2007-04-14

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TOM McCARTHY Le origini politiche di Tintin si collocano a destra, per usare un eufemismo. Il Petit Vin- gtième era un giornale di stretta osservanza cattolica e, come di- ce Hergé stesso a Numa Sadoul (cfr. Entretiens avec Hergé, Ca- sterman 1983, n.d.r. ) a quel tem- po «cattolico» significava «anti- bolscevico». Significava anche antisemita. Il direttore del gior- nale, l’abate Norbert Wallez, te- neva sulla scrivania una fotogra- fia autografata di Mussolini. Molti dei giornalisti che scrive- vano per lui avevano legami con il partito belga Rex, più o meno fascista. Questo orientamento politi- co non solo trovò espressione nei fumetti, ma fu la loro raison d’être. La prima avventura di Tintin è prima di tutto un pezzo di propaganda, che «svela» i ma- li del comunismo. La seconda, in Congo (che fu pubblicata in forma di libro in francese nel 1931 e, con grande scorno dei li- berali europei, conserva un’enorme popolarità in Afri- ca), ritrae gli africani come gen- te di buon cuore ma arretrata e pigra, bisognosa della domina- zione europea. In I sigari del fa- raone e Il drago blu, entrambi pubblicati a metà degli anni Trenta, i cattivi sono tipici nemi- ci della destra, figure chiave nel grande complotto mondiale del suo immaginario: massoni, fi- nanzieri e, dietro a tutto, appe- na velato da un nome greco, un Rastapopoulos sfacciatamente semita. CARTEGGIO Caro Franz Caro Max Kafka e Brod: cibo, libri, sogni e fidanzate VENTAVOLI - FORTE P. III Anteprima 100 anni fa nasceva Hergé: un ritratto politico del suo avventuroso personaggio a fumetti ANNIVERSARIO Da 100 anni gli scout Gli esploratori tra Chiesa e politica BOATTI P. IX CESARE MARTINETTI C’è chi giura di averlo visto, era il 1˚ aprile, allo Zenith di Parigi, tra i settemila fans di Nicolas Hulot. Hanno ricono- sciuto Milou e lui doveva essere lì vicino. Con un cappello e una barba finta, come quando scap- pava dai cattivissimi della «ghe- péu» nel paese dei soviet. Che peccato! Se Hulot si fos- se candidato presidente della Francia, non ci sarebbero dub- bi: il Tintin della televisione francese avrebbe preso il voto del vero Tintin, stessa faccia da «BD», stessa voglia di salvare il mondo. Quel giorno allo Zenith, Hulot, gliele ha cantate chiare ai veri candidati, per primo a quell’altro Nicolas Sarkozy det- to «Sarkò», ma anche a lei, Sé- golène Royal, detta «Ségò». Hulot, il grande avventurie- ro della tv, l’écolò né di destra né di sinistra – dunque sostanzial- mente di destra -, ha chiesto a tutti, ecologicamente, di salvare il pianeta. Ma per chi voterebbe Tintin alle presidenziali se fosse francese? Sarkò? Calma. Il vec- chio Le Pen? Buoni colonizzato- ri con i bravi negretti del Congo sì, ma non esageriamo. Ségolè- ne? Le donne sono delle rompi- balle, tanto più quelle che credo- no nel «paradiso rosso». Bayrou, il centrista? Che noia! Sarkò, dunque? Forse, al secon- do turno, la Francia nelle mani del piccolo Nicolas sarà un’av- ventura. Ma al primo turno? Ouf, cuic, wouah. Chissà. DIARIO DI LETTURA La Ramondino verso la Cina Da Yiyun Li mille anni di buoni auspici ZUCCONI P. XI FULMINI NICO ORENGO [email protected] DELEDDA, FIGHTERS AL VENTO TUTTO libri LA STAMPA SABATO 14 APRILE 2007 PAGINA I Continua a pag. II Di lei, Grazia Deledda, si fidano da ventisei anni. E così anche quest’anno sul lungomare Deledda a Cervia, dal 21 aprile, ci sarà il Festival internazionale degli aquiloni. Sono invitati «maestri» americani, neozelandesi, australiani, dalla Tasmania e dall’Europa. Ahimè, non si scappa: purtroppo anche in questa manifestazione di leggerezza ed eleganza, diurna e notturna, ci saranno esibizioni di aquiloni da combattimento, i «rokkaku» giapponesi e i «fighters» indiani. Per l’occasione in nome dell’autrice di «Canne al vento» si spera in poco vento. Esce da Piemme Tintin e il segreto della letteratura di Tom McCarthy (pp. 240, 14,90), un ritratto critico del personaggio creato da Hergé, di cui ricorrerà a maggio il centenario della nascita. Anticipiamo brani dal capitolo che ne delinea le idee politiche. TINTIN DI CORSA FRA DESTRA E SINISTRA p CHISSÀ CHI VOTA SETTIMANALE LEGGERE GUARDARE ASCOLTARE NUMERO 1559 ANNO XXXI [email protected] R W TS

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - I - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.20

TOMMcCARTHY

Le origini politiche diTintin si collocano a destra, perusareun eufemismo. IlPetitVin-gtième era un giornale di strettaosservanza cattolica e, come di-ceHergé stesso aNumaSadoul(cfr. Entretiens avec Hergé, Ca-sterman 1983, n.d.r.) a quel tem-po «cattolico» significava «anti-bolscevico». Significava ancheantisemita. Il direttore del gior-nale, l’abateNorbertWallez, te-neva sulla scrivaniauna fotogra-fia autografata di Mussolini.Molti dei giornalisti che scrive-vanoper lui avevano legami conil partito belga Rex, più o menofascista.Questo orientamento politi-

co non solo trovò espressionenei fumetti, ma fu la loro raisond’être. La prima avventura di

Tintin è prima di tutto un pezzodi propaganda,che «svela» ima-li del comunismo. La seconda,in Congo (che fu pubblicata informa di libro in francese nel1931 e, con grande scorno dei li-berali europei, conservaun’enorme popolarità in Afri-ca), ritrae gli africani come gen-te di buon cuore ma arretrata epigra, bisognosa della domina-zione europea. In I sigari del fa-raone e Il drago blu, entrambipubblicati a metà degli anniTrenta, i cattivi sono tipicinemi-ci della destra, figure chiave nelgrande complotto mondiale delsuo immaginario: massoni, fi-nanzieri e, dietro a tutto, appe-na velato da un nome greco, unRastapopoulos sfacciatamentesemita.

CARTEGGIOCaro FranzCaro MaxKafka e Brod:cibo, libri, sognie fidanzateVENTAVOLI - FORTE P. III

Anteprima 100 anni fa nascevaHergé: un ritrattopolitico del suo avventuroso personaggio a fumetti

ANNIVERSARIODa 100 annigli scoutGli esploratoritra Chiesae politicaBOATTI P. IX

CESAREMARTINETTI

C’è chi giura di averlovisto, era il 1˚ aprile, allo Zenithdi Parigi, tra i settemila fans diNicolas Hulot. Hanno ricono-sciutoMilou e lui doveva esserelì vicino. Con un cappello e unabarba finta, come quando scap-pavadai cattivissimidella «ghe-péu»nel paesedei soviet.Chepeccato!SeHulot si fos-

se candidato presidente dellaFrancia, non ci sarebbero dub-bi: il Tintin della televisionefrancese avrebbe preso il votodel vero Tintin, stessa faccia da«BD», stessa voglia di salvare ilmondo.Quel giorno allo Zenith,Hulot, gliele ha cantate chiareai veri candidati, per primo aquell’altroNicolasSarkozydet-to «Sarkò», ma anche a lei, Sé-golèneRoyal, detta«Ségò».Hulot, il grande avventurie-

ro della tv, l’écolònédi destranédi sinistra – dunque sostanzial-mente di destra -, ha chiesto atutti, ecologicamente,di salvareil pianeta.Ma per chi voterebbeTintin alle presidenziali se fossefrancese? Sarkò? Calma. Il vec-chio Le Pen? Buoni colonizzato-ri con i bravi negretti del Congosì, ma non esageriamo. Ségolè-ne? Le donne sono delle rompi-balle, tantopiùquelle checredo-no nel «paradiso rosso».Bayrou, il centrista? Che noia!Sarkò, dunque?Forse, al secon-do turno, la Francia nelle manidel piccolo Nicolas sarà un’av-ventura. Ma al primo turno?Ouf,cuic,wouah.Chissà.

DIARIO DI LETTURALa Ramondinoverso la CinaDa Yiyun Limille annidi buoni auspiciZUCCONI P. XI

FULMININICO ORENGO

[email protected]

DELEDDA,FIGHTERSAL VENTO

TUTTOlibriLA STAMPA

SABATO 14 APRILE 2007PAGINA I

Continuaa pag. II

Di lei, Grazia Deledda, si fidano da ventisei anni. Ecosì anche quest’anno sul lungomare Deledda aCervia, dal 21 aprile, ci sarà il Festival internazionaledegli aquiloni. Sono invitati «maestri» americani,neozelandesi, australiani, dalla Tasmania edall’Europa. Ahimè, non si scappa: purtroppo anche inquesta manifestazione di leggerezza ed eleganza,diurna e notturna, ci saranno esibizioni di aquiloni dacombattimento, i «rokkaku» giapponesi e i «fighters»indiani. Per l’occasione in nome dell’autrice di «Canneal vento» si spera in poco vento.

Esceda PiemmeTintine il segretodella letteraturadi TomMcCarthy(pp.240,!14,90),unritrattocriticodelpersonaggiocreatodaHergé,di cui ricorreràamaggio il centenariodellanascita.Anticipiamobranidal capitolochenedelinea le ideepolitiche.

TINTINDICORSAFRADESTRAESINISTRAp

CHISSÀCHIVOTA

SETTIMANALELEGGEREGUARDAREASCOLTARENUMERO 1559ANNO [email protected]

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - II - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.21

Nonostante i buonisentimenti mo-derni abbiano tol-to di mezzo i gla-diatori e le bighe

e ridotto la boxe a una fic-tion a pagamento, LucioCalpurnio non si scomponesulla passione secolare per ilfootball. Tranne quando neva di mezzo l'ordine pubbli-co, o s'incastra nelle lotte dipotere regolate con nuovi enonmenomicidiali aspidi.Casualmente egli possiedePazza Inter (Mondadori,pp. 229, !17,50), titolo pocoepico per una storia appenapiù epica, quella dell'Inter-nazionale, squadra che ap-partiene a petrolieri ed è so-stenuta dalla seconda gene-razione del radical chic.Il libro è di Leo Turrini, gior-nalista delCarlino di ottimecompetenzemusicali e moto-ristiche che l'estro e la famahanno condotto su terreninon suoi. Ma questo è il giu-dizio del dilettante. Il profes-sionista è invece andato aspulciare l'indice dei nomi(in ragione degli aspidi dicui sopra) approfittando deigiorni caldi di Telecom.Ci sarà Guido Rossi? C'è.L'uomo deputato a riporta-re la moralità nel calcio, co-me lo si deputò a riportarlanell'impresa (mah...), com-pare. E precisamente nellepagine del risarcimento,cioè laddove la centenariastoria dell'Internazionaletrova riscatto a tre lustri diumiliazioni in frettolose au-le di tribunale. Come se Car-tagine fosse stata attribuitaad Annibale da un giudicedi pace. Turrini fa ricordarea Moratti (Massimo) cheRossi era stato dirigente delclub. «Legittimamente»,spiega. E legittimo fu, in se-guito, che dirimesse le que-stionimoggiane.Ma non tut-to ciò che è legittimo è mora-le, e non tutto ciò che è ille-gittimo e immorale è danno-so. Ce lo spiegava proprioGuido Rossi in un suo Rattodelle sabine scritto perAdelphi. Ma tutto questo ilnerazzurro non lo sa.

LA RUPETARPEA

LUCIOCALPURNIO BESTIA

IL RATTOCHE L’INTER

NON SA

LA POSTA DI CARLO FRUTTERO

CAIRO, TRASTELLE E

STORIE NERE

Con l’ingaggio di Benedetta Centovalli il patron del Torodà una svolta alla sezione libri del suo arcipelago editoriale:

in arrivo la martinicana Maillet, bestseller in Francia,e la «verità» Mambro-Fioravanti sulla strage di Bologna

SCRIVERE ACarlo Fruttero, Tuttolibri-La Stampa, via Marenco 32, 10126 Torino [email protected]

La vena destrorsa nell’opera diHergé raggiunge l’apice quan-do, nella versione originale diLastellamisteriosa, scrittaper ilgiornale al culmine dell’era na-zista, inventa un cattivo ebreo(il banchiere newyorkese Blu-menstein) e mostra un nego-ziante di nome Isaac che si fre-ga le mani soddisfatto quandosembra che il mondo stia per fi-nire. Perché? Perché, comespiega al suo amico Solomon:«Devo 50.000 franchi ai mieifornitori, e così non sarò co-strettoapagarli».Ma quasi nel momento stes-

so in cui prende piede, questatendenza di destra viene affian-cata da una controtendenza disinistra. In Tintin in America,pubblicato in forma di libro nel1932, Hergé fa una satira pun-

gente della produzione capitali-stica di massa e del razzismoamericano (alla polizia accorsadopo una rapina, l’impiegato dibanca della cittadina dice: «So-no stati impiccati sette neri, mail colpevoleè fuggito»). In Il dra-go blu Tintin spezza la cannacon cui un petroliere america-no percuote un conducente dirisciò cinese, esclamando:«Bru-to! La vostra condotta è inde-gna di un uomo!». L’orecchiospezzato, anch’esso della metàdegli Anni Trenta, contiene se-quenze che, stigmatizzandol’avidità dellemultinazionali e ilcinismo dei trafficanti d’armi,sonopresedi pesodalperiodicodi sinistra Le Crapouillot, chenelnumerodelmarzo 1932 trac-cia il profilo del mercante d’ar-mi sir Basil Zaharroff (o, comelo ribattezzaHergé, Bazaroff) ein quello del febbraio 1934 sma-schera il ruolo delle grandi im-

presenel conflittoBolivia-Para-guay per lo sfruttamento deicampipetroliferidiGranChaco(o, come li ribattezza Hergé,«GranChapo»).Sedestrae sini-stra convivonoper un po’, con iltempo la secondasembraaverela meglio sulla prima, al puntoche ametà degli Anni Settanta,in Tintin e i Picaros, l’eroe esibi-sce sul casco da motociclista ilsimbolo della campagna per ildisarmonucleare.Come viene ottenuto questo

spostamento? Attraverso uncomplesso insieme di cancella-turee rifacimentichehanno sal-vatoHergé e la sua operadal Si-mùn personale e mondiale chesegnò la sua epoca: la secondaguerramondiale. [...]Negli Anni Settanta Hergé

si era ormai reinventato comeliberale di sinistra. Dice a Sa-doul: «L’economia governa ilmondo; i poteri industriali e fi-

nanziari condizionano il nostromodo di vivere. Naturalmentequeste persone non portano ilcappuccio nelle loro riunioni alvertice, ma il risultato è lo stes-so! Produrre è il loro primoobiettivo. Produrre sempre dipiù. Produrre, anche se per far-lo devono inquinare i fiumi, ilmare, il cielo; anche se devonodistruggere lepiante, le foreste,gli animali.Produrree condizio-narci per farci “consumare”sempre di più, sempre più auto,deodoranti, spettacoli, sesso, tu-rismo...».«AncheTintinè contrarioal-

la societàdei consumi?»gli chie-deSadoul. «Assolutamentecon-trario, naturalmente!» rispon-de Hergé. «Tintin ha semprepreso le parti degli oppressi.»Non c’è motivo di dubitare chequesta nuova presa di posizio-ne sia sincera, anche se bisognaammettere che nell’ambientedei media e delle arti degli anniSettanta questa era la colloca-zione più conveniente, così co-me la collaborazione era la via

più conveniente da seguire du-rante laguerra.Sia comesia, re-sta l’interessante paradossoche, malgrado il suo riallinea-mento politico,Hergé non cam-bia i suoi cattivi: uomini incap-pucciati, i congiurati segreti di Isigari del faraone, sono perfettiuomini di pagliaper la suavisio-nedi sinistradelmondocosì co-m’erano stati per quella di de-stra. Fra cancellazioni e riscrit-ture, si ripetono gli stessi sche-mi. Hergé non ha mai negato ilsuo spostamentoda destra a si-nistra, ma quando ne parlavatendeva a «correggerlo », pre-sentandolo piuttosto come unafugadallapoliticaversoun’ideo-logiadell’amicizia. [...]Hergé si «corresse» da de-

stra a sinistra, e «corresse» ilcontrasto stesso fra destra e si-nistra in un contrasto fra politi-ca e amicizia. Ma se allarghia-mo un po’ il quadro, vedremoche queste sono solo correzioniparziali nell’ambito della strut-tura generale di un contrastopiù ampio: quello fra sacro e

profano.[...] Il sacro e il politicosono legati insieme fin dall’ini-zio. In tutta l’operadiHergé i fe-nomenipolitici sono intrisi di at-tributi sacri. [...]Lo scetticismo che dilaga in

Tintin nel paese dei Soviet ne èun buon esempio. [...] «I sovieti-ci prendono in giro quei pove-retti che credono ancora nel“Paradiso Rosso”» dice Tintin,usando concetti sacri come lafede e il paradiso, «svuotando-li» al tempo stesso di significa-to: il «paradiso» è falso, la fedemalriposta. Anche in Tintin inAmerica [...] il sacro è presenta-to come una truffa: «Mi lasciconvertirla alla religione neo-ebreo-buddoislamo-americana,i cui dividendi sono i più alti inthe world» dice un attivista aTintin, agitandoun volantino dipropaganda. [...] Dal fascismosacro all’amicizia sacra, fino auna versione vuota e profana dientrambi: questa è la via trac-ciatadaHergéattraverso il ven-tesimo secolo che si rispecchianelleavventurediTintin.

Gay, ancoraa quel punto?Caro signor Fruttero, il suicidio di quelragazzo dell'istituto Sommeiller mi ha nonsolo addolorato, ma mi ha anche sconvoltanelle mie idee. Io credevo che la difficoltà diessere gay fosse ormai praticamentesuperata. Invece c'è stato quel suicidio epoi il vostro giornale ha pubblicato quellequattro testimonianze di vittime delpregiudizioantigay. Possibile che dopotanto parlare siamo ancora a quel punto lì? Irene Martinengo, Ovada

Gentile signora,condivido il suoorro-reperquel suicidioe tuttaviasullemoti-vazionihoqualchedubbio.E'moltopro-babileche i compagni - efferatecarogne- lo abbiano tormentatocon sibilanti ac-cuse di omosessualità. Ma un ricordopersonale, molto lontano e ahimè sem-premolto vivido,mi costringe a confes-sare che anch'io sono stato un'efferatacarogna.Avevododici anni, abitavo sul-la riva destra del Po, ognimattina scen-devoverso il ponte, attraversavopiazzaVittorio, e entravo senza entusiasmonelginnasio-liceoVincenzoGioberti.Al-tri due ragazzini abitavano nello stessoquartiere e capitava spesso che facessi-molastrada insieme,ancheal ritorno.

Uno di loro, che chiameremo Guido,camminava un giorno molto davanti ame. Il terzo mi raggiunse a metà dellapiazza. Cosa successe? Cosa ci prese?Non lo so,nonricordo, fu forse la sugge-stionedei romanzipolizieschiche legge-vamo, forse il capriccio di unmomento,forse una sorta di gioco sperimentale.Guido andava tranquillo davanti a noi,avremmo potuto raggiungerlo, dargliunavoce. Invece, io e l'altracarognaral-lentammo.Avevamodecisodi «pedinar-lo».Eraunbambinocometanti, uncom-pagnodi scuola,nonavevamonullacon-tro di lui, non era il primo della classe,noneradi pellenera, la parolagaynem-menoesisteva.Eppuredaquelgiorno lo

lasciammo andar solo, con noi due die-tro i pilastri dei portici a tenerlo d'oc-chio. Perfino quando passava per la ra-pida visita in chiesa, l'Annunziata, lo se-guivamonascondendocidietro i confes-sionali. Il giocoduròunmese, forsedue,poi smettemmopernoia.Guidosi accor-secertamentedeinostri stupidimaneg-gi, certamente ne soffrì, dovette chie-dersi perché lo trattavamo in quel mo-do. Non ne parlammo mai tra di noi equesta è anzi la prima volta in assolutoche racconto la storia. Sembra poca co-sa, comebullismo.Ma io neprovo anco-ra una bruciante, irrimediabile vergo-gna. Se dopo settant'anni mi fa ancoraquest'effettovorràpurdirequalcosa.

L’editore Urbano Cairo

Segue da pag. I

Forse Urbano Caironon la finirà prestocon i suoiproblemical-cistici, potrà inveceraccogliere frutti dal-

la svolta data alla sezione libridel suo arcipelago editoriale.Alla Cairo editore, nata un an-no fa, è arrivata la nuova «di-rettora» Benedetta Centovalli,giovane con curriculum di tut-to rispetto:da responsabileedi-toriale prima degli economiciBompiani e Sonzogno poi dellanarrativa italiana Rizzoli sinoalla direzione della piccola esquisita Alet. Su di lei puntamolto naturalmente GiuseppeFerrauto, direttore generaledella «Cairo libri e periodici»che conta di sfornare una cin-quantinadi titoli l’anno tranar-rativa, saggistica, varia e ma-nuali.Fortedei successi inizialiidentificabili nei romanzi stori-ci di Christian Jacq e di TimWillocks; nei memoir di Fran-cescoOngaro e, soprattutto, diDelfina Ratazzi con Say Good-bay; nella narrativa dell’israe-lianaRinaFrank (e orasi atten-dono i giudizi suMarcoCassar-do, torinese appena sbarcatoin libreriaconVaa finire che ne-vica); nel viaggioNellamentede-gli animali di Danilo Mainardipiùvolte ristampato,nelmonu-mentale Libro nero della donnaa cura della giornalista france-seChristineOckrent.

CENTOVALLI, CHE FARÀ?Subito la cura delle prossimeuscitegiàprogrammate.Ovve-ro: il secondo romanzo dellaFrank; il giallo dell’ingleseMattBeynonRees IlmaestrodiBetlemme, «caso» in Israele;Sottouna stella neradellamarti-nicanaMichelleMaillet che vie-

ne dai bestsellers francesi. At-tenzione particolare alla «veri-tà»di FrancescaMambroeVale-rio Fioravanti sulla strage di Bo-logna che i due ex terroristi han-no raccontato in Storia nera algiornalista di Liberazione An-drea Colombo.Ma già prima del2008Centovalli ci darà le sue ve-re «prove», legate soprattutto,per un’italianista quale lei è, allaricerca e scoperta di talenti no-strani. Dovendo vincere nellanon facile impresa di trovareun’identità precisa, per ora nonperfettamente a fuoco, alla«sua»nuovaeditrice.

LEGGERE LIBRI... OH NOMa parlarne, sì. Il «paradosso»diPierreBayardchesta facendola fortuna di Gallimard, è di cer-to il più gettonato di questa pri-mavera. Quanto meno lo è il suotitolo, per evidente coerenza: inCommes parler des livres que l’onn’a pas lus? Bayard ce ne spiegala tecnica, anzi le svariate tecni-che utilissime anche se non faci-li, corredando le sue 160ultracol-te paginedi tutti i risvolti della si-tuazione. Pagine che hanno su-scitato un ameno e altrettantodottoarticolo«alla rovescia»sul-l’ultimo supplemento letterariodel Monde, ovvero «Commentparle des livres que l’on a lus?»dove oltre a ipotizzare un futuronon solo «bayardiano» anche«borgesiano», come prevedibile,si presumecheoltre a non legge-re più «completamente», nessu-no leggeràpiù«direttamente».

AGLI ITALIANI PIACERÀ...Tutto questo sembra, forse piùche altrove, calzare a pennellodentro la «filosofia» italica, gra-zie alla quale e non da ieri, appli-cando una sottospecie dell’arte

d’arrangiarsi, talvolta anche let-tori cosiddetti «forti» dicono di«leggere in modo personale especiale» («una pagina ogni cin-que» confessò a suo tempo unraffinato uomo politico). Confer-ma che potremo avere tra poco,quando Come parlare di un librosenza averlo mai letto arriverànella nostra lingua, 5˚ titolo del-l’Excelsior1881, l’editricemilane-secheappenanataha fatto il bot-to, partendo con due inediti, diMarinetti e di Flaubert, prose-guendo con i taccuini di Bul-gakov, sempre oggettodi vistoseanteprimegiornalistiche,adessocon il pamphlet di AlainFinkielkraut L’ingratitudine. Eche,dopo il «cult»diBayard,pro-porrà narrativa contemporaneacon i racconti di Giorgio Conte(«il fratello» forse non meno fa-moso); storie di artisti: Kiki deMontparnasse, Van Gogh, RenéClair, ZubinMetha; sino a un al-tro «ritrovato»: Il Criticone, volu-me II, di Baltasar Gracian. Gui-data da FedericoGaravaglia conBignotti e Negri, le due fedelissi-me di Vanni Scheiwiller, consu-lente un Piero Gelli in gran for-ma, la Excelsior dimostra comesi possa disegnare, in pochi trat-ti, un percorso editoriale esem-plare.Cheduri...

RIZZOLI-PARRELLAScrive Stefano Magagnoli, re-sponsabile narrativa di viaMecenate: «SuTtl del 24marzoleggo che Rizzoli avrebbe offer-to 300.000 euro a Valeria Par-rella per il suo prossimo libro.Io ammiro la Parrella ma300.000 euro è una cifra chenon ha nulla a che fare con la re-altà». Legittimo chiarimentoche d’altronde questa rubricaavevagià ipotizzato.

Tintin di corsa fra destra e sinistrap

MIRELLAAPPIOTTI

Agenda TuttolibriSABATO 14 APRILE 2007

LA STAMPAII

PROSSIMAMENTE

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - III - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/03 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.21

“FRANZ, SMETTILADIESSEREFELICENELL’INFELICITÀ”

BRUNOVENTAVOLI

Perché siano rimasti così legatiper ventidue anni resta un mistero. Mada quando si conobbero nel 1902, parlan-do di Schopenhauer, Franz Kafka e MaxBrod non si abbandonarono più. Si so-stennero vicendevolmente, si aprirono ilcuore, e soprattutto si scrissero forsenna-ti. Quella mole immensa di lettere esceora raccolta in volume, traduzione diMarco Rispoli e Luca Zenobi, per l'edito-re Neri Pozza. Oltre 400 pagine di mes-saggi vergati ovunque, cartoline illustra-te, pezzi di carta, fogli intestati delleAssi-curazioniGenerali (doveKafka lavorava)o delle Poste (dove invece lavoravaBrod).I conoscitori del grande scrittore pra-

ghese ritroveranno testi e atmosfere giànoti, ma per la prima volta potranno leg-gere insieme le lettere di Brod (a partiredal '17) così come sono uscite nell'edizio-ne critica tedescadel 1989.Kafka, figlio di due agiati commer-

cianti, aveva le orecchie a sventola, losguardo profondo, i polmoni pronti adcorrompersi, il mondo lo spaventava edell'ebraismoamava solo le storie chassi-diche. Brod era nato in una casa borghe-sedimusicofilimolto colti.Da piccolo erastato anche lui tormentato dai malanni edai disturbi mentali della mamma, maaveva reagito con forza.Non voleva corri-spondere a quell'immagine dell'ebreomalaticcio, cavallo di battaglia degli anti-semiti, e s'era fatto un pugnace alfieredel sionismo. Con i suoi occhialetti tondi,lo sguardo forte, affrontava la vita energi-co, scriveva, mieteva successi in politica,amava le donne. Insomma non c'eranodue persone all'apparenza più distantitra loro («Tuhai successo... io ho fallito intutto» scriveva Franz) eppure, visceral-mentevicine.Nella loro lunga amicizia si scrivono

di tutto, quasi mai, stranamente, dei

grandi eventi funesti della storia intorno aloro. Parlano di cibo, di libri, persino di so-gni notturni. Kafka tiene conferenze sui ri-schi assicurativi, cerca di liberarsi dal pa-dre ingombrante che gli rimprovera il falli-mento esistenziale, confessa incubi racca-priccianti e comici («Giaccio disteso sul pa-vimento e vengo fatto a fette come un arro-sto, e spingo con lamano una di queste fet-te a un cane»). Parla della malattia che locorrodenel corso degli anni, le cure, i sana-tori, i tubercolotici che sputano pezzi dipolmone, i chili che acquista o perde, sem-pre lucido sulla sua disperata fragilità, ep-pure sempre, in fondo, ironico e lieve.Molto è dedicato all'amore.Kafka è ter-

rorizzato dalle donne, l'idea che qualcunasi avvicini per dargli il primo bacio lo riem-pie d'orrore. Ogni tanto anche lui cede agli

ormoni, con una cameriera molto libera ocon prostitute (e in poche righe scolpiscepoi l'immenso squallore), mai trova la feli-cità con le pazienti fidanzate.Brod, invece, è spavaldo con l'altro ses-

so, si sposa, ma non smette di cercare av-venture erotiche. Si butta tra le braccia diintellettuali e serve, persino di una biondatedesca visceralmente antisemita, nonchépronta a donarsi all'ebreo che le prometteaiutoper la carrieradi attrice (la sindromedi Vallettopoli serpeggiava anche nellaGermaniaprotonazista).La letteratura è sempre il centro delle

loro vite. Kafka prova a scrivere, di nasco-sto, di notte, chiede giudizi in unmisto di ti-midezza e di estremonarcisismo. E' consa-pevole di essere uno scrittore, ma è restioverso il pubblico. In una lettera del 1914

protesta addirittura con «quel» Musil chegli chiede storie per la rivista che redige:«Che vuole? Che può volere lui e qualcunoin genere, da me? E che può avere dame?». Quando non riesce a scrivere, quan-do le parole e le frasi si sbriciolano nellasua mente, annaspa nella malinconia.Brod, invece passa da un successo all'al-tro. E cerca di strappare Kafka al silenzio,trasmettendogli un po' della sua forza vita-le, dicendo che le sue pagine sono belle,hanno riscosso ammirazione, finché nonperde le staffe e lo rimproveradi crogiolar-si, di «essere felicenell'infelicità».Il 3 giugno 1924 Kafka muore di tuber-

colosi. L'ultima cartolina che manda è del20maggio, dal sanatorio diKierling, vicinoa Vienna, per scusarsi di aver miseramen-te rovinato la visita tormentato dalla feb-bre. Fino all'estremo respiro, tra un'inie-zione di piramidone e l'altra, corregge lebozzedel suo libretto, dimostrandodi esse-re, nonostante le apparenze, un attento edesigente autore.All'amico raccomandape-rò di bruciare ogni rigo, così come ha chie-sto di far cremare il proprio corpo.Broddi-subbidisce, non solo consegna alle stampeIl processo, Il castello e nel 1937 scrive la ce-lebre biografia di Kafka, ma non si separadalle amate carte nemmeno nel momentopiù tragico della sua esistenza. Nel 1939,quando è costretto a fuggire da Praga perl'arrivo dei nazisti, stipa tutti i fogli in unavaligia e se li porta inPalestina.Kafka, il timido frustrato solitario, che

occultava le sue parole, è diventato uno deigrandi autori della letteratura mondiale,grazie a una trasgressione.Brod, l'uomodisuccesso, sarebbe oggi dimenticato se ilsuo nome non fosse rimasto impigliato almito dell'amico da lui stesso devotamenteedificato. Sembra un paradosso ma, forse,è il senso più profondodi quel legame inde-cifrabile. E Kafka, che di processi assurdise ne intendeva, nell'al di là se la ride bef-fardo tra i colpi di tosse che continuano ascuoterlo.

Lettere Il carteggio fra Kafka eMax Brod, così amici,così diversi: parlano di cibo, di libri, di sogni, di amore

FIDANZATEIMPOSSIBILIPER ITREK.

LUIGIFORTE

Il filosofo Nietzscheconsigliava di non dimentica-re la frusta quando si va dauna donna. Non era un per-vertito, piuttosto una vitti-ma. Sognò il «superuomo»,ma si lasciò inutilmente ab-bindolareda una femme fatalecome Lou Salomé, che lo ten-ne, come recita il titolo di unbel libro di Marco Vozza, Adebita distanza. A Rilke eraandata meglio durante il suoviaggio inRussia con l’affasci-nanteLou. Poesia e letteratu-ra a quei tempi facevanobreccia anche nei cuori piùemancipati. Certo molto di-pendeva dai soggetti. BertBrecht, per esempio, col suotratto cinico e spudorato, fuun seduttore per tutta la vita.Ebbe mogli e amanti, in Ger-mania e in esilio, nel capitali-smo come nel socialismo.Donne che collaboravano,raccoglievanomateriali, scri-vevano per lui. Un vero teamdove vita e arte erano in pe-renne amplesso e non in irre-solubile tensione comenei ca-si analizzati daVozza, il cui li-bro ha un esplicito sottotito-lo: «Kierkegaard, Kafka,Kleist e le loro fidanzate».Chi pensa a un saggio di ti-

po storico-biografico è fuoristrada. Qui tutto è rielabora-to in chiave filosofica, filtratoattraverso le opere, alla lucedi esistenze in cui pensiero escrittura sono imperativi as-soluti, ontologici. C’è un filosottile che lega, in modo di-verso, i tre autori: l’esilio dal-la vita come condizione dellacreatività. Non è un caso cheKafka riconosca nel filosofodanese un consanguineo e visi rispecchi, o senta una pro-fonda affinità con Kleist e nesostenga la scelta radicaledel suicidio in compagnia diHenrietteVogel, dopo aver la-sciato la giovanissima fidan-zataWilhelmine.Anche Kierkegaard, tem-

peramento malinconico, ico-na del moderno soggetto se-gregato e frammentato, teo-rizza il carattere intransitivoe nichilistico dell'eros. Dopopoco più di un anno rompe ilfidanzamento con la giovanis-sima Regine Olsen: il veroamore non deve conoscerel’appropriazione.La sua com-pagna adolescente la pensadiversamente e infatti qual-

che anno dopo convola felice-mente a nozze. Sören, afflittodal senso di colpa, traduce ipropri dilemmi in verità filoso-fiche. Il pensiero aggredisce lavita e sulla scena del filosofocompare la figura di Don Gio-vanni: un alter-ego la cui sedu-zione passa attraverso la sferaestetica. A quel tempo la di-mensione etica gli appare pro-saica e stemperata in rituali so-ciali. L’amore è cosa diversadal matrimonio, che Kafka neiDiari vede come una forma dimartirio. Frequenta strade se-condarie - ricorda una citazio-ne da Aut-aut - «dove ci si ad-dentra nel profondo della bo-scaglia». L’amore è il campodel possibile, il tempo del con-giuntivo, suggerisce il filosofo.Ma in Kafka ogni rapporto

è vissuto patologicamente. I fi-danzamenti con Felice Bauer,la latente seduzione di GreteBloch o JulieWohryzek, la pas-sione verso la giornalistaMile-na Jesenska, il legame finalecon la figura calda e protettivadi Dora Diamant sono tappeverso una solitudine annichi-lente in cui sola può scaturirela parola letteraria.«Qualsiasi vincolo chenon è

creato da me stesso - scriveKafka a Felice nel 1916 -,foss’anche contro parti delmioio, è senza valore, m’impediscedi avanzare, lo odio e sonomol-to vicino a detestarlo». Dun-que distanza da ogni turba-mento della vita prosciugatadalla scrittura, ossessione ver-so fisicità e sessualità, zone

oscure e degradate dell’io. Te-mi su cui la critica si è abbon-dantemente soffermata.Nono-stante ciò, il saggio di Vozza re-gala, in una scrittura densa edempatica, ghiotte suggestioni:anche grazie alla sua forma dipastiche filosofico-letterariocon divagazioni su eros, perdi-ta dell’esperienza, avventuratraOtto eNovecento.Ci scapita un po’Kleist, rele-

gato in appendice, ma troneg-gia Kafka, com’era inevitabile.Sul quale l’editrice Elèutherapubblica un breve saggio diMi-chael Löwy, noto già in Italiaper alcuni libri sulla culturaebraica: Kafka sognatore ribel-le. Vi leggiamocose in parte no-te da tempo, ma resta interes-sante la prospettiva di fondo:la dimensione sovversiva e li-bertaria dello scrittore praghe-se. Proprio lui, diventato, comedisse George Steiner, «un ag-gettivo» che si applica alle «co-stanti di disumanità e di assur-dità dei nostri tempi».Una sorta di luogo comune

contro le aberrazioni della mo-dernità, che, rivisitato a dove-re, induce a riflettere senza esi-tazione su dominio e violenzaonnipresentinei rapporti socia-li. Un uomo che si è estraniatodalla vita per sognarla inmododiverso: come un’utopia liber-taria chenon invecchiamai.

Kierkegaard, Kafka, Kleist L’esiliodalla vita, condizione della creatività

pp Marco Vozzap A DEBITA DISTANZA

DIABASIS, pp. 181, !16p Michael Löwyp KAFKA SOGNATORE E RIBELLEp ELÈUTHERA, pp. 134, !13

IL LIBRO

MAX BROD - FRANZ KAFKAUn altro scrivereLettere 1904-1924Traduzione e introduzionedi Marco Rispoli e Luca ZenobiNERI POZZA, pp.447, !40

Ecco una lettera di Kafka aBrod, scritta a Praga nelsettembre 1908:«Mio caro Max - sono le 12 e 30di notte, dunque un'ora insolitaper scrivere lettere anchequando la notte è così caldacome oggi. Nemmeno le falenesi avvicinano alla luce.Dopo gli 8 giorni felici nellaselva boema - le farfalle lìvolano alte come le rondini danoi - ora sono da 4 giorni aPraga e così inerme. Nessunomi può soffrire e io non possosoffrire nessuno, ma la secondacosa è solo la conseguenzadella prima; soltanto il tuo libro,che ora finalmente stoleggendo difilato, mi fa bene.Così profondamente infelice,senza una motivazione, non loero da tempo. Finché lo leggomi ci aggrappo, anche se nonvuole affatto essere d'aiutoagli infelici; altrimenti devocercare qualcuno che mi tocchianche soltanto con dolcezza, edè una necessità così pressanteche ieri sono stato in hotel conuna prostituta. E’ troppovecchia per essere ancoramelanconica, solo le dispiace,seppure non la meraviglia, chenon si sia così gentili con leprostitute come lo si è in unarelazione. Non l'ho consolata,poiché nemmeno lei haconsolato me».

FranzKafka inun ritrattodiPaoloGarretto,1969

Si conobbero nel 1902, parlandodi Schopenhauer, nonsi abbandonarono più: si scrivonodi tutto, quasi mai dei grandieventi funesti della storia

Un saggio di Vozzadove tutto è rielaboratoin chiave filosofica,pensiero e scritturaquali imperativi assoluti

Il classico TuttolibriSABATO 14 APRILE 2007

LA STAMPA III

R W TS

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - IV - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.21

Giorgio Bertone,a proposito dienfatizzazionedi emozioni e digiudizi sulle co-

se, notava in un suo artico-lo giornalistico l'attualeuso abnorme del «troppobello», l'inflazione dei tan-ti «enormemente», «assolu-tamente» («è un libro asso-lutamente strepitoso»),«estremo» («è un oggettodi estremo interesse»): unospreco insomma di enfasi edi esagerazione.Sarebbe bene cogliere unsuo suggerimento e prova-re a fare la storia del super-lativo italiano, dalla «Gen-tilissima» che per Danteera la sua donna, nobile inassoluto, Beatrice, Lei e so-lo lei, al «cattivissimo» perMachiavelli che doveva es-sere il Principe, sciolto daogni morale. Poi, col Sei-cento, si attacca con le ceri-monie degli «eminentissi-mo» e simili, che finisconocol suonare a un certo pun-to addirittura ironici. E sifinisce con l'oggi, quando,a forza di strafare e stradi-re, «velocissimo» risulta ineffetti più lento, più deboledi «veloce».Forse aveva ragione Giu-seppe Pontiggia quandosottolineava l'odierno uso«drogato» delle parole, unuso ipereccitato, «apprensi-vo», che si riflette anchesulla contemporanea fortu-na massmediatica di tantiaggettivi e avverbi («incre-dibile», «pazzesco», «favo-loso», «mitico», «galatti-co», «da brivido», «spetta-coloso», «fantastico»). Inproposito si vada a vederela vivacità dell'iperbolenell'attuale linguaggio deigiovani, in alcuni poverissi-mo, al limite dell'afasia, inaltri divaricato «alla fol-lia» («mi diverto alla fol-lia»), sino alle iperboli «daurlo», «da panico», «da pa-ura», «da delirio», tutto è«magico», «mitico», «allu-cinante», «pazzesco». «Bel-lo», «magnifico» sembranotroppo grigi.

PAROLEIN CORSO

GIAN LUIGIBECCARIA

SE BELLOE’ TROPPO

GRIGIO

pp Alberto Garlinip TUTTO IL MONDO

HAVOGLIA DI BALLAREp MONDADORI, pp. 342, !17,50

pp Ferruccio Parazzolip QUANTO SO DI ANNAp MONDADORI, pp. 299, !17,50

pp Silvana Grassop PAZZA È LA LUNAp EINAUDIp pp. 213, !17,50p RACCONTI

LIBERITUTTIFINISCONOISOGNI

BRUNOQUARANTA

Anime e angeli così.Come Ninofocu: che accende-va un fiammifero dopo l’altro,dando fondoa unaprivata, fol-tissima santabarbara, per of-frire una bussola alla luna nelbuio, quando le nuvole basseesiliavanoil cielo.Con Pazza è la luna ritorna

al racconto Silvana Grasso,fra le voci straordinarie (fuoridell’ordinario)della nostra let-teratura. Un mannello di rac-conti ne segnò l’esordio, folgo-rante, correva il 1993, Le neb-

biedi ddraunàra (tempestamari-na, la ddraunàra), un arazzo lin-guistico, la lingua che «crea» icaratteri e i loro destini, la lin-guachevesteechesquarcia.Professoressa di greco, in-

cardinata nei «caratteri» classi-ci, da Teofrasto a Eroda, narra-tivamenteèamodosuo«attica»e «asiana»,ossia essenzialee so-lenne, algida e passionale. Népiù né meno (nata a Macchia diGiarre, vive a Gela) una donnasiciliana. Quale la ritrasse Vita-lianoBrancati: «InSicilia, la vitaintima fa a meno delle parole(...). Le donne, poi, specialmentequelle che covano grandi affettie passioni, son capaci di morirelasciando la persona che hannoamato (...) col ricordo di pochimonosillabi. Al contrario delledonne del nord, che riempionola casa del loro infinito chiac-chierio...».Fedelissima al suo sgraziato

museo, Silvana Grasso in Pazzaè la luna ulteriormente attingenella natura matrigna. La mo-struosità che, come la bellezza,turba, non offende, è il suo ves-sillo (come lo è di una scrittriceper misteriose corrispondenzea lei affine, la torinese Elisabet-taChicco).Dellamostruosità, fi-sica e interiore, una rabdoman-te meticolosa, efferata. Fattabrillare attraverso una prosamai vacua (non v’è ombra di

«chiacchierio»), che ha il respi-ro, la forza, l’impeto di una«ddraunàra», vocabolo qui offi-ciato due volte («... Nino con lostupore di chi, già vecchio, sco-pre ilMare, il suo liquore ‘queto,le sue ddraunàre, le sue bonac-ce»; «Queipiedi concui s’erada-to alla levatrice in una notte diddraunàra...»).E’ unaddraunàra, è una tem-

pestadi suoni, la paginadiSilva-na Grasso. Nella fucina di Gela,a risplendereè un sillabario fuo-ri del tempo, senza tempo, miti-co, durocome il ferro, castigato-re e purificatore come il fuoco,nonché profumatissimo. Ecco:ciò che resta di questa o quellamiserabilità, di questo o di quel-l’oltraggio, di questo o quel ca-priccio (di natura, ovviamente)è l’odore. Come insegna Ansel-ma, la maga del liquore alla za-gara: «... il fiore di zagara v’ac-cutturava tale da cancellarneogni sembiantedel fioremedesi-mo. Dopo qualche settimana,della stipadelle zagarenellabot-tiglia a collo lungo, tipica da ro-solio, non c’era traccia se nonnell’odore».Dieci vite stimmate pulsano

fra specchiereedirupi, fra salot-ti canforati enuovi cinemapara-diso, fra cannarozzi col sugo egambe di legno, fra candelore estucchi pitturati in oro zecchi-no, fra ovali in maiolica e ciliegiche «pinnuliàvano come capez-zoli di femmina». Silvana Gras-so è una «spia d’agonie»: eccel-sa di Angiolina, la cappellaiacon la manina di ferro; quindidel novelloLigabue, ilmadonna-ro a cui davano la caccia «archi-tetti diCittà, antropologi, repor-ter di riviste americane»; diAgatina, la signorina gabbata,accasciandosi come «una pupadi zuccherosquagliata»;diNeri-na, l’amatissimo fantasma del

custodedi cariatepellicole -BenHur, Maciste, Cleopatra reginad’Egitto; di Borina Serrafalco,collezionistadi tombemaritali...Nonè, la letteratura,una cat-

tedradimorale,nédeveesserlo.Di fronte aPazza è la lunanon cisi confonda. Piuttosto si meditisu un giudizio di GianfrancoContini che sollecitò lagratitudi-ne di Carlo Emilio Gadda (Gad-da tra i numidi SilvanaGrasso):«Son grotesque est un reflet dela grande injustice». Dell’ingiu-stizia, la voce sontuosa eppurescabradi Gela, non è la vendica-trice,ma l’ostinata testimone, fi-no all’ultimo rictus, all’estremoghigno.

Garlini «RicordandoTondelliil mondo ha voglia di ballare»

LORENZOMONDO

Ferruccio Parazzoliha scritto un singolare roman-zo, che findal titolo,Quanto so diAnna, denunciaunaconoscenzaimperfettadel personaggiocen-trale. La carenza riguarda l’ionarrante, persuaso che «è il bu-io la matrice di ogni storia. Dal-l’oscurità la nascita, nell’oscuri-tà lamorte».Masembraprolun-garsi sullo scrittore e alla finesullo stesso lettore, che non satuttavia sottrarsi al fascino diAnna.Questagiovanedonnastavivendo una crisi esistenziale,dopo quindici anni si è separatadalmarito, unmaturo professo-re di filosofia che, con tutte lesue brillanti disquisizioni sul-l’Eros, non ha saputo darle unapienezzadiaffetti.E’ allora che incontra l’ano-

nimo narratore, destinato a di-ventare suo confidente e testi-mone. Consulente editoriale escrittoremancato, l’uomosi ap-paga viziosamente delle storieofferte con dovizia dalla realtà.Salvo fornire per una volta unsuocontributoquando,duranteun concerto, rammenta ad An-na la funzionegaleotta esercita-ta da un brano di Brahms, lostesso utilizzato come colonnasonoradaLouisMalleper il filmLesamants. E’ unmodellodi tra-sgressione che la donna acco-glie con freddadeterminazione,comeunasfidanei confrontidel-

le convenzioni borghesi e di unainsoddisfazionevitale.Il romanzodiParazzolisimuo-

ve in un reticolodi citazioni e allu-sionicolte - tracinemafilosofia let-teratura- allequali fannoda ironi-cocontrappesole rappresentazio-nidi ambientieditorialichenutro-no improbabili capolavori e pre-tenziosi bestsellers. Anna è appe-nasfioratadaquestomondogrot-tesco, così come l’impavida ricer-ca di un senso della vita non si ap-paga del girotondo scombinato dimariti, figli, amanti in cui si trovacoinvolta. La sua vicenda vieneraccolta a strappi, reticenze e la-cune dal confidente, che funge daspecchio di una simile per quantocompiaciutaimpotenza.Resta il fatto che l’irrequieta

Anna si imbatte nel diario di EttyHillesum, la scrittrice ebreamor-taadAuschwitz.Trova in lei alcu-neanalogiecon i propri sentimen-ti, il desiderio squassantee delusodi un erotismo che coinvolga cor-po e anima.Anche se rilutta per ilmomento all’estremo dialogo diEtty, intenso e compensativo, conil divino.Nell’ultimoappuntamen-to con l’uomo chemette insieme iframmenti della sua storia, Annalascia tuttavia intuire in modoconfusounapossibilesvolta:«Nul-lamipuòpiù ferire.Nonpotreida-re a nessuno la specie d’amoreche io vorrei. Voglio guarire dallavergogna di non trovare mai ciòche cerco, di continuare a deside-rarequalcosachenontrovo».Sapremo poi che, diventata

inopinatamenteinfermieravolon-taria, ha accompagnato un’amicainunvillaggiodelCongo.Eduran-te una scorreria di ribelli control’ospedale, una delle due è statauccisa, crocifissa, l’altra è scom-parsa nel nulla. Anna, sembra dicapire, ha deciso di inabissarsi inuna superiore forma di amore.Persuasachenellesoleparolenonc’èsalvezza,cheanche lepiùnobi-li non valgano un gesto di umanacondivisione. E’ come un lampoche ci invita a rileggere la sua vi-cenda. Come se l’autore lasciassea noi il compitodi ricomporre - datante pagine complesse e capzio-se- lasuaenigmaticafigura.

FATELUCEALLALUNADISICILIA

SERGIOPENT

La vita quotidiana èfatta di poesia e di dolore. Neiromanzi sempre particolari evariegati di Alberto Garlini, aprevalere è soprattutto la poe-sia del dolore. I passaggi esi-stenziali sono misurati su ge-sti minimi, sulla connotazionespesso disattesa dei sentimen-ti, sulla casualità dei percorsiumani che attraversano la Sto-ria senza rendersi conto di in-ciderne lamemoria. Lamisuraunica e a suo modo esemplaredi Garlini risiede proprio, cre-diamo, in questa innata capaci-tà di evocare il tempo colletti-vo attraverso la raffigurazioneappartata di destini anonimi,che la grandezza o le disgraziedi quel tempo le hanno comun-que sfiorate, subite. Il prece-dente romanzo,Fùtbol bailado,raggiungeva vette di perfezio-ne strutturale e stilistica chemeriterebbero una rivisitazio-ne, alla luce del percorso diGarlini, che anche nel suo lavo-

ro più recente, Tutto il mondo havoglia di ballare, tenta con sicu-rezza di districarsi nei meandridelle esistenze insondabili, diraccontare la storia del nostrorecente passato senza riempirela pagina di citazioni pescate adhoc dalla cronaca,ma limitando-si a sussurrare i ricordi con leg-gerezza, recuperandoli in un ele-gante,malinconicodisincanto.Se nel romanzo precedente

era la figura di Pasolini a percor-rere la vicenda privata in vestedi nume tutelare, qui troviamoinveceTondelli, il lungo, sgrazia-to e ormaimitico Pier che carat-terizza tuttora con la sua operain presa diretta l'edonismo inco-lore e infruttuoso degli Anni Ot-tanta, quelli in cui si svolge il ro-manzo. Che non vuole assoluta-mente essere una biografia diTondelli,maun percorsodi espe-rienzeminime in cui anche il gio-vane scrittore di Correggio tro-va una sua collocazione ideale enon sempre agevole. Garlini ri-percorre innanzitutto quegli an-ni vacui e fintamentebenestanti,

anni in cui «l'intero mondo si èespanso ed è diventato enormein chilometri e piccolissimo inesperienza».Tutto il mondo ha voglia di bal-

lare alla velocità di una musicafrenetica, e se Tondelli tagliacondisincanto i suoi effimeri tra-guardi fino alla cruda accettazio-ne della fine prematura, i treamici Roberto, Riccardo e Chia-ra hanno creduto davvero di te-nerle in pugno, quelle stagioniche li hanno visti crescere e ac-cumulare esperienze, delusioni,astratti furori che sembranopre-annunciare la vacuità del decen-nio successivo, la fine dei sogni.

Tutto il mondo ha voglia di bal-lare è anche questo, un romanzosulla fine dei sogni di una genera-zione che ha scoperto la libertàtotale, la possibilità di muoversisenza andare da nessuna parte,l'incertezza di un futuro che co-mincia a mettere i paletti allepossibilità di cambiare il corsodelle cose. Tra le nebbie di Par-ma nasce, cresce e si spegnel'amicizia tra il fragile Roberto,figlio di un famoso giornalista, eil più intraprendente Riccardo,che gli rimarrà sempreamicoan-che se non sarà presente al suopasso d'addio. Dall'infanzia all'adolescenza, le scelte dei due ra-gazzi contrassegnano la legge-rezza incolore degli Anni Ottan-ta, e quando la figura di Chiaraarriverà tra loro due, sarà comeun sogno in più da condividere,anche se Chiara appartiene aRiccardo, anche seChiara rimar-rà paralizzata in un incidentecausato da Roberto. Non sonogli eventi quotidiani a separare itre compagni, ma l'indifferenzasuperficiale del loro tempo, che

rallenta le intenzioni, le annullaal ritmo martellante di una co-lonna sonora che fa impazzire ilcontestosociale.Tra incontri ed esperienze,

perdite e rimpianti, il percorsodell'amicizia e dell'amore è l'uni-co a conservare un significatopreciso, diretto. Mentre il mon-do si scatena in una danza estre-ma, finale, catartica, la vita rita-glia come sempre i piccoli desti-ni e con essi il profilo preciso del-la Storia. E il passo lungo di Pierattraversa con nobile fatica queldecennio, lasciandosi morirecon lui, in una specie di estremosaluto alle illusioni, che dopo diallora davvero smisero di esiste-re, non appena qualcuno annun-ciò che lamusica era finita.Il romanzo diGarlini ci conse-

gna il rapporto informale su que-gli anni, ed è come un saluto ne-cessario per prendere coscienzadel disimpegno etico, ma anchesentimentale, a cui poi ci siamoadeguati per abitudine, senzapiù troppa voglia di ballare sulmondo.

UNADONNATRABRAHMSEAUSCHWITZ

Silvana Grasso In dieci raccontiil ritratto di una «pazza» terra

«Scicli 1990»:una fotografiadi GiuseppeLeonetrattadal volume«Il matrimonioin Sicilia»edito daEnzo Sellerio

Una «spia d’agonie»:dalla cappellaiacon la manina di ferroal nuovo Ligabue,alla zitella gabbata

Parazzoli «Quanto so di Anna»,una sfida alle convenzioni borghesi

Narrativa italiana TuttolibriSABATO 14 APRILE 2007

LA STAMPAIV

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - V - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/05 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.21

Kiran Desai «Eredi della sconfitta»,il mito dell’autonomia a fineOttocento

INNEPALC’E’UNGIUDICECONLACIPRIA

MASOLINOD’AMICO

Può darsi un romanzo in cui anessun personaggio venga concessaalcuna possibilità di essere altro cheperdente, e dal quale non si esca tutta-via con una sensazione di depressio-ne? Nel passato remoto la pittura èstata capace di rappresentare dei de-relitti rimanendo gradevole, ma com-piacersidi questo tipodi pittorescoap-pare oggi un po’ increscioso. In tempipiù vicini a noi forse viene inmente so-loGuttuso, chemettevanei suoi pesca-tori o contadini sfruttati un’energiavi-talistica e dei colori così vivaci, da atti-rarci a contemplare con una sorta difascinazione l’ingiustiziadi cui costoroerano vittime e che altrimenti avrem-mo forsepreferito ignorare.Kiran Desai, ineccepibile vincitrice

delManBookerPrize2006, èunastra-ordinariaevocatricedipaesaggi, atmo-sfere,odori, sensazioni,psicologieuma-ne, e sfoggiauna talemaestriaeuna ta-lepersonalitàdarenderenotevoleognipagina del suo libro Eredi della sconfit-ta. Eppure, lontana dalla commisera-zione come dal sarcasmo, non scendeal minimo compromesso con la vicen-dache racconta, vicendadovenon solotuttihanno inqualchemisura torto - os-sia sbagliano in qualche decisione fon-damentale della loro esistenza - ma,peggio ancora, dove niente e nessunosembra in gradonon solo dimigliorare

lecose,maanchesolodi capirle.L’anno è il 1986, il luogo, l’estremo

Nord del subcontinente, un angolettodel Nepal accanto al Tibet e sovrasta-to dalle montagne dell’Himalaya. Inquesta terra di confine esplode unadelle tante violente e scervellate insur-rezioni delle varie etnie indianecolmi-todell’autonomia. Infiammatida agita-tori, i giovani sciamano per le stradegridando di volersi chiamare d’ora inavanti Gorkha (non più Gurkha secon-do la grafia degli ex dominatori ingle-si) e parlare solo la lingua locale (peral-tro identica al nepalese, a sua voltasnobbatodal restodellanazione).

ADOLESCENTI ARMATINella prima scena un gruppo di questiadolescenti armati e pericolosi piom-ba nella villa di un anzianomagistratoin pensione per prendersi i fucili dacaccia che costui tieneappesi sul cami-no, con l’occasione trafugando cibariee defecando dappertutto tranne chenel water. L’anziano magistrato sichiama Jemubhai Patel ed è un giudi-ce in pensione, vedovo, che vive conunanipote sedicenneeun vecchio cuo-co poverissimo; sapienti flashes back ciragguaglianosulpassatodi tutti e tre.Ilmagistratoera figliodi gentemol-

to modesta che a suo tempo si svenòper farlo studiare ed entrare nell’am-ministrazionebritannica.Niente affat-to dotato, egli riuscì a ottenere l’am-

missione a Cambridge solo grazie allacorruzione di vari funzionari, e in In-ghilterra compì faticosamente la suaistruzione inghiottendo umiliazionicontinue. Tornò tuttavia da trionfato-re, sentendosi inglese e applicandosila cipria sul viso per schiarirsi la pelle,ed ebbe una nomina in provincia. Macol passare degli anni si trovò semprepiù isolato, disprezzato dai britanniche non lo avevano mai accettato co-me un loro pari, e odiato dai suoi com-patrioti; e sfogò la frustrazione mal-trattando la moglie che i parenti gliavevano procurato, fino addirittura ascacciarlacon la figlia ingrembo.Questa figlia cresciuta lontano da

lui sposò un pilota di aerei, candidatoper un volo spaziale sovietico ai tempidell’amiciziatra IndiaeRussia,mapoiperì colmarito, aMosca, in un inciden-te stradale. La loro figlia Sai fu primaaffidata a delle monache che la tiraro-no su all’inglese facendone così una

spostata, quindi al nonno, che, puravendo i propri affetti monopolizzatidalla cagnaMutt, accettò di tenerselanella casa ormai fatiscente dove si eraritirato. Qui per mandare avantil’istruzione di Sai fu ingaggiato unostudente poco più anziano di lei, unbravo ragazzo di origini umilissimeche ben presto se ne innamorò ricam-biato. Sennonché questoGyan, travol-to dai suoi coetanei rivoluzionari, co-minciòpoi a sciacquarsi laboccacoi lo-ro sloganequindi a disprezzare l’incol-pevolmente anglicizzante Sai, che sul-leprimenoncapiva...Quantoal terzopersonaggio, il cuo-

co (innominato fino alla fine), questiha un figlio, Biju, che è riuscito a coro-nare il sogno di tutti i miserabili arri-vando come clandestino a New York.Qui però, malgrado avesse davantil’esempio di qualche suo simile più di-sinvolto e fortunato come l’amicoSaid, indiano diZanzibar conquistato-re di una green card mediante nozzecon la figlia di certi hippies in ritardo,ha scopertodi essere condannatoa re-stare nel fango, e dopo una serie di la-vori degradanti prende la decisione,scoraggiata da tutti, di tornare al suoPaese. Lo faproprionelmomentopeg-giore, e come accoglienza viene spo-gliato di tutti i suoi patetici risparmi...Questo conclude la vicenda del cuoco;a sua volta il giudice viene orbato del-l’adoratacagna, né lo strappo traSai elo stupido, orgoglioso Gyan sembraavere lepremesseper ricucirsi.

LE MAGICHE VETTETutto finisce male, insomma, come dimale in peggio vanno le cose in queiluoghi peraltro incantati, con le magi-chevetteall’orizzonte -manifestazionidi piazza degenerano in massacri in-controllabili, i precari servizi cessanodel tutto dopo che i bambini guerrierihanno incendiato le centrali elettrichee sabotato gli acquedotti. Eppure inquesto brulichio impazzito e anarchi-co le persone continuano ad arrabat-tarsi; solo il futuro dirà se il caos, chein questomomento sembra prevalere,si placherà o se invece riuscirà, comesembra tristemente probabile, a con-tagiareanche il restodelpianeta.

KIRAN DESAIEredi della sconfittatraduzione di Giuseppina OnetoADELPHIpp.392, !19.50

IL LIBRO

Unafotografia trattada«RosaeNepal»di AlessandroOrsi (IdeaEditrice,2005)

Il caso TuttolibriSABATO 14 APRILE 2007

LA STAMPA V

NEWTON COMPTON EDITORI

W W W . N E W T O N C O M P T O N . C O M

«Il profumo della neve [...] è un libro lirico e sognante, metafo-ra di un volo quasi sciamanico (fuga? nostalgia? trasgressione?)che porta a un rovesciamento fantastico, a una favola inquietae misteriosa.»

Renato Minore, Il Messaggero

«Con questo ironico, dolce-amaro Profumo della neve [...] FrancoMatteucci [...] è pronto a entrare nell’agone dello Strega.»

L’Espresso

«Una storia onirica e delicata, raccontata con uno stile tenue,sottile, lirico, dove l’eccesso di un bianco talmente vasto dadare alla testa, da ispirare voglie e imprudenze, è trattenuto inuna scrittura pacata e lieve.»

Corriere della Sera

NUOVA NARRATIVA n. 77 (128 pp.). ! 9,90

Prog

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srl

Franco MatteucciIl profumo della neve

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - VI - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.21

pp Dag Solstadp TENTATIVO DI DESCRIVERE

L'IMPENETRABILEp Trad. di Massimo Ciaravolo

e Maria Valeria d'Avinop IPERBOREA, pp. 212, !14

pp Li Angp LA MOGLIE DEL MACELLAIOp trad. di Anna Maria Paoluzzip PISANIp pp. 188; !14p ROMANZO

ANGELOZ. GATTI

«Non sono cinese, iosono taiwanese» dice con or-goglio la scrittrice Li Ang ri-vendicando la propria identi-tà nazionale. Nata a Lugangnel 1952, si laurea in filosofia emilita a favore dei diritti delledonne. Nel 1975 è negli StatiUniti, consegue un master indrammaturgia all’Universitàdell’Oregon. Oggi insegnapresso il DipartimentodiTea-trodell’UniversitàdiTaipei.Nel 1983 pubblica La mo-

glie del macellaio, un romanzo

duro e spietato, un coraggiosoatto d’accusacontro la tradizio-ne confuciana che vuole la don-namoglie emadrevirtuosa e ir-reprensibile e contro i tabù ses-suali. Il libro, che ha come temail tragico intreccio tra cibo, ses-so e violenza, crea scandalo: ilettori reagiscono con volgaritàe insulti e, all’università, l’autri-ce rischia il licenziamento.Il romanzo, ora tradotto da

Anna Maria Paoluzzi per l’Edi-trice Pisani, si ispira a un fattorealmenteaccadutonellaShan-ghai degli Anni Trenta, ma LiAng lo ambienta a Lucheng, unpiccolo villaggio di pescatori,dove povertà e fame sono ende-miche. Si apre con un articolodi cronaca: la ventenne Lin Shiha ucciso il marito quaranten-ne, un macellaio che lavoravanelmattatoio,unprofessionistanello sgozzare i maiali, ne hasmembrato il corpo in otto par-ti e ha cercato di occultarlo.Scoperta e processata, è statacondannataalla fucilazione.In un’atmosfera cupa, tra

espressionistici chiaroscuri econ uno stile crudo, serrato, es-senziale, vengono raccontati gliantefatti. A nove anni Lin Shi èrimastaorfanadi padre, a tredi-ci ha trovato la madre mentresi dava, per fame, a un soldatodi passaggio e pertanto è statabandita dal clan familiare. Lo

zio, che si è impossessato degliscarsi beni rimasti, l’ha accoltain casa, ma la tratta come unaschiava.Avent’anni è obbligataa sposare Chen Jiangshui, untarchiato e grossolanomacella-iodai piccoli occhi suini.E’ stata fortunataLinShi, di-

cono le vicine: ha unmarito chele assicura il cibo e non deverendere conto a nessuno. In re-altàperLinShi la vitamatrimo-niale è un inferno: il marito l’habrutalizzata findalla primanot-te di nozze. Accanito giocatored’azzardo e assiduo frequenta-tore del locale bordello, è spes-soubriacoegli abusi sonoquoti-diani. Ogni rapporto è uno stu-pro. Le urla di terrore dellamo-glie eccitanoChenJiangshui co-me i grugniti disperati deimaia-li da abbattere al mattatoio,mentre le vicine le scambianoper gemiti di piacere e ne spar-lano. A ogni minima contrarie-tà e ai vani tentativi di ribellio-ne sono ingiurie, percosse e se-vizie che lasciano Lin Shi dolo-rante e inebetita, in un crescen-do di inumano sadismo, fino al-

l’efferato finale. Intorno ci sonoi pettegolezzidelle comari, le su-perstizioni, le credenze in spet-tri e fantasmi, le cerimonie ri-tuali con i sacrifici per laReden-zionedeiMorti.E’ di un rosso vivo la coperti-

na dell’edizione italiana, perchéè il rosso il colore predominan-te: rosso l’abito da sposa dellamadre tra le braccia del solda-to, rosso il sangue che trasudadalle carni non cotte da offriresull’altare ai morti, rosso il san-gue che fuoriesce dalle colonnenegli incubi di Lin Shi, rosso ilsangue dei maiali macellati.Sangue rosso a fiumi. Un ro-manzoper stomaci forti.

ANGELABIANCHINI

L'autoredel libroQuan-do finirà la guerra apre così ilsuo racconto: «La mia nascitaanticipa di un mese meno ungiorno quella della RepubblicaSpagnola, eletta e proclamatain piena primavera. Con que-sto non voglio tanto mettere inrisalto il fatto di essere venutoal mondo nella stagione piùpromettente del ciclo annuale,quanto di essere stato in certamisura compartecipe di un av-venimento sociale, politico eculturale che ha lasciato un se-gno indelebile su coloro che lohanno vissuto, grandi, piccoli oanziani, all'interno di quel ter-ritorio quasi quadrato che sichiamaSpagna».Pochi inizi risultano così

chiari e fulminanti e riflettonoaltrettanto bene la personalitàdell'autore: si tratta di Enriquede Rivas, che ha appena com-piuto settantasei anni, figlio diCipriano de Rivas Cherif, intel-lettuale politico e direttore tea-

trale particolarmente legato aGarcía Lorca, ma anche nipotedi Manuel Azaña, ultimo presi-dente della Repubblica Spa-gnola, morto in esilio in Fran-cia nel 1940. Dal 1967 de Rivasvive stabilmente a Roma.Quasi tutta l'infanzia e tutta

l'adolescenza, fino a sedici an-ni, l'ha vissuta però, fuori dallaSpagna, in gran parte inMessi-co, e questo, proprio per le cir-costanze della sua vita e dellasua famiglia. E vorrei dire cheil senso del libro sta nel titolostesso Quando finirà la guerra:frase piena di speranza e trepi-dazione, che ha accompagnatobuona parte dell'esistenza dide Rivas.Ma di che guerra si tratta?

Della Guerra Civile spagnola,ovviamente, oppure della Se-conda Guerra Mondiale che fi-nì nel 1945, ma non portò consé la fine del regime franchista,durato, come è noto, ben oltrela disfatta del nazismo?Quando finirà la guerra, così

come i termini repubblicano

oppure fascista, i colori dellabandiera repubblicana e altriancora accompagneranno l'esi-stenza della famiglia de Rivascome quella di altre famiglie dirifugiati, trasformati poi, attra-verso gli anni, in «esuli». Unacondizione che è esistita ancheper gli italiani e di cui l'unicatestimonianza, come scrisseFurio Colombo, paragonabileall'esperienza di de Rivas èquella di Aldo Rosselli, figlio diNello, nella Famiglia Rossellidel 1983.

VILLEGGIATURE BORGHESIIl libro di de Rivas è fatto, perforza di cose, di personaggi marappresenta soprattutto la me-moria contraddittoria e doloro-sa di come si scivoli facilmentedalla normalità all'anormalità,dalla compagnia di altri due fra-telli e una sorellina, dalle villeg-giature borghesi tradizionalidella Sierra de Guadarrama al-le partenze inspiegabili che so-no in realtà fughe e portano pri-ma a Ginevra, poi in Francia,

poi di nuovo in Spagna, poi dinuovo nel Sud della Francia oc-cupata e della Francia tempora-neamente libera fino all'imbar-co a Marsiglia e attraverso laMartinica al rifugio quasi stabi-le delMessico.Siamo soltanto nel 1941 e già

tutto è successo: non soltanto èmorto il grande zio, ManuelAzaña, ma in Francia, doveavrebbe dovuto trovarsi al sicu-ro è stato prelevato dai franchi-sti anche il padre. Di lui si igno-rerà per anni la sorte: prima losi sa in galera, poi fucilato, poiforse libero, ma trattenuto inSpagna e infine, alla chiusuradel libro, ricompare, quasi per-sonaggio sconosciuto per i figli,inMessico.De Rivas ha ormai sedici an-

ni e tenta invano di recuperareil tempo, e con il tempo, l'imma-gine del padre. Questo accadrà,recuperando, come in effetti ac-cade in questo libro straziante estraordinario, una dimora,«una patria, infine, dove sussi-stere appieno».

MARTAMORAZZONI

Dag Solstad, autoretra i più noti oggi in Norvegia,arriva per la prima volta inItalia conTentativo di descrive-re l’impenetrabile, rigoroso ra-gionamento intorno alla socie-tà norvegese sviluppato inmo-do esemplarenel quadrodi unromanzo.L’avvio si giova di una leg-

gerezza goliardica: si ritrova-no due compagni di scuola se-parati da anni e destini diver-si, un architetto e uno scritto-re, per riunirsi nella condizio-ne di io narrante e soggettonarrato. Come Borges o Una-muno di Nebbia? In realtà ilpercorso va altrove, si incana-la in un nervoso racconto in-torno al sogno socialdemocra-tico norvegese e relativa scon-fitta, che lo scrittore desumedalle parole del vecchio com-pagno, un architetto di famaalle prese con una giovane fa-miglia piccolo borghese, chevive sulla linea di confine tranon ricco e non povero: la gen-te più insoddisfatta perché almargine di tutto e sempre inaffanno, nevrotica e preda fa-cile della comunicazione dimassa.Marito, moglie e bambino

occupano un decoroso appar-

tamento a Romsås, città satelli-te a Nord di Oslo, un luogo incui la qualità della vita si volevagarantita da spazi vivibili, conuna socialità favorita da strut-ture condivise, nel verde e al-l’aria aperta: il sogno di non soquanti architetti del ventesimosecolo, su cui è finito per cadereil maglio del profitto, che ridi-

mensiona il progetto e fa dellacittà ideale una periferia che in-vecchia troppopresto. Sono i vi-cini di AG, architetto impegna-to in politica e nel lavoro, auto-re a suo tempo del progetto del-la città ideale, inquadrato, lui sì,nell’alta borghesia da cui deci-de di fuggire per cercare la veri-tà delle sue convinzioni sociali-ste tra gente che crede più au-tentica. Ed eccolo, dopo aver la-sciato lamoglie e la casa in cen-tro a Oslo, in un appartamentoaRomsås.Qui Solstad inventa un per-

corso che sfiora, accarezza ilgiallo,ma dichiara di non voler-si compromettere con il gene-

re, e ci riesce, pur servendoce-ne tutti gli ingredienti: sviluppacon tinte spente e però efficacila storia di una tragedia cui l’au-tore dà un argine, perché non èla vera ragione del racconto,piuttosto un episodio che, comeuno spostamentod’aria,modifi-ca l’assetto delle cose ma conscarso rumore.Per abitudine di lettori cor-

riamo verso il fatto che conclu-de a rigore di logica la storia,per accorgerci poi chenon sta lìil fine di questo strano roman-zo. Sono piuttosto i caratteriqui rappresentati, il taglio e l’in-cisione di fisionomie colte dallastrada emesse a fuoco con luci-dità, i nodi della narrazione: unuomo comune, arrabbiato conla vita e col lavoro, che si caricadi aggressività guardando allasera film americani in cassetta,mentre la sua giovane e avve-nente moglie fa sogni da roto-calco.Incuneatosi tra loro in cerca

di amicizia, il solo a pensare intermini di realtà, di emozioni di-rette e vissute è il quarantennearchitetto che si trova poco apoco sedotto dalle forme dellabella Ilva, di cui pure riconosceil limite di cervello e di cuore.Potrebbeessere la storia del so-lito tentato triangolo,ma l’ango-lo visuale dello scrittore è piùampio e, per certi versi, più de-luso, quindi si sposta e mette afuoco l’esito di una società di va-lori corrosi, in cui chi si arrabat-ta ancora alla ricerca di un co-mune sentire politico che diven-ti un messaggio sociale ha per-so, e si arrende prima o poi alladisillusione in cui i meno avver-titi, i non poveri e non ricchi, vi-vono.Si compone il quadro di una

Norvegia lontana dal sognoscandinavo che noi mediterra-nei sogniamo. I luoghi noti dellacapitale, tra cui il sussiegosoCafé du Théâtre, vi fanno unapiccola comparsa per lasciareposto alla Romsås dallo scorag-giante anonimato: è solo il 1983,la globalizzazione e conseguen-te isolamentomediatico potreb-bero essere ancora lontani, mail tarlo di una solitudine impove-rita di valori ha già rosicchiatotantodell’animanorvegese.Amaro, sulla scia del duro

insegnamento che Stangerup,più o meno nello stesso tempo,ha lasciato col romanzo L’uo-mo che volle essere colpevole, ac-centua tale sapore nella grotte-sca cornice dei tre urli benscanditi che l’autore e io nar-rante caccia in risposta ad af-fermazioni del suo personag-gio e amico. Tre urli munchia-ni? Forse, o forse è pure sugge-stione di luoghi e solitudini,che colpiscono il lettore e con-giungono due passi diversi del-l’arte scandinava.

pp Enrique de Rivasp QUANDO FINIRÀ LA GUERRAp traduzione di Lia Ognop Ed. IRRADIAZIONI, pp. 219, ! 16

Enrique de Rivas è nato nel 1931a Madrid. Con la guerra civile, nel1936, inizia il suo esilio tra Sviz-zera, Francia, Messico, dove emi-grò nel 1941. Dal 1967 vive a Ro-ma. La sua ultima opera, «Epifa-nias romanas», è stata pubblica-ta nel 2006 dall’Instituto Cer-vantes.

Dag Solstad

De Rivas In esilio, aspettandoil padre catturato dai franchisti

IL SOGNOANORDDIOSLO

Li Ang «Lamoglie del macellaio»:cibo, sesso, violenza, crudo intreccio

Un macellaioè la vittimadesignatanel romanzo,di Ang Li,un attod’accusacontrola tradizioneconfucianache vuolela donna mitee succube

ASHANGHAILADONNAFASCANDALO

Tutto comincia quandouna ventenne uccideil marito dagli occhisuini, professionistanello sgozzare i maiali

DOPOLAGUERRAALLARICERCADIUNAPATRIA

Dag Solstad Un rigoroso ritrattodella Norvegia in forma di romanzo

La sconfitta della viasocialdemocratica:una famiglia piccoloborghese tranon ricco e non povero

Narrativa straniera TuttolibriSABATO 14 APRILE 2007

LA STAMPAVI

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - VII - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/07 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.21

BLOC NOTES

Vita d’artista Ungenio immensoe fragile, a tre anni dalla scomparsa

MAESTROKLEIBERCHEEDIPO

SANDROCAPPELLETTO

Non sono passati nep-pure tre anni dalla morte diCarlos Kleiber, il 13 luglio2004, e il vuoto non si colma.Non soltanto per la perditadell’artista, genio immenso efragile, ma per il modo unicoin cui ha abitato la musica edha esercitato il proprio me-stiere, da cui suo padre Erichaveva tentatodi tenerlo lonta-no. Di qualsiasi grande diret-tore, accanto agli elogi, ai su-perlativi, vive sempre una zo-na d’ombra dove trovano spa-zio le critiche, tecniche, cultu-rali, caratteriali: di lui, no. Dilui tutti dicono soltanto bene.Anche i giornalisti, verso iquali era sadico: «Io non pos-so scegliere le interviste dimio gradimento e rifiutare lealtre (cosa che faccio sem-pre). Perciò dicodi no a tutti».Una soltanto ne ha concessa,a Ettore Mo del Corriere dellaSera. Due le domande consen-tite, altrettante le ovvietà del-le risposte.Nel tempo dell’offerta infi-

nita, praticava l’arte della sot-trazione. Tutti i musicisti dirangohanno agenti, lui tratta-va i compensi e i contratti dasolo, con meticolosità da chi-mico, la professione alternati-va che avevaprovato a eserci-tare ventenne a Zurigo, dovela famiglia era ritornata dopola fine della guerra: Carlosavevacinque anni quando, nel1935, il padre decise di fuggiredal nazismo, scegliendo l’Ar-gentina. Quando inizia a diri-gere, si fa chiamare per qual-che tempo Karl Keller, persfuggire all’ombra lunghissi-ma di Erich. Lo stratagemmadura poco. Ricorda GiulioFranzetti, primo violino dellaScala: «Una volta Carlos miha raccontato: “Mio padre midiceva: ma come farai conquel braccio?Non riuscirai”…E’ credibile che tra loro ci sia-no stati rapporti difficili. Car-los aveva sempre avuto que-sto incubo».Se tutti i comples-

si d’Edipo portassero a tali esi-ti, guaianonaverne!Al padre, rimane un prima-

to che il figlio non ha neppuretentato di inseguire: aver tenu-to a battesimo, a Berlino nel1925, ilWozzeck di Alban Berg,intuendo il capolavoro che sta-va nascendo e pretendendoogni cura per ottenere il mi-glior risultato. Questa attenzio-ne alla creatività del propriotempo, Carlos non l’hamai sen-tita, praticata. Il confine era Ri-chard Strauss, la nostalgia del-la danza, del lieto inganno, dellacommedia mozartiana in tem-po borghese raccontata nel Ca-valiere della rosa. Queste le suecolonned’Ercole.Ec’eraancheun limitequan-

titativo: per non consumare gliautori prediletti, per sottrarsialla routine dei concerti e delletournéee ribadire la singolaritàdel gestoartistico,contro la suaiterazione infinita, oppure perincapacità di controllare unostressnon inferiorealla gioia,disopportare troppo a lungo unruolodi comando, impositivo?Ogni volta che lo si vedeva

dirigere, era questo senso di fa-ticosa, ma raggiunta felicitàche trasmetteva. Aveva impa-ratoa nonabusarne, eppure tal-volta le situazioni gli sfuggiva-nodimano.ComeadAmburgo,nel 1973, quando era previstal’incisione del concerto Impera-tore di Beethoven con Benedet-

ti Michelangeli. Saltò tutto, giàalla prima prova, e le versionisu quella mattinata pirotecnicasi sprecano, ma conoscendo idue protagonisti, sarebbe statostupefacente il contrario.Comea Milano, nel 1987 - la sua ulti-ma volta alla Scala - quandopretese e ottenne la sostituzio-ne di Renato Bruson, interpre-te di Jago nell’Otello di Verdi,dopo una litigata che dal pianodei camerini debordò fin quasiin platea. Dietro l’angelo, dun-

que si affilavano gli artigli di undemone.Di questi episodi il libro di

Balestrazzi (decisamente trop-po caro di prezzo!) è generoso.Tende a limitare il suo orizzon-te al Kleiber italiano, ma all’in-terno di questa scelta la rico-struzione cronachistica è docu-mentata, al punto da costituireil testo più informato apparsonellanostra lingua.Il passo della narrazione è

giornalistico e la tensione nar-rativavienemantenuta.Manca-no la discografia e l’indice deinomi, la bibliografia non è com-pleta, ma se lo scopo era quellodi tenere viva la memoria diquesta eccezione alla regola, èraggiunto. Ascoltare Kleiber (ei suoi dischi non sono poi cosìesigui) fa benissimo; ma ancheragionare di lui, interrogarsisulle questioni che ha lasciatoaperte, tenere vivi i dubbi, le in-quietudini, contro il narcisismoche è la malattia infantile - espesso anche senile - dello chef,come i francesi, perfidi e preci-si, hanno deciso di chiamare ildirettored’orchestra.

GILLO DORFLES

Sul filodella memoria= Verso il secolo. Gillo Dorfles,pittore, critico d’arte, tra ifondatori del Mac, professore diEstetica, ripercorre la sua lungaparabola intellettuale e non (ènato a Trieste nel 1910) in«Lacerti della memoria» (EditriceCompositori, www.compositori.it,pp. 213, !15, con lacollaborazione di AldoColonnetti). Dalla natale Triestealla guerra, da Saba a «Aut-Aut»,all’America Latina degli AnniSettanta. Il volume inaugura lacollana «Quadrifogli», coordinatada Annalisa Lubich.Prossimamente usciranno«Fricassea critica» di Dante Isela,«La bottega d’arte a Firenze» diAntonio Paolucci e un saggio sulladanza di Vittoria Ottolenghi.

PERUGIA

FantasioFestival= Laboratori, giochi, incontri,spettacoli, concorsi letterari... Dal19 al 22 aprile, a Perugia,«Fantasio Festival», un omaggioalla creatività di bambini eragazzi. La rassegna è un’idea diMoony Witcher, scrittricefantasy, artefice di una fortunatasaga che ha come protagonistaNina, la bambina della Sesta luna.Alcuni tra i maggiori autori delsettore saranno a Perugia. ComeLoredana Frescura («Elogio allabruttezza», Fanucci), PaolaZannoner («A piedi nudi, a cuoreaperto», Fanucci), FrancescoD’Adamo («Storia di Ouiah cheera un leopardo», Fabbri),Domenica Luciani, EmanuelaNava, Giusi Quarenghi, GiovanniDel Ponte.

ANDREA ZANZOTTO

Il 25 Apriledi un poeta= «L’idea che la vita non siache un, come dire, tentativo senzafine di superare un traumasconosciuto, è solo un“pensierino” affiorante tra altri indiscontinuità». Si intitola «Eternariabilitazione da un trauma di cuis’ignora la natura» laconversazione in due atti conl’ottantacinquenne poeta AndreaZanzotto a cura di Laura Barile eGinevra Bompiani (Nottetempo,pp. 93, !8). Di interrogazione ininterrogazione. Con tre poesieinedite. Poesia civile «Altri 25aprile»: «La stoltezza che circolasi palpa / come un vento / i vecchipartigiani si perdono coi loroAlzheimer / i vecchi ex-internati /nei loro post-ictus / tutto è perso/ o sotto malocchio...».

pp Mauro Balestrazzip CARLOS KLEIBER,

ANGELO O DEMONE?p L'EPOSp pp. 364, !28,80

p Per approfondire la conoscen-za di Kleiber si può consultarein internet il sito: www.thrsw.com/kleiber.html (pagina com-pilata da Toru Hirasawa, densadi informazioni biografiche ediscografiche)

OTTO-NOVECENTO

Le scrittricipiemontesi= Da Carolina Invernizio aAlessandra Montrucchio, via viaincontrando figure quali SibillaAleramo, Natalia Ginzburg, AdaGobetti e Marina Jarre, BarbaraAllason e Luciana Frassati, laMarchesa Colombi e VirginiaGalante Garrone. Giovanna Cannìe Elisa Merlo hanno compostol’Atlante delle scrittricipiemontesi, tra Ottocento eNovecento (Edizioni Seb 27,www.seb27.it, pp. 274, !14).Prologo di Laura Pariani,anch’essa scrittrice. Con una notadi Alba Andreini, che ha curato ilrecente Meridiano Mondadoridedicato a Carlo Cassola. Di ognivoce, una breve biografia, leopere principali, la bibliografiacritica essenziale.

FIORI E GIARDINIPAOLO

PEJRONE

IL FICODINDIAVICINO DI CASA

Storia, cronaca e carattere degli alberi da frutto:un paesaggio familiare, bellissimo e generoso,

una galleria di amici ritratti con arguzia da Giuseppe Barbera

CarlosKleiber,genioecarriera«all’ombra»delpadreErich

Adifferenza del padremai sentì né praticòla creatività del suotempo: il confine eraRichard Strauss

Il personaggio TuttolibriSABATO 14 APRILE 2007

LA STAMPA VII

La arguta ed intelligen-te sicilianitàdi Giusep-pe Barbera, quandoparla del carrubo, pro-rompe gradevole ed

impetuosa... Il fico, l'albicoc-co, il ficodindia, l'arancio, il no-ce, il nespolo, il melograno, ilmandarino, il mandorlo, il li-mone, il ciliegio, l'ulivo, il susi-no e il pesco, piante da fruttodel Mediterraneo (e non sol-tanto loro), hanno nel suo Tut-ti Frutti (Mondadori, pp. 202,!9,40) la loro storia, cronacae carattere. E' storia antica edattuale, storia di dimestichez-za e di amore forti, sinceri e as-soluti. Per Giuseppe Barberagli alberi sono amici, famiglia-ri e vicini.Di carattere.Per chi vive in Sicilia il fico-

dindia non ha nulla di esotico,fa parte del quotidiano e delsuo familiare paesaggio. E'un po' come il carrubo, il man-dorlo e gli agrumi: piante bel-lissime e soprattutto genero-se. Equazione, quest'ultimadi non facile ed usuale eviden-za. La bellezza può essere ge-nerosa?

IL CALDO FEROCEGli alberi da frutto un po' mi-steriosi del nostro profondoSud sono sempre così belli!Tartassati, spesso, dal caldoferoce dell'estate e con l'aiuto,spesso, di un efficiente ed in-telligente innaffiamento, pro-duconomolto e, per l'appunto,in modo generoso ed abbon-dante.Gli alberi da frutto, proprio

per la loro utile ed efficientepresenza sono affascinanti e«vissuti», come certi visi solca-ti da rughe, come le vecchiescarpe o come i divani un po'sfondati, dove ognimolla stan-ca e scassatadà segni evidentidi vita lavorata, guadagnata evissuta. L'uso nobilita, l'età inmoltissimi casi arricchisce,non rende soltanto, secondo lepopolari e superficiali culture«moderne», fragili, deboli estanchi ed inutili .Tutto questo lo sanno bene

i poveri e vecchi olivi che vengo-no trapiantati con grossolana in-coscienza e arrogante leggerez-za nei posti più impensati e stra-ni. I loro tronchi ruvidi e pieni distoria attraggonoe affascinano:perché sottrarli alla coltura?Perché strapparli dai campi?Sonopur sempre degli esseri vi-venti: devono i loro destini biz-zarri, strani e tristi ai capriccidi una bizzarra strana e tristemoda e (purtroppo) alla lorosemplice, facile e generosa adat-tabilità. Sarà sempre così peri-coloso esser troppo gentili ema-gnanimi?

GENTILI E GENEROSEGiovanni Barbera degli alberinon è uno dei, tanti, ormai im-preparati ed entusiasti «nuoviamici», non è per nulla amico«improvvisato» delle piante,chemute, gentili e generose cer-cano di vivere tranquille vicinoa noi: non chiedononulla, soltan-to protezione. E' pura utopiapensare i giardini come felici so-pravviventi e sopravvissuti a vi-sitatori maleducati, incoscientie alle folle!La natura ed i suoi grandi al-

beri: robinie, more selvatiche,ortiche e gramigne è una natu-ra robusta, forte, quasi blinda-ta, non va confusa con i giardini.I giardini, i frutteti, gli orti sonoentità artificiali e, anche se volu-ti rustici e robusti, hanno neces-sità di aiuti e di cure.Gli alberi da frutto, nella lo-

ro antica (e in certi casi più re-cente) vita con l'uomo si sonocomportati da sempre con ge-nerosa simpatia.Migliorati dall'uomo stesso, nel corso dei seco-li e dei millenni sono, comemol-te verdure dell'orto, specialiesempi dell'umana intelligenza:la selezione paziente ed assiduaha portato alla ribalta delle no-stre mense frutti più grandi,più buoni, più resistenti. L'uo-mo, nel corso dei secoli, non hasoltanto rovinato: ha anche fat-to delle cose buone ed intelli-genti! L'ambiente non è statosoltanto sfruttato, depredato,ferito ed ucciso.

“La Stampa” rende omaggioal grande scrittore, a vent’annidalla morte. Tra scienza, natura,personaggi e storie fantasticheun’occasione unica per scopriree riscoprire lo straordinarionarratore, l’osservatore ironico,a tratti scherzoso e allegro,divertito e divertente.

«Sono un uomo normale di buona memoriache è incappato in un vortice, che ne è uscitopiù per fortuna che per virtù»

PRIMO LEVI

in edicola con La Stampaa 6,90 ! in più

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - VIII - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.21

pp Ralf Dahrendorfp ERASMIANIp Trad. di Michele Sampaolop Laterza, pp. 244, !15

Nell'estate del 1963,all'indomanidel pro-cesso Eichmann ede La banalità delmale, con tutti gli

strascichi polemici che questolibro destò fra un continente el'altro, Hannah Arendt e Ger-shom Scholem si scambiaronodue lettere.Questo viaggioepi-stolare attraverso Mediterra-neo e OceanoAtlantico, da Ge-rusalemmea NewYork e vice-versa, esempla mirabilmentela distanza, non solo geografi-ca, fra un luogo e l'altro. Framodi di pensare ed esperienzediverse. Fra scelte di vita - op-poste sì,ma forse solo all'appa-renza.Pubblicato in un minuscolo

volume da Nottetempo (pp.39,!3, sulla base di una tradu-zione anonima comparsa inFine secolo il 28 settembre1985), questo carteggio è unaformidabile sintesi dei dilem-mi e delle questioni inevitabil-mente aperte che l'ebraismocontemporaneo (e non solo

quello), si trova ad affrontare.Questedue lettereeranousci-

te già nel 1978 in un volume fran-cese che raccoglievacriticamen-te alcuni saggi diGershomScho-lem su Fidelité et utopie. Essaissur le judaismecontemporain (Cal-mannLevy). In effetti è lo studio-so di mistica, «salito» in terrad'Israele dalla Germania in tem-popernonessere inghiottitodal-lo sterminio, a contestare adHannahArendtunavisione spie-tata della storia ebraica, così co-meemergedalla suacronacadelprocesso Eichmann. Fra l'altro,è interessante notare come difronte all'ideatore della soluzio-ne finale, incarnato in un uomodall'aria meschina e innocua,Arendt si pronunci a favore diun'inevitabileesecuzionecapita-le mentre Scholem invochi unasortadi grazia intesacomeunat-to di pietà conforme alla naturaeticadell'ebraismo.Ma la cosa strabiliante, in que-

ste poche pagine, non è tanto ladistanza nei punti di vista fraquesti due grandi pensatori - an-

zi costruttori dell'ebraismo con-temporaneo. Il fatto è che pro-prio le loro divergenze ci narra-no il tessuto più profondo, com-plesso ma non incoerente, dell'ebraismo. Entrambi lo esprimo-no. Anzi, esprimono proprio i di-versi e compositi «collanti» chehanno tenuto insieme, per secoliemillenni, l'identitàd'Israele.Lafede incrollabile e il bisogno co-stante di quell'incertezza che sifa continua interrogazione: delmondo e di se stessi. L'esercizioinstancabile della parola ma an-che la capacità di sospendere laparola, la dove non resta che di-re il silenzio. Lo spirito critico fi-no allo spasimo, ma anche la re-sadi fronteall'ingiudicabile.Scholem esclama: come si

può criticare chi era dentro laShoah in quelmomento?Arendtreplica: io c'ero.Omeglio era co-me se ci fossi perché io «sono» ilpopoloebraico.Anche gli estremi di questa

sofferta discussione s'incontra-no. Fra queste pagine Arendt cioffre una sintesi perfetta di ciò

che intende per banalità del ma-le: «Il mio parere è che il malenonsiamai “radicale”,che sia so-lo estremo, e che non possiedané profondità né dimensione de-moniaca. Esso può invadere tut-to e devastare il mondo interoprecisamente perché si propagacome un fungo. Esso “sfida ilpensiero”. E' qui la sua“banalità”. Solo il bene ha pro-fonditàepuòessereradicale».In modo quasi speculare a

questa interpretazionedelmale,Scholem rivendica un concettodifficile da definire e tuttaviaben concreto, che noi chiamia-mo Ahavat Israel, «l'amore delpopolo ebraico», e rimproveraArendt di ignorare questo senti-mento. Lei risponde di non pote-re amarese stessa: l'appartenen-za negherebbe, secondo lei, lapossibilità stessa di «amare» ilproprio popolo. Con ciò, chiamaimplicitamente in causa quelprincipio di condivisione del de-stino che è in fondo alla radicestessa di questo approccio senti-mentaleall'identità.

pp Herbert Marcusep MARXISMO E NUOVA SINISTRAp Traduzione di Luca Scafogliop manifestolibri, pp. 365, !35

LELIODEMICHELIS

No-global, no-Tav,no-base di Vicenza. Il movi-mento per la pace. In Fran-cia, la rivolta dei giovani con-tro il contratto di primo im-piego. E altro ancora. Sono imovimenti, quella parte di so-cietà che si muove fuori daglischemi, che protesta, che pro-pone e chiede di avere voce.Di fare democraziadal basso,nella convinzione che la de-mocrazia non possa ridursialla semplice delega espressacol voto. E poi, la cosiddetta«sinistra radicale».Movimenti plurali, aperti;

e partiti che condividonomol-te di queste tematiche.Un ar-

cipelago composito, mobile.Sfuggente. Movimenti «con-tro», oppure anche «per» qual-cosa di diverso dai valori cor-renti? E sonomovimenti ugua-li, simili o diversi dal vecchioSessantotto (per tacere delSettantasette)?In realtà, accanto ad alcune

analogie, questi movimenti so-no anche assai diversi dai loro«antenati» di neanche mezzosecolo fa. Sono «soggetti» tra-sversali e non di classe (madrie nonni contro la base di Vicen-za, sinistra e cattolici per la pa-ce, etero e omo per i Dico).Hanno Internet e fanno lega-me in modi nuovi. Sembranopuntare a una diversa gerar-chia di valori piuttosto che auna rivoluzione impossibile.Non hanno un'ideologiamarxi-sta (a parte alcuni) e si muovo-no soprattutto a difesa della vi-ta (la pace, l'ambiente, i diritti,la riduzione delle disuguaglian-ze). Non hanno un'organizza-zione rigidama flessibile, aper-ta, che fa rete e che nonha capiné strutture rigide. Ripudianola violenza. Ripartono dal bas-so e sono orizzontali. Ciò cheinvece appare uguale al passa-to - si sostiene - è la rispostadel potere (politico, economi-co, religioso), che fatica adascoltare, che teme imovimen-ti e l'autonomiadella società.Ma se il Sessantotto ha falli-

to, possono essere vincenti i

nuovi movimenti e le nuove ra-dicalità di oggi? Nulla di me-glio che tornare a HerbertMarcuse.Marcuse? Chi, tra i giovani,

conosce oggi questo filosofo te-desco (nato nel 1898, emigratonel 1937 in America, morto nel1979), tra i principali esponentidella Scuola di Francoforte epensatore tra i più originali delNovecento? Chi ha letto L'uo-mo a una dimensione, oEros e ci-viltà? Marxista critico, Marcu-se; indicato (ma era riluttantea considerarsi tale) come unodei «padri» del Sessantotto; co-munque, un punto di riferimen-to imprescindibile per chi vo-glia analizzare la società (an-che di oggi), i suoimeccanismi,i perché del conformismo, del-la manipolazione dei bisogni edella crescente introiezionedei controlli. Troppi con la pau-ra della libertà, preferendo si-curezzae divertimento.Ecco allora un'occasione

importante per leggere, diMarcuse,molti testi finora ine-diti in Italia, scritti tra il 1958 eil 1979. In questo secondo volu-me dei suoi scritti e interventipubblicati da manifestolibri,per la cura di Raffaele Lauda-ni. Titolo:Marxismo e nuova si-nistra. Le nuove sinistre di allo-ra, ovviamente, ma chi legge

non può non avere lo sguardoanche sull'oggi e fare, attraver-so le riflessioni di Marcuse,confronti e paragoni.Ad esempio sul lavoro, che

già allora stava divenendo sem-pre più immateriale e cogniti-vo (e la rete non esisteva); sullanatura del potere negli annidella guerra in Vietnam; sullainsufficienza, per i movimenti,della sola spontaneità rivendi-cando la necessità di un'orga-nizzazione che però lasciasse li-bertà di iniziativa. Sognandouna società libera, socialista insenso nuovo. Puntando sullaforza della coscienza.Non quel-la dei buoni sentimenti d'occa-sione, ma «la consapevolezzache non si può vivere confor-mandosi a criteri di giudizio ead aspirazioni che hanno pro-dottouna società dell'opulenzanel mezzo della miseria e dellacrudeltà».Questo è radicalismo? Se lo

è,perché tantaostilità, si chiede-vaMarcuse? Certo, «può esser-cimoltodi sbagliatonei radicali;masembrachequalcosasia sba-gliatoanchenellasocietàcontrolaqualeessiprotestano».

MICHELEAINIS

Erasmo da Rotter-dam, autore del celeberrimoElogio della follia, era un uma-nista giramondo, tant’è che il«programma Erasmus» oggidesigna lo scambiodi studentifra le università europee. Vis-se fra il Quattrocento e il Cin-quecento, in un’epoca segna-ta da forti tensioni politiche ereligiose (allora come adesso,i due campi descrivevano inrealtà un sistema di vasi co-municanti).Vi preseparte, an-ticipando la Riforma prote-stante di Lutero; ma al con-temponerestòal di fuori.E in-fatti ebbe pessimi rapporti siacon laChiesasia conLutero.

Ralf Dahrendorf è un illu-stre sociologo tedesco, cui è toc-cato in sorte - come tutti noi -montare a cavalcioni sulla sellache unisce il secondo millennioal terzo. Successore di Popperalla direzione della LondonSchool of Economics, nel 1993 èstato nominato Lord a vita dal-la regina Elisabetta, avendoadottato nel frattempo la citta-dinanza britannica. In prece-denza era stato membro delParlamentotedescoper il grup-po liberale, segretario di Statopresso il ministero degli Esteriin Germania, esponente dellaCommissioneeuropea.Cos’hanno in comune que-

ste due figure? Intanto entram-be vanno ascritte al genere de-gli intellettuali pubblici, ossiagli uomini di pensiero che inci-dono sul dibattito politico, e cheperciò definiscono la mentalitàdi una generazione. In secondoluogo proprio a Erasmo - o me-glio alla sua genitura - è dedica-to l’ultimo libro di Dahrendorf:Erasmiani.Chi sono? Per l’appunto,

quegli intellettuali pubblici chehannosaputo resisterealle sire-ne del totalitarismo, senza flet-tere la schiena in un tempo nelquale quest’impresa riuscivaquantomai difficile, oltre che ri-schiosa. In coda al suo volume,Dahrendorf ne stila perfinounaclassifica, scherzosama in veri-tà non troppo: pagina dopo pa-

gina, è infatti tuttoun succeder-si di bacchettate ai bacchettonidi destra e di sinistra, ai confor-misti del pensierounico, o alme-noa coloroche così vengonode-finiti dall’autore.Cheperò com-pila altresì un elencodi campio-ni, di «duri e puri» dell’intransi-genzapoliticae civile.Tre, e tut-ti nati nella prima decade delNovecento: Isaiah Berlin, KarlPopper,RaymondAron.Sono invece quattro le virtù

che per Dahrendorf formanol’abito mentale che deve indos-sarechi s’opponeaunpoteredi-spotico e oppressivo. In primoluogo la fortitudo, il coraggio dicui diedero prova Solzenicyn ePrimoLevi. In secondo luogo laiustitia, intesa come senso deldiritto, «l’ordine appropriato allegno curvo della natura uma-na». In terzo luogo la temperan-tia, che significa moderazione,sguardo asciutto e distaccatosul turbiniodella storia. Inquar-to luogo la prudentia, ovvero lasaggezza, che è la fede di chicredenelDiodella ragione.Fa specie che nell’elenco dei

rimandati a ottobre figurinoHannah Arendt e NorbertoBobbio. Quest’ultimo, è vero,nel 1935 scrisse una lettera alDuce, per respingere l’accusadi antifascismo che ne stavadanneggiando gli studi accade-

mici. Però successivamente su-bì gli arresti domiciliari, preseparte alla Resistenza, e soprat-tutto non lasciò mai il proprioPaese, a differenza dei tre cam-pioni di Dahrendorf. Talvoltaaccettare qualche compromes-so è indispensabile per influiresugli eventi, anziché essernelontani spettatori. Ma forse ilpregiudizio contro Bobbio è fi-glio dell’avversioneall’idea stes-sa della sinistra liberale, di cuiBobbio fu profeta. D’altrondeDahrendorf lo ammetteonesta-mente, senza peraltro addurresolidi argomentialla sua tesi.In ogni caso non è questa

l’impressioneche la galleria de-gliErasmiani lascia in conclusio-ne sul lettore. Resta piuttostounquadrodiquanta faticacostil’indipendenza di pensiero, e dicome il suo prezzo sia la solitu-dine. E resta infine il monito aresisterecontro il conformismorichiesto dal potere dominante:ieri i tiranni, oggi il sistema deipartiti. Come scrisse per l’ap-puntoErasmo: «Amo la libertà,e nonvoglio e nonpossometter-mi al servizio di un qualsiasipartito».

LIBERTARINELNOMEDIERASMO

TERRE PROMESSEELENA

LOEWENTHAL

UNA SFIDA TRAMALE E AMORE

Uno scambio di lettere fra HannahArendt e GershomScholemall'indomani del processo Eichmann nel 1963: due letture

della Shoah, una convergente prova dell’«identità di Israele»

Erasmoda Rotterdamin un ritrattodi QuentinMetsys:Dahrendorflo assumecome modellodella libertàintellettuale

Un padre del ‘68 Che cosa avrebbeda dire oggi ai «movimenti» di base

HerbertMarcuse:escononuovi ineditidel sociologoche conHorkheimere Adornofu emblemadella «Scuoladi Francoforte»

MARCUSESAREBBEUNNOTAV?

Una critica «radicale»della società:analogie e differenzenel rapporto traspontaneità e partiti

Intellettuali e potereQuelli chehanno saputo non piegare la schiena

Dahrendorf promuoveAron, Berlin e Popper,critica persino Bobbioperché non abbastanza«duro e puro»

Idee TuttolibriSABATO 14 APRILE 2007

LA STAMPAVIII

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - IX - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/09 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.21

pp Robert Neuwirthp CITTÀ OMBRAp trad. di Savina Tessitorep FUSI ORARI, pp. 284, !15p Mike Davisp IL PIANETA DEGLI SLUMp trad. di Bruno Amatop FELTRINELLI, pp. 211, !15

MARCOAIME

Se un regista nero faun film sui neri, di chi parla?Parladeineri inquantoappar-tenente a quella comunità op-pure la sua posizione lo fa di-ventare inevitabilmentealtro?Attenzione,diceHall, a nonso-stituire vecchie identità, chesanno di coloniale, con nuovedefinizioni,cheperònericalca-no gli schemi. Gran bel perso-naggioquestoStuartHall, gia-maicano gramsciano che vivein Inghilterra, dove è conside-rato una bandiera del dibatti-to culturale e politico. In Italiasoffrirebbe della mancanza diuna collocazione definita dellasua opera: un sociologo? Unpolitologo?Un filosofo?Unmi-litante? Perché Hall intrecciaesperienze, teorie e saperi di-versi, per dare vita a quellache possiamodefinire una cri-ticaculturaledellasocietà.Alfiere dei cosiddetti studi

culturalie postcoloniali, inque-sto libro ci offre un'ampia pa-

noramica delle tematiche ricor-renti nel suo lavoro. Riprenden-do le teoriedi Gramsci sulla cul-tura popolare, Hall ne tenta un'applicazione nel contesto attua-le, dove «popolare» assume ac-cezioni diverse, inglobando leminoranze etniche, ma anchesubendo slittamenti semanticigrazieal sistemadimercato.Po-polare significaprodotto dal po-polo oppure consumato da unagranpartedelpopolo?Dallasuaanalisi emerge la continua lottatra una cultura dominante, im-pegnataa disorganizzaree rior-ganizzare la cultura popolareper incapsularneeconfinarne lediverse espressioni e la, ma for-sesarebbemegliodire leculturepopolarichedannovitaaunare-sistenza, contenendo gli attac-chi e rielaborando gli impulsiprovenientidall'alto.La seconda parte del libro,

sebbene incentrata su esempiinglesi, offre utili e provocatoristudi per comprendere moltieventi italiani attuali. Davverol'irruzione del thatcherismo (in

Italia potremmo dire altrettan-todel berlusconismo)è stato co-sì decisivo da indurre la sinistraa compiere un'epocale svolta adestra? O forse il thatcherismoè il prodottodeinostri tempi,do-ve il soggetto individuale ha viaviapreso il sopravventosuquel-li collettivi? Lo stesso individuo,scrive Hall, non va più concepi-to «come un Ego coeso, centra-to, stabile e completo», ma pen-sato come più frammentato, in-completo e compostoda sémol-teplici. I tempi moderni nonstanno solo fuori, nella società,ma sono dentro di noi, è questalanovitàdellanostraepoca.Sebbene non manchi di

esprimere una certa critica all'approccio secondo cui oggi tut-to è post qualcosa, sostenendoche in realtà questa lettura defi-nisca più ciò che c'era primachenonciò cheviviamoora, nel-la terza parte del libro Hall af-fronta tematiche più marcata-mente postcoloniali, come quel-le legate a identità, diaspora,multiculturalismo, riprendendo

uno dei suoi autori preferiti, ilFranz Fanon di Pelle nera, ma-schere bianche, per riflettere sul-la nuova negritudine, la blackidentity costruita sulla critica esulla volontà di negazione deitradizionali rapporti di presen-tazione, espressidai discorsideidominanti. Qualunque identitàèunacostruzioneespessoèunacostruzione fatta da altri, daquelle che Gramsci, appunto,chiamavaculturedominanti.Di qui l'importanza di quello

che Hall chiama il «fardello del-la rappresentazione», che co-stringeaposizionarsi inqualchepunto di osservazione e a diven-tare altro da ciò che si osserva.E qualunque tipo di rappresen-tazione è sempre politica. Eccoallora che, se un nero fa un filmsui neri, non lo fa su di sé,ma suqualcuno che in quel momentolui osserva dal suo angolo. UnregistacomeSpikeLee, quandogli chiesero perché lavorava so-lo con attori neri, rispose: «Ave-te mai chiesto a Fellini perchémettevasoloattoribianchi?».

pp Vincenzo Schirripap GIOVANI SULLA FRONTIERA

Guide e Scout cattolici nell'Ita-lia repubblicana (1943-1947)Ed. Studium,, pp. 281, !22

p Paola Dal Tosop NASCITA E DIFFUSIONE

DELL'ASCI. 1916 - 1928p F. ANGELI, pp. 176, !15

ALBERTOPAPUZZI

Fra le varie forme diinside story, di storie dal didentro - vivere da comunistao da ebreo in Germania, fin-gersi barbone o nero aManhattan, travestirsi da im-migrato clandestino in Italia -il giornalista americano Ro-bert Neuwirth ne ha sceltauna che si distingue per origi-nalità e per fatica: ha passatoquasi due anni in quattro frale più grandi e degradateperi-ferie delmondo, in quattro di-versi continenti. In America a

Rocinha (Rio de Janeiro), inAfrica a Kibera (Nairobi), inAsia nei ghetti di Mumbai(Bombay) e inEuropa aSultan-beyli (Istanbul). Ne è sortito unlibro, Città ombra, che l'autoreha dedicato «Agli squatter ditutte le latitudini», dettagliatoreportagedi come si vive, ome-glio si sopravvive, in questi ag-glomerati variamente chiama-ti: bidonville, baraccopoli, fave-las, slum.Un reportagenarrati-vo in cui si raccontano storie dipersone e di comunità, in parti-colare le storie degli occupantiabusivi che popolanoqueste cit-tà illegali: quasi un milione aRio e a Istanbul, un milione emezzo a Nairobi, sei milioni aMumbai. In tutto il mondo sicalcola che gli abusivi che tira-no su case di fango e pietra, poile consolidanocon il calcestruz-zo, poi le sistemano con la pla-stica, sianounmiliardo.Il primo elemento che salta

agli occhi in questi alveari è laforza delle contraddizioni. Unmoderno hotel a pochi metridal fango e dai liquami di Kibe-ra. Un progetto del Bauhausper ricostruire e recuperare lebidonville di Rio. E gente che èriuscita a diventare milionariacomprando e vendendo capan-ne e baracche. Un secondo ele-mento è la possibilità degli abu-sivi di organizzarsi inmovimen-ti, rivendicarediritti, e da fanta-smi che sono diventare cittadi-

ni. E' un processo lento e diffici-le che però conta dei risultati.D'altronde ci sono un po' dap-pertutto formedi riconoscimen-to di fatto degli abusivi: peresempio, i residenti di SquatterColony, nella periferia di Mum-bai, pagano cento rupie almeseper vivere nelle catapecchieche in molti casi hanno trasfor-mato in case di cemento. Quin-di lamunicipalitàdiMumbayri-ceve all'anno 1,2milioni di rupie(piùdi 20mila euro)da residen-ti cheufficialmenteneancheesi-stono. Su questo punto il librosceglie un asse ideologico: «Gliabusivi - scrive Neuwirth - nonsono i nemici della società civi-le». E spiega: «Sfidare il fattoche la società ti nega un postoprendendotene uno, è l'estre-ma conseguenza di un mondochenegaabitualmentealla gen-te la dignità e il valore insiti inunadimora».Tutto questo fa parte di una

espansione delle periferie de-gradate, che sembra inarresta-bile come mostra Il pianeta de-gli slum, del sociologo e geogra-fo Mike Davis. Basta qualchedato statistico.Nel 1973 nelle fa-velas di San Paolo si raccoglie-va l'1,2%dellapopolazione tota-le della città,manel 1993 si è ar-rivati al 19,8 %. Le più alte per-centuali di abitanti di slum si

trovano in Etiopia e nel Ciad(con la sbalorditiva quota del99,4%). Ma in cifre assolute so-no la Cina e l'India a vantare ilmaggior numero di abitanti dislum:rispettivamentecon 193,8milionie 158,4milioni.Mentre ilpiù vasto slum del mondo èquello di Città del Messico con4milionidi abitanti.Disoccupazione e sottoccu-

pazione, lavoro infantile, sopru-si e ribellioni, l'azione dei terre-moti, gli incendi devastatorifanno parte dell'indagine con-dotta da Davis. Ci sono persinopagine sul problema di viverenella merda, in senso letterale,con la difficoltàdi difendere l'in-timitàdi certi bisogni corporali.Le sue previsioni sono assoluta-mente e impietosamente pessi-mistiche: le città del futuro«lungi dall'essere fatte di vetroe acciaio saranno in gran partecostruite di mattoni grezzi, pa-glia, plastica riciclata, blocchidi cementoe legnamedi recupe-ro. Gran parte del mondo urba-no del ventunesimo secolo vi-vrà nello squallore circondatoda inquinamento, escrementi esfacelo».

GIORGIOBOATTI

Gli scout hanno cent'annimanon li dimostrano:pre-senti in tutto il mondo, conti-nuano a rappresentare anchein Italia uno dei punti di riferi-mentopiù robusti ancoraoffer-ti ai giovanidesiderosidi speri-mentare forme significative diaggregazionesociale e di espe-rienza personale basate su va-lori nonconsumistici,non indi-vidualistici.Per la verità quando, nel

1907, Baden-Powell dà vita inInghilterraa questodirompen-

te modello educativo giovanile,diffondendolo poi in molti altriPaesi, sono in pochi a ritenerepossa radicarsi in Italia e soprat-tutto nelmondo cattolico. Per laChiesa di Pio X, impegnata allaspasimo nella caccia ai «moder-nisti», l’organizzazione non puòche secernere nuove dosi deiperniciosivelenidelprogresso.Bisognerà attendere una de-

cinadi anni perchévenganocon-sentite in ambito cattolico - bat-tistrada l'arcivescovo di Geno-va, Gavotti - le prime esperienzedei «RagazziEsploratoriCattoli-ci Italiani». Di lì a poco, a esten-dere l'organizzazione in buonaparte della Penisola, verrà l'As-sociazione Scoutistica Italiana,su cui si sofferma il saggio di Pa-ola dal Toso Nascita e diffusionedell'Asci 1916-1928. Gli anni piùduri verranno, ovviamente, colfascismo: e lamortedi DonMin-zoni, assistente scout assassina-to ad Argenta dagli squadristi,sarà solo il preludiodello sciogli-mento.Sul periodo successivo dello

scoutismoe, in particolare, sugliaspetti, dopo la rifondazione,che ne caratterizzano la presen-za sia dentro il mondo cattolicosia inmomenti significativi dellastoria civile e politica della de-mocrazia italiana, si soffermaVincenzoSchirripanel suo accu-rato libroGiovani sulla frontiera.Guide e Scout cattolici nell'Italiarepubblicana (1943-1974).

Se questi decenni di vita del-lo scoutismo cattolico dovesse-ro essere riassuntiper rapidissi-me sintesi dovrebbero include-re un lungo periodo iniziale,marcato soprattutto dal con-fronto interno. Il dibattito af-fronta in particolare modelli edesperienze di formazione - tipi-ca la route, ovvero il campo mo-bile che coinvolge tutti i giovanipartecipanti - e gli interrogativi,spesso accesi, sulle proprie ca-ratterizzazioni interne (prepon-derante il temadella coeducazio-ne, vale a dire del superamentodella suddivisione di ragazzi eragazze in due diverse organiz-zazioni, risolto nel 1974 con laconfluenza dell'Asci e dell'Aginell'Agesci).Era tale, nella fase rifondati-

va, l'attenzione attribuita ai te-mi interni che la comparsa deiPionieri, organizzazione specu-lare agli scout fatta decollaredal Pci, non sembrò provocarealcuna reazione, proprio comeseavessepresoposto in unmon-do lontano, in una società sepa-rata anni luce dalla realtà catto-lica. Non sarà più così a partiredagli Anni Sessanta quando - sutemicome l'obiezionedi coscien-za, i diritti umani, l'antifasci-smo, le prime contestazioni nel-le università - lo scoutismo, o al-menopartedei suoi quadri, deci-

deranno di essere parte inte-grante del rinnovamento chebussavaalleportedelPaese.Tragli «angelidel fango»che

accorrono nel novembre del1966aFirenzegli scout sonovisi-bilmente l'elemento preponde-rante di una nuova gioventù.Al-trettanto significativo è il fattoche Paolo Rossi, lo studente ro-manoche nell'apriledello stessoanno perde la vita all'universitàdi Roma, dopo un pestaggio daparte di neo-fascisti, provengadagli scout della parrocchia deiMartiri Canadesi, una delle piùinnovative nella sperimentazio-ne liturgicaepastorale.E, forse, si vorrebbeconosce-

re di più - anche rispetto a quan-to viene offerto nel pur pregevo-le libro di Schirripa - proprio sulruolo che vanno a svolgere gliscout in questi anni: dal '68 agli«anni di piombo», quando nonpochi quadri dell'organizzazio-ne vivono in modo diretto e per-sonale, spesso drammatico, ilconfronto tra la loro abitudineall'impegno concreto e le derivepiù astratte e ideologizzanti delmovimentoche li coinvolge.

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Giamaicano e gramsciano Maestrodi «studi culturali» e «postcoloniali»

INCITTÀABITANOIFANTASMI

pp Stuart Hallp IL SOGGETTO E LA DIFFERENZA

Per un'archeologia degli studiculturali e postcoloniali

p MELTEMI, pp. 334, ! 24

Altri scritti di Stuart Hall sono rac-colti in «Politiche del quotidiano»(Il saggiatore 2006). Un suo profi-lo e una guida alle sue «idee chia-vi» è uscito da Cortina, scritto daJames Procter («Stuart Hall e glistudi culturali», pp. 178, !19,80).

Lo sterminato paesaggio di favelas a San Paolo del Brasile

L’esperienza italiana Pedagogiae storia degli esploratori cattolici

L'Asci risale al 1916. Nel 1974, dalla fusione con l’Agi, nacque l’Agesci

GLISCOUTINCAMPODA100ANNI

L’associazione fondatada Baden-Powelle il suo confronto conla Chiesa, la politicae «la meglio gioventù»

STUARTHALL:PELLENERA,BANDIERAROSSA

Le periferie globali In viaggiotra slums, baraccopoli e favelas

Dal Brasile all’Africa,dall’India alla Turchia,un miliardo di casee di persone «abusive»,un futuro di degrado

Storie TuttolibriSABATO 14 APRILE 2007

LA STAMPA IX

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - XI - 14/04/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: ROBSAB - Ora di stampa: 13/04/07 21.21

EVA CANTARELLAL'amore è un dio.Il sesso e la polisFELTRINELLI, pp. 175, !13

È un libro senza note, fa notareFabrizia Ramondino: di una grecistache sa però fare ottima divulgazione.Fra le sue (tante) letture recenti,anche il saggio su Kafka di MichaelLöwy (Eleuthera) e la testimonianzadella Schiava bambina Daryatou(Piemme). «Saggistica e filosofia miinteressano moltissimo, per esempioho letto tutta Hannah Arendt. Ma nonleggerai Hegel», dice. FabriziaRamondino, che ha fatto le scuole inFrancia, conosce bene francese,tedesco e spagnolo. Rilegge spesso,soprattutto Balzac.

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LE SUE SCELTE

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MARISA BULGHERONIUn saluto attraversole stelleMONDADORI, pp. 247, !17

Grandi entusiasmi recenti: il romanzodell'americanista Bulgheroni,«Debora» di Esther Singer sorella diIsaak Bashevic (Baldini CastoldiDalai), «Solo con gli occhi» dellagiapponese ventitreenne Risa Wataya(Einaudi): «È un genio». Ma anche, letti«per intrattenimento» e per ragioniinsieme sentimentali e politiche, iracconti di Yiyun Li («Mille anni dipreghiere», Einaudi), che aveva sedicianni quando il governo cineserepresse la protesta di Tienanmen, evive adesso negli Stati Uniti.

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RUDYARD KIPLINGKimEINAUDI, pp. 339, !15,80

Letto da bambina, in rilettura adessoper capire se è adatto al nipotinoundicenne, che vive a Berlino.«Quando undici anni li avevo io, miopadre mi regalò «I tre moschettieri»,ne ho ancora un'enorme nostalgia».Niente rosa da ragazza («forsequalche Claudine»), niente gialli poise non l'adorato Simenon. Ma gliitaliani no, neppure Andrea Camillerile piace. Un'eccezione per «Mai più laverità» di Marco Bettini (Piemme),ambientato in una comunità direcupero che assomiglia a SanPatrignano.

GIOVANNAZUCCONI

A casa di Fabrizia Ra-mondino ci sono infer-no, purgatorio e paradi-

so. L'inferno è fuori dalla porta, vici-noallacatastadella legna, lì finisconosubito i libri che sa che non leggeràmai: vanno dritti alla biblioteca diItri, il paesino in provincia di Latinadove abita. Il purgatorio è un enormescaffale dove soggiornano quelli chevuole guardare. Pochissimi, soltantoquelli che è sicuradi rileggere, ascen-deranno al paradiso delle librerie do-mestiche.«Non sono conservatrice», dice, e

vale per libri, oggetti, vestiti, pentole,idee: tiene l'essenziale. Metabolismorigoroso. «Amo il vuoto», che inquest'epoca di consumismo, di accu-mulazionecoatta,di troppodi tutto,èquantomaieversivo.FabriziaRamon-dino non si muove mai, ma viaggiatantissimo. Ha quell'intelligenza spe-ciale che ribalta in verità ogni luogocomune, anche quello sulla letturache la fa viaggiare in altri mondi e inaltre epoche. Non per turismo maper lavoro (cioè per piacere): scriverecensioni per l'Espresso. «Non sonoconservatrice»valepureper lesceltedi lettura,mai convenzionali, sempreappassionate.«Andandoa ritroso.Kafka. Sogna-

tore ribellediMichaelLöwy, chesotto-linea dello scrittore l'aspetto liberta-rio, anche per la frequentazione gio-vanile dei circoli anarchici praghesi.La rivolta contro il padre è rivoltacontro tutti i poteri, politici, religiosi,burocratici.ComedicevaCanetti, tratutti i poetiKafkaè ilmaggioreesper-todelpotere.Antigone introdottae ri-tradotta da Massimo Cacciari - an-che se perme le introduzioni dovreb-bero sempre essere postfazioni, il li-bro ti si deve offrire dal solo. Il bel ro-manzo dell'americanistaMarisa Bul-

gheroni: in riva al lago di Como, i ma-schi di famiglia devono scegliere nel'43 se stare con Salò o con la Resisten-za, e dueannidopose considerarsi libe-ratori o vittime. Ma ruoli e scelte nonsonomai così semplici, così netti.Debo-ra, bellissimo. È di Esther Singer, cheda bambina chiese al padre che cosasarebbediventatadagrande,e il padrerispose: niente, sei una donna. Il fratel-lo IsaakBashevicSingerdisseaccondi-scendente: mia sorella scrive dei ro-manzi niente male. Per me invece De-bora è superiore all'autobiografia diIsaak Bashevic, che sto rileggendo do-po tanti anni. Vado avanti. La schiavabambina, di una giovanissima africanadiventata schiava del sesso in Europa.Molto semplicecomescritturamamol-to toccante, un libro importante. Lastanza sul tetto di Ruskin Bond, un an-gloindianodel '37 o '38, ha lamia età: la

seconda parte è il resoconto storico diunarivoltacontrogli inglesi a fineOtto-cento. Poi mi è piaciuto molto L'amoreè un dio. Il sesso e la polis della grecistaEva Cantarella, grande divulgazionesostenutada grande sapienza. Si parlatanto delle radici cristiane, ma leggen-dodelmondogrecosembradi stareog-gi. Poi Solo con gli occhidiRisaWataya,una giapponese giovanissima: è un ge-nio.Ho letto tantosull'adolescenza,maquesto è un libro straordinario - ancherispettoa tanti italiani cosiddetti giova-ni, lei l'ha scritto a 19 anni con verama-turità letteraria».E non sono che le letture degli ulti-

mi giorni. Scelte come, in libreria?«No, qui c'è solo il giornalaio. Quello

che mi arriva mi arriva». Sembra es-serci un filo anchepolitico, però. «Io so-no un po' anarchica come pensiero,non bombarolama di vecchia tradizio-neanarco-socialista.ConMarioMarto-ne scrissi la sceneggiatura di Morte diun matematico napoletano, CaccioppolieranipotediBakunin».Sul comodino ha dunqueMille anni

di preghiere di Yiyun Li, «racconti mol-to interessanti sulla Cina del dopo Tie-nanmen. Io in Cina andai nel 1975,quando era ancora vivo il Presidente.Allora ero un po' maoista, avevo con-tatti con la rivista milanese Vento dell'est che organizzò questo viaggio, alquale parteciparono Mario Capanna,Dario Fo, Franca Rame. Io andai perdue ragioni, una politica e l'altra, mal'ho capito dopo, sentimentale.Mio pa-dre, che morì a 49 anni quando io neavevo 16, era stato in Cina dal 1922 al1934. Era figlio di professori di liceo,frequentava storia all'Orientale di Na-poli e chiese la borsadi studio di 500 li-re all'anno per chi studiava il cinese.Dovendo decidere fra un posto di assi-stente di storia all'università e uno diinterprete in Cina, scelse l'avventura.Raccontava anche cose tremende, eral'epoca delle concessioni europee e luiaveva funzioni di magistrato. Condan-nòamorteduecinesi, nonhomai sapu-to perché. Nel '49, un anno prima dimorire, l'ho visto piangere per l'unicavolta, quando gli americani abbando-narono il Kuomingtang e il “capo deibriganti”entròaPechino».Maoistadunque,FabriziaRamondi-

no, anche inopposizionepostumaalpa-dre, «ma era il Mao della lungamarcia,il Mao che aveva rotto con l'UnioneSo-vietica: da anarco-socialista, vedevo inlui unaltro comunismopossibile.Tantecoseeranogiusteevengonoripresenel-la Cina dello sviluppo selvaggio di oggi,per esempio l'ultimaAssembleadel po-polo ha deciso di combattere lo sfrutta-mento dei contadini». Il padre di Fabri-

zia Ramondino, promosso per meritida Ciano alla carriera diplomatica, tor-nò dalla Cina per curarsi una pleurite.«Quand'ero appena nata divenne con-sole a Coira, poi dal '36 all'armistizio aMajorca dove ho passato la primissimainfanzia, quindi in Francia dove è mor-to, a Chambéry. So il francesequasi co-me l'italiano, l'ho insegnato, lo leggo.Ognipaiod'annirileggoBalzac».Legge tantissimo, vari saggi e ro-

manzi per volta, con un unico rito(«non cominciare mai un libro la seraprimadi addormentarmi,preferisco fi-nirne uno iniziato cioè rimanere in unmondoche già conosco») e nessunare-verenza: «Prendo molti appunti nelleultime pagine bianche, faccio a matitasottolineature, cerchi, stelle. Non sonouna bibliofila». Ma che cosa ricorda,dellemigliaiadi paginepercorse?«Per-do colpi solo sulle cose chenonmi inte-ressano, la poltiglia editoriale. Ho unamemoria molto forte, che si manifestaanche nellamia scrittura. I libri dannoenormiemozioni, che rimangono.Dan-te, Ariosto, Saba, Svevo, Balzac,Tolstoj, Dostoevskij, i grandi poetifrancesi,credodi ricordarlibene».Ma mica soltanto gli eccelsi transi-

tano fra «purgatorio» e «inferno», incasa Ramondino. Ama i gialli, i thrillerno ma i gialli sì, soprattutto Simenon«che quasi tocca Balzac», lo svizzeroFriederich Glauser, qualcosa di Aga-tha Christie. E sta leggendo, per di-strarsi,Maipiù la veritàdiMarcoBetti-ni, ambientato inunacomunitàper tos-sicodipendenti che assomiglia molto aquelladiMuccioli. «No, non lo terrò», ènel purgatorio dei libri da leggere manon da rileggere, e in genere i giallistiattuali finiscono subito all'inferno, vici-no alla catasta della legna: «Sembranotelevisione,chediviene interessanteso-lo se c'è un delitto. Ho provato con Ca-millerimami scocciavaquell'usoabusi-vo del dialetto, non ha senso dire "cur-tieddu" se capisci subito che è il coltel-lo, invece in Sciascia aveva significatiinesprimibile altrimenti, pensiamo aiquaquaracquà...».Rimane da chiedere quanto, per

questa lettrice formidabiledallo sguar-

do sempre anche politico, sia un pati-mentovivere inunpaesedi lettori scar-si. «RicordodavantialmunicipiodiNa-poli, negli Anni Sessanta, lo scrivano alqualedettavano le lettere.Nellamiage-nerazione, c'era ancora l'analfabeti-smo.Oggi tutti più omenosanno legge-re,mamolti sono analfabeti in un altrosenso, non hanno l'abitudine alla lettu-ra che è da sempredella borghesia col-ta. Sì, la lettura è un bene civico, a pre-scindere da cosa leggi. Se non altronon ti distacca dall'esperienza diretta,dal rapporto fisico con lamateria dellavita, come invece fa l'abusodi videogio-chi e di Internet. Leggere incuriosisce,fa viaggiare verso l'altro e se stessi, di-verte educando, comedicevano i latini.Non a caso gli americani, che traduco-no pochissimo da altre lingue, risolvo-no con le bombe».Ma leggerenonè an-che faticoso, Fabrizia Ramondino?«Perme no. Dodici anni fa ho avuto undistacco della retina, quella fu vera an-goscia. Ascolto qualche audiolibro masenza amarli, però se diventassi ciecamipiacerebbero».Il virusdella letturahagià contagia-

to altre generazioni, la figlia coreogra-fa a Berlino e il nipotino undicenne.«Mi dispiace che siete lontanima sonocontenta che non vivete qui, gli dicosempre.È un'altra società, senza tuttoil nostro consumismo. Mio nipote hagià letto quei volumoni di Harry Pot-ter, Il mago dei numeri di Enzensber-ger, Il richiamo della foresta di JackLondon. Adesso sto rileggendoKim diKipling, per capire se è troppo prestoper regalarglielo. Ma non ho ancoradeciso».

DALLACINAMILLEANNIDIBUONIAUSPICI

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«Ho sul comodino i raccontidi Yiyun Li sul dopoTienanmen:mio padrea Pechino dal ’22 al ’34fu interprete e magistrato»

La vita. Fabrizia Ramondino è nata a Napoli nel 1936 da padre diplomatico, ha abi-tato anche a Palma di Majorca, in Francia e in Germania. Ha insegnato dal 1966 al1982, ora vive «felicemente» a Itri in provincia di Latina. Tiene una rubrica di recen-sioni, soprattutto di narrativa straniera e saggistica, sull'Espresso.

Le opere. Il suo primo libro è del 1977 (Napoli: i disoccupati organizzati), l'esordionarrativo del 1981 conAlthénopis. Si è definita «cantastorie», ha scritto anche diBagnoli, della liberazione del Saharawi, del Centro Donna Salute Mentale di Trie-ste. Con Mario Martone ha sceneggiato «Morte di un matematico napoletano».

FabriziaRamondino

«E’ bellissimo il romanzo“Debora” di Esther Singer,sorella di Isaak, lo ritengosuperiore all’autobiografiadel premio Nobel»

Diario di lettura TuttolibriSABATO 14 APRILE 2007

LA STAMPA XI

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