33 lenin

6

Click here to load reader

Upload: mytanatus

Post on 25-Jul-2015

50 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: 33 Lenin

L'irresistibile spazio pubblico dell'inimicizia Riproposto dalla manifestolibri «Trentatrè lezioni su Lenin», il libro che raccoglie un ciclo di seminari condotto da Toni Negri agli inizi degli anni Settanta da molti anni assente nelle librerie Che fare? La politica è un'azione che ribalta i rapporti di forza, ma anche una pratica teorica che indaga il capitalismoBENEDETTO VECCHIL'occasione era un seminario sull'impresa e il riflesso della seconda grande trasformazione capitalista nelle scienze sociali. Attorno a un tavolo qualche dottorando, un po' di studenti irrequieti, alcuni docenti universitari, una manciata di ricercatori. Il relatore elencava diligentemente le diverse forme organizzative adottate delle imprese per adeguarsi all'imperativo del just in time e per dare un tono sostenuto alla sua relazione cercava conforto in Joseph Shumpeter, Oliver Williamson, Alfred Chandler e i costi di transazione del premio Nobel Ronald Coase. Il seminario non aveva però nulla di accademico. Semmai si proponeva un obiettivo a suo modo «militante»: accumulare materiale e riflessioni al fine di una politica di radicale contestazione dello status quo. Compito che veniva affrontato dimessamente senza troppe illusioni di trovare il bandolo della matassa. Dal pubblico, un'obiezione: «più che sull'impresa a rete, bisognerebbe fare una lezione su Lenin». Frase perentoria e del tutto fuori tema, ma un seminario che rimanesse vincolato solo allo studio dell'impresa senza cercare di individuare i suoi punti deboli e il soggetto sociale che può scardinarli sarebbe comunque un'operazione futile, aggiunse la stessa persona. Ma perché Lenin? La domanda non era peregrina, perché tra il pubblico c'era uno studioso che in un'altra era e con ben altre ambizioni aveva organizzato ben trentatré lezioni sull'autore del «Che fare?». Il suo nome è Toni Negri e Trentatré lezioni su Lenin è il suo volume che la manifestolibri ha riproposto recentemente (pp. 335, ? 24). Un libro inattuale, se per attualità si intende però il maninstream della pubblicistica corrente. Quando fu pubblicato la prima volta, nel 1972, raccoglieva appunto le lezioni svolte a cinquanta, sessanta militanti veneti di Potere operaio. Allora Lenin voleva dire centralità dell'organizzazione rispetto al movimento; Lenin era il parafulmine di un terzomondismo che assegnava una centralità ai movimenti di liberazione nazionale

Page 2: 33 Lenin

rispetto ai conflitti di classe nelle punte avanzate dello sviluppo capitalistico.L'obiettivo delle Trentatré lezioni su Lenin era però subito dichiarato: salvare Lenin dalla vulgata leninista dominante all'interno del Pci e di alcuni gruppi della sinistra extraparlamentare. Per Negri, ciò che andava ripreso di Lenin era la sua metodologia di indagine: rovesciare in punti di forza del movimento operaio gli elementi avanzati dello sviluppo capitalista. Insomma, è il Lenin dello «Sviluppo capitalistico in Russa» e del «Che fare?» che costituisce il filo rosso delle Trentatré lezioni. La sua ripubblicazione pone però con radicalità la domanda: perché Lenin adesso? E se negli anni Settanta la riappropiazione di Lenin da parte dell'operaismo italiano era legittimata dal testo «Lenin in Inghilterra» di Mario Tronti comparso in Operai e capitale, nell'Italia dei primi anni del duemila la grande fabbrica fordista è un ricordo del passato, l'operaio-massa è diventato politicamente e socialmente, per gli orfani del quarto stato, una figura mitologica; mentre il leninismo è niente poco di più che una testimonianza di una alterità che cerca consolazione in una arida filologia dell'opera leninista.Con ordine. Negri ritiene che il merito indiscusso di Lenin è stato quello di pensare la politica come un dispositivo che punta al rovesciamento dei rapporti di forza nella società. Nei suoi scritti l'adesione a un principio di realtà è sempre un punto di partenza, mai di arrivo. Il proletariato russo è sì disperso, frammentato, ma la pur esigua classe operaia industriale ne rappresenta il futuro, perché il capitalismo russo ha adottato il modello della grande impresa per plasmare la società: se il partito vuole fare la rivoluzione deve strutturarsi secondo quel modello e scegliere la classe operaia industriale come il perno su cui far ruotare la «fabbrica della strategia». Ma, avverte Negri, in Lenin non c'è mai la negazione delle potenzialità del movimento reale: al partito semmai spetta il compito di rappresentarne la potenza. Insomma, Lenin contro il leninismo.Nel capitalismo maturo degli anni Settanta la frammentazione e dispersione delle classe operaia appaiono come cose d'altri tempi. Ma sono però gli stessi anni in cui si manifesta la crisi dell'operaio-massa e comincia a manifestarsi una composizione sociale della forza-lavoro che esprime comportamenti e linee di condotta decisamente metropolitani rendendo la «fabbrica della strategia» un arnese inutile o, nel peggiore dei casi, controproducente allo sviluppo del movimento reale.

Page 3: 33 Lenin

Vladimir Ilic Lenin però è stato un politico che ha sempre piegato la pratica teorica alle necessità della prassi, al punto che il movimento del pensiero ha sempre un andamento di discontinuo - i famosi due passi avanti per un passo indietro -, in cui è ammessa una sola coerenza: la presa del potere per abolire lo stato e sviluppare una società senza classi. Termini d'altri tempi, obietterà il lettore smaliziato. Eppure recentemente un altro filosofo, Slavoj Zizek, ha riprorposto Lenin in quanto espressione di una «politica della verità» da contrapporre ai cantori del postmoderno (Tredici volte Lenin, Feltrinelli). Anche questa è stata un'operazione volutamente provocatoria che però privilegia e contrappone il Lenin teorico a quello politico. Ma nell'autore del «Che fare?», il primo termine è sempre vincolato al secondo. E viceversa.Nel testo di Toni Negri di questa contrapposizione non c'è giustamente traccia. Il nodo da sciogliere rimane dunque Lenin. Cosa significa infatti la «fabbrica della strategia» in un capitalismo dove il processo di accumulazione ha il suo architrave in una forza-lavoro difficilmente descrivibile secondo la pur innovativa nozione di «composizione sociale»? Detto in altri termini: una volta stabilito che bisogna politicamente fare i conti con la facoltà di linguaggio, con la conoscenza, con il sapere messi in produzione, qual è la forma organizzativa che può, seppur cambiata di segno, funzionare come fabbrica della strategia del general intellect? La risposta sembra facile -la rete - ma lascia in sospeso l'irrapresentabilità della forza lavoro, o meglio della cooperazione sociale. Le forme di vita, le attitudini individuali e di gruppo, insomma la grammatica sociale possono certo trovare in un'organizzazione reticolare il loro habitat migliore, ma da qui alla definizione di una politica dell'insubordinazione non c'è nessuna linearità possibile, come invece emerge da queste trentatré lezioni per quanto riguarda quel passaggio dall'operaio massa all'operaio sociale individuato da Negri come il nodo politico da sciogliere all'interno della crisi del capitalismo dei primi anni Settanta. Forme di vita, attitudini, cooperazione sociale che hanno definitivamente cancellato la distinzione, questa sì molto leninista, tra lotta economica e politica; o quella meno indagata tra locale e globale.Queste sono le domande che la rilettura del testo negriano pone, alla luce del fatto che la realtà sociale non si presenta come una superficie liscia. E' semmai piena di increspature e di conflitti, come dimostra l'esistenza del «movimento dei movimenti». Ma è

Page 4: 33 Lenin

proprio a partire dall'innovazione politica e teorica costituita dalla presenza di questo multiforme arcipelago sociale e politico che bisogna pur partire. Un esempio per tutti.La fabbrica era il modello organizzativo a cui il partito doveva aderire. Nel capitalismo flessibile, la produzione è però diffusa, segue i nodi di una matrice che di centrale ha solo la struttura di controllo. E all'interno di questa rete produttiva, la forza-lavoro è anch'essa disseminata, mentre la comunicazione e il linguaggio solo gli strumenti per garantire il flusso regolare della produzione. Per di più, dominanti sono rapporti di lavoro precari, mentre le soggettività si presentano come forme di vita che alludono sempre a una condizione «naturale» alienata dalla razionalità strumentale dell'attività economica. Se si segue questo crinale qualsiasi forma assuma la «fabbrica della strategia» corre il rischio di rimanere un guscio vuoto. Da alcuni anni Negri propone spesso una torsione foucoultiana del politico, contrapponendo al biopotere la biopolitica della moltitudine. Un sentiero di ricerca fertile e ricco di implicazioni, in particolar modo quando contrappone la potenza sociale e produttiva della forza-lavoro alle parassitarie strutture del potere. Non si nega qui la dimensione costituente della moltitudine, ma si sottolinea la necessità di dover attraversare il deserto costituito dalla costrizione a cui è soggetta la moltitudine. Così come si riconosce la dimensione globale che la lotta politica deve assumere, riconoscendo al tempo stesso il valore esemplificativo e di rottura che possono avere alcuni conflitti locali. Ma proprio partendo da questi elementi che va riscoperta la politica come rovesciamento dei rapporti di forza, come campo di inimicizia e di alleanze. Se un'eredità di Lenin esiste è nel gettare il cuore oltre l'ostacolo, ragionando cioè sull'unica politica possibile: quella che rovescia i rapporti di forza.