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ASSOCIAZIONE “GRUPPO DI PISACONVEGNO ANNUALE Lecce, 19-20 giugno 2009 Diritto costituzionale e diritto amministrativo: un confronto giurisprudenziale Andrea CARDONE Il procedimento amministrativo e i diritti di partecipazione SOMMARIO: 1. Premessa; 2. La sensibilità costituzionale della giustizia amministrativa: il fondamento costituzionale degli istituti del procedimento e della partecipazione; 2.1 (segue): I paradigmi atti a descrivere l’uso della Costituzione da parte del giudice amministrativo; 3. Una regolarità funzionale che emerge dalla casistica giurisprudenziale: la logica del “giusto provvedimento”; 4. Procedimento e partecipazione secondo la giurisprudenza costituzionale; 4.1 (segue): La logica del “giusto procedimento” a confronto con quella del “giusto provvedimento”: l’assenza di un dialogo tra Corte e g.a. Un riferimento incidentale alle categorie della dottrina giuspubblicistica; 5. Le diverse concezioni dell’idea di giustizia sottese all’alternativa “giusto provvedimento”/“giusto procedimento”. Invocare la giustizia è la stessa cosa che picchiare un pugno sul tavolo: un’espressione emotiva che trasforma un’esigenza in un postulato assoluto A. ROSS, Diritto e giustizia, Torino, 1990, p. 259 1. Premessa Nell’affrontare il tema dei rapporti tra giustizia costituzionale e giustizia amministrativa con riguardo al procedimento amministrativo ed ai diritti di partecipazione, appaiono necessarie alcune considerazioni preliminari che diano in prima battuta le coordinate minime della riflessione che si è tentato di condurre. E ciò, fondamentalmente, perché risulti subito chiaro in quale prospettiva, tra le tante possibili vista l’alta valenza costituzionale del tema 1 , si è scelto di affrontare l’argomento. A questo scopo, innanzitutto, vale la pena preannunciare che il fine ultimo del lavoro è, per un verso, quello di proporre una riflessione su come la giustizia amministrativa si relaziona con il diritto costituzionale nei temi del procedimento e della partecipazione e, quindi, tentare di scoprire in cosa consistono, secondo il giudice amministrativo, le prestazioni di conformità a Costituzione dovute dall’attività amministrativa (o, più chiaramente, cosa e dove si deve guardare per capire se l’agire amministrativo è conforme a Costituzione), per l’altro, verificare la compatibilità della visione espressa dal giudice amministrativo con le categorie giurisprudenziali e dottrinarie abitualmente proprie dei costituzionalisti. Il campo di indagine di una ricerca con tale aspirazione potrebbe, dunque, essere astrattamente rappresentato dalla giurisprudenza amministrativa che si è occupata di tutti gli istituti del procedimento, dai principi generali dell’attività amministrativa all’obbligo di motivazione, dal responsabile del procedimento alla comunicazione di avvio ed al preavviso di rigetto, dai moduli organizzativi tra pubbliche amministrazioni (conferenze dei servizi, pareri e valutazioni tecniche, accordi procedimentali e di programma) alle varie forme di silenzio, dall’accesso all’autotutela. Se, però, da un lato, tutti gli istituti della partecipazione hanno valenza procedimentale, dall’altro, non tutti gli istituti del procedimento hanno carattere partecipativo. Tale circostanza impone, di conseguenza, 1 F. BENVENUTI, Prefazione, in G. PASTORI (a cura di), La procedura amministrativa, Milano, 1964, p. XIII-XIV. 1

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ASSOCIAZIONE “GRUPPO DI PISA”CONVEGNO ANNUALE

Lecce, 19-20 giugno 2009Diritto costituzionale e diritto amministrativo: un confronto giurisprudenziale

Andrea CARDONE

Il procedimento amministrativo e i diritti di partecipazione

SOMMARIO: 1. Premessa; 2. La sensibilità costituzionale della giustizia amministrativa: il fondamento costituzionale degli istituti del procedimento e della partecipazione; 2.1 (segue): I paradigmi atti a descrivere l’uso della Costituzione da parte del giudice amministrativo; 3. Una regolarità funzionale che emerge dalla casistica giurisprudenziale: la logica del “giusto provvedimento”; 4. Procedimento e partecipazione secondo la giurisprudenza costituzionale; 4.1 (segue): La logica del “giusto procedimento” a confronto con quella del “giusto provvedimento”: l’assenza di un dialogo tra Corte e g.a. Un riferimento incidentale alle categorie della dottrina giuspubblicistica; 5. Le diverse concezioni dell’idea di giustizia sottese all’alternativa “giusto provvedimento”/“giusto procedimento”.

Invocare la giustizia è la stessa cosa che picchiare un pugno sul tavolo:

un’espressione emotiva che trasforma un’esigenza in un postulato assoluto

A. ROSS, Diritto e giustizia, Torino, 1990, p. 259

1. Premessa

Nell’affrontare il tema dei rapporti tra giustizia costituzionale e giustizia amministrativa con riguardo al procedimento amministrativo ed ai diritti di partecipazione, appaiono necessarie alcune considerazioni preliminari che diano in prima battuta le coordinate minime della riflessione che si è tentato di condurre. E ciò, fondamentalmente, perché risulti subito chiaro in quale prospettiva, tra le tante possibili vista l’alta valenza costituzionale del tema1, si è scelto di affrontare l’argomento.

A questo scopo, innanzitutto, vale la pena preannunciare che il fine ultimo del lavoro è, per un verso, quello di proporre una riflessione su come la giustizia amministrativa si relaziona con il diritto costituzionale nei temi del procedimento e della partecipazione e, quindi, tentare di scoprire in cosa consistono, secondo il giudice amministrativo, le prestazioni di conformità a Costituzione dovute dall’attività amministrativa (o, più chiaramente, cosa e dove si deve guardare per capire se l’agire amministrativo è conforme a Costituzione), per l’altro, verificare la compatibilità della visione espressa dal giudice amministrativo con le categorie giurisprudenziali e dottrinarie abitualmente proprie dei costituzionalisti.

Il campo di indagine di una ricerca con tale aspirazione potrebbe, dunque, essere astrattamente rappresentato dalla giurisprudenza amministrativa che si è occupata di tutti gli istituti del procedimento, dai principi generali dell’attività amministrativa all’obbligo di motivazione, dal responsabile del procedimento alla comunicazione di avvio ed al preavviso di rigetto, dai moduli organizzativi tra pubbliche amministrazioni (conferenze dei servizi, pareri e valutazioni tecniche, accordi procedimentali e di programma) alle varie forme di silenzio, dall’accesso all’autotutela. Se, però, da un lato, tutti gli istituti della partecipazione hanno valenza procedimentale, dall’altro, non tutti gli istituti del procedimento hanno carattere partecipativo. Tale circostanza impone, di conseguenza, 1 F. BENVENUTI, Prefazione, in G. PASTORI (a cura di), La procedura amministrativa, Milano, 1964, p. XIII-XIV.

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una scelta preliminare, la quale verte sull’opportunità o meno di ricostruire le espressioni “procedimento” e “partecipazione” come endiadi, con conseguente limitazione dell’analisi a tutti e soli gli istituti del procedimento dotati di dimensione o riflessi partecipativi2. Il pregio fondamentale dell’opzione di metodo che ricostruisce unitariamente i concetti di “procedimento” e “partecipazione” risiede essenzialmente nella sua capacità di far emergere e descrivere l’immagine del procedimento come luogo geometrico di quella perenne tensione tra autorità e libertà che permea di sé ogni rapporto pubblicistico3. È, infatti, nel concreto esercizio dei diritti di partecipazione procedimentale che lo svolgimento dell’attività amministrativa diventa al contempo manifestazione di autorità e misura e limite dell’autorità medesima e, per ciò stesso, “garanzia della libertà di ciascuno nel rapporto regolato con il «potere» e con l’altro da sé”4. Ricercare la prospettiva costituzionale del giudice amministrativo nella giurisprudenza che verte sugli istituti della partecipazione procedimentale, dunque, contribuisce ad esaltare l’anfibologica natura del procedimento e, per questa via, spiana la strada ad una considerazione del tema capace di valorizzare le esigenze non solo del diritto costituzionale come complesso di regole super-legislative che disciplinano l’agire amministrativo ma anche, più ampiamente, del diritto costituzionale come forma di convivenza sociale e politica che gli individui si danno in un dato ordinamento ed in un dato momento storico.

2. La sensibilità costituzionale della giustizia amministrativa: il fondamento costituzionale degli istituti del procedimento e della partecipazione

Nel cercare di ricostruire il modo in cui la giustizia amministrativa si relaziona con il diritto costituzionale nei temi del procedimento e della partecipazione, qualche prima indicazione può venire dai percorsi argomentativi attraverso cui il g.a. individua il fondamento costituzionale degli istituti del procedimento dotati di carattere o riflessi partecipativi. Presumibilmente per effetto della laconicità della disciplina costituzionale dell’attività amministrativa, si rinviene sul punto una sostanziale omogeneità della giurisprudenza, la quale riconduce più o meno direttamente tutti gli istituti del procedimento all’attuazione dell’art. 97 Cost.

Così, ad esempio, per quanto riguarda il divieto di non aggravamento del procedimento (art. 1, comma 2, l. n. 241 del 1990), in relazione alla superfluità della comunicazione di avvio (di cui agli artt. 7 e ss.) nei confronti dell’istante, è ricorrente l’affermazione secondo cui “la regola sancita dall’art. 1, comma 2, della legge n. 241/1990 costituisce diretta espressione dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità dell’attività amministrativa”5. Più in generale, con riferimento a tutti gli istituti partecipativi connessi con la comunicazione di avvio, viene presentata come

2 Tra questi si può considerare anche l’obbligo di motivazione, alla cui valenza partecipativa in senso lato (creazione di un dialogo tra p.a. e privato sulle ragioni del provvedimento) l’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 ha aggregato una valenza partecipativa in senso procedimentale, imponendo all’amministrazione di comunicare i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza e consentendo al privato di contraddire mediante presentazione di memorie e/o documenti.3 G. PASTORI, La procedura amministrativa negli ordinamenti contemporanei. Introduzione generale, ivi, p. 34. 4 Così L. BUFFONI, Il rango costituzionale del giusto procedimento e l’archetipo del processo, in Quad. cost., 2009, p. 278, la quale applica al procedimento l’orizzonte concettuale già delineato con riferimento al provvedimento amministrativo da M. S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1960, p. 75 e M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (Il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in Riv. proc. civ., 1980, p. 252 ss.5 Ex plurimis, TAR Campania Napoli Sez. IV, 06.11.2007, n. 10679; Id., 06.12.2006, n. 10440; Id., 25.07.2006, n. 7680; Id., 13.01.2006, n. 651.

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pacifica l’idea che le norme sulla partecipazione procedimentale non possono essere applicate in modo acritico o formalistico, ma “vanno lette alla luce dei criteri generali che governano l’azione amministrativa ed individuano i contenuti essenziali del rapporto tra esercizio del pubblico potere e tutela della posizione del privato (ragionevolezza, proporzionalità, logicità ed adeguatezza)”6.

Lo stesso metodo dialettico introdotto dalle norme sulla partecipazione viene considerato come la cartina di tornasole dell’inammissibilità di un criterio di definizione unilaterale del pubblico interesse; inammissibilità che viene, a sua volta, fatta derivare dai precetti costituzionali sul buon andamento e sull’imparzialità dell’azione amministrativa7. Il contraddittorio procedimentale, dunque, ha valenza generale ed è principio generale dell’ordinamento8, da cui deriva che ogni disposizione che limiti o escluda i diritti di partecipazione deve essere oggetto di interpretazione restrittiva9; principio, peraltro, espressamente considerato di “sostanza costituzionale”10. Conseguentemente, la funzione dei diritti di partecipazione viene individuata dalla giurisprudenza amministrativa nel rendere possibile il contributo dell’interessato alla formazione del provvedimento finale, consentendogli di rappresentare all’Amministrazione fatti, circostanze, osservazioni ed ogni altro elemento utile che, altrimenti ignoto, deve invece essere opportunamente valutato al fine di emanare un provvedimento legittimo e conforme ai principi costituzionali sanciti dall’art. 97 della Costituzione11. Detto altrimenti, il coinvolgimento dell’interessato garantisce correttamente il contraddittorio nel procedimento amministrativo non solo a scopo difensivo, ma anche ai fini della formazione di una più completa e razionale volontà dell’Amministrazione12.

Percorsi argomentativi simili vengono seguiti dal giudice amministrativo anche per rinvenire il fondamento costituzionale dell’istituto del c.d. “preavviso di rigetto” ovvero della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di cui all’art. 10 bis della legge sul procedimento amministrativo. A tal proposito si afferma, infatti, che il legislatore con questa norma, “esaltando sul piano della effettività la partecipazione dell’interessato ai processi decisionali che lo riguardano e con evidente finalità di deflazione del contenzioso giudiziario”13, ha inteso dare attuazione all’art. 97 Cost. garantendo un proficuo contraddittorio nel momento in cui il procedimento sta per 6 Ex plurimis, CDS Sez. V, 09.06.2008, n. 2858; Id. Sez. IV, 22.06.2004, n. 4479; TAR Sicilia Palermo Sez. II, 24.07.2006, n. 1754.7 CDS Sez. V, 21.04.2006, n. 2253; Id. Sez. IV, 24.03.2006, n. 1552; TAR Campania Napoli Sez. V, 05.02.2007, n. 896; Id. Sez. II, 04.12.2006, n. 10359; Id., 19.12.2005, n. 20463; Id., 25.11.2005, n. 19657; TAR Calabria Reggio Calabria Sez. I, 27.06.2005, n. 992. 8 CDS Sez. VI, 20.05.2004, n. 3269; Id., 18.05.2004, n. 3190; TAR Toscana Firenze Sez. II, 09.02.2007, n. 150; TAR Campania Napoli Sez. II, 24.05.2006, n. 5743.9 CDS Sez. IV, 27.06.2008, n. 3245.10 TAR Campania Napoli Sez. III, 11.06.2007, n. 6066; Id., 03.01.2007, n. 8; Id., 10.07.2006, n. 7388.11 Già CDS Sez. IV, 07.11.2001, n. 5718 e, più di recente, TAR Veneto Venezia Sez. II, 09.07.2008, n. 1966; Id., 05.06.2008, n. 1668; TAR Liguria Genova Sez. II, 30.05.2008, n. 1166; TAR Lazio Roma Sez. I ter, 03.08.2006, n. 6890.12 TAR Campania Napoli Sez. III, 04.12.2006, n. 10365; TAR Emilia-Romagna Parma Sez. I, 22.02.2006, n. 79; TAR Calabria Reggio Calabria Sez. I, 27.06.2005, n. 992. Sulla “polifunzionalità” del contraddittorio procedimentale, che assomma in sé la funzione garantista, quella collaborativa e quella comunitario-sociale, vedi G. AZZARITI, Forme e soggetti della democrazia pluralista. Considerazioni su continuità e trasformazioni dello stato costituzionale, Torino, 2000, p. 117; M. CLARICH, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Dir. amm., 2004, p. 69 ss., che riconduce le tre funzioni del contraddittorio ai tre modelli idealtipici di procedimento amministrativo confrontativo, collaborativo e rappresentativo. Sulla polivalenza del contraddittorio ancora attuale rimane la lezione di M. NIGRO, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, ora in ID., Scritti giuridici, Milano, 1996, vol. II, p. 1413 ss.; ID., Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), ivi, p. 2049. 13 TAR Campania Napoli Sez. III, 09.08.2007, n. 7430; Id., 07.02.2007, n. 925.

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concludersi con l’emanazione di un provvedimento sfavorevole. I medesimi principi costituzionali, poi, vengono richiamati dalla giurisprudenza per estendere al preavviso di rigetto le ipotesi di esenzione previste per la comunicazione di avvio, precisando che si tratta di conclusione ispirata “alla comune esigenza di far prevalere questioni di sostanza su profili meramente formali e che trovano sicuro fondamento nel principio costituzionale di buon andamento dell’Amministrazione e nei suoi noti corollari, quali la conservazione degli atti, la strumentalità delle forme, il raggiungimento dello scopo e l’economicità dell’azione amministrativa”14.

Analogamente, a partire dal ruolo del responsabile del procedimento, cui ex art. 6, l. n. 241 del 1990 competono anche le notificazioni e le comunicazioni che permettono al privato l’esercizio dei propri diritti di partecipazione, si afferma che l’istruttoria amministrativa è informata al principio dell’iniziativa d’ufficio e del potere-dovere del responsabile del procedimento di acquisire d’ufficio ogni elemento utile e di invitare gli interessati a regolarizzare istanze e dichiarazioni incomplete, oppure esibire documenti mancanti “nell’ottica della tutela della buona fede e dell’affidamento del cittadino, nonché del rispetto del canone costituzionale di imparzialità della Pubblica amministrazione, di cui è baluardo l’art. 97 Cost.”15.

Alla medesima conclusione si giunge con riferimento alla giurisprudenza sul diritto di accesso, che viene prevalentemente ricostruito “come strumento con il quale il singolo contribuisce al perseguimento del principio del buon andamento, dell’imparzialità e anche della trasparenza dell’attività amministrativa”16.

A fronte del diffuso richiamo ai principi costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento, sono, invece, rari i casi in cui l’art. 97 Cost. non rappresenta l’alveo principale in cui si incanala il percorso logico-argomentativo che porta all’individuazione del fondamento costituzionale degli istituti partecipativi del procedimento. Ciò avviene essenzialmente in tre ordini di ipotesi.

In primo luogo, quando l’art. 97 viene richiamato per funzionalizzare un istituto all’attuazione del principio di buon andamento nella sua versione economicistica di efficacia ed efficienza procedimentale e, quindi, per escludere che il medesimo abbia valenza partecipativa. Il che succede, ad esempio, con riguardo alla conferenza dei servizi di cui all’art. 14, in relazione alla quale si sostiene che “non può affermarsi che tra le finalità della conferenza di servizi deve essere annoverata quella di garantire la partecipazione dei privati al procedimento”17.

In secondo luogo, quando l’art. 97 viene utilizzato per puntellare un fondamento costituzionale rinvenuto aliunde. È questo il caso, ad esempio, di quella giurisprudenza – minoritaria rispetto a quella ricordata supra – che fonda la comunicazione di avvio del procedimento “nel rispetto dei principi di uguaglianza e solidarietà tratteggiati dagli artt. 2 e 3 della Costituzione”, considerandola corollario del “sistema di democraticità delle decisioni ed accessibilità dei documenti” che ha progressivamente sostituito la definizione unilaterale del pubblico interesse da parte della p.a.18. All’interno di questo secondo filone giurisprudenziale è da ricondurre anche una parte della giurisprudenza sulla motivazione di cui all’art. 3, l. n. 241 del 1990 e, segnatamente, quella secondo cui il

14 TAR Lazio Roma Sez. III ter, 17.07.2007, n. 6503.15 Ex plurimis, TAR Toscana Firenze Sez. II, 22.03.2004, n. 796, cui si riferisce il virgolettato, ma già CDS Sez. IV, 17.12.1998, n. 1815 e Id., 30.09.1996, n. 1065.16 CDS Sez. VI, 18.12.2007, n. 6545; Id., 09.03.2007, n. 1119; Id. Sez. V, 25.09.2006, n. 5636; Id., 13.02.2006, n. 3586; Id. Sez. VI, 10.02.2006, n. 555. Ma cfr. già la celebre Ad. Plen., 22.04.1999, n. 4.17 TAR Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, 28.01.2008, n. 90, cui si riferisce il virgolettato, cui adde CDS Sez. V, 05.04.2005, n. 1543; TAR Toscana Firenze Sez. II, 20.10.2006, n. 4565.18 CDS Sez. IV, 29.07.2003, n. 4352; TAR Campania Napoli Sez. V, 05.02.2007, n. 896; Id. Sez. III, 06.12.2006, n. 10426; Id., 04.12.2006, n. 10365; Id., 06.04.2006, n. 3445; Id., 03.03.2006, n. 2584.

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riferimento al principio di trasparenza dell’azione amministrativa, derivante dall’imparzialità di cui all’art. 97 Cost., non è idoneo a dare fondamento costituzionale all’obbligo di motivazione se non sorretto dal principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui agli artt. 24 e 113 Cost.19. Non dissimile per i riferimenti costituzionali il caso del diritto di accesso, che una parte della giurisprudenza fonda, oltre che sull’art. 97 Cost., anche sul diritto di difesa, per poter così affermare che esso “prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo ogniqualvolta l’accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente, salvo che non si tratti di dati personali (dati c.d. sensibili)”20.

In terzo ed ultimo luogo, quando il fondamento costituzionale di un istituto partecipativo viene rinvenuto in disposizioni del tutto scollegate dalla disciplina costituzionale dell’attività amministrativa. Così, ad esempio, nella giurisprudenza sugli accordi procedimentali che l’amministrazione può stipulare con il privato, in accoglimento delle sue osservazioni e proposte, al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione dello stesso (art. 11, l. n. 241 del 1990). Si pensi, soprattutto, alla programmazione negoziata delle attività produttive che si effettua attraverso i “piani territoriali di sviluppo”, che la giurisprudenza considera “diretta attuazione degli obblighi che la Repubblica ha assunto ex art. 2 e 3 della Costituzione per la promozione dello sviluppo della persona umana nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità, concretamente assicurando e realizzando, in queste modalità e con queste procedure, la funzione sociale della proprietà privata di cui all’art. 42 della Costituzione medesima”21.

2.1 (segue): I paradigmi atti a descrivere l’uso della Costituzione da parte del giudice amministrativo

Un successivo grado di approfondimento dei “rapporti” tra giustizia amministrativa e diritto costituzionale può essere raggiunto se ci si interroga non solo sulla dimensione costituzionale che il g.a. attribuisce agli istituti del procedimento e della partecipazione ma, più specificamente, sul “modo” in cui esso “utilizza” la Costituzione nell’esercizio della funzione giurisdizionale. A questo proposito pare di poter dire che dall’analisi giurisprudenziale emerge con una certa chiarezza che esistono sostanzialmente tre diversi paradigmi atti a descrivere il ruolo che la Costituzione assume nei percorsi logico-argomentativi che il giudice amministrativo segue nel dirimere controversie che insorgono sull’applicazione delle norme sul procedimento e la partecipazione.

Un primo paradigma è quello che si potrebbe definire “retorico”. Al suo interno rientrano tutti quei casi in cui il riferimento alle norme costituzionali non viene posto in essere per trarre da esso elementi interpretativi o precettivi ma, piuttosto, per creare adesione intorno ad una decisione del caso concreto che si forma secondo ragionamenti giuridici cui il diritto costituzionale sembra rimanere tendenzialmente estraneo. A mero

19 CDS Sez. IV, 05.03.2008, n. 935; CDS Sez. V, 09.10.2007, n. 5271; Id., 06.10.2003, n. 5899; TAR Lazio Roma Sez. III quater, 12.12.2007, n. 12976; TAR Calabria Reggio Calabria Sez. I, 21.08.2007, n. 868; TAR Campania Napoli Sez. II, 15.06.2007, n. 6193; TAR Lombardia Milano Sez. IV, 06.10.2006, n. 1979. Per l’indirizzo giurisprudenziale che considera, invece, il principio di imparzialità esclusivo fondamento costituzionale dell’obbligo di motivazione, cfr. CDS Sez. VI, 13.02.2001, n. 685; TAR Sicilia Catania Sez. I, 30.01.2008, n. 212; Id. Sez. IV, 24.11.2007, n. 1902; Id., 28.10.2006, n. 2043; TAR Lazio Roma Sez. I ter, 05.04.2007, n. 2978; TAR Campania Napoli Sez. II, 15.03.2007, n. 2217; Id., 22.09.2006, n. 8246; TAR Puglia Lecce Sez. II, 20.11.2006, n. 5387; TAR Calabria Reggio Calabria Sez. I, 31.10.2006, n. 1677.20 CDS Sez. VI, 26.04.2005, n. 1896, cui si riferisce il virgolettato; TAR Puglia Lecce Sez. II, 31.07.2006, n. 4070; TAR Puglia Bari Sez. I, 06.02.2006, n. 325.21 Così TAR Sicilia Catania Sez. I, 15.05.2008, n. 914.

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titolo di esempio si può ricordare il caso della già citata giurisprudenza22 sulla pretermissibilità della comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dell’istante, la quale argomenta sulla base del principio legislativo di non aggravamento (art. 1, comma 2), esaurendo l’attività ermeneutica sul piano dell’interpretazione sistematica, ma, al contempo, richiamando i principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità per mostrare che la disciplina del procedimento costituisce attuazione dell’art. 97 Cost. Questo modus argomentandi parrebbe a prima vista potersi descrivere alla luce della teoria perelmaniana della nouvelle rhétorique. Esso, infatti, sembra presupporre una cesura piuttosto netta tra la logica formale della decisione, tesa all’accertamento della regola per la risoluzione del caso concreto, e la retorica, orientata ad instaurare meccanismi adesivi nella platea degli uditori23; tende cioè ad una legittimazione simpatetica non basata sull’argomentazione stricto iure, si muove negli spazi lasciati liberi dalla logica formale24 e supera l’identificazione della ragione con il dominio cartesiano delle prove dimostrative25. Il diritto costituzionale, in questi casi, serve sì al giudice amministrativo per creare “consenso” sulle proprie decisioni ed avviare processi pedagogici tanto nell’uditorio delle amministrazioni che in quello dei giuristi26 ma, ed è questa la differenza decisiva rispetto all’uso retorico dell’argomentazione, resta tendenzialmente estraneo alla costruzione delle premesse del sillogismo giudiziale.

Solo apparentemente simile, ma in realtà profondamente diverso, dunque, è il paradigma che il giudice amministrativo segue quando i principi costituzionali vengono utilizzati per individuare, attraverso una progressiva concretizzazione, la regola per la decisione del caso concreto. Qui, a differenza di quanto avviene nel paradigma precedente, il riferimento alla Costituzione entra direttamente nel ragionamento giuridico, non ha portata evocativa, simbolica o pedagogica. Si pensi, ad esempio, alla giurisprudenza sull’interpretazione restrittiva delle norme limitative dei diritti di partecipazione, in cui attraverso un procedimento deduttivo, e senza soluzioni di continuità, si giunge alla norma da applicare al caso concreto partendo dai principi di imparzialità e buon andamento e passando per la qualificazione della partecipazione come principio generale dell’ordinamento27. L’individuazione di un principio costituzionale come fondamento di un altro legislativo in questo caso rappresenta uno dei momenti logico-formali attraverso cui si dipana una sorta di “genealogia dei concetti” che pare presupporre l’orizzonte culturale della Begriffsjurisprudenz di pandettistica memoria28. Ora come allora, infatti, il susseguirsi delle operazioni logico-formali ammanta di rigore, avalutatività e neutralità l’attività filologica del giudice ed alimenta il mito dell’intrinseca razionalità dell’ordinamento, rispetto al quale l’interprete fa scienza

22 Vedi supra, nota 5.23 C. PERELMAN, Logica giuridica. Nuova retorica, trad. it. G. Crifò, Milano, 1979, passim, part. p. 163 ss. 24 V. BONCINELLI, I valori costituzionali tra testo e contesto. Regole e forme di razionalità del giudizio costituzionale, Torino, 2007, p. 22 ss.25 N. BOBBIO, Prefazione, in C. PERELMAN, L. OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione, trad. it. C. Schik, M. Mayer, Torino, 2001, p. XIII.26 Vale, forse, la pena di sottolineare che nell’applicare lo strumentario teorico di Perelman alle tecniche di argomentazione del giudice amministrativo risulta attenuato il problema, che si pone per il Giudice delle leggi (come evidenziato da R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992, p. 144), di distinguere gli esperti della materia in cui verte il decisum (c.d. esperti del segmento “verticale”) dagli esperti che si occupano della giustizia costituzionale in quanto tale (c.d. esperti del segmento “orizzontale”). Nel nostro caso, infatti, sono certamente meno pressanti le questioni che attengono al ruolo del g.a. nella forma di governo e, quindi, anche quelle inerenti la corrispondenza tra tale ruolo e le tecniche argomentative che esso utilizza. 27 Vedi supra, nota 8.28 Su cui cfr., per una contestualizzazione nella storia del pensiero costituzionale, G. VOLPE, Il costituzionalismo del Novecento, Roma-Bari, 2000, p. 15 ss.

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come il matematico, ossia con gli strumenti della certezza dimostrativa29. Non ci sono lacune ed il giurista si può muovere liberamente da una parte all’altra dell’ordinamento senza mai avvertire l’horror vacui che attanaglia chi non naviga lungo la seducente e rassicurante rotta tracciata dal dogma dell’unità logico-ideale del diritto positivo.

A questi due paradigmi ve n’è, poi, da aggiungere un terzo, che ricorre tutte le volte in cui il giudice amministrativo utilizza la Costituzione per scegliere una tra due o più possibili attribuzioni di significato, secondo il modello dell’interpretazione conforme. Così, ad esempio, per orientare l’interpretazione dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 verso la Costituzione, si è escluso che tra i vizi formali (che, in presenza di attività vincolata, non consentono di ottenere l’annullamento) rientri il difetto di motivazione, perché “diversamente opinando, ne discenderebbe una interpretazione della norma non coerente con le disposizioni di cui all’art. 113 della Cost., le quali ammettono sempre la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi e dei diritti contro gli atti dell’Amm.ne”30. Analogamente, e con riferimento alla stessa norma, in ordine alla vexata quaestio se essa abbia determinato una dequotazione dei vizi formali a mere irregolarità ovvero una loro irrilevanza, attesa la non annullabilità dell’atto a fronte del raggiungimento dello scopo, è stato affermato che un’interpretazione della norma conforme all’art. 113 Cost. rende preferibile la diversa ricostruzione per cui, in siffatte ipotesi, l’illegittimità permane ma il ricorrente versa in carenza di interesse perché l’eventuale accoglimento dei vizi formali giammai potrebbe determinare, in via conformativa, l’adozione da parte della p.a. di un provvedimento dal contenuto diverso31. Tra i vari esempi possibili, particolarmente significativo della circostanza che l’interpretazione conforme del g.a. rischia, talora, di assumere portata eversiva della lettera della legge appare il caso di quella giurisprudenza che ha ritenuto che l’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale prevede che il diniego di visto di ingresso non turistico non deve essere motivato, vada interpretato in maniera conforme ai dettami degli artt. 24, 97, 111 e 113 della Costituzione e, quindi, nel senso di ritenere che l’interessato possa comunque chiedere all’amministrazione, dopo il diniego, di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni di diritto del provvedimento impugnato e censurare la motivazione così ottenuta attraverso la proposizione di motivi aggiunti32.

Va, però, adeguatamente sottolineato che non sempre il giudice amministrativo pratica l’interpretazione conforme e che, anzi, talvolta indulge nel rimettere alla Corte questioni meramente interpretative cercando l’avallo della giustizia costituzionale nei confronti dell’una o dell’altra opzione ermeneutica. Emblematica in tal senso la vicenda dell’obbligo di motivazione nella valutazione delle prove concorsuali. Sul punto si sono progressivamente formati tre contrastanti orientamenti in ordine alla capacità del voto numerico di esaurire l’obbligo di motivazione. Secondo un primo orientamento non vi è la necessità che l’attribuzione del punteggio sia assistita da una motivazione sulle ragioni che hanno indotto la Commissione a formulare il giudizio che il voto esprime33. Secondo

29 In particolare sui riflessi del razionalismo sul formalismo giuridico, cfr. O. VON GIERKE, Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, trad. it. A. Giolitti, Torino, 1943, p. 135 ss.30 Cfr., ad es., TAR Puglia Lecce Sez. II, 20.11.2006, n. 5387.31 CDS, Sez. VI, 17.10.2006, nn. 6192 e 6194. Per la ricostruzione degli altri orientamenti che qualificano come irrilevante il vizio formale o lo considerano sanato dal provvedimento o dalla decisione del giudice, si rinvia a L. FERRARA, La partecipazione tra «illegittimità» e «illegalità». Considerazioni sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile, in Dir. amm., 2008, p. 108 ss. Per le coordinate minime dell’articolato dibattito dottrinario cfr., invece, D. SORACE, Il principio di legalità ed i vizi formali dell’atto amministrativo, in Dir. pubbl., 2007, p. 406 ss. ed in sede monografica S. CIVITARESE, La forma presa sul serio. Formalismo pratico, azione amministrativa ed illegalità utile, Torino, 2006, cap. IV. 32 TAR Lazio Roma Sez. I quater, 05.06.2007, n. 5163.33 Già CDS Sez. V, 20.03.2000, n. 1504 e, più di recente, Id. Sez. IV, 05.03.2008, n. 935.

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un opposto orientamento, sostenuto prevalentemente dai giudici di primo grado e pressoché integralmente osteggiato dal Consiglio di Stato, invece, poiché spesso i criteri di valutazione delle prove non sono predeterminati, è comunque sempre necessaria una motivazione che renda comprensibile l’iter seguito nell’attribuzione del punteggio34. Infine, secondo un terzo intermedio orientamento, sostenuto prevalentemente dalla Sezione VI del Consiglio di Stato, grava sulle Commissioni esaminatrici l’obbligo di rendere percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio ma ciò non necessariamente attraverso diffuse esternazioni verbali relative al contenuto delle prove, essendo sufficienti taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, palesando le ragioni dell’apprezzamento sinteticamente espresso con l’indicazione numerica (ad es. apposizione di note a margine dell’elaborato, uso di segni grafici per indicare aspetti della prova considerati negativamente, sottolineatura dei passaggi censurati, indicazione sommaria delle parti della prova ove sono stati ravvisati, lacune, errori o inesattezze)35. Ciò che ai nostri limitati fini preme evidenziare è che in tutti e tre gli orientamenti si riscontra la tendenza del g.a. a profondersi in riferimenti ai principi di cui agli artt. 97, da un lato, e 3, 24 e 113, dall’altro per legittimare dal punto di vista costituzionale l’una o l’altra soluzione.

In questo quadro di oggettiva incertezza si sono consumati i tentativi del giudice amministrativo di ottenere lumi dalla Consulta su quale fosse l’interpretazione maggiormente conforme ai principi costituzionali. Un primo tentativo di risolvere il così delineato contrasto giurisprudenziale è stato operato dal TAR Lombardia36, il quale ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 alla luce dell’interpretazione fornitane dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato nel parere 9 novembre 1995, n. 120, secondo cui l’obbligo di cui all’art. 3 non si sarebbe applicato alla valutazione delle prove scritte previste per concorsi pubblici ed, in particolare, a quelle previste per l’accesso alla professione di avvocato. Il giudice lombardo rimettente qualificava come “diritto vivente” l’interpretazione resa dal Consiglio di Stato e ne censurava la legittimità per mancata conformità ai principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione. La Corte Costituzionale, con ordinanza 3 novembre 2000 n. 466, ha però dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale per difetto di interpretazione adeguatrice, perché essa non era in realtà diretta a risolvere un dubbio di costituzionalità, ma si traduceva piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo della Corte costituzionale a favore di una determinata interpretazione della norma; attività, questa, rimessa al giudice di merito, tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati. La medesima questione veniva, poco dopo, riproposta con alte tre ordinanze dallo stesso TAR lombardo e la Corte, con ord. n. 233 del 2001, ne ribadiva la manifesta inammissiblità per difetto di interpretazione conforme.

In forza del ricordato orientamento intermedio del Consiglio di Stato, il quale profilava aperture in senso favorevole alla soluzione prevalentemente adottata dai giudici di primo grado, si sono poi susseguiti ulteriori tentativi di riportare la questione dinanzi alla Corte Costituzionale, prima da parte del TAR Puglia37 e, successivamente, da parte

34 Ex plurimis, TAR Calabria Reggio Calabria Sez. I, 31.10.2006, n. 1677; TAR Veneto Sez. I, 04.08.2006, n. 2307; Id., 01.10.2002, n. 5927; Id., 01.08.2002, n. 3831 e 21.01.2002, n. 137; TAR Toscana Sez. II, 04.11.2005, n. 5557. 35 È questo il costante ed innovativo orientamento sostenuto dalla Sez. VI a partire da CDS Sez. VI, 30.04.2003, n. 2331.36 Cfr. TAR Lombardia Milano Sez. III, 28.04.2000, ord. n. 135, che ha poi sollevato ulteriori 58 ordinanze di identico contenuto.37 TAR Puglia Lecce Sez. I, con varie ordinanze del 22.09.2004.

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del TAR Emilia Romagna38. In merito alla prima questione, riproposta in termini sostanzialmente identici a quella originaria del giudice lombardo, la Corte Costituzionale, con le ordinanze nn. 419 e 420 del 14 novembre 2005, ha confermato la pronuncia di manifesta infondatezza della questione, precisando, in quest’occasione, che la presenza di ulteriori evoluzioni del panorama giurisprudenziale consente al giudice amministrativo “di adottare una delle (plurime) interpretazioni che ritenga conforme agli invocati parametri costituzionali”. Nel caso dell’ordinanza di rimessione del giudice emiliano, invece, si dubitava della costituzionalità della disciplina dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense perché essa, obbligando le commissioni esaminatrici ad “esprimere un semplice voto nel giudicare le prove scritte”, si sarebbe posta in contrasto con i principi di cui agli artt. 3, 24, 97, 98 e 113 della Costituzione. Anche mutata la questione, tuttavia, la Corte non si è discostata dalle sue precedenti affermazioni e, con ordinanza 27 gennaio 2006 n. 28, ne ha dichiarato l’inammissibilità in quanto la medesima appariva volta ad ottenere l’appoggio della Corte ad una certa interpretazione delle disposizioni impugnate, piuttosto che a sottoporre alla stessa un vero e proprio dubbio di legittimità costituzionale; per di più escludendo esplicitamente che “la tesi dell’inesistenza di un obbligo di motivazione per gli esami di abilitazione e in generale per i concorsi costituisca diritto vivente” e suggerendo per l’ennesima volta ai giudici remittenti di optare per una soluzione ermeneutica conforme ai principi costituzionali. Soluzione, però, che i giudici hanno continuato a dare in maniera non uniforme. Se, infatti, lo stesso giudice amministrativo pugliese che aveva sollevato la questione ha confermato il proprio precedente orientamento secondo il quale non può reputarsi legittimo un giudizio reso in forma solo numerica39, non sono mancati né giudici amministrativi che hanno continuato a seguire l’opposta soluzione40, né sentenze che hanno seguito a praticare la via intermedia indicata dalla VI Sezione del Consiglio di Stato41.

Da ultimo, vale la pena di sottolineare che non sono stati riscontrati casi di applicazione diretta della Costituzione a questioni aventi ad oggetto gli istituti del procedimento e della partecipazione42. La cosa non desta particolare meraviglia perché l’introduzione di una disciplina generale del procedimento ha certamente diminuito l’esigenza di ricavare dalla Costituzione regole procedimentali. Da questo punto di vista, la legge n. 241 del 1990 sembra aver inaugurato una terza fase della “storia” dei rapporti tra Costituzione e regole dell’agire amministrativo; fase che segue un primo periodo (fino al 1980 circa) in cui la Carta fondamentale viene utilizzata per confermare orientamenti sul procedimento antecedenti all’avvento della Repubblica43, nonché una seconda stagione (fino al 1990 circa) in cui l’art. 97 viene invece asservito alla creazione di regole procedimentali non espressamente previste dal legislatore44.

3. Una regolarità funzionale che emerge dalla casistica giurisprudenziale: la 38 TAR Emilia Romagna Bologna Sez. II, 04.012005, ord. n. 1.39 TAR Puglia Lecce, Sez. I, sent. 21.12.2006, n. 6055. Più di recente, ex plurimis, TAR Sicilia Catania Sez. I, 30.01.2008, n. 212.40 Per tutte CDS Sez. IV, 05.03.2008, n. 935.41 Ad esempio, TAR Campania Sez. V, 02.09.2008, n. 9992; TAR Lazio Roma Sez. I ter, 05.04.2007, n. 2978; TAR Toscana Firenze Sez. I, 05.10.2006, n. 4238.42 Per un recente esempio in tema di conflitto di interessi nelle procedure concorsuali cfr., invece, CDS Sez. V, 01.04.2009, n. 2070.43 U. ALLEGRETTI, Corte costituzionale e pubblica amministrazione, in Le Regioni, 1981, p. 1204 ss.44 Lo notava già G. SALA, Regole costituzionali dell’azione amministrativa e principio del giusto procedimento nella giurisprudenza dei TAR, in Dir. proc. amm., 1985, p. 643 ss.

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logica del “giusto provvedimento”

Da quanto si è avuto modo di osservare fin qui pare di poter dire che, per un verso, la laconicità della disciplina costituzionale dell’attività amministrativa, per l’altro, l’eterogeneità dei paradigmi e degli esiti che contraddistinguono l’uso giudiziario della Costituzione da parte del giudice amministrativo ostacolano l’emersione di un tratto univoco e sintetico in grado di descrivere come la giustizia amministrativa si relaziona con il diritto costituzionale nei temi del procedimento e della partecipazione. Allo stesso modo, però, l’indagine sul fondamento costituzionale e sull’uso giudiziario della Costituzione permette di evidenziare che dalla giurisprudenza amministrativa sembra trasparire una certa regolarità funzionale nel modo in cui il diritto costituzionale viene asservito ai bisogni di giustizia portati all’attenzione del g.a. In estrema sintesi, tale regolarità funzionale si coglie nella circostanza che, nell’applicare le norme sul procedimento e sulla partecipazione, il g.a. sembra sempre presupporre che l’attività amministrativa sia tenuta ad erogare le prestazioni di buon andamento e imparzialità richieste dai principi costituzionali in relazione al c.d. “giusto provvedimento”, ossia al miglior contemperamento degli interessi pubblici e privati, ossia ancora al più pieno soddisfacimento dell’interesse pubblico primario con il minor sacrificio degli interessi pubblici e privati secondari che sono a vario titolo coinvolti nel procedimento.

Una nutrita serie di filoni giurisprudenziali confermano l’impressione che si è ricavata dall’analisi condotta nei precedenti paragrafi, rendendo così ragione di quanto si è appena affermato.

Si pensi, ad esempio, al divieto di aggravamento del procedimento, in relazione al quale una già citata giurisprudenza afferma che le norme sulla partecipazione non devono essere applicate in modo acritico o formalistico ma alla luce dei principi generali di ragionevolezza, proporzionalità, logicità ed adeguatezza che governano l’azione amministrativa, con conseguente possibilità che la loro violazione non conduca all’annullamento ove l’amministrazione abbia comunque effettuato il miglior contemperamento possibile degli interessi coinvolti45.

Particolarmente significativo anche l’orientamento che considera applicabile l’art. 21 octies, comma 2, della legge sul procedimento – e, quindi, non pronunciabile l’annullamento per vizio di forma – anche nel caso di attività qualificata in astratto dal legislatore come discrezionale ma che nel caso di specie si viene a configurare come vincolata perché manca un requisito o sussiste un fattore ostativo all’accoglimento dell’istanza del privato46. Del resto, interpretano estensivamente la norma pure le sentenze che esonerano la p.a. dal fornire la prova di cui parla il secondo periodo del comma 2 (quando tale prova emerge comunque dagli atti)47, quelle che negano che la non annullabilità sia pronunziabile solo su specifica eccezione della p.a.48, nonché quelle che considerano la disciplina – in quanto processuale – applicabile nei giudizi su atti anteriori alla l. n. 15 del 200549.

Oppure si pensi all’obbligo di motivazione, con riferimento al quale si sostiene che la carenza della puntuale esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che sostengono il provvedimento impugnato non rende illegittimo il provvedimento quando il privato è comunque in grado di comprenderle in forza della concreta articolazione dell’istruttoria

45 Vedi supra, nota 6.46 Cfr., ad es., TAR Sardegna Sez. I, 25.05.2005, n. 1170; TAR Abruzzo Pescara, 14.04.2005, n. 185.47 CDS Sez. V, 29.04.2009, n. 2723.48 CDS Sez. V, 17.09.2008, n. 4414.49 Ex plurimis, CDS Sez. VI, 04.09.2007, n. 4614; Id., 17.10.2006, nn. 6192, 6193 e 6194; Id., 21.09.2006, n. 5547; Id., 11.09.2006, n. 5260; Id., 07.07.2006, n. 4307.

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procedimentale50. Per gli atti collegiali, poi, si considera sufficiente il verbale della riunione dell’organo51 mentre per i concorsi – pur con tutti i contrasti che abbiamo visto – il punteggio numerico. Analogamente si afferma che nel motivare le ragioni di diritto non è necessaria la puntuale indicazione delle norme applicate52 e che, nel caso di motivazione ob relationem, la mancata allegazione in calce al provvedimento dell’atto che contiene la motivazione non produce illegittimità del provvedimento53, rilevando piuttosto come mera irregolarità che impedisce il decorso del termine per ricorrere54. D’altra parte, dopo la legge n. 15 del 2005, una parte della giurisprudenza amministrativa ha precisato che il difetto di motivazione costituisce vizio formale non implicante annullamento dell’atto ai sensi dell’art. 21 octies, l. n. 241 del 1990 solo in materia di atti vincolati, il cui contenuto, appunto, “non avrebbe potuto essere diverso”55.

Alla logica del “giusto provvedimento” sembra, poi, riconducibile quella giurisprudenza che, in materia di responsabile del procedimento, afferma che l’istruttoria è informata al principio dell’iniziativa d’ufficio e del potere-dovere del responsabile di acquisire d’ufficio ogni elemento utile per il miglior contemperamento degli interessi pubblici e privati56 e che l’individuazione del responsabile non è necessaria per le attività vincolate e per quelle a carattere collegiale57.

Ancora si pensi ad alcuni indirizzi giurisprudenziali in materia di comunicazione di avvio, già consolidati prima dell’entrata in vigore della legge n. 15 del 200558. Particolarmente significativa appare, ad esempio, la giurisprudenza che afferma che l’omissione della comunicazione non assume effetti invalidanti dell’atto allorché un’approfondita attività istruttoria svolta nel pieno rispetto del principio del contraddittorio abbia dimostrato (seppure ex post) che la partecipazione del privato nella fase di adozione del provvedimento non avrebbe potuto condurre ad un diverso esito59

oppure quella secondo cui l’omessa comunicazione non produce illegittimità nemmeno se il privato è stato comunque messo in condizione di partecipare60. Ma si potrebbero citare ancora molti orientamenti, come quelli secondo cui: a) la comunicazione è necessaria solo nei confronti di chi può subire dal provvedimento un pregiudizio

50 Si parla, in tal caso, di motivazione globale. Cfr. CDS Sez. V, 09.10.2007, n. 5271.51 Così TAR Lazio Roma Sez. I, 28.12.2007, n. 14141.52 Già CDS Sez. IV, 12.03.1996, n. 35.53 Sul punto, ex plurimis, CDS Sez. V, 30.08.2006, n. 5079 e, nella più recente giurisprudenza di primo grado, TAR Lazio Roma Sez. I ter, 04.06.2008, n. 5470; Id. Sez. II quater, 01.02.2008, n. 886; TAR Emilia-Romagna Bologna Sez. II, 08.02.2008, n. 192; TAR Piemonte Torino Sez. II, 18.06.2005, n. 2255. 54 Cfr. sul punto TAR Puglia Lecce Sez. I, 06.03.2003, n. 738; TAR Puglia Bari Sez. I, 27.06.2002, n. 3155.55 Cfr. CDS Sez. VI, 19.05.2008, n. 2277 o, meno recentemente, CDS Sez. V, 30.05.2006, n. 3280, ma la questione – cui si collega, come noto, il discusso problema dell’integrazione postuma della motivazione in giudizio – è assai controversa in giurisprudenza, dato che si rinvengono orientamenti che ritengono applicabile al difetto di motivazione ora la prima alinea (attività vincolata), ora la seconda (attività discrezionale), ora la prima ma anche all’attività vincolata in concreto. Per una ricostruzione giurisprudenziale, cfr. le sentenze citate da L. FERRARA, ult. cit., p. 111, nota 33, cui adde TAR Puglia Lecce Sez. II, 05.02.2008, n. 356.56 CDS Sez. VI, 06.03.2002, n. 1355; Id. Sez. IV, 17.12.1998, n. 1815; TAR Veneto Venezia Sez. III, 17.03.2008, n. 628; Id., 31.12.2007, n. 4129; TAR Piemonte Torino Sez. II, 19.02.2007, n. 730; TAR Lombardia Brescia Sez. I, 05.12.2006, n. 1537; TAR Calabria Catanzaro Sez. I, 22.04.2002, n. 842. 57 TAR Lazio, Sez. I, 5 aprile 1993, n. 568. 58 Tanto che, comunemente, la novella viene considerata una positivizzazione di orientamenti ormai pacifici. Sul punto cfr., per tutti, D. SORACE, ult. cit., p. 406.59 Così, alla lettera, CDS Sez. V, 09.06.2008, n. 2858. Conformi, ex plurimis, CDS, 26.02.2003, n. 1095; TAR Lazio Roma Sez. I ter, 23.07.2008, n. 7255.60 Cfr., tra le altre, CDS, Sez. VI, 02.03.2009, n. 1167; Id., 07.07.2006, n. 4307; Id., 11.09.2006, n. 5260; TAR Lombardia Milano Sez. II, 04.04.2007, n. 1396.

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apprezzabile61; b) la comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio per abuso edilizio deve essere effettuata al terzo denunciante solo se questi fa valere un diritto soggettivo e non il rispetto della mera legalità62; c) le esigenze di celerità che giustificano l’omissione della comunicazione sono in re ipsa nel caso delle ordinanze contingibili ed urgenti63 e nel caso dell’occupazione d’urgenza nell’ambito delle procedure espropriative64 d) la comunicazione di avvio può essere data anche dopo l’inizio del procedimento purché in tempo per partecipare65. Più in generale, è noto che la giurisprudenza amministrativa ha elaborato una serie di ipotesi in cui la comunicazione di avvio non è dovuta. Ciò che preme evidenziare in questa sede è che tali ipotesi – che si è soliti definire attraverso le note nozioni di “raggiungimento dello scopo”, di “prova di resistenza” e di “atto vincolato”66 – rispondono tutte alla logica della recessività della regola formale rispetto all’equo contemperamento degli interessi comunque effettuato dalla p.a.

Indicazioni significative nella direzione del “giusto provvedimento” si traggono anche dalla giurisprudenza in materia di preavviso di rigetto, in relazione al quale si afferma che le ipotesi di esenzione elaborate dalla giurisprudenza formatasi prima dell’entrata in vigore della l. n. 15 del 2005 con precipuo riferimento alla comunicazione di avvio del procedimento sono certamente estensibili, in considerazione dell’eadem ratio, anche all’istituto del preavviso di rigetto, trattandosi di conclusioni invero ispirate alla comune esigenza di far prevalere questioni di sostanza su profili meramente formali e che trovano sicuro fondamento nel principio costituzionale di buon andamento dell’Amministrazione e nei suoi noti corollari, quali la conservazione degli atti, la strumentalità delle forme, il raggiungimento dello scopo e l’economicità dell’azione amministrativa67. Anche in questo la logica “generale” sottesa trova riscontro nelle

61 CDS Sez. VI, 15.03.2007, n. 1256; Id., 03.02.2004, n. 330; TAR Liguria Genova Sez. II, 23.01.2009, n. 114; TAR Sicilia Catania Sez. IV, 19.01.2009, n. 115; TAR Lombardia Milano Sez. III, 04.04.2007, n. 1389; TAR Campania Napoli Sez. IV, 25.07.2006, n. 7680; TAR Lazio Roma Sez. II bis, 11.05.2006, n. 3484; TAR Sardegna Cagliari Sez. II, 19.12005, n. 2382.62 CDS Sez. VI, 10.02.2006, n. 547; Id. Sez. V, 19.02.2004, n. 677. 63 Esemplificativamente cfr. CDS Sez. V, 19.10.1997, n. 1131; Id., 07.09.2007, n. 4718; Id., 29.09.2000, n. 4906. Nella giurisprudenza dei giudici di prime cure cfr. TAR Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, 24.05.2007, n. 376; TAR Lazio Roma Sez. II ter, 20.01.2006, n. 455; TAR Abruzzo L'Aquila, 14.12.2004, n. 1337; TAR Basilicata, 18.11.2004; Id., 16.10.2001, n. 740; TAR Valle d'Aosta, 14.05.2003, n. 71. Contra, nel senso della necessità di una esplicita motivazione di un’“urgenza qualificata” in relazione alle circostanze del caso concreto, vedi, tra le altre, TAR Campania Napoli Sez. V, 29.12.2008, n. 21531; Id., 03.02.2005 , n. 764; TAR Liguria Genova Sez. I, 14.07.2007, n. 1119; Id. Sez. II, 05.12.2001, n. 1270.64 Per tutte, vedi pionieristicamente CDS, Ad. Plenaria, n. 14 del 1999. Più recentemente cfr. CDS Sez. IV, 08.06.2007, n. 2999; Id., 14.04.2003, n. 1940; TAR Calabria Catanzaro Sez. I, 04.02.2009, n. 97; TAR Basilicata Potenza Sez. I, 14.02.2006, n. 91; TAR Toscana Sez. III, 13.11.2002, n. 2699.65 CDS Sez. V, 05.06.1997, n. 606; Id., 05.06.1997, n. 603; Id., 26.05.1997, n. 560; TAR Veneto Sez. II, 28.11.1998, n. 2334; T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento, 12.01.1998, n. 5. 66 Sulla nozione di “raggiungimento dello scopo” cfr. CDS Sez. VI, 02.03.2009, n. 1167; Id. Sez. V, 09.10.2007, n. 5251; TAR Campania Napoli Sez. VII, 07.05.2008, n. 3522; Id., TAR Campania Napoli, 08.11.2005, n. 18671; TAR Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, 21.04.2008, n. 246; TAR Sicilia Catania Sez. III, 18.04.2007, n. 667. Sulla “prova di resistenza”, ex plurimis, CDS Sez. VI, 10.01.2005, n. 11. Sull’esenzione dall’obbligo di comunicazione per gli atti vincolati vedi, in particolare, CDS Sez. VI, 21.09.2006, n. 5547; Id. Sez. IV, 22.06.2004, n. 4480; TAR Campania Napoli Sez. III, 09.09.2008, n. 10058; TAR Abruzzo Pescara Sez. I, 12.05.2008, n. 471; TAR Lazio Roma Sez. III quater, 10.06.2008, n. 5666. 67 CDS Sez. IV, 31.05.2007, n. 2804; TAR Sicilia Palermo Sez. II, 09.11.2007, n. 2863; TAR Abruzzo Pescara, 11.04.2007, n. 437; TAR Molise Campobasso, 09.03.2007, n. 161; TAR Emilia-Romagna Bologna Sez. II, 06.11.2006, n. 2875; TAR Lazio Roma Sez. I, 10.04.2006, n. 2553. Sulla non equiparabilità del vizio di mancata adozione del preavviso di rigetto a quello di mancata adozione della comunicazione di avvio cfr., invece, TAR Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, 21.04.2008, n. 246; TAR Puglia Bari Sez. II, 29.05.2006, n. 2125.

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fattispecie più specifiche, così: a) in caso di DIA il preavviso non è dovuto per l’ordine di non eseguire perché esso costituirebbe una non giustificata duplicazione del medesimo, incompatibile con il termine ristretto entro il quale l’amministrazione deve provvedere, non essendo, fra l’altro, previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso68; b) l’art. 10 bis non è applicabile a procedimenti connotati, ex lege, da tratti di assoluta specialità, come quello di condono edilizio straordinario69; c) il preavviso non è necessario allorquando il provvedimento conclusivo del procedimento abbia contenuto vincolato o comunque non potrebbe essere diverso70.

Analogamente, in tema di conferenza dei servizi, si è statuito che la violazione delle garanzie procedimentali previste dall’art. 14 ter non può essere fatta valere dal privato, neppure da quello destinatario del provvedimento finale71 e, più in generale, che “le forme della conferenza vanno osservate nei limiti in cui siano strumentali all’obiettivo perseguito”, non potendosi far discendere automaticamente dall’inosservanza delle forme l’illegittimità “se lo scopo è comunque raggiunto”72.

Da ultimo, ma non certo in ragione d’importanza vista la spiccata dimensione partecipativa dell’istituto, è dato ricondurre alla logica del “giusto provvedimento” anche quella giurisprudenza in materia di accesso che ritiene che l’esercizio della facoltà procedimentale del privato di prendere conoscenza degli atti amministrativi sia sempre e comunque strumentale a favorire il raggiungimento dell’interesse pubblico e l’esercizio imparziale dell’attività amministrativa, con la conseguenza che la richiesta di accesso deve motivare in ordine a tale nesso funzionale73 e che il relativo esercizio non deve mai essere di intralcio alla “gestione amministrativa”74, nemmeno nelle sue modalità operative75.

Alla luce dei ricordati orientamenti giurisprudenziali dovrebbe adesso apparire maggiormente chiaro quanto prima si diceva in ordine alla circostanza che, se si vuol tentare di dare una lettura tendenzialmente unitaria dal punto di vista del diritto costituzionale della giurisprudenza amministrativa sugli istituti del procedimento a vocazione partecipativa, essa trova la propria dimensione qualificante nella pervasiva idea che le prestazioni di buon andamento e imparzialità richieste dai principi costituzionali devono essere fornite dalla pubblica amministrazione non tanto con riguardo al rigido rispetto delle regole formali del procedimento quanto, piuttosto, all’effettiva capacità dell’azione amministrativa di “confezionare” quello che, parafrasando Leibniz, si potrebbe chiamare “il migliore dei provvedimenti possibili”. L’idea sottesa a tutta la giurisprudenza è, infatti, che il diritto costituzionale richieda essenzialmente all’amministrazione di adottare un “giusto provvedimento”, intendendo per tale non

68 CDS Sez. IV, 12.09.2007, n. 4828.69 CDS Sez. IV, 10.10.2007, n. 531470 CDS Sez. IV, 13.03.2008, n. 1098.71 CDS Sez. V, 04.03.2008, nn. 825-6.72 CDS Sez. VI, 04.01.2002, n. 34.73 CDS Sez. VI, 09.03.2007, n. 1119.74 CDS Sez. VI, 11.05.2007, n. 2314: Id. Sez. V, 25.09.2006, n. 5636; Id. Sez. VI, 10.02.2006, n. 555; TAR Sardegna Cagliari Sez. II, 19.01.2006, n. 30; TAR Lazio Roma Sez. III, 11.01.2005, n. 152.75 Sulla sufficienza di una mera copia del documento, non necessariamente conforme, al fine di soddisfare il “risultato sostanziale” della conoscenza del contenuto del documento cfr. TAR Piemonte Torino Sez. II, 07.05.2007, n. 2054. Sulla possibilità di limitare l’accesso alla sola visione dell’atto, senza consentirne l’estrazione di copia, al fine di garantirne, comunque, la conoscenza sostanziale, cfr. l’orientamento più datato tra cui, ex plurimis, CDS Sez. VI, 07.06.2006, n. 3418; Id., 09.01.2004, n. 14; Id. Sez. V, 05.05.1999, n. 518; Id. Sez. IV, 24.03.1998, n. 498; TAR Marche Ancona Sez. I, 14.12.2006, n. 1527; Id., 14.11.2003, n.1341; TAR Calabria CZ, 10.03.2004, n. 604. Sulla più recente giurisprudenza che considera estrazione di copia e presa visione come modalità congiunte di esercizio del diritto di accesso e non alternative cfr. TAR Campania Napoli Sez. V, 19.01.2009, n. 179; TAR Puglia Lecce Sez. II, 29.08.2008, n. 2437; Id., 27.07.2007, n. 3016; Id., 16.02.2007, n. 481; TAR Lazio Roma Sez. III, 30.03.2006, n. 2212.

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tanto quello che si è formato nel rispetto delle regole del procedimento e della partecipazione, quali espressione di un oggettivo canone di esercizio della funzione amministrativa, ma quello che realizza la miglior cura concreta dell’interesse pubblico (sia essa frutto di attività discrezionale o vincolata) anche se la manifestazione autoritativa di tale cura è frutto di un iter contraddistinto da illegittimità procedimentale e compressione dei diritti di partecipazione76.

4. Procedimento e partecipazione secondo la giurisprudenza costituzionale

È, dunque, rispetto a questo dato empirico che va effettuata la verifica di compatibilità tra il modo in cui i giudici amministrativi si relazionano con il diritto costituzionale nell’applicare gli istituti procedimentali della partecipazione ed il modo in cui il rapporto tra procedimento e Costituzione è ricostruito dagli operatori specialistici (pratici e teorici) del diritto costituzionale. Solo per questa via si potrà, infatti, comprendere se – rispetto a questi temi – gli uni e gli altri partecipano della medesima “comunità di interpretazione”77 oppure se, al contrario, praticano logiche e paradigmi interpretativi irriducibili e non commensurabili.

Tale verifica, per mantenere il carattere empirico del raffronto tra grandezze omogenee, non può che trovare il proprio campo di elezione nello studio della giurisprudenza costituzionale che si è occupata degli istituti del procedimento ed al suo interno, innanzitutto, di quel copioso filone giurisprudenziale che ha riguardato l’affascinante e controverso tema del “giusto procedimento” e del suo fondamento costituzionale. È, infatti, in quella giurisprudenza che si coglie, più chiaramente che altrove, il modo in cui il Giudice delle Leggi interpreta le prestazioni di buon andamento ed imparzialità richieste all’attività amministrativa dall’art. 97 Cost.

Com’è noto e come non mancò di rilevare prontamente Vezio Crisafulli78, già dalla celebre sentenza n. 13 del 1962 la partecipazione procedimentale dei privati “sia a tutela dell’interesse del privato sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico” viene ricostruita dalla Corte nella sua ambivalente natura di criterio oggettivo di esercizio della funzione amministrativa e di strumento di difesa delle posizioni giuridiche soggettive pregiudicate dalla cura concreta dell’interesse pubblico. Quella che dalle precedenti sentt. nn. 4 e 52 del 195879 era stata avvertita come mera esigenza di apprestare garanzie per gli interessati “anche nello stadio di formazione degli atti” – ed era stata declinata nella “facoltà di presentare istanze” preventive rispetto all’atto terminale e nella necessaria presenza di rappresentanti delle categorie interessate negli organi collegiali – diventa la base per l’elaborazione di un principio generale dell’ordinamento destinato a rappresentare un “punto costante di orientamento nella legislazione e nella interpretazione ed applicazione che delle leggi fanno la giurisprudenza e la prassi”80.

76 Com’è noto, il consolidarsi di questo paradigma interpretativo è stato incisivamente favorito dal nuovo art. 21 octies, comma 2, il quale ha consacrato il passaggio dalla logica del raggiungimento dello scopo a quella, assai più pregnante, del risultato. Sul punto, cfr. A. PUBUSA, Forma e sostanza nel procedimento. Considerazioni sull’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, in Dir. pubbl., 2006, p. 526. Che la traccia lungo cui si evolveva la giurisprudenza fosse questa era stato già sottolineato prima della riforma da A. POLICE, L’illegittimità dei provvedimenti amministrativi alla luce della distinzione tra vizi cosiddetti formali e vizi sostanziali, in Dir. amm., 2003, p. 791.77 Secondo la fortunata espressione di J. HABERMAS, Fatti e norme: contributi ad una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, trad. it. L. Ceppa, Milano, 1996, p. 21 ss. e 303 ss.78 V. CRISAFULLI, Principio di legalità e “giusto procedimento”, in Giur. cost., 1962, p. 130 ss.79 Rispettivamente in Giur. cost., 1958, p. 17 ss. e p. 598 ss.80 Corte cost., sent. n. 13 del 1962, punto 4 del Considerato in diritto.

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È altrettanto noto che le rivoluzionarie prospettive aperte dalla sent. n. 13 del 1962 erano destinate a rimanere in larga parte frustrate dalla giurisprudenza successiva che disconobbe il significato garantistico del giusto provvedimento – legato alla distinzione tra prevedere in astratto e provvedere in concreto81 – e precluse ad esso il rango di principio costituzionale. La negazione dell’esistenza in Costituzione di una riserva d’amministrazione82, infatti, si accompagna al progressivo consolidarsi dell’idea che il principio del giusto procedimento non potesse trovare diretto fondamento né nell’art. 24 Cost. né nell’art. 97 Cost.: non nel primo perché il diritto di difesa viene riferito esclusivamente alla tutela in sede giurisdizionale senza necessità di una tutela anticipata in sede procedimentale, ancorché contenziosa83; non nel secondo perché, da un lato, il principio di imparzialità viene per lo più inteso come mera parità di trattamento in casi eguali ed in attuazione del principio di uguaglianza”84, dall’altro, il principio di buon andamento viene genericamente considerato coincidente con le esigenze di “buona amministrazione”85, in continuità con l’assetto storico dell’amministrazione pre-repubblicana ed in prospettiva assai lontana dalla democratizzazione dei processi decisionali della p.a.86.

Ma il disconoscimento del valore costituzionale del giusto procedimento87 – ed è questo il profilo maggiormente significativo ai nostri limitati fini – non ha mai portato con sé la rottura dell’originaria architrave su cui la giurisprudenza costituzionale aveva edificato la qualificazione del rispetto delle regole formali del procedimento e della partecipazione come espressione di un principio generale dell’ordinamento che deve

81 Come sottolineano, individuando in ciò l’aspetto decisivo del principio, oltre a V. CRISAFULLI, ult. cit., p. 133, anche L. CARLASSARE, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Padova 1966, p. 45, nota 49; ID., Garanzia dei diritti e leggi provvedimento, in Giur. cost., 1986, I, p. 1490; G. SCIULLO, Il principio «del giusto procedimento» fra giudice costituzionale e giudice amministrativo, in Jus, 1986, p. 298; A. FRANCO, Leggi provvedimento, principi generali dell’ordinamento, principio del giusto procedimento (in margine all’innovativa sent. n. 143 del 1989), in Giur. cost., 1989, II, p. 1074.82 Su cui, per una ricostruzione giurisprudenziale, sia consentito un rinvio ad A. CARDONE, Leggi-provvedimento e leggi autoapplicative, in R. ROMBOLI (a cura di), L’accesso alla giustizia costituzionale: caratteri, limiti, prospettive di un modello, Napoli, 2006, p. 377 ss.83 Cfr. Corte cost., sentt. nn. 10 del 1963; 146 del 1963; 12 del 1965; 80 del 1964; 83 del 1966; 32 del 1974; 248 del 1983; 107 del 1994; 173 del 1994; 197 del 1994; 57 del 1995; 356 del 1995; 313 del 1995. Su questa giurisprudenza si vedano le note critiche espresse da A. CERRI, Difesa e contraddittorio nel procedimento, in Giur. cost., 1971, p. 2731 ss.84 Cfr., ad esempio, Corte cost., sentt. nn. 22 e 25 del 1966; 10 del 1980 ma si veda tutta la giurisprudenza ricostruita ed analizzata da C. PINELLI, Art. 97, in G. BRANCA, A. PIZZORUSSO (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1994, p. 58 ss. Più di recente fornisce la stessa interpretazione di quella giurisprudenza R. CARANTA, Art. 97, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, II, Torino, 2006, p. 1892.85 Di “ottimale funzionalità” ragiona significativamente Corte cost., sent. n. 234 del 1985, su cui cfr. G. SCIULLO, Giusto procedimento e localizzazione dei programmi di edilizia residenziale pubblica, in Le Regioni, 1985, p. 440 ss. Peraltro, il rispetto del principio di buon andamento viene tradizionalmente considerato sindacabile solo nei limiti della ragionevolezza-congruità della scelta legislativa (C. PINELLI, ult. cit., p. 97 ss.; ID., Offerte anomale e buon andamento, in Giur. cost., 1998, p. 507, in cui significativamente si afferma che “la sonda del buon andamento resta in superficie”).86 U. ALLEGRETTI, La Corte costituzionale e l’amministrazione: un bilancio al 1981, in ID., Amministrazione pubblica e Costituzione, Padova, 1996, p. 135 ss., part. p. 149, dove si parla di “esangue visione” del principio del buon andamento.87 Argomentato diffusamente, oltre che nelle sentenze prima citate, soprattutto in Corte cost., sentt. nn. 59 del 1965; 212 del 1972; 23 del 1978; 5 del 1980; 7, 91, 148 del 1982; 301 del 1983; 234 del 1985; 48 del 1986; 344 del 1990; 346 del 1991; 103 del 1993 (su cui cfr. S. STAIANO, Lo scioglimento dei Consigli comunali e provinciali nella lotta alla criminalità organizzata tra Corte costituzionale e giudice amministrativo, in Le Regioni, 1993, p. 1674 ss.); 57 del 1995; 210 del 1995; 312 del 1995; 68 del 1998.

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rappresentare “criterio di orientamento così per il giudice come per l’interprete”88, né ha mai messo in discussione che il nucleo fondante del principio risiedesse nel canone audiatur et altera pars89 come criterio oggettivo di esercizio della funzione amministrativa e come strumento di difesa delle posizioni soggettive dei privati. Anzi, con il passare degli anni, proprio l’indisponibilità da parte della p.a. degli istituti partecipativi del procedimento, ormai acquisita al diritto vivente, ha rappresentato il terreno su cui la giurisprudenza della Corte ha poggiato una serie di tentativi, più o meno espliciti, di ricostruire il giusto procedimento come corollario talora del principio di imparzialità90, talaltra del principio di buon andamento91 o addirittura di entrambi92. Insomma, indipendentemente dal fatto che nella giurisprudenza della Corte si voglia cogliere l’affermazione di un rapporto di mera strumentalità93 oppure un rapporto di stretta e necessaria implicazione tra le regole procedimentali di partecipazione ed i principi costituzionali dell’art. 97, non appare irragionevole concludere che è sempre al rispetto formale di tali regole che la giurisprudenza costituzionale guarda per indicare dove va ricercata – e, quindi, verificata – la conformità a Costituzione dell’attività amministrativa.

D’altro canto, la centralità del procedimento in quanto tale nell’attuazione dei principi costituzionali emerge anche in quella giurisprudenza che ha collegato il “giusto procedimento” a norme costituzionali diverse dall’art. 97 Cost. Si pensi, ad esempio, alla giurisprudenza sulla legislazione urbanistica sviluppatasi a partire dalla fine degli anni ‘5094, che riconduce la partecipazione procedimentale alla garanzia costituzionale dei contenuti della proprietà95 ed alla riserva di legge di cui all’art. 42, comma 396. Oppure si pensi alla giurisprudenza che considera il giusto procedimento nell’esercizio della funzione di controllo sostitutivo come corollario dell’autonomia costituzionalmente

88 Cfr. Corte cost., decc. nn. 30, 90 del 1966; 80 del 1969; 175, 209 del 1971; 212 del 1972; 23 del 1978; 7, 83, 204 del 1982; 301 del 1983; 42 del 1984; 234 del 1985; 101, 151, 270 del 1986; 503 del 1987; 45, 235, 331, 513, 971, 1164 del 1988; 381 del 1989; 344 del 1990; 345 del 1991; 37, 393 del 1992; 103 del 1993; 263 del 1994; 57, 210, 312, 408, 505 del 1995; 26 del 1996; 2 del 1997; 68, 316 del 1998; 71, 225, 226 del 1999; 29, 94 del 2000; 429 del 2002; 53 del 2003; 111, 345 del 2005; 103, 104 del 2007.89 Cfr. Corte cost., sentt. nn. 344 del 1990; 103 del 1993 e 57 del 1995.90 Cfr. Corte cost., sentt. nn. 17 del 1991; 197 del 1994. 91 Cfr. Corte cost., sentt. nn. 57 e 126 del 1995. Sulla seconda pronunzia vedi D. SORACE, La disciplina generale dell’azione amministrativa dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Prime considerazioni, in Annuario Aipda 2002, Milano, 2003, p. 26 secondo cui il riconoscimento del fondamento costituzionale del giusto procedimento deriva dalla circostanza che la Corte considera la mancanza delle “garanzie procedimentali a presidio della difesa” lesiva del canone costituzionale del buon andamento.92 Cfr. Corte cost., sentt. nn. 128 del 1995; 103 e 104 del 2007. Più di recente, cfr. Corte cost., sent. n. 161 del 2008, in cui si considera incostituzionale la disciplina della cessazione automatica dell’incarico dirigenziale senza previo accertamento in contraddittorio dei risultati della gestione proprio perché in contrasto con entrambi i principi costituzionali dell’art. 97 Cost., nonché Corte cost., sent. n. 390 del 2008, che giunge ad analoga conclusione in tema di cessazione e revoca dei componenti dei collegi sindacali delle a.s.l.93 Sul punto, cfr. E. DENNINGER, Effetti della giurisprudenza costituzionale sull’amministrazione e sul procedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1986, p. 331 ss., in cui si mostra come, secondo la giurisprudenza costituzionale italiana (sent. n. 298 del 1986) e tedesca, l’imparzialità sia perseguibile anche con altri strumenti, come il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.94 Cfr. Corte cost., sentt. nn. 4 del 1958; 38 del 1966; 55 del 968; 59 del 1968; 5 del 1980.95 Lo evidenziano soprattutto M. LUCIANI, Corte costituzionale e proprietà privata (a proposito della sentenza n. 260 del 1976), in Giur. cost., 1977, I, p. 1362 ss. e G. LOMBARDI, Espropriazione dei suoli urbani e criterio del due process of law, in Giur. cost., 1980, II, p. 481 ss. 96 Corte cost., sent. n. 143 del 1989, che fa propria la felice intuizione di A. M. SANDULLI, Nuovo regime dei suoli e Costituzione (1978), in ID., Scritti giuridici, vol. VI, Napoli, 1990, p. 121-2, secondo cui l’esigenza sottesa alla riserva di legge può essere soddisfatta in caso di legge-provvedimento attraverso il contraddittorio procedimentale.

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garantita agli enti territoriali sostituiti97. Oppure ancora alla nota giurisprudenza che ha esteso il diritto al contraddittorio ai procedimenti amministrativi di carattere contenzioso in forza del principio di proporzionalità nella sanzione98. Oppure, per fare un altro esempio, alla giurisprudenza che ha ricavato dagli artt. 24 e 113 Cost. l’esistenza di una “riserva di procedimento” con diritto di partecipazione nell’iter amministrativo per la determinazione delle tariffe e delle rendite catastali99. Oppure, infine, alla giurisprudenza che ritiene che la riserva di legge di cui agli artt. 23 e 53 Cost. richiede, a pena di incostituzionalità, che la legge predetermini anche i profili essenziali dei moduli procedimentali dell’azione amministrativa, come ad esempio il termine in cui può essere preteso dalla p.a. l’adempimento di una prestazione personale obbligatoria100.

Peraltro, ulteriori conferme della circostanza che secondo la Corte l’amministrazione è tenuta ad erogare le proprie prestazioni di conformità a Costituzione con riguardo essenzialmente al procedimento in quanto tale si traggono da alcune affermazioni giurisprudenziali che esulano dalla stretta tematica del giusto procedimento. In estrema sintesi, significative indicazioni della centralità riconosciuta alla procedimentalizzazione dell’attività amministrativa per il rispetto dei principi costituzionali emergono dalla giurisprudenza costituzionale che:

a) qualifica alcuni aspetti partecipativi della disciplina del procedimento amministrativo come oggetto di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di livelli essenziali delle prestazioni101, implicitamente considerando che il privato ha diritto ad un “giusto procedimento” ancor prima ed indipendentemente dal fatto che ottenga comunque un “giusto provvedimento”;

b) ritiene necessaria una nuova comunicazione di avvio in presenza di fasi procedimentali meramente eventuali che si inseriscono in un procedimento il cui avvio è già stato comunicato102, così considerando le ragioni di economia e speditezza dell’azione amministrativa recessive rispetto alla formale applicazione delle regole partecipative;

c) concepisce il sistema delle conferenze come metodo che caratterizza il procedimento di raccolta, di valutazione e di espressione dei diversi interessi, anche quando non modifica le competenze in ordine ai singoli atti del procedimento (quali pareri, autorizzazioni, concessioni, nullaosta) ed al provvedimento finale103;

d) nega che il silenzio-assenso giustifichi la deroga ad altri istituti del procedimento, ritenendo necessario, in forza degli artt. gli artt. 28 e 97 Cost., che siano esattamente 97 Così, espressamente, Corte cost., sentt. nn. 353 del 2001; 133 del 2005; 397 del 2006.98 Cfr. Corte cost., sent. n. 220 del 1995 su cui A. CERRI, Dalla garanzia del “giusto procedimento” in sede disciplinare al criterio della “proporzionalità”: spunti problematici e riflessioni a partire da un’interessante sentenza della Corte, in Giur. cost., 1995, p. 1648-9.99 Corte cost., sent. n. 211 del 1998, qui secondo l’interpretazione di N. ZANON, La legge di sanatoria non è onnipotente: un’ammissione importante in nome del “giusto procedimento” e degli artt. 24 e 113 Cost., in Giur. cost., 1998, p. 1651 ss.100 Cfr. Corte cost., sent. n. 41 del 1990, nell’interpretazione di M. COMBA, Il fondamento costituzionale del diritto al giusto procedimento in Italia: spunti di riflessione derivanti dalla comparazione con il due process of law statunitense, in S. SICARDI, R. FERRARA (a cura di), Itinerari e vicende del diritto pubblico in Italia. Amministrativisti e Costituzionalisti a confronto, Padova, 1998, p. 224 ss., secondo cui con questa sentenza la Corte riconosce il rango costituzionale del giusto procedimento in relazione ai diritti di libertà ed ai diritti politici quantomeno nella sua accezione base di diritto alla determinatezza dei tempi del procedimento.101 Corte cost., sent. n. 399 del 2006, seppur limitatamente al diritto di accesso. E’, invece, la più recente giurisprudenza amministrativa che ha qualificato le garanzie procedimentali positivizzate dalla l. n. 241 del 1990 quali “principi fondamentali” che attengono “alla tutela dei livelli essenziali dei diritti civili e sociali […] ex art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione” (cfr., ad esempio, TAR Valle d’Aosta Aosta, 12.07.2007, n. 106).102 Cfr. Corte cost., sent. n. 383 del 1996. Di avviso opposto era stato TAR Sicilia Sez. I, 01.03.1995, n. 155.103 Corte cost., sent. n. 79 del 1996.

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individuati l’unità organizzativa ed il soggetto responsabile dell’istruttoria e degli adempimenti finali, di modo che non vi sia differenza sotto il profilo della responsabilità tra atto espresso e silenzio104;

e) considera illegittima la previsione del silenzio-assenso in materia di pianificazione urbanistico-territoriale (non meramente attuativa e esecutiva) perché l’elevato tasso di discrezionalità richiede un procedimento ordinario in tutte le sue fasi105.

4.1 (segue): La logica del “giusto procedimento” a confronto con quella del “giusto provvedimento”: l’assenza di un dialogo tra Corte e g.a. Un riferimento incidentale alle categorie della dottrina giuspubblicistica

In definitiva, pare di poter dire che il rapporto tra diritto costituzionale ed istituti del procedimento e della partecipazione viene ricostruito dal Giudice delle leggi individuando proprio nel rispetto formale delle regole procedimentali il principale veicolo attraverso cui l’amministrazione è tenuta ad assicurare le proprie prestazioni di conformità a Costituzione. E ciò non soltanto con riguardo ai principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità ma anche in relazione alle altre prestazioni di costituzionalità che la Costituzione richiede all’attività amministrativa, come – ad esempio – quelle in materia di garanzia del diritto di difesa, di potestà conformativa del diritto di proprietà, di rispetto dell’autonomia costituzionale degli enti territoriali, di limiti (temporali) all’adempimento delle prestazioni personali obbligatorie, di responsabilità dei pubblici dipendenti, etc… L’espressione più felice per descrivere il filo rosso che si dipana lungo tutta la giurisprudenza costituzionale in materia è probabilmente quella stessa coniata dalla Corte del “giusto procedimento”, a patto che la si attagli a descrivere in termini più generali l’idea che sia principalmente al rispetto formale delle regole del procedimento – non solo a quelle direttamente ed immediatamente partecipative – che bisogna guardare per verificare se l’attività amministrativa è conforme a Costituzione (il che, poi, naturalmente, non vuol dire che ogni provvedimento così formato sia sempre legittimo). In questa prospettiva, la logica del “giusto procedimento” sembra esprimere un’idea non molto diversa da quella che la dottrina che si è occupata della stretta relazione tra garanzia costituzionale del diritto di difesa e regole della partecipazione ha sintetizzato attraverso la formula della “riserva di procedimento”106. Se, infatti, si libera quell’immagine dagli angusti confini dell’anima difensivo-garantista della partecipazione e la si estende anche alla veste del procedimento come canone oggettivo di esercizio della funzione amministrativa, essa viene a convergere con quella logica del “giusto procedimento” che emerge dalla giurisprudenza costituzionale; proprio a descrivere l’idea che è nel procedimento che possono e devono trovare sede le istanze di conformità a Costituzione che l’ordinamento repubblicano richiede all’attività amministrativa. La legittimità costituzionale della cura degli interessi pubblici concreti che si estrinseca nel provvedimento finale è la conseguenza naturale della conformità a Costituzione del procedimento; di talché non si danno, per il diritto costituzionale, provvedimenti legittimi se non dopo procedimenti informati al rispetto delle regole formali della partecipazione, queste intese tanto come criterio di svolgimento dell’attività amministrativa quanto come strumento di tutela della posizioni soggettive dei privati.

Da quanto detto finora dovrebbe apparire sufficientemente chiaro che quella espressa dalla giustizia costituzionale è una prospettiva alquanto diversa da quella che

104 Corte cost., sent. n. 404 del 1997.105 Corte cost., sentt. nn. 408 del 1985 e 26 del 1996.106 N. ZANON, ult. cit., p. 1654.

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emerge dai percorsi logico-argomentativi del giudice amministrativo; diversità certamente legata alla differente conformazione dell’oggetto delle due giurisdizioni, quella amministrativa portata ad indagare la concreta dimensione provvedimentale, quella costituzionale l’astratta configurazione legislativa del procedimento. Attraverso la ricostruzione di quella che si è definita, prendendo a prestito un’espressione dello stesso Consiglio di Stato, logica del “giusto provvedimento”, si è cercato di mettere in evidenza che secondo la giustizia amministrativa la sede eletta in cui devono trovare attuazione i principi costituzionali è fondamentalmente il provvedimento. Il procedimento e le sue regole, soprattutto quelle partecipative, rappresentano un viatico alla miglior cura dell’interesse pubblico concreto107; ma tale percorso è solo tendenziale perché le norme del procedimento devono sempre, nella prospettiva del g.a., poter essere oggetto di una lettura sostanzialistica che permette all’amministrazione di comprimere i diritti procedimentali dei privati quando ciò non pregiudica l’adozione del “giusto provvedimento”. Il diritto costituzionale, detto altrimenti, richiede che il rispetto delle regole formali del procedimento sia sempre filtrato dal crogiolo di istanze che provengono dai concorrenti principi di conservazione degli atti, di strumentalità delle forme, di raggiungimento dello scopo (rectius, del risultato) e di economicità dell’azione amministrativa. Le prestazioni di conformità a Costituzione, di conseguenza, si riversano tutte nell’atto conclusivo del procedimento, al quale bisogna guardare per valutare se l’attività amministrativa si è davvero svolta in maniera costituzionalmente legittima.

Questa radicale diversità di prospettive sembra testimoniare l’assenza di un “dialogo virtuoso” tra Corte e g.a. in ordine all’interpretazione ed all’applicazione degli istituti del procedimento. Le cause di tale “impermeabilità” – che si coglie anche nell’evidenziata tendenza del secondo ad eludere l’obbligo di interpretazione conforme e nella considerazione prevalentemente formale della giurisprudenza costituzionale108 – sono molteplici. Per quanto concerne il tratto ascendente del rapporto, va rilevato che il numero di questioni sollevate dai giudici amministrativi con riferimento alla disciplina generale del procedimento amministrativo appare complessivamente esiguo109, a conferma delle strettoie che caratterizzano l’accesso al giudizio di costituzionalità con riguardo a tutte le norme che investono l’organizzazione ed il funzionamento dei pubblici poteri110. Emblematico il caso delle leggi-provvedimento istitutive di aree naturali protette, in relazione alle quali la Corte ha recentemente affermato una propria giurisdizione assorbente che non fa residuare alcuno spazio per l’intervento del g.a. e che lascia sprovvisti i privati di ogni forma di tutela nei confronti della p.a. per la violazione dei propri diritti di partecipazione procedimentale, attesa la non censurabilità dell’art. 97 Cost. con riferimento ad un iter riferito integralmente alla legislazione111. Inoltre, per quanto riguarda il tratto discendente del rapporto, nella materia in questione non si

107 Regole partecipative che secondo una giurisprudenza amministrativa – e qui si coglie il massimo riallineamento tra le due visioni – devono essere rispettate anche in presenza di attività a ridotto margine di discrezionalità, perché “il semplice motivato rigetto delle osservazioni e controdeduzioni […] contribuirebbe all’emanazione di un giusto provvedimento, indipendentemente dal suo contenuto” (così, in materia di pianificazione urbanistica, CDS Sez. IV, 01.10.2007, n. 5041).108 Dalla lettura della giurisprudenza emerge, infatti, che le sentenze della Corte sono richiamate solo occasionalmente e, per lo più, nella loro parte dispositiva. Come esempio di considerazione “sostanziale” degli argomenti utilizzati dalla Consulta cfr., invece, CDS Sez. IV, 18.10.2007, n. 5433.109 Quanto alla l. n. 241 del 1990, infatti, se si eccettuano le questioni relative alla motivazione, di cui si è detto sub 2.1, si riscontra che ad aver determinato una pronunzia della Corte è la sola questione dell’art. 25, comma 5, in materia di accesso; peraltro dichiarata inammissibile con ord. n. 223 del 2002.110 Già G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p. 226.111 Corte cost., sent. n. 241 del 2008, su cui – per il profilo evidenziato nel testo – sia consentito un rinvio ad A. CARDONE, Nuovi sviluppi (rectius, ritorni al passato) sulle aree regionali protette in tema di riparto di giurisdizione tra Corte costituzionale e giudice amministrativo, in Le Regioni, 2008, p. 1211 ss.

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verifica nemmeno quell’effetto, tipico delle interazioni tra processo amministrativo e giudizio incidentale, per cui la “velocità della normazione sull’esercizio dei poteri amministrativi” favorisce la ripetuta restituzione degli atti al giudice a quo per ius superveniens, consentendo alla Corte di dare “un ausilio collaborativo” al g.a. nell’individuazione della normativa applicabile112. E ciò per la ragione che, tra tutte le norme di organizzazione, quelle sul procedimento e la partecipazione sono tra quelle tendenzialmente più stabili, soprattutto dopo l’introduzione di una disciplina generale come quella recata dalla l. n. 241 del 1990. Da ultimo, si tenga presente che il “dialogo” tra Corte e g.a. non è certamente favorito dalla tendenza del Giudice delle leggi a fare nei confronti del g.a. un uso molto limitato della dottrina del diritto vivente, addirittura disconoscendo che esso si sia formato anche a fronte di un’interpretazione del Consiglio di Stato (come abbiamo visto con riferimento alla motivazione numerica nei concorsi)113.

Rilevato che Corte e g.a. non paiono “dialogare” sui temi del procedimento e della partecipazione, può essere non privo di una qualche utilità verificare se i ricostruiti esiti della giustizia amministrativa appaiono in maggiore sintonia con la dottrina giuspubblicistica che si è occupata del rapporto tra Costituzione e attività amministrativa. Si potrà, infatti, per questa via comprendere se la strada battuta dal g.a. tende a divergere non solo dalle categorie giurisprudenziali ma anche da quelle dottrinarie del diritto costituzionale.

A questo proposito, senza che si possa in queste sede avere la pretesa di confrontarsi con l’amplissima dottrina che si è misurata con il tema del fondamento costituzionale del contraddittorio procedimentale114, pare comunque di poter dire che tutti i numerosi percorsi argomentativi battuti per individuare la radice costituzionale del “giusto procedimento” si stagliano sul condiviso orizzonte rappresentato dal convincimento – mai esplicitamente argomentato e, forse, proprio per questo ancor più radicato di quanto potrebbe apparire a prima vista – che un’attività amministrativa costituzionalmente legittima sia possibile solo se essa si svolge secondo un procedimento idoneo a consentire un pieno ed incondizionato sviluppo della partecipazione del privato. Così, guardano agli istituti della partecipazione procedimentale coloro che ritengono che la crisi di legittimazione democratica della rappresentanza si possa superare solo attraverso l’apertura del procedimento amministrativo115, analogamente a quanti vedono nell’ampliamento dei diritti inviolabili dell’individuo l’imposizione alla p.a. di un vincolo costituzionale di coinvolgimento degli interessati116. Come fanno, del resto, anche coloro che individuano nel procedimento la sede delle istanze garantistiche delle riserve di legge in materia di diritti di libertà117, convergendo di fatto con quanti propugnano l’idea che esso sia la forma tipica di esercizio dell’azione amministrativa (incentrata sulla coppia

112 N. PIGNATELLI, Le “interazioni” tra processo amministrativo e processo costituzionale in via incidentale, Torino, 2008, p. 134 ss. e 162, cui si riferiscono i virgolettati.113 Già A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e diritto vivente, Milano, 1994, p. 400 aveva notato che anche la sola espressione “diritto vivente” ricorre rarissimamente a proposito degli indirizzi consolidati del g.a. Nell’ambito di una ricerca sul seguito delle sentenze costituzionali ed a proposito di quelle interpretative, nota che il mancato rispetto del diritto vivente rende problematici i rapporti tra Corte e giudici comuni, E. LAMARQUE, Relazione illustrativa, in ID. (a cura di), Il seguito delle decisioni interpretative e additive di principio della Corte costituzionale presso le autorità giurisdizionali, in www.cortecostituzionale.it, p. 51. 114 Lo fa di recente L. BUFFONI, ult. cit., p. 280 ss., cui si rinvia anche per gli opportuni ragguagli bibliografici.115 L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico, Padova, 1974, p. 85 ss.116 G. ROEHRSSEN, Il giusto procedimento nel quadro dei principi costituzionali, in Dir. amm., 1987, p. 93 ss.117 G. PUCCINI, La tutela dei diritti di libertà fra riserva di legge e garanzie procedimentali: una ricostruzione della giurisprudenza costituzionale, in Giur. it., 1990, IV, p. 182; ID., I diritti di libertà tra riserva di legge e garanzie procedimentali: un’analisi della legislazione statale, in Diritto e società, 1990, p. 55.

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funzione sociale/diritti della persona)118 e che il medesimo si ponga in rapporto diretto con il principio di uguaglianza sostanziale119. Nella medesima prospettiva, altra parte della dottrina ha visto proprio nella partecipazione procedimentale il luogo in cui si devono inverare i principi costituzionali di buon andamento, come prestazione di completezza e speditezza dell’istruttoria amministrativa120, e di imparzialità, sia come canone di uguaglianza e democraticità121 sia come strumento di emersione degli interessi da bilanciare122. Infine, alla medesima conclusione è giunto anche chi ha valorizzato l’anima “difensivo-garantista” del giusto procedimento, ritenendo che esso sia imposto o dall’estensione del diritto di difesa al di fuori della giurisdizione123 o dalla necessità di garantire il contraddittorio amministrativo per non privare di effettività la successiva tutela giurisdizionale124 oppure ancora dall’avvenuta costituzionalizzazione del giusto processo125.

In estrema sintesi, come per la giurisprudenza costituzionale anche per la dottrina giuspubblicistica è primariamente attraverso il procedimento, ed indipendentemente dalla capacità del provvedimento finale di realizzare il miglior contemperamento degli interessi coinvolti, che l’amministrazione è tenuta ad erogare le proprie prestazioni di conformità a Costituzione, siano esse direttamente riferibili ai principi costituzionali dell’art. 97 oppure ai principi ed alle regole di cui agli artt. 1, 2, 3, 13, 14, 15, 16, 23, 24, 42, 111 e 113 Cost.

5. Le diverse concezioni dell’idea di giustizia sottese all’alternativa “giusto provvedimento”/“giusto procedimento”

Esiste, dunque, una divergenza tra la giurisprudenza amministrativa, da un lato, e la giurisprudenza costituzionale (e la dottrina giuspubblicistica), dall’altro, in ordine all’ubi consistant dei vincoli costituzionali all’attività amministrativa; divergenza che è parso di poter esprimere attraverso la tendenziale contrapposizione tra logica del “giusto provvedimento” e del “giusto procedimento”. Per apprezzare fino in fondo quanto tale divergenza sia un mero dato empirico oppure sia suscettibile di una qualche forma di concettualizzazione, può risultare di un qualche interesse provare ad impostare (difficile fare di più per ragioni di spazio/tempo) una riflessione di ordine più generale che indaghi se i due paradigmi interpretativi dell’art. 97 Cost. presuppongono, o implicitamente rimandano, a diverse concezioni dell’idea di giustizia nell’amministrazione; giustizia qui intesa – per evitare pericolose derive metafisiche o anche solo fraintendimenti – in senso aristotelico come eguaglianza formale e distributiva, ossia come pari trattamento davanti alla p.a. e come pari accesso ai beni della vita cui sono collegati gli interessi pretensivi dei privati. L’operazione merita un tentativo, per quanto abbozzato in questa sede, non (sol)tanto perché – come avrebbe detto Kant – “una dottrina del diritto puramente

118 U. ALLEGRETTI, Pubblica amministrazione ed ordinamento democratico, in Foro it., 1984, V, p. 208.119 F. LEVI, L’attività conoscitiva della Pubblica Amministrazione, Torino, 1967; M. P. CHITI, Partecipazione popolare e pubblica amministrazione, Pisa, 1977, p. 268.120 A. ANDREANI, Il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, Padova, 1979, passim.121 Secondo la fortunata intuizione di C. ESPOSITO, Riforma dell’amministrazione e diritti costituzionali dei cittadini, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, p. 257.122 M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966, p. 67 ss.123 Così L. DE LUCIA, Procedimento amministrativo e interessi materiali, in Dir. amm., 2005, p. 119-20.124 G. ROEHRSSEN, ult. cit., p. 58 ss.125 Spunti si rinvengono in M.C. CAVALLARO, Il giusto procedimento come principio costituzionale, in Foro amm., 2001, p. 1836, nota 23; G. COLAVITTI, Il “giusto procedimento” come principio di rango costituzionale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; G. DE MARTIN, L’amministrazione pubblica e la Costituzione, in www.amministrazioneincammino.it.

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empirica è come la testa di legno nella favola di Fedro”126 ma anche perché appare necessario per lo meno provare a comprendere cosa possa significare l’espressione “giusto” nel contesto semantico utilizzato dalla giurisprudenza.

Il primo obiettivo delle brevi considerazioni che seguono è, dunque, capire se le concrete soluzioni ermeneutiche adottate da dottrina e giurisprudenza per individuare la portata precettiva dell’art. 97 Cost. hanno premesse teoriche differenti. Ciò, peraltro, ha precise ricadute sul piano dell’interpretazione costituzionale perché facendo chiarezza su quali sono le concezioni dell’idea di giustizia che ciascuna opzione presuppone si pone la premessa perché la pratica di qualsivoglia di esse risulti maggiormente consapevole e coerente con il relativo orizzonte teorico. È appena il caso di dire che a tali concezioni si guarda senza alcuna pretesa di esaustività e con la consapevolezza che ogni classificazione è relativizzabile e controvertibile, sia in termini generali che con riferimento al pensiero di ogni autore.

Con tutte le cautele del caso, pare comunque di poter osservare che, nell’ambito di un unico concetto di giustizia come giustificazione normativa di una scelta/azione a partire dalla bontà degli argomenti razionali che la sostengono all’interno di una teoria fondativa dell’assetto politico-sociale127, i paradigmi interpretativi del “giusto provvedimento” e del “giusto procedimento” lasciano trasparire due distinte concezioni dell’idea di giustizia.

Quanto al modello ermeneutico che impone di ricercare la giustizia dell’agire amministrativo nel “giusto provvedimento”, esso sembra rimandare ad una concezione sostanzialistica dell’idea di giustizia; espressione che qui si utilizza per descrivere sinteticamente il tratto qualificante rappresentato dall’assenza di principi di giustizia procedurali e dal convincimento che la bontà di un’azione dipenda dalla bontà del suo risultato. Il paradigma in questione, infatti, assume che esiste un equo contemperamento degli interessi pubblici e privati che, nel caso concreto, può essere considerato “giusto” e che sia compito dell’amministrazione arrivare ad adottarlo, anche indipendentemente dal formale (formalistico, verrebbe da dire) rispetto di un procedimento razionale predeterminato, che ha senso solo in quanto viatico tendenziale per il raggiungimento di quel concreto risultato giusto. Le condizioni di giustizia dell’agire amministrativo riposano, cioè, nel suo risultato finale.

Questa concezione, proprio nella misura in cui presuppone che sia l’esito dell’azione a dover soddisfare le condizioni di giustizia (proporzionalità, adeguatezza e congruenza) e quindi il risultato ad “avvalorare” la procedura e non viceversa, richiama innanzitutto alla mente l’idea classica di giustizia per cui il “giusto” è da considerare un bene morale preesistente e razionalmente desiderabile, cui l’individuo tende attraverso il proprio comportamento virtuoso; comportamento che diventa effettivamente tale solo nella misura in cui dimostra ex post di rendere conseguibile la condizione anelata. È noto come sia per la prima volta nella confutazione della tesi di Trasimaco (che Platone affida al Socrate de La Repubblica) – secondo cui la giustizia corrisponde all’utilità del più forte – che affiora nel pensiero politico occidentale l’idea che la giustizia è il “bene che le persone che aspirano alla felicità devono amare per se stessa e per i vantaggi che comporta”128. Tale bene risiede nel giusto equilibrio tra il senso di giustizia dei singoli e l’ordine della vita collettiva, senza cui “l’anima non potrà compiere bene le proprie

126 I. KANT, La metafisica dei costumi, trad. it. G. Vidari, Roma-Bari, 1989, p. 34, in cui di essa si dice che “può essere bella ma, ahimè, non ha cervello”.127 Leggono in questo il tratto unificante delle teorie della giustizia elaborate dal pensiero filosofico-politico occidentale S. MAFFETTONE, S. VECA, L’idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma, 1997, p. VIII.128 PLATONE, La Repubblica, II, 1, in ID., Opere complete, VI, Roma-Bari, 1993, p. 63 ss., cui si riferiscono anche le citazioni che seguono.

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funzioni, e l’individuo non potrà vivere bene”129; equilibrio che, come afferma Glaucone, si considera raggiunto nella via di mezzo tra quello che il singolo considererebbe solipsisticamente il meglio (commettere ingiustizia senza pagare la pena) ed il peggio (ricevere ingiustizia senza potersi vendicare)130. Ma, come altrettanto noto, è grazie all’Etica Nicomachea di Aristotele che l’idea che l’indagine morale abbia ad oggetto “quale medietà sia la giustizia e di quali estremi il giusto sia il mezzo”131 riceve la prima completa elaborazione teorica attraverso la classica tripartizione tra giustizia distributiva (che riguarda la ricchezza e risiede nell’eguaglianza come proporzione geometrica)132, giustizia correttiva o retributiva (che attiene alle relazioni sociali e riposa nell’uguaglianza aritmetica)133 e giustizia commutativa (che regola gli scambi e si rinviene nell’equivalenza assicurata dalla moneta)134. Il comportamento dell’uomo virtuoso è simile a quello del matematico, le cui operazioni sono strumentali al raggiungimento del risultato esatto; egli è giusto solo se la sua condotta produce giustizia, proprio come per il matematico una formula è corretta se produce il risultato esatto.

Sempre a scopo esemplificativo si potrebbe osservare che il paradigma del “giusto provvedimento” trova dirette ascendenze anche nelle concezioni dell’idea di giustizia dei pensatori classici dell’età moderna, il cui filo conduttore pare rappresentato dal convincimento che il tema fondamentale della giustizia verte su quale forma di giustificazione razionale dell’obbligo politico è in grado di assicurare la stabilità e la sicurezza delle collettività bene-ordinate (per dirla con Rawls). In tutte queste concezioni giusto è ciò che giustifica razionalmente l’obbligo politico. In effetti, tanto nell’elaborazione hobbesiana che concepisce la giustizia come “il volere costante di dare a ciascuno il proprio” sulla base dell’assunto che “il proprio” possa essere generato solo dalla coercizione135, quanto in quella giusnaturalista di Locke che ritiene che la proprietà e le altre condizioni di giustizia preesistano all’ordinamento nello stato di natura136, quanto ancora in quella rousseauviana che considera l’abbandono di quest’ultimo come un decadimento morale137, quanto infine in quella kantiana che considera l’autonomia della morale l’unica condizione del regno dei fini138, il carattere artificiale della giustizia – ossia il suo essere connessa al meccanismo instaurativo dell’obbligo politico e non un bene come per gli antichi – non si traduce mai nell’affermazione della necessità di principi formali di giustizia e la procedura iusgenerativa resta sempre qualcosa “di esterno”. In nessun caso, cioè, essa diventa la sede in cui le condizioni di giustizia devono trovare soddisfacimento. E ciò anche in quei pensatori che, come Hume, rifiutano il paradigma contrattualista in senso stretto ma che, comunque, considerano la giustizia come il frutto artificiale di un

129 PLATONE, La Repubblica, I, 24.130 PLATONE, La Repubblica, II, 2.131 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, V, 1, 1129a-1, in Opere, VII, Roma-Bari, 1988, p. 105 ss., cui si riferiscono anche le citazioni che seguono.132 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, V, 1, 1131b-5.133 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, V, 1, 1132a-1.134 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, V, 1, 1133a-1.135 T. HOBBES, Leviatano, trad. it. A. Lupoli, Roma-Bari, 1992, p. 99 ss.136 J. LOCKE, Trattato sul governo, trad. it. L. Formigiari, Roma, 1995, p. 22 ss.137 J.J. ROUSSEAU, Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra uomini, in ID., Scritti politici, trad. it. M. Garin, Roma-Bari, 1994, p. 173 ss.138 I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, trad. it. P. Chiodi, Roma-Bari, 1990, p. 63 ss., in cui l’esclusiva sottoposizione dell’individuo alla propria legge universale diventa la base per la costruzione del regno dei fini (ossia “l’unione sistematica di diversi esseri ragionevoli mediante leggi comuni”), in cui il diritto può svolgere la propria funzione di accordare l’arbitrio dell’uno con quello dell’altro secondo una legge universale di libertà perché gli uomini si considerano sempre come fine e mai come mezzo.

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processo di istituzionalizzazione che coinvolge più individui e si protrae nel tempo139.Così come, del resto, nella filosofia morale della tarda modernità, la quale

progressivamente sostituisce il tema della giustizia sociale a quello dell’obbligo politico. Tanto, infatti, nell’utilitarismo benthamiano che rinviene la fondamentale condizione di giustizia nella massimizzazione dell’utilità collettiva140, quanto in quello di John Stuart Mill che subordina espressamente la giustizia alla logica del benessere141, l’individuazione dei principi sostantivi di giustizia rappresenta il proprium della teoria morale ed un dato ordinamento è considerato giusto solo se i suoi “contenuti” risolvono la questione dell’allocazione della ricchezza. Se poi si volesse scovare una concezione dell’idea di giustizia anche nel pensiero di Marx, senza considerare la sua stessa ammissibilità preclusa dalla dialettica struttura/sovrastruttura, si riscontrerebbe analogamente che la critica alla “legge bronzea del salario” di Lassalle si traduce nell’elaborazione di una teoria della giustizia distributiva (che ricava il ripartibile a partire dal prodotto sociale complessivo) che ha dimensione esclusivamente sostantiva142.

Profondamente diverso l’orizzonte in cui si muove il paradigma interpretativo del “giusto procedimento”, il quale pare presupporre una concezione eminentemente procedurale dell’idea di giustizia, laddove con l’espressione si intende evidenziare la caratterizzazione concettuale che ad essa deriva dall’essere imperniata su alcuni principi di giustizia formale, il cui rispetto appare necessario per poter addivenire ad una giusta regolazione degli interessi coinvolti dall’azione amministrativa. Tale modello interpretativo, infatti, come si è visto, assume che non sia possibile partorire un provvedimento giusto se non attraverso un procedimento che garantisce la piena e tendenzialmente incondizionata partecipazione dei privati, intesa tanto come difesa delle posizioni soggettive interessate che come canone oggettivo di esercizio della funzione amministrativa. In questa prospettiva, dunque, non esiste un concreto risultato giusto prima e fuori dal procedimento, ma si può addivenire ad esso attraverso il contraddittorio procedimentale nel quale riposano le condizioni di giustizia dell’agire amministrativo.

Questa diversa prospettazione della giustizia nell’amministrazione, nella misura in cui presuppone che sia sempre la procedura che “avvalora” il risultato e non il contrario, richiama alla mente alcune concezioni contemporanee dell’idea di giustizia, le quali hanno tentato di conciliare la fondazione razionale dell’etica con il “fatto” del pluralismo. Segnatamente, essa pare costituire l’ideale complemento di quelle teorie morali che appaiono accomunate dal convincimento che l’unica possibilità razionale ed universale di fondazione etica nei regimi pluralistici contemporanei risiede nel considerare i giudizi di valore come il prodotto di un discorso morale basato su alcuni principi di giustizia. Come noto, con riguardo alla Costituzione come “struttura fondamentale di una società bene-ordinata”, quest’operazione è stata condotta da John Rawls, il quale ha elaborato un celeberrimo modello controfattuale di giustizia procedurale (quello dell’esperimento mentale della “posizione originaria” contraddistinta dal “velo di ignoranza”) che consente di individuare i principi sostantivi di giustizia a partire dalle scelte che “persone libere e razionali, preoccupate di perseguire i propri interessi, accetterebbero in una

139 D. HUME, Trattato sulla natura umana, trad. it. E. Lecaldano e E. Mistretta, in ID., Opere filosofiche, I, Roma-Bari, 1992, p. 511 ss. in cui la stabilità del possesso come condizione dell’obbligo politico non assurge ad oggetto di un contratto sociale ma rimane atteggiamento interiore di consapevolezza cui ognuno si uniforma spontaneamente in forza dell’esperienza.140 J. BENTHAM, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, in F. FAGIANI, L’utilitarismo classico da Bentham a Sidgwick, Cosenza, 1990, p. 127 ss.141 J.S. MILL, L’utilitarismo, trad. it. M. Baccianini e M. Saule, Milano, 1991, p. 78 ss., in cui si sostiene che l’idea di giustizia presuppone una regola che attribuisce un diritto ed il sentimento di vendetta verso chi non lo rispetta.142 K. MARX, Critica al programma di Gotha, trad. it. P. Togliatti, Roma, 1990, p. 7 ss.

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posizione iniziale di uguaglianza per definire i termini fondamentali della loro associazione”143. In riferimento alla legislazione un simile tentativo è stato, invece, posto in essere da Lon Luvois Fuller, che ha censito, attraverso otto principi di procedura normativa, la Inner Morality of Law (la morale interna del diritto), qualificando la medesima come un aspetto della più ampia morale dell’intenzionalità, che descrive l’atteggiamento dell’“aspirazione alla perfezione nella giuridicità”144; concetto quest’ultimo poi – come noto – duramente criticato da Hart che lo accusò di confondere la moralità del diritto con l’efficacia delle norme145. Infine, un’operazione analoga è stata compiuta in relazione alla funzione giurisdizionale da Robert Alexy, che – nell’ambito della sua critica antipositivistica alla Trennungsthese (separazione tra diritto e morale) – ha affermato la nota tesi della portata assiologica dei principi o della coincidenza tra principi e valori, sostenendo, all’esatto opposto di Dworkin per intendersi146, che i primi al pari dei secondi non hanno alcuna validità universale e devono essere bilanciati attraverso una procedura discorsiva dell’argomentazione razionale in cui si verificano e si realizzano le pretese di correttezza avanzate da ogni norma per la soluzione del caso concreto147.

Come si avvertiva, la concezione dell’idea di giustizia sottesa al paradigma del “giusto procedimento” si presenta per più versi come l’ideale completamento, con riguardo alla funzione amministrativa, dell’orizzonte teorico fin qui sommariamente evocato. Essa, infatti, condivide con le concezioni richiamate l’assunto di fondo che la procedura è la condizione necessaria ed imprescindibile per il raggiungimento della giustizia sostantiva e che, quindi, la giustizia di un sistema morale si deve appuntare sulle sue regole e non sui suoi esiti. Come le “parti della posizione orignaria” di Rawls, “il legislatore morale” di Fuller, il “giudice del bilanciamento” di Alexy, così l’“amministrazione giusta” deve garantire il rispetto di una procedura, la cui condizione di giustizia fondamentale è la partecipazione e senza la quale non è nemmeno pensabile – appunto nella prospettiva di una concezione etica razionale ed universale – che la funzione amministrativa produca un risultato giusto. In relazione a tale obiettivo, però, la procedura non è da sola in grado di garantire la certezza del risultato perché, come osserva Rawls148, il proceduralismo puro appartiene al mondo della controfattualità, della fictio philosophica, mentre nel mondo delle istituzioni giuridiche dominano, come dato d’esperienza, l’incostanza e l’irrazionalità149. In ciò si coglie, peraltro, la diversità di prospettiva rispetto ad Habermas, che non è stato fin qui richiamato solo perché la sua concezione procedurale pura della giustizia, attraverso il consenso e – nel caso delle norme giuridiche – attraverso la negoziazione ed il compromesso150, considera sempre il

143 J. RAWLS, Una teoria della giustizia, trad. it. U. Santini, Milano, 1982, p. 27.144 LON L. FULLER, La moralità del diritto, trad. it. A. Dal Brollo, Milano, 1986, p. 59 ss.145 H.L.A. HART, Il positivismo e la separazione tra diritto e morale, in ID., Contributi all’analisi del diritto, a cura di V. Frosini, Milano, 1964, p. 258, in cui si afferma che gli otto principi di Fuller non hanno natura morale più di quanto lo abbia “il tenere un chiodo dritto per poterlo colpire bene”.146 R. DWORKIN, I diritti presi sul serio, trad. it. G. Rebuffa, Bologna, 1982, p. 93 ss.; ID., L’impero del diritto, trad. it. L. Caracciolo, Milano, 1989, passim; ID., Questioni di principio, trad. it. S. Maffettone, Milano, 1990, passim.147 R. ALEXY, Concetto e validità del diritto, trad. it. F. Fiore, Torino, 1997, p. 34.148 La cui riflessione, sotto questo profilo, è accomunabile a quella di Fuller e Alexy (sul punto cfr. A. PORCIELLO, Diritto Decisione Giustificazione. Tra etiche procedurali e valori sostanziali, Torino, 2005, p. 59 ss., 103 ss., 126 ss.).149 Il mondo del diritto è, invece, il regno della giustizia procedurale “imperfetta”, che si differenzia da quella “pura” (quella della posizione originaria o del gioco d’azzardo) perché è verificabile solo con un criterio indipendente di riferimento ma anche da quella “perfetta” perché, pur non essendo autoreferenziale, è necessaria ma non sufficiente a garantire il risultato giusto (J. RAWLS, ult. cit., p. 85 ss.).150 J. HABERMAS, Fatti e norme, cit., p. 490-6 e 543-4.

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discorso razionale che avviene nel rispetto dei principi dell’agire comunicativo151

sufficiente per produrre un risultato giusto, anche nella fattualità152.Il tema dell’autosufficienza dei principi formali di giustizia rappresenta, come noto,

lo scoglio su cui si sono arenate le concezioni dell’etica procedurale contemporanea, sottoposte alla sempre più dura critica anti-universalistica di aver estromesso la “persona” e la sua naturale tendenza alla virtù dal governo delle procedure, di aver negato il flourishing (fioritura) dell’individuo, tanto con riferimento ai fini nobilitanti che le sue azioni devono perseguire153, quanto alle sue scelte di vita virtuosa (di “vita buona”, di ricerca dell’eccellenza). Critiche, queste ultime, che provengono sia da quanti ritengono che tali scelte siano giustificabili razionalmente solo in relazione alle tradizioni di una data comunità in un dato momento storico154, quanto da coloro che limitano la giustificazione razionale al carattere individuale come sfera emotiva ricognitiva delle “contingenze interne”155.

Per fortuna non tocca a chi scrive, soprattutto in questa sede, riflettere sulla capacità delle concezioni procedurali della giustizia di superare le obiezioni, fondamentalmente aristoteliche156, dell’“etica della virtù” di economisti, comunitaristi ed essenzialisti o, al contrario, dire quanto la loro rinunzia all’universalismo etico sia conciliabile con la fondazione razionale della morale157, né dirimere la disputa teoretica sulla reale alternatività tra giustizia formale e giustizia sostantiva158. Ciò che lo studioso di diritto costituzionale può dire è che, pur nella loro problematicità e nell’incertezza dei confini che le separano, le concezioni sostanzialistiche e proceduralistiche dell’idea di giustizia rischiarano lo sfondo teorico in cui si muovono i paradigmi interpretativi del “giusto provvedimento” e del “giusto procedimento”.

Tale acquisita consapevolezza, naturalmente, non vale di per sé a determinare una scelta tra i due modelli ermeneutici dell’art. 97 Cost. proposti dalla giurisprudenza. Vale,

151 Ossia fra persone libere e razionali che sono orientate a comprendersi ed a raggiungere un consenso solo in forza della bontà delle proprie argomentazioni (J. HABERMAS, Teoria dell’agire comunicativo, trad. it. P. Rinaudo, I, Bologna, 1986), anche accettando la completa reversibilità della propria prospettiva (ID., Etica del discorso, trad. it. E. Agazzi, Roma-Bari, 1985, p. 130).152 J. HABERMAS, Fatti e norme, cit., p. 406, ma si veda sul punto la critica di M. ROSENFELD, Interpretazioni. Il diritto tra etica e politica, trad. it. G. Pino, Bologna, 2000, p. 226-7.153 A. SEN, Etica ed economia, trad. it. S. Maddaloni, Roma-Bari, 2002, p. 100 ss., in cui attraverso la teoria dei giochi (e segnatamente il “dilemma del prigioniero”) si dimostra che nel neocontrattualismo rawlsiano gli individui della posizione originaria non cooperano tra loro perché attribuiscono un valore al cooperare ma per massimizzare la propria utilità individuale.154 A.C. MACINTYRE, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, trad. it. P. Capriolo, Milano, 1988, passim, part. p. 232-3 e 262. 155 M.C. NUSSBAUM, La fragilità del bene: fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, trad. it. M. Scattola, Bologna, 1996, p. 47 ss., dove la tesi è sviluppata a partire dalla Nemea di Pindaro.156 È fondamentalmente H. GADAMER, Verità e metodo 2, trad. it. R. Dottori, Milano, 1996, p. 363 ss. che esplicita il legame tra sapere morale della phronesis ed impossibilità del pensiero pratico di conoscere in anticipo le proprie regole e procedure. Sull’interpretazione gadameriana di Aristotele, e sulla sua riconducibilità alla tradizione filosofica “continentale”, cfr. F. D’AGOSTINI, Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent’anni, Milano, 1997, p. 192.157 Dubbio alimentato da uno dei primi e più originali autori della trasposizione etica del metodo economico, ossia E. JUVALTA, I limiti del razionalismo etico, a cura di L. Geymonat, Torino, 1991, p. 180 ss., il quale definisce l’idea di una diceologia pura “arbitraria, oziosa e, in ogni caso, monca”.158 Si pensi alla celebre polemica mossa al proceduralismo puro di Habermas da Rawls, secondo cui l’opposizione tra giustizia procedurale e giustizia sostantiva è fuorviante perchè non c’è modo di verificare il rispetto delle condizioni formali di giustizia se non attraverso l’indagine sulla giustezza degli esiti della procedura (cfr. sul punto A. FERRARA, Giustizia e giudizio, Roma-Bari, 2000, p. 46-7, nonché la difesa dell’ammissibilità di un proceduralismo puro anche in presenza di norme sostanziali di M. ROSENFELD, ult. cit., p. 201).

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però, a dimostrare – ed è questo un secondo intermedio risultato degli studi fin qui condotti – che per poter addivenire ad una conclusione di questo tipo (che, poi, per il giurista è la più importante) è necessario fare ricorso ad una teoria dell’interpretazione costituzionale che, stante il pluralismo delle concezioni dell’idea di giustizia incorporate nei due paradigmi interpretativi, consenta di individuare una interpretazione cui tutti possano aderire a partire dalle proprie concezioni individuali. Solo, infatti, nell’ambito di una teoria interpretativa che considera il pluralismo non solo un “fatto” ma lo specifico dover essere degli ordinamenti costituzionali contemporanei sarà possibile verificare quale delle concezioni dell’idea di giustizia è maggiormente corrispondente al sollen del pluralismo e concludere che deve essere scartata l’interpretazione che presuppone un orizzonte teorico ad esso estraneo. E ciò con ogni conseguenza sul diritto positivo. In particolare, se dovesse risultare che solo le concezioni procedurali sono compatibili con la dimensione pluralistica delle costituzioni contemporanee, allora ne deriverebbe l’incostituzionalità del paradigma del “giusto provvedimento” e dello stesso art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 per violazione dell’art. 97 Cost.; incostituzionalità che potrebbe, allora, essere affermata su basi ben più solide di quelle relative alla prospettata violazione dell’art. 113, comma 2, Cost.159 e di quelle risultanti dall’evidenziato contrasto della logica del risultato con la giurisprudenza costituzionale.

Le conclusioni raggiunte in questa sede in ordine ai divergenti paradigmi interpretativi dell’art. 97 Cost. che emergono dal raffronto tra giurisprudenza costituzionale ed amministrativa rappresentano, dunque, più che altro delle premesse; premesse il cui sviluppo sembra meritare un ulteriore sforzo da parte della riflessione costituzionalistica.

159 Cfr., ad esempio, E. FOLLIERI, Il modello di responsabilità per lesione di interessi legittimi nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, in Dir. proc. amm., 2006, p. 30; D.U. GALETTA, L’art. 21-octies della novellata legge sul procedimento amministrativo nelle prime applicazioni giurisprudenziali: un’interpretazione riduttiva delle garanzie procedimentale contraria alla costituzione e al diritto comunitario, in Foro amm. (supplemento al n. 6/05), 2005, p. 91 ss. In realtà, la contrazione della tutela costitutiva di annullamento non pare in contrasto con l’art. 113, comma 2, Cost. per una serie di motivi: 1) perché il provvedimento, come visto, può essere considerato legittimo o sanato; 2) perché l’attenuazione del principio di legalità andrebbe comunque bilanciata con altri principi costituzionali (ragionevolezza, buon andamento, conservazione dei valori giuridici); 3) perché al privato resta sempre la tutela risarcitoria. Su questi argomenti cfr. G. MORBIDELLI, Procedimento amministrativo e partecipazione, in www.giustamm.it; G. DELLA CANANEA, Il diritto di essere sentiti e la partecipazione, ivi; D. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2005, p. 355.

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