4 la vergine della misericordia pisanix

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TRITTICO DELLA MADONNA DELLA MISERICORDIA Venezia,Gallerie dell’ Accademia. Tempera su tavola, misure 86 x113 cm, con ornati in pastiglia dorata. Togliendo la cornice ottocentesca d’imitazione è stata messa in luce tutta la superficie della tavola nella quale si notano, oltre a molte prove di pennello sui bordi, alcuni tratti in basso di colore non alterato dalle verniciature e dalla luce. Il trittico mostra al centro la Madonna della Misericordia, che ha sul petto, entro una mandorla, il Bimbo benedicente e sotto al manto vari fedeli inginocchiati: a destra San Giovanni Evangelista, a sinistra San Giovanni Battista. I quadrilobi superiori mostrano l’Annunciazione: l’arcangelo Gabriele a sinistra e la Vergine Maria a destra, a mezza figura. In basso a sinistra la scritta non originale 1436 IACHOMELLO DE FLOR PENSE. che almeno in parte potrebbe corrispondere all’autentica posta forse sulla cornice.

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TRITTICO DELLA MADONNA DELLA MISERICORDIA

Venezia,Gallerie dell’ Accademia.

Tempera su tavola, misure 86 x113 cm, con ornati in pastiglia dorata.

Togliendo la cornice ottocentesca d’imitazione è stata messa in luce tutta la superficie

della tavola nella quale si notano, oltre a molte prove di pennello sui bordi, alcuni tratti in

basso di colore non alterato dalle verniciature e dalla luce.

Il trittico mostra al centro la Madonna della Misericordia, che ha sul petto, entro una

mandorla, il Bimbo benedicente e sotto al manto vari fedeli inginocchiati: a destra San

Giovanni Evangelista, a sinistra San Giovanni Battista.

I quadrilobi superiori mostrano l’Annunciazione: l’arcangelo Gabriele a sinistra e la

Vergine Maria a destra, a mezza figura.

In basso a sinistra la scritta non originale

1436 IACHOMELLO DE FLOR PENSE.

che almeno in parte potrebbe corrispondere all’autentica posta forse sulla cornice.

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La Madonna della Misericordia è il nome di un iconografia cristiana ricorrente nell’arte,

legata alla protezione di Maria.

La Vergine è raffigurata in piedi, in grandi dimensioni, mentre allarga il proprio mantello

ad accogliervi al di sotto i fedeli inginocchiati, simbolo dell’accoglienza, sotto cui, stretta

al suo grembo, trova rifugio l’Umanità. Si tratta di un retaggio dell’epoca medievale,

detto della “protezione del mantello”, che le nobildonne altolocate potevano concedere

ai perseguitati e bisognosi d’aiuto. Ciò consisteva appunto nel dare loro simbolico riparo

sotto il proprio mantello considerato inviolabile.

I fedeli sono gerarchicamente più piccoli e sono disposti a sinistra e a destra, lasciando

un ideale posto al centro per l'osservatore.

Due figure femminili inginocchiate ai lati, sul lato sinistro una suora dalla tonaca nera, sul

lato destro una giovane suora con un manto bianco e un cappuccio nero, fanno pensare

che si possano riferire alla committenza.

Gesù bambino in mandorla siede su un arcobaleno, simbolo dell’alleanza tra Dio e

l’Uomo. L’intermediazione era testimoniata da un’antica invocazione per la Vergine

Maria, che ha avuto origine in Etiopia, che la nominava come “l’Arca dell’Alleanza”.

Le figure dei SS. Giovanni Battista ed Evangelista ribadiscono questo legame.

San Giovanni Battista, conosciuto come il precursore, con il suo gesto indica la croce e

l’agnello mistico, che regge in mano al posto del bastone da eremita, come Colui che si

deve seguire ossia il Cristo: come per l’arcangelo Gabriele vi è una missione di annuncio.

San Giovanni Evangelista, qui ritratto in una versione invecchiata, è raffigurato con il

Libro del Vangelo, che richiama la sua attività di predicatore e diffusore della parola

divina.

L’immagine del culto mariano si diffuse in tutta Europa e nei paesi di religione cristiana.

Di particolare devozione fu l’attributo di Madonna della Mercede, dato alla Madre di

Gesù, con cui i cattolici sovente la invocano.

L’origine del culto è fatta risalire al I° agosto 1218, festa di San Pietro in Vincoli, quando

il fondatore dei Mercedari Pietro Nolasco ebbe una visione della santissima Vergine, la

quale si fece conoscere come la Mercede (Misericordia) e lo esortò a fondare un Ordine

religioso avente come fine principale quello di riscattare i cristiani finiti in schiavitù.

La penisola iberica al tempo era dominata dai Musulmani e i pirati saraceni rapivano

molte persone portandole come schiavi in Nordafrica.

L’ordine fu fondato nel 1218 nella Cattedrale di Barcellona, con l’appoggio del re

Giacomo il Conquistatore e il consenso di San Raimondo di Peñafort.

La devozione si diffuse dapprima in Spagna, in seguito in Francia e in Italia, e la

memoria della Madonna della Mercede è collocata dalla Chiesa Cattolica il 24 settembre.

L’iconografia ebbe successo particolare presso le confraternite medievali e rinascimentali,

tra cui le confraternite della Misericordia, e anche dopo la Controriforma il soggetto

continuò a godere di un largo seguito, per le sue evidenti connotazioni devozionali.

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Uno dei più antichi affreschi sul tema della Madonna della Misericordia si ha a Firenze,

nella Loggia del Bigallo (appartenente appunto ad una confraternita), attribuita alla

cerchia di Bernardo Daddi, nel 1340 circa, interpretabile anche come una figura

allegorica per via della mitria vescovile (forse la Sacerdotissa justitiae).

Celebre è la versione che tra il 1444 e il 1464 dipinse Piero della Francesca a Sansepolcro,

il Polittico della Misericordia, oggetto di innumerevoli copie e citazioni.

Un'altra Madonna della Misericordia venne dipinta da Domenico Ghirlandaio nel 1472

circa, a Firenze, nella chiesa di Ognissanti, cappella Vespucci.

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Autore e collocazione dell’ opera nella sua carriera artistica.

L’opera, attribuita a Jacobello del Fiore, nato a Venezia nel 1370 ca. e morto nel 1439, si

pone realizzata entro il primo ventennio del 1400, in un momento di tendenze, in terra

lagunare, di matrice gotica, che affidano l’espressività al valore incisivo della linea e alla

bellezza del colore schiarito, su una base formale ancora nettamente trecentesca, e che

sono condivise da vari artisti e in una serie di opere che si trovano lungo la costiera

adriatica.

L’elemento di novità, negli ultimi anni del primo e nei primi del secondo decennio fu la

prosecuzione della decorazione della sala del Maggior Consiglio, ad opera di maestri

giunti da fuori, come Gentile da Fabriano, Pisanello e Michelino da Besozzo.

L’arrivo in Venezia di Gentile da Fabriano in quegli anni è documentata dalla sua

iscrizione alla Scuola dei Mercanti di Santa Sofia e dal pagamento di una ancona, ora

perduta, e dalla attestazione che aveva dipinto in palazzo Ducale una battaglia navale.

Negli stessi anni è documentato a Venezia in qualità di miniatore per la famiglia Cornaro

Michelino da Besozzo, e forse anche lui attivo a Palazzo Ducale.

Segnali di attenzione ai nuovi modi gentiliani e alla sua abilità di modulare musicalmente

la linea furono colti a Venezia da personalità come Nicolò di Pietro e Zanino di Pietro.

Jacobello del Fiore nel Trittico con la Madonna della Misericordia tra i Santi Giovanni

Battista e Evangelista coglie ed interpreta le prolusioni di eleganza cifrata ed astratta e la

dolcezza dei volti da bambola e le ondulazioni lineari di Gentile, con la suggestione delle

soluzioni formali di Michelino. Le pose goticamente ancheggiate e i ricaschi delle pieghe

dei Santi sono segni dell’attenzione a Michelino, dove l’ombra scava linee profonde, con

risultati scultorei, così come nella veste della Madonna, dove riprende un modello

prezioso, con punzonature in oro.

E’ un opera di grande vigore: le figure di committenti ai piedi della Madonna sono

tessute in una nervosità scattante di risalti, e realizzate con espressività piena di carattere.

La realizzazione dell’opera si pone quindi in una fase giovanile del pittore.

Jacobello del Fiore, che appare per la prima volta citato in qualità di pittore e come

testimone in un atto rogato a Venezia nel 1400, si forma alla scuola del padre Francesco

del Fiore, che viene ricordato nella lapide come “sommo nell’arte della pittura”, uno dei

rappresentanti dello stile tardo gotico.

Probabilmente prima del 1412 ebbe legami di lavoro con la Signoria di Venezia e fu

legato alla decorazione della grande sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale tra il

1409 e il 1422: nel 1415 infatti dipingeva per la sala dell’Avogaria il grande Leone di San

Marco, tuttora ivi conservato. Nello stesso anno era nominato Gastaldo della

Confraternita dei pittori. Si può dedurre che egli fosse diventato personaggio di primo

piano nel campo artistico veneziano.

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Il pittore è stato attivo tra Venezia, le Marche e l’Abruzzo: nelle Marche tra le opere sue

più importanti ricordiamo il Polittico di Santa Michelina (al Museo Civico di Pesaro,

proveniente dalla chiesa di San Francesco) e le Storie di Santa Lucia (alla Pinacoteca di

Fermo, provenienti dalla chiesa di Santa Lucia), in Abruzzo realizzò il Polittico di Cellino

(al Museo Nazionale d’Abruzzo, proveniente dalla cattedrale di Cellino Attanasio), la

predella dell’Ancona di San Giacomo (nel Museo Capitolare di Atri, un tempo nella

Concattedrale di Santa Maria Assunta di Atri), (l’attribuzione dei due interventi è ancora

incerta, propendendo per Lorenzo da Venezia) e il polittico di Teramo, per il Duomo

della città.

Alla sua scuola si formarono Carlo Crivelli e Michele Giambono, rappresentante della

nuova generazione della pittura veneziana.

Attribuzione e datazione.

Il carattere non originale della scritta che compare sul quadro ha reso spesso incerta la

critica davanti a questo dipinto. Così mentre il Cavalcaselle lo attribuiva a Jacobello,

identificandolo con la “Madonna” del 1436 indicata dal Lanzi presso Girolamo Manfrin,

altri studiosi glielo negarono (Adolfo Venturi per darlo alla scuola, il Testi ad un tardo

seguace di Lorenzo Veneziano influenzato da Jacobello) e ancora nel catalogo del 1924

esso viene elencato come “ignoto veneziano del secolo XIV”; ormai però l’attribuzione a

Jacobello è comunemente accettata.

Per la datazione si è generalmente d’accordo nel ritenere troppo avanzato il 1436

indicato nella scritta: il Pallucchini pensa che potrebbe essere erronea trascrizione di un

originale “1426”, mentre il Longhi, che vede nel dipinto un momento di particolare

avvicinamento di Jacobello all’arte di Gentile da Fabriano, l’arretra verso il 1415, e anche

il Coletti propende per un tempo abbastanza giovanile, come Mauro Lucco verso la fine

del secondo decennio del Quattrocento.

Provenienza.

Il dipinto proviene dal lascito di Girolamo Ascanio Molin, di antico casato veneziano e

figura di spicco nella vita politico-amministrativo della città. Egli raccolse una ricchissima

collezione di dipinti, monete, statue, manoscritti, libri, stampe e reperti naturalistici, che

con il suo testamento del 24 febbraio 1813, legò “ alla Comun di Venezia”.

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Fortuna critica.

L. Lanzi, Storia pittorica della Italia dal Risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII

secolo, III, Bassano, 1795-96, p.15.

Guida per la reale accademia di Belle Arti in Venezia con alcune notizie riguardanti detto Stabilimento,

Venezia, 1832, p.15.

J.A. Crowe – G.B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy from the Fourteenth to the

Sixteenth Century, 1871, London, p.6.

M. Caffi, Giacomello del Fiore, pittore veneziano del sec. XV, in Archivio storico italiano, Serie 4°,

vol. 6°, Firenze,1880, pp. 402-413.

L. Testi, La storia della pittura veneziana. Parte prima: le Origini, I, Bergamo, 1909, pp.183-

184, 410-412.

A. Venturi, Storia dell’arte italiana. La pittura del Quattrocento, parte VII, vol. I, Milano, 1911,

p. 198.

G. Gronau, voce Fiore Jacobello del, in THIEME BECKER, Allgemeines Lexicon der bildenden

Künstler, XI, Lipsia, 1915.

(G. Fiocco), Le Regie Gallerie dell’Accademia di Venezia. Catalogo a cura della Direzione, 1924,

Bologna, p.13.

R.Van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, vol.VII, The Hague, Toronto,

1926, p. 350.

B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford, 1932, p. 270.

R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze, 1946, p. 50.

R. Pallucchini, Commento alla mostra di Ancona, in “Arte Veneta”, IV, Milano, 1950, pp.13-

14.

L. Coletti, Pittura Veneta del Quattrocento, Novara, 1953, p. XII.

R. Pallucchini, La pittura veneta del Quattrocento, Bologna, 1956, p.66.

G. Gamulin, L’altare di S. Giovanni Evangelista di Jacobello del Fiore a Omiŝali, in “Arte

Veneta,” XI, Milano,1957, p. 25.

S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte del secolo XVI,

Roma,1962, p. 29.

M. Lucco, La pittura nel veneto. Il Quattrocento, vol. I, Milano, 1989, p. 27.