4 ottobre giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e...
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4 ottobre
Giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse,
in onore dei santi Patroni d’Italiasan Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena
Dal Breve pontificio di papa Pio XII, 18 giugno 1939
«... i santi proteggono le genti e le nazioni, specie quelle alle quali si sforzarono in tanti modi e in tante particolari circostanze, di portare aiuto, mentre essi ancora erano in terra, spinti dall’amor di patria. Senza alcun dubbio ciò si deve affermare di San Francesco d’Assisi e di Santa Caterina da Siena che, italiani ambedue, in tempi straordinariamente difficili, illustrarono, mentre vivevano, con nitido fulgore di opere e di virtù e beneficarono abbondantemente questa loro e nostra Patria, in ogni tempo madre di santi.»
«Di fatti san Francesco
poverello e umile vera
immagine di Gesù Cristo,
diede insuperabili esempi di
vita evangelica ai cittadini di
quella sua tanto turbolenta
età, e ad essi anzi, con la
costituzione del suo triplice
Ordine aprì nuove vie e
diede maggiori agevolezze,
per la correzione dei
pubblici e privati costumi e
per un più retto senso dei
principi della vita cattolica.»
... e che, mossa da continuo amore, con suggerimenti e preghiere, fece tornare alla sede di Pietro in Roma i romani pontefici, che quasi in esilio vivevano in Francia, tanto da essere considerata a buon diritto il decoro e la difesa della patria e della religione.»
«Né altrimenti si adoperò santa Caterina, la fortissima e piissima vergine, che valse efficacemente a ridurre e a stabilire la concordia degli animi delle città e contrade della sua patria ...
Francesco d’Assisi (1182-1226)muove dal contesto sociale dei Comuni italiani, in cui gli interessi mercantili si coniugano con le ambizioni della cavalleria medievale.
Quando Francesco aveva 17 anni, Assisi si liberò dal potere imperiale e divenne un libero comune.
Tuttavia la
debolezza del
potere
imperiale e il
suo conflitto
con il Papato
esponeva la
penisola alla
decadenza
politico-
economica e
anche morale.
Dalla conquista giustinianea dell’Italia romanogotica il vescovo
di Roma aveva dovuto supplire alle funzioni del governo
centrale, che risiedeva a Costantinopoli.
Già Gregorio Magno (Epistola V 36 e 39), infatti, nel 595
scrivendo all’imperatore Maurizio e a sua moglie Costantina si
lamentava di non ricevere nessun aiuto da Costantinopoli,
mentre a Roma egli era costretto ad assolvere, di fatto, alle
funzioni che l’esarca,bizantino esercitava a Ravenna: il Papa
doveva cioè provvedere al riscatto dei prigionieri e alle necessità
materiali del popolo, da 27 anni oppresso dalle violenze dei
Longobardi, allora conniventi con i Franchi.
A partire poi dai
Carolingi il
territorio affidato
al governo del
Papa, in mezzo ai
vari ducati
longobardi,
fu via via
accresciuto, e si
venne formando
un vero e proprio
Stato Pontificio.
«Ahi serva Italia, di dolore ostello,
Nave senza nocchiero in gran tempesta,
Non donna di province, ma bordello!
(...) e ora in te non stanno senza guerra
Li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
Di quei ch’un muro ed una fossa serra.»
(Dante, Purg. VI, 76-78.82-84)
All’inizio del Trecento, Dante lamenta che in Italia la mancanza di uno Stato
forte avesse dato spazio a egoismi locali, individuali o di gruppo, che
asservivano il bene comune ai propri interessi particolari:
Specialmente dopo il
pontificato di Bonifacio
VIII (1294-1303) il
Papato, indebolito dalle
lunghe lotte con
l’Impero per le
investiture, si era
sentito ormai troppo
minacciato dalle
opposte fazioni che si
contendevano il potere
nella città di Roma.
La Chiesa però
rischiava così di
diventare
appannaggio di
una nazione
invece di essere,
come la definiva
Caterina, “corpo
universale” aperto
a tutti i popoli.
Così dal 1305 i Papi si erano trasferiti ad Avignone,
loro feudo in territorio francese.
«Che s’aspetti non so, né che s’agogni
Italia, che suoi guai non par che senta:
Vecchia, oziosa e lenta,
Dormirà sempre, e non fia chi la svegli?»
(F. Petrarca, Rime, 53,10-13)
Da Avignone anche Francesco Petrarca
guardava con preoccupazione alle sorti
dell’Italia:
A Roma, mentre le
famiglie nobili si
contendevano il
potere, si sentiva
il bisogno di
un’autorità locale
che mettesse fine
ai disordini e alle
violenze; il Papa
ad Avignone era
impegnato nel
governo della
Chiesa universale
(«ché il maggior padre ad altr’opera intende», scriveva ancora Petrarca).
II popolo romano, abbandonato a se stesso,
nel 1343 aveva mandato ad Avignone Cola di
Rienzo per chiedere a Clemente VI di tornare
a Roma,
ma non avendo ottenuto alcun risultato lo
stesso Cola tentò di riorganizzare, a Roma, la
convivenza civile.
Il governo repubblicano naufragò però anch’esso nella corruzione e nelle accuse e diffidenze reciproche.
Mentre la guerra dei Cento Anni (1337-1453) divideva e insanguinava l’Europa, indebolita anche dalla terribile peste del 1348,
i Turchi avanzavano nella regione balcanica e l’imperatore bizantino (Giovanni V Paleologo), loro tributario, fu da essi assediato a Costantinopoli (1366).
Papa Urbano V decise allora di tornare a
Roma, ma ci riuscì solo per breve tempo
(1367-1370).
Pochi giorni dopo il suo rientro
in Avignone, il papa morì, come
santa Brigida di Svezia gli aveva
predetto.
Gli successe un altro papa francese,
Gregorio XI.
Anch’egli però desiderava emanciparsi
dal regno di Francia e tornare a Roma,
per intraprendere una vera riforma della
Chiesa.
Nel 1372 santa Brigida muore a Roma,
e Gregorio XI manda a chiedere preghiere a Caterina, a Siena.
Caterina (1347-1380)
inizia allora la sua opera di
riconciliazione anche politica.
L’Italia era infatti allora divisa tra
i sostenitori del Papato (fra cui
Napoli e Genova), che
incoraggiavano Gregorio a
tornare a Roma, e la lega
antipapale promossa dal
potente Bernabò Visconti,
signore di Milano, cui avevano
aderito vari Comuni dell’Italia
centrale, fra cui Firenze.
Nel 1376 Caterina scrive
varie lettere a Gregorio
mostrando l’urgenza di
venire a Roma, riformare
la Chiesa e promuovere il
“passaggio” in Oriente:
questi erano i tre principali
mezzi per ritrovare la pace
in Europa e riconciliare
bizantini e saraceni.
1) Il ritorno dei Papi a Roma
era necessario perché la Chiesa non fosse troppo legata
alla Francia, allora impegnata nella guerra dei Cent’Anni
contro l’Inghilterra,
e perché in Italia i diversi stati potessero riconciiarsi,
trovando un punto di riferimento comune.
2) La riforma della Chiesa
che molti da tempo auspicavano e che Caterina
raccomanda a Gregorio XI, doveva risanare anzitutto il
clero e poi tutto il popolo, cioè l’Europa cristiana.
Caterina esortava quindi il Papa a non farsi condizionare
dalle responsabilità del governo politico, ma a dare il primo
posto alla sua missione pastorale, per il bene delle anime:
«Meglio ci è dunque lasciare andare il fango delle cose
temporali che l'oro delle spirituali.»
(S. Caterina,Lettera 209, a Gregorio XI) .
3) Il passaggio in Oriente
che Caterina auspicava doveva riconciliare i musulmani e i
cristiani orientali con un’Europa che, una volta
rievangelizzata, potesse comunicare l’amore di Dio per tutti
i popoli.
Mentre manda
ad Avignone
alcuni suoi
discepoli per
difendere la
causa di
Firenze, allora
colpita
dall’interdetto,
Caterina il 1° aprile
1376 ha una visione
simbolica: vede
cristiani e pagani
entrare insieme nel
cuore di Cristo,
mentre a lei è data la
croce e un ramo
d’olivo da portare a
tutti e due i popoli .
“Allora mi dava la croce in collo e l'ulivo in mano, quasi come volesse - e così diceva - che io la porgessi all'un popolo e all'altro;
diceva a me: «Di' a loro: Io vi annunzio una gioia grande!»”
(Lett. 219)
Subito dopo (maggio
1376) Caterina è inviata
ad Avignone dai
Fiorentini, per trattare
la loro riconciliazione
con Gregorio XI.
La superbia dei
Fiorentini fa
temporaneamente
fallire l’intervento di
Caterina in loro
favore...
Il 13 settembre Gregorio
parte da Avignone, e dopo
un viaggio avventuroso a
causa delle cattive
condizioni del mare e degli
ostacoli frapposti da chi
avversava il ritorno,
raggiunge Roma il 17
gennaio 1377.
Caterina aveva invece
raggiunto Siena via terra.
... ma ella ottiene un più importante successo:
conduce Gregorio ad una seria decisione di venire a Roma.
A partire dalle sofferenze dei lebbrosi esclusi dalla città, Francesco si accorse ben presto della povertà della gente delle campagne, sempre esposta a soprusi e ruberie da parte di cavalieri di passaggio, al soldo dell’una o dell’altra fazione.
Nel suo Testamento Francesco descrive infatti così la propria conversione:
«... prima della mia conversione,
il vedere i lebbrosi mi dava ribrezzo.
E il Signore mi condusse in mezzo a loro
e usai loro misericordia.
E quando mi allontanai da loro, ciò che mi
dava ribrezzo
si trasformò per me in dolcezza spirituale e
fisica.
E dopo poco tempo lasciai la vita mondana.»
In una società violenta, dove
spesso vigeva la legge del più forte,
l’attenzione e la solidarietà verso gli
ultimi è – per Francesco come per
Caterina – una priorità evangelica.
Così Caterina, molto impegnata
nell’assistenza ai malati, ai poveri e ai
carcerati, è anche patrona delle
Infermiere Volontarie della Croce
Rossa.
Gli interessi commerciali di Venezia e di
Genova,
non più coordinati con gli interessi
commerciali del nord Europa, avevano
affermato la propria egemonia nelle rispettive
aree di influenza mediante accordi separati
con le autorità locali:
ma la logica mercantile spingeva talora la
speculazione allo sfruttamento delle risorse
senza rispetto delle persone, anche quando si
trattava delle minoranze cristiane presenti nei
vari califfati.
L’Italia per Francesco era troppo piccola, perché i suoi orizzonti erano i vasti orizzonti di Dio, con predilezione per i più poveri e per chi ancora non conosceva il Vangelo o ne era tenuto lontano dalla cattiva condotta di cristiani attaccati al denaro o al potere.
Scrive dunque, nel 1220,«A tutti i potenti e i governanti,
i giudici e gli amministratori di qualunque terra
e a tutti gli altri a cui giungerà questa lettera...»
Francesco aveva tentato di
andare ad incontrare i
musulmani, dapprima in
Marocco (1212), quando un
loro sultano era stato
scacciato dal territorio
spagnolo dove per molti secoli
gli Arabi avevano vissuto:
fermato allora da una malattia, Francesco riuscì però poi ad andare in Siria
(1219) – secondo altri in Egitto – per incontrarvi il sultano locale, allora in
guerra con i cristiani.
Anche Caterina sognava non tanto una crociata, quanto un “passaggio”, cioè un andare lei stessa insieme ad altri cristiani – uomini e donne – disposti a condividere le difficoltà di vita di quelle popolazioni,
visibilizzando così in mezzo a loro il Vangelo di Cristo, inviato dal Padre per riconciliare gli uomini con lui e fra di loro.
Caterina scrive così dei musulmani:
«... sono nostri fratelli, ricomperati del sangue di Cristo come noi...»
(s. Caterina da Siena, Lettera 374)
Caterina infatti
guarda il
mondo,
sostenuto dalla
mano del
Padre,
attraverso la
croce di Cristo,
segno di
riconciliazione
e salvezza per
tutti i popoli.
In Italia i conflitti tra famiglie e gruppi di potere assumevano per lo più l’aspetto di faziosità politica, pro o contro il controllo imperiale:
guelfi e ghibellini si contendevano così il potere all’interno dei diversi Comuni
... e nel territorio di ognuno di essi, per il controllo delle attività produttive e dei commerci,
... ma la tradizione di una vivace partecipazione allacosa pubblica da parte dei cittadini, organizzati nelle diverse “arti” , almeno fino alla metà del Trecento ostacolò l’affermarsi delle Signorie.
La Signoria si era però ormai
insediata in alcune città.
Così a Milano si erano affermati i
Visconti, e Caterina con le sue lettere
tentò di mitigare il temperamento
dispotico di Bernabò e la vanità di sua
moglie Beatrice della Scala,
schieratisi contro il Papato per
accrescere la propria egemonia su
altre città italiane, fra cui Firenze.
«Amate, amate; guardate
che siete stato amato,
prima che amaste voi :
perché, quando Dio
guardò in se stesso,
s’innamorò della bellezza
della sua creatura e la
creò - mosso dal fuoco
dell’inestimabile sua
carità - solo per questo
fine, perché ella avesse
vita eterna e godesse
quel bene infinito che Dio
godeva in se stesso.»
«... per alcuna signoria
che abbiamo in questo
mondo ci possiamo
reputare signori. Non so
che signoria sarebbe, se
mi può esser tolta e non
sta nella mia libertà. Non
mi pare che se ne debba
chiamare né tener
signore, ma piuttosto
dispensatore; e questo è
a tempo, e non è sempre,
ma quanto piacerà al
dolce Signore nostro.»
(S. Caterina, Lettera
28)
Caterina muove dal vissuto quotidiano di una società mercantile
... ma animata dal gusto del bello,
... fortemente attaccata all’avere ma sensibilizzata dai predicatori alla solidarietà (cura dei malati e assistenza ai poveri), attraversata da conflitti di potere, sperequazioni sociali,
soprusi nella pubblica amministrazione, divisioni e vendette, ma anche conversioni e atti di riconciliazione in ambito sociale e politico.
Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia, non soltanto costì.
(Lettera 368 al giovane Stefano
Maconi)
Giovanni Paolo II GMG 2000
Nel 1376 la mancata riconciliazione dei Fiorentini con il Papa e quindi la mancanza di pace tra le città italiane anche dopo il ritorno del Papa a Roma addolorava Caterina anche perché impediva che si potesse portare un segnale di riconciliazione e di pace tra i non cristiani, in Oriente.
Era una grave responsabilità per un’Europa cristiana che non sapeva comunicare i doni ricevuti da Dio:
«si levi via questo ostacolo che impedisce il santo e dolce passaggio: anche se non ne uscisse altro male, anche solo per questo, siamo degni di mille inferni!»
(S. Caterina, Lettera 234)
Alla fine di giugno 1378, Caterina rischiò di essere uccisa nelle violenze scatenate a Firenze – in seguito al cosiddetto “tumulto dei Ciompi”.
Subito dopo, Caterina ne informa per lettera Raimondo, che era allora a Roma : «... non meritai che il sangue mio desse vita, né illuminasse le menti accecate, né pacificasse il figlio col padre (cioè i Fiorentini con il Papa, n.d.r.), né murasse una pietra col sangue mio nel corpo mistico della santa Chiesa» (S. Caterina, Lettera 295).
«Voi avete desiderio di riformare la vostra
città; ma io vi dico che questo desiderio
non s'adempirà mai, se voi non vi
ingegnate di gittare a terra l'odio e 'l
rancore del cuore e l'amore proprio di voi
medesimi, cioè che voi non atendiate
solamente a voi, ma al bene universale di
tutta la città» (S. Caterina, Lettera 377, ai Priori della città di Firenze e al Gonfaloniere di giustizia).
Caterina scriverà al cardinale Simone della Luna perché incoraggi il Papa,
ormai tornato a Roma, alla riforma della Chiesa:
«E decida di pacificare l’Italia; in modo che poi di bella brigata, levando lo
stendardo della croce, facciamo sacrificio di noi a Dio per amore della
verità» (Lettera 284)
Da una riforma delle coscienze, infatti, e quindi dalla loro riconciliazione con
Dio, dipendeva la riconciliazione anche dell’Italia:
«Dio per la sua inestimabile bontà e carità infinita mi dia grazia ch'io veda in
voi il mezzo che faccia pacificare l'anima con Dio... E non dubito che,
facendosi questa pace, sarà pacificata tutta Italia, l'uno con l'altro» (Lettera
285 a Gregorio XI)
La stessa preoccupazione per l’Italia fu poi espressa da Caterina in una lettera da lei scritta, un anno prima della sua morte, a papa Urbano VI:
«Ricordatevi della rovina che venne in tutta Italia per non aver preso provvedimenti circa i cattivi governanti.»
(s. Caterina da Siena, Lettera 370)
...
(Lettera 121, ai Signori Difensori di Siena,scritta da Caterina nel 1377 mentre era a Montalcino, in Val d’Orcia, per riconciliare due famiglie di signorotti locali e ristabilire la convivenza civile tra la popolazione divisa tra le opposte fazioni)
«... Conviensi che l'uomo che ha da signoreggiare altri e governare, signoreggi e governi prima sé...»
...
La Rocca d’Orcia,baluardo dellaRepubblica di Siena
«... considerando che l'essere vero signore non si può avere, se non si signoreggiasse se stessi - cioè signoreggiando il proprio egoismo con la ragione -,
perciò vi dico in quanti inconvenienti vengono coloro che si lasciano signoreggiare dalla loro miseria e non si signoreggiano, e che stiate attenti a non cadere voi in questo...»
Nonostante i condizionamenti sociali cui la donna era soggetta, nel Trecento, Caterina ha dato il suo contributo fattivo e coraggioso.
Per questo Raimondo
da Capua, suo
discepolo e
confessore, fece
scrivere sul suo
sepolcro (nella basilica
di S. Maria sopra
Minerva, a Roma):
«...si fece carico
dello zelo per il
mondo
moribondo...»
Lo zelo è
Interesse, passione, coinvolgimento, iniziativa
coraggiosa, costanza, saper pagare di persona...
proprio quando la società sembra condizionare le
nostre capacità e ostacolare le nostre iniziative di bene,
proprio quando il mondo ci appare “moribondo”.