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Il Sole 24 Ore 7Venerdì 18 Novembre 2016 N. 317
PRIVATE BANKING
L’avanzata dell’advisor digitaleFineco si è spinta al cyborg advisory mentre Banca Profilo con Tinaba punta ad attrarre nuovi target di clientiPAGINA A CURA DIAlberto Magnani
In origine era la digitalizzazione deiservizi, dai conti corrente onlinealle app per l’acquisto di titoli. Oggil’evoluzione tecnologica cavalcata dai colossi del private banking si
chiama advisory digitale e passa per soluzioni come i roboadvisor: i “consulenti robot” capaci di ottimizzare la strategia di management con l’uso di algoritmiper scegliere l’allocazione dei propri asset. Il processo arriva da lontano e guarda al target dei clienti under 35, la fasciadei cosiddetti millennials a proprio agiocon piattaforme online e conti gestiti dallo smartphone. Una minoranza destinata a crescere, spingendo sempre di piùin direzione una finanza disintermediatae ad alto tasso tecnologico.
Di sicuro il fenomeno è già entrato nelvivo, come certifica l’accelerazione degli investimenti che si è registrata negli ultimi anni su scala internazionale. Qualche esempio? Blackrock, il colosso newyorchese da 5,1 trilioni di asset in gestione, ha acquistato solo lo scorso anno FutureAdvisor, un “wealth manager digitale” che propone tra le sue offerte anche gli Etf del gruppo. Vanguard Group eFidelity Group hanno dato il via e speri
mentato servizi automatici. SwissGroup ha presentato solo lo scorso giugno Private Banking Asia Pacific app,un’applicazione di servizi che si aggiunge al lancio di una piattaforma globalenel 2015.
È vero, il patrimonio gestito da consulenti digitali rappresenta poco più di una
nicchia rispetto alla ricchezza complessiva dei clienti private banking. Ma leprospettive di crescita danno già un’ideadel trend e del suo impatto sul settore:un’indagine della società di ricerca AiteGroup ha stimato un valore di 285 miliardi di dollari entro il 2017 per il mercato generico della «consulenza digitale», mentre un’analisi di Accenture proietta gliasset gestiti già nel 2015 tra i 55 e i 60 miliardi di dollari. E in Italia? Anche gli istituti della Penisola stanno adeguando la
propria offerta in chiave tecnologica. Mapuntare sull’advisory digitale, “robotico” o meno, richiede un cambio di paradigma sia nella formazione professionale sia nel cuore stesso del servizio: il rapporto tra banca e cliente. Fineco, la bancamulticanale del gruppo Unicredit, ha deciso di spingersi oltre ed entrare nel “cyborg advisory” con la sua Xnet: una piattaforma che permette di tradurre in investimenti gli obiettivi di vita dei clienti,grazie a strumenti come il tool dei bisogni di investimento e un cobrowsing pervalutare da remoto la situazione patrimoniale. Banca Profilo, specializzataproprio in private banking, sta sperimentando la via della gestione da mobilecon Tinaba: una tecnologia, lanciata da Sator Private Equity Fund, che permettedi effettuare micropagamenti senza passare dalla cassa e trasferire denaro a conoscenti senza costi di commissione. Perarrivare ai casi di roboadvisory a tutti glieffetti come Yellow Advice di Chebanca!, costola retail del gruppo Mediobanca. Il servizio, pensato per integrarsi conil lavoro dei consulenti, suggerisce l’allocazione più adatta degli asset e permettedi monitorare il portafoglio per l’intera durata degli investimenti. Come spiega Antonio Fratta Pasini, capo del
Crm&Omnichannel banking di CheBanca!, il «cliente può scegliere la tipologia di obiettivi di investimento tra crescita del capitale e difesa del risparmio eprotezione e integrazione del reddito – el’orizzonte temporale. YellowAdvice suggerisce poi l’allocazione migliore».
Sia tra gli operatori che tra i clienti delprivate banking, però, ci sono dei timoridi fondo. I più critici temono che l’automatizzazione dei servizi finisca per produrre “consigli meccanici” che riduconoa zero la mediazione umana e rischianodi depistare i clienti d’alta fascia nella gestione dei loro stessi patrimoni. MatteoBenetti, responsabile direzione reti Private banking e promozione finanziariadi Credem, è convinto che il fattore umano continuerà a fare la differenza nei rapporti con i clienti. L’incedere delle tecnologie è un dato di fatto che non può esserené ignorato né assorbito senza riserve:«Il private banker deve gestire la tecnologia, non subirla – dice Benetti Oggi il contatto clientebanca avviene comunque in forma fisica, ma sarà sempre piùaccompagnato da forme di comunicazione digitale. C’è il pregiudizio che ilcliente private banking sia anziano e poco tecnologico: non è più così».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Andrea Di Camillo. Managing partner del fondo P101
La finanza alternativa che piaceai privateDal crowdfunding ai club d’investimento
I l crowdfunding guadagna terreno. E iclienti private banking iniziano ad accorgersene. Secondo dati Consob, il
18% delle famiglie italiane si dice interessato agli strumenti di “finanza alternativa”: gli investimenti che esulano dai prodotti tradizionali e sfruttano formule come i prestiti peertopeer (i finanziamenti tra privati) e lo stesso crowdfunding, le raccolte fondi collettive per progetti e imprese. Un’attenzione che si fa anche più evidente su scala globale, dove gli investimenti nel settore potrebbero toccare ilpicco di 250 miliardi di euro annui nel 2016.
Ma perché i nuovi canali di funding dovrebbero attrarre anche il target degli individui ad alto reddito, accomunati da portafogli che vanno da un minimo di 500mila euro in su? Secondo AlessandroLerro, avvocato esperto di tecnologie e fondatore dello studio Lerro&Partners, la spinta su forme di investimento innovative coincide con la crisi (o la saturazione) dei canali già esplorati. Il dato della crescita del crowdfunding, dice Lerro, emerge proprio «nel momento in cui la liquidità ferma sui conti bancari e postali raggiunge un picco storico e ». Segno cheanche i clienti con più disponibilità iniziano a guardare altrove, come già succede con le startup (si legga l’articolo sotto). Lescommesse su imprese più o meno innovative possono implicare gradi di rischio elevati, ma anche ritorni significativi e lapossibilità di inserirsi in nuove strategie di business.
«È il momento di convogliare risorse finanziare improduttive almeno in parte sull’economia reale – dice Lerro come stasuccedendo nel resto del mondo, contri
buendo allo sviluppo delle piccole e medie imprese e alla creazione di nuovi postidi lavoro».
Il problema, semmai, è nel metodo adottato dagli investitori per valutare la bontà di un progetto prima di qualsiasi impegnoeconomico. I clienti di fascia private devono filtrare l’interesse naturale per un certoprogetto con delle garanzie sul futuro: se èimpossibile pronosticare il successo delleimprese, si può almeno fare una diagnosi della sua solidità. Lo conferma Nicola Lencioni, fondatore e amministratore delegato della piattaforma di crowdfunding Eppela: «Se investo vorrei un minimo di verifica, di controllo – dice –. Insomma, la possibilità di testare il prodotto». Come? Secondo Lencioni, è fondamentale passare per una fase di crowdfunding rewardbased (la raccolta fondi che prevede un premio ai finanziatori) prima di sbilanciarsi sull’equity crowdfunding (la raccolta di capitali vera e propria). «Bisogna dimostrare che c’è una base solida, permettendo anche all’investitore inesperto dicapire dove mettere i soldi – dice Lencioni– Ad esempio, se un progetto raccoglie100mila euro con un crowdfunding rewardbased sarà probabilmente unbuon investimento. All’estero fanno giàcosì, e funziona». Più cresce il patrimonio,però, e più l’investitore rischia di sentirsi stretto in campagne di raccolta online come nel modello del crowdfunding.
Ed è qui che entrano in gioco le alternative per i clienti private, sempre nel solco della finanza alternativa: gli stessi prestiti fra privati del peertopeer o la formula delclub deal: i “club di investimento” dove i cosiddetti high net worth individual, le persone ad alto reddito, possono riunirsi per investire parte del patrimonio in progetti con impatto sull’economia reale. I vantaggi? Secondo Lerro, sono soprattutto due: potersi mettere in gioco con somme più importanti e spaziare anche in settori più tradizionali rispetto a quelli presidiati da startup innovative. «Dobbiamochiarire cosa intendiamo con cliente private banking, perché può trattarsi di un patrimonio da 500mila euro o da 5 milioni di euro – dice Lerro E rientrano nella stessacategoria». Se il portafoglio lo permette, ilclub deal offre margini di manovra più ampi. «Se vuoi fare una campagna di grossedimensioni, allora forse è meglio adottarela struttura del club deal – spiega Lerro –. Ha un meccanismo che si presta meglio. Ma non escluderei comunque che si possapreferire il crowdfunding. Con le precauzioni del caso».
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LE STIMELa società di ricerca Aite Group ha stimato un valore di 285 miliardi di dollari entroil 2017 per il mercato della «consulenza digitale» e Accenture proietta gli asset gestiti nel 2015 tra i 55 e i 60 miliardi
L’impatto della tecnologia
Il perimetro È quanto stima la società di consulenzaAite Group relativa alla dimensione chenel 2017 potrebbe raggiungere nel mondo la consulenza digitale agli investimentiad opera delle piattaforme attive
285miliardi di dollari
Sono le startupil nuovo asset nella manicadei gestori È un investimento direttoche può fruttare ritorni
Investire sul potenziale. Con finanziamenti nell’immediato e ritorni sul futuro. I clienti private banking guarda
no alle startup come asset appetibile per diversificare la gestione del patrimonio, fornendo capitali alle imprese che si muovono tra primi round di finanziamento e programmi di incubazione. Le aziende di grandi dimensioni giocano giàun ruolo decisivo nel sostegno delle aziende innovative, visto che il 60% degliinvestimenti in “open innovation” (dati AssolombardaStartup ItaliaSmau) arriva da gruppi large corporate con fatturato di almeno 50 milioni di euro.
Se si parla di clienti singoli, però, i criteri sono diversi. Prima di tutto perché il finanziamento è individuale, con esborsie tempi di recupero più difficili da sostenere rispetto a chi ha un'azienda alle spalle.
Secondo Andrea Di Camillo, managing partner del fondo P101, il finanziamento alle startup piace anche ai clienti private perché crea un «impatto diretto»sul tessuto economico e può fruttare ritorni interessanti. Meno facile orientarsinella scelta, vista l’abbondanza di startupe di operatori affiliati al loro mercato: in Italia si registrano oltre 6.400 imprese innovative e oltre 40 incubatori certificati,ma la quota di chi riesce a generare fatturati significativi (dai 100mila euro in su) èancora marginale. Di Camillo suggerisceuna strategia «strutturale» di finanziamenti: investimenti pianificati e diversificati, come nella logica di un qualsiasi portafoglio equilibrato. Il rischio da mettere in conto è che i tempi di maturazionedei risultati possono essere lunghi e ancora più incerti dell’andamento di un titolo finanziario. «Se investi strutturalmente in startup, trovi investimenti sensati e redditizi – dice Di Camillo . In più, la possibilità di investire in startup dà anche la possibilità di coinvestire a fianco di fondi venture capital che si occupano proprio di innovazione».
I criteri da tenere in considerazione?Di Camillo riepiloga i fattori analizzati dabusiness angel e venture capitalist più familiari con le startup: solidità del team, un piano di business ben articolato, interesse in un settore economico che offra davvero margini di crescita. Un elemento di rassicurazioni in più arriva dalla presenza di investitori professionali tra le quote della società: «Un modo per essere più consapevoli del valore della società, visto che il margine di incertezza è sempre alto».
Gli ambiti con più prospettive? MarcoGay, vicepresidente esecutivo dell’incubatore Digital Magics, individua i terrenipiù fertili nei settori a metà via fra i trendinternazionali e i punti di forza italiani: «Isettori che stanno crescendo a doppia cifra a livello internazionale Sono l’internet delle Cose (IoT), Made in Italy (food,fashion, design) – dice – Senza dimenticare fintech e digital health»
Anche qui, però, i rendimenti non sonoimmediati. Stefano Venturi, membro delconsiglio di presidenza di Assolombardacon delega ad agenda digitale e startup,evidenzia che le neoimprese devono «fallire e rinascere» prima di garantirerisultati e quindi ritorni per gli investitoriprivati. Un meccanismo che va considerato sia nella open innovation delle imprese sia, a maggior ragione, negli investimenti dei clienti private: «In Italia nonfalliscono abbastanza startup, si parte sempre convinti di diventare grandi o essere acquisiti subito – spiega Venturi .Invece l’idea di fondo dovrebbe essere il far consolidare le aziende».
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LA LEVAA spingere il cliente private verso formedi investimento innovative sono la crisi(o la saturazione) dei canali già esplorati e il disinteresse per i mercati regolamentati e i prodotti finanziari tradizionali
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