3. corazzine e bacinetti dalla rocca di campiglia society » xiii, 2 settembre ... (jacomino ravizza...

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382 3. CORAZZINE E BACINETTI DALLA ROCCA DI CAMPIGLIA lizzazione, la presenza d’una tela sottile, interna- mente, e d’un tessuto più grosso ma pure a trama semplice, realisticamente canapa, all’esterno. Questo primo gruppo di reperti analizzati riman- dava ad un tipo di manufatto, nel suo complesso ben noto e denominato, in base ad una termino- logia relativamente tarda, “brigantina”. Anche nell’area toscana risultano testimonianze basso medievali dell’uso d’una tale protezione e non sono pochi i musei e le collezioni che mo- strano, o possiedono, esempi quattrocenteschi del genere. Benché per foggia e lunghezza, non- ché per posizione delle chiodature, sia possibile affermare che larga parte dei frammenti di dife- sa “tessile” rinvenuti in quella prima fase degli scavi, fosse pertinente ad una falda, vale a dire la parte che dalla vita scendeva a proteggere ven- tre, fianchi e glutei, non mi è parso possibile ten- tare una ricostruzione. Va da se che il tipico an- damento scampanato, appena bombato verso l’esterno, che l’iconografia ci ha trasmesso, do- veva caratterizzare anche l’esemplare da cui pro- venivano tali frammenti (si veda a tale proposi- to il confronto con l’esemplare ricostruito, Fig. 2); lo testimonia la leggera arcatura delle lamel- le, il loro embricarsi con l’inferiore su tutte e la curvatura appena avvertibile all’esame d’ogni sin- golo resto significativo, che rimanda a circonfe- renze maggiori di quelle della vita e del torace. Sul territorio italiano vanno ricordate, consegna- teci da contesti non archeologici, alcuni esempi interessanti di corazzine e brigantine. Il più antico, che a suo tempo non mi fu consen- tito di esaminare, si trova al Castello Sforzesco a Milano (Fig. 3) (inv. n. 161) 1 , e su di esso con- verrà tornare. Segue quello del Consiglio dei X, di Palazzo Ducale a Venezia (inv. E 28), che è un tipo chia- ramente “da mare” essendo provvisto di una am- pia falda che ricade d’innanzi “a grembiala” come riscontrabile nelle Storie di Sant’Orsola di Vit- tore Carpaccio. Da quella restituzione, che è quasi fotografica rispetto all’oggetto reale, si comprende come la difesa venisse indossata as- sieme a schiniere sane a protezione degli stinchi, Le campagne archeologiche di scavo hanno for- nito, nell’ultimo decennio, un considerevole ap- porto di materiali per la riflessione sugli equipag- giamenti militari medievali. Malgrado la difficol- tà che talora comporta identificare questi manu- fatti, vuoi per il loro stato di conservazione, vuoi per la loro difficoltà di comparazione, sono molti i contesti che hanno proposto all’attenzione degli studi armamenti difensivi o loro parti, databili nell’ambito del Trecento. È mia convinzione che, in passato, possa talora essere mancata una suffi- ciente consapevolezza nella conduzione di qual- che scavo che, dati i siti e la dimensioni dell’im- pegno, avrebbero dovuto dare, a rigore un certo quantitativo di manufatti del genere. Nel caso specifico è merito di chi ha guidato l’im- presa, l’aver riconosciuto l’importanza delle te- stimonianze che emergevano, instaurando subi- to un proficuo rapporto di collaborazione con chi, pur provenendo da altre discipline, aveva familiarità con lo specifico. Il risultato, che oggi è sotto gli occhi di tutti, nel neo costituito museo di Campiglia, ha richiesto l’apporto costante di tutti e non poco merito va a Fernanda Cavari che ha restaurato i resti rin- venuti, così da garantirne una buona conserva- zione malgrado la inevitabile manipolazione cui sono stati sottoposti nelle fasi di studio. Diversamente dalla consuetudine, che vorrebbe che in prima istanza ci si occupasse delle difese della testa, poi del tronco e, successivamente degli arti, credo sia qui opportuno soffermarsi, innanzi tutto sulle protezioni del busto. In un primo tempo, chi scrive è stato interpella- to perché, tra quanto ritrovato, figuravano un certo numero di placchette metalliche di ferro, fortemente ossidate, ma con forme rettangolari e trapezoidali riconoscibili, le cui dimensioni si riproponevano con una certa regolarità. Dai pri- mi strati della torre B, in particolare dalle US 1040-1042 erano emersi resti, molto frammen- tari e sporadici di lamelle, di circa 4 cm di altez- za (Fig. 1), con ribattini, per lo più allineati al margine superiore in serie continue e poco spaziati tra loro. Il numero dei ribattini o chio- dature che dir si voglia, un tempo a teste d’otto- ne, variava sino ad un massimo di cinque sui frammenti maggiori e meglio conservati. Su alcune delle lamelle era leggibile, per minera- 1 P. ALLEVI, Museo d’arti applicate, armi bianche, Milano 1998, cat. n. 24, p. 25. © 2003 All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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3. CORAZZINE E BACINETTI DALLA ROCCA DI CAMPIGLIA

lizzazione, la presenza d’una tela sottile, interna-mente, e d’un tessuto più grosso ma pure a tramasemplice, realisticamente canapa, all’esterno.Questo primo gruppo di reperti analizzati riman-dava ad un tipo di manufatto, nel suo complessoben noto e denominato, in base ad una termino-logia relativamente tarda, “brigantina”.Anche nell’area toscana risultano testimonianzebasso medievali dell’uso d’una tale protezione enon sono pochi i musei e le collezioni che mo-strano, o possiedono, esempi quattrocenteschidel genere. Benché per foggia e lunghezza, non-ché per posizione delle chiodature, sia possibileaffermare che larga parte dei frammenti di dife-sa “tessile” rinvenuti in quella prima fase degliscavi, fosse pertinente ad una falda, vale a direla parte che dalla vita scendeva a proteggere ven-tre, fianchi e glutei, non mi è parso possibile ten-tare una ricostruzione. Va da se che il tipico an-damento scampanato, appena bombato versol’esterno, che l’iconografia ci ha trasmesso, do-veva caratterizzare anche l’esemplare da cui pro-venivano tali frammenti (si veda a tale proposi-to il confronto con l’esemplare ricostruito, Fig.2); lo testimonia la leggera arcatura delle lamel-le, il loro embricarsi con l’inferiore su tutte e lacurvatura appena avvertibile all’esame d’ogni sin-golo resto significativo, che rimanda a circonfe-renze maggiori di quelle della vita e del torace.Sul territorio italiano vanno ricordate, consegna-teci da contesti non archeologici, alcuni esempiinteressanti di corazzine e brigantine.Il più antico, che a suo tempo non mi fu consen-tito di esaminare, si trova al Castello Sforzesco aMilano (Fig. 3) (inv. n. 161)1, e su di esso con-verrà tornare.Segue quello del Consiglio dei X, di PalazzoDucale a Venezia (inv. E 28), che è un tipo chia-ramente “da mare” essendo provvisto di una am-pia falda che ricade d’innanzi “a grembiala” comeriscontrabile nelle Storie di Sant’Orsola di Vit-tore Carpaccio. Da quella restituzione, che èquasi fotografica rispetto all’oggetto reale, sicomprende come la difesa venisse indossata as-sieme a schiniere sane a protezione degli stinchi,

Le campagne archeologiche di scavo hanno for-nito, nell’ultimo decennio, un considerevole ap-porto di materiali per la riflessione sugli equipag-giamenti militari medievali. Malgrado la difficol-tà che talora comporta identificare questi manu-fatti, vuoi per il loro stato di conservazione, vuoiper la loro difficoltà di comparazione, sono moltii contesti che hanno proposto all’attenzione deglistudi armamenti difensivi o loro parti, databilinell’ambito del Trecento. È mia convinzione che,in passato, possa talora essere mancata una suffi-ciente consapevolezza nella conduzione di qual-che scavo che, dati i siti e la dimensioni dell’im-pegno, avrebbero dovuto dare, a rigore un certoquantitativo di manufatti del genere.Nel caso specifico è merito di chi ha guidato l’im-presa, l’aver riconosciuto l’importanza delle te-stimonianze che emergevano, instaurando subi-to un proficuo rapporto di collaborazione conchi, pur provenendo da altre discipline, avevafamiliarità con lo specifico.Il risultato, che oggi è sotto gli occhi di tutti, nelneo costituito museo di Campiglia, ha richiestol’apporto costante di tutti e non poco merito vaa Fernanda Cavari che ha restaurato i resti rin-venuti, così da garantirne una buona conserva-zione malgrado la inevitabile manipolazione cuisono stati sottoposti nelle fasi di studio.Diversamente dalla consuetudine, che vorrebbeche in prima istanza ci si occupasse delle difesedella testa, poi del tronco e, successivamentedegli arti, credo sia qui opportuno soffermarsi,innanzi tutto sulle protezioni del busto.In un primo tempo, chi scrive è stato interpella-to perché, tra quanto ritrovato, figuravano uncerto numero di placchette metalliche di ferro,fortemente ossidate, ma con forme rettangolarie trapezoidali riconoscibili, le cui dimensioni siriproponevano con una certa regolarità. Dai pri-mi strati della torre B, in particolare dalle US1040-1042 erano emersi resti, molto frammen-tari e sporadici di lamelle, di circa 4 cm di altez-za (Fig. 1), con ribattini, per lo più allineati almargine superiore in serie continue e pocospaziati tra loro. Il numero dei ribattini o chio-dature che dir si voglia, un tempo a teste d’otto-ne, variava sino ad un massimo di cinque suiframmenti maggiori e meglio conservati.Su alcune delle lamelle era leggibile, per minera-

1 P. ALLEVI, Museo d’arti applicate, armi bianche, Milano1998, cat. n. 24, p. 25.

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così da lasciare alle gambe quella libertà di mo-vimenti indispensabile per agire sul ponte d’unanave. Quello veneziano è un pezzo straordina-rio in tutti i sensi e meriterebbe un prossimo ac-curato studio nonché una conservazione atten-tissima essendo giunto sino a noi franco da ten-tativi di ‘restauro’ dilettanteschi.Egualmente ben conservata è la brigantina del-l’armeria Trapp di Castel Coira (CH S6) (Fig. 4)che ritengo possa collocarsi entro il primo lu-stro del Cinquecento e che è provvista di scarselleoggi separate per motivi di conservazione ma untempo cucite ai margini inferiori.Lacunoso è invece l’esemplare del Museo PoldiPezzoli di Milano (inv. n. 2342) (Fig. 5) anch’essosin qui scampato ad interventi permettendoci di leg-gere appropriatamente la struttura dell’oggetto.Entrambi questi pezzi erano concepiti per nonessere indossati ‘a vista’; come dimostra l’irre-

golare apposizione della bullettatura stagnata atesta piatta. In tutti e due i casi un giubbone(“ zippone” ) in tessuto prezioso, avrebbe nasco-sto la protezione e nel caso del pezzo tirolesequesto poteva prevedere persino appositi attac-chi o sedi a modo di tasche per le scarselle. Par-zialmente alterati da ‘restauri’ d’uso od antiqua-ri, sono altri esemplari che meritano di esseremenzionati: quello della Museo di Ravenna (inv.n. 1767) (Fig. 6), il cui aspetto attuale è già cin-quecentesco, ha perduto tutte le lame poste in-feriormente al giro della vita. Il lavoro di rias-setto, accurato, ad evidenza condotto per pro-lungare l’uso dell’oggetto, ha perfettamente ri-proposto la struttura originale2 su di una base di

Fig. 1 – Resti di placchette con resti di tessuto a trama fitta, probabilmente una tela di lino, mineralizzati; dalprimo gruppo di ritrovamenti dalla Rocca di Campiglia (US1040, torre B), schema grafico (M. Scalini).All’interno un tessuto più grosso ma la cui struttura è sempre una tela, forse di canapa. Nel campione in bassoa sinistra il tessuto più grosso surmonta quello più fine, si tratta probabilmente delle piastre della zona inferioredella falda con il tessuto di rivestimento che è parzialmente rimboccato all’interno dove viene ricoperto dalla

fodera ( la posizione del frammento deve essere interpretata alla rovescia rispetto al disegno).

2 Ovviamente per il possibile, visto che la schiena segueora uno schema asimmetrico con una fila di lame in piùsulla sinistra.

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Fig. 2 – Resti di una corazzina dalla rocca di Campi-glia, dopo il restauro, Campiglia M.ma, Museo, vista

frontale (Foto M. Bertoni).

Fig. 3 – Corazzina, Maestro I sotto scaglionecrocettato con lettere ZO (Giovanni), Italia setten-trionale (Milano?), sec. XIV, Milano, Castello Sfor-zesco, inv. n. 161 (prima del restauro) (Foto Museo

del Castello Sforzesco).

Fig. 5 – Brigantina, Italia Settentrionale, sec. XV,Museo Poldi Pezzoli, Milano, inv. n. 2342 (vista della

schiena, qui rovesciata) (Foto M. Bertoni).

Fig. 4 – Brigantina (qui senza scarselle), Italia setten-trionale c. 1500-1505, Schluderns, Churburg (castel

Coira), inv. CH S6 (Foto M. Bertoni).

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canovaccio e raso (stoffa più rispondente al gu-sto cinquecentesco, se non del diciannovesimosecolo) con l’impiego di chiodi dorati.Il resto di brigantina del Museo Civico Medie-vale di Bologna (inv. n. 11)3, che Boccia datavagiustamente alla seconda metà del Quattrocen-to, è soltanto parte della schiena, ma è struttu-ralmente vicino a quella ravennate, dimostran-do come la prima abbia sofferto di rimaneggia-menti e come il lasso di tempo che le separa siameno che generazionale.L’ampio studio dedicato da Eaves4 al soggettoriconosce tra le prime testimonianze iconografi-che italiane gli affreschi dell’oratorio di San Gior-gio, riferibili ad Altichiero e Jacopo Avanzi. Pur-troppo gli interventi di restauro, anche moltoattenti alla salvaguardia dei valori pittorici mascarsamente sensibili ai valori iconografici e do-cumentari, hanno reso un mediocre servizio perciò che concerne l’affidabilità del dettaglio.Malgrado ciò si riconoscono alcune tipologie dicorazzine che, nella maggior parte dei casi sonoaffibbiate sul davanti ed i cui busti, stretti in vita,sono composti di due o più grandi piastre a dife-sa del torace, mentre la lunga falda a campana si

protende a proteggere i glutei, fianchi ed addo-me ben oltre la forcata, sin quasi al terzo supe-riore della coscia.Ho intenzionalmente preferito il termine stori-co “ corazzina” , tramandatoci dai documenti tre-centeschi, per sottolineare come dalla “ corazza” ,di grandi placche fissate ad un incoiato, già pre-sente, come ho dimostrato per primo, almenodall’ultimo quarto del Duecento, si sia passatiattraverso una fase di dimensionamento diffe-renziato delle piastre componenti, prima di giun-gere a sistemi di lamelle di formato relativamen-te ridotto ed omogeneo che a buon diritto pos-sono essere chiamate “ brigantine” . La povertàlessicale di altre lingue non permette purtroppouna rispondenza ugualmente agile ed immedia-ta tra termine e tipo, precludendo le possibilitàdi ricerca ed approfondimento in contesti na-zionali diversi. Fatto sta che sino ad ora parenon sia stato possibile identificare, in contestimuseali, una difesa di lamelle e piastre databileanteriormente all’ultimo quarto del Quattrocen-to.In realtà, da Xalkis, in Eubea, proviene un certonumero di frammenti di corazzine rinvenuti inun ripostiglio murato d’una locale fortificazio-ne, insieme a copricapo variamente databili tral’ultimo quarto del Trecento e quello del secolo

Fig. 6 – Brigantina, Italia Settentrionale, sec. XV, rimontata successivamente, Museo Nazionale, Ravenna, inv.n. 1767 (interno) (Foto Soprintendenza BB.AA.AA. delle province di Ravenna, Ferrara e Forlì, neg. n. 121033).

3 L.G. BOCCIA, L’armeria del museo civico medievale diBologna, Busto Arsizio 1991, scheda n. 3, pp. 42-43.4 I. EAVES, On the remains of a Jack of Plate Excaved fromBeeston Castle in Cheshire, «The Journal of the Arms andArmour Society» XIII, 2 settembre 1989, pp. 81-154.

5 Oltre a frammenti spuri fu rinvenuta una corazza vera epropria, con andamento cilindrico composto da placche di-

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Fig. 7 – Petto da “ a cavallo” con falda, ricoperto invelluto rosso. Italia Settentrionale, fine sec. XIV,inizio sec. XV, Maestro della R coronata (JacominoRavizza ?), Italia settentrionale ?, München, BayerischesNationalmuseum, inv. W n. 195 (Foto Bayerisches

Nationalmuseum).

Fig. 8 – Arazzo, Storia di Ettore, Tournai, sec. XV, c.1471-1472 New York, Metropolitan Museum of Art,

inv. 39.74.

successivo5. Con una parte di questi resti fu con-fezionata ex novo una difesa del tronco6, rivestitain velluto piano rosso, ed affibbiata anteriormen-te, che ancora completa un insieme piuttosto ete-rogeneo e pesantemente restaurato, ancorché digrande effetto e discreta attendibilità, esposto alMetropolitan Museum of Art di New York7.Tale ricostruzione è stata comunque, sino ad ora,il più antico esempio di corazzina visibile, ve-nendo per altro datata intorno al 1400.A quel torno d’anni si suole far rimontare ancheun interessante petto ricoperto di velluto rosso edotato di fori per l’apposizione della resta, che siconserva al Bayerisches Nationalmuseum di Mo-

naco di Baviera8 (Fig. 7). La chiodatura che nedecora la superficie, descrivendo due archi, cheamplificano le lune del taglio delle ascelle, risul-tando tangenti al centro, non ha ragioni funzio-nali, mentre le fitte file di ribattini sulle lame difalda fissano le stesse sul tessuto esterno garan-tendo in parte anche la loro articolazione.Malgrado il punzone, ad R lombarda9 coronata, siastato riferito al milanese Jacomino Ravizza, non sen-za ragione, chi scrive ritiene che il pezzo possa esse-re più tardo di quanto si pensi e che sia stato inten-zionalmente realizzato per alludere a protezioni piùantiche. Infatti una raffigurazione d’una protezio-ne analoga si riscontra su di una tappezzeria del

scretamente grandi ed ancora fissate su di un tessuto (anchese in parte reinserite nel corso di evidenti restauri d’uso).Essa è stata pubblicata anche da Boccia in L.G. BOCCIA, F.ROSSI, M. MORIN, Armi ed armature Lombarde, Milano.6 Altre sono conservate nei depositi del MetropolitanMuseum of Art di New York.7 Bashford Dean Memorial Collection, 1929, 29.154.3.8 (Inv. W n. 195). Tutta la critica più recente, inclusoLionello Giorgio Boccia, lo indica ancora la BayerischesArmée Museum (Ingolstadt) a riprova che nessuno l’havisto direttamente, tra quanti così lo citano, negli ultimicinquant’anni.

9 Intendo qui il mero riferimento al tipo di scrittura li-braria, notoriamente assai diffuso anche in altre parti dellapenisola e non solo.

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tardo Quattrocento, conservata al MetropolitanMuseum of Art di New York (Fig. 8).Fa a questo punto obbligo considerare la coraz-zina del Castello Sforzesco di Milano (Fig. 3),dando per assunto che essa sia antica in ogni suaparte e non alterata, fatto questo che meriteràqualche maggiore indagine in un prossimo futu-ro. Rispetto a quant’altro noto, l’esemplare diMilano si caratterizza per la grande ma non ec-

Fig. 9 – Ignoto scultore alsaziano, Uno degli armati al Sepolcro, Strasburgo c. 1345-1350, Museo diocesano,Strasburgo (Foto M. Scalini).

Fig. 10 – I resti della corazzina trovati all’interno delpalazzo al momento del loro rinvenimento (foto G.

Bianchi).

Fig. 11a – Corazzina (qui con cappello da campagnae barbotto associati), Spagna, sec. XV, Paris, Muséede l’Armée, inv. G.Po. n. 709 (Foto Musée de l’Armée).

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Quella del Castello Sforzesco, pure marcata, mo-stra, sotto il solito scaglione crocettato, milanese,una I, mentre dalle bande figurano le iniziali ZO,come già segnalato da Boccia11.Tra tutte le protezioni di placche o lamelle me-talliche di una qualche completezza sino ad oggirese note con una adeguata presentazione scien-tifica, il pezzo ora ricordato è quello che costi-tuisce il riferimento più prossimo ai ritrovamen-ti di Campiglia ed una sua datazione nel tardoTrecento appare più che convincente.Ho cercato di dimostrare in passato, credo conun certo successo, che le corazzature ritrovate aWisby furono abbandonate sul campo, nel 1361,perché danneggiate ma, ancor più, perché ormaiobsolete12. Un più realistico scaglionamento cro-nologico di quelle corazze andrebbe oggi ripro-posto ad integrazione del classico ed ottimo lavo-ro del Thordeman13. A quanto par di compren-dere dall’iconografia, le corazze, nella prima metàdel Trecento (Fig. 9), evolsero verso strutturazio-ni a lamelle sempre più piccole ma comprensibil-mente specializzando l’impiego di queste a prote-zione delle parti meno vitali del corpo, con ogniprobabilità quale alternativa, per altro più eco-nomica, alla maglia d’acciaio.Per contro, proprio la gente d’arme a cavallo ri-

Fig. 11b – Corazzina (ristrutturata in epoca d’uso), Spagna, sec. XV, Paris, Musée de l’Armée, inv. G.Po.n. 709 (interno) (Foto Musée de l’Armée).

cessiva estensione della piastra che espleta fun-zione di petto, inferiormente alla quale quattrofile di lamelle sostituiscono quella che nell’ar-matura del primo Quattrocento è normalmentequella sezione separata a scorrere sul margineinferiore del petto e che è detta panziera. Tredicifile di chiodi (uso qui il termine genericamente,ma si tratta propriamente di bullette) fissano alrivestimento, in canapa, dodici lamelle trapezieche compongono i quattro settori anteriori dellafalda. Al centro, anteriormente, le lame sono quat-tro, mentre due rettangoli di maglia d’acciaio pen-dono alla forcata rimanendo rivestiti dal tessuto egiustapponendosi, senza congiungersi, lascianouno spacchetto aperto per agevolare il movimen-to all’atto della divaricazione delle gambe.La struttura tergale è meno nitida ed il granderettangolo laminato che difende il dorso è inte-grato per lo più da lembi di maglia, fatte salve leparti laterali della cassa toracica dove nove filedi chiodi, stando alle descrizioni fornitene, fis-serebbero cinque lamelle di cui la superiore, s’im-magina, su tutte. L’oggetto apparteneva al ‘Mu-seo Patrio di Archeologia’ come c’informa il ConteAmbrogio Bazzero de Mattei10. Questi, scrivendonel 1881 sottolineava come le lamelle fossero sta-gnate, mentre nessuna doratura appariva sullebullette, e la comparava con una difesa del gene-re, con marche dello scorpione sulle lamelle, nel-l’allora nota collezione del cavalier Brambilla.

10 A. BAZZERO DE MATTEI, Le armi antiche del museo Pa-trio di Archeologia di Milano, Milano 1881, seconda ed.1882, p. 20; manca a P. ALLEVI, Museo d’arti applicate,armi bianche, Milano 1998, p. 25.

11 L.G. BOCCIA, L’armeria del museo civico medievale diBologna, Busto Arsizio 1991, scheda n. 3, pp. 42-43.12 M. SCALINI, Protezione e segno di distinzione: l’equi-paggiamento difensivo nel Duecento, in Il sabato di SanBarnaba, Milano 1989, pp. 80-92.13 B. THORDEMAN, Armour from the battle of Wisby 1361,Uppsala 1939, 2 voll.

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tenne sempre maggiormente apprezzabili le pro-tezioni a grandi piastre che, pur limitando nonpoco la mobilità del busto, offrivano maggiorigaranzie ai micidiali impatti delle lance cavalle-resche e dei verrettoni da balestra.A rigore, dunque, una corazzina come quella delCastello Sforzesco, potrebbe agevolmente col-locarsi nel lasso di tempo tra il 1360 ed il 1380,fermo restando che il suo uso si sarebbe potutoprotrarre sino alla metà del Quattrocento ed ol-tre14. Mi sembra opportuno sottolineare che perragioni relativamente ovvie la datazione che unostudioso può fornire per manufatti non databilistoricamente per ragioni esterne a quelle forma-li, dovrebbe intendersi come post quem essendoimpossibile stabilire con assoluta certezza la rea-le cronologia d’utilizzo di una arma.Basti, ad evidenza, il fatto che nei moti milanesidel 1848 ci si armò persino con alabarde rinasci-mentali o che nella nostra era tecnologica, all’esor-dio del terzo millennio, esistono eserciti naziona-

li che ancora fanno uso di armi di dotazione aibelligeranti durante la seconda guerra mondiale.Andrà tenuto presente che per oggetti databili perragioni esterne alla tipologia funzionale (in gene-re documentarie) non sono sempre coincidenti lacronologia formale (ossia il nostro ‘post quem’) ela data reale di realizzazione che, per molte ra-gioni, può ben essere assai più bassa.Date le coordinate generali per affrontare la clas-sificazione delle placche metalliche rinvenutenegli scavi di Campiglia Marittima, che per inci-so assommano forse ad un migliaio e realistica-mente pertengono ad almeno quattro diversecorazzine trecentesche, converrà soffermarsi sulprimo esemplare che è stato possibile ricostrui-re. Gioverà segnalare che questa operazione, pri-ma del genere sul territorio italiano, almeno aquanto mi consta, è stata agevolata dal fatto cheil gruppo di placchette rinvenute (Fig. 10), anzi-ché provenire da una sorta di ‘discarica’, comesi da invece per il resto rinvenuto nella torre B,è stato recuperato in maniera unitaria all’inter-no del fondo del palazzo in un’area assai circo-scritta, meno di due metri, e già in relativo ordi-ne (US 4042). Benché dalla giacitura dei restinon fosse direttamente ricavabile il modo in cuile singole piastre andassero sovrapposte, è ap-parso comunque evidente a chi scrive, che esseerano appartenute ad una singola corazzatura eche costituivano larga parte della falda ed unquarto circa della protezione del tronco. Mal-grado non esistesse un prototipo di sicuro riferi-mento in quanto le piastre allo studio risultava-no di dimensioni dissimili da qualsiasi manufat-to pubblicato, ci si è giovati, quale utile raffron-to, di un gruppo di lame ricomposte presenti al

Fig. 12 – Resti di una corazzina dalla rocca diCampiglia, dopo il restauro, Campiglia M.ma, Museo,vista frontale di tre quarti dalla banda sinistra (Foto

M. Bertoni).

Fig. 13 – Resti di una corazzina dalla rocca diCampiglia, dopo il restauro, Campiglia M.ma, Museo,vista frontale, particolare della falda (Foto M. Bertoni).

14 Come si capisce la datazione che si lega all’apparizionedella tipologia, che comunque non nasce mai o quasi maidal nulla, e quello che si può considerare il tempo di vitad’un manufatto d’uso prima della sua obsolescenza, sonocose ben diverse.

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Musée de l’Armée a Parigi, (inv. G.Po. n. 207),che provenivano dalla collezione GeorgePauilhac (Tolosa 1871-Parigi 1958), un conosci-tore attento che aveva formato larga parte dellapropria raccolta in Spagna15.Altro esemplare di una qualche utilità, come ri-ferimento, mi è parsa anche la corazzina ripara-ta in epoca d’uso, con placche spurie e compo-ste su un incoiato piuttosto tardo (all’apparenzaseicentesco), della stessa collezione (inv. G.Po.n. 709) (Fig. 11a, Fig. 11b).Malgrado entrambe siano state datate verso il1470-1480, la provenienza iberica (area in cui siassiste alla diffusione di tipi, nati nella nostrapenisola, con un certo ritardo), ne fa buona te-stimonianza di fogge in uso da noi per il lungoperiodo che copre almeno la prima metà delQuattrocento.Ciò che rende particolarmente simile la corazzi-na di Campiglia, proveniente dalla strato 4042,al primo dei pezzi parigini ora citati, è la serie diterne di chiodini, a testa tonda, che fissavano le

placchette al tessuto che, nel caso nostro, paressere stata semplice tela.Questo dato va considerato tenendo comunquepresente che la nostra corazzina propone taliterne di chiodi, dalla testa di circa 5 mm di dia-metro, con maggior rarefazione rispetto ai ma-nufatti noti che adottarono simile soluzione eche certo sono già quattrocenteschi.L’aspetto costruttivo è relativamente semplice (Fig.12, Fig. 13). Alla forcata si trovano due placchet-te a trapezio rettangolo disposte verticalmente econ le punte ad angolo maggiormente acuto ver-so l’esterno, poi due serie di forma trapezoidalema con il lato retto, un po’ a rientrare, che indicail sistema di embricatura insieme alla curvatura ebombatura delle stesse.Pressoché rettangolari sono invece quelle che de-finiscono i fianchi (Fig. 14, Fig. 15), sempre conl’inferiore su tutte, mentre quelle del fronte edella schiena risultano ad esse soprammesse. Laserie di lamelle centrali che formano la falda suiglutei, sottostà (Fig. 16, Fig. 17) a quelle inter-medie, una destra e una sinistra.La falda che ne risulta è di almeno sette ordini dilame, alte quattro centimetri e due millimetri cia-scuna, col risultato che, malgrado il giuoco dellesovrammissioni, essa doveva essere una ‘campa-

Fig. 14 – Resti di una corazzina dalla rocca diCampiglia, dopo il restauro, Campiglia, Museo, vista

del fianco sinistro (Foto M. Bertoni).

Fig. 15 – Resti di una corazzina dalla rocca diCampiglia, dopo il restauro, Campiglia, Museo, vista

del fianco destro (Foto M. Bertoni).

15 R.J. CHARLES, La collection Georges Pauilhac au Musèede Armée, « La revue Française», n. 182, Novembre 1965,supplemento.

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na’ di almeno 25 centimetri d’altezza. Sin qui, perquanto difficile da concretizzare, vale a dire pre-sentare su di un manichino in modo comprensi-bile, la ricostruzione era quasi scontata. Il ‘quasi’conviene per il fatto che la parte centrale ed ante-riore della falda, salvo le due lamelle trapezie allaforcata, mancava interamente.Ciò significa che, di fatto, stando alla sola eviden-za archeologica, la grande zona trapezia in corri-spondenza del pube, avrebbe potuto essere risoltacon maglia d’acciaio, forse rimossa e recuperata almomento dell’abbandono della nostra corazzina.Per questo motivo, nella ricostruzione su mani-chino si è preferito lasciare la zona lacunosa. Perricomporre le lame rimanenti, provenienti dalladifesa del tronco, che si è supposto essere per lopiù pertinenti ad una stessa zona, si è partiti dal-lo spazio sotto l’ascella che è stato agevole rico-struire con quattro piastre pressoché rettangola-ri, embricate con l’inferiore su tutte, soluzionequesta che dimostra una qualche arcaicità di pen-siero ma che risulta evidente per la posizione deiribattini. Uno dei dettagli più interessanti, deiresti esaminati, seppure niente affatto sorpren-dente, era la presenza di due piastre, una soladelle quali perfettamente conservata, che in se-zione longitudinale risultavano a V molto diva-

ricato e la cui foggia fortemente rettangolare ter-minava da una banda con una punta a freccia edall’altra con un identico profilo ma al negati-vo. Tali caratteristiche non lasciavano dubbi chei due reperti fossero lame destinate a porsi invita in sequenza adiacente, senza sovrammissioni,così come appare su di un buon numero di bri-gantine quattrocentesche e cinquecentesche.Con queste, alte cm 3,6 e dai lati di cm 7,5, non-ché con calchi di esse, è stato ricostruito il girovita che ha permesso anche il controllo del posi-zionamento delle lamelle di falda.In base alla posizione delle terne di ribattini che,sul manufatto integro, erano certo disposte comed’uso a creare anche un effetto decorativo regola-re, si è potuto appurare che il quarto inferiore sini-stro della corazzina era costruito partendo con lalama inferiore su tutte le altre, che erano embrica-te di conseguenza. L’elemento determinante percomprendere quale fosse la struttura dell’area diprotezione della cassa toracica è stata una placca,maggiore delle altre che, pur essendo di foggiatrapezia era assai più quadrotta e con i ribattinidisposti in modo tale da indurre a credere che que-sta fosse spinta fortemente sulla sinistra, pratica-mente a formare l’inizio dello scavo dell’ascella.Resta da chiarire l’estensione delle due piastreche, contigue a questa, avrebbero completato lametà sinistra della difesa del torace. L’aperturafrontale della nostra corazzina poteva al massi-mo consentire una ipotesi ricostruttiva che pre-vedesse due grandi placche, speculari rispetto allalinea dell’allacciatura, ma ciò sarebbe stato con-traddittorio rispetto a quant’altro ricostruito. Leplacche sono infatti eccessivamente estese perrisultare confortevoli se raccordate ad un petto

Fig. 16 – Resti di una corazzina dalla rocca diCampiglia, dopo il restauro, Campiglia M.ma, Museo,vista del fianco sinistro e della spalla di tre quarti (Foto

M. Bertoni).

Fig. 17 – Resti di una corazzina dalla rocca diCampiglia, dopo il restauro, Campiglia M.ma, Museo,vista della parte posteriore della falda (Foto M.

Bertoni).

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Fig. 18 – Resti di una corazzina dalla rocca diCampiglia, durante le fasi di ricomposizione (1998).Vista della parte posteriore della falda. Si noti la lamain eccesso nella fila a destra, priva di segni bianchi

sulle teste dei ribattini (Foto M. Scalini). Fig. 19 – Bacinetto dalla rocca di Campiglia, dopo ilrestauro, Campiglia M.ma, Museo, vista del lato

destro (Foto M. Bertoni).così rigidamente costruito. Infatti per ottenereuna struttura organicamente flessibile, ad unpetto, piuttosto irrigidito, avrebbe meglio corri-sposto una zona addome-fianchi risolta con la-melle relativamente minute, come nell’esempla-re del Castello Sforzesco.La sorte ha voluto che nel vicino sito di Roc-chette Pannocchieschi (Gr), altro luogo fortifi-cato pisano, oggetto di studio di Daniele De Luca(cui devo la generosa segnalazione e che moltomi ha aiutato nel lavoro e non solo da un puntodi vista pratico) sia emersa una placca assai gran-de con caratteristiche e spessori simili a quelledei materiali campigliesi.L’attenta considerazione di questo frammento haindotto al confronto fisico tra i reperti di Cam-piglia e la placca in questione, cosa questa cheha subito dimostrato la strettissima parentela tragli oggetti: per di più, giustapponendo la basedella piastra di petto proveniente da Rocchettea quelle di Campiglia, già sistemate nella loroprobabile posizione originale a difesa dell’addo-me, le dimensioni sono apparse talmente coe-renti e compatibili da consentire l’inserimentod’una terza sagoma della terza piastra a comple-tare la difesa della metà sinistra del petto con ilrisultato d’una scansione triplice e regolare.Naturalmente al momento in cui si è deciso dirimontare le placche di Campiglia su di un ma-nichino (in un assemblaggio ovviamente reversi-bile) che corrispondesse alle conclusioni qui espo-ste, la placca di petto da Rocchette è stata sosti-tuita da un calco in resina colorata, modellandopoi quella adiacente secondo un profilo supe-riore diagonale che garantisse una credibile con-tinuità dei margini della terna di petto.Sul manichino da esposizione sono state fissate

anche alcune piastre con bordi curvi che mostranofitte chiodature, senza dubbio provenienti dai giriascellari anteriori e posteriori, come risulta nellepiù tarde brigantine, anche nell’area dello scollo.Purtroppo nella sistemazione finale dei pezzi èstato necessario rimuovere i tocchi di bianco (Fig.18) che erano stati apposti in corrispondenza dellechiodature per renderne meglio visibile l’anda-mento favorendo le fasi d’indagine ricostruttiva.Per evidenziare e studiare la loro disposizione,peggio leggibile sulle pur ottime foto di documen-tazione conclusiva che qui si presentano, ci si ègiovati come base di un manichino provvisorio inpolistirolo appositamente scolpito.Il risultato finale può essere messo a confrontocon il così detto “ lamiere” di Churburg, una pro-tezione di petto e fianchi che si estende, avvol-gendo il tronco, in una serie di piastre rettango-lari bordate d’ottone, di cui la frontale su tutte,e che per ragioni storico-dinastiche è databile al1361 circa16. Senza dubbio l’insieme, per un per-sonaggio del rango di Ulrico IV di Matsch, cuiquesto lamiere è pertinente, era, al momentodella sua realizzazione, quanto di più innovati-vo si potesse reperire sul mercato. La datazionedella corazzina in esame deve per ciò conformarsiad una tale considerazione ed essendo un manu-fatto destinato a ben diversa classe sociale, saràopportuno collocarla più innanzi nel tempo, an-che per la sua complessità strutturale che preve-de la presenza d’una falda di piastre anziché di

16 Cfr. M. SCALINI, Armamenti difensivi prerinascimentali,in O. TRAPP M. SCALINI, L’armeria Trapp di Castel Coira,Maniago (Pordenone) 1996, II, pp. 33-37.

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maglia, a coerente (ma anche più economico)completamento della protezione.Vista anche l’esistenza a Rocchette d’una analo-ga difesa dovremo concludere che al tempo del-la sua acquisizione essa era un manufatto discre-tamente diffuso ed accetto nell’uso; ritengo dun-que che una sua datazione intorno al 1370 o pocodopo sia la più confacente17.Conferma ad una tale ipotesi di scaglionamentocronologico può venire anche dal rinvenimentodi un bacinetto nelle stratigrafie della torre B(Fig. 19), tipica protezione del capo della secon-da metà del Trecento. Disgraziatamente la suaframmentarietà permette di coglierne le caratte-ristiche formali e tecniche con una certa diffi-coltà. Un andamento scampanato in controcurvain corrispondenza delle guance e delle bandedella mascella, si ricompone in un profilo quasidritto della parte posteriore con un rigonfiarsiquasi impercettibile alla nuca. La cuspide, unavolta poco spinta all’indietro e di dimensioni con-tenute, perforata al sommo per l’apposizione del-la pennacchiera, lo pone verso gli anni settanta.Anche il profilo ad S leggermente modulata delmargine che dalla fronte scende verso quello in-feriore del coppo, fa pensare ad una datazionecomparativamente alta in accordo con quellasostenibile per l’esemplare del Museo Bardini diFirenze (Fig. 20)18. Peculiare è la forma dei per-ni delle cerniere per l’apposizione della visieramobile, le cui teste si configurano come rosettead otto ringrossi con al centro un bottone cheparrebbe conico e leggermente svasato.Questo dettaglio decorativo, che trova riscon-tro sul bacinetto A 12 di Vienna, marcato dalmaestro A e verisimilmente databile intorno al140019, non compare invece su di un bacinettodello stesso maestro del Museo Civico delle armiMarzoli di Brescia e, per quanto significativo nonmi pare debba essere preso come probante per

Fig. 20 – Bacinetto, Toscana ?, sec. XIV, Firenze,Museo Bardini (Foto M. Bertoni).

Fig. 21 – Resto (uno di due) di visiera a ribalta dabarbuta o da bacinetto dalla rocca di Campiglia, primadel restauro, Campiglia, Museo (Foto G. Fichera).

17 La datazione del reperto è in contrasto con quella del-lo strato di appartenenza (US 4042) corrispondente aduno dei livellamenti effettuati dai militari fiorentini nelcorso della seconda metà del XVI secolo per rialzare ilpiano di calpestio del fondo del palazzo. Analogamente aquanto si verificò per le altre placche, il bacinetto e per iresti di armi provenienti dalla torre B (vedi contributoDe Luca infra) si tratta di reperti residui finiti in contestistratigrafici più tardi a seguito del loro abbandono daparte degli originari possessori, i militari pisani, al mo-mento che quest’ultimi lasciarono la Rocca prima dell’oc-cupazione fiorentina.18 Cfr. M. SCALINI, Novità e produzione nell’armamentobasso medievale toscano, in Guerra e guerrieri nella To-scana Medievale, a cura di F. Cardini e M. Tangheroni,Pisa 1990, pp. 157-182, in particolare p. 178.19 L.G. BOCCIA, p. 49 in L.G. BOCCIA, F. ROSSI, M. MORIN,Armi e armature lombarde, Milano 1980, p. 49.

una cronologia se non molto genericamente con-forme. Senza dubbio l’intera panoplia campiglie-se rimase comunque in uso sino all’abbandonodella fortificazione da parte della guarnigionepisana, conseguente alle vicende politiche d’ini-zio Quattrocento che comportarono anche l’ac-quisizione di Pisa da parte fiorentina.Questa considerazione sul prolungato ‘tempo divita’ degli armamenti difensivi rinvenuti a Cam-piglia, è avallata da due ulteriori resti di visieraa ribalta con vista a finestrelle che è propria del-le barbute trecentesche (Fig. 21).

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Fig. 22a – Visiera a ribalta da barbuta o da bacinetto(vista frontale), sec. XIV, Berna, Museo Storico

(deposito) (Foto M. Scalini).

Fig. 22b – Visiera a ribalta da barbuta o da bacinetto(vista del lato destro di tre quarti), sec. XIV, Berna,

Museo Storico (deposito) (Foto M. Scalini).

Andrà comunque notato che tale tipologia didifesa del volto, attestata nell’area che ci inte-ressa almeno dal 1350, compare ancora, nell’ico-nografia ed in forme pressoché identiche, intor-no al 1410-141520. Parrebbe anzi che le visiere aribalta con andamento rigonfio, anziché puntuto,come frequentemente si trova oltralpe, solo perfare un esempio poco noto, a Berna (Fig. 22a;Fig. 22b), siano state mantenute più lungamentein uso in ambito marinaro ove si può ben crede-re che fogge eleganti e deflettenti venissero meno

richieste non essendovi pericolo d’impatto conle lance cavalleresche21.Una visiera molto simile ed in migliori condizio-ni si conserva alla Rocca di Imola22 dove fu rin-venuta nel 1974-1975 all’interno del pozzo delmastio. Un altro esemplare, benché meno ade-rente al nostro, si segnala a Scharfenberg23, men-tre un terzo, sempre rigonfio e di contenute di-mensioni, sin qui mai discusso, si trova alBayerisches Arméemuseum di Ingolstadt, con lavista risolta in una teoria di archetti fortementeverticalizzati e cuspidati quasi alla moresca. Unquarto è a Berlino, con vista a singola teoria digrosse perforazioni quadre avvicinabile all’esem-plare di Sion, ora a Zurigo. Sussistono inoltreesemplari dotati di un lungo e ristretto prolun-gamento (quasi una ciabatta) nella parte inferio-re centrale. Questi costituiscono una ulterioreclasse di materiali che attende una seria e con-

Fig. 23 – Resto di visiera a ribalta da barbuta o dabacinetto dalla rocca di Campiglia, possibilericostruzione grafica complessiva, Campiglia, Museo

( Disegno di M. Scalini).

20 Penso agli affreschi di Spinello Aretino in Palazzo Pub-blico a Siena.

21 Ad evidenza, fino all’avvento delle armi da fuoco indi-viduali, l’arma offensiva più micidiale che si potesse im-maginare nel suo rapporto velocità d’impatto-peso ove siconsideri che sulla cuspide veniva a concentrarsi la massadi cavallo e cavaliere al galoppo.22 Inv. n. 822233, pubblicata da L. FOLLO, Note prelimi-nari sul restauro di oggetti rinvenuti nella Rocca imolese,« Bollettino dei Musei Ferraresi», 4, pp. 165-173.23 L.G. BOCCIA, Qualche nota sugli armamenti difensivida Suffumbergo, in Scharfenberg - Suffumbergo. Un ca-stello tedesco nel Friuli medievale, a cura di A. Biasi e F.Piuzzi, Pasian di Prato (Udine), pp. 45-53.

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Fig. 24a – Resti di dieci placchette di corazzina a chiodiottonati, in parte con tessili mineralizzati, provenientidallo scavo della torre B, schema grafico (M. Scalini).

Fig. 24b – Resti di sei placchette di corazzina a chiodiottonati torre B, in parte con tessili mineralizzati,

schema grafico (M. Scalini).

vincente discussione come pure quelli dall’an-damento conico già citati24.Per ragioni di chiarezza espositiva ho ritenuto op-portuno fornire una restituzione grafica d’una pos-sibile ricostruzione della visiera in questione, mu-tuando la posizione dei fori di aereazione, minu-tissimi, da un resto di lamiera proveniente dallastessa area ma che non si può dire con certezzaproveniente dalla stessa protezione del volto (Fig.22)25. Altre lamiere di ragguardevole misura pre-sentano curvature che possono indurci a ritenerlecome provenienti da altri copricapo ma l’assenzadi elementi probanti consiglia prudenza.Fermo restando che intorno al 1360 dovette farela sua apparizione la visiera imperniata dalle ban-de del coppo, in corrispondenza delle tempie e che,nel lungo periodo tale soluzione risultò quella vin-cente, la visiera a ribalta ebbe certo grande fortunae la sua diffusione in area peninsulare appare sem-

pre più attestata da rinvenimenti archeologici.Oltre alla corazzina proveniente dall’US 4042,sono meritevoli di discussione altre lamelle trale centinaia rinvenute nel proseguo degli scaviall’interno della torre B (US 1042-1040).Render ragione di tutto il materiale potrebbe ri-sultare un inutile aggravio ma un futuro restaurodi tutti i reperti potrebbe condurre alla ricompo-sizione di vari altri esemplari, non necessariamentepiù recenti di quello descritto innanzi.Per sottolineare l’importanza del ritrovamentoe dunque del sito, vorrei però soffermarmi sualcuni pezzi che spiccano per finitura, così dafornire anche qualche ulteriore coordinata pergli studi a venire.Oltre a qualche placca bombata, di grandi dimen-sioni, ad andamento circolare o semi lunato delmargine, che potrebbe essere stata una forma diprotezione arcaica della spalla, spiccano tra le al-tre un certo numero di lamelle dai chiodi a testad’ottone o meglio con teste rivestite d’ottone. Horestituito a tratto le meglio conservate cercando dirappresentare ogni tipologia (Fig. 24a; Fig. 24b).Nel primo disegno il gruppo delle cinque supe-riori (una spezzata e lacunosa al medio è comun-que ben ricostruibile nella sua forma e lunghez-za originale per l’evidente andamento a trapeziodei due resti rinvenuti) proviene ad evidenza dalleparti componenti i giri ascellari e dalla parte cen-trale della schiena.Come la corazzina, analizzata in precedenza,mostrava analogie con la protezione di Vienna(Hofjagd u. Rüstkammer, inv. n. 190) (Fig. 25),che si è datata al 1460 e che io stesso ho posto

24 Si veda almeno M. SCALINI, Armamenti difensivi trecen-teschi, delle collezioni Carrand e Ressman, Firenze 1984.25 Tengo a precisare che la ricostruzione grafica è scienti-ficamente credibile, ma che la scelta di alcuni dettagli mi-nori è di fatto discrezionale.

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Fig. 25 – Corazzina (con petto di due piastre e restaposteriore) qui con cappellina celata non coeva, Italiacentrale?, sec. XV, Wien Hofjagd und Rüstkammer,

inv. n. A 190.

nel terza quarto del Quattrocento, così, questelame ricordano alcune visibili su brigantine ad-dirittura cinquecentesche.Una datazione tanto bassa per questi reperti ap-pare insostenibile per ovvie ragioni, per altroesterne alla classificazione stessa del manufatto.Oltre a ciò, in realtà, rispetto a molte testimo-nianze presenti nei musei, quelle campigliesi siqualificano per una maggiore grandezza ed inparticolare, la placca trapezoidale ricostruitacome su detto, punta chiaramente ad un tipo dicorazzatura trecentesca, allacciata con correggenella parte tergale, analoga a quella indosso alSan Giorgio bronzeo di Praga del 137326. Dueresti di lamelle, con ogni probabilità provenien-ti dallo stesso insieme cui appartennero tuttequelle dai chiodi rivestiti d’ottone qui in esame,mostrano chiodature sparse, ma ordinate in se-rie, lontane dai margini della piastra. In un caso,considerando la disposizione dei resti minera-lizzati di tessuto, che risulta ortogonale ai mar-gini della lamella, si è evidentemente in presen-za d’un estrema lama di falda ma, nell’altro re-perto, ove la tramatura e l’ordito si propongonoa 45° rispetto ad essi, credo si sia in presenzad’una parte di protezione della spalla destra,proveniente dalla zona tra scapola e testa del-l’omero.Complessivamente si può osservare che l’equi-paggiamento di cui fecero parte questi resti, do-vette essere di un certo spicco, indubbiamente sitrattava di un manufatto costoso e realizzato conattenzione anche alla resa estetica del lavoro.Questa corazzina, che poteva avere il petto ri-solto da una unica grande piastra, come nel casodel San Giorgio di Praga o della corazzina delCastello Sforzesco di Milano, dovrebbe datarsitra il 1370 ed il 1380, confermando che la dota-zione di armamenti della rocca campigliese fuoggetto di attenzione e forse di rinnovamentoproprio in quel decennio.

Resta a vedersi in che misura le fonti documen-tarie o d’archivio potranno fornirci precisazionied eventualmente conferme a quest’ipotesi e dicome altri materiali di scavo si rapportino conquelli metallici qui presi in considerazione.

MARIO SCALINI26 M. SCALINI, L’arte del bronzo in Italia 1000-1700, Bu-sto Arsizio 1988, p. 46, figg. 168-169.

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