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Se vuoi collaborare, spedisci un tuo pezzo (un articolo, un saggio, una recensione, un racconto, qualche poesia) a [email protected]. Allega due righe su di te, così sappiamo da chi dobbiamo guardarci. Se vuoi essere pubblicato sul pdf, cerca di non superare di troppo la cartella editoriale standard (1800 battute: siamo proprio vecchio stile). Per il web facciamo 8000 circa, e morta lì. Scrivi a [email protected] per qualsiasi informazione. Il presente opuscolo è diffuso sotto la disciplina d e l l a l i c e n z a CREATIVE COMMONS Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia. La licenza integrale è disponibile a questo url: http://tinyurl.com/8g7sw5. alessandro romeo:editoriale Di tutte le grandi metafore della lettura ce n’è una che ci portiamo dietro dalla notte dei tempi: la lettura come viaggio. Potrei aggiungere che “un libro è una porta a- perta sul mondo” o che “la letteratura è l’unico vero biglietto di imbarco”. Invece no: a me quella metafora fa cagare. E 1.460.000 di pagine web indicizzate su Google, una mandria di professori che si sfringuellano davanti agli aggiornamenti Opac, un esercito di iscritti a facoltà uma- nistiche che si sfrucugliano con immagini idealizzate di terre lontane non mi fanno cambiare idea. Perché se ci sono due co- se che ti riescono bene solo a casa sono leggere e scrivere. E infatti gli scrittori ogni tanto si ammazzano. Per cui chiudi la porta con quattro man- date, stacca il telefono, mettiti in mutande, leggi il raccontazzo di Alessandro Milane- se, la poesia di quel borderline di Terry Bo- ligol, e ascoltati la playlist di Polaroid. E se per caso ti venisse in mente che la rubrica made in UK di Fontefrancesco sia in pale- se contraddizione con quanto ho detto, be’, amore: l’errore è in te. inutile non passa al body scanner. INUTILE opuscolo letterario marzo 2010, numero 31 supplemento al #1390 di PressItalia.net, registrazione presso il Tribunale di Perugia #33 del 5 maggio 2006. pubblicazione mensile a cura di INUTILE » ASSOCIAZIONE CULTURALE. la redazione viviana capurso {ufficio stampa}, arturo fabra, ferdinando guadalupi, marco montanaro {ufficio stampa}, gabriele naia, virginia paparozzi, daniele pirozzi, alessandro romeo {responsabile editoriale}, matteo scandolin {grafica e impaginazione} hanno collaborato enzo e la fagotta, michele filippo fontefrancesco, alessandro milanese poster gabriele naia per abbonamenti www.rivistainutile.it/shop/shop.html wild wild web rivistainutile.it, il nostro facebook, associazioneinutile.org, polaroid: un blog alla radio, gabriele naia inut ile OPUSCOL OLETTERA RIO numero marzo 2010 alessandro milanese:katherine moennig «Sembri Katherine Moennig.» Ecco cosa avrei voluto dire quella mattina di quattro mesi fa. Ma non era davvero il caso. Non sta bene presentarsi ad una sconosciuta paragonandola alla star di L WORD, il telefilm lesbo per eccellenza. Ripeto, non è cosa buona e giusta. Eppure per me era un complimentone, io stesso, se non avessi tra le balle sto coso di una decina di centimetri, avrei voluto essere paragonato a lei. Una dea, a modo suo. Dinoccolata, spigolosa, mascolina. Uno sguardo che ti trapassa, ti buca da parte a parte, lasciando un varco enorme, una voragine nell'anima. Una forza della natura, benevola nei suoi confronti, che l'ha fatta diventare una vera e propria icona. Nel telefilm, fa la parte della scopatutti, di quella che prende e basta, che non riesce ad aver un rapporto, se non di sesso, con il prossimo. Tu non sei così, o almeno spero. I suoi occhi sono tristi, di una tristezza dentro incancellabile, di chi non può essere come gli altri, anche un solo singolo giorno della propria vita. Tu, invece, ridi spesso, e mi piace. Quando parli con gli altri, quando dico la prima pirlata che mi viene in mente, per cercare un sorriso. Perché qualche cazzata devo dirla per forza, non posso starmene lì, attaccato, appiccicato a quel bancone di vetro e legno, senza aprir bocca. Ho comprato il comprabile, e fortunatamente non lavori da Bulgari o da Swarowsky. Avrei già rinunciato, non potrei permetterlo, non riuscirei a far la corte ad una commessa di negozi di élite, il mio stipendio non bastererebbe. Sarei costretto a spacciar qualcosa, a vendermi i dischi (dio me ne scampi), a vendermi un rene, un organo qualsiasi, un muscolo mal funzionante. Ma, un maglione alla volta, una t-shirt inguardabile, un jeans di moda anni fa, vado avanti così, comprando cose orripilanti solo per dirti minchiate, solitamente accompagnato di volta in volta da un amico diverso. A sto giro tocca a Daniel. In vena di allegria continua a martellar anche lui su un tasto mezzo rotto, che non suona, ripetendo sempre ed esclusivamente le solite cose, il solito lamentarsi. Ogni tanto sbuffa, quasi nitrendo, o se ne esce con massime delle sue. Massime che solo chi è nato e cresciuto nel nostro infimissimo rione può capire. Cose tipo: «sai, ogni tanto mi sento, si, mi sento come le squadre di Zeman, capisci?» Eccome se lo capisco. Le squadre del boemo da che mondo è mondo giocano a viso aperto, danno spettacolo, ci mettono l'anima, fanno divertire, sono sempre pronte ad attaccare, per poi prendere il classico gol del cazzo, in contropiede. Magari una papera del portiere, fino a quel momento inoperoso. Quei tiri latte & merda da lontano, che rimbalzan a terra più volte, innocenti e stupidi. E così, quando meno te lo aspetti, quando scommetteresti tutto quello che hai sulla vittoria facile, sulla goleada, finisce che gli altri incassino il massimo risultato con il minimo sforzo. Come se in questo momento entrasse un marcantonio di 1.85, spalle enormi e cervello fino, che senza proferire parola e cosa ancor peggiore senza spendere un dannatissimo euro guardasse la mia Katherine e boom: colpo di fulmine. La teoria del mio fidatissimo amico, ancora e ancora e ancora una volta, sarebbe legge. Una legge cattiva, crudele, ma, come tutte le leggi che si rispettino, inattaccabile. E forse proprio per quello, per la paura che entri il palestrato, all'improvviso rubo il coraggio ad un passante (che ci rimane male veramente) e mi lancio in uno sproloquio non da me. «Cosa ne diresti di bere una cosa, una di queste cose?» Si, dico proprio: cose. In pratica, finisco la frase con la stessa parola con cui l'ho cominciata. Lei riride. Mi ripiace. Divento rosso mattone in volto, non oso respirare, ascolto il mio sanguinare. «Ok, stavo cominciando a pensare che volessi prima comprare tutto il negozio.» Una discreta presa per il culo, ma lo dice in maniera dolce. Si aggiusta gli occhiali, scrutandomi da dietro le mediospesse lenti. Non mi resta che cercare una serata. Conto fino a cinque, ripassando mentalmente una frase a prova di scemo. Fisso per due giorni dopo, né troppo presto, né troppo tardi. Saluti. Ci dileguiamo, allontanandoci. La luce è già morta, al suo posto le lucette colorate di questi maledetti alberelli plastificati, pronti per un altro natale, infilati a forza dentro vasi quadrati di una bruttezza surreale, sproporzionati, difettosi. Sempre meglio comunque dell'enorme parcheggio fatto di sassi e pietre, una pietraia stile monte Sinai, con voragini paludose che spuntan qua e là. Al buio, giusto per lasciarci caviglie e pantaloni, facendo grandinare bestemmie. Finché, in auto, non ci ritroviam verso casa, soddisfatti. I soliti ricordi romanzati, che han preso il posto della versione reale, ormai totalmente sparita, scomparsa. La leggenda diventa verbo, e nel tempo le cose cambiano, si ingrossano, camminando come sassi rotolati nel fango. Noi che di fango siam pratici dopo aver spalato alluvioni ampiamente previste. Pratici come di fisionomie. Infatti tra un semaforo e l’altro il mio socio, dal nulla, sbotta: «la tua quasi amichetta, mah, è una faccia conosciuta, mi sembra di averla già vista da qualche parte». No, mio dio, non può guardare L WORLD. Non esiste, non è da lui. Sto sudando freddo, per quella inaspettata notizia a cui non posso e non voglio credere. Ma la sorpresa e lo stupore ritornano da dove eran venuti, da un posto lontano, scuro. Il verde scatta. Lascio la frizione, troppo velocemente, ancora sotto shock per la cotanta rivelazione, e ripartiamo ridendo di gusto del mio strattone da principiante. Si gira, mi guarda, e conclude. «Si cazzo, ci sono, ecco a chi assomiglia, alla tipa del porno che ho visto stanotte" 31 michele filippo fontefrancesco:bombe Durham: Un cielo grigio racconta di una fredda e umida mattina all'ombra della cattedrale. Uomini e donne camminano frenetici tra i negozi e gli uffici. Macchine e camion corrono lungo la statale. Una giornata come tante altre sotto il solito cielo color dell'acciaio. A un tratto due volanti della polizia arrivano a sirene spiegate. Senza dire nulla evacuano la via di accesso alla piazza del mercato e ne sigillano le entrate. Nessuno sa nulla. Si vocifera di una bomba in un negozio. La polizia non rilascia dichiarazioni. Passano i minuti. Arrivano pompieri e artificieri. C’è tensione tra la gente: c’è chi parla di al-Qaeda, chi degli irlandesi. Più che terrore nell’aria si respira un’atmosfera di attesa e ricordo. Attesa per un botto, ricordo di tante macchine saltate troppe volte in aria - a Londra come nel resto del paese - per non ricordarle. Nessuno però riesce a capire il perché di una bomba a Durham. C’è chi ipotizza che la prigione possa esser un motivo: chi sa chi c’è dentro custodito? Viene formulata l’ipotesi cattedrale ed università: non si sa mai. Le ore passano. Addossate sul filo giallo della polizia le persone ricordano più un nutrito gruppo di bambini in attesa dell’apertura dei regali a Natale che una folla impaurita. A un tratto la polizia toglie il cordone di sicurezza. Falso allarme. Sguardi perplessi. C’è chi ride. L’invisibile eccitazione lascia il posto alla visibile irritazione per aver dovuto ritardare di tre ore lo shopping. La vita riprende veloce. Uomini e donne camminano frenetici tra i negozi e gli uffici. Macchine e camion corrono lungo la statale. Una giornata come tante altre sotto il solito cielo color dell’acciaio. Per lunghi minuti il ricordo delle bombe di Londra aveva rivissuto sotto la pelle, negli sguardi, nei gesti e nelle parole. Solo un ricordo, presto portato via dal vento. re:playlist/a cura di Enzo e la Fagotta POTETE ASCOLTARE LE VOCI IN DIRETTA DI ENZO E LA FAGOTTA SU Polaroid - un blog alla radio: IL MERCOLEDÌ SERA, DALLE 21 ALLE 22.30, SU CITTÀ DEL CAPO RADIO METROPOLITANA (WWW.RCDC.IT). SCARICATE E ASCOLTATE QUESTA PLAYLIST DA POLAROID. BLOGSPOT. COM. The Album Leaf, Falling From The Sun Il disco perfetto per un inverno che sembra non finire mai. Nana Grizol, Galaxies Gli anni '10 (!) si aprono con una fissa Nineties niente male: i Nana Grizol non sono da meno, in pieno stile Elephant 6. The Radio Dept., Heaven’s On Fire Malinconici e arrabbiati, freddi e balearici... Il tanto atteso ritorno dei Radio Dept. non poteva essere più carico di così. Il paradiso è in fiamme. Toro Y Moi, Talamak Musica in controluce, sbiadita, fuori fuoco, ma per nulla annebbiata. Presto non ne potremo più di tutto questo pallore. My Bubba & Mi, I Will Never Love a Young Boy Again Se prestate attenzione quando ascoltate le dolci canzoni di queste tre fate scandinave, sentirete il rumore dei loro cuori che battono tra i solchi del disco. Joel Alme, You Remem- ber The Good Times, But The Good Times Don’t Remem- ber You Archi, voce da croo- ner e orchestrazioni che neanche Umberto Bindi. Da mettere sullo stereo solo se avete una dama a cui chiedere un ballo. terry boligol:scorandomi Il cielo è azzurro. Il tempo scorre, Buzzurro. E piangono. Vita.

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inutile. opuscolo letterario numero 31 marzo 2010

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Se vuoi collaborare, spedisci un tuo pezzo (un articolo, un saggio, una recensione, un racconto, qualche poesia) a [email protected]. Allega due righe su di te, così sappiamo da chi dobbiamo guardarci.Se vuoi essere pubblicato sul pdf, cerca di non superare di troppo la cartella editoriale standard (1800 battute: siamo proprio vecchio stile). Per il web facciamo 8000 circa, e morta lì.Scrivi a [email protected] per qualsiasi informazione.

Il presente opuscolo è diffuso sotto la disciplina de l la l i cenza CREATIVE COMMONS Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia. La licenza integrale è disponibile a questo url:http://tinyurl.com/8g7sw5.

alessandro romeo:editorialeDi tutte le grandi metafore della lettura ce n’è una che ci portiamo dietro dalla notte dei tempi: la lettura come viaggio. Potrei aggiungere che “un libro è una porta a-perta sul mondo” o che “la letteratura è l’unico vero biglietto di imbarco”. Invece no: a me quella metafora fa cagare. E 1.460.000 di pagine web indicizzate su Google, una mandria di professori che si sfringuellano davanti agli aggiornamenti Opac, un esercito di iscritti a facoltà uma-nistiche che si sfrucugliano con immagini idealizzate di terre lontane non mi fanno cambiare idea. Perché se ci sono due co-se che ti riescono bene solo a casa sono leggere e scrivere. E infatti gli scrittori ogni tanto si ammazzano.Per cui chiudi la porta con quattro man-date, stacca il telefono, mettiti in mutande, leggi il raccontazzo di Alessandro Milane-se, la poesia di quel borderline di Terry Bo-ligol, e ascoltati la playlist di Polaroid. E se per caso ti venisse in mente che la rubrica made in UK di Fontefrancesco sia in pale-se contraddizione con quanto ho detto, be’, amore: l’errore è in te.inutile non passa al body scanner.

INUTILE opuscolo letterariomarzo 2010, numero 31supplemento al #1390 di PressItalia.net, registrazione presso il Tribunale di Perugia #33 del 5 maggio 2006.pubblicazione mensile a cura di INUTILE » ASSOCIAZIONE CULTURALE.

la redazioneviviana capurso {ufficio stampa}, arturo fabra, ferdinando guadalupi, marco montanaro {ufficio stampa}, gabriele naia, virginia paparozzi, daniele pirozzi, alessandro romeo {responsabile editoriale}, matteo scandolin {grafica e impaginazione}

hanno collaboratoenzo e la fagotta, michele filippo fontefrancesco, alessandro milanese

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wild wild webrivistainutile.it, il nostro facebook, associazioneinutile.org, polaroid: un blog alla radio, gabriele naia

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OLETTERARIO numero

marzo 2010

alessandro milanese:katherine moennig«Sembri Katherine Moennig.»Ecco cosa avrei voluto dire quella mattina di quattro mesi fa.Ma non era davvero il caso. Non sta bene presentarsi ad una sconosciuta paragonandola alla star di L WORD, il telefilm lesbo per eccellenza.Ripeto, non è cosa buona e giusta.Eppure per me era un complimentone, io stesso, se non avessi tra le balle sto coso di una decina di centimetri, avrei voluto essere paragonato a lei.Una dea, a modo suo.Dinoccolata, spigolosa, mascolina.Uno sguardo che ti trapassa, ti buca da parte a parte, lasciando un varco enorme, una voragine nell'anima. Una forza della natura, benevola nei suoi confronti, che l'ha fatta diventare una vera e propria icona.Nel telefilm, fa la parte della scopatutti, di quella che prende e basta, che non riesce ad aver un rapporto, se non di sesso, con il prossimo.Tu non sei così, o almeno spero.I suoi occhi sono tristi, di una tristezza dentro incancellabile, di chi non può essere come gli altri, anche un solo singolo giorno della propria vita.Tu, invece, ridi spesso, e mi piace.Quando parli con gli altri, quando dico la prima pirlata che mi viene in mente, per cercare un sorriso. Perché qualche cazzata devo dirla per forza, non posso starmene lì, attaccato, appiccicato a quel bancone di vetro e legno, senza aprir bocca.Ho comprato il comprabile, e fortunatamente non lavori da Bulgari o da Swarowsky. Avrei già rinunciato, non potrei permetterlo, non riuscirei a far la corte ad una commessa di negozi di élite, il mio stipendio non bastererebbe. Sarei costretto a spacciar qualcosa, a vendermi i dischi (dio me ne scampi), a vendermi un rene, un organo qualsiasi, un muscolo mal funzionante.Ma, un maglione alla volta, una t-shirt inguardabile, un jeans di moda anni fa, vado avanti così, comprando cose orripilanti solo per dirti minchiate, solitamente accompagnato di volta in volta da un amico diverso.A sto giro tocca a Daniel. In vena di allegria continua a martellar anche lui su un tasto mezzo rotto, che non suona, ripetendo sempre ed esclusivamente le solite cose, il solito lamentarsi. Ogni tanto sbuffa, quasi nitrendo, o se ne esce con massime delle sue. Massime che solo chi è nato e cresciuto nel nostro infimissimo rione può capire. Cose tipo: «sai, ogni tanto mi sento, si, mi sento come le squadre di Zeman, capisci?»Eccome se lo capisco.Le squadre del boemo da che mondo è mondo giocano a viso aperto, danno spettacolo, ci mettono l'anima, fanno divertire, sono sempre pronte ad attaccare, per poi prendere il classico gol del cazzo, in contropiede. Magari una papera del portiere, fino a quel momento inoperoso. Quei tiri latte & merda da lontano, che rimbalzan a terra più volte, innocenti e stupidi.E così, quando meno te lo aspetti, quando scommetteresti tutto quello che hai sulla vittoria facile, sulla goleada, finisce che gli altri incassino il massimo risultato con il minimo sforzo.Come se in questo momento entrasse un marcantonio di 1.85, spalle enormi e cervello fino, che senza proferire parola e cosa ancor peggiore senza spendere un dannatissimo euro guardasse la mia Katherine e boom: colpo di fulmine.La teoria del mio fidatissimo amico, ancora e ancora e ancora una volta, sarebbe legge. Una legge cattiva, crudele, ma, come tutte le leggi che si rispettino, inattaccabile.E forse proprio per quello, per la paura che entri il palestrato, all'improvviso rubo il coraggio ad un passante (che ci rimane male veramente) e mi lancio in uno sproloquio non da me.«Cosa ne diresti di bere una cosa, una di queste cose?»Si, dico proprio: cose. In pratica, finisco la frase con la stessa parola con cui l'ho cominciata.Lei riride. Mi ripiace.Divento rosso mattone in volto, non oso respirare, ascolto il mio sanguinare.«Ok, stavo cominciando a pensare che volessi prima comprare tutto il negozio.»Una discreta presa per il culo, ma lo dice in maniera dolce. Si aggiusta gli occhiali, scrutandomi da dietro le mediospesse lenti.Non mi resta che cercare una serata. Conto fino a cinque, ripassando mentalmente una frase a prova di scemo. Fisso per due giorni dopo, né troppo presto, né troppo tardi.Saluti.Ci dileguiamo, allontanandoci.La luce è già morta, al suo posto le lucette colorate di questi maledetti alberelli plastificati, pronti per un altro natale, infilati a forza dentro vasi quadrati di una bruttezza surreale, sproporzionati, difettosi.Sempre meglio comunque dell'enorme parcheggio fatto di sassi e pietre, una pietraia stile monte Sinai, con voragini paludose che spuntan qua e là. Al buio, giusto per lasciarci caviglie e pantaloni, facendo grandinare bestemmie.Finché, in auto, non ci ritroviam verso casa, soddisfatti. I soliti ricordi romanzati, che han preso il posto della versione reale, ormai totalmente sparita, scomparsa. La leggenda diventa verbo, e nel tempo le cose cambiano, si ingrossano, camminando come sassi rotolati nel fango. Noi che di fango siam pratici dopo aver spalato alluvioni ampiamente previste. Pratici come di fisionomie. Infatti tra un semaforo e l’altro il mio socio, dal nulla, sbotta: «la tua quasi amichetta, mah, è una faccia conosciuta, mi sembra di averla già vista da qualche parte».No, mio dio, non può guardare L WORLD. Non esiste, non è da lui. Sto sudando freddo, per quella inaspettata notizia a cui non posso e non voglio credere. Ma la sorpresa e lo stupore ritornano da dove eran venuti, da un posto lontano, scuro. Il verde scatta. Lascio la frizione, troppo velocemente, ancora sotto shock per la cotanta rivelazione, e ripartiamo ridendo di gusto del mio strattone da principiante.Si gira, mi guarda, e conclude.«Si cazzo, ci sono, ecco a chi assomiglia, alla tipa del porno che ho visto stanotte"

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michele filippo fontefrancesco:bombeDurham: Un cielo grigio racconta di una fredda e umida mattina all'ombra della cattedrale. Uomini e donne camminano frenetici tra i negozi e gli uffici. Macchine e camion corrono lungo la statale. Una giornata come tante altre sotto il solito cielo color dell'acciaio.A un tratto due volanti della polizia arrivano a sirene spiegate. Senza dire nulla evacuano la via di accesso alla piazza del mercato e ne sigillano le entrate. Nessuno sa nulla. Si vocifera di una bomba in un negozio. La polizia non rilascia dichiarazioni.Passano i minuti. Arrivano pompieri e artificieri. C’è tensione tra la gente: c’è chi parla di al-Qaeda, chi degli irlandesi. Più che terrore nell’aria si respira un’atmosfera di attesa e ricordo. Attesa per un botto, ricordo di tante macchine saltate troppe volte in aria - a Londra come nel resto del paese - per non ricordarle.Nessuno però riesce a capire il perché di una bomba a Durham. C’è chi ipotizza che la prigione possa esser un motivo: chi sa chi c’è dentro custodito? Viene formulata l’ipotesi cattedrale ed università: non si sa mai.Le ore passano. Addossate sul filo giallo della polizia le persone ricordano più un nutrito gruppo di bambini in attesa dell’apertura dei regali a Natale che una folla impaurita.A un tratto la polizia toglie il cordone di sicurezza. Falso allarme. Sguardi perplessi. C’è chi ride. L’invisibile eccitazione lascia il posto alla visibile irritazione per aver dovuto ritardare di tre ore lo shopping. La vita riprende veloce. Uomini e donne camminano frenetici tra i negozi e gli uffici. Macchine e camion corrono lungo la statale. Una giornata come tante altre sotto il solito cielo color dell’acciaio.Per lunghi minuti il ricordo delle bombe di Londra aveva rivissuto sotto la pelle, negli sguardi, nei gesti e nelle parole. Solo un ricordo, presto portato via dal vento.

re:playlist/a cura di Enzo e la FagottaPOTETE ASCOLTARE LE VOCI IN DIRETTA DI ENZO E LA FAGOTTA SU Polaroid - un blog alla radio: IL MERCOLEDÌ SERA, DALLE 21 ALLE 22.30, SU CITTÀ DEL CAPO RADIO METROPOLITANA (WWW.RCDC.IT).SCARICATE E ASCOLTATE QUESTA PLAYLIST DA POLAROID.BLOGSPOT.COM.

The Album Leaf, Falling From The SunIl disco perfetto per un inverno che sembra non finire mai.

Nana Grizol, GalaxiesGli anni '10 (!) si aprono con una fissa Nineties niente male: i Nana Grizol non sono da meno, in pieno stile Elephant 6.

The Radio Dept., Heaven’s On FireMalinconici e arrabbiati, freddi e balearici... Il tanto atteso ritorno dei Radio Dept. non poteva essere più carico di così. Il paradiso è in fiamme.

Toro Y Moi, TalamakMusica in controluce, sbiadita, fuori fuoco, ma per nulla annebbiata. Presto non ne potremo più di tutto questo pallore.

My Bubba & Mi, I Will Never Love a Young Boy AgainSe prestate attenzione quando ascoltate le dolci canzoni di queste tre fate scandinave, sentirete il rumore dei loro cuori che battono tra i solchi del disco.

Joel Alme, You Remem-ber The Good

Times, But The Good Times Don’t Remem-ber YouArchi, voce da croo-ner e orchestrazioni

che neanche Umberto Bindi. Da mettere sullo

stereo solo se avete una dama a cui chiedere un ballo.

terry boligol:scorandomiIl cielo è azzurro.Il tempo scorre,Buzzurro.

E piangono.

Vita.

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