak et al., 2001; Pepin et al., 2008) in inverno
hanno frequentato aree a quote inferiori rispetto ai mesi estivi. L’autunno è la stagione in
cui le cerve hanno frequentato le aree più in quota, presso il limite superiore del bosco.
Questo spostamento è evidente in tutti e due i gruppi di femmine. La Val Chiarino è una
- 84 -
valle che soddisfa tutte le esigenze dei cervi, ma le radure per il pascolo sono presenti in
numero ridotto e verso la fine della stagione estiva le erbe, a partire dalle quote più basse,
tendono a seccarsi e i cervi seguono questo trend spostandosi più in quota (Pepin et al.,
2008). Questa strategia può essere quindi spiegata con cambiamenti qualitativi e
quantitativi delle risorse di foraggio nel corso dell’anno (Pepin et al., 2008; Langvtan &
Albon 1986; Garrott et al. 1987). Le cerve di Campotosto in autunno si sono spostate nei
pascoli più in quota approfittando anche del fatto che la neve in questa stagione non è mai
caduta, mentre in primavera a causa dell’innevamento presente nell’area, hanno frequentato
le più basse quote come in inverno. L’altezza della neve al suolo è un fattore limitante per
il cervo (Pepin et al., 2008). Verosimilmente le cerve della Val Chiarino e in misura meno
marcata quelle di Campotosto, poiché già presenti nel resto dell’anno a quote elevate,
tendono a salire sui pascoli sopra il limite del bosco e a passare qui la prima parte
dell’autunno, trovando migliore foraggio. Lo spostamento in quota nella stagione autunnale
può essere anche il risultato delle interazioni sessuali con i maschi, che spingono le cerve
femmine negli alti quartieri riproduttivi.
Per i cervi di Campotosto la core area invernale è sovrapponibile a quella della
primavera. In queste stagioni le cerve utilizzano le aree prossime al lago, alle quote più
basse del comprensorio, situate nelle vicinanze dei paesi di Mascioni e Campotosto. Nelle
suddette stagioni le attività umane sono pressoché inesistenti. La core area estiva è
sovrapponibile per buona parte a quella autunnale salvo movimenti nella prima stagione
verso il basso Vomano. In Val Chiarino il gruppo delle sei cerve presenta core areas
stagionali parzialmente sovrapposte, situate tutte nella stessa porzione della valle. La
dimensione della core area primaverile è influenzata dai continui spostamenti di tutti gli
individui; le femmine, come l’anno precedente (Riganelli com. pers.), si spostano nell’area
ai piedi del monte Corvo, limitrofa alla Val Chiarino, per trovare luoghi dove partorire.
Queste zone presentano un elevato numero di specie vegetali che forniscono un apporto
nutritivo maggiore, utile nel periodo dell’allattamento. Il disturbo antropico però aumenta
in quest’area all’inizio dell’estate con l’arrivo di escursionisti, ciclisti e greggi con cani al
seguito. Cosi come accaduto anche negli anni precedenti questo studio (Riganelli, 2004), in
estate le cerve tornano nell’area della Valle del Chiarino. A fine autunno ed in inverno le
core areas stagionali si fanno più concentrate poiché gli animali non abbandonano mai la
porzione più bassa della valle, presumibilmente a causa dell’innevamento delle quote
superiori. In tutte le stagioni le cerve della Val Chiarino soddisfano in un’area circoscritta
le proprie esigenze.
I maggiori spostamenti delle femmine avvengono in primavera rispetto alle altre
stagioni, e sono da ricondurre alla necessità degli individui di localizzare aree idonee al
parto. Le cerve nell’arco nell’anno, comunque, si spostano con regolarità dal centro della
- 85 -
Val Chiarino, costituita per l’85% da una copertura omogenea di bosco ad alto fusto di
faggio, verso la periferia della valle, in cui è presente una copertura vegetale più ricca e
idonea all’alimentazione.
- 86 -
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- 92 -
Ringraziamenti
Il primo ringraziamento è per l’ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e
all’ufficio del servizio scientifico che mi ha dato la possibilità di vivere una
indimenticabile esperienza. In particolare vorrei ringraziare la dott.sa Nicoletta Riganelli
che mi ha seguito in ogni fase del lavoro e Carlo, Federico e Umberto con cui ho passato
dei bei momenti. Sono grato al prof. Andrea Brusaferro per l’insegnamento continuo e per
i preziosi consigli che mi ha fornito.
Ringrazio la mia famiglia per avermi sempre supportato. Infine ringrazio Ilaria, i cervi e le
montagne.
- 93 -
- 94 -
Allegati
I - Distribuzione di tutti i fix.
II - Core areas annuali di tutti i cervi
III – Legenda delle associazioni vegetali ed ambienti utilizzati dai cervi.
IV – Distribuzione dei fix in base alla stagione delle cerve di Campotosto.
V – Distribuzione dei fix in base alla stagione delle cerve di Val Chiarino.
Allegato I
TERAMO
L'AQUILA
RIETI
Legenda
Angi Berta
Chiara Mizio Paola
Piera
±Primavera Rina
Sara Solo 0 1.610 3.220 4.830 6.440805
MetersTosta confini provincie
Allegato I - Distribuzione di tutti i fix.
95
TERAMO
L'AQUILA
RIETI
0 1.920 3.840 5.760 7.680960Meters
96
Allegato II
Allegato II - Core area annuali di tutti i cervi.
±
Legenda
Confini provincie Primavera Sara
Rina
Solo
Tosta
Piera
Paola
Mizio
Chiara
Berta
Angi
Allegato III
Vegetazione Codice
Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune. Associazione: Juniperetum communis-hemisphaericae GIN1
Arbusteto di ginepro emisferico e ginepro comune con ginestra dei carbonai. Associazione: Juniperetum communis-
hemisphaericae GIN2
Boscaglia rupestre a leccio. Aggr. a Quercus ilex LECC
Bosco basifilo di carpino nero e carpino orientale. Associazione: Scutellario columnae-Ostryetum carpinifoliae CAR1
Bosco basifilo di carpino nero. Associazione: Scutellario columnae-Ostryetum carpinifoliae subass. violetosum
reichenbachianae CAR2
Bosco di abete bianco e faggio. Associazione: Cirsio erisithales-Abietum albae ass. nova ABET
Bosco di castagno. Associazione: Melampyro italici-Castanetum sativae CAST
Bosco di cerro e citiso trifloro con acero a foglie ottuse. Associazione: Cytiso villosae-Quercetum cerris CER1
Bosco di cerro e citiso trifloro. Associazione: Cytiso villosae-Quercetum cerris ass. nova subass. cytisetosum villosae CER2
Bosco di pioppo tremulo. Associazione: Melico uniflorae-Populetum tremulae PIOP
Bosco di roverella con citiso a foglie sessili. Associazione: Cytiso sessilifoliae-Quercetum pubescentis ROV1
Bosco di roverella e quercia virgiliana con carpino orientale. Associazione: Quercetum pubescentis-virgilianae ROV2
Bosco di roverella e quercia virgiliana. Associazione: Quercetum pubescentis-virgilianae ROV3
Bosco mesofilo di cerro e acero di monte. Associazione: Listero ovatae-Quercetum cerridis CER3
Bosco ripariale a rovo e salice bianco. Associazione: Rubo ulmifolii-Salicetum albae Allegrezza RIPA
Bosco subacidofilo di carpino nero con citiso villoso. Associazione: Cephalanthero damasoni-Ostryetum carpinifoliae CAR3
Bosco subacidofilo di carpino nero. Associazione: Cephalanthero damasoni-Ostryetum carpinifoliae CAR4
Bosco termofilo, acidofilo di faggio. Associazione: Dactylorhyzo-Fagetum sylvaticae FAG1
Bosco termofilo, neutro-basifilo di faggio. Associazione: Lathyro veneti-Fagetum sylvaticae FAG2
Diga DIGA
Formazione erbacea a falasco rupestre. Aggr. a Brachypodium rupestre ERBA
Mosaico delle praterie palustri: Phragmitetum australis, Caricetum gracilis, Eleocharitetum palustris, Glycerietum
plicatae, Mentho longifoliae-Juncetum inflexi PALU
Pascolo ad astragalo spinoso e sesleria dei macereti. Associazione: Astragalo sempervirentis-Seslerietum nitidae PASC
Prateria a carlina zolfina e sesleria dei macereti. Associazione: Carlino acanthifoliae-Seslerietum nitidae PRA1
Prateria a covetta dei prati e colchico portoghese. Associazione: Colchico lusitani-Cynosuretum cristati PRA9
Prateria a forasacco comune e fiordaliso bratteato con falasco rupestre. Associazione: Centaureo bracteatae-Brometum
erecti PRA2
Prateria a forasacco comune e fiordaliso bratteato. Associazione: Centaureo bracteatae-Brometum erecti PRA3
Prateria a forasacco comune e sonaglini comuni. Associazione: Brizo mediae-Brometum erecti PRA4
Prateria a forasacco e stellina purpurea. Associazione: Asperulo purpureae-Brometum erectiastragaletosum PRA0
97
98
sempervirentis
Prateria a trifoglio bianco e covetta dei prati. Associazione: Cynosuro cristati-Trifolietum repentis PRA5
Prateria densa a cervino con festuca mediterranea. Associazione: Poo violaceae-Nardetum strictae PRA6
Prateria discontinua a cornetta minima e astragalo rosato. Associazione: Coronillo minimae-Astragaletum
monspessulani PRA7
Prateria mesofila a fienarola delle Alpi e festuca mediterranea. Associazione: Poo alpinae-Festucetum
circummediterraneae PRA8
Rimboschimento sempreverde a Pinus nigra RIMB
Seminativo in rotazione SEMI
Urbanizzato URBA
Vegetazione a felce aquilina. Aggr. a Pteridium aquilinum FELC
Vegetazione arbustiva a ginepro rosso e comune. Associazione: Juniperetum oxycedri-communis ass. nova GIN3
Allegato III – Legenda delle associazioni vegetali ed ambienti utilizzati dai cervi.
Allegato IV
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Allegato IV – Distribuzione dei fix in base alla stagione delle cerve di Campotosto.
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±Allegato V – Distribuzione dei fix in base alla stagione delle cerve della Val Chiarino.
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Allegato V
Legenda
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