3 donizetti

Download 3 Donizetti

If you can't read please download the document

Upload: lucaspunky

Post on 10-Sep-2015

219 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

D

TRANSCRIPT

RIEPILOGO

Nei primi due moduli e nelle due lezioni relative ho intenzionalmente evitato di affrontare il tema dei soggetti operistici. Accostarsi all'opera attraverso le vicende e i personaggi probabilmente il sistema pi semplice, per chi spiega e per chi ascolta, ed anche, senza dubbio, un modo efficace per avvicinare i ragazzi (e pi ancora i bambini) a questo universo. Anche la televisione, nei rari casi in cui, affidandosi a persone estranee al mondo musicale, ha affrontato l'argomento melodramma, ha quasi sempre scelto di percorrere questa via o piuttosto questa scorciatoia.

Si tratta per di un approccio troppo ingenuo e, in definitiva, mistificante.

vero che nel corso dell'Ottocento il melodramma italiano valorizza quest'elemento in misura crescente, ma sempre in rapporto dialettico con le grandi e piccole strutture formali messe a punto da Rossini: strutture che come abbiamo visto anche a lezione riguardano la psicologia dello spettatore (il quale alternativamente segue l'azione durante i recitativi, si commuove durante gli episodi lirici, si esalta con le cabalette e le strette, applaude eccetera) almeno quanto quella dei personaggi.

La solidit dell'impianto formale rossiniano d'altronde dimostrata dalla sua fortuna: fino alla fine degli anni Sessanta dell'Ottocento non c' compositore italiano che non imbastisca i propri lavori teatrali intorno a tali convenzioni. Persino quando scrivono per i teatri esteri, magari in lingua francese, Donizetti o Verdi continuano a farne largo uso.

Quanto poi al melodramma di fine Ottocento, gli elementi di continuit rispetto all'opera rossiniana sono maggiori rispetto a quelli avvertiti dai contemporanei. Se ne riparler a tempo debito.

Conseguenza importantissima della priorita accordata all'elemento formale, e quindi della sua capacit di determinare (anzich riflettere) la drammaturgia, la sua valenza narrativa.

Che l'operista fosse anche il narratore delle proprie opere non una novit: basta dare un'occhiata alle partiture operistiche di Mozart e alla quantit straordinaria di annotazioni a margine della vicenda, che il musicista introduce per lo pi attraverso il tessuto orchestrale. A partire da Rossini tuttavia l'azione del musicista/narratore diventa pervasiva: l'elemento descrittivo assume un ruolo di primo piano (come notava gi Stendhal, paragonando Rossini a Walter Scott cfr. il primo modulo) e soprattutto la funzione-tempo viene distorta a piacere come solo la narrativa pu fare attraverso l'alternanza tra episodi dinamici, nei quali l'azione prevale sulla musica, ed episodi statici, nei quali la musica prevarica o addirittura interrompe l'azione. La Solita forma del numero lo strumento essenziale di questa tecnica narrativa: per questo essenziale conoscerla.

Gi con il Rossini della piena maturit, e pi ancora con i suoi successori, questa dialettica tra staticit e dinamismo si complica, arricchendosi di soluzioni intermedie e combinazioni ingegnose. Se ad esempio una melodia strofica sostenuta da una figura orchestrale ripetitiva e saldamente ancorata ad una tonalit il sistema canonico per creare una parentesi lirica (tempo psicologico) entro il normale flusso temporale (tempo reale), grazie alla quale il narratore fornisce a noi spettatori una sorta di accesso privilegiato nell'intimo dei pensieri e dei sentimenti di un personaggio; l'abbinamento tra una figura ritmica ostinata ed una progressione armonica consente invece di rappresentare con mezzi puramente musicali l'inibizione (ritmo ostinato) di un movimento (armonia modulante), e in questo senso utilizzato a titolo d'esempio dal Bellini dei Puritani per descrivere la fuga di Arturo con Enrichetta (Regina del partito degli Stuart, a cui Arturo appartiene), ostacolata dapprima materialmente dalla presenza di Riccardo (suo avversario politico e suo rivale in amore) e successivamente, a un livello profondo e quasi inconscio, dal suo legame con Elvira, che sembra trattenerlo dal prendere la fuga nonostante il nulla osta di Riccardo e i suoi reiterati partiam (Vedi pagina on-line: il tempo inceppato).

Avremo modo di tornare ancora, pi volte, sul tema dell'opera come racconto.

Per ora mi basta aggiungere che proprio con Bellini e Donizetti comincia ad affacciarsi con una certa frequenza una tecnica narrativa nuova, destinata a straordinari sviluppi: quella delle cosiddette reminiscenze, ovvero di motivi musicali il cui ritorno, anche solo accennato, ci mette al corrente di qualcosa che il personaggio sta in quel momento ricordando: rivelandoci i suoi pensieri inespressi come solo un narratore pu fare. Uno degli esempi pi noti e insieme pi evidenti si trova alla fine della Traviata di Giuseppe Verdi, allorch i violini in tremolo con sordina (un tipico effetto di evanescenza sonora, a sua volta facilmente associabile alla dimensione della memoria) fanno balenare nella mente di Violetta morente il ricordo del suo primo incontro con Alfredo.

Come le grandi forme, anche la melodia alla quale ho dedicato il secondo modulo non pu essere interpretata semplicemente in funzione della psicologia dei personaggi, come se fosse un'emanazione spontanea delle loro parole (il che, tra l'altro, significherebbe ignorare la capacit del canto di aprire uno spiraglio sul regno dell'ineffabile). La melodia piuttosto qualcosa che precede idealmente la drammaturgia e sulla quale come ho tentato di dimostrare un compositore come Bellini pu addirittura fondare una propria originale poetica. In altri casi si tratta di una componente meno essenziale, ma governata comunque da regole formali precise (la pi comune delle quali la cosidetta Lyric-form) che ne attenuano il legame diretto con la parola e quindi ci impediscono, ancora una volta, di interpretarne l'andamento solo alla luce dei versi.

Torneremo su questo argomento nel prossimo modulo, parlando di Verdi, il quale offre una soluzione nuova e ingegnosa al problema vecchio quanto il melodramma del rapporto tra melodia e parola.

GAETANO DONIZETTI

1) Il dopo-Rossini

Nel primo modulo si visto come intorno al 1930 si concluda quella fase della storia del melodramma italiano dell'Ottocento che possiamo definire et rossiniana. La brevissima carriera operistica di Vincenzo Bellini (dieci anni tra la prima e l'ultima opera: 1825-1835) sembra collocarsi a cavallo, quasi perfettamente in bilico, tra le due stagioni. Al contrario, l'avventura teatrale di Gaetano Donizetti (Bergamo, 29 novembre 1797 8 aprile 1848) bench iniziata molti anni prima, si pone oltre questa soglia; tutti i suoi principali lavori si collocano infatti tra il 1830 e il 1844.

Per un quadro dettagliato degli operisti minori di questo periodo rimando al volume di Fabrizio della Seta, Italia e Francia nell'Ottocento (Storia della Musica, EDT Torino 1993, vol. 9). Merita almeno una menzione Saverio Mercadante, le cui opere eserciteranno un profondo influsso nel giovane Verdi.

Fermi restando come si ricordato gli schemi formali, il principale elemento di novit dell'opera post-rossiniana dato dai soggetti. Il mondo della classicit viene progressivamente disertato in favore del teatro e della narrativa europea contemporanea di ispirazione romantica: Walter Scott, Friedrich Schiller, Lord Byron, Victor Hugo. Accanto ai lavori di questi grandi autori, l'opera italiana accoglie inoltre una pletora di sottoprodotti (gi fino alla letteratura d'appendice), purch rispondenti al medesimo gusto.

Come risulta evidente dagli autori citati, la cultura italiana di questi anni coglie soltanto alcuni aspetti del romanticismo, trascurandone in particolare la dimensione fantastica, simbolica e misteriosa. Si tratta insomma di un romanticismo riletto in chiave antropocentrica, dal quale la natura e gli spiriti che la popolano cos importanti nella cultura germanica sono pressoch assenti.

Oggetto del dramma sono invece le violente passioni da cui i personaggi appaiono autenticamente pervasi e dominati, laddove in Rossini essi si confrontavano ancora con un codice morale in grado di porre un freno all'irrazionalit del sentimento.

Va da s che in questi anni

l'opera seria domina sempre di pi (e l'opera comica si tinge di patetico);

il finale tragico s'impone come opzione pressoch unica;

i soggetti abbondano di situazioni in cui i personaggi sono mostrati in stato di alterazione psichica o persino come nel caso delle celebri scene di pazzia di perdita di coscienza.

Tutto ci porta i compositori a spostare pi ancora il baricentro formale sul canto, in quanto veicolo espressivo privilegiato e diretto di queste passioni.

La combinazione tra la natura artificiale delle forme musicali ereditate da Rossini e le semplificazioni psicologiche generate dalle trasposizioni librettistiche delle fonti letterarie, rende la drammaturgia del melodramma italiano di questi anni tipicamente inverosimile, fino a rasentare in molti casi l'assurdo. Dove tuttavia le psicologie acquistano una nuova verit nel dettaglio: l'immediatezza (nel duplice significato di rapidit e assenza di riflessione) delle reazioni dei personaggi costituisce infatti una sorta di garanzia della loro autenticit. I recitativi luogo per antonomasia della frammentazione formale e, di conseguenza, del dettaglio espressivo acquistano in tal modo una nuova, crescente importanza; la celebre pazzia della protagonista in Lucia di Lammermoor di Donizetti trova ad esempio la sua espressione pi intensa ed eloquente non durante l'Aria (nonostante il facile effetto di dissociazione prodotto dalla lunghissima quanto deturpante cadenza per voce e flauto, aggiunta dal soprano Teresa Brambilla) bens durante la Scena, dove la schizofrenia di Lucia fa tutt'uno con quella di una condotta musicale continuamente spezzata.

2) Le opere

Gaetano Donizetti compone poco meno di una settantina di opere nell'arco di quasi trent'anni. Pi ancora del numero, sorprende il fatto che il ritmo vertiginoso con il quale egli le sforna non accenna affatto a diminuire com'era accaduto a Rossini una volta conquistata una posizione dominante nel panorama operistico italiano. Le stesse lettere ci mostrano un compositore pressoch incapace di restare inattivo, quasi un nevrotico della scrittura musicale; al punto tale che, quando non ha a portata di mano un soggetto teatrale, si getta immediatamente nella composizione di musica sacra o da camera (il catalogo donizettiano conta oltre 100 lavori sacri, pi di 250 romanze da camera, 19 quartetti, quintetti, sinfonie, sonate, composizioni per pianoforte, a due e a quattro mani).

La sua produzione operistica si pu dividere in tre periodi.

Il primo arriva fino alla fine del 1830 e conta una trentina di titoli, per gran parte appartenenti al genere buffo, compreso un certo numero di farse. Nessuna delle opere di questo periodo ha un impatto paragonabile ai contemporanei lavori belliniani: Donizetti compone moltissimo ma la sua personalit artistica non ancora ben definita.

Il successo di Anna Bolena, alla fine del 1830, apre la seconda fase, durante la quale Donizetti opera prevalentemente nell'Italia centro-meridionale e soprattutto a Napoli, dove si stabilisce quale direttore dei Teatri e docente di composizione. Molte delle sue opere pi famose, tra cui L'elisir d'amore e Lucia di Lammermoor, appartengono a questo periodo.

A partire dal 1838 Donizetti si trasferisce a Parigi, dove ha inizio la fase internazionale della sua carriera (iniziata per la verit gi nel 1835 con Marin Faliero, ma senza successo). Oltre che per i teatri parigini, egli compone per Vienna, dove incontra i gusti del pubblico e ottiene l'incarico di maestro di cappella dell'Imperatore.

A partire dal 1844 Donizetti non pi in grado di lavorare, vittima di una gravissima malattia nervosa di origine sifilitica che lo porter alla paralisi, alla pazzia e, l'8 aprile 1848, alla morte.

Riporto un elenco delle opere principali:

L'ajo nell'imbarazzo4 febbraio 1824Romacomica

Le convenienze teatrali21 novembre 1827Napolifarsa comica

Anna Bolena26 dicembre 1830Milanoseria

L'elisir d'amore12 maggio 1832Milanocomica

Il furioso all'isola di Santo Domingo 2 gennaio 1833Romasemiseria

Parisina17 marzo 1833Firenzeseria

Lucrezia Borgia26 dicembre 1833Milanoseria

Lucia di Lammermoor26 settembre 1835Napoliseria

Il campanello1 giugno 1836Napolifarsa comica

Roberto Devereux28 ottobre 1837Napoliseria

Poliuto[1838 - vietata dalla censura][Napoli]seria

La fille du regiment11 febbraio 1840Parigicomica

La favorite2 dicembre 1840Parigiseria

Maria Padilla26 dicembre 1841Milanoseria

Linda di Chamounix19 maggio 1842Viennasemiseria

Caterina Cornaro[1842]Napoliseria

Don Pasquale3 gennaio 1843Parigicomica

Maria di Rohan5 giugno 1843Viennaseria

Don Sbastien, roi de Portugal13 novembre 1843Parigiseria

3) La personalit

La figura di Donizetti ancora in attesa di una collocazione storica e artistica pienamente convincente. La quantit sterminata delle composizioni (la cui disomogeneit gli frutt il nomignolo spregiativo di dozzinetti) non aiuta gli storici che intendano cimentarsi nell'impresa, rendendo estremamente difficoltosa anche la pura e semplice conoscenza della sua produzione teatrale.

Una chiave di lettura ci viene tuttavia dalla prima formazione musicale di Donizetti, che avvenne a Bergamo sotto la guida di Simone Mayr, un'operista italiano di origine tedesca che costitu una sponda importantissima tra la cultura musicale italiana e quella viennese. proprio in questi anni che Donizetti compone gran parte dei quartetti, destinati ad essere eseguiti nella casa di un musicofilo bergamasco, Alessandro Bertoli, con lo stesso Simone Mayr alla Viola. Nel 1842 Donizetti ricorder di avere, in queste circostanze, imparato a conoscere tutti i quartetti d'Haydn, Beethoven, Mozart, Reicha, Mayseder etc. che poi mi giovarono tanto per risparmiare la fantasia e condurre un pezzo con poche idee.

La stupefacente prolificit di Donizetti si fonda dunque, per ammissione dello stesso autore, sulla solidit di un mestiere appreso sulle partiture dei classici viennesi, anche se il riferimento alle poche idee altrettanto illuminante riguardo alla qualit discontinua della sua ispirazione.

Nel corso degli anni Trenta lo stile di Donizetti cambia, arricchendosi dal punto di vista melodico (probabilmente sull'esempio dei capolavori belliniani) e si italianizza allo scopo di soddisfare i gusti del pubblico partenopeo; cos come non tarder a francesizzarsi a contatto con quello parigino e ad assumere pi espliciti tratti mitteleuropei di fronte a quello viennese (la sinfonia di Maria di Rohan quanto di pi beethoveniano si sia composto nell'Italia di quegli anni).

Questa natura versatile, se non addirittura camaleontica, per altro conseguenza di un temperamento esattamente antitetico a quello di Bellini, incapace cio di imporre la propria poetica e la propria concezione teatrale al pubblico e agli interpreti del suo tempo. Con autentico spirito italico, Donizetti si lamenter per tutta la vita contro le convenzioni operistiche, giungendo persino a farne oggetto di satira nella farsa in dialetto napoletano Le convenienze teatrali; ma solo per adattarvisi puntualmente, accomodando gli spartiti in base alle richieste dei cantanti, sostituendo interi numeri, cambiando tessiture e registri vocali (vedi letture 2 e 4).

Il polimorfismo delle sue partiture per altro pi apparente che sostanziale e non intacca le basi della sua concezione compositiva, che poggia sempre sul modello classicista viennese trasmessogli da Mayr, ovvero su una solida intelaiatura armonico-contrappuntistica, dai cui percorsi non sgarra neppure la pi languida o sentimentale delle sue melodie; ancora una volta, dunque, agli antipodi del collega Bellini.

Altrettanta disinvoltura Donizetti manifest nel passare incessantemente dal genere drammatico a quello comico, trovandosi altrettanto a suo agio nei drammi pi lugubri e roventi e nelle commedie pi disimpegnate, sempre venate di sentimentalismo ma insieme saldamente ancorate al modello dell'opera buffa settecentesca. Don Pasquale, una delle sue ultime opere, appare quasi un tributo nostalgico ad un genere ormai sul viale del tramonto al quale Donizetti contribu anche nelle vesti di librettista: suoi sono i libretti del Campanello, di Betly e appunto, in parte, di Don Pasquale. Nell'abbondante produzione semiseria (un genere di cui si parler pi dettagliatamente nel prossimo modulo) l'accostamento di serio e comico raggiunge poi livelli di autentica bizzarria, se non addirittura di schizofrenia; specie in due dei suoi pi grandi successi: Il furioso nell'isola di Santo Domingo, nel quale assistiamo una volta tanto ad una pazzia amorosa al maschile, autentica nell'espressione ma destinata a sfogarsi a bastonate su un povero servo negro; e Linda di Chamounix, dove un soggetto che per alcuni versi richiama in modo sorprendente la poetica dei Promessi sposi (il finale del prim'atto contiene tra l'altro un concertato sul tema della Provvidenza) contaminato dall'assegnazione del ruolo del seduttore ad un basso buffo. Le strazianti sofferenze della protagonista, anzich essere il frutto della prepotenza di un signorotto, nascono quindi, quasi accidentalmente, dalle ridicole smanie amorose di un Marchese pavido e sciocco, il quale pretende di far valere ancora l'antica usanza dello Jus primae noctis.

La disomogeneit, musicale e drammaturgica, il limite del teatro musicale di Donizetti; eppure non c' opera della sua maturit artistica che non contenga almeno una pagina di grande musica, spesso collocata nei finali concertati o nei pezzi d'insieme, dove il compositore non si lascia sfuggire l'occasione per esibire il proprio talento contrappuntistico, a ulteriore riprova dell'effettiva matrice del suo linguaggio musicale; e questa volta, in genere, senza risparmiare la propria inventiva.

I SOGGETTI

1) Caratteri e tipologie vocali

Nel melodramma le tipologie vocali (soprano, mezzosoprano, contralto, tenore, baritono, basso, ognuna delle quali a sua volta articolata in una serie di variet) sono tradizionalmente associate a dei tipi psicologici. Perci l'evoluzione della vocalit, nel corso dell'Ottocento italiano, va di pari passo con l'evoluzione dei soggetti operistici e, di riflesso, ci dice molto delle trasformazioni culturali in atto.

Il personaggio dell'innamorato, ad esempio, dapprima interpretato da un tenore la cui voce, grazie all'impiego del falsettone, raggiunge con relativa facilit altezze vertiginose, o addirittura da un mezzosoprano en travesti ( il caso, tra gli altri, di Tancredi): in entrambi i casi dunque rappresentato vocalmente come uno spirito alto e puro, in cui il versante ideale prevale su quello sensuale. A partire dagli anni Trenta l'affermarsi del canto di petto anche nel registro acuto (per iniziativa del tenore Gilberto Duprez), che sar sempre deprecato da Rossini, rende l'innamorato maschile un personaggio insieme pi patetico e pi isterico e porta quasi all'estinzione di un'altra tipologia, quella del tenore intrigante, nel quale il timbro chiaro era impiegato per evocare un tratto di ambiguit.

Quanto al personaggio dell'innamorata, in Rossini impiegata ancora con una certa frequenza, specie nel teatro comico, la voce del mezzosoprano (l'esempio pi noto quello di Rosina, nel Barbiere di Siviglia); il cui timbro brunito conferisce alla prima donna una sensualit che in seguito, coll'imporsi pressoch esclusivo della voce di soprano, andr perdendosi. Va da s che nel teatro rossininano la figura femminile appare meno idealizzata di quanto non sar in seguito.

Un caso particolare costituito dal baritono, il registro maschile intermedio, cos importante nel teatro verdiano eppure virtualmente assente fino a poco prima. Esso nasce infatti come evoluzione del cosiddetto basso cantante (specializzato nello stile cantabile, con tanto di fioriture) di cui il Riccardo dei Puritani costituisce un esempio tipico. L'associazione tra la sua corda vocale e il ruolo del padre si afferma solo a partire da Verdi, nel momento in cui questa tipologia si definisce completamente. In precedenza le parti che oggi vengono affidate al baritono corrispondono, con poche eccezioni, alle tre figure, tra loro chiaramente contigue, del rivale in amore del tenore, del marito che la protagonista non ama, o ancora del fratello di lei (a sua volta spesso d'ostacolo all'amore tra il tenore e la sorella). Il padre, quando c', un basso profondo, corda altre volte associata a religiosi o precettori, insomma ad uomini anziani e saggi (ma Baldassarre nella Favorita di Donizetti e Oroveso nella Norma sono insieme sacerdoti e padri).

Del tutto distinto il ruolo del cosiddetto basso buffo, specializzato nello stile parlante, ovvero in una sillabazione staccata e frenetica: una tipologia destinata pressoch a scomparire man mano che l'opera buffa viene relegata ai margini del sistema produttivo.

La costellazione dei ruoli nell'opera seria italiana dell'Ottocento presenta due vistose e significative omissioni; sono infatti pressoch assenti tanto la figura materna, quanto le figure della sorella della protagonista o del fratello del protagonista. L'esistenza di qualche bizzarra eccezione come quella di Lucrezia Borgia, che avvelena accidentalmente il proprio figlio naturale, il quale solo allora scopre la propria identit non fa che confermare la regola.

Prima di Verdi non frequente neppure la presenza della figura paterna (se non in funzione di ulteriore impedimento alla felicit amorosa della figlia): emblematico il caso dei Puritani, dove il vero padre di Elvira Lord Gualtiero Valton (Basso) un personaggio secondario, che svolge essenzialmente un funzione di rappresentanza politica, mentre il suo ruolo affettivo rilevato dallo zio Giorgio (Basso), che Elvira chiama dapprima zio, quindi mio secondo padre, infine direttamente mio padre. Si direbbe che in un genere di melodramma tutto incentrato come vedremo tra poco sulle passioni amorose dei protagonisti, queste omissioni costituissero una sorta di misura precauzionale per evitare che la vicenda assumesse connotazioni incestuose. Ci che accade invece esplicitamente nel Rossini di Semiramide, a riprova della distanza che corre tra la visione razionalista di matrice settecentesca, di cui Rossini ancora portatore e che, in quanto tale, contempla anche questa casistica, e la visione ottocentesca di cui l'opera donizettiana pu costituire il paradigma.

Con poche eccezioni, d'altronde, i soggetti del teatro serio rossiniano non sono tratti dalla storia moderna e medievale, come lo saranno invece quelli donizettiani e verdiani, bens dalla mitologia classica (Ermione, Zelmira), dalla storia biblica (Ciro in Babilonia, Mos in Egitto) o dall'epica rinascimentale (Tancredi, Armida). Sotto questo profilo l'opera di Rossini non innovativa come sul piano delle forme: il legame con il teatro metastasiano ancora saldo e il tratto pi originale riguarda semmai la luce surreale che il musicista vi proietta attraverso la sua musica.

2) Bellini e Donizetti

Il tratto pi evidente dei soggetti bellininani la funzione cardinale attribuita ai vincoli di sangue: tanto Bianca e Fernando quanto Zaira ruotano intorno al triangolo affettivo fratello/sorella/padre, con quest'ultimo relegato al margine della vicenda in quanto sovrano spodestato e prigioniero del perfido marito della figlia. Senonch il binomio soprano/mezzosoprano, che in Zaira corrisponde alla coppia sorella/fratello, viene trasferito di peso (con buona parte della rispettiva musica) nei Capuleti e i Montecchi, dove finisce invece per corrispondere alla coppia degli amanti adolescenti, Giulietta e Romeo.

Nella Sonnambula solo un intervento diretto di Bellini sul libretto gi terminato evita che Amina (Soprano) scopra nel Conte Rodolfo (Basso) l'uomo nelle cui stanze si era aggirata in preda al sonnambulismo, scatenando la gelosia di Elvino (Tenore) il proprio padre naturale; circostanza che per altro risulta uguamente chiara allo spettatore, se non agli attori della vicenda. In Norma lo scioglimento del legame amoroso tra la protagonista e il romano Pollione si specchia per contrasto nel duplice vincolo di sangue che la lega da una parte ai due gemelli nati da quell'unione (che Norma non riesce, nonostante l'odio per Pollione, ad uccidere) e dall'altra al padre Oroveso, che al tempo stesso, in quanto capo dei Druidi, figura sacerdotale circondata da un'aura di sacralit. Avviandosi al rogo Norma affida i bambini al nonno (Deh! non volerli vittime / Del mio fatale errore / [] Pensa che son tuo sangue / Abbi di lor piet / Ah padre [aggiunta di Bellini] abbi di lor piet), riaffermando cos la continuit di quel vincolo.

La riconciliazione e la ricomposizione dei conflitti uno dei temi pi cari a Bellini: Norma odia Pollione ma canta ben due tenerissimi duetti insieme ad Adalgisa, la sua discepola prediletta e la nuova amante di Pollione, nella quale rivede se stessa, giovane, felice e innamorata; mentre nei Puritani Riccardo, innamorato di Elvira, complotta contro il rivale Arturo, ma si scioglie in pianto davanti ad Elvira che, impazzita dopo la partenza di Arturo, domanda proprio a lui se conosce cosa sia la sofferenza d'amore. Si direbbe che l'ideale belliniano della continuit melodica si sia trasferito anche nel suo teatro, spingendolo a privilegiare conflitti tragici ma ricomponibili (la stessa pazzia di Elvira, nei Puritani, non vera schizofrenia ma piuttosto allontanamento dal reale, sonno della coscienza). Non a caso La sonnambula e I puritani sono conclusi da un lieto fine, mentre nell'unica fiamma che brucia Norma e Pollione facile leggere il simbolo di una tragica ricomposizione della loro coppia.

Con Donizetti ci troviamo all'estremo opposto. Il plot della sua opera pi celebre Lucia di Lammermoor tanto pi emblematico quanto pi lo schema esteriore sembra ricalcare quello dei Puritani (opera che, dal punto vista cronologico, la precede immediatamente), con la coppia degli innamorati divisa dal contrasto politico tra le rispettive famiglie. Senonch nell'opera di Donizetti Edgardo e Lucia hanno il tempo di cantare un solo duetto d'amore, nella parte iniziale dell'opera, prima di essere separati definitivamente: l'una muore pazza, dopo aver sposato un uomo impostole dal fratello e averlo evirato durante la prima notte di nozze, l'altro suicida tra le lapidi di un cimitero, dopo aver appreso la notizia della morte di Lucia. Le principali opere serie di Donizetti, pur nella variet delle trame, raccontano amori altrettanto crudelmente infelici, se non addirittura penosi, che lasciano per lo pi il protagonista in uno stato di completa solitudine. Non a caso il Finale del secondo e ultimo atto quasi sempre sostituito da una Scena ed Aria. Queste arie finali sono quasi sempre l'occasione affinch il protagonista purifichi e sublimi le proprie passioni: Anna Bolena sale al patibolo invocando la misericordia divina per Enrico VIII e per Giovanna Seymour, la donna per la quale il marito l'ha abbandonata; mentre in Roberto Devereux la regina Elisabetta, in un'impeto di sublimazione, decide di accordare la grazia all'uomo che l'ha tradita (Cantabile), ma quando apprende da un colpo di cannone che la sentenza stata gi eseguita (Tempo di mezzo) abbandona il trono sconvolta dalla visione dello spettro sanguinante di lui (Cabaletta).

Se consideriamo il versante comico del teatro di Donizetti il panorama ovviamente diverso. Eppure lo scioglimento felice dell'intreccio, diversamente da quanto accade in Rossini, ha sempre un retrogusto amaro. In Don Pasquale lo schema psicologico-vocale mutuato dal Barbiere di Siviglia (vecchio che avanza pretese sulla protagonista = basso buffo; amorosa = soprano/mezzosoprano; amoroso = tenore; complice della coppia di amorosi = baritono ante-litteram) viene alterato in modo decisivo dal fatto che, a differenza del Don Bartolo rossiniano, Don Pasquale finisce per diventare un personaggio patetico, vera e propria vittima del divertimento sadico del soprano e del baritono. L'umiliazione alla quale sottoposto talmente crudele che l'opera pu s concludersi allegramente, con una specie di valzer della protagonista con funzione di cabaletta, ma senza quel senso di giustizia e di ordine naturale ristabilito che caratterizza il finale del Barbiere: la morale della Norina di Don Pasquale Ben scemo di cervello / Chi s'ammoglia in tarda et sembra piuttosto l'ennesima villania.

Le cose vanno meglio, ma non troppo, nell'Elisir d'amore, dove l'umile e ignorante Nemorino alla fine riesce s a conquistare Adina, ma non in virt di quella che non affatto una romantica pozione d'amore (come gli fa credere il ciarlatano Dulcamara che gliela vende) bens una semplice bottiglietta di Bordeaux, i cui due effetti quello alcoolico e quello placebo sono coadiuvati dalla pi concreta eredit lasciatagli da uno zio lontano, che attira sul protagonista l'interesse di tutte le ragazze del paese, confermandolo nell'efficacia dell'elisir. Solo a questo punto Adina mostra di commuoversi di fronte alla costanza del ragazzo, gi pronto ad arruolarsi per guadagnare il denaro necessario ad acquistare una nuova bottiglietta della pozione miracolosa. Il fatto che l'amata ceda prima di essere messa al corrente dell'eredit non modifica la sostanza delle cose: Nemorino rimane sempre l'idiota di buon cuore che abbiamo conosciuto all'inizio dell'opera, irrimediabilmente lontano da Adina (la quale ci si presenta leggendo niente meno che la storia di Tristano) per estrazione sociale e culturale. L'opera si chiude con il ciarlatano che rivendica al suo elisir il merito delle prossime nozze; dal canto suo Nemorino non ha capito nulla di quanto accaduto ma per il momento ha avuto quello che voleva, mentre il sergente Belcore, che inizialmente aveva corteggiato con successo Adina, si mette il cuore in pace e si prepara a cercarsi un'altra donna, forte del fascino della sua divisa di ufficiale.

Tutt'altra cosa era stato il finale della Sonnambula, l'opera che aveva anticipato l'ambientazione contadina dell'Elisir d'amore, dove la coppia si ricomponeva nel momento in cui Elvino riusciva finalmente a conoscere e comprendere il profondo dell'animo di Amina (ovvero ci che ella stessa nel primo atto dichiara di non saper dire: Ah vorrei trovar parola / Per spiegar com'io t'adoro / Ma la voce, o mio tesoro / Non risponde al mio pensier), reso tangibile grazie alla dimensione, insieme inconscia e manifesta, del sonnambulismo; un'esperienza che si traduce musicalmente nell'interpolazione su iniziativa di Bellini, che a questo scopo anticipa un verso del successivo tempo di mezzo di due frasi del tenore entro il cantabile di Amina sonnambula Ah, non credea mirarti: uno degli esempi pi straordinari di come la forma musicale possa diventare strumento di definizione della psicologia dei personaggi, rivelando una dimensione che va oltre le parole (vedi pagina on-line).

I soggetti di Verdi saranno trattati nel prossimo modulo.

3) Il Divieto d'amare

L'amore l'alfa e l'omega del melodramma nei primi decenni del secolo, il solo soggetto intorno a cui potesse polarizzarsi il teatro d'una societ che non possedeva libert n politica n di pensiero [] Ma l'amore che regna nel melodramma italiano non conosce i sottintesi filosofici che, da Faust a Tristano, ne fanno uno dei cardini della concezione romantica e lo inseriscono, al pari della natura e della religione, nell'esasperazione della Welthanschauung individualistica: prolungamento dell'individuo in un'altra creatura, nel romanticismo d'oltr'Alpe appare anch'esso come uno dei mezzi da tentare per evadere nell'infinito, per rompere i limiti dell'individuo e entrare in comunicazione con il mondo esterno, con il non-Io. Nel melodramma italiano dell'Ottocento l'amore, indagato nella naturalistica evidenza dei suoi aspetti psicologici ed affettivi, acquista soltanto in verit, intensit ed importanza. La romantica esaltazione del cuore, a danno della ragione, viene intesa dagli Italiani come apologia dell'amore. L'amore la sola verit della vita, unico bene, unica positivit: tutto ci che lo ostacola inganno, menzogna, malvagit e sopruso. Le opere di Bellini e Donizetti esauriscono la patologia dell'amore infelice. Bellini scrisse un'opera su I Capuleti e i Montecchi, ma in realt tutta la produzione di questi due operisti un'immensa variazione sul tema di Giulietta e Romeo.

Questo passo tratto dalla Breve storia della musica di Massimo Mila (Einaudi, Torino 1963, p. 265) coglie un aspetto cardinale dell'opera italiana di questo periodo, sia pure assegnandolo con un po' di leggerezza tanto a Donizetti che a Bellini.

Nei fatti, come si visto, Bellini si discosta drasticamente da questo schema, in quanto non offre mai la visione di una societ nemica, capace di generare un'autentico conflitto con l'individuo. L'infelicit come scrisse a proposito dei Puritani non nasce dall'inganno, dalla malvagit e dal sopruso, ma piuttosto figlia del destino:

Un interesse profondo, combinazioni che sospendono l'animo e l'invitano a sospirare per gl'innocenti che soffrono, senza alcun carattere cattivo che procuri tali sventure, ma il destino ne creatore e quindi le commozioni sono pi forti, perch non si trova umano riparo per far cessare la sventura.

La definizione di Mila si adatta invece molto bene al seguito della storia dell'opera italiana; proprio a partire da Donizetti, nel cui teatro l'amore tra Soprano e Tenore trova sempre qualche anima malvagia (per lo pi un Baritono) pronta ad ostacolarlo e distruggerlo.

Il titolo della pi italiana tra le opere di Wagner Il divieto d'amare si presta dunque a sintetizzare questo schema drammaturgico.

Il soggetto di Lucia di Lammermoor pu essere preso a paradigma: Edgardo (Tenore) e Lucia (Soprano) si amano, ma appartengono a due fazioni politiche opposte. Il fratello di Lucia, Enrico (Baritono), che odia mortalmente Edgardo, convince la sorella con l'inganno (mostrandole cio una falsa lettera dalla quale risulterebbe il tradimento di Edgardo) a sposare Arturo Bucklaw (secondo Tenore), grazie al cui appoggio spera di risollevare le sorti della propria parte politica. Come ho gi ricordato, Lucia sposa Arturo e lo uccide durante la prima notte di nozze, mentre Edgardo si suicida subito dopo aver appreso la notizia della morte dell'amata; la sua cabaletta conclusiva (in tempo moderato) inizia con il verso Tu che a Dio spiegasti l'ali, mentre il pastore Raimondo (Basso) esorta il protagonista a rivolgere il proprio pensiero al cielo.

Una rapida casistica mostra che l'impedimento concreto pu essere per altro di varia natura: il Tenore pu essere figlio naturale del Baritono (Parisina), l'ostacolo pu venire da un'altra donna potente e non corrisposta dal tenore (Maria Stuarda), molto spesso il soprano gi infelicemente sposata col Baritono. Non mancano ovviamente le eccezioni: Leonora, la protagonista della Favorita Mezzosoprano (ma solo perch tale era la primadonna amante del direttore dell'Opra di Parigi); in Pia de' Tolomei (Donizetti 1837) la protagonista non ricambia affatto l'amore del Tenore Ghino, il quale per tutta risposta l'accusa ingiustamente di adulterio, inducendo il marito di lei (Baritono) ad ucciderla e morendo a sua volta tormentato dai rimorsi; in Maria Padilla la protagonista divisa tra l'amore per l'erede al trono Don Pedro di Castiglia (Baritono), che ha sposato in segreto, e quello per il vecchio padre (per una volta Tenore), il quale la crede una concubina; dopo varie peripezie, Maria rende pubbliche le sue nozze, ma quando Don Pedro, frattanto divenuto Re, dichiara a tutti di volerla tenere accanto a s, Maria, per un attimo sposa e regina, non resiste alla gioia e cade morta sull'istante.

Ci che rimane fermo l'assoluta impossibilit di regolarizzare la relazione (anche qui con l'eccezione di Poliuto: opera non per nulla basata sulla tragedia classicheggiante di Corneille). Soprano e Tenore s'incontrano di nascosto, sovente di notte e in luoghi sperduti, ma non possono apparire in societ, n tanto meno sposarsi. Sono insomma condannati alla clandestinit. Proprio le rare eccezioni dimostrano che il vero divieto a cui vanno soggetti gli amanti del melodramma italiano post-belliniano appunto, pi precisamente, quello di sposarsi (il caso di Maria Padilla non fa che confermare, o meglio precisare, questa regola: il matrimonio consentito purch rimanga segreto).

In Ernani ad esempio, una delle prime opere di Verdi, l'amore tra Tenore e Soprano sembra destinato a integrarsi nel quadro sociale, e in tal modo a porsi al riparo da qualsiasi tentativo di intralciarne il corso. L'ultimo atto inizia infatti con la festa per le nozze tra Ernani ed Elvira, e il successivo duetto d'amore perci, per una volta, anche un duetto nuziale. Ma dura pochissimo: il suono di un Corno da caccia lo interrompe sul nascere. il segnale con cui Silva (Basso) d ordine a Ernani di uccidersi, in rispetto del patto con il quale il Tenore gli aveva precedentemente offerto potere di vita e di morte. Nell'entrare in scena Silva ripete la quartina del patto: Ecco il pegno: nel momento / In che Ernani vorrai spento, / Se uno squillo intender / Tosto Ernani morir. Il caso di Ernani particolarmente interessante poich mostra che nel melodramma italiano romantico esiste una norma implicita che vieta all'amore tra Soprano e Tenore di compiersi socialmente, attraverso l'istituzione familiare, e fisicamente e che gli conferisce carattere d'irregolarit; nel giuramento di Ernani questa norma si manifesta per la prima volta in modo esplicito.

Nel Bravo di Mercadante invece le nozze tra le due anime belle Pisani e Violetta ricevono dai genitori di lei la seguente benedizione (giacch questa la parola usata dagli sposini) sopra una lugubre melodia in Si bemolle minore che richiama l'incipit dello Stabat Mater di Pergolesi: Siete sposi! O infauste nozze! / In qual'ora il ciel s'oscura! / All'addio degli infelici / Veste il lutto la natura ( quanto mai significativo che lo stesso Mercadante sostituisca l'espressione infausti auspici, contenuta nel libretto di Gaetano Rossi, con il pi esplicito infauste nozze). Siamo ovviamente ad un passo dalla catastrofe: gli sposini prendono il largo su una gondola ma tempo qualche minuto i benedicenti muoiono, lei suicida, lui di dolore.

Questo particolare divieto la cui infrazione pu dunque determinare, come nei casi di Maria Padilla, Ernani e Il bravo, un vero e proprio effetto iettatorio sopravvive alle profondissime trasformazioni culturali cui l'opera italiana va soggetta a partire dagli anni Settanta, e persiste addirittura in pieno Novecento, praticamente fino alla morte di Giacomo Puccini.

L'Otello verdiano (1887) costituisce a questo riguardo un'opera chiave, in quanto il dramma si sviluppa proprio intorno alle conseguenze devastanti dell'infrazione di questo tab fondamentale. Otello e Desdemona si sposano e, alla fine del primo atto, intonano il loro duetto nuziale; di l in avanti, per mezzo del suo alter ego Jago, che come noto insinua in lui il tarlo della gelosia, il protagonista degrada l'immagine della sposa, la umilia pubblicamente e infine la strangola. Solo a questo punto, riconosciutane l'innocenza, Otello pu finalmente suicidarsi e, alla maniera di Edgardo (Lucia di Lammermoor), morire anche lui intonando un canto d'amore. Il meccanismo o meglio il gioco comincia dunque a rivelarsi.

Sei anni dopo, in Manon Lescaut di Puccini il contrasto tra vita amorosa e vita sociale si configura per la prima volta, secondo una visione radicalmente romantica, come fattore intrinseco alla dimensione dell'eros: non il mondo a perseguitare gli amanti, ma sono loro che, fuggendo dal mondo, precipitano verso la morte. L'amore di Edgardo e Lucia, nel capolavoro di Donizetti, ostacolato e sopraffatto dai giochi di potere; in Un ballo in maschera di Verdi (1859) Riccardo e Amelia non possono coronare la loro passione per due semplici fatti: il Soprano la sposa di Renato il Baritono e questi il pi caro amico del Tenore; peggio ancora Don Carlos (1867 - Verdi), dove Elisabetta di Valois, Soprano, diventa la matrigna dell'amato Carlo (Tenore). In Manon Lescaut, viceversa, non ci sono parafulmini: l'amore tra Manon e Des Grieux non entra in conflitto con una singola e ben precisa forza o legge sociale, ma con la societ, o meglio ancora con la realt, in quanto tale. Analogamente i due ragazzi non si danno appuntamento in un mondo migliore (Don Carlos), e manca loro tanto il conforto della religione (il cielo al quale Des Grieux si rivolge nel quarto Atto immoto, Dio una circonlocuzione in passato remoto: colui a cui fanciullo anch'io levai la mia preghiera) quanto quello della follia; quanto a dire le due canoniche vie d'evasione dalla realt dei vinti donizettiani. L'intera azione scandita dalle loro fughe, una per atto, che li porta ad allontanarsi sempre pi dalla societ; perfetta la sequenza dei quattro atti: dal piazzale del primo, addirittura brulicante di vita sociale, al mondo ricco ma imbalsamato del secondo, alla vita del porto tra popolani, prostitute e lampionai del terzo, e finalmente al deserto del quarto.

Ma il fascino della clandestinit permane ancora e a lungo: Giorgetta e Luigi, gli amanti di un'altra opera di Puccini, Il tabarro (1918), dichiarano esplicitamente in cosa consistesse il fascino di queste gioie rapite tra spasimi e paure, sia pure ponendo l'accento su un aspetto sensuale pressoch sconosciuto al melodramma ottocentesco:

- Hai ragione: un tormento, un'angoscia, una pena; ma quando tu mi prendi, pur grande, pur grande il compenso!

Par di rubare insieme qualche cosa alla vita!

La volutt pi intensa!

la gioia rapita fra spasimi e paure...

In una stretta ansiosa...

Fra grida soffocate e baci senza fine!

E parole sommesse... Giuramenti e promesse...

D'esser soli noi...

Noi soli, via, via, lontani!

Noi tutti soli, lontani dal mondo!... lui? [Il marito Michele - Baritono]

No, non ancora... [...]

Cos come permane fino in fondo il tab delle nozze. Turandot, l'ultima opera di Puccini (1924), appunto la storia di una carovana (per usare le parole della protagonista) di pretendenti, i quali affrontano senza successo tre indovinelli nel tentativo di ottenere la mano della principessa (la quale visto com' andata ai Soprani che l'hanno preceduta ha finalmente capito l'antifona e non vuole proprio saperne n di innamorarsi n di sposarsi) e finiscono quindi uno dopo l'altro sotto la scure del boia. L'ultimo di loro, il principe Calaf, scioglie gli enigmi, ma le fatidiche nozze e il fatidico lieto fine non vedranno mai la luce perch Puccini, malato e forse poco persuaso di questo finale, lascer l'ultima scena allo stadio di abbozzo discontinuo.

Torner ancora sull'argomento dei soggetti operistici (che naturalmente non si esaurice nel tema del divieto d'amare) a proposito dell'opera verdiana, che presenta un particolare interesse sui due piani dello sviluppo della figura femminile e dei conflitti generazionali.

LETTURE

1) I quartetti giovanili

Un compagno di studi alla scuola di Simone Mayr, Marco Bonesi, racconta come Donizetti compose i suoi quartetti. Molto interessante volendo dar credito alla testimonianza il sistema di comporre a tavolino e il conseguente disinteresse per il pianoforte, che attesta un modo di concepire la composizione lontano dalla dialettica tra melodia (canto) e accompagnamento (pianoforte/orchestra) tipica degli operisti italiani dell'Ottocento, abituati appunto a lavorare seduti al pianoforte.

Come infatti dissemi una volta con mia sorpresa: Nella prima sera della vostra riunione porter un quartetto composto alla Haydn, ed era fatto; ed un'altra: alla Beethoven, alla Krommer ecc. ecc. Notando che appena composti, li copiava quasi nel medesemo tempo che si doveano eseguire. Fui testimonio di non averlo veduto ad avvicinarsi ne men per un istante al Pianoforte e che ad un tavolino nella sua stanza o in qualunque altro sito, tirava gi la sua composizione come scrivesse una letteruccia ad un suo famigliare, anche se fosse stato nel pi forte baccano. Al contrario se sentiva un suono o canto lo interrompeva dicendomi che non poteva pi andare avanti.

2) Il rapporto con le convenzioni (= convenienze) teatrali

Anche questo brano tratto dalla breve biografia donizettiana di Bonesi. Le affemazioni di Donizetti risalirebbero al 1822: lo spirito rinunciatario gi evidente.

[] senza ambagi e con la pi verace persuasione mi dimostr essere nella necessit di attaccarsi al genio Rossiniano per secondare il gusto della giornata, e che una volta avesse potuto farsi un po' di strada non mancherebbe certo di slanciarsi a modo suo. []

Nutriva inoltre molte idee per riformare quelle solite situazioni nelle quali scadeva sempre l'introduzione, la cavatina, duetto, terzetto e finale, fatti sempre nel medesimo modo; ma come fare, soggiungeva contristato, con quelle benedetta convenienze teatrali? Ch impresari, cantanti, e fors'anche il pubblico, senza misericordia mi caccerebbero a dir poco nell'ultima bolgia e addio per sempre...!

3) Gli autoimprestiti

Donizetti ricorse agli autoimprestiti non meno di Rossini. In questa lettera del 1838 egli tuttavia nega di aver riutilizzato nel Poliuto la musica del Paria (1829).

notevole sia l'autoironia (Il Paria sarebbe stato tutto riciclato in altre due opere ma lui non uomo da far tali cose), sia la presenza di espressioni napoletane (fregatenne, quello sta) che riflette, questa volta sul piano verbale, l'attitudine del compositore bergamasco ad adattarsi ai diversi idiomi.

Quanto al Paria in Poliuto, fregatenne.

Io non son uomo da far tali cose! Eppoi quello sta per met nell'Anna, e l'altra met nel Tasso, ed io ripeto che non son uomo da far tali cose. Poliuto tutto, tutto, ossia quasi tutto nuovo, eccetto l'adagio del primo finale. Il resto nuovissimo, e a Napoli han sentito troppa roba mia, n scimer poss'io...

4) La censura

Nel 1838 i censori napoletani priobirono l'allestimento del Poliuto, in quanto vi si rappresentava il martirio di un Santo. Donizetti propose allora Pia de' Tolomei (tratta dall'episodio dantesco), che fu accettata solo al prezzo di una serie di pesanti interventi. Scrivendo ad un amico, Donizetti ricorre come al solito all'unica arma che il suo carattere remissivo gli offriva: l'ironia.

Qui andiamo di bene in peggio. Finalmente deciso che io dia Pia con alcuni cangiamenti in luogo di Poliutto [sic] proscritto. La qual Pia, non deve morire (ma, Dante). Non ci fottiamo di Dante. Pietro Pettinaro, frate istorico, nel libro solitario, ebbene noi vogliamo che si chiami antico filosofo educatore di Pia (sissignore). E gli altri Solitarj? Pastori. Va bene. Non nominate mai Dio sissignore. Se avvi verso pericoloso, noi lo scioglieremo in prosa, e poco importa che non si possa o si possa cantare, vuol dire che la musica cessa, si dice il verso sciolto in acqua, poscia la musica riprende.

5) La pazzia

Nel 1846 le condizioni mentali di Donizetti si erano talmente aggravate che si decise di ricoverarlo in una clinica ad Ivry, presso Parigi. Dapprima gli fu fatto credere che la carrozza si fosse fermata per un guasto, poi che un suo servitore l'avesse derubato e che si dovesse quindi attendere l'esito delle indagini. Quando protest di voler ripartire ugualmente, ebbe come risposta l'insinuazione che fosse stato lui a nascondere la refurtiva per far incolpare il servo.

Il 7 febbraio 1846 Donizetti scrisse ad un'amica (Zlie de Coussy) questa lettera, che ovviamente non venne mai recapitata.

Signora venite a Ivry entro un'ora! Io stesso sono agli arresti. Il mio domestico ha rubato un'altra volta? L'affanno di mio nipote mi d coraggio! Hanno arrestato mio nipote ed era il domestico! l'hanno arrestato non l'ho pi rivisto; Venite! che il sangue di Dio scenda su di voi: sia maledetto chi mente: Venite, ma se non lo farete augurate la morte al vostro povero amico! Sono a 4 miglia e 8 sono innocente, tutto stato restituito! Il vostro servitore Donizetti. []

Oh! come piango, sono innocente! Volete che rubi le cose mie? sono mie: Venite dunque venite. Portate con voi un certificato di Ricord; (Ges e Maria); salvatemi salvatemi, che perdo onore e vettura; Pace, ve ne prego. Buona volont. Buona notte venite! Zlie vieni! piango sempre!! [] Pu darsi che troviate dei pensieri per S. E. la Contessa Appony. ambasciatrice austriaca! italiana Allieva di Mayr. Fate che io esca per lei, io rubare le cose che mi appartengono? Se il Domestico un ladro, io cosa c'entro? No! colpa mia lo stesso per la vendetta pubblica! Il povero Donizetti.