2007-06-09

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ANDREA CORTELLESSA C'è, in giro, una gran fame di realtà. Almeno stando alle vendite: che sempre più pa- iono premiare, piuttosto che la vecchia fiction, quella che con neologismo di dubbio gusto s'è convenuto definire faction. È la rivincita del vero; o meglio, del «piccolo fatto vero (possibil- mente fresco di giornata)»: che, sulla scorta di Stendhal, da sempre ironicamente racco- manda agli scrittori Edoardo Sanguineti. La nuova voga del docudra- ma - che alimenta l'immagina- rio con corposi pezzi di realtà o, capovolgendo il discorso, drammatizza le proprie inchie- ste coi ritrovati della narrativa di genere se non del mélo - non deve far dimenticare che cine- ma e letteratura conoscono questi ritrovati da almeno mez- zo secolo. Come in ogni forma di narrazione, anche qui tutto sta nell'adeguatezza dei mezzi che si adottano agli effetti che ci si prefiggono. Facciamo un esempio in positivo (nonché «fresco di giornata»): Stile Li- bero pubblica i Racconti d'Ita- lia (tre dvd per 505 minuti + 91 pagine, 28 euro) di Riccardo Ia- cona: che non solo è il nostro migliore giornalista d'inchie- sta, ma è anche un narratore autentico. Che in quanto tale impiega, per raccontare le sue storie, tutta una serie di artifici drammaturgici perfettamente commisurati alla «temperatu- ra» emotiva delle situazioni. Si faccia caso al modo in cui la musica di Daniel Bacalov sotto- linea, ora ironicamente ora pa- teticamente, le svolte del rac- conto. Del resto i giornalisti sanno bene come una compo- nente narrativa sia sempre presente nel loro lavoro; e di converso anche il narratore meno legato alla quotidianità costruisce le sue visioni anche con una quantità di «atti veri». Ma per un Roberto Saviano che in Gomorra utilizza effetti (ed effettacci) del docudrama a fini di sacrosanta denuncia, quanti sono oggi che - con fini non altrettanto commendevoli - non si peritano di mestare nell' osceno, nel torbido, nell' abiet- to? Il nostro è anche il tempo delle intercettazioni telefoniche che, per l'appunto con l'alibi del- la denuncia, sono state date in pasto al voyeurismo di massa. Tutti le abbiamo lette, tutti ci siamo indignati, tutti ci siamo così garantiti, a prezzo assai modico, la nostra brava dose di superiorità. Ma è vera inchiesta quella che non fa altro che con- fermare, solo aggiungendo par- ticolari pruriginosi, quello che già tutti sapevamo? È ambivalente il sentimento con cui per esempio si legge La casta, il libro, peraltro brillan- te, di Sergio Rizzo e Gian Anto- nio Stella (o con cui si seguono certe puntate di Report di Mile- na Gabanelli: peraltro forse l'ul- timo, e in tutti i sensi estremo, servizio pubblico televisivo). Il merito della denuncia, si ripe- te, è sacrosanto. Ma a insospet- tire è la ricezione-valanga: la quale non esclude il compiaci- mento, persino, di una certa classe politica che di buon gra- do accetta di pagare con la go- gna quella che, alla lunga, può suonare come massima e defi- nitiva conferma della propria separatezza sociale, del pro- prio essere gente speciale (os- sia proprio ciò che giustamen- te s'intende combattere). Ma cos'è che, proprio oggi, ci spinge a queste indigestioni di realtà (coi rigurgiti del caso)? Se c'era un postulato generalis- simo nella cultura in cui mi so- no formato - e che, finché non mi forniranno una definizione alternativa, continuerò a chia- mare postmoderno - è che «real- è una parola che bisognereb- be scrivere sempre tra virgolet- te» (così Sua Santità Vladimir Nabokov). Le nostre percezioni del reale non sono che sue astra- zioni, semplificazioni schemati- che. Per Jacques Lacan il reale è, addirittura, l'Assolutamente Altro: il Trauma, ovvero ciò di cui non si può parlare. E poi Ro- land Barthes non ci aveva spie- gato che quello di realtà, in arte, non è altro che un effetto? Co- me ci ricorda Federico Bertoni nella sua ottima messa a punto della questione (Realismo e lette- ratura. Una storia possibile, Ei- naudi, pp. 402, 20), «il reali- smo del codice sembra una pro- prietà storicamente e cultural- mente condizionata, legata al si- stema di verosimiglianza e di rappresentazione che vige in un determinato contesto». Ogni epoca, cioè, ne ha conosciuto uno diverso. In quanto quello del realismo, tecnicamente par- lando, è un artificio come gli al- tri: sennonché degli altri spesso più raffinato nonché, diciamo, eticamente più insidioso. Per- ché il più delle volte non dichia- rato, non esibito in quanto tale: sino a effetti d'illusionismo, in- ganno prospettico, trompe-l'oe- il. Proprio partendo dallo stu- dio del trompe-l'oeil, del resto, un altro maestro oggi conside- rato «cattivo» (e tanto più im- prescindibile, dunque), Jean Baudrillard, è arrivato a spiega- re come l'illusione della realtà, nell'ultimo Novecento, più anco- ra che all'arte abbia dato stru- menti alla politica. (E noi in Ita- lia, che di trompe-l'oeil abbiamo esempi mirabili, anche di que- sto sappiamo qualcosa.) Eppure già una decina d'an- ni fa il critico d'arte Hal Foster poteva ben parlare di ritorno CARTEGGIO Baudelaire e la madre Un rapporto profondo e conflittuale DECINA LOMBARDI P. III FAME DI REALTÀ (O DI REALITY?) LESSICO I tesori della lingua Con Beccaria tra le pieghe delle parole GAMBAROTTA P. V DIARIO DI LETTURA Gli incastri di Bartezzaghi Com’è giocosa la letteratura GENTA P. XI FULMINI NICO ORENGO [email protected] STREGHE NASCOSTE AI PICCOLI TUTTO libri LA STAMPA SABATO 9 GIUGNO 2007 PAGINA I Continua a pag. III In quell’allegro suk che è il Premio Strega, dove un voto, o un pacchetto di voti, può voler dire una traduzione, la curatela di un testo, la pubblicazione di un mannello di indigeste poesie, ci si batte per entrare nella cinquina dei finalisti, lotta anche più cruenta di quella finale, per lo più decisa con un anno di anticipo. E anche qui, segnalano piccoli editori alla prima esperienza, qualcosa non quadra. Una fondamentale: l’invio delle liste dei votanti, ai quali rivolgersi per ottenere la scheda. Vengon date in ritardo, quando il gioco dei grandi editori è già fatto. Tendenze Inchieste, denunce, testimonianze: nelle classifiche la «faction» batte la fiction Ma i fatti (soprattutto i fattacci) producono spesso solo un voyeurismo passivo e impotente p Sembriamo ormai «fatti di fatti»: una dipendenza dalla «realtà» come dalla droga. Ma cosa succede quando la realtà diventa «reality», cioè il contrario del «reale», uno spettacolo da consumare, dove nulla più traumatizza? SETTIMANALE LEGGERE GUARDARE ASCOLTARE NUMERO 1567 ANNO XXXI [email protected] W

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Page 1: 2007-06-09

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - I - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/06/07 19.58

ANDREACORTELLESSA

C'è, in giro, una granfame di realtà. Almeno standoalle vendite: che sempre più pa-iono premiare, piuttosto che lavecchia fiction, quella che conneologismo di dubbio gusto s'èconvenuto definire faction. È larivincita del vero; o meglio, del«piccolo fatto vero (possibil-mente fresco di giornata)»:che, sulla scorta di Stendhal,da sempre ironicamente racco-manda agli scrittori EdoardoSanguineti.La nuova voga del docudra-

ma - che alimenta l'immagina-rio con corposi pezzi di realtào, capovolgendo il discorso,drammatizza le proprie inchie-ste coi ritrovati della narrativadi genere se non del mélo - nondeve far dimenticare che cine-ma e letteratura conosconoquesti ritrovati da almenomez-zo secolo. Come in ogni formadi narrazione, anche qui tuttosta nell'adeguatezza dei mezziche si adottano agli effetti checi si prefiggono. Facciamo unesempio in positivo (nonché«fresco di giornata»): Stile Li-

bero pubblica i Racconti d'Ita-lia (tre dvd per 505 minuti + 91pagine, 28 euro) di Riccardo Ia-cona: che non solo è il nostromigliore giornalista d'inchie-sta, ma è anche un narratoreautentico. Che in quanto taleimpiega, per raccontare le suestorie, tutta una serie di artificidrammaturgici perfettamentecommisurati alla «temperatu-ra» emotiva delle situazioni. Sifaccia caso al modo in cui lamusica di Daniel Bacalov sotto-linea, ora ironicamente ora pa-teticamente, le svolte del rac-conto. Del resto i giornalistisanno bene come una compo-nente narrativa sia semprepresente nel loro lavoro; e diconverso anche il narratoremeno legato alla quotidianitàcostruisce le sue visioni anchecon una quantità di «atti veri».Ma per un Roberto Saviano

che in Gomorra utilizza effetti(ed effettacci) del docudrama afini di sacrosanta denuncia,quanti sono oggi che - con fininonaltrettantocommendevoli -non si peritano di mestare nell'osceno, nel torbido, nell'abiet-to? Il nostro è anche il tempo

delle intercettazioni telefonicheche, per l'appunto con l'alibi del-la denuncia, sono state date inpasto al voyeurismo di massa.Tutti le abbiamo lette, tutti cisiamo indignati, tutti ci siamocosì garantiti, a prezzo assaimodico, la nostra brava dose disuperiorità.Maèvera inchiestaquella che non fa altro che con-fermare, solo aggiungendo par-ticolari pruriginosi, quello chegià tutti sapevamo?È ambivalente il sentimento

con cui per esempio si legge Lacasta, il libro, peraltro brillan-te, di Sergio Rizzo e GianAnto-nio Stella (o con cui si seguonocerte puntate di Report di Mile-naGabanelli: peraltro forse l'ul-timo, e in tutti i sensi estremo,servizio pubblico televisivo). Ilmerito della denuncia, si ripe-te, è sacrosanto.Ma a insospet-tire è la ricezione-valanga: laquale non esclude il compiaci-mento, persino, di una certaclasse politica che di buon gra-do accetta di pagare con la go-gna quella che, alla lunga, puòsuonare come massima e defi-nitiva conferma della propriaseparatezza sociale, del pro-

prio essere gente speciale (os-sia proprio ciò che giustamen-te s'intendecombattere).Ma cos'è che, proprio oggi,

ci spinge a queste indigestionidi realtà (coi rigurgiti del caso)?Se c'era un postulato generalis-simo nella cultura in cui mi so-no formato - e che, finché nonmi forniranno una definizionealternativa, continuerò a chia-marepostmoderno - è che «real-tà è una parola che bisognereb-be scrivere sempre tra virgolet-te» (così Sua Santità VladimirNabokov). Le nostre percezionidel realenon sono che sue astra-zioni, semplificazioni schemati-che. Per Jacques Lacan il realeè, addirittura, l'AssolutamenteAltro: il Trauma, ovvero ciò dicui non si può parlare. E poi Ro-land Barthes non ci aveva spie-gato che quello di realtà, in arte,non è altro che un effetto? Co-me ci ricorda Federico Bertoninella sua ottima messa a puntodella questione (Realismo e lette-ratura. Una storia possibile, Ei-naudi, pp. 402, ! 20), «il reali-smodel codice sembraunapro-prietà storicamente e cultural-mente condizionata, legata al si-

stema di verosimiglianza e dirappresentazione che vige inundeterminatocontesto».Ogniepoca, cioè, ne ha conosciutouno diverso. In quanto quellodel realismo, tecnicamentepar-lando, è un artificio come gli al-tri: sennonchédegli altri spessopiù raffinato nonché, diciamo,eticamente più insidioso. Per-ché il più delle volte non dichia-rato, non esibito in quanto tale:sino a effetti d'illusionismo, in-ganno prospettico, trompe-l'oe-il. Proprio partendo dallo stu-dio del trompe-l'oeil, del resto,un altro maestro oggi conside-rato «cattivo» (e tanto più im-prescindibile, dunque), JeanBaudrillard, è arrivato a spiega-re come l'illusione della realtà,nell'ultimoNovecento, più anco-ra che all'arte abbia dato stru-menti alla politica. (E noi in Ita-lia, che di trompe-l'oeil abbiamoesempi mirabili, anche di que-sto sappiamoqualcosa.)Eppure già una decina d'an-

ni fa il critico d'arte Hal Fosterpoteva ben parlare di ritorno

CARTEGGIOBaudelairee la madreUn rapportoprofondoe conflittualeDECINA LOMBARDI P. III

FAMEDIREALTÀ(ODIREALITY?)

LESSICOI tesoridella linguaCon Beccariatra le pieghedelle paroleGAMBAROTTA P. V

DIARIO DI LETTURAGli incastridi BartezzaghiCom’ègiocosala letteraturaGENTA P. XI

FULMININICO ORENGO

[email protected]

STREGHENASCOSTEAI PICCOLI

TUTTOlibriLA STAMPA

SABATO 9 GIUGNO 2007PAGINA I

Continuaa pag. III

In quell’allegro suk che è il Premio Strega, dove unvoto, o un pacchetto di voti, può voler dire unatraduzione, la curatela di un testo, la pubblicazionedi un mannello di indigeste poesie, ci si batte perentrare nella cinquina dei finalisti, lotta anche piùcruenta di quella finale, per lo più decisa con un annodi anticipo. E anche qui, segnalano piccoli editori allaprima esperienza, qualcosa non quadra. Unafondamentale: l’invio delle liste dei votanti, ai qualirivolgersi per ottenere la scheda. Vengon date inritardo, quando il gioco dei grandi editori è già fatto.

Tendenze Inchieste, denunce, testimonianze: nelle classifiche la «faction»batte la fictionMa i fatti (soprattutto i fattacci) producono spesso solo un voyeurismo passivo e impotente

p

Sembriamoormai «fattidi fatti»: unadipendenzadalla «realtà»come dalladroga.Ma cosasuccedequandola realtàdiventa«reality», cioèil contrariodel «reale»,uno spettacoloda consumare,dove nulla piùtraumatizza?

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Page 2: 2007-06-09

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - II - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/06/07 19.58

PAROLEIN CORSO

GIAN LUIGIBECCARIA

BIGLIETTODI (DA)VISITA

DIALOGHIIN VERSI

MAURIZIOCUCCHI

ASPETTAREL’ALBA

DI PERLA

Le parole in corso han-no spesso una loro «il-logicità», tant'è cheogni tanto salta suqualcuno che vorreb-

be metterle al bando. Comepossiamo accettare cacciavi-te, che cosa «caccia»? Spingela vite, certo, nel legno o nelferro, l'avvita, ma anche la ti-ra via, la svita, quindi sarebbebene cambiare la parola. Chia-mare quell'utensile «svitavi-te» non va, di nuovo ne coglieuna sola funzione, però si po-trebbe proporre per esempio«giravite».Di questo passo occorrerebberiformare mezzo vocabolario.Andrebbe messo al bando, po-niamo, «ascensore», perchénon soltanto ascende, ma an-che discende: meglio sarebbe«salescende» allora? No, me-glio lasciare le cose come stan-no, perché è l'uso che fa legge.Leopardi scriveva «bigliettoda visita», Tommaseo e Car-ducci «di visita». Vanno benetutti e due i modi, anche se sa-

rebbe più logico il «di», ma il«da» è prevalso. Si può discute-re all'infinito, l'italiano offrespesso delle doppie possibilità,ma finisce col prevalere la con-suetudine, che si fa rapidamen-te norma. E la norma detta leg-ge più della logica.Si può continuare, citando «cal-ligrafia», che già vuol dire eti-mologicamente «bella grafia»,di conseguenza non dovremmoaccettare «bella calligrafia»,ma preferirgli «bella scrittu-ra». E posso ricordare un verbosenza logica come suicidarsi,

che ripete due volte il riflessivo.Deriva dal francese se suici-der, ed è ridondante perché il ri-flessivo è già compreso nel ver-bo, composto dal latino sui (sestesso) e dal tema -cide, «ucci-dere»: dunque quel -si di suici-dar(si) sarebbe superfluo, nonci si può uccidere due volte! Inrealtà bisogna sempre collocar-si all'interno della coscienza delparlante e non astrattamentenella testa di un grammatico.Chi parla (o chi scrive) non per-cepisce più il valore etimologicodi quel riflessivo incorporatonel verbo, e sente il bisogno di ri-petere per analogia quel -si (sestesso), come in uccidersi, am-mazzarsi. Sono contraddizionidel tutto ricorrenti, non distur-bano affatto. Sono state accet-tate dalla collettività e quindidiventate uso, norma. A rigore,non potremmo «mettere la frut-ta in un paniere», ma soltantodel pane, e neppure «distender-ci sul lettino durante la sedutada uno psicanalista». [email protected]

Chiara Melloni, diReggio E., 25 anni,tende qua e là ad ap-pesantire: «È il fuo-co che non si può in-

segnare /[…] /affrontabile so-lo con la grazia di serbare /di-menticando ogni cosa». Piùefficace quando argomentacon passo piuttosto solenne:«Se andandotene, entro il tuomistero /che nel profondo, co-me accade, ti riposa / potrairiporre la scintilla unita».Geremia Melara, messinese,insiste un po' all'antica sullaforma chiusa, con qualche ef-fetto cantilena: «Quello chead ogni ora di più mi man-ca,/in questo desolante man-camento,/è la tua parola pa-cata e franca,/che possa rac-contarmi in un momento».Va meglio quando si abbassaalla prosa e si libera delloschema: «Ogni tanto vedo/con la coda dell'occhio /pic-cole ombre nere muoversi ve-loci, /oppure sento voci bisbi-gliare /e chiamarmi roche da

angoli remoti».Anna Canella presenta versisgocciolanti, ma non privi di ef-fetti suggestivi: «Come i pallidifiori /stanno ai rami /così ilghiaccio insidioso /alla monta-gna /avvolta nel vento. / […]/laneve che ha: /un sorriso caldo,sfinito /aggrappato alla basedegli alberi, /l'ultimo baciodell'inverno». Anche il venten-ne Roberto Sassi deve control-lare il verso, il rapporto tra pa-rola e bianco della pagina, chesignifica silenzio. Ha una buo-na vivacità estrosa: «Terrei

una gogna /nella mia piazza /eterrei una forchetta /sulla miatavola. /Terrei le donne /le ro-se /e la barba».La sua coetanea Marina Bozzinon disdegna vaghi sapori re-moti [«Si sveglia l'antica glo-ria /dell'ingenuo ragazzo /peril gentil sistro stimato»]. Sinormalizzi, come quando siapre e distende liricamente lavoce nell'immagine: «Ora giun-ge l'alba di perla...».Chiudo con Stefano Aldeni, daEtnie domestiche:Del mondo si parlain questo bagno di casatra le scuciture e i segretidi tutte le stanzein quei vestiti sporchi […]Intorno, il comodo cotone,le scarpe lindenel ripostiglio all'ingressoed ordinati mazzi di chiavisul mobiletto ereditato:l'indifferenza, l'indifferenzaalle nostre eterne cosequasi fossero tutto il resto,tutto, senza pudore o puzza. [email protected]

A GENOVA

Festivaldi poesia= L’anteprima nazionale di«L’energia degli schiavi» diLeonard Cohen, con GiorgioAlbertazzi e Amii Stewart,inaugurerà lunedì il 13˚festivalinternazionale di poesia, aGenova (fino al 23 giugno). Il 12,a Boccadasse, un omaggio aFernanda Pivano.

A RIMINI

AnticoPresente= Nona edizione, a Rimini, di«Antico/Presente», festival delmondo antico (14-17 giugno). Ilpensiero e la vita dei greci e deiromani, ma anche di Egizi e deipopoli del vicino oriente: se nediscuterà con Cacciari,Galimberti, Sanguineti, Canfora,Silvia Ronchey e molti altri. Frale mostre, «Le opere e i giornidelle donne. Il mondo alfemminile dal quotidiano alsacro». Un convegno saràdedicato alla «scritturaprecolombiana».

PREMI

Andersenper i ragazzi= A «La riparazione delnonno» di Stefano Benni(Orecchio Acerbo) è statoassegnato il premio specialedella giuria «Andersen 2007».Miglior albo illustrato «365pinguini» di Jean-Luc Fromental(Il Castoro Bambini). Migliorilibri per le varie fasce d’età «Duescimmie in cucina» di GiovannaZoboli e Guido Scarabattolo(Topipittori), «Il gatto venerdì»di Jutta Richter (Beisler), «Tobia.Un millimetro e mezzo dicoraggio» di Timothée deFombelle (Edizioni San Paolo) e«La tigre in vetrina» di Alki Zei(Salani).

GUIDA

Gli scrittoridi Langa= Nelle «Langhe che non siperdono» di pavesiana memoria.In particolare nella «Langaalbese» (edizioni Imago). Unviaggio storico enogastronomicoculturalartistico, come guideGianluca e Umberto Soletti (diElisabetta Soletti i «Profili degli“Scrittori di Langa”). Il libro saràpresentato il 15 giugno, h. 18, nelCastello «Grinzane Cavour».

LA POSTA DI CARLO FRUTTERO

L’ADELPHIUN’ALTRA

RECHERCHE

Duemila i titoli della casa editrice italiana più esclusivaRoberto Calasso: «L’accusa di irrazionalismo?

In 40 anni c’è stato uno spostamento della cultura: dall’asseGramsci-Lukács a un asse Nietzsche a noi più congeniale»

SCRIVERE ACarlo Fruttero, Tuttolibri-La Stampa, via Marenco 32, 10126 Torino [email protected]

Il game boydella politicaGentile Carlo Fruttero, sono un’antenata,una nonna, e vedo spesso mio nipotegiocare interminabili partite di calcio con lasua Play Station. Di questo come di altridivertimenti elettronici io non capisconiente, ma sono abbastanza saggia per nonconfrontarli con i divertimenti della miainfanzia, giudicarli pericolosi per losviluppo mentale dei piccoli. Ma c’è unacosa che mi affascina: vedo quelle 22figurine muoversi su e giù per il campo, e

fin qui niente di davvero nuovo, è una bellasimulazione realistica. Ma mentre icampioni giocano si sente la voce di uncommentatore che segnala gli errori, ipassaggi, i colpi di testa, i falli etc, come sefosse lì a vedere coi suoi occhi. Com’èpossibile? Lo so che dev’essere tuttoregistrato ma le situazioni mutanocontinuamente, anche per le mosseimprevedibili di mio nipote. E allora? Mariangela Tutino, Stresa

Gentile antenata, ci sono passato an-ch’io per il suo turbamento, anni fa. Hocercato di farmi spiegare e ho capito al-l’incirca questo. Le combinazioni in unapartitadi calcio non sono poi infinite. Se

ne possono immaginare cento o duecen-to e per ciascuna si trova una frase fattadel gergo sportivo, numerandola. Quan-do la situazione 34 si verifica scatta inun microsecondo il collegamento con lafrase n˚ 34 del commento, la voce prere-gistrata parte e la cronaca sembra pun-tualissima, reale. E’ un po’ come succe-de in politica,dove le situazioni si ripeto-no sempre più o meno uguali anno dopoanno, e vengono commentate semprepiù o meno con le stesse frasi. N˚ 123, in-tercettazioni telefoniche: «Occorre unalegge trasparente e vincolante», ovvero«Sono indegne di una democrazia». N˚87, generale dimissionario: «I partiti de-vono fare un passo indietro», ovvero

«Deve intervenire il Quirinale». N˚ 54,auto blu: «L’Italia è l’unico Paese in Eu-ropa in cui….», ovvero «L’Italia è l’unicoPaese al mondo in cui….». N˚ 166, tasse:«Oltre il 7% dei contribuenti», ovvero«Appena il 7% dei contribuenti». N˚ 12,sbarchi clandestini: «La nostra econo-mia ha bisogno di quelle braccia», ovve-ro «Tutti rispediti indietro meno quelliche hanno se non altro un Rolex falso alpolso». Ci sono aggiustamenti, piccolevarianti, qualche faccia nuova, entranotemi come «tesoretto» o «spallata», matutto resta comunque prevedibile, regi-strabile con largo anticipo per la persi-stente gioia di noi bimbi.

CarloFruttero

Roberto Calasso, patron dell’Adelphi (copyright Giorgio Magister)

Il celebre «teorema Calas-so» secondo il quale una ca-sa editrice è «un opus, ununico testo, qualcosa che sipuò considerare un’opera

letteraria in sé...», funziona tut-tora nell’Adelphi del 2007?Quella «forma» che lega i 1800titoli della sigla più esclusivadell’editoria italiana, può resi-stere in un mondo dell’appros-simazione, dell’incertezza, diun’autostima generalmentesempre più esile?

Roberto Calasso, che cono-sce certo questi problemi me-glio di noi e la cui autostima,come per tutti i veri leader, èil motore più potente per unlavoro di totale impegno comeil suo, incertezze non ne ha:«Un buon lettore (e non è veroche in Italia siano così pochi),dotato di un certo occhio, en-trando nel nostro catalogo siaccorge che questa “forma”resta, e continua a sviluppar-si. In questo senso non è cam-biato niente, anche se moltecose negli assetti dell’editoriasi trasformano».

Tempo fa il patron del-l’Adelphi aveva dichiarato in-vece che l’editoria non avevasubito grandi mutamenti negliultimi decenni. Molto, al con-trario, è successo con l’invasio-ne del web.

«Dal punto di vista tecnico,certamente. Anche per chi, co-me noi, continua a pubblicaresu carta. Un tempo, su un nuo-vo libro, si avevano opzioni di2-3 mesi. Oggi si deve decideretalvolta in poche ore, la pressio-ne degli agenti è maggiore. Tut-tavia Adelphi sceglie e pubblicai libri come ha sempre fatto».

Il grande intellettuale, cheha aperto più di ogni altro agli

italiani l’universo mitteleuro-peo, da Joseph Roth a Canetti aKraus a Bernhard («Roth è sta-to il primo “caso”, oltre un milio-ne e mezzo di copie in totale») eche nelle sue collane ha portatoi capolavori del ’900 europeo enon solo, italiani in prima fila, daSciascia a Landolfi, da Flaianoalla Ortese, a Manganelli a Cero-netti, in testa Arbasino, non èstato immune da attacchi. An-che violenti, benché non sempredi alto livello. Bersagli soprattut-to le sue scelte «filosofiche». In-somma: da «grande snob dellacultura» a «grande gnostico».

«Le più svariate motivazio-ni», si diverte l’accusato. E aproposito dell’«anatema dell’ir-razionalismo» (che aveva giàcolpito Luciano Foà, il suo indi-menticato amico, fondatore neiprimi 60 della Adelphi), Calassonon fa che riprendere l’annosamotivazione: «In 40 anni c’è sta-to uno spostamento nell’assedella cultura. Da Gramsci-Lukács a Nietzsche a noi piùcongeniale».

E l’editoria italiana in genera-le? Calasso la ritiene in «discre-ta salute, un’editoria di notevoleinteresse, una delle più impor-tanti nel mondo».Ma con chi si misura l’Adelphi dioggi?«“Misurarmi” è un termine chenon mi appartiene, voglio solodichiarare stima per i colleghiitaliani. Con certi editori stra-nieri abbiamo avuto stretti rap-porti sin dall’inizio: per esem-pio Gallimard è stato nostropartner per l’edizione Colli-Montinari di Nietzsche. La for-za editoriale degli americaninon sarò io a scoprirla (sonopiuttosto gli americani ad averscoperto lui, parecchi anni fa,

ndr), in Europa posso confer-mare che è la Spagna il Paese inenorme crescita. E lì molto siseguono le linee italiane».«Paesaggio mentale», è la sintesimigliore che Calasso poteva for-mulare per la sua «cattedrale inprogress». Dove però gli scrittoriitaliani «nuovi» sembrano manca-re del legame tipico adelphiano.«Non è così. Non ne abbiamoun grande numero, ma sonoscelti con gli stessi criteri deglialtri, dal lontano Maurensig al-la Matteucci (che continuere-mo a pubblicare) a Niffoi cheaprirà il 2008 con il suo nuovoromanzo».In questi giorni la Adelphi è stataparticolarmente di scena: il «Dia-rio russo» di Anna Politkovskaja eil «Robinson Crusoe» di Pericoli,«Gli emigrati»di Sebald. Quali i fu-turi titoli più importanti?«Il miglior giornalista investiga-tivo Usa, William Langewie-sche, già nostro autore, ci daràa luglio Il bazar atomico, dram-matica indagine sulle vie segre-te del contrabbando nucleare.In autunno, All’ombra delle Tor-ri, Lawrence Wright, Pulitzer2007, ricostruirà passo per pas-so la storia di Al Qaeda. A fineanno la prima parte del“romanzo della vita” di Rober-to Bolano, 2666 e un irresistibi-le Alan Bennett: La regina lettri-ce, ovvero Elisabetta II che, dasempre dedita ai cavalli, all’im-provviso scopre i libri...».Roberto Calasso invece che cosasta scrivendo?«Scrivo da 25 anni, un’opera inpiù parti. Sono apparsi sinora5 volumi, l’ultimo è Il rosa Tie-polo. Ma sto continuando».Una «nuova» Recherche? Ridee, naturalmente, nega. Maquanto?

MIRELLAAPPIOTTI

Rubriche TuttolibriSABATO 9 GIUGNO 2007

LA STAMPAII

PROSSIMAMENTE

BLOC NOTES

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Page 3: 2007-06-09

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - III - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/03 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/06/07 19.58

PAOLADÈCINA LOMBARDI

Se l'amore materno è un fe-nomeno così evidente, e così eterna-menteuguale a se stesso chenon ci sipuò ingannaresullasuanatura,e seètanto difficile supporre una madresenza amorematerno quanto una lu-ce senzacalore, allora - si chiedeBau-delaire in La corda, uno dei testi piùamari di Spleen et Idéal - non è forselegittimo attribuire all'amore mater-no tutte le azioni e le parole di unamadre relative al figlio? Il miserabiledisegnoprestato allamadredell'irre-quieto «monello» suicida, dimostrache è un'illusione. Lo confermano iversi di Benedizione in cui una donnamaledice la notte del concepimentodi quel «mostro rattrappito...» di suofiglio, «unalberogramo» sucui river-serà tutto il proprio odio perché non«sboccino le sue gemme infette» dipoeta. Per quanto la critica abbia di-mostratoche i riferimenti almartiriodell'infanzia,allamaledizionedel poe-ta e alla sua vocazionedivina siano to-poi letterari tipicamente romantici, eaddirittura c'è chi ha ritenuto «inde-cente» accostarli alla esperienza vis-suta, forte è la tentazione di alluder-vi, comeha fattoGiovanniRaboni nelpresentarepiùdi dieci anni fa leLette-reallamadrediCharlesBaudelaire.Dalla corrispondenza emerge in-

fatti il rapporto drammatico, profon-doe conflittuale, appassionatoe stra-ziante, tra l'autore de I fiori delmale esua madre, ed è inevitabile supporreche quella domanda Baudelaire l'ab-bia rivolta a se stesso almeno neimo-menti di maggiore desolazione e neifrangenti di più acuta rottura. Lostesso interrogativo se lo pone conti-nuamente il lettore dell'epistolariobaudelairianotantoèdecisivo il circo-lo vizioso vittima-carnefice derivatodal rapporto fusionale, di reciprocadipendenza.

Anchenella scelta odierna a curadiCinziaBigliosiFranck -quasi 300 lette-re edite col titolo Il vulcanomalato - sulritratto che si delinea attraverso il ven-taglio delle rare amicizie, delle relazio-ni letterarie spesso di convenienza, agiudicare dalle formule ipocritamenteelogiative o dalle lusinghe aVictorHu-gocomeaSainte-Beuve,e del fitto rap-porto col notaio Ancelle che per vent'anni amministrò con affettuosa parsi-monia i suoi sempre più scarsi averi,prevale il diario intimo costituito dalcorpusdelle letterea quel «perpetuo li-bro» che èMmeAupick, la sua «mam-ma... sempre la migliore delle donne...cara, buona madre... povera, caramammina...» attraverso il quale è pos-sibile ricostruire anche la lunga tor-mentatarelazioneconJeanneDuval.Nonmancano certamente altrimo-

tivi d'interesse - dal tema dell'esilio edellosradicamentoaquellodeldoppio,tra gli altri - che la Bigliosi Franck evi-denzia accuratamente con intuizionioriginali in prefazione. Ma ad avvince-reè il legamesegnato irrimediabilmen-te da una ferita d'abbandono che tra-

sforma un ragazzino affettuoso, «sem-pre in movimento, sempre irrequieto,sempreallegro»e conunospiritodi os-servazione non comune, in un adole-scente senza vocazione, che mal sop-portando la vita di collegio si immalin-conisce e s'impigrisce covando un se-greto senso di rivolta che adiciott'annigli vale l'espulsione. Pressato dal do-ver raggiungere traguardi eccelsi per«soddisfare l'ambizione» materna, esentendosene incapace, si estranea, di-

viso tra sensi di colpa epropositi di ria-bilitazione, sempre più spaventato nelsentire«arrivare lavita».La vetta la raggiungerà per altre

vie, a prezzo di un calvario riversatoimpietosamentenel cuore dellamadrecui nonperdonadi aver interrottobru-scamente l'epoca felice di «amore ap-passionatoe tenerezze infinite»dell'in-fanzia. «Quando si ha un figlio comeme, non ci si risposa» - accuserà l'adul-to che in unodei frammenti diMoncoe-ur mis à nu, confessa: «Sentimento disolitudine fin dall'infanzia.Nonostantela famiglia, - e fra i compagni di scuola,soprattutto,- sentimento di destinoeternamente solitario. Eppure, gustomoltovivodellavitaedelpiacere».Finalmente libero, vi si abbandona,

ma per evitargli le cattive compagnieparigine, ovvero tipi come Balzac eNerval, giovani poeti bohémiens e qual-che prostituta, il generale Aupick,l'usurpatore verso il quale ha tuttavianutrito un affettuoso rispetto filiale, locostringe a imbarcarsi per le Indie,con l'obiettivo di un'improbabile quan-to controproducente rieducazione.Cresce il disagio di vivere che con la

maggiore età e la disponibilitàdell'ere-dità paterna esplode in trasgressionied eccessi, un vertiginoso dispendio disé e della metà del suo patrimonio insoli tre anni. Nonostante le suppliche,la madre non impedisce l'interdizionee la tutelagiudiziaria.Le lettere si dira-dano, al tu subentra il voi, all'affetto e

alle richieste d'aiuto si mescola la rab-bia, il rancore, laminacciadi scompari-rementre in un «ripugnantecontrastotra onorabilità spirituale e vita preca-ria» comincia «l'orrore del domicilio»sballottato tra pensioni familiari e al-berghetti, inseguitodai creditori, tortu-rato dall'ansia di realizzazione di pro-getti di cui è prodiga la sua immagina-zione. Intanto,con l'operachehapresocorpo, ecco la redenzione e la consape-volezzadella gloria futura.

Piùdi dieci anni dopo, nel 1857,mor-to il generaleepubblicati I fiori delmaletra «odi eunbizzarrosuccesso», alle ri-mostranze di lei che rifiuta di vederloperché si sente disonorata dallo scan-dalo e dal processo provocato da queiversi, risponde: «Credo, veramente,mia cara madre, che voi non abbiatemai conosciuto la mia insopportabilesensibilità. Attualmente siamo debolientrambi... Se cercassimo una buonavoltadi essere felici l'unoper l'altra?».Il sogno di ritrovare l'antica felicità

accanto alla madre, non si realizza.Procrastina l'arrivo aHonfleur, subor-dinandoloa realizzazioni che finalmen-te risarciscano il suo idolo. Progettaopere in cui riversare «un odio selvag-gioverso tutti gli uomini...Nonmi stan-cherò mai di insultare la Francia», 11ott. 1860; vuole vendicarsi alla grande,«come un uomo che non ama più nien-te, ma che odia il suo paese», 6 giugno1862; e poiché la morale borghese gli«fa orrore», vuole esprimere tutte leragioni del (suo) disgusto per il genereumano, 13 nov 1864. Da Bruxelles dovehacercatoper l'ennesimavoltadi risol-levarsi le confessa: «Posseggo la scien-za della vita,manon ho la forzadimet-terla inpratica»e la supplicadi distrar-si nonostante «il cuore gonfio di dolo-re». Poteva essere altrimenti?E' il feb-braio 1865.Avvilimento,debolezza,pal-pitazioni, coliche, idea fissa della mor-te: il figlio che seguita a invocare la suabenevolenza, come «il bambino vergo-gnosodi sempre»,non le risparmianul-la del progressivo disfacimento culmi-nato l'anno dopo nell'ictus, la paralisi el'afasia. Madame Aupick, più vittimadella morale borghese che di un senoavaro, andò a riprenderlo, non ci funessun'altra epoca felice e Baudelairemorì il 31 agosto 1867, a46anni.Il libro terribile contro il mondo re-

stò allo stadio dei frammenti ma il suoveroMon coeurmis à nu lo aveva già af-fidatoall'epistolario.

del reale (finalmente tradottol'anno scorso da PostmediaBooks: Il ritorno del reale.L'avanguardia alla fine del No-vecento, pp. 247, ! 21), soste-nendo come caratteristica delnostro tempo sia «un'insoddi-sfazione legata al modello te-stualedella culturae alla visio-neconvenzionaledella realtà»(fenomeni questi, appunto,squisitamente postmoderni):solo che il reale, prima «re-presso», è tornato «in chiavetraumatica». In altri termini:proprio perché semprepiù con-sapevoli della costitutiva ir-raggiungibilitàdel reale, e pro-prio perché del reale, social-mente, siamo stati resi vedo-vi, tanto più quel reale deside-riamo avvicinare, toccare,consumare. E lo facciamo in

maniera semprepiù violenta: si-no, appunto, a ingurgitarlo spa-smodicamente.Per la verità, secondo Alain

Badiou tutto il Moderno è statodominatodalla «passionedel re-ale».Ma se il Reale è il Trauma,il tempo dominato dalla sua«passione» non può che essereil «secolo della guerra» (Il seco-lo, Feltrinelli 2006, pp. 201,! 18).Non è un caso che sia pro-prio da un quindicennio a que-sta parte, da quando appuntol'emozione culturale della guer-ra è stata fruita da un pubblicodi massa sugli schermi televisi-vi - e anzi essa nel palinsesto s'èintrodottacome spettacoloa tut-ti gli effetti -, che la nostra famedi realtà ha raggiunto livelli diguardia. Ed è stato sui fatti dicronaca più sanguinosamenteefferati che il voyeurismotelevi-sivo s'è incrudelito, sino a for-me di vero e proprio vampiri-

smo.Tutti, volenti o nolenti, sia-mocostretti a sapere chi siaAn-namaria Franzoni (anche senon è dato sapere chi davverosia; proprio da questo, anzi, c'èda supporre dipenda il suo di-scutibile fascino), dunque nonpuò stupire che decida di pub-blicareun libro.Che sempre più si dipenda

dai fatti, e anzi dai fattacci, nonè affattounbuonsegno. Supera-to un certo livello di saturazio-ne, l'indignazione lascia il passoalla fruizione spettacolare, cioèpassiva. Quella della realtà di-venta addiction, una dipenden-za come dalla droga: ormai sia-mo tutti fatti di fatti. Così la real-tà diventa reality: che è poi laversione odierna, tecnologica-mente ed eticamente aggiorna-ta, del trompe-l'oeil. Giusto ilcontrario del reale, cioè: dovepiù nulla traumatizza - e tutto,maproprio tutto, si consuma.

LAMADRECOMEUNFIOREDELMALE

Baudelaire Un rapporto drammatico,profondo e conflittuale, appassionatoe straziante documentato dalle lettere

Famedi realtà o di reality?Segue da pag. I

CHARLES BAUDELAIREIl vulcano malatoLettere 1832 - 1866a cura di Cinzia Bigliosi FrankFAZI, pp. 560, !24,50

Dall’adolescenza a poche oredall’ictus che ne segnò la morte:una scelta della «Correspondance»edita nella Pléiade di Gallimard,in due tomi, a cura di Claude Pichois

IL LIBRO

«Baudelaire che legge», particolare dell’«Atelier du peintre» di Courbet, 1855

Nel «Vulcanomalato»il circolo viziosovittima-carneficederivato dal rapportodi reciproca dipendenza

Il dover raggiungere eccelsitraguardi per «soddisfarel'ambizionematerna»lo divide tra sensi di colpae propositi di riabilitazione

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I personaggi TuttolibriSABATO 9 GIUGNO 2007

LA STAMPA III

Per duecento anni nel Nilo si ècelato un segreto sconvolgente.

Elio Sparziano è pronto a rischiarela vita per farlo riemergere.

Nella Roma imperiale nasce un nuovo investigatore

BEN

PASTORROMANZO

IL ladro d’acquaIL ladro d’acqua

BEN

PASTOR

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Page 4: 2007-06-09

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - IV - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/06/07 19.58

CRISTINA CAMPO

Letterea Leone Traverso= Dal 1953 al 1967, di lettera inlettera un’amicizia amorosa. Fra lascrittirce «mistica» CristinaCampo e il grecista e germanistaLeone Traverso («Caro Bul»,Adelphi, pp. 214, ! 19, a cura e conuna nota di Margherita PieracciHarwell). «Come tutti i sui rapportidi amore - spiega la curatrice -,quello con Traverso ha radice nellacondivisione dell’esperienza,fondamentale per lei, del leggere edello scrivere. Nell’esplorazione diquella figura del “mondo dietroquello vero” che è la letteratura».

BIANCIARDI

Fuorigiocoche passione= Intellettuale hors-catégorie,fu Luciano Bianciardi, e, quindi,naturalmente fuorigioco.Addirittura oltre, tale la suaidiosincrasia per le regole (è infattiuna norma a definire i confini,stabilire chi è in gioco e chi è fuori).«Il fuorigioco mi sta antipatico,come tutte le regole».«Il fuorigioco mi sta antipatico»(Stampa Alternativa, pp. 379,! 16,50) accoglie lacorrispondenza che Bianciarditenne con i lettori del «GuerinSportivo» di Giuan Brera negliAnni Settanta. Il calcio, i politici, gliintellettuali, l’Italia tra il boom e glianni di piombo, un journal mai liso.

AL GIRO

Scrittoriin bicicletta= Meditando sul Giro d’Italiaappena concluso, cercandoeventuali corrispondenze nellepassate (remote) edizioni. «Lacoda del drago» di AlbertoBrambilla (Ediciclo editore, pp.217, ! 14) è la corsa rosaraccontata dagli scrittori,sapientemente mescolati:Campanile e Buzzati, Gatto ePratolini, Ortese e Testori.

ESORDIO

Non piùdi 15 libri= E’ nata una collana a termine,«Quindicilibri», per Fandango,diretta da Alessandro Baricco eDario Voltolini. Quindici e non dipiù gli autori che accoglierà.Debutta Arianna Giorgia Bonazzi,udinese, con «Les adieux» (pp. 104,! 10). Una ragazzina senza nomecresce educata dai nonni in Friuli.

pp Gianni Murap GIALLO SU GIALLOp FELTRINELLI, pp. 227, ! 14p ROMANZO

pp Paolo Colagrandep FÌDEGp ALET, pp. 205, !12p Marco Candidap LA MANIA PER L'ALFABETOp SIRONI, pp. 299, ! 14

SERGIOPENT

Quando la letteraturasi nutre di se stessa è in aggua-to il rischiodell'artificio. Il libroche nasce dai libri e ricercatracce di estrema sperimenta-zione, giocando a rimpiattinocon le metafore e navigando avistanell'oceanodi tutte le cita-zionipossibili, èmercedi scom-messa più che d'emozione. Siparte dal presupposto di rein-ventare gli schemi, aggiornan-dolimagari a esigenzemediati-che, contestualizzandoli in unarealtà che è di per sé l'estremascommessa in un presente

men che provvisorio. Giochi diruolo, in un certo senso, azzardiin grado di richiamare il puntofermodi un tale Calvino, che conSe una notte d'invernoun viaggia-tore riuscì nel magico intento dirappresentare «l'oggetto-libro»attraverso l'intero universo del-le risorse, umane e letterarie. ACalvino affianchiamo Perec eQueneau, magari anche i nostriManganelli, Arbasino e il primoSanguineti, nomi in gradodi edi-ficare imuriportantidelpassatoNovecento, rimettendo ogni vol-ta in gioco i canonici adulteri dimadameBovary.Paolo Colagrande e Marco

Candida,pur attraversorottedi-verse, sembrano agire quasi incomplicitàsu tematichesimilari,che hanno al centro del discorsola scrittura, vissuta più comeestrema, assoluta fobia che co-memestiere - o divertissement -in grado di ristabilire precariequilibri interni. Sono scrittori oaspiranti tali, i protagonisti delFìdeg di Colagrande e di La ma-nia per l'alfabeto di Candida. So-no provinciali di lusso che simuovonocon lucidaeunpo' follecircospezione in un contesto so-ciale grigiastroe apatico, più im-piegatizio-burocratico che pro-iettato a una rappresentazioneinterattivadellamodernità.IlBisi diColagrandehaperso

per distrazione le millecinque-

cento pagine della sua «Storiadegli eroi di pace e di guerra daGaribaldiai giorni nostri», e si ri-trova a lavorare sulle ipotesi diuna sempre più precaria rico-struzione testuale destinata ascontrarsi con la presenza in-gombrante dei mostri sacri, daEco a Kundera, da Calvino a Ci-rano di Bergerac, ma anche daSandro Veronesi a Mina. La ri-cerca di una conferma postumalo mette di fronte al bisogno dicreare una figura diversa, quellasorta di antieroe che viene a col-locarsi con più realismo in unasocietà tutto sommato casuale eillusoria, in cui ognuno può cre-dersi ungrandescrittore, pagan-do il giustoprezzo.IlMichelediCandidarasenta

invece la follia con l'ossessioneper la purezza linguisticaassolu-ta, disseminando la suavitadi fo-gli, foglietti e post-it che traboc-canoda taschee cassetti.Miche-le scrive da sempre, alla ricercadel romanzo perfetto che ha giàiniziato centinaia di volte, inse-rendo dettagli che rinnovanopuntualmente l'intenzione emo-dificano la realtà stessa, aggrovi-gliata in un «conglomerato bitu-minoso»di storie, eventi e perso-naggi che riportano al mestiereprimario del protagonista, ad-detto alla Qualità in una dittaproduttricedi asfalto.

IPOTESI SURREALII toni del romanzo di Candidasfiorano ipotesi surreali nel gio-co fantastico di una specchiatu-ra deforme della quotidianità. Iltesto di Colagrande si evolve suunaderiva più ironico-riflessivache mette in gioco, alla fine, lanecessità stessa della scrittura.In entrambi i casi, la volontà diincunearsi in un tentativo di ri-pensare ilmestiere dello scritto-re, la sua utilità «sociale», si pie-ga a una necessità primaria diridefinire i ruoli, ragion per cuinessunodei due autori ha sceltodi esordire con un vero roman-zo, ma con tutta una serie dicongetture anche antropologi-che destinate a lasciare in so-speso qualunque definizione diletteratura. Che è di per sé un'ossessione, potremmo dire, perchi se ne lascia ancora sedurre.Due non-romanzi a modo lo-

ro esemplari, colti e sarcastici,che delineano le idiosincrasiedella scrittura in un presentesempremeno disposto a trastul-larsi con le parole, preferendola volgarità di una strumentaliz-zazione mediatica che rendeprotagonisti anche gli analfabe-ti della cultura. Nella ricercadella parola giusta, del roman-zo giusto, Colagrande e Candi-da danno invece vita a nuoveipotesi di lettura del presente,con una solidità strutturale elinguistica tutt'altro che daesordienti.

GIUSEPPEMARCENARO

Leopardi non lo vide.Non si saprà mai come loavrebbe giudicato. Quandonel 1839 uscì per la primavolta, due anni dopo la mor-te dell'infinito poeta, suscitòscalpore. L'autorità fecebruciare le copie di Ginevrao l’orfana della Nunziata(ora, a cura di V. Guarraci-no, per Aragno, pp. 376,!30) e l'autore del romanzo,Antonio Ranieri, fu incarce-rato per alcuni mesi. Non nevaleva la pena.La storia di Ginevra ha

tutti i colori del feuilleton,con avvio in un ospedale perderelitti dove, fanciulla, vie-ne raccolta da una donna dimalaffare… Fino a quando,dopo oltre trecento pagine,e averne passate, l'«eroina»muore sgravando la sua vitaal padre confessore.Lo scalpore, più che le

tinte del romanzo, fu la«chiave» della vicenda: il pa-

triottico autore denunciava ildegrado umano e le vergognedel servizio di assistenza del-lo Stato borbonico. Al di làdello scandalo «sociale»,l'opera di Ranieri era attra-versata da un'ostinata acri-bia d'accumulo, il «Madami-na il catalogo è questo» di tut-ti gli esempi negativi raccon-tati con sadismo espressioni-sta, condito da una furiosa in-sistenza su dettagli laidi a ef-fettaccio scatologico; umornero mélangé al sentimentalpopulistico che fa venire inmente l'amorevole trasportodi Santa Caterina da Genovaper le pustole degli appestati;e una sceneggiata napoletanada quartieri Spagnoli conl'ineffabile donna Concettadal cuore fatto a sacchetto diquagliata.Se Ranieri non avesse por-

tato, etichettati su di sé, que-sti bei «caratteri», vi sarebbeda dubitare seriamente sullasua coabitazione con Leopar-di. Mai sarebbe cominciata.

L'uggiosa filantropia e la pas-sione per il dettaglio escre-mentizio non sarebbero tutta-via da rimproverarsi fino infondo al «povero» Ranieri, do-vendo egli subire gli stizziti«vojo antola» dell'angelicocontino che, schiavizzandolo,lo mutò in un ignaro precurso-re di Sacher-Masoch. E, aonor suo, circonfuso da unabella botta d'onestà, Ranierievitò di sfruttare a proprio fa-vore la preziosa intimità colpoeta della ginestra. Salvo, al-la fine, ritagliarsi una fettinadi santità con un pastiche dimelensaggini, cui diede il tito-lo di Sette anni di sodalizio conGiacomo Leopardi, rievocandoi turbolenti desiderata delsuo convivente per gelati econfetti di Sulmona.Con stile contorto e magni-

loquente Ranieri mostrò «ilsublime spirito» di Leopardi;dandoci dentro con il pazien-te merito, l'«apostolato» e «l'ineffabile olocausto» suo edell'«angelica» sorella Paoli-

na (fatalmente omonima del-la sorella di Leopardi). Quan-do, ormai settantaquattren-ne, rispettabile avvocato, de-putato, possidente, pieno dionorificenze, socio corrispon-dente della Crusca, passaticinquant'anni nel «più religio-so silenzio», Ranieri rese uffi-cialmente pubblici i celebratisette anni, l'onore delle lette-re gli venne di riflesso e noncerto per quel suo antico ro-manzo che tutti avevano or-mai dimenticato.Lecito chiedersi, senza la

comunanza con Leopardi, chimai sarebbe Antonio Ranieri.E siccome tutto sembra averesenso, pur nell'insensatezzadel tutto, si può tentare di ri-leggere Ginevra o l’orfana del-la Nunziata per vedere, senzail paracadute che coniuga perl'eterno Antonio al grandeGiacomo, se lo «scrittore» Ra-nieri possa trovare - magari alivello di curiosità letteraria -l'onore di una nota a pie' di pa-gina. In corpo sei.

BRUNOQUARANTA

Ci salverà la lettera-tura?Per cominciare ci evite-rà di essere scambiati per as-sassini in Francia. Chi cono-sce Cadou, un suo verso, al-meno, «al massimo può am-mazzare le mosche e le zan-zare, mai una donna o un uo-mo». Così sentenzia il com-missario Jules Magrite (ana-gramma di Maigret, ça vasans dire) in Giallo su GiallodiGianniMura.Perché il bretone volto

del nostrano giornalismo(munito di pipa e di ceratapar d’averlo visto in un bi-strot dell’isola di Ouessant,aspettando che il montonerosolasse, o nella Dieppe diSimenon) ha voluto onorareromanzescamente la GrandeBoucle. Intrecciando tre sen-tieri. La corsa in sé, di tappain tappa, ogni tappa comescandita, a passo di cronaca,così nitido il passo, così indif-ferente ai grilli proustiani,eppure mai ovvio - al Tour siva «anche per cambiarescrittura una volta l’anno,per essere insieme cronista ecolorista». Un esempio? «LePuy-en-Velay.Ma quanta Ita-lia, in questa città che Geor-ge Sand giudicava più belladelle più belle d’Italia (forseaveva bevuto troppa Vervei-ne)». Il filo delittuoso (sfilano

i caduti, due omicidi volontari,un omicidio colposo, un suici-dio, ogni croce corredata di unsigillo, beninteso, giallo). Il ri-chiamo enogastronomicocul-turale, a cui Mura raffinata-mente, generosamente obbedi-sce, eco dei grand gourmetfrancesi che affascinavanoPio-vene: «Intorno agli animali al-lo spiedo dovevano sembrare imanagers intorno a un ring».Giallo su giallo. Di giallo in

giallo. Quanto è banale il male.Non a caso Mura - magistermai pedante, come non ricor-dare l’Arp di Azzurro tenebra?- allestirà il finale coup dethéâtre al Père Lachaise, fra ipoeti che non esitarono a di-stinguere: le Tenebre e le lorocaricature. Approverebbe,l’amatoEluard: «...noi vivi soloper essere fedeli / Alla vita»,alla sua autenticità, nel Bene enelMale.E’ soprattutto, Giallo su

giallo, un’àncora per naufra-ghi: cibi, vini, buoni libri, can-zoni, il culto della fratellanza,intesa alla stregua di una pro-fezia. Dédé, il direttore della

«Petite reine» - il cuore pugna-lato, la gola recisa - è l’alfieredi una carovana ideale, chemai deraglia: «Meglio il rossodel bianco, meglio il fiotto del-la goccia,mai essere avari, me-glio un’ora con gli amici cheun’ora inmeno, meglio dieci ri-ghe in più che dieci in meno,qualcuno le taglierà. Meglio laverità della reticenza o dellabugia. E così sia».«Scrivo e detto». Le sia lie-

ve, Mura, il Tour prossimoventuro, fra una preghiera diJammes, il cassoulet (evocan-do la breriana cassoeula),L’ab-sent di Becaud, lo Champagnedell’Aube...

TRAEROIEPOST-ITCHEFOBIE

Ranieri «Ginevra o l’orfana dellaNunziata», un feuilleton aNapoli

Mura Delitti, cibi, vini, buoni libri,canzoni, il culto della fratellanza

GIALLOTENEBRAALTOUR

Colagrande-Candida L’esordiodi due sarcastici provinciali di lusso

Illustrazione da «Supereroi e superpoteri» (ed. Castelvecchi)

TRA IDERELITTICONL’AMICODILEOPARDI

Napoli: la lapide sul palazzo in cui morì Giacomo Leopardi

Finale di partitaal Père Lachaise,a indagare èMagrite,l’anagrammadel commissario Maigret

Narrativa Italiana TuttolibriSABATO 9 GIUGNO 2007

LA STAMPAIV

Letture

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Page 5: 2007-06-09

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - V - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/05 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/06/07 19.58

BRUNOGAMBAROTTA

Se siete fra coloro che amanotuffarsi e perdersi fra le paginedi undi-zionario,meglioancoraseetimologico,questo libro fa per voi. E se ancora nonlo siete, dopo averlo letto, lo diventere-te.GianLuigiBeccaria, accantoal lavo-rodi storicodella lingua italiana,prose-gue nel suo parallelo percorso di «nar-ratore»delleparoleeTra lepieghedelleparole ne rappresenta per ora l'ultimatappa. Un'affermazione di principiospiega il titolo: «Il passato vive ognigiorno nel nostro presente, celato trale pieghe delle parole. Dietro di esse sinascondono le tracce della storia, pic-cola e grande». Le parole sono dei pa-linsesti a nostra disposizione sui qualile tracce precedenti sono state cancel-latesolo inapparenza.Riscoprirequeste traccecon l'aiuto

di Beccaria, esserne consapevoli, cipermette di affacciarci sul pozzo deltempo, come lo chiamava ThomasMann.Usare le parole senza conoscer-ne la storia è comepasseggiarenel cen-tro storico di una delle nostre cittàignorandochi abitavaun tempo inquelpalazzi, cosa è successo su quelle piaz-zeprimadel nostro arrivo.Epoi nondi-

mentichiamo il piacere della scoperta:«Leggereundizionario etimologico è co-me leggereunromanzo.Apri alla letteras e trovi che la parola salario rispondeall'usanza nell'antica Roma di pagare letruppe con una certa quantità di sale».Prendiamo scapolo: a Venezia scapulusera ilmarinaiocheaveva finito il periododell'arruolamento, era dunque libero. Inlatino capulus è il cappio, con un ex da-vanti era «libero dal cappio» che è giàunabella immaginedelmatrimonio.Beccaria traccia la mappa completa

dei suoi scandagli lessicali, dallo statodell'arte («muore una lingua ogni duesettimane»), alle ricostruzioni, alla stra-tificazioni,ai nomidi persona,dei luoghi,alla deonomastica che sarebbe lo studiodei nomi propri che «per non morirehanno perso la maiuscola». Apprendia-mo così che silhouette deriva da Etiennede Silhouette, dal 1759 controllore gene-rale delle finanze che perse la carica perimpopolarità dopo pochi mesi e passò asignificare un'apparizione fugace, unprofilo appena abbozzato. Mio padre,perdefinirequalcunocheeccellevanellasua arte, lo chiamava farinel, in ricordodi Farinelli, nome d'arte di Carlo Bro-schi, il più grande sopranista di tutti itempi. Quanto ai toponimi, «veri e pro-

pri fossili dellageografiaumana»,Becca-ria lanciaun appelloa noncambiare i no-mi dei paesi e delle vie pernon cancellar-ne la storia. Tarquinia si chiamava Cor-neto; durante la rivoluzione franceseGrenoble, a causa di quello scandalososuffisso «noble» divenne Grelibre! Ag-giungiamo all'elenco il caso di Portolon-gone diventata Porto Azzurro per can-cellare il ricordodel penitenziario equel-lo di una località in provincia di Asti: ilveronomediBelveglioèMalamorte.Per i toponimi è facile cadere nei

fraintendimenti: i vari Pescocostanzo ePescopagano non derivano dalla colti-vazione di alberi di pesco ma da pescoche nel dialetto tosco umbro significa«roccia, masso che sporge». Quanto ainomi di persona apprendiamo che Bi-scardi è un cognome di origine norman-na e questo spiega in parte il duellomortale che il popolare conduttore con-duce contro la lingua italiana. Nel capi-tolo dedicato ai nomi del «diverso»,Beccaria affonda il suo affilato bisturinelle parole che lo indicano, spie indi-ziarie di un pregiudizio duro a morire.Da barbaro in poi, lo straniero è unoche non sa parlare la nostra lingua, chebalbetta. «Slavo deriva da slovo che si-gnifica parola e vorrebbe dire colui cheparla inmodo comprensibile».

RUMENTA E SABOTTra le pieghe delle parole non è una sem-plice raccolta di curiosità e di stranezze,unaWunderkammerdi parole e della lo-ro origine, ma una meditazione appas-sionata sulla centralità della lingua e uninvitoaprendernecoscienza:«Culturaèuna realtà mentale, e la lingua rappre-sentazionementaledella realtà, un siste-ma di classificazione e comunicazionedell'esperienza».Come dimostra Beccaria, fra i pasto-

ri esisteunampioventagliodipossibilitàper nominare una pecora, una capra ounamucca a seconda del suo stato e delsuo aspetto. Come non ricordare allorache il piemontese ha molti nomi per laspazzatura, una vera e propria raccoltadifferenziata ante litteram? Rumentaper i rifiuti, banastre per le masserizie,drugia per il letame e sghicia per quellodegli animali da cortile, poi c'è roclò, ar-nese in pessimo stato, la rungia avanzodel pasto, i ciarafi, frammenti di pococonto e infine la rusca, polvere di concia.Dallo studiodelle parolediscendeuna le-zione morale: «per la lingua non esisto-no barriere protettive». Così come esi-ste un moto browniano per le molecoleneesiste unoanalogoper leparole,mole-cole del linguaggio. Sabotare significapropriamente infilare i sabot, gli zoccolidi legno negli ingranaggi dellamacchinaper bloccarla. Il cattivoun tempoera so-lo il prigioniero; siccomeperò il non con-vertito al cristianesimo era captivus dia-boli, prigioniero del diavolo, la parola sicaricòdellavalenzanegativa.Infine Beccaria dimostra una volta

per tutte che non esistono lingue più im-portanti e altre meno e che non si puòtracciareattraverso i proverbi lamappadi una presunta piemontesità o siciliani-tà che peraltronon si sa nemmeno in co-sa consista. Chi vuole erigere barriere,confini o discriminazioni non cerchi lesuemunizioninel vocabolario.

IL LIBRO

CARLO FRUTTERO

Ti trovoun po’ pallida= Lo firma Carlo Fruttero. Manon è avaro di orme gemelle,alias Franco Lucentini («ConFranco ci parlammo al telefono,è chiaro»). Riappare, sulla sciadi «Donne informate sui fatti»,il racconto , una ghost-story, «Titrovo un po’ pallida»(Mondadori, pp. 85, ! 12),uscito la prima voltasull’«Espresso» nel 1979. Locorreda - qui la novità - un«backstage», una sapidagalleria, tra letture , vacanze,amicizie, monumentale la figuradi Pietro Citati («Arrogante,sprezzante, tagliente, è semprelui l’unico ad aver capito tutto.Gli autori di cui non si occupanon esistono»).

RITRATTO

A colloquiocon Einaudi= «La linea da seguire èquella che la Einaudi ha sempreseguito e sviluppato nel tempo,del saggio di qualità, anche dialta cultura, sia monografie chesaggi di ricerca, su tematicheche vogliono aprire nuoviorizzonti in tutti i campi.Favorire i libri di culturascientifica ma non separarsidalla cultura umanistica». E’ unavoce di poco fa, un maggioredell’editoria, Giulio Einaudi,raccolta da Severino Cesari in«Colloquio con Giulio Einaudi».Uscita la prima volta per i tipi diTheoria nel 1991, ritorna ora daEinaudi (pp. 243, ! 10,50): dalleorigini alla grande crisi degliAnni Ottanta, mai smarrendo larotta, tali i timonieri delloStruzzo nel tempo: da LeoneGinzburg a Vittorini a Calvino.

CAMURRI

L’Italiadei miei stivali= Tenendo in gran dispitto iluoghi comuni, EdoardoCamurri, philosophe d’indolelonganesiana, veste la divisadell’antitaliano in «L’Italia deimiei stivali» (Rizzoli, pp. 199,! 15,50). Turismo, cultura, città,bellezza, ideologia. Un viaggio àrebours, sotto braccio a mirabilieccentrici, da Flaiano aCeronetti, da Bruno Barilli, alribelle, «irrazionale», Papini:«Una peste mortale diebetudine ci intorbida l’aria e cimozza il respiro». Ieri, oggi,domani.

GIAN LUIGI BECCARIATra le pieghedelle paroleLingua storia culturaEINAUDI, pp. 230, !19,50

«Questo libro non è per specialisti - scrivel’autore in Premessa. Lo considero unaintroduzione rivolta a neofiti colti. Maanche agli inappetenti, perché provino agustare il piacere della parola... Il passatovive ogni giorno nel nostro presente,celato tra le pieghe delle parole»

Particolare da un manifesto di Dudovich: nel suo saggio «Tra le pieghe delle parole» Beccaria offre anche un ritratto dei costumi italiani

Gian Luigi Beccaria Un’affascinante discesa nella lingua italiana,un viaggio nel tempo scoprendo le tracce della storia, piccola e grande

TESORIDI PAROLEINFONDOALPOZZO

Percorsi TuttolibriSABATO 9 GIUGNO 2007

LA STAMPA V

Letture

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - VI - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/06/07 19.58

LESPIETRABALLOESOGNO

F.X. Toole «Abordo ring», personaggi perdentie tuttavia ostinati: di round in round, come un epico film

ALOSANGELESULTIMACHANCEPER ILBOXEUR

Le Carré Torna a essere il migliorecon una storia di Servizi e disincanti

ILCONGODELQUALIFICATOINTERPRETE

MASOLINOD’AMICO

F.X.Tooleè lopseudo-nimo del misterioso ex pugile,exallenatoredi pugili edex se-condo sul ring, specializzatonelle cento alchimie lecite e il-lecite con cui arrestare mo-mentaneamente un’emorra-gia, chiudere un taglio o rad-drizzare un naso fratturato, icui affascinanti racconti (pub-blicati anche in Italia come Losfidante, 2001), pieni di piccolerivelazioni su come si svolgo-no i combattimenti ispiraronol’ammirevolee superpremiatofilm di Clint EastwoodMillionDollar Baby. Toole o comun-que si chiamasse non fece intempoa vedere quel successo:era debole di cuore, e venne amancare poco prima, senzaneancheriuscireacompletarel’operacuipiù teneva,ungran-dioso romanzo sulla boxe dicui aveva scritto circa nove-centopagine.Quellepagineso-no diventate il libro odierno,opportunamente aggiustate

dall’agente letterario di Toole,taleNatSobel,edauneditor fre-elance, tale JamesWade, cui vala riconoscenza sia dei figli diToole, sia di James Ellroy auto-re di una breve e succosa pre-sentazione,sia,perquelchepuòvalere, lamia.QuestoAbordo ring infatti ol-

tre a contenere la summa delleesperienze vissute dall’autore -e volentieri vi ritroviamo la de-scrizione dell’armamentario ditrucchidel bravosecondo; l’ana-lisi dei pregi e dei difetti di bo-xeurs così ben ritratti che cisembra di averli visti combatte-re; l’atmosfera delle palestre, itonfidei sacchipercossi,gli stra-tagemmi dei manager e via di-cendo -mette sul tavolo la filoso-fia di chi fa della nobile arte lapropria esistenza, trasmetten-done ad altri oltre alla tecnica,certe indispensabili nozioni distoicismo,coraggio,perseveran-za, lealtà. Intendiamoci, qui nonsiamo nel mondo della grandeboxe, ma in quello piccolissimodeidilettantiche cercanodi pas-

sareprofessionisti,edei loropri-mi avversari, che sono profes-sionisti di seconda o terza cate-goria, disposti a battersi per in-gaggida fame, rassegnatia subi-re ingiustizie, ignari, spesso, delfatto di essere sfruttati da orga-nizzatori che li vendono comecarne da macello. I personaggisonotutti o sonostati pesi legge-ri, di quelli che di solito sono im-pegnatinegli incontriprelimina-ri di una serata, aperitivi alloscontro dei colossi, dove sonopuntati i veri riflettori.

IL SENSO DELL’ONORELa storia non bisogna antici-parla,ma dirò che sarebbe pia-ciuta moltissimo a Sergio Leo-ne, perché coinvolge personag-gi perdenti e tuttavia stoici eostinati, dal vivo senso del-l’onore e della dignità persona-le. I principali tra costoro igno-rano la reciproca esistenzamasono uniti da un episodio cru-ciale del passato, e pertanto av-viati verso un incontro decisi-vo, che a quel passato darà un

senso, rimarginando anticheferite ovvero compiendo unasacrosanta vendetta. Propriocome nei film epici di SergioLeone, inoltre, la narrazioneprocede senza fretta, con usodi flashback e con grande ecompetente presentazione didettagli - le suaccennate lezio-ni di boxe, ovviamente, ma an-che indugi della macchina dapresa su ambienti spessosquallidi (alberghetti, palestrecadenti, ristorantucci nottur-ni, menù da fastfood di terz’or-dine). Le due storie convergen-ti riguardano rispettivamenteDanCooley, un ex pugile di ori-gine irlandese che ha avuto lacarriera stroncata da un inci-dente sul ring e ora gestisce aLos Angeles una carrozzeriaper auto con palestra per la bo-xe insiemecon un altro ex pugi-le ma negro (sì, come Clint Ea-stwood eMorganFreeman, so-lo che questi sono omini sotto isettanta chili), e Chicky Garza,diciottenne aspirante pugiletexano di origine messicana.Dan è un uomo profondamen-te segnato dalla vita, avendoperso tragicamente prima unfiglio, poi la figlia che gli ha la-sciato un nipotino, l’undicenneTimPat dall’apparente talentoper la boxe ma destinato a unafine prematura anche lui. Chi-cky avrebbe doti naturali e de-terminazione per diventarequalcunonel pugilato,ma oltread essere per sua disdetta unmancino che i pugili impostatinormalmente non gradisconoincontrare, non viene adegua-tamente protetto dal nonno,un ex pugile ormai schiavo del-la droga, e risulta fragile predadi impresari che vogliono solousarlo per far fare carriera alloro pupillo. Deluso, Chicky de-cide di concedersi un’ultimaoccasione trasferendosi a LosAngeles, ma anche qui la suainesperienza lo tradisce...Le due storie parallele pro-

cedono lentamente e solenne-mente, ma sempre irresistibil-mente, verso la fatidica conver-genza che ovviamente ci aspet-tiamo. Ecco: sembrerà para-dossale, ma proprio grazie allecondizioni in cui il romanzo ciperviene, ovvero al lavoro deidue editor, questa convergen-za e il finale con relativo chiari-mento dei vari crucci sospesi(nel caso di Dan, da più ditrent’anni) giungono con unarapidità benvenuta, quandoper quanto ormai rassegnati alritmo del libro, cominciavamoad attenderli con una certa im-pazienza. Dopo avere un po’stentato nel primo blocco,quando non capiamo bene do-ve vada a parare, il romanzodi-ventadunque appassionante, eprimadi poter cessare di esser-lo, termina in gloria.

PIEROSORIA

John Le Carré tornaad essere il Migliore, in assolu-to, dopo anni di libri ondivaghi,metà fascinosi, metà irritanti,per certi versi incompiuti, conunastoriadi Servizi e di disillu-sioni, quasi avesse ritrovato al-l’improvviso la via smarrita(non la scrittura)sotto lemace-rie del Muro e sotto l’epitaffiodel suoamatissimoSmiley.Riecco dunque ne Il canto

della missione (Mondadori, pp.

349,!18,60) - il lutto definitiva-mente elaborato - lo stornellaredenso ed elegante di tutte quellesue notemagiche, leggere, ironi-che, amare, disincantate che neavevano fatto il principedelle ca-se dei segreti, concedendoci diguardare dal buco della serratu-ra il volto vero del potere e dellarealpolitik,dei suoi giochi subdo-li, dei tradimenti edelle suevana-glorie.Torna ad essere Londra il

suo centro delmondo. Con i suoivizi, le suemiserabili virtù, le cu-

pe atmosfere da dopo attentatoalla metropolitana e, soprattut-to, con i suoi linguaggi ambiguidove verità e menzogna non so-no mai evidenti, ma un florilegiodi brandelli nebbiosi da decritta-re.Equalemiglior sceltaper far-ne cogliere ogni più recondita eipocritasottigliezzasenondauninterprete«qualificato»?Nondaun semplice e banale traduttoresimultaneo, pur bravissimo, mada un vero e proprio stregone disuoni e vibrazioni, capacenonso-lo di coglierenell’aria lemille piùevanescentisfumaturedell’innu-merevole babele dei dialetti afri-cani, ma in grado di leggere an-che gli idiomi del corpo, gli alfa-beti di un sorriso o di un pianto, icodici di un silenzio e gli argot diun’anima.Questo mirabile impasto di

orecchio e sensibilità è una «ze-bra» figlia del peccato (nerama-dre congolese; padre bianco, colvolto di unmissionario irlandesefinito nel Kivu inseguendo il suonomadesognodi giramondodel-la fedeedellacarne).

Si chiama Bruno Salvador eha alle spalle una sofferta infan-ziaafricanaeunamenodolorosaadolescenza inglese, entrambe,però, sostenute da buonimento-ri in gradodi affinare le sue inna-te capacità d’ascolto e interpre-tazione. E’ dunque per questoche a ventotto anni, il nostro ècontesoda tutti, compreso il Ser-viziosegretodiSuaMaestà.Edèper questo che si trova immersoin un bieco affair anglo-congole-sedi conquiste, invasioni,merce-nari, doppiogiochisti, fazioni, tri-bù e neo fantasmi colonialisti aspartirsi miniere e petrolio e aimpoverire un popolo semprepiùpovero.Il nostro Salvador non solo

ascolta, ma ausculta, soprattut-to con la coscienza, che alla finelo fa reagire seppur nella sua lu-nare ingenutà. Null’altro da ag-giungere nella trama per nonraccontare gusti da assaporarepiano piano. Una sola nota: latraduzione di Stefania Bertola,anche lei molto «qualificata» in-terprete.

ANGELABIANCHINI

Esce ora, qui da noi,l'ultimo romanzo di JavierMarías Il tuo volto domani 2.Ballo e sogno, pubblicato inSpagna nel 2004, parte di unatrilogia iniziata con Febbre elancia, apparsa in Italia nel2003. Vi si ritrovano e s'incro-ciano, in realtà, così come ac-cade sempre con questo gran-de, prolifico e notissimo scrit-tore spagnolo, quasi tutti i te-mi a lui cari, che da anni for-mano la tessitura, tuttaviasempre varia e ricca di sor-prese, della sua narrativa.E questo, a cominciare dal-

le dediche; una diretta al suoantico professore di Oxford,Sir Peter Russell, dove si par-la di lunga influenza e anticaamicizia, e l'altra, a CarmenLópez M. («che magari vorràancora continuare a ascoltar-mi»), proiettata invece sulpresente. Carmen López è in-fatti la socia di Javier Maríasnella piccola, ma illustre casaeditrice nata nel 2000, che,con il nome di Reino de Re-donda,mitica stirpe dimonar-chi di una isola dei Carabi,pubblica (a detta del fondato-re stesso) «libri eccellenti,sconosciuti oppure esauritida tempo» di narrativa, saggi-stica o di viaggi e, in seguito,forse anche di poesia purchépiacciano a ambedue.Il tuo volto domani, come si

sarà capito, è un'opera aper-ta, basata soltanto sui gustidel suo autore, che potrebbeanche decidere di prolungar-la oltre la trilogia. Per il mo-mento, nel secondo volume,alternando la parodia alla tra-gedia, ritroviamo subito il te-ma inglese, fondamentale findai tempi di Tutte le anime.Questo, varrà la pena ricor-darlo, narrando l'esperienzadello scrittore come docentea Oxford, saldava per semprei suoi legami con la cultura an-glosassone e con Shakespea-re in particolare. Ma trovia-mo anche lo stesso protagoni-sta lasciato alla fine del primovolume: quel Jack o Jaime, Ja-cobo o come si chiama, che haper cognome Deza, e, andatoin Spagna, sposato, separatoe, di ritorno a Londra, in unasera di pioggia, apre la portaa una collega di lavoro, a noigià nota, che vuole chiedergliun favore.Da lì parte la vicenda, che

tratta, questa volta, di spio-naggio contemporaneo e non

dei ricordi della Guerra Civilespagnola, narrati pur con i suoilati misteriosi, nella secondaparte del romanzo precedente.Ma il lettore che conosca e

ami Marías già sa che i suoi at-tacchi contano quasi di più del-le vicende che seguiranno e,per questo motivo, assaporerà,sia pure con una certa ironia,quanto viene pensato e detto,in quella sera londinese sui peri-coli di aprire la porta a qualcu-no che intende chiedere un fa-vore. «Magari mai nessuno cichiedesse nulla - scrive Marías- e quasi non ci domandasse,nessun consiglio né favore néprestito, neppure quello dell'at-tenzione,magari non ci chiedes-sero gli altri di ascoltarli, i loroproblemi miseri e i loro penosiconflitti così identici ai nostri, iloro incomprensibili dubbi e leloro insignificanti storie tantevolte intercambiabili e già sem-pre scritte (non è troppo ampiala gamma di ciò che si può ten-tare di raccontare), o quelle

che anticamente venivano chia-mate afflizioni…» e continua:«Magari nessuno ci si avvici-nasse e dicesse "Per favore" o"Senti", sono le parole primeche precedono le richieste...».Alcuni critici hannomostra-

to, di recente, una certa impa-zienza verso la tendenza del no-stro scrittore, chiara fin dai pri-mi libri, ma ora portata all'estremo, del ridurre l'aneddotoin modo da superarlo poi attra-verso la riflessione e lo stile. Al-tri, invece, la vedono come la ve-ra e propria chiave della suanarrativa. E tale appare pro-prio attraverso le pagine di que-sto Ballo e Sogno, in parte thril-ler, in parte libro di spionaggio,pieno di pause anche stilistiche,ma sempre ricco di strani per-sonaggi (alcuni italiani, alcunispagnoli, debordanti di inven-zioni linguistiche) e sempre fer-vido della voglia di riprodurreun mondo, magari non impor-tante,magari neppure degno diessere riprodotto, e che tutta-via rimane per l'autore (ma an-che per il lettore) una sorta didono gratuito della vita.

Marías «Il tuo volto domani» attosecondo, tra parodia e tragedia

pp F.X. Toolep A BORDO RINGp trad. di Fabio Paracchini

e Simona Broglip prefazione di James Ellroy

GARZANTI, pp.438, ! 18,60

F.X. Toole è lo pseudonimo delmisterioso ex pugile, già autoredei racconti «Lo sfidante» chehanno ispirato il film di Clint Ea-stwood «Million Dollar Baby»

pp Javier Maríasp IL TUO VOLTO DOMANI. 2.

BALLO E SOGNOp trad. di Glauco Felicip EINAUDI, pp. 326, !19

Hilary Swank in «Million DollarBaby» tratto dai racconti di Toole

Javier Marías

Jack Deza, di ritornoa Londra, in una seradi pioggia riceveuna collega che vuolechiedergli un favore

Narrativa Straniera TuttolibriSABATO 9 GIUGNO 2007

LA STAMPAVI

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Page 7: 2007-06-09

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - VII - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/07 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/06/07 19.58

pp Alois Prinzp DISOCCUPATE LE STRADE

DAI SOGNIp trad. di Monica Marottap ARCANAp pp. 242, ! 14

pp TERROREAL SERVIZIO DI DIOa cura di Hans G. Kippenberge Tilman Seidensticker

p ed. it. a cura di P. C. Borip QUODLIBET, pp. 140, !14,50

GIORGIOBOATTI

Brutti tempi per laStoria, visto l'«uso pubblico»,sempre più spregiudicato,che ne viene fatto in funzionedei venti che spirano sul pre-sente. Questo andazzo, ormairicorrente, non ha risparmia-to neppure il pregevole sag-gio di Emma Fattorini, PioXI, Hitler e Mussolini. La soli-tudine di un papa che, appenapubblicato da Einaudi (pp.252, !22), è stato salutato dapolemiche di corto respiro,esplose ancora una volta a li-bro pressoché intonso.

Attraverso il quotidianodei vescovi italiani si è prov-veduto a un fuoco di sbarra-mento: evidentemente nelfortino arroccato attorno allabeatificazione in corso di PioXII è divampato il timore cheil libro fornisse munizioni eargomenti allo schieramentoanti-pacelliano. Da qui coria-cee blindature e polveronipreventivi a ben vedere piut-

tosto paradossali: poiché il PioXI della Fattorini, anziché la-sciarsi imprigionare negli ste-reotipi della stantia contrappo-sizione tra pacelliani e anti-pa-celliani, segue un'altra e più po-sitiva pista.

Proseguendo lungo la stra-da già aperta da uno studiosodel calibro di Giovanni Miccoli,si dedica infatti a illuminare laparte finale del pontificato diPio XI di nuova, interessantis-sima luce. E riprende quell'au-spicio, poi non realizzatosi mache avrebbe potuto prendereposto con conseguenze vertigi-nose nella storia di quegli anni,che chiude un lucidissimo sag-gio scritto da Salvatorelli PioXI e la sua eredità pontificale,pubblicato da Einaudi nell'apri-le del 1939, appena morto il pa-pa. Secondo Salvatorelli «ilpontificato di Pio XI si presen-ta non come un ciclo chiuso osemichiuso ma come qualcosain pieno svolgimento, su cuiscriverci: continua».

Qualcosa, in passato, era

emerso sulla tensione che, sulfinale del pontificato di Pio XI,incrinava il monolitismo attri-buito a una Santa Sede cheaveva visto in Mussolini «l'uo-mo della Provvidenza» ed erastata impegnata in una politicaconcordataria a tutto azimut(«farei un concordato anchecon il Diavolo - aveva detto pa-pa Ratti - se facesse il bene del-la Chiesa»). Dai diari del sotto-segretario di Stato, Tardini,curati da F. Casula, era già sta-

to documentato come il Papa,a differenza della quasi unani-mità dei vescovi italiani e dellasua stessa segreteria di Stato,messo davanti alla guerrad'Etiopia l'avesse stigmatizza-ta, seppure in privato, come«guerra di conquista, una guer-ra ingiusta».

Ma il libro della Fattorini vaoltre: coglie l'evoluzione cheprende posto nell'ultimo bien-nio della vita di papa Ratti, non«un'illuminazione improvvisa,

ma l'esito di un percorso spiri-tuale che matura nella malat-tia e che si scontra con la co-cente delusione per quel con-servatorismo fascista che ave-va sperato fosse alleato genero-so». Invece, tra il 1937 e il 1938,il disegno precipita: l'An-schluss che incamera l'Austriae le leggi razziali che incrinanol'accordo col regime di Romaportano venti di bufera. Sinoall'apice, contrassegnato dalviaggio di Hitler a Roma, dove,come dice il Papa, si va ad alza-re «un'altra croce che non è lacroce di Cristo». Papa Ratti,già malato, in questa occasionesi ritira a Castel Gandolfo e,pur rimanendovi sino all'au-tunno, non rinuncia a interve-nire con rilevanti discorsi sem-pre più forti e indignati, sino alsuo «spiritualmente siamo tut-ti semiti» dell'udienza del 6 set-tembre 1938.

Molti aspetti nuovi e rile-vanti, qui non riassumibili, ven-gono offerti dal libro della Fat-torini su Pio XI, mentre, in defi-

nitiva, attorno al ruolo del suosegretario di Stato, il cardinalePacelli che alla morte gli succe-derà come pontefice, non vie-ne aggiunto molto. Almeno ri-spetto a quanto è già stato fat-to emergere da storici rigorosie non inquadrati tra gli obbliga-ti apologeti di Pio XII. Del re-sto i due personaggi, assoluta-mente diversi, sono in un certosenso complementari e si muo-vono dentro una visione co-munque maestosa della Chie-sa: ben altra cosa sono invecegli interlocutori del Vaticanonel regime fascista. Da Musso-lini a Ciano, sino agli interme-diari che via via tengono apertii canali di comunicazione conla Santa Sede, nel libro dellaFattorini viene a fissarsi la sa-ga di un machiavellico dilettan-tismo che, giocando al triango-lo - Vaticano, Roma Berlino -come in una commedia degliequivoci, misura la propria av-vilente mediocrità davanti allaStoria e all'intera umanità .

([email protected])

GIUSEPPECULICCHIA

Nel trentesimo anni-versario di quell'anno

cruciale che fu il 1977 la rifles-sione sui cosiddetti Anni diPiombo ha visto in Italia l'usci-ta di numerosi libri, e anchedel film Mio fratello è figlio uni-co, liberamente tratto dal ro-manzo Il fasciocomunista diPennacchi. In Germania, altroPaese europeo che come il no-stro fu protagonista di quellastagione, il 1977 fu soprattuttol'anno del sequestro del capodella Confindustria tedescaHans-Martin Schleyer da par-te della RAF o Rote-ArmeeFraktion, e del «suicidio» col-lettivo di Andreas Baader, Gu-drun Ensslin e Jan-Carl Ra-spe nel carcere di Stammhe-im, avvenuto all'indomani delblitz che a Entebbe liberò gliostaggi israeliani sequestratisu un aereo da un commandopalestinese.

A proposito di questa vi-cenda, rievocata al cinema neL'ultimo Re di Scozia, avevamoletto qualche anno fa la straor-dinaria pièce Una tragedia te-desca di Antonio Tarantino(Ubulibri). Ma nel carcere spe-ciale di Stammheim c'era giàstato un caso di «suicidio» l'an-no precedente, nel maggio1976: quello di Ulrike Meinhof.

La biografia di quest'ultima,passata alla storia del dopoguer-ra tedesco come fondatrice plu-riomicida della banda Baader-Meinhof, esce ora presso Arca-na con il titolo Disoccupate lestrade dai sogni. L'autore, AloisPrinz, aveva già scritto le bio-grafie di Georg Forster, Her-mann Hesse, Hannah Arendt eFranz Kafka, pubblicate in pa-

tria in una collana destinata agliadolescenti, e proprio con la sto-ria di Ulrike Meinhof ha vintonel 2004 il «Deutsche Preis»per il miglior libro di letteraturaper ragazzi.

Prinz, che nella vita fa il gior-nalista, parte dagli anni dellaformazione, ovvero da Weil-burg, il paesino nei pressi diGiessen dove Ulrike Meinhofstudia dall'autunno del 1952 almarzo del 1955. Nel liceo in cuisuona anche il violino la giova-nissima Ulrike si fa conoscereper il «modo serio» in cui pren-de le lezioni. Fonda il giornalinodella scuola, e una pagella ripor-ta tra i giudizi che si tratta di

«una persona semplice, socievo-le, onesta e schietta», sottoline-ando come la ragazzina sia «in-tellettualmente e socialmentedi gran lunga superiore ai suoicompagni». Ma che cosa porte-rà quella studentessa modelloinnamorata dei libri di Her-mann Hesse a imbracciare le ar-mi, pochi anni più tardi?

Figlia di una giovane coppiapiccolo-borghese, Ulrike nascenell'ottobre 1934, a un anno emezzo dalla presa del potere daparte di Hitler. Il padre Wernermuore di cancro a guerra appe-na iniziata. Ulrike e la sorellamaggiore Wienke vengono cre-sciute con grande difficoltà dal-la madre Ingeborg e dall'amicaRenate. Presto iniziano i bom-bardamenti. Alla fine dellaguerra Ulrike ha appena diecianni, ma esce segnata da un'esperienza che vorrà indagarea fondo quando ormai giovanedonna con alle spalle un'educa-zione cattolica e una borsa distudio all'università di Mar-burg deciderà di confrontarsicon il passato della Germania.

A un certo punto la Meinhof,«militante cristiana pacifista»(è l'epoca in cui il pastore Nie-moller si batte contro l'atomi-ca; poco dopo Rudi Dutsche af-fermerà che cristiani e marxisti«combattono per la stessa cau-sa») nonché giornalista di suc-cesso, sposa l'editore di sinistraKlaus Rainer Rohl e diventamadre di due gemelle, Regine eBettina. Scrive per la rivistakonkret, e finisce in tribunaleper una controversia con il ca-po della CDU Franz JosefStrauss. Dopo il divorzio si tra-sferisce a Berlino Ovest doveiscrive le figlie presso un kinder-laden in cui i bambini ricevonoun'educazione di stampo an-tiautoritario.

A Parigi intanto è scoppiatoil maggio 1968. La rivolta france-se contagia l'Europa, arriva finonegli Usa e in Giappone. Ulrikeincontra Andreas Baader, concui nel 1970 frequenta un cam-po d'addestramento di Al Fatahin Giordania. Il dado è tratto:l'ex militante cristiana pacifistaha deciso di passare alla clande-stinità e di usare le armi controil «fascismo imperialista» e larepressione. Da lì agli attentatialle basi americane e agli im-pianti industriali e poi agli omi-cidi politici la strada è breve. Lasuccessiva detenzione non pre-vede la possibilità del ritorno.

Davvero «il solo fatto di vo-ler capire» è un tacito consensoalle azioni dei militanti dellaRaf, si chiede Prinz sulla scortadi quanto affermato dallo psica-nalista Horst-Eberhard Ri-chter? Certo, spesso capire nonè facile. Ma proprio perché sisforza di farlo, questo è un librodi quelli necessari.

FERDINANDOCAMON

È un testo di straordi-naria utilità per chi voglia capi-re il vertice della guerra dell'Islam contro la civiltà occiden-tale. Uso il termine «civiltà oc-cidentale» perché si trova qui,nel libro, a pag. 35 (e cfr. pag.87). Attorno al corpo centralesi dispongono analisi e inter-pretazioni di studiosi tedeschi,americani, italiani. Ma è quelcorpo centrale il contenitore diogni problema e di ogni spiega-zione. Si tratta di poche pagine(qui, nove), che si attribuisco-no un compito immane, che

sembrerebbe situato oltre il con-fine della potenza di ogni parola,in ogni lingua. Eppure quel com-pito è riuscito.

Dunque le parole hanno quel-la potenza. La potenza di guida-re diciannove giovani a compie-re quattro distinte missioni sui-cide, a desiderare la propriamorte con la morte del più gran-de numero dei nemici di fede.Gli studiosi che analizzano il do-cumento sono storici e studiosidell'Islam, questo è il loro cam-po, qui applicano quello che san-no. Non è dunque il mio campo.Ma oserei dire che il testo sfidasoprattutto gli scrittori: perchési tratta di sentire la forza diogni singola parola, la sapienzadelle immagini, la persuasivitàdel discorso, nel cammino cheporta a suicidarsi «in trance»immolando, se possibile, tutti glialtri, e trovando in quest'operala santificazione che merita il re-gno dei cieli.

Chi abbia scritto questo te-sto non si sa esattamente (apag. 55 si fa il nome di Al-Oma-ri). Non è coltissimo: ogni tantodice: «Per quanto ne so». Sba-glia le formule, con inserimentidi uno stridore blasfemo: «Nelnome di Allah, della mia fami-glia, e di me stesso» (in un pre-ambolo, pag. 58). Qui gli studio-si sospettano qualche interpola-zione. Ma è possibile anche sen-

tirci il culmine della sapienzamaieutica: il martire alzato al li-vello del suo Dio.

Il testo fu trovato in una vali-gia (non imbarcata) del capo deidirottatori dell'11 settembre,Mohammed Atta. Evidentemen-te, lui voleva che fosse trovato:noi diremmo (da cristiani) admaiorem Dei gloriam. Altre duecopie furon trovate, pressochéidentiche. Si è dubitato dell'au-tenticità, e non è in mio poterediscuterla. Però le prove dell'au-tenticità si fanno più consistentiman mano che passano gli anni.Questo testo doveva esser appli-cato, minuto dopo minuto, dallavigilia del mega-attentato all'at-tesa del sonno, al risveglio,l'abluzione completa, la rasatu-ra, il profumo, il toccare con lasaliva delle preghiere il propriocorpo e la borsa e i vestiti e il col-tello e il biglietto e il passaporto,poi la salita in taxi, il passaggiodel metal detector, l'imbarco,l'occupazione del proprio posto,la cattura dell'equipaggio, conprobabili sgozzamenti (il coltel-lo è stato affilato per non far sof-frire la vittima sacrificale), losfracellamento, con le grida ri-tuali. In nessun minuto di quell'interminabile tempo dovevasuccedere che nel martire esplo-desse «la crisi».

L’HIROSHIMA DEGLI USAA questo servono le parole diquesto opuscolo. Sono formuleterapeutiche. Formule anti-cri-si. Qui sta la loro sapienza, la loropotenza. La sapienza-potenza ècertamente maggiore in araboche nelle nostre traduzioni (per-ciò qui il testo arabo è riportato afronte). Perché in arabo classicodiventano una emanazione diret-ta del Corano. E' Dio che parla.Se è Dio, tu sei di là, con lui, tra ibeati, quel che succede di qua,compresa la tua morte, non ti ri-guarda. Questa non è la guida diuno che è di qua e passa di là. E'la guida di uno che è di là e vuolerestarci, meritarlo, e agisce co-me braccio di Dio. Tutto è previ-sto. Compresa qualche ingiuriache si può subire. Dai controllo-ri, dai poliziotti. Questa «guida»serve a tener calmi, a sopporta-re tutto, in vista dell'immanecompito: la disintegrazione dell'America. Lo scopo (pag. 70)«era che coloro che subivanoquesti attacchi dovessero primaarrendersi e poi ridare forma al-la loro cultura sul modello diquella dei vincitori». E' esatta-mente il progetto di Bush: Bushvuole esportare la democraziacon le bombe, l'11 settembre vole-va esportare la teocrazia con lestragi. Si dice sempre che l'11 set-tembre fu una Pearl Harbour.Non è esatto: fu piuttosto una Hi-roshima. Alla luce di quel proget-to, oggi l'America non dovrebbeesistere. ([email protected])

DARAGAZZAMODELLOATERRORISTA

Ulrike Meinhof

Pio XI Il Papa che nel 1938 dichiarò«spiritualmente siamo tutti semiti»

Cristiana e pacifista,scelse le armi contro il«fascismo imperialista»e diventò pluriomicida,morì suicida in carcere

11 settembre La guida terapeuticadei kamikaze in trance per la santità

ISTRUZIONIPER IMARTIRIDIALLAH

LACROCEDIGESÙNONERAQUELLADI HITLER

Germania Anni 70 Vita di Ulrike,fondatrice della «Baader-Meinhof»

Storie TuttolibriSABATO 9 GIUGNO 2007

LA STAMPA VII

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Page 8: 2007-06-09

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - VIII - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/06/07 19.58

MARCOROSCI

Renato Barilli, critico edestetologo di arte e letteratura e sto-rico dell'arte, docente bolognese difenomenologia degli stili, affida all'austerità scientifica di Bollati Borin-ghieri, con in copertina un Fontanagraficamente impaginato da Pierlui-giCerri, unaStoria dell'arte contempo-ranea in Italia da Canova a Cattelan,dopo aver via via pubblicato da Fel-trinelli nel 1996L'albadel contempora-neo e nel 2005 la nuova edizione deL'arte contemporanea con il fonda-mentodi partenzasuCézanne.La nota iniziale della Bibliografia

si apre con la «devotamenzione»del-la Storia dell'arte in Italia 1785-1943,pubblicatadaCorradoMaltesepres-so Einaudi nel 1960 «ovviamente bi-sognosa di un'integrazione». In real-tà quel modello, dichiarato «insupe-rato nel suo genere» (ovvero quellostorico sociale), offre solo lo schemadi base, cronologico ma non concet-tuale,delleprime380pagine,macondifferenze sostanziali. La trattazionedi Barilli, forse seguendo la distinzio-ne dei grandi manuali anglosassonifra Art e Architecture, esclude la se-conda, sulla quale invece sono imper-niati alcuni snodi fondamentalidel te-stodiMaltese, specienel '900.Maso-prattuttoemerge immediatamente il

nodometodologico, tipicamente baril-liano, della non scambiabilità, anzi dell'antitesi fra i concetti di modernità e dicontemporaneità.E' subito, all'inizio, il caso tipico di

Canova, coetaneo di Blake, Füssli, Go-ya, Flaxman eDavid, nello stesso tem-po romanticonel profondodei disegnigiovanili, dei monocromi, dei dipinti,dei bozzetti in creta, espressionedell'«Es, del polo delle energie incon-sce, vitali, erotico-libidiche», e neo-classico principe dell'«Io, anzi, del Su-per-Io» repressivo di quelle energie.Nel primo versante egli anticipa ogniespressionismo e surrealismo, nel se-condo lascia alle maestranze l'esecu-zione della forma pura riportata dall'antico, pronta ad anticipare la «for-ma, rigorosa, irreprensibile» di Mon-drian, di Malevic, poi di Reinhardt edi Newman, e, nella Paolina Borghesee nel suo triclinio, il «più vero del ve-ro» di Gilardi, di Dwane Hanson, diJohnDeAndrea.

QUEL CHE LONGHI NON CAPIVAQuesta «contemporaneità» continua-mente rimbalzante da un secolo all'al-tro, non compresa «da parte di studio-si, capeggiati da Roberto Longhi, checonfondevano il contemporaneo con ilmoderno, per giunta legando quest'ul-timo al dominio indiscutibile dell'assenaturalista-realista» (donde il corolla-

rio che quell'asse sarà comunque esempre privo di patente di contempo-raneità), è il principiodi fondo chepre-siede alla trattazione del XIX secolo edellaprimametàdelXX.E' un principio ostentatamente in-

novativo, non singolare in un anticomembro del Gruppo ‘63, ma colpisce ilfatto che, all'interno delle grandi linee,dal Neoclassicismo ad un «chiarismo»Anni Trenta onnicomprensivo, da Se-meghini agli esordii di Licini, Fontanae Melotti, esso si esplica in capitolettiin grande prevalenza dedicati in ma-niera tradizionale alla lettura e inter-pretazionedi grandebrillantezzascrit-toria di singoli artisti o di piccoli grup-pi per affinità: Pinelli, il nostro Flax-man; la temperata vena domestica diLorenzo Bartolini; il Piccio scioglie le

chiome dell'arte lombarda; Previati,primoSimbolistadi casa nostra;Artu-roMartini o dell'arte del pasticciere; il«richiamoall'ordine»di Severini.Com-paiono in scena futuri protagonisti:Guttuso,Capogrossi,Afro.

LA POLARITÀ «CALDO-FREDDO»Quando la trattazione esce dalla strut-turadi base, o forse la gabbia, della sto-ria diMaltese (che io stesso, più anzia-no e di diversa formazionediBarilli, ri-cordo come un testo fondamentale diformazione), il panoramadella culturaartistica nel secondo dopoguerra - in-calzata fra Astratto-Concreto e Infor-male, azzeramento - è il termine con-cetto che Barilli usa - e arte cinetica,sottile distinzione fra Pop Art romanaeFigurazioneoggettualemilanese,Po-

verismo e Transavanguardia e Ana-cronismo, fino all'ultimo ventennio -,muta profondamente anche nella mo-dalità della scrittura. E' contempora-neità «vissuta» da chi non nascondeper nulla la triplice personalità del do-cente in un territorio fra estetica e sto-ria dell'arte, del criticomilitante e dell'organizzatore culturale di gruppi e dimostre («Costituii allora - 1980 - ungruppo che dissi dei Nuovi-Nuovi»).Entrano in scena le grandi mostre diconfronto, i critici interventisti, Calve-si, Celant,BonitoOliva.Ed entranode-finitivamente in scena le metodologiee i principi tipicamente barilliani, lascansioneper generazioni e perdecen-ni intrecciata con la «pendolarità» fraavanzamentoe recessionee lapolaritàfra forme«calde»e forme«fredde».

Antonio Canova, «Ercole e Lica», 1795 - 1815, marmo. Roma, GNAM

IL LIBROArte contemporanea La storia di Barilliovvero «il pendolo delle avanguardie»

RENATO BARILLIStoria dell'artecontemporaneain Italia.Da Canova alle ultime tendenzeBOLLATI BORINGHIERIpp.565, !32

«Non si cerchi qui un eccesso dierudizione - scrive l’autore nell’Introduzione - di informazioneanedottica e bibliografica sui varimovimenti e protagonisti; il quadro èparco, essenziale, intenderaccomandarsi per doti strutturali...E contano anche i silenzi: ....casi chepure hanno meritato attenzione econsensi, considerati abbastanzasuperflui»

SEGUARDICANOVA,TROVIMONDRIAN

Visioni TuttolibriSABATO 9 GIUGNO 2007

LA STAMPAVIII

CATERINA BOSCHETTIIl libro nero delle sette in Italia

Prefazione di Francesco BrunoCon un’intervista inedita a Umberto Eco

MARIO CAPRARA - GIANLUCA SEMPRINIDestra estrema e criminale

Prefazione di Giovanni Pellegrino

Un libro scomodo ma necessa-rio, che intende aprire una brec-cia nella conoscenza collettiva eraccontare la verità sulle settereligiose in Italia. Un documentosconcertante, arricchito dalletestimonianze dei fuoriusciti,quasi incredibili a causa dellaloro atrocità.

«La fede nell’occulto annulla lastoria, è un segnare il passo nelsolco di una presunta TradizioneEterna.»

Umberto Eco

«Interviste, testimonianze, maanche tanti documenti e unaparte corposa dedicata alle leggiper tutelare le vittime […]un’inchiesta sui movimenti pseu-doreligiosi, destinata anche a unpubblico di non specialisti.»

Il Venerdì di Repubblica

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I BIG NEWTON n. 158 (384 pp.). ! 14,90 CONTROCORRENTE n. 28 (480 pp.). ! 12,90

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Da Stefano delle Chiaie a MarioTuti, da Francesca Mambro aLuigi Ciavardini, dai fratelli Fiora-vanti a Massimo Carminati, di-ciassette ritratti rigorosamentein nero per ricostruire le vicen-de della destra eversiva italiana,dagli anni Sessanta a oggi.Assassini, terroristi, picchiatori erapinatori uniti dall’ideologia fa-scista: un’avventura umana e po-litica fatta di spranghe e revol-ver, fughe disperate e intermina-bili detenzioni, servizi segreti de-viati e micidiali attentati.Dalle testimonianze inedite rac-colte dalla viva voce dei prota-gonisti, dei parenti, degli amici,dei giudici e dei poliziotti coin-volti nelle indagini e nei proces-si, prende forma il quadro in-quietante di quarant’anni di fa-scismo extraparlamentare, in un libro che non ha paura di fare iconti con il passato.

DESTRA ESTREMA E CRIMINALEDa Stefano Delle Chiaie a Mario Tuti, dai fratelli Fioravantia Massimo Carminati: storia, avvenimenti, protagonistie testimonianze inedite della destra eversiva italianaPrefazione di Giovanni Pellegrino

MARIO CAPRARAGIANLUCA SEMPRINI

NEWTON COMPTON EDITORI

CATERINA BOSCHETTI

Testimonianze e documenti shock sul volto oscuro della religione

Prefazione di Francesco BrunoCon un'intervista inedita a Umberto Eco

NEWTON COMPTON EDITORI

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Page 9: 2007-06-09

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - IX - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/09 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 08/06/07 19.58

GIUSEPPECASSIERI

Robert Darnton, do-cente di Storia europea allaPrinceton University, sem-bra essere incantato e insie-me sconcertatodal secolo deiLumi di cui si occupa nellaraccolta di saggi L'età dell'in-formazione. Certo, quel seco-lo in gran parte lo possiede,lo ama, lo difende dagli attac-chi postmodernisti, ma sem-pre col dubbio di far prevale-re la specola individuale sullapresumibile «oggettività».Nessuna civetteria allorchési chiede di quante «scherma-ture», ovvero menzogne, sisia reso colpevole, bensì scep-si costitutiva di uno storicoeterodosso che si esprime inprima e terza persona, igno-ra le griglie cronologiche, in-treccia vicende epocali e mi-crostorie (ad esempio, e pro-prio in apertura, GeorgeWashington tormentato dal-la perdita dei denti e relativecollezioni di dentiere), le ap-puntisce, le drammatizza e leavvicina senza sforzo al ta-glio del narratore.«Tutto strano il Settecen-

to», dice Darnton offrendociuna panoramica colorita del-la Francia rivoluzionaria eprerivoluzionaria.Poi la pano-ramica cede all'analisi di temi

e personaggi che più lo attrag-gono e li discute con un interlo-cutore immaginario mutuatoda se stesso: la Parigi cosmopo-lita, la Repubblica delle Lette-re, i canonici Voltaire, Condor-cet, Diderot, e in particolarel'enigmatico Jacques-PierreBrissot, capo dei girondini chesi firmavanitosamenteMirabe-au e simboleggia l'estrema am-biguità della politica, dell'etica,delle idee per le quali si batte,tradisce, diventa una spia e af-fronta la ghigliottina.Analogo interesse Darnton

riserva alla nomenclatura, all'enfasi che si consuma nella pul-sione movimentista, al pericoloche la storia in fase di ebbrezzascivoli nel mito. E dunque, la Pmaiuscoladi progressoche sten-ta adaccettareumilmente lami-nuscola, la deflazioneche suben-tra all'inflazione di trenta socie-tà accademiche in sei continenti

(per ora resiste l'Antartide), el'ascoltodi unadozzinadi Illumi-nismi: daquello russoal brasilia-no, dall'ebraico al radicale, dalreligiosoal confuciano...Stordito dalle comunicazio-

ni dei colleghi, Darnton si pro-diga a tosare il prato, a libera-re i protagonisti da equivocheappartenenze. Tra essi, i philo-sophes. Erano costoro autenti-ci filosofi? Tranne poche ecce-zioni, la risposta è no. Eranouomini di lettere, quelli che og-gi con un filo di disprezzo ven-gono definiti «intellettuali».Una forza nuova, elitaria, ric-ca di ingegni, diretta a conqui-stare le classi medie e lì fer-marsi nella stratificazione so-ciale. («Bisogna pur che qual-cuno ari i campi», è il mottodei Lumi).Volendo marcare il distin-

guo, Darnton pone a confrontoVoltaire e Pascal, Condillac e

Locke, Diderot e Cartesio, La-place e Newton, d'Holbach eLeibniz. Chiunque sia avvezzoalle gare speculative ammette-rà che per i philosophes non c'èpartita.Circa l'età dell'informazio-

ne, alla domanda «quali mediasi praticavano nella Parigi delSettecento?», Darnton rispon-de con un crescendo pirotecni-co: caffè celebri, vignette satiri-che, salotti e circoli esclusivi, isegreti del re trasmessi da ser-vitori e dame di Corte, elabora-ti e surriscaldati sotto «l'Albe-ro di Cracovia», boulevard do-ve le notizie erano annunciateda venditori di piccanti volanti-ni, voci più o meno criptiche dipoeti, suonatori, canzonettisti;voci necessarie a integrare lecuriosità non reperibili nelle«gazzette»ufficiali.All'altra cospicua doman-

da «quali argomenti possonooggi contrastare i nemici dell'Illuminismo?», Darnton neavrebbe un bel po' da esibirema, fedele alla sobrietà, alladeflazione, si contiene. Ricono-sce - e non può non riconosce-re - le colpe del fenomeno rivo-luzionario (donne emarginate,culto parossistico del logos,compromissione di culture ex-traeuropee, colonialismo...) erammenta alle anime candideche l'Illuminismo ha rappre-sentato la principale difesacontro la barbarie; rammentail passaggio culturale dal me-dioevo alla modernità, dall'ari-stocrazia alla borghesia; ram-menta le campagne di Voltai-re sulla tolleranza e contro ipervertimenti della giustizia,l'appassionata denuncia dellaschiavitù; e poi l'appello di

Rousseau a favore dei disere-dati, Diderot eMontesquieu inlotta contro il dispotismo, lasacrosanta aspirazione del sin-golo e della comunità a perse-guire un'esistenza felice.Questo, in pillola, il lascito

dei philosophes, anche se auto-revoli pensatori, tra cuiHorkheimer e Adorno, rifiuta-no di servirsene. A distanza didue secoli, e nel clima tossicodei nostri giorni, qualche frut-to balsamico i philosophes han-no ben motivo di rivendicare;e metterei in cima il più nobiledei principî laici: «L'uomo co-me fine».

pp Robert Darntonp L'ETÀ DELL'INFORMAZIONEp trad. di Franco Salvatorellip ADELPHI, pp. 249, !26,50p Tzvetan Todorovp LO SPIRITO

DELL’ILLUMINISMOp trad. di Emanuele Lanap GARZANTI, pp. 1218, ! 11

= Il saggio di Tzvetan Todorov«Lo spirito dell'illuminismo»(Garzanti, pp.. 126, ! 11) ha più diun aggancio con i testi precedenti -«Noi e gli altri. La riflessionefrancese sulla diversità umana»(1991) e «Le morali della storia»(1995) -, mentre sostanzialmenterisulta contiguo agli accentiproblematici del coetaneoDarnton. Viene menol'assemblaggio figurativo, siprosciuga lo scenario parigino e sirafforza l'autonomiadell'individuo, la sete diconoscenza, il progettoilluministico esaltato dal trionfoscientifico. Nella spola tra dueepoche, Newton incrocia Darwincosì come T.S. Eliot incrociaSol"enicyn.Il paese «straniero», su cui sisofferma Todorov, introduce iltema sensibile delle chiusure edelle aperture nell'Europa «una emolteplice»; e ci ricorda leincitazioni di Montesquieu afavorire il viaggio, il soggiornoall'estero, lo studio delle abitudini

di popoli diversi, a contrasto diRousseau che lamenta: «Oggi nonesistono più francesi, tedeschi,spagnoli, neanche inglesi; esistonounicamente gli europei».Non meno caldi e sensibili i temi sulaicità e universalità, oscurantismoe fondamentalismo... articolati conlo spirito libertario tipico dellascuola illuminista, ma con unrichiamo esplicito all'uso dellostrumento: «Troppa critica uccidela critica», semplifica Todorov. Nonsolo omicidio-suicidio di unaparente strettissima dellaRagione, ma scudo «irrazionale»dell'assolutismo, uno degli ismi piùdeprecati da quanti giudicanoprovocatoria ladichiarazione-slogan: «Siamo tuttifigli dell'illuminismo, anchequando lo attacchiamo».E poiché pagine di grande rilievoinvestono l'Unione europeanell'attuale assetto planetario,valga il messaggio che Todorovnon teme di diffondere: «Senzailluminismo niente Europa; senzaEuropa niente illuminismo». [g. cs.]

Affascinante e scomo-da figura, quella diGiordano Bruno: adispetto della polie-dricità del suo inge-

gno,ha finitobenprestoperes-sere trasformata in stereotipoapartiredall'unaodall'altradi-mensione del suo pensiero edel suo agire. Una figura cheha attraversato l'Europa dellaseconda metà del XVI secolocome una scheggia impazzita,prima di finire tra le fiammedell'Inquisizione sul patibolodiCampode'FioriaRoma.Co-sì l'Ottocento laicistaneha fat-to il campione del libero pen-siero, vittima dell'oscuranti-smo della Chiesa,mentre il se-colo scorso, nel suo contrap-porlo alla Chiesa cattolica neha evidenziato piuttostol'aspetto del filosofo ermetico.Ma già nel corso della sua tra-vagliatissima esistenza nondev'essere stato facile per nes-suno dei suoi interlocutori col-locare Giordano Bruno entroschemipredeterminati.Giovane e perspicace teolo-

go domenicano, fugge dal con-ventodiNapoliprimachealcu-ne sue posizioni eterodossevengano perseguite come ere-tiche,ma il suoabbandonodell'ordinereligiosodi appartenen-za non significa per ciò stessoil suo passaggio ad altri lidiconfessionali. Accostatosi alcalvinismoaGinevra, ne verràestromesso e contrasti analo-ghi conoscerà in Germaniacon il ramo luterano della Ri-forma; attraversato da folatedidesideriodi essereriammes-sonellaChiesacattolicarifiute-rà però l'idea di venir reinte-grato nell'ordine domenicano,di cui tuttavia non disdegneràdi riprendere l'abito quandociò gli si rivelerà utile; appas-sionatodiErasmo,neoltrepas-serà il pensiero fino a stravol-gerlo su diversi aspetti; attira-to nella scia di Copernico, nesupererà la teoria fino a ipotiz-zare il carattere infinito dell'universo; astuto vagabondopermezzaEuropacomepredabraccata finiràpergettarsinel-le braccia dell'Inquisizione at-tratto dalla prospettiva di po-ter insegnareaPadova...Siamo allora di fronte a una

sorta di «eccesso» del pensie-ro del quale ci si dovrebbe ac-contentare di cogliere la forzaabbagliante e subito bruciata,come un fuoco d'artificio nell'oscurità della notte? In parteforse sì, anche se il ribollire diidee e di cambiamenti che ani-mava il suo tempo - dalla rifor-ma protestante alle teorie diGalileo, dalla «rivoluzione» co-pernicana all'invenzione dellastampa a caratteri mobili, finoall'introduzionediunnuovoca-lendarionell'Occidentecattoli-co - dovrebbe fornirciun tessu-to culturale sufficientementevariegato per farci coglieremeglio quanto Bruno, pur ori-ginalissimo, fosse anche «fi-glio»del suotempo.Proprioperquestacomples-

sità risulta preziosa un'operamonografica come quella cheMichele Ciliberto dedica aGiordano Bruno. Il teatro dellavita (Mondadori, pp. 556, !30):innanzitutto perché l'autore èuno dei più competenti studio-

si del Rinascimento italiano edel filosofo nolano in particola-re, poiperchéricostruisce l'itine-rario della vita e del pensiero diBruno anche attraverso quantolo stesso ex-domenicano narradi sé nei propri scritti e nelle de-posizioni di fronte al tribunaledell'Inquisizione: ma questa ri-costruzione basata su una sortadi «autobiografia»nonèun'inge-nuaassunzionedi quantoun filo-sofobrillantee sicurodi sé affer-ma; anzi, Ciliberto è consapevo-le che «l'autobiografia, oltre asupporreunaspecialecoscienzadel sé,miraa suavolta acostrui-re e a diffondere un'immaginedell'autore imperniatasulla sele-zionedimomenti ed eventi dellapropriavitacoerenti con l'imma-ginecheeglivuolpresentare».Questa consapevolezza nei

confronti della persona oggettodello studio consentedi fruire dideterminate rivelazioni e, nelcontempo,di conservareuna di-stanza critica. Così il Cilibertocoglie (e facogliereal lettore)co-me «l'energia affabulatricedella

prosa di Bruno sta precisamen-tenella suacapacitàdi riuscireadare senso e significato univer-sale anche ad eventiminimi del-la sua vita personale, annodan-do nel vivo dell'esperienza bio-grafica sia microcosmo che ma-crocosmo, attraverso l'azione se-lettiva - e al tempo stesso poten-ziatrice-dellamemoria».Rilettocon la chiave interpre-

tativa della vita vissuta e narra-ta come «teatro» da parte delprotagonista che sente di averavuto in sorte undestino straor-dinario, l'itinerario filosofico espirituale di Bruno è restituitocongrande forzaevocatrice.Ba-stinoper tutte le coinvolgentipa-gine sul «Cristo traditore» chemostrano un Giordano Brunoquasi vittima del suo folle inna-moramentoperCristo ingioven-tù: un amore totalizzante che loporta a rigettare ogni immaginedi santi per conservare il soloCrocifisso,mache -unavoltade-luso dal suo «modello religiosoda imitare sul piano personale,eticoe civile» - loporteràadisto-gliere sprezzantemente il capoquando, sul punto di essere arsovivo come eretico, gli verrà mo-strato proprio un Crocifisso dabaciare a invocazione estremadisalvezzaper lasuaanima.

ILLUMINISTI,NONFILOSOFI

Il Settecento di Darnton Voltaire, Diderot e gli altrienciclopedisti: intellettuali da caffè, salotti e giornali

LONTANO E VICINOENZO

BIANCHI

GIORDANO BRUNOOLTRE GLI SCHEMILa complessità della sua persona e del suo pensiero in un saggio

di Ciliberto: una vita travagliatissimanel «teatro»dell’Europa del Cinquecento, un ingegno poliedrico e scomodo

«Isaac Newton», dipinto di William Blake, 1795, Londra, Tate Gallery

Nasce con loro la societàdell’informazione:lì si sviluppò la battagliaper la modernità,contro ogni dispotismo

Todorov: no Lumi, no Europa

Tzvetan Todorov,autore de «Lo spiritodell’illuminismo»,sarà in Italia sabato 23 giugnoper ricevere il premio«Dialogo tra i continenti»nell’ambito della XXVI edizionedel «Grinzane Cavour»

L’ 800 laicista ne hafatto la vittimadell’oscurantismo,il ’900 ne ha evidenziatol’aspetto ermetico

Giordano Bruno, ritratto di E. Matania

Idee TuttolibriSABATO 9 GIUGNO 2007

LA STAMPA IX

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - XI - 09/06/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: SILRUF - Ora di stampa: 08/06/07 21.12

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VLADIMIR NABOKOVAdatrad. di Margherita CrepaxADELPHI, pp. 640, !23,24

E’ il romanzo più corposo di Nabokov,sciarada di eros, sentimenti e giochilinguistici. Bartezzaghine ha scritto in«Riga» (n. 16, 1991) e ha ideato i rebus perlo spettacolo teatrale che dal romanzo hantratto Fanny & Alexander (Ubulibri, 2006)

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GIAMPAOLO DOSSENAEnciclopedia dei giochiUTET, 1999, pp. 1482, !196,20

«Monumento della cultura italiana»lo definisce Bartezzaghi, anche semisconosciuto (e quasi irreperibile).E Dossena è per lui «uno degli scrittoriitaliani più interessanti, uno degliintellettuali più informati e, magarimalgré soi, un didatta formidabile»

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MARIO CALABRESISpingendo la nottepiù in làMONDADORI, pp. 134, ! 14,50

«Leggendolo insieme al libro diDaniele Giglioli “All’ordine del giornoè il terrore” (Bompiani, pp. 144, e 8)-dice Bartezzaghi - mi sono reso contoche le manifestazioni cui hopartecipato, io allora giovane disinistra, erano tutte funerali»

LUCIANOGENTA

Bartezzaghi è il marchiod.o.c. per i cultori di enig-mistica. Piero Bartezza-

ghi esordì, primi Anni Cinquanta, sullagià celebre Settimana, innovò linguag-gio e formule dei cruciverba, ne diven-tò l’autore di punta firmando lo sche-mapiùdifficile, l’esamedimaturitàperi più abili. Oggi ne ha ereditato ruolo econcezione il figlio Alessandro. L’altrofiglio, Stefano, ha scelto la strada dellateoria: alla pratica dei giochi con le pa-role è arrivato dopo la laurea in semio-logia al Dams di Bologna con UmbertoEco. Per primi l’hanno conosciuto i let-tori diTuttolibrinel 1987, quandoGiam-paoloDossena lo proposecomesuogio-vanissimoeredeaGiorgioCalcagno, al-lora responsabile del nostro supple-mento: lì nacque la sua «Posta in gio-co», avventuroso viaggio fra anagram-mi e crittografie,palindromie onoman-zie, acrostici e limerick, ora raccontatonel libro omonimo. E di lì iniziò la suacarriera di «ludologo», affabile e colto,capacedi unire al rigoredella tecnica ilpiaceredell’estro,di svelareattraversoleparole costumie caratteridegli italia-ni, come ben sanno i lettori dei suoi li-bri - da Accavvallavacca a Non ne ho lapiù squallidaidea - e delle sue rubriche-da Lessico&nuvole a Lapsus - ora su laRepubblica. Nella trama del gioco si in-trecciano i fili di una passione lettera-ria e di una coscienza civile, una biblio-teca mai esibita con supponenza mausata con operosa creatività. Perché ilgiocoè lavoroserioe faticoso:altrimen-ti nonc’èdivertimento.Bartezzaghi,quali sono stati i suoi pri-mi incontri con la parola scritta?«Mio padre era perito chimico allaMontedison, la sua biblioteca era for-mata in gran parte dai classici inglesi,francesi e soprattutto russi, compratinella Bur e negli Oscar.Ma c’erano an-che molti autori italiani di quegli Anni50e 60 chenonhan fatto storia.E alcu-

ne perle improvvise, ad esempio Il grup-po di Mary Carthy. Tra i poeti, adoravaQuasimodo».E le sue prime letture?«I ragazzi della via Pal diMolnar e ilDot-tor Dolittle di Hugh Lofting. E, in unatransizione dolce, Il barone rampante diCalvino. A undici anni lo zio mi regalòCent’anni di solitudine. Si leggevano cosealte, allora: si accettavadi noncapire tut-to. Oggi mi pare che i ragazzi accettinocon pigrizia attitudini più didascaliche,seguonoi generi».Dove, come leggeva?«In famiglia la lettura era per tutti un’at-tività normale, giornaliera. La nostra

era un’infanzia “noiosa”, non così“turisticamente” animata come quelladelle mie figlie. Si passava tanto tempoin casa, ognuno trovavauno spazio tuttoper sé, c’era rispetto: oggi uno che leggeè la persona più interrompibile del mon-do. Io mi mettevo tra la tenda e la portafinestra, pancia a terra, divoravo centi-naia di pagine.Un giorno bigiai la scuolaper finire Il signore degli anelli, lo confes-sai amiopadre, lui capì».I suoi libri «di formazione»?«La prima linea d’ombra è segnata daun passaggio: dai libri che hai in casa aquelli che ti vai a cercare. La mia pa-ghetta era minima: avevo una grandepassione per il jazz, dovevo sceglieretra ThomasMann e Coltrane. A 17 annisu una bancarella trovai tutto Gadda aprezzi stracciati, una festa: non che locapissi tutto, ma mi interessava molto.Mi sono staccatodalle abitudini familia-ri: non più il gusto del singolo titolo, mala ricerca di una lettura come sistema,libri che si rispondano l’un l’altro, linee

di tensione e continuità. Così ho comin-ciato a farmi la fama di un “giocatored’incastri”. Ho adorato Herzog di Bel-low, libro crocevia. E tutto questo in as-soluta alternativa alla vita vissuta: le ra-gazze non si comportavanocome quelledei libri e ciò è stato un buon antidoto aqualunque concezione pedagogica: laletteraturami parlava di un mondo chenon era il mio,mi sembrava tutto fanta-scienza. Come nei romanzi del realismomagico, cercavo l’idea di un Altrove. Aunopsicoanalista la direbbe lunga».Nessun saggio finora.«Nel Nuovo Politecnico Einaudi scopriil’antipsichiatria, Cooper e Laing:Nodi fuper me un caposaldo. A scuola, liceoscientifico,mi parlaronodelle “Annales”,lessi I re taumaturghi. Mi feci regalareGramsci, I quaderni dal carcere. AffrontaiSartre.Leggevodaautodidattanonsiste-matico. Riecco il gioco degli incastri: aFoucault e Lacan arrivai attraverso lamusicadegliArea, i versidiStratos».E come diventò uno studioso?«La mia seconda linea d’ombra fu l’in-contro con Eco. A Bologna mi iscrivo alDams, volevo leggere più spartiti che li-bri,maamusicami trovaimale,percasoandai al corso di semiotica e lì, era il no-vembre 1981, il professore già con l’aure-ola del bestseller più venduto d’Italia,ognigiovedì, venerdì e sabato incrollabil-mente (anchecon39di febbre) faceva le-zione. Mi piaceva il modo in cui parlavadei libri: così SaussureeHuizingasono fi-niti sul mio comodino. Eco come didattaè formidabile. Il suomessaggioera il con-trario dellamassima latina “nonbisognastudiare, bisogna aver studiato», amara,e anche un po’ stronza. No, è necessariocontinuare (nel mio caso: cominciare) astudiare. Non è che se non hai avuto unbuonprof al liceo sei fottuto per sempre.Puoi recuperare».Com’è nato l’interesse per i giochi?«Non sono un grande giocatore, comeDossena: lui ha il gusto agonistico, io nonamo il vincere e il perdere.All’universitàsognavodi far ricerca, consideravo i gio-

chi una disciplina a sé. Eco ci mise lozampino:mi passò unadispensa ciclosti-lata - “guardaunpo’, l’ha scrittauna inse-gnantediOmegna” - , erano I draghi loco-pei di Ersilia Zamponi. Dopo mi svelò gliEsercizi di stilediQueneau.Capii che nonmi interessava la pubblicistica specializ-zata: il gioco deve essere cosa di tutti. Eforse c’è più gioco nei libri che parlanod’altro. Il gioco è cultura: in questo, perme, ha contato Caillois più di Huizinga.Ed è stato importante padre Pozzi, chemidiede“ladritta”diCurtius.Epoi - nonsono superstizioso - Mario Praz e Lon-ghi. Fino alla narrativadi Arbasino eCe-lati e alla poesia di Sanguineti. Seguire latradizionedelCaffédiGiambattistaVica-ri era più interessante del tormentoneMoraviasì,Moraviano».La nostra letteratura è poco «giocosa»?«Non è vero che c’è poco: quel che c’è ètenuto ai margini, è cosa diversa. Il mioprimo scritto apparve su Alfabeta, rivi-sta con doppia anima, dal serioso al su-perfluo: lì ho trovatoToti Scialoja,un fio-re, e Giulia Niccolai. Grande importanzahanno avuto le due antologie di Gugliel-mi (laprosa) ePorta (la poesia).Le speri-mentazioni dell’Avanguardia - oltre allepallositàdell’epoca- hanprodottosaluta-ri folate, il gioco della lingua, la giocositàdell’anima.Letta in un certomodo la let-teratura italiana rivela appunto un’ani-ma leggera che s’abbandona al signifi-cante: penso a de Amicis e a Pascoli, ex-traAccademiae sussidiarioscolastico».Dovesse consigliare un libro giocoso?«Le risate più grosse le ho fatte con libriche non avrebbero fatto ridere altri. Ioamo Gadda ma non pretendo che lo sitrovi divertente. Specie se il divertimen-to coincideormai conuna certa comicitàtelevisiva.La scuoladegli sciocchidiSoko-lov per me è stata una esplosione di gio-ia: possoaugurarla,manondire: “fattelopiacerte, proverai la mia stessa gioia”.RobadaQuadernipiacentini».

Novità e sorprese degli ultimi anni?«Ho rinunciato ai comparti stagni. Lacollaborazione con Marco Belpoliti e larivistaRigami ha fatto considerare in al-tromodoautori di cui nonpensavodi po-ter scrivere: innanzitutto Primo Levi,magistrale. E poi Nabokov. Non distin-guo più fra i libri che leggo “per me” equelli che leggo “per scriverne”. Certo,quando voglio leggere soltanto, non sopiù che leggere. Tutto è potenzialmentelavoro.E tuttopuòessere loisir, parola in-sostituibile».Non cita nomi di oggi, né bestsellers...«Tendenzialmente non li compro. Però,da enigmista, prendo atto dei fenomeni:Hannibal, ilCodicedaVinci. E sonoun fandella Rowling. Poi la vita è fatta di occa-sioni. Ad esempio, a me ora non interes-serebbe occuparmi di terrorismo, ma idue libri di Calabresi e Giglioli sono statiuno choc, l’asteroide che cade e ti terre-mota. Loro hanno letto la storia che nonhanno vissuto, l’hanno rivista con gli oc-chi di un’altra generazione, mettendo inluce reticenze, alibi, assurdità e atrocitàlasciate nell’ombra. Non hanno solo de-mistificato ma sconsacrato il terrori-smo, lohanno letto fuoridalmito».Ci sarebbe un’ultima domanda da por-ci, con la o larga, alla Campanile.«Ah, siamo al gioco della torre? Frivolo,salottiero,giornalismogastronomico: la-sciamo perdere. O meglio, diciamo che,dalpuntodi vista teorico, si confermaco-me il gioco si sia insinuato ovunque. Labattuta dal sen fuggita dentro la conser-vazione seria, l’appunto di costume, l’al-lusione sessuale, la parolaccia: ciliegineper la cattura del lettore. Non ho una vi-sioneassiologica:questoè il bene,questoè il male. Ieri Dossena diceva: il gioco ècircondato dal discredito. Oggi è rivalu-tato, o meglio trasformato. Il ludico (co-me sostantivo) è di casa sempre e dap-pertutto. Sono caduti confini di spazio edi tempo. Il chenonènébenenémale.Bi-sogna ogni volta discernere. Non c’è piùnessun genere che sia in sé o intelligenteostupido.Equestoèunbene».

GIOCOD’INCASTRICONBELLOW,LEVIENABOKOV

STEFANO BARTEZZAGHILa posta in giocoEINAUDI, pp. 256, !12

Non è la solita raccolta di articoli, maun libro scritto e narrato ex novo:attraverso i dialoghi con i lettori (inmolti casi co-autori) della suaomonima rubrica su Tuttolibri, dal1987 al 2000, Bartezzaghi offreinsieme una divertente antologiadi giochi con le parole e una coltaanamnesi linguistica, letteraria,storica dei loro maggiori artefici edivulgatori (da Carroll a Queneau, daGardner a Hofstadter, dal miticoAnacleto Bendazzi a Campanile, daEco a Dossena). Un libro in cui saltaogni barriera di «genere», con unafelice fusione di teoria e pratica.

IL SUO LIBRO

StefanoBartezzaghi:con «Laposta in gioco» inaugura«Rebus»,una nuovaseriedei tascabili Einaudida lui curata

LE SUE SCELTE

«Forse c’è più gioco nei libriche parlano d’altro, e non èvero che la nostra letteraturanon sia giocosa: basti pensarea Arbasino e Sanguineti»

Vita Milanese, 45 anni, laurea al Dams di Bologna con Umberto Eco, dove benpresto si fece conoscere come «quello che fa gli anagrammi». Uno dei primiera dedicato a Roberto Benigni, «birbone integro». Da allora non ha fatto chegiocare con le parole, lavorando sempre più seriamente e intensamente.

Opere Giornalista, dall’esordio su La Stampa a la Repubblica, docente e saggi-sta. ha pubblicato Accavalacca e Anno Sabbatico da Bompiani, Sfiga all’OkCorral, Lezioni di enigmistica e Incontri con la Sfinge da Einaudi, Non ne ho lapiù squallida idea da Mondadori. Prepara una storia dell’enigmistica.

StefanoBartezzaghi

«Tra le prime letture Molnar,Calvino e la scoperta di“Cent’anni di solitudine”:si leggevano cose alte, allorasi accettava di non capire»

Diario di lettura TuttolibriSABATO 9 GIUGNO 2007

LA STAMPA XI

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