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%A"MMPSB a"EFTTP— una planimetria in continua espan-sione che"EFTTP rende quasi indistinguibili gli scenaridelle strade di"MMPSB. Sessantuno anni di storia, dal mo-mento in cui scattarono i primi flash al magnesio al mo-mento in cui scrivo queste parole. Nell’accezione comu-

ne lecittà hannoi dipartimenti di polizia che siNFSJUBOP. Los Angelesloconferma. L.A.èsempre statainespansione.E ilDipartimentodiPo-lizia di Los Angeles (Lapd), è sempre stato impegnato a disciplinareuna città indisciplinata, gravida della sensazione di illimitate poten-zialità. E così, la città più provocante d’America si èHVBEBHOBUB il co-mando di polizia più provocatorio d’America. L.A. è la città più sorve-gliata e più controllata degli Stati Uniti, e il Lapd tiene il passo restan-do il comando di polizia più sorvegliato e più controllato. Entrambi so-no fenomeni culturali urbani — ed entrambi ci dicono la stessa cosa:la pianificazione urbana è inutile. Le grandi città hanno una volontàpropria. La loro grandezza, la loro sfacciataggine, la loroCFMMF[[B atti-ra come una calamita una sfilza insensata di persone abiette propen-se al delitto. La criminalità, e ciò che ne consegue, non può essere sra-dicata. Il crimine QVÛ essere proibito, e in qualche caso contenuto —ma soltanto a mano a mano che si verifica.

Queste foto ritraggono i problemi in paradiso. Il delitto deve fare ilsuo corso.Ormai i flashDSFQJUBOPBSBGGJDB�Lafotografia artistica del-la polizia, che "EFTTP è diventata un cliché, "MMPSB era l’idea fissa dichi conosceva l’eleganza affettata. Le fotografie della polizia raggiun-gono una dimensione artistica soltanto perché chi maneggiava lamacchina fotografica inquadrava la scena con l’autentica efficienzadel poliziotto.

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Repubblica Nazionale 2015-07-12

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la Repubblica%0.&/*$" �� -6(-*0 ���� ��-"%0.&/*$"

0SSERVATE UN PO’RVFTUP collage. Raffigura la rugginosaBunker Hill, poco più a ovest di downtown L.A. "EFTTPBunker Hill non c’è più. Bunker Hill era florida, anche seun po’ malandata nel 1953. Alla fine "MMPSB fu spianatadai bulldozer — perché L.A. EPWFWB crescere in alto e inestensione.C’eranofianchidicollinaterrazzati, occupatida dormitori d’infimo ordine. Erano abitati da ubriaconi,tossici, puttanone, battone dai vestiti sgargianti, finoc-chi, sgualdrine, spugne che si scolavano sciroppo per latosseed ermafroditi lui-lei. Le catapecchie dovevano spa-rire. I loro abitanti idem. L’espansione cittadina esercita-va un forte richiamo. La grana immobiliare parlava a

gran voce. Osservate un po’ quella donnetta morta, distesa tra le erbacce nella Quartastrada ovest. Sembra quasi un’attricetta porno immortalata da un’PVJKB (strumento uti-lizzato per sedute medianiche,OEU). È il gennaio 1953. Sentite, l’aria è fredda. La donnet-ta morta è Jane Doe #2 (Ignota Numero 2) dell’anno. Non è una foto scattata da un’PVJKB.E qui non c’è di mezzo il sesso. La donna era sbronza persa di KVOHMF KVJDF (cocktail di varialcolici, vodka e succo Kool Aid,OEU). È scivolata, è caduta ed è ruzzolata giù esanime lun-go il fianco di una collina di Bunker Hill. E quell’anno a L.A. le cose sembravano andareCFFFFFFFOF.

Ci sono piedipiatti e barellieri. Sembra quasi che si rimettano alla donna. Le automobilironzano dirette verso ovest e li ignorano. Le case vittoriane appaiono sfibrate dal passag-gio di un’epoca. L.A. si sposta verso l’alto e verso l’esterno. Gli alloggi un tempo prestigiosieranomonofamiliari,unsaccoditempofa.Adessosonocovi e intercapedinipazzescamen-te affollati di lavapiatti messicani immigrati illegalmente e di tossicodipendenti innervo-siti dai rumori stridenti.

La donna morta è scivolata. Era ubriacafradicia. Ma sforzatevi di capire ciò che re-stasottinteso. Questa fotografia vi incorag-gia a farlo. 1FSDIÏ Perché è priva di artifi-cio. Abbandonatevi pure alla vostra inter-pretazione. La donna è appena venuta a sa-pere che il suo amante, suo marito o suo fi-glioadolescente è stato fatto fuori in Corea.Forse si è fatta due volte di stupefacenti omedicinalichehabuttato giùinsiemead al-cool di qualità scadente. Forse ha appenaavuto un incontro spossante per i lombiconTen-Inch Tomas, il turgidoUBJMCBDLdel-

la squadra di football di Belmont High. Ladifferenza di età di 30 anni? Del tutto pre-vedibile. Perché? Perché questa è una fotoscattata dalla polizia. I grandi fotografi del-la polizia offrono chiarezza in percentualeperfetta.Igrandi fotografidellapoliziaassi-curano allo spettatore un margine narrati-vo in rapido fluttuare, e lo sollecitano a for-nire la propria interpretazione.

4POP VOB EPOOB OFM DPSQP EJ VO VPNPE ora prendete in considerazione RVFTUB

foto. Questa è L.A. di "MMPSB allo stato puro.Contiene qualche riferimento alla L.A. di"EFTTP.La fotoemetteil fetorediLaurelCa-nyon, dove vivono i ladruncoli. Questoquartiere collega West Hollywood e Mu-lhollandDrive.Sitrattadi unaproprietàim-mobiliare costosa, ma gli alloggi sembranorobaccia da quattro soldi. Laurel Canyon èuna zona di perversione, è una zona di mor-te.L’idolodelle donnedelcinemamuto, Ra-mon Novarro, fu freddato qui, nella sua ta-na, in questo quartiere, nel 1968. Avevapreso a bordo due ragazzi, due marchette,e se li era portati a casa. Lo soffocarono conun pene artificiale enorme.

Ma tagliamo, torniamo al ‘53. I nostri"M�MPSBpiùrecentisono violentementeperver-si. Ilsoggettodi"MMPSBdellanostrafotoèpa-tetico in modo ossessionante. Èripugnanteauto-annientamento. È identità sessualeorribilmente affermata nella morte. È arti-stico. È ingegnoso. Trasmette un orrore in-dicibile. L’uomo non riusciva a reggere un

1SPCMFNJ

“La città più provocante

e sorvegliata d’America,

ha la polizia più sorvegliata

e provocatoria d’America”

Los Angeles, l’autore

di “L.A. Confidentials”

ha indagato negli schedari

del 1953. Per scoprire

che “Allora come Adesso...”

JO

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secondo di più. Ha trascorso una settimanaintera a mettere in scena la propria morte.Ha comprato un costume da bagno da don-na, una cuffia da bagno per i capelli, un pa-io di feticistici stivaletti bianchi. Ha poi stu-diato e messo a punto un sistema di puleg-ge, pesi e catene nel soggiorno di casa sua.Il soggiorno è spazioso, in stile california-no-spagnolo. L’uomo sapeva che da mortosarebbe stato studiato, esaminato da vici-no e fotografato. E, morendo come ha volu-tomorire,hainteso fareunasortadidichia-razione, che potrebbe essere: «Sono unadonna nel corpo di un uomo», o qualcosache non è mai riuscito ad affiorare a livellodi consapevolezza formale. In definitiva,tutto si è ridotto a un semplice: «Guardate-mi».

Guardate: l’uomo ha prolungato di pro-posito il processodellasua morte.Un elabo-rato sistema di candele, corde e contrappe-si lo ha portato ad auto-dissanguarsi. Ades-so gli sbirri e gli esperti della scientifica MPTUBOOP HVBSEBOEP. Uno della scientificasta misurando una corda tenuta tesa dalcorpo, fissata in un punto accanto al divanodel soggiorno. I piedipiatti di pattuglia e idetective fissano il cadavere. Ha le braccialegate sul davanti. Ha i piedi strettamenteimmobilizzati. È un uomo robusto, con legambe ricoperte di folti peli, e indossa uncostume da bagno femminile aderente. Latesta gli ciondola sul petto. Guardate e leg-gete le facce degli sbirri. È come se espri-messero un misto di «porca troia!», pietà,

disprezzo.Uno sbirro sta osservando il morto da

molto vicino. Il nome dello sbirro è DonaldGrant. Indossa un abito che sembra nuovodi zecca, con un taglio all’ultimissima mo-da.Granthacirca45 anni.Grantsembrain-telligente e DBUUJWP. Gli piacciono molto ifilm noir. Potrebbe essere lo sbirro pazzoche indossa la calzamaglia di gomma e sen-te di essere chiamato di persona alla ven-detta. È appena uscito da un colpo a unachiassosa taverna. Guardate gli occhi diGrant "EFTTP. Sono come fasci laser. Staguardando attraverso il cadavere dell’uo-mo.ForseGrantpossedevaildono diun’im-maginazione profetica.

-B SJDPNQFOTB EFM QFDDBUP Ò MBNPSUF211 P.C. Tenete bene a mente questa si-

gla del codice penale. Designa la rapina amano armata. È il re dei reati di strada. Isuoi perpetratori sono i re di tutti i centri dicorrezione penale. I rapinatori a mano ar-matasonoDBUUJJJJJJJJJWJ.Ci vannogiùpesan-ti per impossessarsi di cose o soldi. Sono ar-mati. Minacciano di uccidere persone inno-centi. Rischiano di morire colpiti da com-messi armati o da piedipiatti in servizioche rispondono a silenziosi segnali d’allar-me. La rapina a mano armata è ciò che re-stadeitempi selvaggidiunavolta.Gliassal-ti alla diligenza erano missioni rischiose.L’equivalentemodernodell’assaltoalladili-genzaèilcolpo alnegozio dialcolici. Il nego-zio di acolici caratterizza la vita dei CBTTJ�

GPOEJ. Ilnegozio dialcolici lavoramettendoin commercio la merda che ti stende e tibutta sempre più giù. Alcool e sigarette. Tischianta il fegato, ti strina i polmoni. SlimJim e ciccioli abbrustoliti. Whisky torcibu-della e vino moscato. Camel senza filtro eKoolFilter Kings.-BSJDPNQFOTBEFMQFDDB�UP Ò MB NPSUF! I negozi di liquori sono zonemortalicontantodi licenzadistato.Dimen-ticate i film sui piedipiatti che avete visto.3BQJOB B NBOP BSNBUB, (JVOHMB E�BTGBM�UP, -B TUSBEB EFMMB SBQJOB e 4USBUFHJB EJVOB SBQJOB sono soltanto un mucchio diballefiglie ditroia.Pensate inveceaduetos-sici macilenti, terribilmente smaniosi diusare le armi. Hanno la scimmia, sono im-pauriti e nervosi. Sono coglioni indolentiche vogliono solo abbioccarsi con Cloud 89— ma adesso hanno assolutamente biso-gnoEJGBSTJ!!!Ecosìsi tramutano insperico-latiEFTQFSBEPT.

211 P.C. Tenete bene a mente questa si-gla del codice penale. Dimenticate i colpi ingioielleria. Dimenticate le rapine alle cor-se. Dimenticate i colpi con le auto blindate.Lo zenit, l’apice del 211 è la rapina a manoarmata al negozio di alcolici, portata a se-gno in città. I detective incaricati dei casi dirapina a mano armata al Lapd sono i piùgrandi e J QFHHJPSJJJJJJJ bastardi di tutti. Equesto perché danno la caccia a uomini ar-mati e tendono a seminare dolore e morte.La legge della giungla implica una clausola211 vincolante, che in pratica dice: Se com-mettiunarapinaamanoarmata,tistendia-mo. Statein guardia,drogati inastinenza! Iproprietarideinegozidialcolici sottoilban-cone nascondono pistole e armi, e non sifanno scrupolo a utilizzarle.

E le teste di cazzo del dipartimento, se-zione rapina a mano armata del Lapd, po-trebbero benissimo tenersi pronti a inter-

venire armati di fucili Ithaca a pompa, na-scosti dietro a falsi frigoriferi.

1FSDIÏ QSFPDDVQBSTJ L.A. appariva CVPOBBBBBBBBBB in quei

tempi più repressi e stratificati. C’eranomeno persone, meno automobili, panora-mi migliori, strade più pulite e persone me-glio vestite e più educate a vivere a queitempi. C’è un aspetto positivo nelle epochedi stratificazione e repressione. Ed è que-sto: la gente si comportava in modo più di-gnitoso,perchécredevain Dioenella legali-tà e temeva la censura divina e quella dellasocietà civile. Tutto ciò mostra la crucialeironia della nostalgia. Noi viviamo "EFTTP.Vorremmo che fosse"MMPSB, per tutte le ra-gioni giuste e sbagliate del caso. L.A."EFT�TP è il grosso cartellone pubblicitario per ilsesso sicuro che sorge tra Sunset e VanNess. Vi campeggia l’immagine di un enor-me preservativo che incornicia queste pa-role:i8IZXPSSZ ”, perché preoccuparsi?

L.A. è una condanna a vita senza feriedal lavoro, senza libertà condizionale, sen-za finale di fuga, SENZA USCITA. Non puoiandartenevia. Enon vuoi andartene via.Fi-nisci col fartene una ragione della sovrap-popolazione, dell’inquinamento, del lerciu-me che permea tutto, degli sciami di perso-ne ambigue e del cartellone pubblicitariotra Sunset e Van Ness. Quel che ti serve èuna dose dei buoni vecchi tempi, miscelataa quel mix che è il marchio di fabbrica diL.A., fatto di glamour e di depravazione.

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TFMGJF(FOFSB[JPOF

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$�È QUEL MOMENTO parti-colare che tutti abbia-mo sperimentato,quando camminiamoper strada e cogliamoin una vetrina, di sfug-gita, il riflessodiqualcu-no e ci diciamo: «Però!Che essere umano at-traente e amabile èquella persona…». Soloper renderci conto, po-

chi istanti dopo, che stiamo guardando il nostro riflesso… A quelpunto ci diciamo: «Forse non dovrei essere così severo come sonodi solito con la mia immagine». Ma naturalmente non cambia nul-la, e qualunque sia il nostro rapporto con lo specchio, prosegue im-mutato.

Ed ecco che entra in scena il TFMGJF. Ha detto Oscar Wilde (o T. S.Eliot o William Boyd, a seconda della fonte che avete consultato suinternet) che «l’ultima cosa che impariamo nella nostra vita è l’ef-fetto che produciamo sulle altre persone». Probabilmente è vero,ma i selfie ci costringono a riformulare la citazione così: «L’ultimacosacheimpariamo nellavita èquanto ci fannoapparirefasulli, in-sinceri e stupidamente presuntuosi i selfie agli occhi degli altri».

I selfie sono specchi che possiamo congelare. Un insieme di sel-fieèunserviziofotograficochecontienesolofoto lusinghiere. Il sel-fie ci consente di vedere come si guardano gli altri allo specchio fa-cendo la faccia fascinosa quando non c’è nessuno — se non fossechediquestitempic’è semprequalcuno, inogni postoein ogni mo-mento.E non conosciamotutti il rossore in visoe il tono fintoumiledi un TFMGJUBSP quando gli parliamo di un selfie che ha postato?«Quella foto? Ah sì, ha-ha… sai, è solo una foto fatta così, che avevonella macchinetta. Non avrei dovuto mettere una foto del generesu Facebook. Però sto bene, vero?».

I selfie sono i cugini di secondo grado dell’BJS HVJUBS (l’assolo dichitarra simulato). I selfie sono i genitori orgogliosi del EJDL QJD(l’autoritratto del proprio uccello). I selfie sono, per un meccani-

smocontorto,all’originedella parolaGSFOF�NZ (l’amico-nemico). I selfie sono, per unmeccanismo non particolarmente contor-to, all’origine della moda della depilazionemaschile. A volte mi domando come sareb-bero i selfie in Corea del Nord.

I selfie teoricamente si basano sul con-trollo, o — se avete una mentalità filosofica— sull’illusione dell’autocontrollo. Con unselfie, pensa qualcuno, si aderisce a una ta-cita nozione collettiva per cui tutti dobbia-mo apparire eternamente freschi, giovanie provocanti. Con il selfie ci si trasforma inun prodotto. Si rinuncia alla forza della pro-priasessualità.O forse stiamoconcettualiz-zando troppo: forse si è semplicemente in-namorati di se stessi.

Io penso che siano gli effetti collateraliimprevisti della tecnologia a definire diret-tamente o indirettamente la tessiture e gliaromidellenostreepoche.Guardateaquel-lo che ha già fatto Google al XXI secolo. Nel

2002,quandoi telefoni intelligentisono ve-nuti al mondo, credo che se aveste raduna-to un gruppo di intelligenti esperti di me-dia in una stanza con una scorta di caffè equalche buon panino, prima della fine del-la giornata sicuramente l’avvento del sel-fie come inevitabile effetto collaterale del-lo smartphone sarebbe stato pronosticato.In realtà non c’è nulla di veramente sor-prendente nei selfie. L’unica cosa sorpren-dente è il numero di anni che ci sono volutiper individuare e dare un nome al fenome-no. Faccio notare tuttavia che da quando ilfenomeno selfie è stato enunciato e denun-ciato, i selfie sono dilagati ancora di più, oc-cupando probabilmente tutto quel volumedi banda che un tempo era appannaggio diprincipi nigeriani e pubblicità di procedure

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"BBIAMO, PARE,anche la prima vittimadella selfie-mania: un escursionistagallese, scrive il5FMFHSBQI,incenerito qualche giorno fa da unfulmine attirato dalla sua prolunga

per autoritratti. Ma non abbiamo bisogno dellacronaca nera per renderci conto che la fotografiaretroversa a braccio teso non è solo, non è affatto,un giocattolo da ragazzini contraddittoriamentedipinti come narcisi o insicuri. È una nuova formasimbolica del contemporaneo: lo dimostra la suainvadenza, e le conseguenti resistenze che suscita.La guerra al selfie, affannosa e perdente, ècominciata nei musei d’arte che uno dopo l’altro nestanno vietando la versione “con protesi”: dalMetropolitan agli Uffizi, dallo Smithsonian aVersailles alle Disneyland i visitatori sono invitati alasciare il TFMGJF�TUJDL in guardaroba, ufficialmenteperché ingombrante, fastidioso e pericoloso per leopere e gli altri visitatori, come gli ombrelli. Poi, avalanga, il divieto di fotoprolunghe è dilagatoovunque, dai campi di Wimbledon alla terrazzadell’Empire State Building, per non parlare deiteatri e perfino delle arene rock più rilassate etrasgressive come quelle dei festival pop americaniLollapalooza e Coachella allo stadio del Tottenhamdove una partita è stata sospesa dopo treselfie-invasioni di campo successive. In questi casiè solo il bastoncino l’oggetto indesiderato, ma nonlasciamoci ingannare: è un divieto per procura, ilvero bersaglio delle antipatie è lui, il selfie inquanto tale, come espressione dell’invadenza piùmaleducata. È il selfie, anche a mano libera, aessere vietato per mancanza di classe sul redcarpet di Cannes, anche se brandito dalle starmedesime, come quello di Bradley Cooper e amici,uno degli scatti più twittati della storia. Tocca poi aigrandi alberghi di lusso proteggere la privacy degliospiti celebri dall’invadenza dei clienti confoto-retrovisore: il primo in Italia è stato ilprestigioso Byron di Forte dei Marmi. Chi di selfieferisce, si potrebbe dire: l’assalto dei fan che“vogliono farsi un selfie” fa rimpiangere ai vip darotocalco l’era degli autografi, è un rito checostringe a sorrisi forzati e pose imbarazzanti,impossibile da rifiutare, pena la metamorfosiistantanea del fan in sputtanatore sui social, com’èaccaduto a Mattia Briga, finalista di"NJDJ, quandoha osato dire no a una giovane ammiratrice. E c’èqualcuno che pensa siano solo fotografie vanitose.

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per l’ingrandimento del pene.Ognigiorno vediamomigliaia,se nonde-

cine di migliaia, di immagini: jpeg, tiff, gif,tv, mpeg eccetera eccetera. Se una perso-na si sveglia, fa colazione e poi sta attacca-ta a internet tutto il giorno, potrebbe anda-re a letto la sera con tutti ricordi (colazioneesclusa) da un certo punto di vista artificia-li(eforseèilsignificatopiù autenticodell’e-spressione JOUFMMJHFO[B BSUJGJDJBMF). E allo-ra, se dobbiamo guardare così tante imma-gini, forse è meglio che le immagini che ve-diamo, di amici e personaggi famosi, sianoattraenti, invece che casuali o inutili: an-che se una cosa che mi manca dell’era ana-logica è quel cestino di vimini vicino al tele-fono fisso pieno di foto venute male ai par-ty e ritratti poco lusinghieri scattati in gior-ni ventosi. Ma intorno al 1999 quelle fotosono scomparse, e se da un lato viviamo inun mondo di immagini senza fine, dall’al-tro le immagini che vediamo non vengonoquasi mai concretizzate sulla carta.

Forse quello che ci infastidisce dei selfie— che tecnicamente sono autoritratti — èla loro fugacità. Non abbiamo mai l’occasio-ne di incorniciarli e appenderli al muro: ri-mangonopocoperfino sopra lebachechediFacebook, figuriamoci sopra il camino. Pro-babilmente sto dicendo che mi mancano lefoto venute male, gli scarti. I rari selfie im-barazzanti che vengono diffusi di solitohanno la forma di memi virali e foto di figu-racce, e chi vorrebbe mai trovarsi in una si-mile situazione?

Cisaranno ancora più selfie infuturo? Sì!Migliaia dimiliardi dipiù, ma il selfie del fu-turo sarà il selfie 3D, dove uno scansiona epoistampala propriaeffigietridimensiona-le su una MakerBot al centro commercialeo — via via che lestampanti 3D diventeran-no economicissime (cosa che sta avvenen-do mentre scrivo queste parole) — a casasul top della cucina per un dollaro e 95.

Continueranno a esserci poche fotostampate nel nostro futuro (nessuno sem-bra volerle, in fin dei conti), ma preparate-viaessere inondatidapiccoli bustidiplasti-ca stampati in 3D dovunque si giri lo sguar-do, modificati e no: lui, lei, io, loro, loro conle corna da diavolo, lei con tre occhi, voi conunaforchetta piantatanella fronte.Saràdi-vertente, ma la cosa strana di un bustostampato è che non è esattamente la terzadimensione, e non è nemmeno la secondadimensione… è come la fotografia che assu-me pose da scultura, una seconda dimen-sione e mezza.1PTF è la parola chiave. Il nuovo selfie ci

consentirà,conancorapiùefficacia,diassu-mere una posa e proporre un modello di chipensiamo di essere, invece di chi effettiva-mente siamo. E cosa c’è di male in questo?Gli artisti lo fanno da migliaia di anni e nelXXIsecolo, contutta questanuova tecnolo-giasupercazzuta che abbiamo,siamo tutti,se nonaltro, artisti. Ma… siamo poisicuri si-curi di essere tutti artisti? E se non fossimotutti altro che formiche? Magari i nostri ge-nitori ci dicevano che saremmo diventatipersone creative, se solo ci fossimo sforza-ti, ma ci è sempre suonato un po’ falso: for-se stavano solo chiedendo a noi di realizza-re i loro desideri, cosa che per un motivo oper l’altro non erano riusciti a fare da solidurante la loro vita.

Edeccocheentrainscenal’#BSUTFMGJF.Ri-solve un mucchio di problemi. È voi e in piùè… arte! Più o meno. È un selfie, solo che in-vece di un hashtag di Instagram applicatosopra un normale selfie, l’artselfie contie-ne semiotica esclusiva all’interno della cor-nice stessa. Scontornate e applicate un ha-shtage nonvi sentiretepiù una formica.Al-meno per un po’, fin quando non trovereteuna posa migliore, con una luce migliore, omeglioancoraunRothko chemette inrisal-to la vostra carnagione. Aspetta… ma quel-lo lì non è un cane-palloncino di Jeff Koons?

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/EL FEBBRAIO 1969 Jurij Andropov — futuro segre-tario del Partito comunista, ma all’epoca solo di-rettore del Kgb — in un’informativa al Comitatocentrale parla della «diffusione della letteraturanon sottoposta a censura, detta anche TBNJ[�EBU», quella produzione cioè — prima dattilo-scritta, poi fotocopiata — che si sottraeva al con-trollodello Stato. Sembrerebbe esserestato lui ilprimoautilizzareufficialmentequellaparola de-stinataaentrarenel discorsocomunee asoprav-vivere anche alla scomparsa dell’Urss. Di questa«cosiddetta letteratura samizdat, diffusa nella

cerchia dell’intelligencija e degli studenti» lo preoccupa soprattutto la sopravve-nutapoliticizzazione, che avevacoinciso conla crisicecoslovaccadel ‘68. Non cisiaccontenta più di pubblicare, in poche copie, testi letterari del passato ignoratidall’editoria ufficiale o pericolosi testimoni della contemporaneità come Solzeni-cyn o Šalamov. Cominciano ora a circolare «materiali ideologicamente dannosi»(ancora Andropov) che vanno dall’economia alla politica alla memorialistica, fi-noa provocatorie lettere aperte.L’allarmato Andropov aveva certo inmente rivi-stecome la$SPOBDBEFHMJBWWFOJNFOUJDPSSFOUJ, bollettino dattiloscritto che pro-priodal ‘68informavai lettorisullesistematicheviolazionideidirittiumani,arre-sti e confische. Le copie sopravvissute all’usura sono mucchietti di carta velina incopia carbone, talvolta difficili da decifrare, tenuti insieme con rigide cartellineda ufficio.

Mainquel ‘69ilTBNJ[EBUaveva giàunasuastoria, nata neglianni ‘50all’inter-sezionetra la liberalizzazionedelle macchinedascrivere(solo daalloraaccessibi-liaiprivati)e la politicadeglialloggi volutadaKruscev, chepone fineallecoabita-zioni. Macchina per scrivere e solitudine: l’editoria clandestina può partire. Il no-mefacevaironicamente ilverso alGosizdat, l’acronimoche indicavale monopoli-stiche Edizioni di Stato, dove allo Stato ((PT—) si sostituiva l’individuo (TBN—),a segnalare una “produzione in proprio”. E allo stesso modo si formerà lo specula-re UBNJ[EBU, a indicare le pubblicazioni in russo approntate all’estero (UBN, cioè:“là”). E non va dimenticata neanche la circolazione di testi audio, ilNBHOJUJ[EBU,che — a corto di bande magnetiche da registrare — utilizzava lastre radiologicheusate, conquistandosi la definizione un po’ splatter di “musica sulle costole”.

A queste importanti reliquie della culturasovietica del secondo Novecento — e soprat-tutto alle variegate riviste — ha dedicato unlibro,moltobelloe informato,Valentina Pari-si: *M MFUUPSF FDDFEFOUF, dove l’aggettivo ri-manda a quel sovrappiù di ruoli che ricadeora sulle sue spalle: è lui a scegliere i testi daricopiare, è lui a ricopiarli, è lui a rischiare lagaleraedèlui—spesso—ancheaintervenir-ci impunemente, integrandoli, correggendo-li (scatenando anche furiose proteste, comequelle di Varlam Šalamov che vedeva i suoi3BDDPOUJ EFMMB ,PMZNB linguisticamente«normalizzati»dagli interventidei lettori-co-pisti).Cisi sbizzarrivaatrovartitoli perquel-leriviste strettamentesorvegliate che si rial-lacciavano ai fogli studenteschi degli anni‘50, effimeri giornali murali di facoltà (unodi questi, listato a lutto, annunciava nel ‘56«i funerali del realismo socialista»). C’è chi lasuarivista lachiama#VNFSBOH, tematizzan-do la necessaria risposta da parte del lettore,o semplicemente ��, alludendo sì al numerodell’appartamentodove cisi riuniva, ma an-che al 1937, l’anno delle grandi epurazio-ni. Una s’intitolerà 1PTUB TFUUFOUSJPOBMFriecheggiando l’osteggiatissima 1PTUB JO�WFSOBMFdi Iosif Brodskij, un’altra0QUJNB,organo di un gruppo di «maestri d’ottimi-smo» ma anche omaggio all’omonimamacchina da scrivere utilizzata. Un’altrasemplicemente -B SJWJTUB EJ .JUKB, dal di-minutivo del caporedattore, e sarà l’unica

a uscire anche dopo l’implosione dell’Urss.Da sottolineare l’aspetto iconografico, a

cominciaredallecopertine chespessocitava-no modelli russi anni ‘10, e la loro vicinanzaal concettualismo moscovita (Rubinštejn,Prigov). E se alcune delle riviste pubblicanospesso documentazione su mostre in spaziprivati o visite agli atelier di artisti non uffi-ciali, i redattori di4FHOJEJVOBOVPWBQJUUV�SBvanno ben oltre, appaltando un paio dinu-meridirettamente a due gruppi artistici, percui quello ideato nel ‘76 da “Azione colletti-va” si presenta come un pieghevole dalle di-mensioni disarmoniche, con su minimalisti-camente annotate le singole fasi della prepa-razione grafica, mentre il fascicolo gestitodal gruppo “Muchomor” è un leporello di for-ma quadrata, coperto di acquarelli dal trattoinfantileescritteoscene. Ese ancoraoggicol-pisconoledirompenti copertinedi5FS[BNP�EFSOJ[[B[JPOF, assemblaggi che mescolanoframmenti di giornale e cartoline di propa-ganda,repertipubblicitari,monetine, lamet-te e tutta quella «spazzatura» che già avevaaffascinato Kurt Schwitters, gli esperimentipiù radicali sono appannaggio dei coniugiSergej Sigej e Ry Nikonova. La rivista mano-scritta *M OVNFSP, che rimanda ai libri verga-ti a mano da Chlebnikov e Krucënych neglianni ‘10, presenta appositi spazi vuoti e ta-schecondentrodisegnieriproduzionidiqua-dri, ed esortazioni al lettore a intervenire luistesso su quell’unico esemplare. Il passo suc-cessivo dei due sarà il più raffinato dei samiz-dat,5SBOTQPOBOT, «rivistadi teoriae praticadel dilettantismo», che dal 1985 assume l’a-spetto di un corpo tridimensionale alieno:sul lato destro delle pagine è inciso un picco-lo triangolo da cui a sua volta sbuca il verticediunulterioretriangoloinfilatonelcorpo del-la rivista e i cui vertici residui fuoriescono inaltoeinbasso,e—all’internodiquestotrian-golo — un’ulteriore struttura quadrata rac-coglie gli inediti dell’avanguardia d’inizioNovecento. Non più mero supporto asetticodi contenuti puramente verbali, la rivista sa-mizdat ostenta ora — nella sua forma grafi-ca«inammissibile» —tuttalapropria opposi-zione.EFM

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*N APPARENZA internet offrepossibilità illimitate diespressione e di dissenso. Ma aguardar bene era molto meglio il

samizdat. Quando Putinascese al potere nel 1999 c’erano inRussia due milioni di persone conaccesso a internet. Ora sonosettantacinque milioni. Non c’èproporzione con le poche copie chevenivano faticosamente battute amacchina su fogli di carta velinaintramezzate di carta carbone(massimo cinque copie per volta), ociclostilate, talvolta copiate a mano,negli anni Cinquanta, Sessanta eSettanta. Eppure quelle poche copielasciavano il segno, molto più di quantoriescano a fare oggi tutti i blog, e leaffollatissime piattaforme di Facebooke Twitter. L’editoria in proprio(samizdat) faceva circolare capolavoriletterari assoluti, e piccole meraviglie.Incideva davvero.

Ebbene, ve li immaginate il “Maestro

e Margherita” di Bulgakov, i Raccontidella Kolyma di Šalamov o anche gliaforismi di Daniel e Sinjavskij in formatotwitter? Ci sono cose del samizdat checonservano forza e validità anche moltodopo la fine del regime che li avevaproibiti. Cosa varrà invece la pena diconservare dei “cinguettii” e deimessaggi su Facebook che cibombardano quotidianamente sulweb? Senza contare che peggio dellacensura è solo l’eccesso di informazionistereotipate e incontrollabili, tipo quelleche alimentano nazionalismi ultrà eparanoie del complotto. Compresa laripresa, da parte di Putin, dell’idea cheinternet sarebbe un vecchio «progettodella Cia».

Non è poi neanche vero che le notiziee il dissenso su internet sianoincensurabili. Dalla scorsa primaveranella Russia di Putin è in vigore unanuova legge che obbliga tutti i siti conpiù di tremila visite quotidiane aregistrarsi, rinunciare all’anonimitàdegli interventi e assumere laresponsabilità legale per quantopubblicato. Un’altra nuova normaobbliga chiunque usi wi-fi con accessopubblico a identificarsi e i serverinternet a rendere pubblica l’identitàdei loro clienti. Siti internazionali comeFacebook e Twitter sono obbligati aconservare per almeno sei mesidocumentazione elettronica di tuttoquello che viene pubblicato in Russia.Erano state inizialmente presentatecome misure per contenere la pedofilia.Poi sono state utilizzate per zittire lecritiche al momento dell’invasione dellaCrimea, e bandire dal web ogni voceanti-Putin. Che internet si puòcensurare quando e come un regimevuole l’aveva provato prima ancora laCina. In confronto appare straordinariocome Khronika, il più importante deiperiodici clandestini samizdat, siariuscito a sopravvivere dal ’68 in poi perquindici anni e sessantaquattro numeri.La prima direttrice, NataljaGorbanevskaja, fu internata inmanicomio. Ma la rivista continuò acircolare grazie a una catena per cuiognuno conosceva solo la persona da cuiriceveva la copia e quella a cui la passavadopo averla a sua volta copiata.

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-A PAROLAche mi risuona inmente come un mantra ognivolta che ascolto la voce diBruce Springsteen e che illungo incontro che ebbi con lui

prima di un concerto al Forum di Assagonel 2005 mi confermò, è sempre una:“solitudine”. Non importa quante personeaffollino i suoi concerti, quanti albumabbia venduto (quasi centotrenta milioni)o quanto sia profondo ormai il suo postonella storia della cultura popolareamericana ora che comincia a intravederei settanta anni. La voce di Bruce è l’ecodella immensa solitudine americana.

Si dice che Bruce, il “Boss” come fusoprannominato dalla sua prima band dimorti di fame che si affidava a lui pertrovare piccole scritture, abbia cantatol’ascesa, la caduta e la stentata rinascitadel Sogno Americano dopo la mazzatadell’11 settembre e che per questo la suapopolarità attraversi i confini della politicae degli Stati Uniti. In lui, da Born in theU.S.A. a The Rising, passando per leStreets of Philadelphia, tutti possiamotrovare quello che amiamo e che odiamodell’America, magari fraintendendo ilsenso dei suoi pezzi, come Ronald Reaganche cercò invano di adottare proprio Bornin the U.S.A. come propria colonna sonora,senza averla capita.

Ma il tramonto del sogno americano,che gli economisti misurano in unasbilanciata distribuzione della ricchezza,che gli epidemiologi contano nel numerodi antidepressivi e psicofarmaciconsumati a camionate, e che gli strateghivalutano nella perdita di egemoniaplanetaria, è nella solitudine di unagenerazione, la sua, divenuta la solitudinedei figli e dei giovani. Il sogno vero, dietrola casetta con il giardino, il minivan, il Suv,era di essere una comunità umana. Anchenelle squallide aree industriali del NewJersey, dove lui è cresciuto fra gli elmetti diplastica degli operai, il sogno voleva direessere parte di qualcosa che altrove sisarebbe chiamata “classe” e che si èdisintegrato nella polverizzazione delsobborgo infinito. E poi sepolto nellabattaglia individuale per sopravvivere oper arricchirsi.

Di questa solitudine collettiva, chesembra una contraddizione, Springsteen èla voce e insieme il grido che tenta disuperarla nella ricerca di una comunitàeffimera e liquida, raccolta in uno stadio,in un palazzetto o nella microchip di unriproduttore mp3. Sa perfettamente chenon ci riuscirà, che la politica, i sindacati, lecomunità virtuali, le confessioni religioseanche più organizzate come quelcattolicesimo nel quale è, recalcitrante,cresciuto, non rispondono più al gridodella solitudine. Ma la fatica di provarcisuona nella voce solista, nella chitarra, neltono quasi timido, come di chi siautoscusa, che spesso adotta nelleinterviste. Non è il successo, è il fallimentoquello che lo fa grande e lascia soltanto lafinzione amara della sua Lucky Town, lacittà che si crede fortunata. «È un bentriste finale quando ti accorgi di essere unoche finge, che finge di essere ricco dentrola camicia di un povero». Penso che se ilGiovane Holden fosse diventato adultoavrebbe avuto la voce di BruceSpringsteen.

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.I PIACE SALIRE SUL PALCO e comportarmi da pazzo ed espri-mere me stesso in modo fisico, e mi piace che i membridella band possano mettersi a fare gli scemi. Ma anchenel corso di serate del genere c’è un modo in cuipuoi riu-scire ad abbassare i toni. La voce con cui parli è una com-ponente,nonunadellepiù importanti,mac’èanchequel-la. Mette le persone a proprio agio, riesce a tendersi ver-so di loro e a creare un ponte per quella che, altrimenti,sarebbe una musica difficile. Quand’ero giovane c’erauna sorta di rispetto per chi faceva il pagliaccio duranteun concerto rock, gente tipo Little Richard. Faceva partedel gioco,e io ho sempre pensato che servisse a sciogliere

il pubblico. In realtà era anche un modo per rimpicciolirti fino a raggiungere le dimensioni di unuomo normale. Come che sia, a me piaceva farlo, mi divertivo, e non ho mai pensato che essereseri e fare il pagliaccio fossero due atteggiamenti che si escludono a vicenda. Voglio dire: puoi fa-requalcosadiabbastanzastupido epoipassareafarequalcosadiprofondamente serio inun bat-ter d’occhio, e se hai un buon legame con il pubblico ti verranno tutti dietro senza problemi.Quandostosul palcoovviamentemi piaceancheraccontarestorie, maquesto fapartediunatra-dizione, la tradizione folk. E mentre lo faccio, mentre parlo, guardo le facce delle persone. Poi ini-zio con alcuni pezzi meno conosciuti, che sorprendono il pubblico e gli fanno capire che non saràuna serata come le altre. Insomma, offro un servizio,e mi piace pensare che sia un servizio di cuila gente ha bisogno.

(Nick Hornby, “A Fans Eye View”, 5IF (VBSEJBO, 17 luglio 2005. Con l’autorizzazione diGuardian News and Media Ltd

-B QPMJUJDBHo viaggiato un sacco quando avevo diciot-

to, diciannove anni. I miei genitori se n’eranoandati e quindi più o meno una volta all’annoguidavo fino alla West Coast per andare a tro-varli. Ero sempre insieme a due, tre o quattroamici, e un cane, e facevamo questi lunghiviaggi attraversando il paese: ci stringevamotutti in un furgoncino e viaggiavamo tre gior-ni di fila senza fermarci. No, a quel tempo nonavevo alcuna coscienza politica. Era l’ultimacosa al mondo che avevo. Oddio, forse adessostoesagerando.DiciamocheneglianniSettan-ta alle conferenze stampa tutti facevano do-mandepolitiche moltoserie.Ese tunonti inte-ressavi alle proteste contro la guerra del Viet-nam, non ti importava di quello che faceva ilgoverno e dei vari cambiamenti culturali, behla gente cominciava a pensare che tu avessiqualche problema. La gente si interessavaall’underground, voleva guardare oltre il velodi ciò che ti veniva mostrato ogni giorno. C’eral’idea che ci fosse qualcosa al di là di quello chevedevi e di quello che ti veniva fatto vedere. Etutto questo era un qualcosa che pervadeval’intero paese, almeno credo, non solo la partepiù progressista della società. Voglio dire: laguerra del Vietnam non è finita quando la con-testavano solo gli hippy o i progressisti, è fini-ta quando hanno cominciato a contestarla an-chei camionisti. Tuttoquestovolervedere die-trolamaschera miaffascinava.Non homai let-to il .BOJGFTUP EFM 1BSUJUP DPNVOJTUB, ma inquegli anni mi sono avventurato a leggeremolte delle cose che trovavo, e un sacco di filo-sofi diversi, certo, sempre a spizzichi e bocco-ni. Un libro che su di me ha avuto un effetto

enorme è stato"NFSJDB, di Henry Steel Com-mager (e Allan Nevins, OEU), una storia degliStati Uniti davvero potente. Era un libro cheandava alle radici di quell’insieme di valori de-mocraticiche ha guidato il paese, a volte di piùe a volte di meno. Ed è stata la prima cosa cheholettoche miha fattosentireparte diunDPO�UJOVVN storico, che mi ha fatto sentire comepartecipe nella catena degli eventi. È stato inun certo senso il momento in cui mi sono senti-to parte del mio tempo. Nel corso della tua vitala strada che prende il tuo paese dipende an-che da te. E tu che cosa hai fatto? Questa do-manda semplice e concreta ha cambiato persempre il mio modo di vedere la vita, il mio la-voro e il posto in cui vivevo e ha orientato alcu-ne delle cose che scritto — ovviamente unitaalfatto chevolevosuonare il rock’n’rollediver-tirmi. Se ne vedono gli effetti in %BSLOFTT, inuna canzone come 5IF 3JWFS o in/FCSBTLB. Ecertamenteanche in#PSOJOUIF6�4�"�Èlasto-riadiunveterano delVietnam cheè furibondoperché si sente in conflitto con le forze dellastoria. Ma questo tizio ha accettato il fardello,personale e storico: è arrabbiato, c’è un ele-mento sociale e c’è molta meno innocenza. Pa-recchi dei veterani che avevo incontrato miavevano commosso. Fu solo all’inizio degli an-ni Ottanta che nacque l’associazione dei vete-rani del Vietnam. Il mio amico Bob Muller neera a capo. Ricordo di essere andato a vedere *MDBDDJBUPSF con Ron Kovic, l’autore di /BUP JMRVBUUSP MVHMJP, checercava dellecosecheriflet-tessero la sua esperienza. #PSO JO UIF 6�4�"� ènata da lì. Bob Muller è stata la prima personaa cui l’ho suonata. E fu bellissimo.

(Phil Sutcliffe, “You Talkin to Me?”, .PKP,gennaio 2006. Bauer Media Group)

-F DBO[POJQuando si tratta di musica se uno più uno fa

due, allora hai sbagliato tutto, amico: uno piùuno fa tre. Se dipingi, e poi non hai altro che ilcolore e la tela, hai sbagliato tutto. Se hai solole note, hai sbagliato tutto. Devi trovare quelterzo elemento, quell’elemento che non capi-sci fino in fondo ma che emerge da dentro dite. Se non arrivi a toccare quell’elemento lì,non avrai niente da dire, la tua opera sarà pri-va di vita e di respiro. In altre parole quello checrei non sarà vero. Penso che la prima canzoneche ho scritto sia stata proprio5IF3JWFSe l’hoscrittapensando amia sorellae amio cognato.Era la fine degli anni Settanta, in New Jersey,e c’era la recessione. Mio cognato faceva il mu-ratore, i cantieri si sono fermati, ha perso il la-voro, un periodo tremendo. Mia sorella — houna sorella che è più piccola di me di un anno— è diventata madre giovanissima e ha avutouna vita molto difficile, come i miei genitori. Equindi, per qualche ragione, ricordo che unasera mi sono seduto alla scrivania e sono venu-ti fuori i primi versi di5IF3JWFS. E mi sono det-to che mi piaceva scrivere in quel modo. La co-sa bella nello scrivere canzoni è che raccontidelle storie, ci provi e speri di diventare partediquellatelacheèlavitadellepersone.Poi,ov-

viamente, vuoi anche che la tua musica le fac-cia ballare, ridere, divertire e che l’ascoltinomentre passano l’aspirapolvere. Penso che lemie più grandi ambizioni, quand’ero giovane,riguardassero il cercare di fare qualcosa di si-mile a quello che credevo la musica avesse fat-toper me. Lamusica, certi artisti, erano diven-tati una parte importantissima della mia vita.Penso sempre, beh, a Dylan, lui è il padre delpaese che riconosco come mio. È il padre delmio paese nel senso che è nella sua musica cheper la prima volta ho sentito un’America chepercepivo e ritenevo vera, che sentivoautenti-ca, reale, che rispecchiava la mia esperienzaquotidiana. E ti allargava gli orizzonti in unmodo che, a quei tempi, per me non lo facevala scuola e non lo facevano altre cose. E ti per-metteva di sognare, ti apriva delle possibilitàriguardo a quello che avresti potuto fare di testesso, che avresti potuto fare della tua stessavita… e insomma sì, ti faceva capire che lì fuoric’era un’intensità di vita che era più o meno al-la tua portata.

(Elvis Costello,4QFDUBDMF, 2009/2010).

*M TVDDFTTPIo non ho mai chiesto consigli in merito, se

non a una sola persona. Ero a Los Angeles nel1975, cioé l’anno in cui abbiamo sfondato. Avederci suonare era venuto Jack Nicholson,che è originario di Neptune,New Jersey, a duepassi da Asbury Park. Dopo il concerto siamostati un po’ insieme. Anche lui era appena di-ventato un attore piuttosto famoso. Per cui,parlando, gli ho chiesto: com’è stato per te?Che idea ti sei fatto? E lui mi ha risposto: «Beh,ioeropiùvecchio, erogià inballoda unbelpez-zo, e comunque ero più vecchio di te adesso,quindi quando è successo ero pronto». Io inve-ce avevo ventiquattro, venticinque anni, e hodovuto trovare un modo per orientarmi, unamia strada. Ma per fortuna avevo la band edero circondato da brave persone. Quelli chenon ce la fanno sono quelli che non hanno nes-suno accanto a sé.

(Robert Santelli,HSBNNZ�DPN, 2013)

*M OPNFCome nasce la storia del nome “boss”? No,

non lo so come è nata esattamente. Diciamocheè cominciata conquelli chelavoravano perme. Naah, non doveva essere “il Boss”, con la Bmaiuscola.Erauna cosatipo “ehi boss, dov’è lapaga della settimana?”. Una cosa del genere,amichevole, era una cosa della band, solo unacosacosì,unnomignolotraamici. E lacosa buf-fa è che a me non è mai piaciuto. Neanche ora.No, davvero, dico suol serio, non mi è mai pia-ciuto.

(Dave Herman, “King Biscuit FlowerHour”, programma trasmesso su varie stazio-ni radio, 9 luglio 1978)

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j*L GIORNO DOPO, SI FRIGGEVA DAL CALDO, forse l’ultimo giornod’estate ma certo il più caldo. Mentre il treno emergevadal tunnel nel sole, solo i fischi bollenti della fabbrica di bi-scottirompevano il rovente silenziodi mezzogiorno. I sedi-li di paglia del treno erano sul punto di incendiarsi...». Ladescrizionedi Francis Scott Fitzgerald ne *M HSBOEF(BUTCZsembra rubata dalle cronache di questi giorni. Il caldo afri-cano azzera la pressione e toglie il sonno, conquista le co-pertinedei tigìe riempie icarrelli dellaspesa di bibite, ren-de eroici ipatiti del jogging emette incoda grandi e piccinidavanti alle gelaterie.

I consigli alimentari si sprecano, in scia alle parole d’or-dine idratare, refrigerare, alleggerire. Direttive da applicare in una cucina improvvisa-mente diventata ostile: il frigorifero piccolo, incapace di accogliere tutta la frutta e verdu-racomprata per combattere la calura, i fornelli respingenti, il forno impraticabile. Perfinoil microonde suscita diffidenza per via del gran calore dei piatti in uscita.

Così, prosperano le insalate composte, prosciutto e melone, i pomodori ripieni di tonnoe maionese, qualche pasta fredda purché non impegnativa, i formaggi, la caprese. Solo lecene con gli amici inducono a produrre uno sforzo in più, tra quiche e verdure ripiene.

Il guaio è che la magìa dei piatti freddi mal si attaglia al clima torrido e l’insofferenza alcaldonon fa sconti al momento della digestione. Se esiste un momento in cui non bisogne-rebbe mangiare cibi crudi, è proprio questo. Perché le tossine adorano il caldo, i batteri

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della carne prosperano, i pesci sono ricchi di istamine come mai durante l’anno. Perfinol’adorata mozzarella, vero passpartout dei menù estivi, in estate riesce spesso mediocre,perché le bufale danno il meglio di sé in primavera, tempo naturale della lattazione. Così,in molti rigenerano il latte congelato in inverno, garantendo la sicurezza alimentare masorvolando sulla qualità.

A proposito di crio-conservazione, il pesce — a sua volta non al meglio in una stagionecontrappuntata da fermi biologici e super consumi — merita un distinguo importante.Congelati (casalinghi) e surgelati (industriali), infatti, rappresentano una soluzione se-riale tutta diversa dall’abbattitura, di cui si legge a volte in calce ai menù. Si abbatte il pe-sce crudo e perfettamente pulito per uccidere il parassita anisakis e poter servire sushi eplateau non solo in perfetta sicurezza, ma anche con la textura più vicina possibile a quel-la del pesce appena pescato. Questo, grazie ai motori potenti degli abbattitori, che ragge-lano in tempi brevissimi, creando cristalli di ghiaccio impalpabili, rispettosi della consi-stenza originaria. I ristoranti di mare&qualità assurgono così, in questo modo, a piccolisantuari delle trasgressioni FO DSVEJUÏ, dal carpaccio di ricciola alla dadolata di cernia eavocado.

Ma non tutti vagheggiano scorpacciate di tartare e frutti di mare per affrontare il caldoinsouplesse. Incasodi irresistibileattrazioneperil fuoco,ordinate ilkitdelperfettobarbe-cue ideato dai fratelli Damini, macellai di Arzignano, Vicenza, con stella Michelin. Tra co-stolette e spiedini, il caldo assurgerà a categoria dello spirito da celebrare (birra a parte)con una salvifica fettona d’anguria.

*L CALDO È INNANZI TUTTO un grandeargomento di conversazione alpari del calcio, del papa, di Renzi,di Belén e delle intolleranzealimentari. Poi mentre si parla del

caldo sembra che si sudiparticolarmente, e ci si scalda, perché ilcaldo non è mai democratico: ognunopensa di esserne vittima più di altri.I privilegiati che hanno l’ariacondizionata te la fanno pesarepostando su Facebook foto di finestreben sigillate. Il popolino sudato provacon i ventilatori, le docce o i consigli deiprogrammi televisivi: mangiare fruttae verdura, bere spesso e non uscire negliorari più caldi, soprattutto gli anziani.Detto ciò, quando il caldo si fasoffocante, quasi un tutt’uno con l’ariae il cemento, non resta che attaccarsi albocchettone dell’aria condizionata, purconsapevoli che può venire il mal digola, il male al collo, la cervicale: che mivenga tutto, ma toglietemi sto calor.

Anche gli irriducibili del lamento,quelli che appena si siedono in un localescovano dov’è l’aria condizionata perfarla abbassare o spegnere, in questigiorni torridi sembrano svaniti come leloro lagne. Io, ad esempio, uno deiluoghi in cui mi trovo più a mio agiosono i vagoni del Frecciarossa, cheavranno anche perso in puntualità mahanno abbassato la temperatura deiloro vagoni. Anche alcuni interregionalisembrano strani freezer e regalanopiacevoli momenti ai pendolari: bisognasolo avere la fortuna di salire sullacarrozza dove funziona.

Per quanto riguarda i luoghi pubblici,il posto migliore dove refrigerarsi,ripararsi, nutrirsi e un po’ stranirsi sonoi centri commerciali: lì non ci sonostagioni ma solo luci al neon e offerte. Efa sempre fresco. Sembra gratis, ma diquesti tempi nessuno ti regala niente,quindi se pensate solo di fare un giro perasciugare la maglietta madida sappiateche uscirete da lì con qualcosa di nonprevisto, come le piante o i cusciniquando andate all’Ikea. Quindi tantovale programmare un pranzo lì: che nedite di polpettine svedesi o Gravad Lax?In alternativa, in città, ci sono queglistrani dehors che vaporizzano acqua e ame sembra sempre che mi vogliano fareun dispetto, così mi siedo lontano dalnebulizzatore. Un po’ come d’invernoquei funghi dal calore insano, per cuidopo la pizza devi prendere l’aspirina.Forse la soluzione ideale è la caravecchia variatio: patire un po’ di caldo,godersi un pizzico di aria condizionata,farsi una doccia tiepida, mangiare unabella mela o la consigliatissima anguria— è ipocalorica, mangiala!!! — fare untuffo in piscina, sedersi all’ombra di unalbero. E aspettare che, prima o poi,arrivi il temporale.

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MILANO

6N GIORNO, FORSE, SE NE POTRÀ DISCUTERE BEVENDO COSE e dicendo«Ti ricordi 7PHMJP BWFSUJ BDDPVOU”? E perché, quella che facevai6O JUBMJBOP TV USF WJWF B DBTB DPJ HFOJUPSJ QFDDBUP DIF HMJ BMUSJEVF TPOP J HFOJUPSJ”? E allora la cosa del fidanzato di Trenitaliache compra i test di gravidanza per ogni suo ritardo? Beh sì, quel-

la è terribile — peraltro lui per puro gusto oltranzista la rivendica come la suapreferita: ma in un solo disco (1PQ�)PPMJTUB, già il titolo, svariati dischi di plati-no) lui ha infilato almeno duecento, effettivi, mica per dire un numero alto,giochi di parole, calembours, gag demenziali da tramortirti e li ha cantati tut-ti,edèovvio chesuduecentodiecisonoterribiliepoi viaviaa salire, finoaquel-li che hai ascoltato per la prima volta quarant’anni fa (segno orribile di etàavanzata: rimproverare a un giovane un gioco di parole che tu hai sentito ne-gli anni Settanta, che colpa ne ha lui?). E infine, nella quantità, sparlando nelmucchio, anche una decina niente male e soprattutto la voglia di farli, i giochidi parole in canzoni che poi la tua gente canta a memoria ai concerti. Che c’è dimale, un giorno ne parleremo sereni bevendo cose, forse, un giorno.

Oggi no, oggi Fedez e l’odore di polvere da sparo non possono andareognuno per i fatti loro. Primo, non lo vuole lui. Secondo, ormai è in unloop da cui non si esce, e se provi a uscirne arrivano nell’ordine Gaspar-ri, Salvini, -JCFSP, JM (JPSOBMF e anche gente più raccomandabile a ri-cacciarlo dentro, lui, nel loop. Attenti al loop. E lui non ci sta attentonemmeno un po’. Va e si butta, risponde con la stessa pervicacia concui conia la rima collagene/voragine («I testi sono tutti miei, l’ho fattosoloinquesto disco digiocarea milleconleparole, èstatodivertente»).

Fedez, ovvero Federico Lucia (bella combinazione manzoniana,volendo), 25 anni da Buccinasco, periferia Milano, o lo ami o lo

detesti.Balle.Quisiaspetta sempre ilgiorno in cuisipotrà ri-cordare e riparlarne con serenità. O qualcosa del genere. Maintanto, fuoco alle polveri. «Guardate che siete voi, i giornali-sti, a non essere più abituati. Come a cosa? Agli artisti che lecantano chiare, che si schierano e che attaccano pure voi. Hapresente Guccini?». Abbastanza. Cosa sta per dire? «-�"WWFMF�OBUB non era uno sfogo quasi violento contro un giornalista econtro il mondo intero attorno? Ma dove siamo? Ora un cittadi-no non può nemmeno cantare la sua, non lo fa più nessuno in ef-fetti, il senso civile lo ritrovo in De Gregori, lo canta FiorellaMannoiache ineffettiè l’unicaa schierarsiancora traquellidelcircuito mainstream». Senta, ma questa cosa dei cantautori,però… «Non mi attribuisco nessuna discendenza diretta, iovengo su ascoltando il punk italiano, gli Statuto, gli Skiantos,

gente così, ma i cantautori li conosco tutti e molti mi apprezzano. Voi, voi nonsiete più abituati». E sarà pure, ma le entrate a gamba tesa su tutto e tutti…«Casomai rispondo colpo su colpo, a Gasparri e gli altri. Ne ho il diritto. E ognivolta è un travisamento e vogliamo parlare della famosa notte in discoteca?».

Saremmoqui, anche perquello, lapresunta rissa alJustCavalli,una delledi-scotechepiùtrendydiMilanocon tantodi intervento dellapolizia,vetri infran-ti, accuse e controaccuse. «Un incubo, io che tiro la bottiglia contro un vetro?Non c’è nemmeno il vetro in quel locale. Ma soprattutto: perché succede tuttoquel casino e con centinaia di presenti non c’è una foto, un video, niente diniente di me che do fuori di matto?». Già, perché? «Perché la Polizia….». E quiinizia il problema, perché bisogna fornire un insieme di parole che permetta atutti quanti di restare a piede libero: «Nessuno ha verificato cosa è successodavvero. La questura ha dato la propria versione all’"OTB creando, visto che ilprotagonistaero io, un ovvio casomediatico. Esoprattutto tuttihanno trovatonormale che io fossi in una situazione così. Io che non esco mai, mai, le notti indiscoteca, ma dove? Era un caso rarissimo e speciale, una festa di compleannoa cui tenevo. La polizia l’ho chiamata io perché una ragazza si era fatta male,ho chiamato anche l’ambulanza, al tavolo vicino provocavano, “gente bene”,la conosciamo, mi hanno sputato addosso, ho fatto mettere un buttafuori tra itavoli. Poi è arrivata la polizia, mi hanno visto e per loro è cominciata la festa».

E qui tocca fare una sintesi altrimenti non ne usciamo. La versione Fedez èchelevecchiepolemiche congli agenti (ilsindacatoCoisp, soprattutto)lohan-no messo nel mirino: appena c’è un pretesto, finisce sotto tiro. Espressioni for-ti, travisamenti certo, sui Black Bloc («Ho pubblicato dei video sia di Genovache altrove con i Black Bloc liberi di agire indisturbati e mi chiedevo semplice-mente perché. Non l’hanno presa bene. La polizia, non i Black Bloc»). Ma an-che parole chiare su Aldrovandi e gli altri, poi i social come polveriera accesa evia così. Prima o poi toccherà uscirne. Ma lei si sta sfogando o posso scrivere?«Scriva.Appenami hannovisto,quella notte,hannoiniziato aprendermiingi-ro, ero intimidito, ho iniziato a riprendere tutto col mio smartphone, mi han-no intimato tu da qui non ti muovi tutta la notte, ero insistente ma non violen-to o offensivo. Ed ero lucidissimo, disposto a qualunque test. Se è successo tut-to quello che si è scritto, perché non mi hanno arrestato? Non so nemmeno sesonostato denunciato.Maverificare, poi,mai, laversionecheèuscita eratrop-po bella per tutti voi. Niente. Ormai è una storia così».

A dirla tutta, ma lo dica davvero, quanto le fa gioco per il suo show (tour incorso, valanga di tutto esaurito), per il personaggio? «Zero. Come con i politi-ci. Gasparri? Ma chi l’ha mai cercato? E lui se ne esce: uno che tratta così il suocorpo,ovvero i tatuaggi,chissà cometratta il resto…Masipuò?E questo èvice-presidente del Senato…». Beh, lei ha risposto che non si mette a fare la guerracoi maiali. «Ma quella è una citazione di Bernard Shaw: leggo dai giornali cheGasparri mi avrebbe querelato, nel caso mi toccherà portare il libro di Ber-nardShawintribunale.Sarà divertente».Ricordiamolacitazione: “Nonsi fa laguerra coi maiali. Primo ti sporchi tutto. Secondo, ai maiali piace”. Ecco, ap-punto. «Perché, invece Salvini? Non l’ho mai, dico mai nominato io per primo.Lui sale a Pontida e mi insulta, dice che non ha tempo da perdere con me e in-

tanto mi nomina, lui. Ma chi ti vuole? E lì non resisto, prendo Twitter e rispon-do. Oppure Porro, il conduttore di7JSVT, mi invita in trasmissione, io gli dicono, sembra finita lì, il giorno dopo mi attacca pesantemente su Twitter. Mache gioco è?». Lo dica lei: «Io non sono un attivista politico, non lo sarò mai,non mi interessa: e quindi quello che dà fastidio è il concetto di cittadinan-za attiva, a quella tengo». Oh, bene, ci siamo. Grillo e i suoi, adesione tota-

le? «Mi piacciono: dentro non c’è un corrotto o un mafioso, le campagne elet-torali se le pagano, Renzi ha i lobbysti che mettono centomila euro a testa.

Dopodiché Grillo non mi appoggia né io appoggio lui, ma in quel grup-po c’è il meglio della politica italiana. E ci sono le alternative allenon-alternative di tutti gli altri».

Perfetto, così si capisce. Ma di rap, musica, del sodalizio con JAx,dei dischi di platino e di X Factor quando se ne parla? «Io sono quel-lo, faccio quelle cose, ho fatto una gavetta infinita, ho viaggiato suitreni di notte tornando dai concerti nascondendomi nei cessi per-ché non avevo i soldi per il biglietto. Cerco di crescere, imparo mascelgo io chi mi deve insegnare le cose». Tipo? «Sto leggendo Ed-mondo Berselli, per esempio. Nella musica e nel mio gruppo mi ri-faccio all’esperienza della Factory di Andy Wharhol, scopro cose egestiscotuttocon chimi vuolebene».AXFactor magarisi aspetta-vano da lei fuoco e fiamme, poi lei arriva, spalanca i tatuaggi, siesprimecomesi deve,èquasiperfettinoeallafinevincepure.Aoc-chio Gasparri si è molto arrabbiato nell’occasione. «Chissà, ma èbellopensarlo».Come èbello, quantoimpossibile, pensarecheque-sta potrebbe essere una storia in cui ognuno, Fedez coi suoi da unaparte, noi babbioni, politici e no dall’altra, giocano ognuno la pro-

pria partita e vanno per la propria strada. Anche se lui, Federico Lu-cia, magari voleva solo fare i giochi di parole e starsene più o menotranquillo...

No, non funziona, non ci crede nessuno, non dev’essere così.

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”Guardate che siete voi, voi giornalisti, a non essere più abituati.

Come a cosa? Agli artisti che non hanno paura di schierarsi e che

magari vi attaccano. Ha presente Guccini? L’Avvelenata?”. Fede-

ricoLucia,venticinqueannidaBuccinasco,Milano,hale ideechia-

re. Rapper dal successo velocissimo, cresciuto a forza di Skiantos

e Statuto ma diventato nazionalpopolare e trasversale grazie alla

tv, nelle sue canzoni gioca con le parole e sui social le usa senza au-

tocensure. “Quanto ci guada-

gno a far polemica in pubblicità

per i miei show? Zero. Io quelli

come Gasparri o Salvini non li

ho cercati mai. Ma se a cercarmi

sono loro, beh, io rispondo”

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Repubblica Nazionale 2015-07-12