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A Martino e Irene. A tutti i bambini e le bambine presenti a Genova. Alle bambine e bambini che sognano e sogneranno un mondo migliore

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Page 1: A Martino e Irene. A tutti i bambini e le bambine presenti ... · Gli autori ringraziano ... dell’11 settembre valgono non solo perché ci hanno ... la stessa logica ma anche talvolta

A Martino e Irene.A tutti i bambini e le bambine presenti a Genova.

Alle bambine e bambini che sognanoe sogneranno un mondo migliore

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Bonaventura è per l’abolizione del neoliberismo e di ogni formadi ingiustizia. E’ quindi contro il copyright intellettuale così comeè contro ai traffici di brevetti, alla biopirateria delle multinazionalifarmaceutiche, ai TRIPs e ai software commerciali nonopensource. I contenuti dell’opera sono riproducibili in parte oper intero e l’autore ne auspica la diffusione con ogni mezzo adisposizione. Non è consentita la diffusione a scopi commerciali.La cultura non può essere una proprietà letteraria riservata e idiritti sono soprattutto quelli di avere tutte casa, acqua, cibo,istruzione nella propria lingua, cure mediche, pace, democrazia.I contenuti non possono essere pubblicati da chi non si ricono-sce nell’anti-razzismo, nell’anti-sessismo e nell’anti-fascismo. E’gradito comunque un preavviso all’autore. Gli autori ringrazianochi ci aiuta nella diffusione e promozione, questo libro non usainfatti i canali classici dell’editoria, ma si basa su chiacchiere fraamici e nei bar, email nell’etere, fanzine e dibattiti.

Istruzioni per l ’uso

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Finito di stampare nel mese di novembre 2004presso la tipografia Grafiche Speed 2000via Liguria 4 Eschiera Borromeo - MILANO

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volta la cartaskegge di altra/informazione su zone rosse,

neoliberismo, ribellioni

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“Prima vennero ad arrestare i comunisti, ma io non erocomunista e non dissi nulla. Poi vennero per i socialde-mocratici, ma io non ero socialdemocratico e non fecinulla. Poi vennero per i sindacalisti ma io non ero sinda-calista. Poi vennero per gli ebrei ma io non ero ebreo efeci pochissimo. E allora, quando vennero a prendereme non c’era più nessuno che si levasse a difendermi”.

Martin Niemöller 1892-1984,pastore protestante

“Non fa male morire, la cosa peggiore è l’oblio”.

Marcos, Subcomandante insurgente dell’EZLN

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L’uso del femminile per indicare entrambi i sessi non è casua-

le. La grammatica ha aiutato a nascondere il maschilismo,

universalizzando e desessualizzando le differenze di genere.

Ci auguriamo che al cambio grammaticale corrisponda un cam-

bio sostanziale nelle relazioni tra i sessi.

***

Ringraziamo Piero P., Diego L., Laura C., Romano M., Andrea

L., Paola B. per la paziente lettura, i numerosi consigli e gli

incoraggiamenti. Ringraziamo anche Dino T. e Donato V. per

gli aiuti nell’autoproduzione.

ringraziamentie una precisazione

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NON INTRODUZIONE

Se l’introduzione costituisce un atto di tirannia con cui l’autoredetta i modi di interpretazione della sua opera questa non èun’introduzione.

Non è un’opera. E’ un lavoro collettivo di taglia e incolla. Di rita-gli di giornali, citazioni di libri, tutte cose già dette, insomma.Nulla di nuovo. Un j’accuse collettivo. Un domandarsi cammi-nando, un tentativo di farsi le giuste domande. Di iniziare a for-mulare delle possibili risposte.

Non c’è un autore. È un lavoro collettivo, tante mani, tante idee.Internet, libri, giornali, riviste, foto, dialoghi, contraddittori, liti,consenso. Trovare il consenso non è facile, anche se si è po-chi. E poi ricopia, riscrivi, ripeti. Dove è la fonte? Chi l’avevadetto? Per ogni affermazione un riferimento, una verifica. Unlavoro che potrebbero e dovrebbero fare molte persone chelavorano nei gruppi che oggi vogliono costruire un’alternativa alneoliberismo. Questi gruppi riproducono invece spesso quellaseparazione tra pratica e teoria che vorremmo abolire. Alle vol-te all’interno del gruppo stesso, altre volte si formano gruppidelegati alla funzione di intellettuali o esperti della comunica-zione. Ci muoviamo ancora schizofrenicamente trapragmatismo e idealismo. In internet ci sarebbe molto ma troppagente non lo usa, non socializza le conoscenze, se la prendecon la televisione, quasi che la televisione possa mai dire qual-cosa di vero, oppure nascono i mediattivisti.

Allora tutto quello che sai è falso? No, semplicemente la veritàè inflazionata. Teorizzare che sull’11 settembre non ci sarà maiuna verità è ciò che non vogliamo fare. La verità esiste perchéalcuni fatti sono successi: a Carlo Giuliani o si è sparato inten-zionalmente oppure no. Prima dell’11 settembre l’amministra-zione Bush sapeva e non ha agito (o ha facilitato) oppure no.Non si potrà scoprire tutta la verità ma nemmeno mettere fin

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dall’inizio ogni verità sullo stesso piano. O peggio rimanere inun eterno gioco di verità. È in questo conflitto di interpretazioniche dobbiamo agire, non creare novelle di fantascienza o difantapolitica. Affiancare tante verità è ciò che già fa questa no-stra società dello spettacolo, dove ogni cosa può essere verapurché rimanga nel grande show o talkshow, nella chiacchierainsomma. Dai fatti alle spiegazioni, con metodo induttivo, sia-mo arrivati ai perché di troppe domande ancora senza rispo-ste. Mettere in luce le contraddizioni delle bugie è compito es-senziale per chiarire la verità. L’oscuramento di Indymedia di-mostra che chi lo fa davvero rischia.

Non c’è una interpretazione. Vogliamo fare un esercizio collet-tivo di memoria perché anche la stampa alternativa e le di-scussioni politiche di sinistra rincorrono i fatti e, così facendo,dimenticano: il passato prossimo diventa passato remoto.Memoria non cronaca quindi. Un quadro in cui si abbozzanodomande, percorsi aperti, non schemi per chiudere. Non sin-tesi. Il fatto è confuso con l’interpretazione dalla società dellospettacolo che non si chiede mai perché: ogni fatto è purointrattenimento destinato a scomparire nel giro di pochi giorni.Compito dei mass-media è produrre uno stato di torpore dellecoscienze, un vero e proprio annullamento progressivo, unsenso di frustrazione, una distruzione della memoria, unnichilismo e una astensione dalla vita attiva, un azzeramentodella capacità critica insita nel “perché” di ogni bambina. L’al-ternativa non è la Tv alternativa ma la ripresa della ricerca atti-va e collettiva in prima persona, azione politica prima di qua-lunque teoria, diffusione dal basso, chiacchierata, dialogo, pa-rola, discorso.

Siamo partiti dalle nostre paure e dai nostri sogni. Genova nonha finito di spaventarci e già c’era l’11 settembre. Non dimenti-chiamoci questo. Ci siamo chiesti se ciò che ci spaventava esvegliava nel sonno non avesse qualche ragione comune. Sequesti due avvenimenti avessero in comune solo il fatto di spa-ventare i nostri sonni. Abbiamo interrogato i sogni belli e brutti,

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perché il sonno della ragione genera mostri, ma i sogni belligenerano utopie e le utopie guidano l’essere umano verso lagiustizia. Da svegli è meglio esercitare il pensiero affinché nonci tolgano la parola. Così siamo partiti da noi.

Abbiamo solo tradotto. Tradotto saggi, linguaggi, lingue, con-cetti, fraintendimenti. Nulla di originale, se non il fatto di tradur-re, contaminare saperi. Perché oggi tradurre è l’attività fonda-mentale per creare rete, e la rete è lo strumento per erodere lesedie del potere, per fare cascare il potere. Abbiamo indicato ilink, le fonti, i richiami, affinché ciascuna possa tradurre comemeglio crede. Ci siamo autoprodotti affinché quest’opera di tra-duzione possa servire ad altre traduzioni. Sperando che passidi bocca in bocca, di mano in mano, senza distributori com-merciali. Il lavoro di traduzione è come quello del ragno. Nell’at-tesa tessiamo, qualcuno prima o poi ci cadrà.

Vediamo zone rosse ovunque. Siamo paranoici? Oppure oggiil neoliberismo si sta imponendo al mondo? Lo stato di ecce-zione è la nuova norma? La guerra è la pace. Le zone rosse diGenova e dell’11 settembre valgono non solo perché ci hannocolpito direttamente, ma anche perché paradigmatiche. Pen-siamo che sia dalla spiegazione di qualcosa che ci ha colpitoche si debba elaborare collettivamente interpretazioni delle al-tre zone rosse e di quello che ci sta succedendo. C’è qualcosache spiega le analogie tra Genova e New York? Forse il fattoche le catene legittime di comando siano saltate non ci indicaqualcosa? Forse le azioni nell’ombra di polizie imperiali nonsono simili nelle sempre più numerose zone rosse del piane-ta?

Zone rosse. Chiusura del tribunale a Genova. Assenza di tribu-nale a Guantanamo. Generali sudamericani che rivendicano diaver anticipato le tecniche per combattere il terrorismo. Ricor-date la tecnica della desaparicion. Irak 2004. Dubbio e memo-ria: il terrorismo non era di stato? Qual è il terrorismo nell’epo-ca della globalizzazione?

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Zona rossa, un nome dato da loro. Parla la nostra controparte:chi nella Cia nega che Bin Laden sia responsabile dell’11 set-tembre. Parlano le voci non troppo ascoltate di chi conduce lecontro-inchieste a Genova e dice che chi sparò e uccise eraun soldato della polizia dell’impero, uno di quei corpi dipeacekeeping. Parlano le verità nascoste o lasciate in silenzio,parlano da sole moltissimo le bugie ufficiali, che, come la sag-gezza popolare insegna, hanno sempre le gambe corte.

Zone rosse, confusione. “Amalgama tra civile e militare nel cam-po del controllo e repressione dei nuovi nemici globali”. È lapolizia globale. Tanta confusione, tanti nemici globali, tanta pa-ura. E sempre più confusione tra civile e militare, polizia edesercito. Eravamo a Genova e questa confusione la rivediamoben peggiore oggi in Irak. Quanti carabinieri che erano a Geno-va, sono oggi a Nassiriya? E quanti erano in Somalia? Chi sonoi tour operator?

Zona rossa, realtà globale. Realtà culturale perché è militare lacultura della sicurezza che oggi prevale in occidente e sul pia-neta, quella polizia teorizzata già agli albori dello stato moder-no. L’11 settembre ha conferito dignità strategica a questa cul-tura sicuritarista, cultura che si è affermata da almeno un de-cennio, quando iniziò la quarta guerra mondiale, quella delneoliberismo all’umanità. Perché il neoliberismo è essenzial-mente guerra di tutti contro tutte, tentativo di distruzione del-l’umanità.

Zone rosse, offuscamento. Immagini che nascondono. BinLaden che occulta le menti. A Genova spaventati. Il terrorismoviene inventato. Diventa alibi. La Reuter fa girare l’immaginezoomata di Carlo Giuliano che attacca gli indifesi poliziotti. L’im-magine nasconde l’omicidio di Carlo, le altre immagini vengo-no fatte sparire dai carabinieri. La Reuter però non vuole utiliz-zare il termine terrorismo. Per fortuna c’è sempre un filo diluce, una contraddizione che lascia spazio. Per fortuna soprat-tutto ci sono anche altre foto e una versione diversa dell’omici-

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dio di Carlo Giuliani.

Zona rossa contro il terrorismo. A Mumbai non si parla di terro-rismo. Qualcuno negli Usa inizia a dire che il terrorismo è statoesportato. Il terrorismo come Bin Laden in realtà non esiste. Omeglio il terrorismo islamico è sempre servito e ancora serveagli interessi statunitensi in Asia. Non si tratta di opporsi allaguerra (statunitense) e al terrorismo (islamico) perché sono lastessa cosa, un fronte legale-illegale, ma sempre criminale.Non solo la stessa logica ma anche talvolta le stesse linee dicomando, le stesse persone. Così come culturalmente ilfondamentalismo cristiano, sionista e musulmano si alimenta-no a vicenda in una perniciosa spirale. Sono loro che voglionofarci credere di essere nemici, che esista uno scontro di civil-tà. In realtà le guerre sono sempre più dall’alto verso il basso.

Zona rossa messa a fuoco. Tra mirini e obiettivi. Perché lacultura di polizia e il bisogno di sicurezza si produce con l’opi-nione pubblica che altro non è che l’effetto della messa a fuocotelevisiva. La paura genera tiranni, la tirannia si nutre di paura,il neoliberismo si regge sulla paura.

Zona rossa. Un ex capo della Cia diventa presidente. Un excapo del Kgb diventa presidente. Uno specialista della contro-insurrezione è ambasciatore in Irak. Ma non era finita la guerrafredda? Un manipolo di criminali di guerra giunge al potere eistituisce tribunali speciali per rinchiudere i “combattenti illega-li”. I combattenti legali sopravvissuti li trovate nei parchi natura-li: vengono chiamati nativi. Altri recinti, altre zone rosse. O nellecarceri: latini, neri. Carceri, internamenti di eretici e lebbrosi,manicomi. Zone rosse, la storia dell’Occidente è però anchestoria di resistenza della dignità e della memoria.

Stupido che vedi la paglia nell’occhio altrui e non la trave chehai nel tuo occhio. Il fondamentalismo cristiano detta i ritmi dellapolitica statunitense, quello sionista lo sterminio dei palestinesi.Eppure l’islamofobia regna sovrana in occidente, ogni

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musulmano sarebbe fondamentalista, ogni fondamentalistaterrorista. Già nel XVIII secolo era chiaro il valore supremo del-la religione per la polizia: “perché se la religione viene osserva-ta tutte le altre parti della polizia saranno compiute”. Bush con-sacrò la guerra duratura “contro il terrorismo” in una cattedra-le.

Zona rossa: recinzione della parola. Lo stesso ex vicepresidentedella Banca Mondiale Stiglitz ammette che questo modello eco-nomico produce violenza e sembra ridire “no justice, no peace”,senza giustizia sociale non c’è pace. È per la convergenza delmovimento pacifista sulle critiche del movimento di Seattle chequesti appunti sono stati scritti. Per contribuire ad aprire undialogo: dal basso, tra la gente. Togliere dei recinti a luoghi co-muni. Il no alla guerra è un no al neoliberismo. Il no alneoliberismo è un no alla guerra. Le alternative devono cre-scere insieme.

Zone rosse, storie di silenzi, omissis, bugie e omicidi di stato.Da Portella della Ginestra a Genova passando per Piazza Fon-tana. Le bugie e i nascondimenti mostrano che qualcosa danascondere esiste, perché la verità può essere inflazionata daimedia, ma esiste, esiste anche se in qualche porto sepolta.Tocca a noi portarla alla luce affinché la dignità che ha lottatonon sia oggi morta invano.

Nessun pensiero, nessuna teoria ci può aiutare a erodere ilpensiero unico. È invece la contaminazione di più pensieri e dipiù margini. Di frammenti mossi da amore, tenera passioneper la giustizia tra gli esseri umani. Pluralità, diversità, conta-minazioni. Eppure per noi la scrittura collettiva ci ha riportato aldover trovare il minimo comune denominatore, a tessere. È inquesto stretto necessario che passa la lotta per costruire un’al-ternativa.

Per i nostri figli e non per i nostri nipoti. Opporsi alla pedagogiadella guerra significa riscrivere gli ambiti della nostra esperien-

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za di vita sotto il segno di una “pedagogia della pace e dellaribellione”. Un profondo sforzo collettivo di decolonizzazionedell’immaginario perché i bambini e le bambine hanno diritto adivertirsi stando l’una con l’altro, a vivere a partire dai loro desi-deri. Gli adulti e le adulte hanno il diritto di dormire le loro notti enon di soffrire insonnie paure ed angosce, quando non famesete e freddo. Non dobbiamo accumulare per i nostri nipoti. Lealternative sorgono da ogni ambito dell’esperienza quotidiana.

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Dal tramonto del socialismo allazona rossa di Genova

In questo capitolo cercheremo di mostrare come la teoria razzista eminoritaria dell’estrema destra statunitense, in seguito alla crisi delsocialismo, sia diventata l’arte di governo neoliberista e,globalizzandosi, si sia radicata nella cultura e nelle pratiche dei poteridi destra così come di sinistra durante gli anni novanta. Citeremo perquesto i passaggi fondamentali e alcuni avvenimenti per farne ogget-to di memoria collettiva. Vedremo poi come questa logica statuniten-se sia in realtà la logica del sapere politico oggi dominante, quellodell’economia politica. Il richiamo alle analisi di Foucault su stato,neoliberismo, popolazione, territorio e polizia ci permetterà di disloca-re l’analisi sul piano della produzione sociale della richiesta di sicurez-za, cogliendo quelle linee di tendenza dell’occidente che erano già inparte contenute nel concetto di polizia agli albori dello stato moderno.La criminalizzazione dei migranti rafforza un maggiore controllo dellaforza lavoro clandestina, che ottiene il permesso di uscire dalla clan-destinità da quel micropotere esercitato nella relazione personale conil proprio padrone. L’esigenza di bonificare i quartieri da clandestini,prostitute e tossici è il terreno su cui, attraverso la produzione mass-mediatica dell’opinione pubblica, si è imposta la cultura delsicuritarismo. Parallelamente la polizia come corpo armato di preven-zione e repressione si è evoluta assumendo quei caratteri postmoderniche hanno fatto cadere alcune distinzioni tra polizia e militare. E’ suquesto terreno che si è aperto lo spazio politico dello stato di eccezio-ne in cui la polizia può agire fuori da ogni controllo proprio perchésoddisfa una richiesta sociale. E’ questo il terreno su cui si è prodottain silenzio la convergenza del militare verso la polizia e della poliziaverso il militare. Il corpo italiano dei carabinieri, un corpo di confine tramilitare e polizia, ha potuto agire impunemente a Genova perché lazona rossa era stata preparata. A Genova tutto partì con la chiusuradei negozi e con la chiusura del tribunale: l’ansia sicuritarista dellagente e l’abbandono della città furono le premesse per lo stato d’ecce-zione in cui operarono le forze di polizia.

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Dallo stato sociale allo stato penale

Nel novembre 1989, con la caduta del muro di Berlino, cadevanon solo il comunismo ma anche qualsiasi progetto socialde-mocratico. Secondo un grande intellettuale parigino, PierreRosanvallon, “la socialdemocrazia ha guadagnato intellettual-mente dopo la caduta del comunismo ma ha perso la sua iden-tità e la sua capacità di esistere come programma di riforme.”1

In effetti oggi appare chiaro non solo che la rivoluzione sovieti-ca del 1917 ha completamente esaurito la sua spinta propulsivasui movimenti di liberazione, ma che anche i programmi di ri-forme sociali non esistono più tra i partiti politici. Oggi le spintedi liberazione non si alimentano più di quell’utopia di cui si ali-mentarono socialismo, socialdemocrazia e comunismo nelNovecento.

Questioni centraliper capire i cambia-menti politici a livelloglobale dopo il 1989sono quelle che ri-guardano il ruolo del-lo stato e la crisi delmovimento operaio.2

Con il neoliberismolo stato ha perso ilruolo di mediatoredei conflitti sociali ele nuove parole d’or-dine dei governi disinistra europei sonostate “libero merca-to” e “sicurezza”. Rutelli - leader dello schieramento di centro-sinistra italiano - aveva inaugurato la campagna elettorale del2001 sotto il segno della sicurezza, alimentando così la falsaidea di destra che l’insicurezza sia da addebitare ai migranti eclandestini e non alla precarizzazione del lavoro.

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Uno dei maggiori partiti comunisti europei - il Pci - fu sciolto nel1990 per confluire in una futuribile “cosa” che avrebbe dovutounirlo nella seconda internazionale ai cugini socialisti del parti-to socialista - Psi. Il Psi si scoprì poi essere uno dei partiti poli-tici europei più corrotti, il suo leader, Craxi, scappò in esilio, iquadri del partito si distribuirono equamente in quelli che sa-rebbero diventati i due schieramenti elettorali: il centro destra eil centro sinistra. Una decina di anni più tardi il laburista ingleseTony Blair, continuatore delle politiche di Margaret Tatcher, ab-bracciò prima D’Alema e due anni dopo Berlusconi. Quegli ab-bracci a destra e sinistra segnavano il patto per la flessibilità,ovvero per la precarizzazione dei diritti del lavoro, in nome del-la libertà di impresa. In realtà mentre la retorica culturale parla-va di fine del comunismo e delle ideologie, si consumava inEuropa la fine delle socialdemocrazie. E’ proprio sulle questio-ni chiave del post 1989, ovvero la questione dei diritti del lavoroe dei diritti dei migranti, che la sinistra istituzionale europeamostra la sua crisi ovvero è divisa.

La genesi dell’ideologia della tolleranza zero, ideologia in cui lasinistra istituzionale è talvolta riuscita a battere la destra, vaparadossalmente cercata nell’utilizzo di Gramsci da parte del-l’estrema destra statunitense. La sinistra istituzionale di oggiha fatto proprie le idee che trent’anni fa erano considerateultraliberali. Edwin Feulner, presidente della HeritageFoundation, uno dei maggiori serbatoi di idee della destra sta-tunitense, ha fatto così proprie le tesi di Gramsci sull’egemo-nia culturale: “Quando abbiamo cominciato nel 1973 eravamoquelli ‘dell’ultra destra’ o di ‘estrema destra’. Oggi le nostre ideevanno per la maggiore”3.

Loïc Wacquant, sociologo francese, ha mirabilmente descrittola genesi razzista dell’ideologia di tolleranza zero, ideologia epratica di gestione dello stato, che appunto accomuna tutti ipolitici europei. E’ il Manhattam Institute - fondato da AnthonyFisher, il mentore di Tatcher e William Casey, futuro direttoreCia - che lanciò il celebre libro di Charles Murray, Losing Ground.

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Nonostante “si presentasse come un’opera truffa, infarcita dinon-sense logici ed errori empirici divenne rapidamente un clas-sico del dibattito statunitense sull’assistenza sociale”4. La tesiera semplice, e anche se per la sua rozzezza non troverà grandecredito accademico, servirà da guida ideologica. La povertà èdovuta alle sovvenzioni sociali che tolgono la voglia di lavorare.Il medesimo ideologo “raffinava” le sue spiegazioni in un libroscritto a quattro mani con uno psicologo: le ineguaglianze raz-ziali e di classe rifletterebbero differenze individuali di capacitàcognitiva. Insomma si “diviene criminali non a causa delle pri-vazioni materiali (deprived ) (...) ma per carenze mentali e mo-rali (depraved )”5. Nel medesimo libro si legge: “Il sistema mi-gliore per rialzare il quoziente intellettuale di una società è difare in modo che le donne intelligenti abbiano un tasso di fertilitàpiù alto di quelle che non lo sono”. L’assistenza sociale deveessere abolita “perché sovvenziona la maternità delle donnepovere che sono molto meno intelligenti delle altre”6. La poten-te Fondazione, forte di un budget di 5 milioni di dollari, promos-se congressi scientifici: è qui che Rudolph Giuliani, futuro sin-daco di New York City, è stato molto spesso visto intento aprendere appunti.I senzatetto, i lavavetri, i piccoli spacciatori, le prostitute, i men-dicanti, e i graffitisti sono i bersagli delle campagne elettorali diGiuliani. Diventato sindaco dal 1993, Giuliani costruirà il mo-dello della polizia cittadina, che sarà presto esportata nel mon-do intero. In cinque anni il budget della polizia sale del 40%mentre i servizi sociali vengono decurtati del 30% con la perdi-ta di 8.000 posti di lavoro. Gli operatori sociali comunali saran-no quindi 13.400 contro l’esercito cittadino di 46.000 poliziotti.La presunta diminuzione della criminalità era in realtà iniziatagià tre anni prima dell’ascesa del modello Giuliani, ed èriscontrabile anche a Boston, San Diego e Chicago, città sen-za “tolleranza zero”. Eppure il modello si globalizza presto: nel1998 viene elogiato e applicato a Città del Messico, BuenosAires, Brazilia.7

Mentre il leader della socialdemocrazia tedesca Schröder so-

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stiene le teorie xenofobe (“non dobbiamo più essere timorosicon gli stranieri colti con le mani nel sacco. Per coloro cheviolano le nostre leggi dell’ospitalità non esiste che una solu-zione: fuori e subito”)8 , la Cdu sostiene la campagna NullToleranz: tolleranza zero. Nasce la corsa a chi è più severocon illegali e clandestini. La rincorsa all’elettorato di centro le-gittima una maggiore severità con i/le migranti. Questa mag-giore severità alimenta il clima culturale di intolleranza.Mentre il sindaco di Milano Albertini (di Forza Italia) si precipitaa New York a imparare da Giuliani, D’Alema si precipita daAlbertini (gennaio 1999) e il suo governo adotta una serie dimisure repressive ispirate al modello britannico(criminalizzazione di alcuni illeciti minori, accrescimento deipoteri di polizia) e sospende Francesco Margara, noto per lesue posizioni non in sintonia con il nuovo modello. Contempo-raneamente viene istituito una sorte di servizio segreto dellapolizia penitenziaria con ampia libertà operativa nelle carceried è permesso l’accesso ai comandanti di polizia al ruolo didirettori di carceri. Dopo dieci anni di ipotesi di riassetto delsettore sicurezza, questa opera si compie proprio con il gover-

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no D’Alema, lasciando nello scontento una parte della poliziadi stato e andando incontro alle attese delle gerarchie dei cara-binieri.9 Il governo D’Alema ha dimostrato di voler essere il pri-mo a raccogliere la domanda sociale di sicurezza e nel Docu-mento di programmazione economico-finanziaria (sic) per glianni 2000-2003 il paragrafo sulla sicurezza precede quello sullaesclusione sociale.10 Come vedremo successivamente, Tol-leranza zero è il modello di governo politico neoliberista.Anche Bassolino (sindaco di centro sinistra di Napoli) si appro-pria di Tolleranza zero per pulire il centro storico, ma soprattut-to per applicarla alla piccola e media criminalità. Un ragazzoviene giustiziato per strada: non aveva il casco e prendeva ingiro i poliziotti. Persino sulle colonne dell’Unità, arriverà perbocca di un poliziotto l’accusa: “Gianni Ciotti, del Siulp, ... èmolto critico verso la sinistra. Dice che la svolta nella polizia -la svolta militarista - è avvenuta già con il centro-sinistra. Dopoanni di pace sociale le prime cariche violente ci furono nel ’97,col governo Prodi a Palazzo Chigi. Furono caricati gli handi-cappati. Poi Napoli, poi Genova... L’errore è stato quello di cre-dere che il problema del rapporto con la polizia si risolvesse alvertice”11.

Siamo di fronte a un fenomeno locale e globale. La richiesta disicurezza è prodotta dal basso, a livello locale, e le soluzioniarrivano dall’alto, come le leggi della scienza economica. Il ter-mine “sicurezza” che negli anni dello stato sociale era asso-ciato sia a questioni militari (nazionale, nucleare, ...) sia a que-stioni sociali (lavoro, ambiente, ...) diventa la parola d’ordinedella società che è stata definita dell’incertezza e del rischio.Mentre in Europa Bossi veniva paragonato ad altri leader dimovimenti razzisti europei (Haider e Le Pen), D’Alema in Italiatranquillizzava tutti: “La Lega c’entra moltissimo con la sini-stra, non è una bestemmia: tra la Lega e la sinistra c’è fortecontiguità sociale. Il maggior partito operaio del nord è la Lega,piaccia o non piaccia. È una nostra costola. (...) Nelle ElezioniAmministrative i ballottaggi hanno confermato la grandissimadisponibilità degli elettori della Lega a votare i nostri candidati e

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dei nostri elettori a votare per la Lega”.12 Al di là delle implica-zioni tattiche ed elettoraliste, è chiara l’inesistenza di grandidiscriminanti ideologiche ed etiche prima ancora che politichetra centro-destra e centro-sinistra: è il terreno comune dellacultura del sicuratismo.Mentre in Europa si spande come una piaga la teoria razzistadi Tolleranza zero - che piaccia o non piaccia a D’Alema - aNew York, iniziano le critiche: tra il 1992 e il 1994 aumentanodel 60% le denunce sporte contro la polizia. Tra queste la metàviene da afrostatunitensi, nonostante siano solo il 20% dellapopolazione. Nel 1997 in Usa gli arresti e i fermi (senza moti-vazione giudiziaria) sono maggiori dei crimini e reati registrati(cifra senza precedenti storici). Eppure in Europa il centro-si-nistra cerca di mostrarsi all’altezza del centro-destra. In Italiagli spazi pubblici vengono modificati: alle stazioni le panchinesono a prova di senzatetto, fatte cioè in modo che non ci sipossa sdraiare. A Treviso i muretti sono ricoperti di cocci dibottiglia per non far sedere i migranti. A Milano dei sottopontivengono recintati per impedire che si dorma sotto. I senzatettodanno fastidio persino alla vista.

Loïc Wacquant muove la sua accusa più grande a Jospin, lea-der del centro-sinistra francese. Jospin avrebbe fatto delle di-chiarazioni televisive dando per buono che ci fosse un aumen-to di criminalità, secondo dati divulgati dai mass-media ma

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avrebbe invece trascurato i dati di un rapporto scientifico com-missionato dallo stesso governo, rapporto in cui non si regi-strava nessun aumento di criminalità che giustificasse mag-giori misure repressive. La conclusione di Wacquant è secca,ma è un monito per tutta la sinistra istituzionale europea cheha rincorso il delirio razzista statunitense: “Se i governanti siprendessero la briga di leggere le relazioni di studio che com-missionano (...) eviterebbero al paese molti pseudo dibattitiparticolarmente nocivi”13.

La polizia postmoderna

Mentre lo stato toglie le vere sicurezze ai suoi cittadini - dirittisindacali e assistenziali - votando leggi che flessibilizzano illavoro e che ne erodono i diritti, i politici farneticano di volerdifendere la sicurezza dei propri cittadini dagli stranieri. Si tol-gono le garanzie sociali di sicurezza per la vita e per il futuro esi alimenta l’insicurezza.Le cifre dello stato penale statunitense sono allarmanti. Seimilioni di statunitensi sono sotto pena: le percentuali dei neri incarcere in Usa sono doppie rispetto a quelle del Sud Africa aitempi dell’Apartheid. Insomma one to Yale, one to jail... unoall’università e uno in prigione, si diceva venti anni fa, ma ora ineri in carcere sono più di quelli che vanno all’università. Il tas-so di povertà Usa è doppio di quello europeo: 35 milioni sono ipoveri. Gli Usa spendono in sanità il triplo che l’Europa (rispet-to al Pil ) ma 50 milioni sono privi di assistenza medica. Il sala-rio reale minimo del 1997 è inferiore del 30% a quello del 1967.Qui non affrontiamo le conseguenze sociali denunciate dai rap-porti annuali di Amnesty International: razzismo, torture, omi-cidi più che abusi delle forze dell’ordine sembrano tolleratiampiamente dal modello di tolleranza zero statunitense. Nonparliamo nemmeno degli indici di sviluppo umano delle e deistatunitensi non bianchi, che raggiungono cifre vicine a quelledei paesi poveri (analfabetismo, malattie infettive, malattie in-fantili, etc...). In Usa nel 1975 la popolazione carceraria era scesafino a 380.000: dieci anni dopo era di 740.000, nel 1995 era di

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1.5 milioni, oltre i 2 milioni dal 1998. Solo in Russia il tasso dicarcerazione è più alto. Eppure, nonostante una grande quan-tità di cittadini siano incarcerati e non contati negli indici di di-soccupazione statunitensi, gli Usa guidano la cultura politicadel pianeta con le teorie politiche ed economiche del WashingtonConsensus.

Sempre in Usa nel 1998 il numero di carcerati per reatinonviolenti ha varcato il milione. L’apparato penale ha scheda-to 55 milioni di cittadini. Questi dati sono ora disponibili suinternet e a disposizione dei datori di lavoro. Ora si vuole esten-dere lo schedario dai condannati a quello dei fermati (50 milioniall’anno). Le spese carcerarie stanno salendo molto sopra quel-le giudiziarie. Una delle peggiori istituzioni totali è stata ripristi-nata: è il lavoro penitenziario, un business in cui si stanno ci-mentando Microsoft, Twa, Boeing, etc... Un’istituzione che ri-corda gli albori del nazismo, quel nazismo che usando leschedature del governo socialdemocratico negli anni 20 avevaindividuato gli Asozialen (quelli che continuavano a prenderesostegni dallo stato) per farli lavorare poi nei lager - sul modellodel penitenziario - per le grandi industrie tedesche che aveva-no pagato l’ascesa del nazifascismo.

L’ascesa dello stato penale è fenomeno anche europeo, ben-ché con numeri molto diversi. In ogni caso anche se le politi-che europee - di destra e di sinistra - sono orientate da questomodello statunitense, nessun nesso tra criminalità e carcera-zione è comprovato da studi scientifici. I migliori studi mostra-no al contrario una stretta correlazione tra deterioramento delmercato del lavoro e crescita della popolazione carceraria.14

Di fronte alla carcerazione e criminalizzazione dei migranti ladestra vede consolidate le sue idee, mentre nella sinistra siconsuma la crisi, le differenze e le insicurezze: nessuno saveramente cosa fare. La criminalizzazione dei migranti portaanche a un maggiore controllo della forza lavoro clandestina,maggiormente ricattabile perché quasi sempre può ottenere lalegalità solo dal suo padrone di lavoro. E con più clandestini e

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clandestine ricattabili tutti i diritti dei lavoratori diminuiscono, ilavori si precarizzano ulteriormente, il potere contrattuale deidatori di lavoro aumenta. Nel linguaggio aziendale e televisivo idiritti del lavoro diventano i costi del lavoro. In realtà è laclandestinizzazione dei lavoratori migranti e non la loro pre-senza che indebolisce i diritti dei lavoratori.Aprire i muri? Controllare i flussi? E come essere giusti, comerivendicare l’uguaglianza? La sinistra è in crisi. Del resto que-ste clandestine non vengono nei nostri paesi proprio perchéqui il 20% della popolazione del pianeta consuma oltre l’80%delle risorse? Ecco quindi che la caduta dell’internazionalesocialista può essere rappresentata dalla rimozione dei “dirittidel lavoro” e dalla relativa sostituzione del “diritto alla sicurez-za”, con tutte le conseguenze politiche e budgetarie che ciòcomporta nella gestione della res publica.

L’internazionale socialista sta tragicamente affondando, ma ciòche è più tragico è che i suoi dirigenti sono talvolta su posizionimolto più di destra della cultura popolare di gran parte del loroelettorato. Non deve quindi sorprenderci se in Italia la sinistraistituzionale non si sia schierata chiaramente in difesa dell’arti-colo 18 (o lo abbia difeso in modo strumentale attraverso unreferendum) e abbia istituito i centri di espulsione dei migrantiillegali (legalmente ribattezzati Centri di permanenza tempora-nea), vere e proprie carceri in cui rinchiudere stranieri la cuiunica colpa è quella di migrare. La sinistra istituzionale non hamosso un dito durante il colpo di Stato in Venezuela controChavez. Anzi qualcuno si è unito al coro militarista statuniten-se che applaudiva la caduta di un presunto dittatore.15 Ansiosidi potere i leaders socialdemocratici europei hanno abbraccia-to le teorie del libero mercato, privatizzando sanità, istruzione,ricerca e flessibilizzando il lavoro. Un’operazione di riduzionecomplessiva dei diritti in nome della crescita economica. Tuttoquesto è stato legittimato mescolando lo spirito di Realpolitik(se non lo facciamo noi lo fa la destra peggio di noi) con unasincera devozione e fede nelle magnifiche sorti e progressivedel libero mercato. Una mescolanza di queste due mezze ra-

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gioni che non solo non faceva una vera ragione, ma nasconde-va l’assenza di un progetto etico e politico basato sui valoridell’uguaglianza, della fraternità, della libertà. Un’assenza di pro-getto etico, un’assenza di orientamenti politici forti, insommaun nichilismo. Chi contento, chi scontento, tutti i politici“riformisti” della sinistra istituzionale hanno accettato l’idea cheil mercato fosse l’unico orizzonte possibile. Così mentre laparola “riforma” era sulle bocche di ogni politico, la parola “dirit-to” veniva segnalata solo come impedimento al “libero” merca-to. E come è già successo nella storia con l’ideologia delleriforme sono state varate le peggiori controriforme, si sono persimolti diritti a vantaggio della “libertà” di impresa. Proprio comeaveva indicato il Piano di rinascita democratica della P2 [vedibox]. Il problema non è stato tanto e solo quello dell’ascesadell’egemonia delle ideologie di destra, quanto l’egemonia pro-dotta da queste idee nella cultura democratica europea.

Oggi ci troviamo come Gramsci dopo la prima grande guerra adover raccogliere la bandiera dei diritti lasciata nel fango dallasedicente sinistra. E’ infatti in questo clima di crisi che si sonoaperti gli spazi di sospensione dei diritti fondamentali che conuna metafora indichiamo come zone rosse.Chiamiamo zona rossa quella costellazione di dimensioni so-ciali aggredite dal neoliberismo e svuotate di dignità. Come iterritori sono aggrediti dalle polizie e svuotati di fiducia e legamisociali, così il lavoro è svuotato di diritti e tutele, aggredito edisumanizzato.

Quello che si è imposto con l’avallo dei governi in Europa è inrealtà un modello globale, che viene dagli Stati Uniti ma rispon-de a domande locali. Se nello stato sociale la polizia aveva ilruolo di controllare il conflitto sociale, nel neoliberismo la poli-zia postmoderna è passata alla repressione della piccola cri-minalità come attività principale. Durante lo stato sociale lapolizia in Italia aveva un’immagine della società che Paliddadefinisce “semplice”: parrocchie da un lato, partiti di sinistra esindacati dall’altro. Quartieri operai e fabbriche che non la vole-

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vano, quartieri amici e benestanti che la volevano. Amici e ne-mici chiari insomma. “Sino agli anni Ottanta, il problema dellacriminalità urbana è rimasto occultato dai conflitti di classe,dalla preoccupazione per i terrorismi e per la criminalità orga-nizzata”16.Alla fine degli anni Settanta iniziano a uscire le volanti per pat-tugliare le strade, poi negli anni Novanta iniziano le operazionidi bonifica dei quartieri, in cui immigrati, nomadi, tossicodipen-denti sono i maggiori bersagli. Soggetti che, al massimo, do-vrebbero essere presi in cura da operatori sociali preparati.Aumentano le chiamate verso i telefoni della polizia. Le chia-mate non si traducono in modo considerevole in atti di poliziagiudiziaria, spesso la polizia è chiamata per questioni che nondovrebbero riguardarla, come fughe di gas o incendi. Non man-ca però l’arbitrarietà fuori dalle procedure previste nelle perqui-sizioni. La questione più grave è però la percezione sociale: ildeviante contemporaneo è percepito come una minaccia dallasocietà. Un ex-questore di Milano interrogato da Palidda, haspiegato: “La microcriminalità è sempre la stessa, è l’insoffe-renza della gente, quindi la richiesta di sicurezza, che io trovonon nuova ma accresciuta”17. E’ la società che produce i co-mitati di quartiere ed i cittadini dell’ordine per difendersi da pro-stitute, clandestini, tossici, e spesso con toni che pretendonodi non essere razzisti. In realtà la polizia riceve telefonate perla presenza di marocchini che parlano sotto casa e le volantifermano le persone in base al colore della pelle, chiedendo perprima cosa la nazionalità.

E’ il sicuritarismo localista che nasce e si riproduce attraversoi mass-media. I meccanismi sono molteplici. In primo luogo lenotizie delle pagine locali di cronaca o nei giornali locali assu-mono un carattere di primo piano. I comitati di quartiere e leloro lotte assumono un’importanza enorme. Arrivano poi allepagine nazionali con toni sensazionalistici che contribuisconoa rinforzare enormemente tali comitati popolari. Le notizie tut-tavia non sono quasi mai verificate e le affermazioniqualunquiste vengono prese spesso per possibili dai giornalisti

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e per vere nei titoli. E’ infatti la parte grafica che gioca la partepiù importante nei giornali: oltre ai titoli, foto e tabelle, o addirit-tura loghi sull’emergenza criminalità o emergenza clandestini,attribuiscono a fatti abbastanza normali l’apparenza della ca-tastrofe naturale. Il linguaggio catastrofista corona il tutto: nonresta che la soluzione armata.18 E’ così creata l’opinione pub-blica che da sola fa pressione sulla polizia senza bisogno dialcun ruolo particolare dello stato. Lo stato dovrà poi solo av-vallare le strategie della polizia come scelte tecniche modifi-cando il suo apparato giuridico e limitando di fatto i poteri deimagistrati. Per chiudere il cerchio del sicuritarismo vengonoallontanati i poliziotti improduttivi (con bassi tasti di arresti) edinseriti giovani inesperti con una grossolana cultura razzista,come per esempio nel 1999 a Milano.

Prendendo esempio dalle megaretate antidroga dirette in gran-de stile, con elicotteri e grande dispiegamento di truppe su al-cune piazze di Milano, note come luoghi di spaccio, MaurizioRotaris, operatore sociale, spiega: “l’effetto dell’azione forte,concentrata su un singolo punto, è la dispersione del fenome-no su tutto il territorio circostante, non già il suo controllo, néuna mirata azione anticrimine, ma la frammentazione dei traf-fici stessi sul territorio. Ne segue la protesta dei cittadini nellenuove zone interessate dalla dispersione che chiedono ovvia-mente maggior sicurezza.” Si tratta - per Rotaris - non di un’er-rata strategia, ma di una precisa strategia politica che crea lecondizioni di insicurezza. Strategia che si abbina ai taglineoliberisti per le spese sociali.19

Neoliberismo, popolazione, territorio e polizia

E’ proprio questo meccanismo di creazione dell’opinione pub-blica, questa spinta per una nascita di autodisciplina per cosìdire spontanea nella società, questo bisogno di sicurezza, cheFoucault aveva già individuato nel concetto di polizia, intesonon come corpo armato di repressione, ma come arte di go-verno, come modalità di gestione del potere nella società.

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L’analisi dei meccanismi di sicurezza sviluppatesi negli anniNovanta con il modello trionfante di Zero tolleranza qui descrittierano stati ben intuiti da Foucault venticinque anni fa.20 Secon-do Foucault la governabilità (ovvero quel complesso meccani-smo di potere dello stato e dei suoi molteplici micropoteri sullasocietà) utilizza lo strumento dell’analisi economica per impor-re dispositivi di sicurezza in primo luogo sulla popolazione epoi sul territorio in cui questa vive. Oggi che per la prima voltala migrazione è vista come ostacolo al processo di sviluppoeconomico, le sue preziose intuizioni ci sembrano fondamen-tali, soprattutto se messe in relazione a quelle di Marcos sulneoliberismo come quarta guerra mondiale contro l’umanità[vedi box].

Foucault va alla ricerca “del modo in cui i problemi specificidella vita e della popolazione sono stati posti all’interno di unatecnologia di governo che senza essere stata sempre liberale,tutt’altro, dalla fine del XVIII secolo, non ha cessato di essereossessionata dalla questione del liberismo”.Per Foucault il neoliberismo statunitense - pur essendo del 1978l’analisi di Foucault aveva come preciso riferimento la scuoladi Chicago, che avrebbe imposto nel ventennio successivo il

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suo credo al mondo globalizzato - non è né una teoria econo-mica, né una ideologia, ma una pratica di gestione del potere:“il neoliberismo statunitense cerca piuttosto di estendere larazionalità del mercato, gli schemi di analisi che esso proponee i criteri di decisione che esso suggerisce a domini non esclu-sivamente economici, o non primariamente economici. Cosìla famiglia e la natalità; così la delinquenza e la polizia penale.”E’ una pratica di esercizio di governo, una razionalizzazionedel potere che ubbidisce alla logica massimale dell’economia.Vedendo il neoliberismo come arte di governo, non nel sensodi gestione dello Stato attraverso i suoi meccanismi democra-tici, Foucault, scartati inutili dibattiti sulla dialettica tra stato emercato, notava come i meccanismi che si stavano disponen-do miravano a un controllo di diversi ambiti dalla natalità e ladelinquenza all’igiene pubblica. Un potere insomma che si arti-cola a diversi piani, ma dall’interno della società e non contro diessa.Traccia così una storia dell’origine delle pratiche e teorie di po-lizia negli studi tedeschi e francesi del XVIII secolo. Come ledottrine della ragione di stato, quelle relative alla teoria di poli-zia non evocano arbitrarietà e violenza, al contrario cercano dievitarla. Allora i primi teorici della polizia insegnavano una di-sciplina accademica: Polizeiwissenschaft (scienza della poli-zia). Attraverso l’insegnamento universitario (in particolare aGöttingen), teorizzavano un corpo dottrinale e redigevano imanuali di governo della società educando così gli statisti del-l’epoca. In queste dottrine il benessere degli individui diventaoggetto di studio non perché la società abbia come scopo ilbenessere, ma perché questo benessere è la condizione diconsolidamento della società stessa. Per questo - secondoqueste dottrine del XVIII secolo - la polizia si occuperà dellasanità, dell’afflusso di merci e del funzionamento del mercato,della viabilità delle strade, della sicurezza pubblica, del buonfunzionamento delle fabbriche, del controllo delle domestiche,dei poveri, dei mendicanti e dei vagabondi; principalmente lapolizia si occuperà del rispetto della religione “perché se la re-ligione viene osservata tutte le altre parti della polizia saranno

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compiute”.L’analisi di Foucault si focalizza non sulla polizia come corpodi repressione, censura, espulsione, ma in primo luogo comedispositivo di governo che attraversa corpi e le relazioni, indu-ce piacere, forma sapere e discorsi. In questo senso i dispositividi polizia del potere economico oggi dominante (neoliberismo)sono qualcosa che attraversa la società per intero.

Dal XVIII secolo noi viviamo in un’epoca di governabilità, dovequel che è in gioco non è mai stato il maggiore o minore ruolodello stato, ma il modo di esercizio del potere. La polizia è artedi governo che organizza la società e la sua specificità nonconsiste nell’uso della forza ma nella produzione di sapere. Lasua forza è nel dispiegamento preventivo, ed è per questo chela polizia trova l’espressione di massima forza nel dominiobiopolitico, quello esercitato dal liberismo. Per governabilitàFoucault intende quindi un insieme complesso di istituzioni,procedure, analisi, saperi, che permettono di esercitare unpotere specifico, benché complesso. Questa governabilità hala popolazione come oggetto, la scienza economica come for-ma dominante di sapere, i dispositivi sicuritari come strumen-to tecnico. Governabilità è però anche la linea di forza dell’Oc-cidente, la tendenza dell’Occidente verso una società discipli-nata.

Da un parte sembra quindi che esista una spinta militaristaverso il modello di Tolleranza zero, dall’altro sembra che ci siaun tendenza nella società stessa verso l’autodisciplina. In real-tà si tratta di due facce della stessa medaglia. Il panico dellagente è prodotto per poi, una volta cristallizzato in opinionepubblica, diventare il criterio di ordine pubblico per reprimereogni “devianza” (centri sociali, clandestine, anarchici, tossici).Analizzando ora le premesse della nascita della zona rossa aGenova, è comprensibile capire quali sono oggi i meccanismidi potere in atto nei confronti di chi non li accetta. A Genovatutto iniziò con la chiusura dei negozi. In un clima sicuramentenon spontaneo, con l’esplosione di qualche bombetta e la con-

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seguente detonazione mass-mediatica, molti negozianti furo-no indotti a chiudere con la duplice minaccia: da una parte lapolizia, dall’altra il clima mass-mediatico che annunciava unabattaglia. I cittadini di Genova si trovarono in una città occupatada un vero e proprio esercito e molti di loro la abbandonarono.I dimostranti contrattarono addirittura per avere il diritto di pote-re protestare. In questo senso la zona rossa indica anche lacrisi di un sistema che trovandosi costretto a reprimere mo-stra la sua debolezza.In questo clima la chiusura del tribunale prefigurava lo stato dieccezione in cui le forze poliziesche avrebbero operato.

Messa a fuoco: tra mirini e teleobiettivi

Genova è stata un’importante tappa di evoluzione del movi-mento contro la globalizzazione neoliberista. Dopo Seattle, perla prima volta in Italia, un network di associazioni, gruppi, orga-nizzazioni sociali di diversa provenienza e storia si sono ritro-vati uniti a contestare il vertice dei G8. Ognuno manifestavasecondo la propria prospettiva, nel rispetto degli altri. Era unmondo che riusciva a contenere molti mondi.

Genova, non bisogna stancarsi di ripeterlo, è stata unamattanza. A ormai due anni di distanza da quelle terribili gior-nate la memoria comincia a perdersi, ed è quindi utile ricorda-re quanto successe.

A Genova la polizia ha puntato le armi sui manifestanti e controi manifestanti arrestati. Ha sparato più di una volta, ha uccisoCarlo Giuliani, compagno di 23 anni. Le forze dell’ordine hannodisperso un corteo di 300.000 persone, hanno usato lacrimo-geni tremendi al CS sparando ad altezza d’uomo, dai tetti, da-gli elicotteri: qualcosa di irrespirabile per qualità e quantità.Hanno insultato continuamente, fin dai giorni prima, apostro-fando con comunisti e ebrei, puttane e bastardi. Si sono vistecamionette sfrecciare con poliziotti che facevano volteggiare imanganelli dai finestrini. Hanno picchiato indiscriminatamente

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donne, ragazze, uomini, gente con mani alzate, disabili, mani-festanti e giornalisti. Hanno proceduto a fermi in modo irregola-re, negando il diritto all’assistenza legale, picchiando e intimi-dendo in modo sistematico, torturando e insultando. Per ledonne è stato riservato il trattamento peggiore, costrette a su-bire ulteriori violenze e minacce di stupro. E’ stato assaltato ilcentro stampa del Genoa Social Forum, sono state interrottele linee telefoniche (primo obiettivo di ogni golpe militare: inter-rompere le comunicazioni del nemico!) sono stati smontati edistrutti i computer contenenti numerose prove delle azioni dellapolizia e degli infiltrati dei due giorni precedenti, sono state bar-baramente picchiate a sangue tutte le persone inermi. ABolzaneto era stato predisposto un centro di raccolta dei fer-mati dove venivano inflitte vere e proprie torture. Gli ospedali

Carlo Giuliani, qualche istante dopo essere stato colpito. Un carabiniere èchinato sul corpo. E’ il momento in cui Carlo viene colpito con un oggettoalla testa e compare un sasso?

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erano presidiati e gestiti dalla polizia, gente arrestata è arrivatain carcere con le ossa ancora rotte... poi, solo dopo le botte, èstata portata in ospedale. Raccapriccianti i racconti del perso-nale medico.21

Di ciò che accadde nella città ligure in quei giorni si è detto,scritto e commentato tanto. Sono state girate centinaia di oredi registrazioni video e audio, scattate migliaia di fotografie, finoa far diventare il caso di Genova come uno dei più documenta-ti della storia dell’informazione di massa.Nonostante però l’incredibile mole di documentazione, risultadifficilissimo porre dinnanzi alle proprie responsabilità i funzio-nari di polizia e dei carabinieri responsabili dell’ordine pubblico,e quindi delle incontestabili mattanze delle giornate genovesi.Inoltre tutto questo materiale è per molta parte inutilizzabile,soprattutto perché le forze di polizia sono riuscite a sequestrarneuna gran parte che resta ancora oggi non consultabile perchédistrutta.22

A Genova in molti hanno messo a fuoco obiettivi. E mentre gliorgani di informazione mettevano a fuoco ciò per cui eranostati pagati, un carabiniere puntava il mirino della sua pistolacontro Carlo Giuliani [vedi box] facendo fuoco e uccidendolo.

CARLO GIULIANI

L’ultimo omicidio in un corteo in Italia fu quello di Giorgiana Masi nellontano 1977. Carlo Giuliani viene ammazzato dai carabinieri a Geno-va nel 2001.Fin dai primissimi momenti dopo l’omicidio di Carlo Giuliani il tentativoda parte degli inquirenti e dei giornalisti è stato quello didecontestualizzare i fatti. Emblematica in questo senso la foto Reuterche poche ore dopo era disponibile su internet e ha fatto il giro delmondo.Nell’inchiesta preliminare sembrava che al Pm non interessasse nulla

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tranne questo singolare duello tra una pistola e un estintore, tra CarloGiuliani e Mario Placanica. Del perché e del percome quell’estintorefosse stato afferrato, di come sia avvenuto che uno sparuto drappellodi 50 carabinieri abbia attaccato sul fianco un corteo che non aveva viedi scampo, di quali fossero gli ordini e le regole di ingaggio dei carabi-nieri sembrava non interessare. Come resta misterioso il motivo percui tra i carabinieri quel pomeriggio girasse la voce che un loro collegafosse morto o in fin di vita per il colpo di un manifestante. I moventi diquesto omicidio sono stati lasciati fuori dalle carte processuali. Gior-nalisti e forze dell’ordine, coadiuvati da periti compiacenti, hanno ten-tato di ridurre quell’omicidio a una singolar tenzone tra ventenni i cuiesiti disgraziati sono da attribuire a una tragica fatalità: un sasso chedevia un proiettile altrimenti innocuo, perché sparato in aria.Le cose tuttavia non stanno così.Carlo Giuliani e gli altri manifestanti erano in un corteo autorizzato cheè stato attaccato in modo ingiustificato. Dopo ore di cariche il corteo,che si stava ritirando, viene attaccato anche sul fianco e schiacciato,senza possibilità di fuga, contro la massicciata della ferrovia. In que-sto contesto, la reazione dei manifestanti a questo ulteriore attaccotravolge un plotone dei carabinieri in Piazza Alimonda.

La catena di comando di quel plotone dei carabinieri è emersa in modochiaro nel corso di questi tre anni: si tratta di ufficiali addestratissimialla guerra facenti parte del Battaglione Tuscania, un corpo d’élite del-l’arma dei carabinieri. Ufficiali spesso impiegati all’estero in missionidi guerra, come la Somalia, la Bosnia, il Kossovo e l’Irak.

Mario Placanica viene immediatamente indicato dai carabinieri comelo sparatore. Il terzo uomo sul defender, Raffone, invece diventa notosolo due giorni dopo i fatti, quando cioè le immagini di Piazza Alimondasono già state esaminate. Esistono fondati dubbi da parte di chi con-duce le controinchieste sull’identità dello sparatore sia basandosi sul-le dichiarazioni e le contraddizioni di Placanica, sia esaminando ilmateriale fotografico emerso in questi tre anni. Placanica cambia ver-sione sullo sparo per cinque volte tra interrogatori e interviste.Quello che rimane costante è la descrizione della sua posizione nellajeep prima dello sparo: sopra.Placanica afferma sempre di essere stato sopra il suo collega Raffonee di averlo protetto col suo corpo. Ma lo sparatore è sempre sotto edè infatti protetto dal corpo di qualcuno (per questa ragione che il suovolto non è visibile nelle immagini). Inoltre una serie di foto ad alta

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definizione mostrano una notevole somiglianza tra il profilo di Placanicae quello del carabiniere che copre da sopra lo sparatore, confermandoi dubbi. Nel defender sarebbe presente quindi una quarta persona cheverosimilmente è colui che sparò.

Carlo Giuliani inoltre viene ucciso da un proiettile calibro 9 parabellum.Per il giudice che ha deciso l’archiviazione questo proiettile viene de-viato addosso a Carlo da un calcinaccio lanciato dai manifestanti.Per arrivare a questa conclusione vengono rovesciate le leggi dellafisica e della logica. La storia delle perizie e della loro curvatura agliinteressi degli imputati (i carabinieri) è uno degli aspetti più scandalosidell’intera vicenda. Periti per lo più amici di ufficiali dei carabinieri,quando non di mafiosi, già protagonisti nelle perizie per i processisulle BR o sull’omicidio di Ilaria Alpi oppure che affermano di avertrovato sulla sindone il Dna di Dio.

Il proiettile che uccide Carlo è, dal punto di vista balistico un mistero,ed è molto probabile che non si trattasse di un proiettile d’ordinanza.Una scheggia del proiettile è rilevata dalla tac ma le sue tracce nonvengono misteriosamente registrate nell’autopsia. Un proiettile legge-ro, con poca massa, che si frammenta facilmente, che non lasciatracce di sé, che non rimbalza neppure quando colpisce il muro dellachiesa in Piazza Alimonda è probabilmente un proiettile sintetico ocomunque speciale. Proiettile che i carabinieri non avrebbero dovutoavere. Per nasconderne la detenzione si stravolgono fisica, logica,buon senso e deontologia professionale dei periti.

Carlo Giuliani non muore immediatamente. Esistono filmati, foto, te-stimonianze della sua breve agonia. Tutte le foto che lo ritraggono neiprimi momenti mostrano una unica ferita sul volto di Carlo: il foro delproiettile che sanguina abbondantemente. Altre foto che lo ritraggonoin Piazza Alimonda, dopo che è tornata in possesso delle forze dell’or-dine, mostrano invece un’ulteriore vistosa ferita al centro della fronte.In sede di autopsia questa ferita appare in tutta la sua importanza:solo un colpo violento e intenzionale può averla prodotta.Due fatti risultano infatti strani: il primo riguarda la forma della ferita infronte a Carlo. Essa non può inequivocabilmente essere stata provo-cata da altro se non da un violento colpo in testa infertogli quando eradisteso per terra. Esistono infatti delle foto di Carlo subito dopo losparo, che mostrano la fronte di Carlo intatta. Tra le due foto comparemisteriosamente anche un sasso vicino alla tempia di Carlo morente.

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In quella stessa sequenza esiste una foto di un carabiniere che sem-brerebbe acconciare il corpo di Carlo prima dell’arrivo dell’ambulanza.Come ulteriore conferma della manipolazione del cadavere da partedelle forze dell’ordine, c’è un altro mistero: il cutter fantasma. In sededi autopsia infatti viene fotografato e filmato un taglierino. Poteva esse-re un elemento per incolpare Carlo, ma non viene nemmeno verbalizzato.Perché? Forse la posizione in cui si trovava (tra il costume ed i panta-loni di una persona che stava correndo, non pizzicato in nessuno deidue) avrebbe infranto ogni legge fisica, comprovando la manipolazio-ne.

In Piazza Alimonda quel giorno successero decine di fatti poco chiarie mai ufficialmente spiegati. La difficoltà di ricostruire quel pomeriggioderiva sicuramente anche dall’accanimento con cui i carabinieri si sonolanciati contro chi stava documentando i fatti subito prima e subitodopo le 17:27, quando partì il colpo.

Il presente riassunto fa parte di un più vasto lavoro di controinchiestache è perennemente in itinere.Tutti i contributi sono rintracciabili a partire dal sito:http://www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa/

Tra gli altri, ecco un breve elenco dei contributi più significativi:L’orrore in P.zza Alimonda Parte Prima e SecondaChi e’ il “famoso” Tenente Colonnello dei carabinieri che era in P.zzaAlimonda?La “bestia nera” in P.zza Alimonda: un profilo dei protagonisti.P.zza Alimonda: l’organigramma dei CCIR (i carabinieri d’assalto)Il buio su P.zza AlimondaChi ha ucciso Carlo Giuliani?Un proiettile di plastica ha ucciso Carlo Giuliani?Assi nelle maniche nere: i periti del G8Le Pulci della DaloisoPiazza Alimonda: una ferita sulla fronte di Carlo pretende una rispostaP.zza Alimonda: Perché il vicequestore Lauro si *inventa* il sasso?“Sassi con le gambe”Ricostruzione cronologica: 17:27 Piazza Alimonda

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Quello che è importante capire è se la repressione di piazza aGenova abbia seguito un piano preciso di repressione del mo-vimento, o se invece le violenze furono una conseguenza più omeno diretta del particolare clima di tensione che si era venutoa creare in quei giorni, imprevedibile quindi per tutti.

Probabilmente la verità sta nel mezzo, nel senso che in quellegiornate a Genova si confrontarono diverse linee di gestione dipiazza tra le forze dell’ordine, e ne uscì vincente quella più dura,quella della tolleranza zero, alla quale le altre forze di polizia siadeguarono. E’ infatti convinzione di molte, che fino al pome-riggio del 20 luglio, le differenti linee di gestione della piazzafossero per così dire, paritarie, e nessuna prevalesse. Analiz-zando però i brogliacci delle comunicazioni delle forze dell’or-dine in quelle ore, si è scoperto come a un certo punto, e cioèquando i Carabinieri caricano con inaudita violenza il corteodelle Tute Bianche, le comunicazioni tra i vari reparti si inter-rompono o sono molto confuse, tanto che il grosso contingen-te della polizia posto poco dietro ai carabinieri che caricano,non sa nulla di ciò che accade davanti. E’ qui che probabilmen-te ha inizio tutto.Una resa dei conti tra le forze di polizia. In che modo questelinee di comando si sono confrontate a Genova? Che storiahanno gli ufficiali che ci siamo trovati di fronte? Ci sono delle

Infiltrato a Genova 2001

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connessioni tra questi militari e il potere politico? Ma soprattut-to, si può parlare di un piano studiato a tavolino, o più sempli-cemente di una linea che prevale e che sfrutta il grande climadi tensione tra i manifestanti e le forze dell’ordine?

Anzitutto, che ci sia stata un indubbio avvallo ed un sostegno alcomportamento delle polizie è dimostrato dal fatto che ilvicepremier e leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini ealtri membri del suo partito, come Giuseppe Ascierto (ex ma-resciallo dei carabinieri) si siano recati in quei giorni al centrooperativo delle forze dell’ordine, con un intento mai chiarito.Quali erano le finalità di tale presenza? Perché i vertici politici,polizieschi e militari, condussero operazioni di polizia congiun-te, durante le giornate di Genova?

Sicuramente da un lato c’è stato il palese tentativo di spaven-tare parti dell’eterogeneo mondo del movimento dei movimen-ti, creando le condizioni per una successiva e facile suddivi-sione dei manifestanti tra violenti e non violenti, con l’obiettivodi creare spaccature nel Genoa Social Forum e tra i movimentiin piazza. Si è cercato di “chiudere i conti” con il nuovo movi-mento che cominciava a fare paura per dimensioni eradicamento nella società. Ciò lo si può capire analizzando ilcomportamento delle forze dell’ordine durante i due giorni discontri. Interventi chirurgici contro gli spezzoni pacifisti e menopreparati, uso di armi da guerra come il gas lacrimogeno al CSche, composto da reagenti mai testati sull’uomo, provoca dan-ni permanenti, e che figura tra le armi chimiche contestate dalGoverno statunitense al regime di Saddam in Iraq.23

Eppure probabilmente l’obiettivo più importante da raggiunge-re era quello di screditare il movimento di fronte all’opinionepubblica, facendolo risultare come composto da frange violen-te e vandaliche. Due attori in questo caso sono stati molto im-portanti: gli infiltrati e gli organi di stampa. Gli infiltrati presenti inforze a Genova (come documentato da La Repubblica, L’Unitàe il Manifesto24 e presentato da Gavino Angius dei DS in unainterrogazione parlamentare) venivano prevalentemente da

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organizzazioni di estrema destra emiliane e tedesche; siipotizza poi che siano stati chiamati nella città ligure anche daesponenti delle forze di polizia. Questi avevano il compito pa-lese di creare confusione, devastando indiscriminatamentetutto ciò che gli si presentava davanti (modalità d’azione bendiverse dai veri Black Bloc che colpiscono la proprietà priva-ta25 ) ma con l’obbligo di connotarsi chiaramente con determi-nate simbologie, in primis quella anarchica.

Se ciò non fosse vero infatti come si spiegherebbero azioniquali bruciare due volte in due occasioni diverse la stessa ban-ca o distruggere ogni genere di automobili (e non solo quelle dilusso come fa il Black Bloc nelle sue azioni), che non si sa ilperché, e nonostante gli allarmi di possibili attentati o disordini,erano sapientemente collocate sui percorsi dei cortei? E lemarce pseudomilitari, con i macabri teatrini per la stampa? Qualera lo scopo di mostrare fiamme e simboli in precisi luoghi incui sarebbero potuti essere messe a fuoco da obiettivi pronti adocumentarle?

Omicidio di Stato

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Un corteo, quello del Black Bloc di venerdì 20, che è stato usa-to come alibi per le violenze indiscriminate, ma che in realtà,come dimostrato da immagini video, è stato “mosso” dalle for-ze dell’ordine per le strade di Genova con l’intento di crearescompiglio26 . Decine di gruppi di infiltrati che il 20 e il 21 com-pivano devastazioni per le strade, di fronte alla polizia che,seppur in forze sufficienti non interveniva (come nel caso del-l’attacco al carcere Marassi), per poi lanciarsi sui manifestantiche nulla c’entravano e che erano in cortei autorizzati dallaQuestura.Piazzale Kennedy, luogo dove sono state scattate le fotografiedelle devastazioni e dove il 21 è stata bruciata per la secondavolta la stessa banca, era pieno di giornalisti. Lì, c’era la direttaRai. Lì c’erano i giornali e le radio.

La maggior parte degli organi di stampa ha messo a fuoco ciòche doveva vedere.Con l’offensiva di piazza, ecco quindi l’offensiva mediatica.Offensiva che certamente ha visto protagoniste le reti televisi-ve ed i maggiori quotidiani della nazione, in prima linea nellamessa a fuoco del Black Bloc, dell’anarchico, del no global,attraverso l’uso spropositato di immagini di atti di vandalismo edistruzione che sembrano parlare da sole, che danno subitol’idea del messaggio che si vuol far trapelare.

Subito è stata operata una divisione: la dicotomia non violenti/violenti, buoni/cattivi. C’erano i pacifisti e le frange violente. Nonc’era ancora la terminologia distorta che ha portato a sostituireil termine “popolo di Seattle”, con “no global”. Ancora il giornodopo l’omicidio di Carlo Giuliani Il Giornale titolava “Il popolo diSeattle ha avuto il suo martire”. Il termine è arrivato successi-vamente, con l’accezione negativa che gli veniva associata;questa volta però la definizione non ha riguardato solo determi-nati gruppi di manifestanti. Oggi infatti con il termine “no global”si tendono a identificare, nel gergo comune, tutte le compo-nenti del movimento che vengono impropriamente accostateal termine violento, senza distinzioni tra le variopinte sfumatu-

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re che lo compongono. Gli organi di stampa nazionali e locali sirincorrono nel denunciare il pericolo delle manifestazioni “noglobal”, con la conseguente previsione di disordini. Pensiamoa cosa è stato detto e scritto in occasione del Social ForumEuropeo a Firenze e quanto di tutto ciò è realmente accaduto.Una relazione creata a arte.

Cominciano a delinearsi alcuni tratti salienti di Genova comeesempio di ciò che noi chiamiamo zona rossa. Zona rossacome privazione sistematica dei diritti a partire da quello dimanifestare e di libera circolazione (sospensione del Trattatodi Schengen). Zona rossa come occupazione militare di unacittà, ma anche come aggressione dei corpi attraverso unaprecisa ingegneria della paura.

Zona rossa come compimento della linea più dura della gestio-ne dell’ordine pubblico.Linee che da decenni si confrontano, ma che ora sembranoaver cambiato i loro reciproci rapporti di forza, anche perchésono mutate molte delle condizioni globali. È quindi importanterintracciare le radici del presente nel torbido passato dell’Italiadel dopoguerra alla luce dei cambiamenti globali.

Una storia che parte da lontano

Il comportamento delle forze dell’ordine si può spiegare meglioalla luce di quelle che erano le direttive statunitensi sul dopo-guerra in Italia. In un suo articolo su come era organizzata lastrategia della tensione tra il 1965 e il 1980 Simone Falancascrive:

“La catena decisionale della strategia della tensione era quindibasata su < cerchi concentrici >. Facciamo un esempio: uncomunicato Cia o Nato contenente una preoccupazione circaun avanzamento elettorale del Pci in Italia, veniva girato dallostato maggiore ai vertici del Sid come una richiesta Nato ditamponare immediatamente l’avanzata del Pci, a sua volta il

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Sid incaricava i suoi reparti speciali di provvedere a destabiliz-zare il clima politico per fare ricadere la colpa sul Pci, a lorovolta i reparti speciali si organizzavano coi Nuclei territoriali dellostato a organizzare attentati o omicidi politici in sincronia conle dichiarazioni di personaggi politici che strumentalizzavanogli avvenimenti con l’intento di dimostrare all’elettorato italianoche la sinistra era violenta. In questo modo con la prassi dei< cerchi concentrici > era impossibile risalire a un unico veroresponsabile, poiché gli attori principali, politici o ufficiali delleforze dell’ordine si limitavano a lanciare dei segnali, tramite imedia ufficiali, comunicazioni interpersonali e altro, in modotale che chi dovesse recepire il messaggio capisse e si atti-vasse di conseguenza” 27.

Quando, nel 1965, si svolse a Roma il primo convegno pubbli-co di studi politici e militari dell’Istituto A. Pollio, finanziato dallaCia e a cui parteciparono vertici del Sid, del futuro Ordine Nuo-vo, del Msi e delle Forze Armate, venne messa a punto talestrategia di controllo del sistema italiano legato al Patto Atlanti-co, di cui Gladio era una delle organizzazioni di riferimento inItalia.28

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Per la verità tale tipo di organizzazione aveva radici ben piùprofonde, che affondavano nei giochi oscuri di poteri iniziatisubito dopo la liberazione e sviluppatisi in modo importante neglianni ’50. La Dc nel 1947, con l’avallo del Pci di Togliatti, confer-ma in blocco le cariche di praticamente tutti i prefetti, i questori,vicequestori e i commissari che avevano operato durante ilperiodo fascista. Nel 1956 “l’operazione Gladio” comincerà poia prendere piede dalla collaborazione tra il Sifar e la Cia, con lafirma di un personaggio oscuro come il generale De Lorenzo,all’epoca a capo dei servizi segreti italiani e collaboratore stret-to della Cia in Italia. Tra il 1948 e gli anni ’50 prenderanno cosìcorpo la rete statunitense “Stay Behind”29 ed il piano“Demagnetize”30 , di cui i governi italiani non sapranno mai nul-la fino al giorno della resa pubblica di tali documenti.

Probabilmente il convegno del 1965 rappresentò la prima usci-ta pubblica della fitta trama che legava le forze armate, la Cia,alcuni settori dei servizi segreti italiani ed il loro braccio arma-to, rappresentato dai gruppi neofascisti che erano stati fatti ri-sorgere per contrastare la sinistra parlamentare edextraparlamentare.Che dal dopoguerra in poi ci sia stata una fitta rete di trameoscure è confermato da vicende che sono ormai entrate nellastoria italiana come le stragi di Portella della Ginestra e P.zzaFontana. La prima, come anche confermato recentemente daLa Repubblica,31 vide il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti,con in prima persona il Presidente Truman, che armarono ilbandito Salvatore Giuliano perché compisse una strage il 1°maggio per fermare l’avanzata del movimento contadino chereclamava la riforma agraria in Sicilia.La seconda, invece come dimostrato dai processi successivi,vide il coinvolgimento di estrema destra e servizi segreti chepiazzarono cinque bombe (due a Milano e tre a Roma), ucci-dendo 18 persone e ferendone complessivamente 101. Si trat-tava di scongiurare l’alleanza tra movimento operaio e movi-mento studentesco.

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Una volta finita la guerra fredda, nel 1992, Cossiga rivelò l’esi-stenza di una struttura parallela in Italia, chiamata Gladio, infunzione da decenni.

Che ci sia stata una vera e propria organizzazione parallela inItalia in quegli anni, uno stato nello stato, è confermato da nu-merose fonti tra cui la testimonianza preziosa di un ex gladiatoredi nome Antonio Arconte,32 che però rivelerà molto di più dell’exPresidente della Repubblica.

Nel suo memoriale (segnalato anche dal settimanale FamigliaCristiana33 ), racconta di decine di missioni in Italia e all’estero;missioni civili e militari. Parla dettagliatamente di scontri a fuo-co in Vietnam ed Angola, nel Mediterraneo e in Russia, rico-struisce la collaborazione con la Cia per destabilizzare governie combattere il blocco sovietico nel mondo. Una collaborazio-ne attiva, al contrario di quanto riferito da Cossiga, che parlò diGladio come organizzazione in sonno.Questa è una delle tante testimonianze che hanno permessodi dimostrare l’esistenza di quella fitta rete (fino a tremila uomi-ni) che presentava la struttura descritta da Falanca, e che svol-geva compiti prevalentemente militari e perseguiva obiettivipolitici; il tutto all’oscuro del Parlamento. 34

Una struttura così ben organizzata e che coinvolgeva potericosì forti all’interno dello stato (dai servizi segreti ad alcuni ver-tici politici e militari) non può essersi dissolta improvvisamentecon la caduta del muro di Berlino e la fine della terza guerramondiale. Nel suo memoriale, Arconte racconta di come a uncerto punto abbiano cercato di far sparire ogni prova dell’esi-stenza di Gladio, attraverso omicidi/suicidi di suoi compagni,cancellazioni di documenti ed operazioni d’insabbiamento. C’èstata la palese volontà di nascondere quanto era accaduto.Egli stesso si è potuto salvare solo grazie al fatto di aver resopubblica la sua storia. Però sappiamo bene che in quegli am-bienti una squadra che vince non si cambia. Ed un meccani-smo che funziona, non si distrugge. Solo, magari, lo si modifi-

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ca attualizzandolo.

In più risulta strano che di una rete che comprendeva migliaiadi persone, ad oggi si conoscano solamente i 622 nominativiresi pubblici da Cossiga il 6 gennaio 1991. In tale lista non vi èinoltre nessun riferimento alla gerarchia del gruppo e non sicapisce quindi quale ruolo giocassero i 622 membri del gruppoche sono stati “denunciati”. Semplici gregari o qualcosa di più?35

Un’organizzazione del genere non sparisce. Diversi motivi fan-no credere che esista ancora oggi un apparato simile e certa-mente segreto, con compiti sicuramente diversi, ma attivo. Al-cuni attori infatti rimangono gli stessi di vent’anni fa (Cia, servi-zi segreti, vertici politici e militari) e molti li ritroviamo al Gover-no36 .

Una zona rossa, quella della repressione, che ha quindi delleradici molto profonde, che sono cresciute nel dopoguerra, pa-rallelamente all’Italia. Radici cresciute in segreto. Poteri che silegavano nell’ombra ad altri poteri.Primo Moroni afferma che i padri fondatori della Repubblicanon si sono mai fidati delle forze di polizia in questo paese. Edè sotto questa chiave che va letta la suddivisione di competen-za che vede i carabinieri gestire i centri minori, e la polizia legrandi città. Divide et impera. Anche in questo modo probabil-mente si è mantenuto il sistema in salvo dall’eversione cheproveniva da alcuni apparati dello stato. Con il crollo del murodi Berlino e i successivi cambiamenti internazionali sono cam-biate anche le regole del gioco interne.

Se durante la terza guerra mondiale esisteva uno stato nellostato pronto a rispondere alle esigenze del Patto Atlantico, oggiinvece le polizie nazionali si addestrano a livello globale. Men-tre prima questo avveniva in buona parte in segreto e le tecni-che della contro-insurrezione erano considerate illegali ancheda coloro che le praticavano (e per questo non le rivendicava-no), oggi sempre più sono adoperate alla luce del sole e riven-dicate a livello legale e politico.

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Eserciti professionali e polizie militari

Analizzando attentamente la catena di comando delle forzedell’ordine presente il 20 luglio 2001 in Piazza Alimonda, si pos-sono riscontrare alcune cose preoccupanti. Dalla ricerca diPillolarossa37 sui nomi degli ufficiali e dei responsabili di piaz-za tra le forze dell’ordine, risulta infatti che essa era parte dellacatena di comando del Battaglione Tuscania in Somalia ai tempidegli scandali sulle torture da parte dei soldati italiani. Si è per-sino ritrovata traccia di alcuni ufficiali nella vicenda ancora apertadi Ilaria Alpi.38 Cosa ci facevano ufficiali addestrati per opera-zioni militari da esponenti della Folgore con una vastissimaesperienza internazionale in zone di conflitto nelle piazze diGenova per mantenere l’ordine pubblico?

La carriera di tali ufficiali è il risulta-to di un fallimento dopo l’altro, di unoscandalo dopo l’altro. Si susseguo-no infatti il processo per tortura aiprigionieri somali, a quello per l’omi-cidio di Ilaria Alpi, a quello per la vi-cenda del Check Point Pasta sem-pre in Somalia. Chi mandò questi“militari” a comandare l’ordine pub-blico a Genova era conscio delleconseguenze di quest’atto? Quan-

do è stato deciso? Dal Governo di centro destra o da quello dicentro sinistra? Sono forse decisioni fuori dal controllo politico-governativo?39

Probabilmente il dato più interessante per capire quali sianooggi le connessioni tra le forze di polizia, le forze armate (dellequali dal 2001 l’Arma dei carabinieri fa parte, grazie al governoD’Alema) e i servizi segreti, è la biografia che viene fatta, nellaricerca di Pillolarossa, del colonnello dei carabinieri LeonardoLeso40 . Tale Leso a Genova è comandante del quartier gene-rale alla Fiera dove si trovano i mezzi dei plotoni di Piazza

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Alimonda. Ciò che ci interessa di quest’uomo, che appartiene,non dimentichiamolo, all’élite dei corpi speciali dei carabinieri,è che nel 2001 viene insignito della legion of merit Usa dal Pre-sidente degli Stati Uniti. Una onorificenza a cui pochi possonoambire.41

Come mai questo scambio di onorificenze tra polizie di paesiche sicuramente sono alleati, ma che dovrebbero avere so-vranità nazionali diverse?

E’ la globalizzazione delle forze di po-lizia e militari, che, accanto allaglobalizzazione economica, si svilup-pa per garantire a quest’ultima di po-ter portare avanti il suo ordine.42

Il fenomeno di globalizzazione della re-pressione non è un fatto degli ultimianni. Da molto tempo viene infatti de-nunciata con forza l’esistenza di scuo-le di addestramento negli Stati Uniti,come la School of Americas (oWhisc)43 , nelle quali vennero adde-strate le élites militari che instauraro-no le dittature in molti paesi dell’Ame-rica Latina. In questa centrale veniva-no e vengono addestrati militari e paramilitari nelle tecniche dicontro-insurrezione.Proprio quelle tecniche di contro-insurrezione si rivelano oggiimportanti nei nuovi conflitti [vedi box]. In quella stessa scuolavengono infatti formati anche ufficiali di altri paesi, molto proba-bilmente anche italiani44 . Ufficiali presenti in Somalia, Bosnia,Kosovo, Albania. E Genova. Sono i militari inquadrati nelTuscania, che ai tempi faceva parte della Folgore.Con questi militari ci siamo dovuti confrontare a Genova. Ed èproprio questo il problema: militari. È in atto infatti, nello scena-rio del dopoguerra fredda, un cambiamento importante che vedenei paesi Occidentali, da un lato la spiccata tendenza alla

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professionalizzazione degli eserciti, con l’abolizione della levae la creazione di corpi scelti di volontari professionisti, dall’altrala militarizzazione delle forze di polizia che vengono impiegatenelle missioni di peacekeeping e ricostruzione come nella ge-stione dell’ordine pubblico. Una collaborazione che prevedecentri internazionali di addestramento per le polizie di tutto ilmondo45 e che costituisce un grosso problema per la sovrani-tà territoriale. C’è da ricordare che durante la guerra fredda siassisteva già a fenomeni del genere, ma venivano condotti insegreto e nell’illegalità, come nel caso di Gladio e “Stay Behind”.

C’è anche chi oggi ipotizza che la struttura di Gladio possaessere sopravvissuta allo smantellamento del 1991. La notiziaarriva da un periodico notoriamente non troppo progressistacome Panorama.46 Nell’articolo viene evidenziata la contiguitàtra i reparti speciali delle forze armate italiane e la Nato, concoloro che costituirono la struttura di Gladio. Quei reparti spe-ciali, insieme ai civili inquadrati in Gladio, venivano addestrati inuna struttura civile/militare segreta in un costante rapporto re-ciproco diretto. Il fatto che si voglia mantenere il segreto sulleoperazioni dei militari, lascia presupporre che la struttura siasopravvissuta. Che fine ha fatto quella struttura militare? Per-ché tra i 622 nominativi della lista di Cossiga, non figurano iresponsabili militari, che pure c’erano, come confermato daArconte? Perché l’attività dei reparti speciali è ancora copertadal massimo segreto militare? E’ forse ancora in funzione talestruttura? Era quella che è stata denominata polizia dell’imperoche si apprestava ad essere inquadrata?

In ogni caso alcune caratteristiche di questa polizia dell’imperosi cominciano a intravedere.Militari con esperienza di guerra a svolgere ordine pubblico inpiazza, in una situazione di particolare tensione. Polizia adde-strata in centri internazionali. Una struttura come Gladio che,dopo le rivelazioni di Cossiga, sparisce nel nulla con tutti i suoiuomini, ma della quale si continuano a trovare tracce e colle-gamenti con le forze politiche di Governo (Giorgio Mathieu, pre-

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sidente dell’associazione ex-Gladiatori, è coordinatore di colle-gio per Forza Italia, nella Provincia di Torino). Ma chi e con qualistrategie, fa girare tutto questo? Le catene di comando rispon-dono a dei governi nazionali o a delle strategie sovranazionali?

Uno scenario inquietante, quello che si sta costituendo nel do-poguerra fredda.Molte piste che si incrociano, pezzi di un puzzle globale che sifatica a ricomporre.Probabilmente l’ipotesi più plausibile è che questi pezzi delpuzzle compongano una grande rete sempre più globalizzata,che accosta il vecchio ed il nuovo. È un modello di esportazio-ne della repressione che si perfeziona in itinere, con nuovi cor-si di formazione per quelli che stanno diventando sempre piùdei professionisti della guerra al soldo dei signori che gestisco-no i conflitti nel mondo [vedi box]. Conflitti che oltre alla guerraguerreggiata, portano molti profitti economici. Nel 1994 IlariaAlpi indagava su un traffico di rifiuti radioattivi tra l’Italia e la So-malia che collegava servizi segreti, Gladio, vertici militari dellaFolgore e vertici politici.Attori che ritroviamo ancora oggi.

LE NUOVE GUERRE

Definiamo nuove guerre quei conflitti armati che caratterizzano il post-guerra fredda, ovvero i conflitti della quarta guerra mondiale. Le nuoveguerre avvengono in un contesto caratterizzato dal declino del ruolodello stato nella società: “Le nuove guerre hanno luogo in un contestodi erosione dell’autonomia dello stato e, in alcuni casi estremi, in uncontesto di disintegrazione di esso”. Più precisamente le nuove guerreavvengono in una fase storica caratterizzata dall’erosione del monopo-lio della violenza legittimamente organizzata. In un contesto in cui glistati hanno basse entrate fiscali e l’economia criminale gioca un ruolosempre maggiore, la violenza è per così dire privatizzata, gestita sem-pre maggiormente da attori extra-statali.La distinzione tra conflitto esterno e conflitto civile si fa quindi semprepiù difficile, e numerose guerre oggi non sono classificabili usando

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questa distinzione. Per questo si parla di asimmetria.Per quanto riguarda gli scopi per cui le guerre vengono combattute èchiaro che oggi è assente ogni progetto nazionale, qualsiasi idea sucome organizzare la società e il futuro è assente; è invece spesso unvuoto richiamo alle origini (etniche per lo più) la base identitaria, chenasconde il vuoto programmatico (ideologie coloniali, socialiste, etc...sono assenti).Per quanto concerne il metodo, molto è preso dalle tattiche di contro-insurrezione, ovvero quelle strategie elaborate durante la guerra freddavolte a colpire i movimenti di guerriglia. Obiettivo delle nuove guerresono così quasi esclusivamente le popolazioni: uccisioni, deportazioni,intimidazione. Alla fine del secolo XIX il rapporto tra vittime militari ecivili era di 1 a 8; nelle nuove guerre il rapporto si è inverito. Sono circaoltre 6 milioni le persone morte dopo la fine della guerra fredda, in oltre170 conflitti. Le tecnologie sofisticate sono le armi normalmente usateche integrano le vecchie, facilmente reperibili sul mercato, special-mente dopo il crollo dell’Urss.Da un punto di vista economico la differenza con le precedenti guerremondiali è grande: l’economia precedente era centralizzata nello sta-to. I gruppi combattenti di oggi si finanziano per lo più con il saccheg-gio, con economie criminali e mercato nero, con l’assistenza esterna(inclusa la tassazione all’assistenza umanitaria).Proprio perché l’obiettivo comune di diversissime parti belligeranti èquello di seminare odio e paura, spesso le vittime privilegiate sono inrealtà comuni: “Benché le nuove guerre appaiano come lo scontro tradiversi gruppi linguistici, religiosi o tribali, esse possono anche essereviste come guerre in cui coloro che promuovono politiche di tipoparticolaristico cooperano per sopprimere i valori della civiltà e delmulticulturalismo: in altre parole guerre tra esclusivismo e cosmopoli-tismo”. Queste parole di Mary Kaldor ci fanno supporre che siamoproprio di fronte alla quarta guerra mondiale, quella tra neoliberismo eumanità.L’analisi di Dal Lago mostra come sia venuta meno la distinzione traconflitto civile ed esterno, analizzando il ruolo degli USA quale princi-pale attore del nuovo ordine mondiale in cui si trovano a esercitare lafunzione di polizia globale. Strategia che lungi dall’essere stata svilup-pata dopo l’11 settembre era presente dalla fine del bipolarismo ed erastata pensata da un folto e variegato complesso di lobbies. L’analisi diDal Lago ha il raro pregio di analizzare il conflitto interno e il conflittoesterno simultaneamente, di coniare la significativa espressione “po-

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lizia globale” e infine di descrivere nello stesso libro i fatti di Genova edella cosiddetta “guerra al terrorismo”.

Mary Kaldor, Le nuove guerre, la violenza organizzata nell’età globale,Roma, Carrocci, 1999; Alessandro Dal Lago, Polizia globale, guerra econflitti dopo l’11 settembre, Verona, Ombrecorte, 2003.

Il movimento cresce

Il 26 febbraio 2002 si è improvvisamente assistito a uninnalzamento del livello dello scontro, quando a Roma si verifi-cò un attentato con una bomba al Viminale. L’atto non provocòvittime, né danni evidenti. C’erano stati altri attentati nel corsodell’anno precedente, ma erano sicuramente diversi, in quantosi limitavano a essere azioni dimostrative, e non furono maicondotti in modo così evidente contro le istituzioni.47

L’unica rivendicazione, delle decine pervenute alle forze del-l’ordine, che destò attenzione, fu quella di una sedicente Briga-ta XX luglio, pervenuta solamente il 6 marzo, 8 giorni più tardi.Alla fine anche tale rivendicazione fu considerata inattendibile.Il fatto perse quindi importanza sui mezzi d’informazione.

L’attentato era stato “previsto” da alcuni esponenti del Governo(in primis dal ministro Castelli) qualche giorno prima alludendoa possibili attentati a esponenti del Governo, come conseguenzadell’innalzamento dello scontro sociale da parte dei sindacatisulla questione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. L’at-tentato non solo venne in questo senso profetizzato, ma vennepoi liquidato dal ministro Scajola come un gesto da ricondursiad ambienti dell’anarcoinsurrezionalismo. Quindi nessun rife-rimento preciso, ma solo ipotesi, tra l’altro molto vaghe. Nes-suno seppe più nulla di una vicenda che ancora oggi rimaneoscura.Come si può però constatare dalla cronologia degli eventi in

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quei giorni la bomba viene subito dopo la decisione della Cgil diindire uno sciopero generale contro le modifiche da parte delGoverno dello Statuto dei Lavoratori e subito dopo le dichiara-zioni governative sull’eccessiva asprezza dei toni dell’opposi-zione.Purtroppo non ci si è fermati qui.

Il 23 marzo 2002, tre giorni prima della più grande manifesta-zione sindacale della storia italiana, viene ucciso a Bologna dasedicenti Br-Pcc, il consulente del lavoro Marco Biagi, legato algoverno ed estensore del Libro bianco sul lavoro. Il governoinsiste molto con i famigliari per i funerali di stato il giorno dellamanifestazione nazionale, cosa che essi categoricamente ri-fiutano.La dinamica degli eventi di quei giorni, vista a posteriori, mo-stra un evidente piano di discredito che si lega a Genova edalla bomba al Viminale. Di nuovo fioccano le previsioni eccel-lenti, di nuovo sono decine le accuse da parte del governo ver-so la Cgil ed il movimento, di coprire e favorire i gruppi armatieversivi.

Gennaio 2004: a Mumbai si incontrano un milione di persone per il forumsociale mondiale

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Sandro Provvisionato, giornalista, che conduce inchieste ap-profondite e accurate sui giorni bui della nostra Repubblica,dalla Uno bianca all’omicidio Calabresi, dall’eversione nera aGenova 2001, curatore del sito www.misteriditalia.it, ricostrui-sce nel seguente modo i fatti.

La sera del 4 aprile 2002 viene trovato morto in casa sua ilperito informatico Michele Landi. In un primo momento sembraessere una notizia che non presenta legami con tutto il resto.Qualche giorno dopo si scopre che Landi stava indagando suqualcosa di grosso, che riguardava la morte di Biagi. Inoltrecominciano ad affiorare dubbi, che poi si riveleranno veritieri,che non si trattasse di suicidio, come era stato ipotizzato al-l’inizio, ma di omicidio. Poi le notizie iniziano a saltare fuori conuna velocità impressionante:

Un magistrato molto noto, Lorenzo Matassa, per 10 anni pub-blico ministero a Palermo, da un anno e mezzo in attività aFirenze, che con Landi aveva lavorato a diversi casi giudiziari,di lui ha detto all’Ansa, e riportato ai quotidiani nazionali: “Perme Landi è stato un valido collaboratore, ma anche un amico,e non ho paura di affermare apertamente la mia convinzione:in Italia, il paese delle stragi impunite, il paese delle stragi diStato, l’esperto di computer che stava lavorando, senza incari-co ufficiale, alla rivendicazione via Internet dell’omicidio di Mar-co Biagi, non si è tolto la vita, ma è stato suicidato dai servizisegreti”.48

Qualche settimana dopo, per le troppe stranezze che riguar-davano le modalità di impiccagione, l’indagine sul caso Landida inchiesta per suicidio si trasforma in inchiesta per omicidio.Successivamente salta fuori un cd rom con all’interno 4 giga didocumenti49 su cui il perito informatico (che già aveva indaga-to sull’omicidio D’Antona) stava lavorando a proposito dell’omi-cidio Biagi50. Poi non si sa più nulla.

Intanto si susseguono “allarmi terrorismo” fino ad arrivare alle

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schedature degli operai sindacalizzati nelle Marche, ai bidoniesplosivi innocui in Lombardia, alle perquisizioni ed ai docu-menti eversivi che compaiono in un po’ tutta la penisola, cioè aciò che sta avvenendo dal luglio 2002 in avanti. Fino all’ultimoepisodio della sparatoria sul treno Roma-Firenze, con la mor-te del poliziotto Emanuele Petri, e del brigatista Galesi. Cosa sinasconde dietro questo eccessivo allarme per il terrorismoruspante nostrano? Siamo ancora alla strategia di stabilizzaredestabilizzando?

Nuove alleanze e nuovi alibi

Effettivamente in quei mesi qualcosa stava accadendo, unqualcosa che sta continuando oggi, rafforzandosi giorno pergiorno. Per la prima volta dopo decenni infatti si stava com-piendo una saldatura tra movimenti sociali che andavano dalquello di Porto Alegre a quello di girotondisti e professori, fino aisindacati compresa la Cgil. E tutto ciò è proprio cominciatoquel 23 marzo 2002 quando a Roma, insieme alla Cgil, sfilanotutti, ed è continuato poi il 16 aprile con la generalizzazionedello sciopero, e poi a Genova nel luglio del 2002, per ricordarequanto avvenuto un anno prima. Un vastissimo e compositofronte che criticò apertamente l’operato del governo su ognilinea. Prova evidente di ciò è la mobilitazione della Cgil controla proposta di legge Bossi-Fini, che non era affatto scontataqualche mese prima, quando se ne era cominciato a parlare.Questo ha fatto paura.

Un ennesimo recinto della zona rossa della repressione anda-va allora erigendosi. Un recinto che coinvolgeva un altro pote-re dello stato: la magistratura (o quanto meno una sua parte).Nel novembre e dicembre 2002 la procura di Cosenza si pre-stò all’uso giudiziario del teorema politico di alcuni reparti deicarabinieri, arrestando decine di attivisti del movimento nel SudItalia. Le accuse furono paradossali e senza alcun fondamen-to (compartecipazione psichica agli scontri, sovvertimento del-l’ordine economico) e caddero dopo un mese: venne ordinata

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la scarcerazione degli imputati, anche se qualcuno rimase incarcere più a lungo. La cronologia degli arresti, inoltre, non fuaffatto casuale. Pochi giorni dopo il Forum Sociale Europeo euna manifestazione di un milione di persone contro la guerra,ecco scattare la prima ordinanza. Poche ore prima della tratta-tiva tra Fiat e sindacati, ecco la seconda.

All’attacco giudiziario si sommano, dopo poco tempo, anche lebombe e le bombette strategiche: subito prima dello scioperogenerale contro la cassa integrazione per gli operai Fiat, subitoprima delle fiaccolate contro la guerra in 260 città, nel bel mez-zo di un autunno che ha visto il saldarsi di molte lotte sociali ela crescita del malcontento, mentre ancora sono in carcereuna ventina di persone per il teorema della procura di Cosenza,il 9 dicembre 2002, scoppiano due bombe vicino alla questuradi Genova.

Solo per queste coincidenze, la vicenda non è chiara, ma di-venta ancor meno chiara quando si viene a sapere che a riven-dicare l’azione è la fantomatica Brigata 20 luglio (e non più XXluglio), che a detta di inquirenti e stampa, sarebbe la responsa-bile della bomba del 26 febbraio al Viminale, cosa che parealquanto strana in quanto gli stessi inquirenti avevano liquidatola rivendicazione da parte del fantomatico gruppo come noncompletamente attendibile; lo stesso ministro Scajola in parla-mento aveva attribuito l’attentato a imprecisati gruppianarcoinsurrezionalisti.

Risulta quindi strano che la versione ufficiale cambi quando fapiù comodo. È chiaro che per chi, negli apparati statali, ha in-tenzione di alzare il livello della tensione, la presenza di un nuovogruppo terroristico stabile sul territorio, e non con una presen-za sporadica, fa comodo. Quando poi tale gruppo ha un preci-so richiamo a un’area politica e sociale come quella del movi-mento (il 20 luglio è la data dell’omicidio di Carlo Giuliani), tuttosembra combaciare. Le bombe infatti fungono subito da prete-sto: il vicepresidente della regione Liguria, Gianni Plinio (An),

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pochi giorni dopo l’attentato di Genova nel dicembre del 2002,chiede all’onorevole Fini di vietare le manifestazioni no global,per la sicurezza di tutti;51 prima della “rivendicazione” della Bri-gata 20 luglio, il plurindagato per i fatti della Diaz e per le violen-ze in piazza a Genova, Vincenzo Canterini (dirigente della Con-federazione sindacale autonoma della polizia, vicino alla Casadelle libertà e dirigente del Reparto mobile di Roma), avevarincarato la dose affermando che le bombe erano da ricondur-re a chi tra i no global voleva attentare all’ordinamento dellostato. Inoltre dichiarò che questo attentato era il risultato delcontinuo discredito operato dal movimento no global a dannodelle forze di polizia. Come queste, sono decine le dichiarazio-ni che si rincorrono ad affermare la corresponsabilità di partedel movimento con le bombe genovesi, sempre senza pre-sentare prove e tutto sempre su semplici supposizioni e pre-giudizi. Una strategia molto simile a quella inaugurata il 12 di-cembre 1969 con la strage di Piazza Fontana. Anche in quelcaso la colpa fu immediatamente attribuita agli anarchici, eanche in quel caso gli effetti della bomba furono usati per con-trastare il movimento operaio e studentesco. Anni dopo si sco-prì che la bomba venne piazzata da militanti dell’estrema de-stra con una qualche partecipazione dei servizi segreti e co-pertura istituzionale.Siamo quindi di fronte a strategie di stabilizzazione sociale e

contenimento degli antago-nismi che, benché differen-ti, tuttavia convergono nel-la produzione di zone ros-se di repressione cioè insospensione dei diritti in di-versi campi. Non è sicura-mente pensabile una regiaunica di tutto questo, mapiuttosto è realistico imma-ginarsi una rete di relazioniforti tra gruppi di potere, tra

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élites, nonché una sinergia tra mass-media e militare. Si partedalla criminalizzazione degli “anarchici”, presentati come com-ponente “terrorista” e si arriva alla criminalizzazione dell’interomovimento. Questo in netta antitesi alle tesi dell’ex vice-diret-tore della Banca Mondiale, Joseph Stiglitz in La globalizzazionee i suoi oppositori, o Kofi Annan nella sua conferenza a Davosche riconoscono il carattere positivo della opposizione politica.O addirituttra il sensazionalistico New York Times che riportal’opinione del movimento di Seattle come unica “superpoten-za” in grado di contrastare il potere imperiale statunitense.52

Le strategia mass-mediatica mostra tuttavia le sue crepe. Unesempio in questo senso è la vicenda degli NTA [vedi box] cheda uno dei nuclei forti del “fronte armato del movimento” si èrivelato essere un’invenzione di una mente particolarmentecreativa.

L’INVENZIONE DEGLI NTA

La storia degli Nta (Nuclei Territoriali Antimperialisti) è relativamenterecente. La sigla compare infatti la prima volta come firma di un volan-tino ritrovato a Sacile, in provincia di Pordenone, nel 1995 e intitolato“Nuovo Ordine Mondiale, Bosnia, Nucleare e Aviano”. Il titolo di questodocumento e lo stesso nome dell’organizzazione fanno capire che ilterreno di confronto degli Nta, non è riferito a obiettivi nazionali (suiquali storicamente la lotta armata delle Br si era concentrata, a partequalche piccolo contatto con la Raf tedesca) ma a un contesto piùampio che coinvolge esplicitamente la Nato e l’intervento nell’ex Jugo-slavia.Il livello delle azioni degli Nta non è mai stato elevato. Si contano ingenere danneggiamenti a proprietà di militari statunitensi di stanza adAviano e piccoli attentati a sedi dei Ds.Un primo fatto non chiaro attorno al gruppo riguarda un attentato alpalazzo di giustizia di Venezia. Il pm Casson non crede alla rivendica-zione ufficiale degli Nta e comincia a indagare sull’estrema destra. Il1995 è l’anno della Uno Bianca e della comparsa della Falange. Pro-prio la Falange in un primo momento, rivendica l’attentato, ed è proba-bilmente anche per questo che Casson, mettendosi contro le tesi del-

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la Procura, sceglie di non indagare sugli Nta.L’area in cui avvengono questi attentati è localizzata nel nord-est del-l’Italia, e ciò in un primo tempo, fa pensare alle Procure, di essere difronte a un gruppo isolato.Questo fino all’omicidio Biagi, quando si comincia a ipotizzare la tesidel fronte terrorista unitario, che vedrebbe l’unità di intenti tra Br e Nta,uniti sotto la sigla Br - Guerriglia Metropolitana. Il documento di riven-dicazione degli Nta è addirittura ritenuto “attendibilissimo”.Da allora i mass-media e l’intero arco delle istituzioni, utilizzando toniallarmistici, descrivono un panorama di trame terroristiche pronte adattivarsi. In questo arco vengono posti anche alcuni settori dell’antago-nismo, come i Disobbedienti ed Europposizione.Le tesi ufficiali subiscono però una clamorosa smentita quando, il 22gennaio 2004, vengono arrestati a Udine tre insospettabili accusati difare parte degli Nta.Il 10 febbraio viene ribadita dal Sisde in Parlamento, la tesi di un unicoarco eversivo che comprende anarcoinsurrezionalisti, Br, Nta,Disobbedienti, e viene auspicato dal ministro Pisanu, che gli arrestiportino al disvelamento delle probabili connessioni tra i terrorismi.Il 12 febbraio uno dei tre arrestati, Luca Razza, comincia a parlare eracconta che la sigla Nta in realtà è stata una sua invenzione con laquale ha ingannato per anni i servizi segreti italiani. Ritagliando infattipezzi di vecchi comunicati delle Br, e confezionando i piccoli attentatida lui rivendicati, Razza è riuscito a creare in poco tempo il mito degliNta. Razza quindi si autoincolpa di tutto, eccetto dell’attentato al pa-lazzo di giustizia di Venezia. Il suo racconto è comprovato, e gli inquirentine comandano la scarcerazione.Cosa fa capire la vicenda degli Nta?Innanzi tutto, l’estrema facilità attraverso la quale oggi si possono fal-sificare documenti e rivendicazioni, cosa che con la lotta armatadegli anni ’70 non poteva avvenire, per le diverse modalità con cui sigestivano le rivendicazioni. Questo getta una cattiva luce sull’attendibilitàdelle fonti e delle tesi delle procure. La vicenda, ancora poco chiara,dell’attentato al palazzo di giustizia di Venezia, ne è una prova.Inoltre è abbastanza logico dedurre come la costruzione delle ipotesiinvestigative oggi sia totalmente falsificata dall’uso di documenti dubbie da reali interessi volti a criminalizzare quei movimenti che mettono inpericolo l’ordine costituito. È infatti chiaro come nell’epilogo della vi-cenda degli Nta, si sia mostrata in pieno la macchina che sta dietro letesi degli inquirenti. Montature che vedono conniventi gran parte deigiornalisti, ma che non sempre reggono.

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Una repressione bipartisan

Non hanno tutti i torti coloro che affermano che nel 2001 la P2ha vinto53 dopo una scalata iniziata nel 1992, anno del referen-dum sul maggioritario, non solo perché numerosi suoi espo-nenti sono andati al governo, ma anche perché gran parte del-l’apparato legislativo prodotto in questi anni di governoBerlusconi, corrisponde in modo impressionante al Piano perla rinascita democratica, elaborato negli anni Settanta da taleloggia massonica a cui Gladio era collegato [vedi box].54 Dal-l’abolizione delle rogatorie internazionali alla depenalizzazionedel falso in bilancio, dalla divisione del fronte sindacale (da unaparte la Cgil, dall’altra Cisl e Uil), al controllo di gran parte dellastampa nazionale e locale. Tutto era già stato scritto più di 20anni fa, negli anni Settanta, ed è stato scrupolosamente mes-so in atto dal Cavaliere e dai suoi collaboratori. Purtroppo que-sto non è tutto. E’ infatti utile notare come nel manifesto politicodella P2, ci sia un esplicito richiamo a una politica bipartisan,con grandi accordi tra schieramenti, il tutto nell’ambito di unsistema maggioritario. Uno dei primi accordi bipartisan, duran-te l’attuale legislatura di centro destra, fu un documento comu-ne sulle disposizioni per la gestione di piazza durante il G8 aGenova.

P2: UN PROGRAMMA BIPARTISAN

Il Piano di rinascita democratica fu sequestrato all’aeroporto di Fiumicinonel sottofondo malamente camuffato di una valigia di Maria GraziaGelli, figlia di Licio, che stava tornando in Italia da Nizza. Il documentoè databile attorno al 1976. Dopo averli fatti rinvenire, Gelli ha avutocura di introdurre nuovi elementi di confusione precisando, nel giugnodel 1984, che il Piano di rinascita non è mai esistito. Esso era solo uninsieme di appunti che dovevano servire da scaletta per una serie diarticoli e relazioni. Qui si proponevano con programmi a medio e lungotermine alcuni ritocchi alla Costituzione, successivi al restauro delleistituzioni fondamentali; l’aggettivo democratico significa semplicemen-te che il Piano esclude di rovesciare il sistema per altre vie. Il Piano

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prevedeva di “usare gli strumenti finanziari stessi per l’immediata na-scita di due movimenti: l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra Psi-Psdi-Pri-Liberali di sinistra e Dc di sinistra), e l’altro sulla destra (a cavallo fraDC conservatori, liberali, e democratici della Destra Nazionale)”. Inso-lita preveggenza.

Se da un lato risultano evidenti le pesanti responsabilità da partedel Governo di centro-destra, dall’altro le responsabilità delcentro-sinistra sembrano altrettanto gravi. È infatti innegabileche in occasione del Global Forum di Napoli della primaveradel 2001, furono attuate strategie di piazza da parte della poli-zia, simili se non uguali a quelle attuate a Genova. La tesi cheNapoli fu in realtà una prova generale per Genova, venne avan-zata la prima volta da Fausto Bertinotti, proprio all’indomanidelle tre giornate genovesi. Uscendo poi dall’ambito nazionalesi può notare come questo modello di gestione di piazza du-rante i controvertici non sia una peculiarità italiana, ma riflettauna tendenza ormai globale. Praga, Gotheborg, Ginevra,Quebec City, sono esempi di una stessa strategia repressiva

Abbattimento del muro esterno del centro di permanenza temporanea diGradisca (UD)

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delle manifestazioni che assediano i grandi vertici delle istitu-zioni globali e che si perfeziona di volta in volta. Tale tattica nonsi riassume solamente in una modalità simile di gestione dellapiazza (creazione della tensione prima e durante, assalti aicentri stampa del movimento e alle sedi dei manifestanti al ter-mine delle manifestazioni), ma si concretizza soprattutto an-che in una delega pressoché totale delle decisioni politiche agliorgani di polizia, che si assumono la totale gestione dell’ordinepubblico. E’ un’altra caratteristica della polizia dell’impero. Lacrescente autonomia della polizia dal potere esecutivo (e del-l’esecutivo dal parlamento) diventa tecnica del governoneoliberista.

Inoltre sia per quanto riguarda la Commissione parlamentared’inchiesta su Genova, sia per quanto riguarda i giudizi sullepolitiche sindacali della Cgil, abbiamo assistito a prese di posi-zione, votazioni e schieramenti bipartisan formali e informali,senza alcuna distinzione tra centrosinistra e centrodestra.Questo induce quindi a riflettere su come in realtà la propostapolitica piduista sia riuscita a imporsi e ad accomunare schie-ramenti politici apparentemente contrapposti, che si ritrovanodi comune accordo su argomenti riconducibili alla gestionedel conflitto sociale.

Oggi l’apparato mediatico è il nuovo potere forte in Italia comenel mondo, in grado di trasfigurare la realtà. Ma questatrasfigurazione modifica a tal punto l’immaginario da diventareun dato reale. Su questa trasformazione sociale operata daimass-media, i vari schieramenti politici si presentano divisi,pur avendo un comune indirizzo di avvallo del neoliberismo.Esemplare è in questo senso la predisposizione della zonarossa a Genova. Da un lato i mass-media hanno creato unclima di paura e di richiesta di sicurezza, dall’altro i politicibipartisan hanno risposto istituendo la zona rossa.

Siamo di fronte oggi a qualcosa di più pericoloso di ciò che simanifestava negli anni Settanta. Oggi la guerra contro le oppo-

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sizioni sociali si sta sempre meno giocando con metodi qualile punizioni esemplari o gli omicidi, ma viene condotta con undispiego di forze mai visto a livello mediatico e dell’informazio-ne. Mai come prima risultano essere profetiche le parole diOrwell in “1984” o di Bradbury in “Fahrenheit 451”.Sembra essere solo l’inizio di quella che potrebbe essere unaguerra dichiarata a chi si permette di dissentire.

***

Con la fine della guerra fredda sembrava aprirsi un periodo di egemo-nia unipolare dominato dagli Usa. Si afferma il modello economico delWashington Consensus e con esso anche quella particolare tecnicadi governo che è la polizia. Da una parte la società viene indotta,attraverso la diffusione della paura, a richiedere misure sicuritarie,dall’altro i vari corpi militari e di polizia si sono amalgamati e ristruttu-

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rati. A Genova è stata teorizzata e praticata la zona rossa, ovvero lasospensione dei diritti di chi si oppone alle politiche del neoliberismo.Si è così dichiarata una guerra a chi desidera dissentire. Una guerra abassa intensità condotta da attori poco conosciuti e spesso in lottatra loro.In un quadro bipartisan dove i dirigenti dell’ordine avevano codificato lamanifestazione contro il vertice G8 come un atto eversivo e terroristi-co e ne avevano preso le dovute misure, la lotta per il potere di diverselinee di gestione dell’ordine si è risolta in piazza. La linea dura haavuto la meglio. La polizia ha potuto operare in uno stato di eccezioneattraverso pratiche di ingegneria militare.Militari con esperienza di guerra a svolgere ordine pubblico in piazza,in una situazione di particolare tensione. Polizia addestrata in centriinternazionali per “prevenire” guerriglie urbane, illegalmente poi usatacome corpo di repressione della popolazione, nel mondo come in Ita-lia.L’hanno definita polizia dell’impero, quel potere nel potere, che si muo-ve tra legali operazioni di peacekeeping (vis pacem para bellum) eillegali tecniche di contro-insurrezione.Come durante la guerra fredda in Italia c’è stato uno stato nello stato,pronto ad agire illegalmente, a compiere o commissionare atti di re-pressione dei movimenti (contadino, operaio, studentesco), così nel-l’attuale fase di globalizzazione esistono poteri di poliziatransgovernativi che cooperano. Qualcuno che per ragioni di stato èpronto a destabilizzare per stabilizzare. Questo potere nel potere cheopera nell’ombra, ci sembra anche lo stesso capace di fermare o la-sciare agire strani gruppuscoli che vorrebbero condurre una lotta anti-imperialista, ma le cui mosse sono sempre troppo preziose per certipolitici bipartisan pronti a discreditare i movimenti (sindacale, pacifi-sta, anti-G8).La zona rossa di Genova ha però anche mostrato un re nudo. Alcunigiornalisti hanno sperimentato sulla propria pelle quell’operato. La zonarossa ha mostrato le molte crepe di un potere che si basa sempre piùsolo sulla forza. La strategia di repressione di Genova non è stata maibene analizzata fino in fondo perché dopo il caldo dell’estate e l’onda-ta di instant books, ecco che l’11 settembre avrebbe oscurato tutto.Proprio mentre l’opinione pubblica stava prendendo atto che il re eranudo, ecco che un nuovo colpo ripristina a livello globale la culturasicuritarista. Con l’11 settembre esploderanno mediante i mass-mediazone rosse su tutto il pianeta. Dall’Indonesia al Paraguay, dall’Africa

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all’Occidente, i diritti verranno sospesi e limitati in nome della sicurez-za.Note:

1 Le Monde, 28 maggio 2002

2 Su questo rimane fondamentale il primo studio a caldo sulla questione: Alain Bihr, Du grand soir à l’alternative, le

mouvement ouvrier européen en crise, Paris, Les Editions Ouvrières, 1991.

3 Serge Halimi, Dove nascono le idee della destra statunitense, Le Monde Diplomatique, Maggio, 1995; id., La genesi di

un pensiero dominante, Le Monde Diplomatique, gennaio 2002.

4 Loïc Wacquant, Parola d’ordine: tolleranza zero, la trasformazine dello stato penale nella società neoliberale, Milano,

Feltrinelli, 2000

5 C. Murray, R. Herrnstein, The bell Curve. Intelligence and class Structure in American Life, New York, 1994, cit. in Loïc

Wacquant, Parola d’ordine: tolleranza zero, cit., p.16, che riporta anche gli studi che hanno mostrato l’inconsistenza empirica

su cui tale libro è fondato.

6 C. Murray, R. Herrnstein, The bell Curve, cit. in Serge Halimi, La genesi di un pensiero, cit.

7 Loïc Wacquant, Parola d’ordine: tolleranza zero, cit., pp. 19-20

8 Le Monde, 28 gennaio 1999; cit. in Loïc Wacquant, Parola d’ordine: tolleranza zero, cit., p. 49

9 S. Palidda, Polizia postmoderna, etnografia del nuovo controllo sociale, Milano, Feltrinelli, 2000, pp.60 sgg.

10 Ibid., p.193

11 Piero Sansonetti, Celerini in piazza contro la militarizzazione, Unità, 30 maggio 2002

12 Intervista di V. Parlato a M. D’Alema, Il Manifesto, 31 ottobre 1995, cit. in A. Dal Lago, Non persone, l’esclusione dei

migranti dalla società globale, Milano, Feltrinelli 1999

13 Loïc Wacquant, Parola d’ordine: tolleranza zero, cit., p.44

14 Ibid., p.77; anche lo studio di Palidda sul caso italiano mostra bene l’inesistenza del nesso tra aumento della carcerazione

e aumento dei reati.

15 Ignacio Ramonet, Un delitto perfetto, Le Monde Diplomatique, giugno 2002; cf anche Maurice Lemoine, Hugo Chavez

salvato dal popolo, Le Monde Diplomatique, Maggio 2002

16 S. Palidda, Polizia postmoderna, cit., p.118

17 Ibid., p.132 (corsivo dell’autore)

18 Per un’analisi specifica sulle modalità di creazione del pericolo “clandestini” si veda S. Palidda, Polizia postmoderna,

cit., pp. 151 sgg; p.177 sgg.

19 Maurizio Rotaris, cit. in Palidda, Polizia postmoderna, cit., pp.183 sgg

20 Purtroppo le analisi di Foucault sul neoliberismo non sono ancora disponibili interamente, avendole sviluppate in un paio

di corsi e poche lezioni. Qui si fa riferiemento a M. Foucault, Nascita della biopolitica, corso 1978-79, in M. Foucault,

Biopolitica e territorio, i rapporti di potere passano attraverso i corpi, Millepiani-Mimesi, n.9, 1996 (preso dalla prima

edizione italiana pubblicata a Pisa da Franco Serantino nel 1994) e ai saggi specifici sull’argomento contenuti in M. Foucault,

Dits et ecrits, Paris, Gallimard, 2001 (i saggi: Sècurité, territoire et population, 1977-1978; La gouvernabilité, 1977-78; Omnes

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et singulatim: vers une critique de la rasion politique, 1981; La technologie poltique des individus, 1982). Mentre stiamo

pubblicando è appena uscito in Francia l’edizione completa del corso sotto il titolo Naissance de la biopolitique per Gallimard-

Seuil, ‘Hautes études’.

21 Per un’ampia rassegna stampa internazionale: AA.VV., I giorni di Genova: cronache, commenti e testimonianze da

giornali di tutto il mondo, Internazionale SRL, Roma 2001. In particolare si vedano Il mondo a Genova, di Eric Jozsec,

Internazionale del 29 luglio 2001; AA.VV, La cronaca dell’odio, The Observer del 29 luglio 2001; L’assedio di una città, The

Nation del 23 luglio 2001; E’ tutto un errore, The Sunday Times, 22 luglio 2001. Sulla discordanza tra le prime ricostruzioni

date dalle polizia e la verità dei fatti, si veda inoltre: Y.Trofimov e I. Johnson, G8 protesters say they were beaten. Deprived

of rights by police in Italy,The Wall Street Journal, 07/08/2001.

22 Si segnala a riguardo la storia di Eligio Paoni fotoreporter dell’agenzia Contrasto, brutalmente pestato e ferito gravemente

alla testa (più la frattura di una mano) dai carabinieri mentre riprendeva la scena della morte di Carlo Giuliani. I militari

gli hanno anche distrutto una macchina fotografica e lo hanno costretto a consegnare la pellicola di un’altra fotocamera che

era riuscito a tenere al riparo dalle manganellate e dai calci delle forze di polizia. Altre storie su http://www.fnsi.it/

genova_email_commenti_comunicati.htm, 16 marzo 2003.

23 Francesco Martone, Inchiesta su un candelotto, Carta, n.2, gennaio 2002

24 Silvio Buzzanca, I neonazisti nei cortei. I DS accusano: ignorato un dossier della Questura, La Repubblica, 27 luglio 2001;

Giuseppe D’Avanzo e Anais Ginori, Dalla Diaz a Bolzaneto, il G8 e le sue ombre, La Repubblica, 30 luglio 2001; Anais Ginori,

Casarini: “Si indaghi sui neonazisti infiltrati”, La Repubblica, 31 luglio 2001; Nedo Canetti, Infiltrati di Forza Nuova, il governo

sapeva. Inoltre: Sparpagliati a piccoli gruppi. Ecco il piano dei neonazisti, l’Unità, 27 luglio 2001; Fascisti pronti a infiltrarsi,

Il Manifesto, 27 luglio 2001; inoltre su Repubblica on-line: Le Tute Bianche accusano: infiltrati nei cortei, 21 luglio 2001

www.repubblica.it/online/politica/gottonove/infiltrati/infiltrati.html; Il Gsf accusa: Poliziotti infiltrati tra i manifestanti, 22

luglio 2001 www.repubblica.it/online/politica/gottodieci/chiuso/chiuso.html; G8, in Senato un documento su neonazisti infiltrati,

26 luglio 2001 www.repubblica.it/online/politica/gottotredici/gottotredici/gottotredici/angius/angius.html; Violenza neonazista

per screditare gli anti-g8, 26 luglio 2001 www.repubblica.it/online/politica/gottotredici/gottotredici/documento/documento.html

25 IMC Italy, Raccolta di materiali su black block e dibattiti relativi, al di là del balletto emergenziale dei media ufficiali, in

www.italy.indymedia.org/front.php3?article_id=13582 18 settembre 2001.

26 Video di Davide Ferrario, Le strade di Genova, 2001 presentato alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta.

27 Simone Falanca, Le BR colpiranno ancora: pubblicato su Il Giornale un nuovo allarme dei servizi segreti, in www.zaratustra.it

luglio 2002.

28 Relazione Pellegrino, Il convegno del Parco dei Principi del maggio 1965 nell’analisi della Commissione Stragi, in

www.zaratustra.it/relezioneparcoprincipipellegrino.htm marzo 2003, consultabile dal sito http://www.zaratustra.it/page18.html

marzo 2003.

29 Espressione figurata che significa “restare dietro le quinte”. Si trattava di una rete estesa a tutti gli stati europei occidentali

con a capo la CIA, che si inseriva nel complicato gioco ad incastri della terza guerra mondiale (guerra fredda). Gladio fu

uno dei nodi italiani della rete. Gli scopi di tale rete erano di influenzare in modo occulto la politica degli alleati occidentali,

in modo da impedire una ipotetica avanzata dei rispettivi Partiti Comunisti. L’attuazione pratica di questi scopi fu il piano

“Demagnetize”. Primo Moroni, La notte dei gladiatori, Padova, Calusca Edizioni, 1991

30 Strettamente collegato alla rete “Stay Behind”, fino ad essere praticamente la stessa cosa. Il “Piano” sottoscritto dagli

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alleati occidentali, impegnava i vari servizi segreti a rispettare gli obiettivi di una strategia permanente di offensiva anticomunista

nei reciproci paesi. Il piano consisteva in una serie di operazioni politiche, paramilitari e psicologiche, atte a ridurre la

presenza del Partito Comunista in Italia. Una versione analoga era in vigore in Francia e in altri paesi europei. Primo Moroni,

La notte, cit.

31 Attilio Bolzoni, Tano Gullo, Portella della Ginestra, sulla strage impronte USA, La Repubblica, 10 Febbraio 2003, ora

disponibile anche su www.misteriditalia.com/giuliano/strage-portella/ombra-statunitense/download/Giuliano-Cia.rtf

32 Antonio Arconte, The real history of Gladio, in www.geocities.com/pentagon/4031/real.htm marzo 2003; Simone Falanca,

Memoriale di un gladiatore, www.zaratustra.it/memoriale.htm 14 marzo 2003, consultabile dal sito http://www.zaratustra.it/

page18.html marzo 2003.

33 Rosanna Biffi, Lo strano caso di G-71. rivelazione di un ex: ecco le prove della Gladio militare, Famiglia Cristiana, n.20,

2002, p. 28.

34 Recentemente Arconte ha rivelato addirittura della complicità di Gladio nella vicenda legata ad Aldo Moro, e di come

tale organizzazione avrebbe saputo con due settimane di anticipo dell’imminente rapimento, dando precisi ordini di non

intervento: cf. Toni Baldi, Quei gladiatori sulle tracce di Moro, Liberazione, 9 maggio 2002; ora disponibile sul sito: web.tiscali.it/

no-redirect-tiscali/locomotiva/gladiatori.htm

35 Primo Moroni, La notte. cit.

36 Inchiesta di Zaratustra, Lo Stato Occulto: storia dei Servizi Segreti italiani, in www.zaratustra.it/stato.pps marzo 2003; sullo

stesso sito sono consultabili anche altre interessanti le inchieste sui poteri occulti della storia italiana; sono comunque

consultabili a questo sito www.zaratustra.it/page16.html, marzo 2003.

37 www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa

38 Arto, Il caso Giuliani-Alpi, in www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa/

modules.php?name=News&file=article&sid=12&mode=&order=0&thold=0

39 Consultare nel sito di Pillola Rossa Le inchieste esistenti, che compongono una parte della controinchiesta su Piazza

Alimonda. L’elenco di articoli che compare su questa pagina è da riferirsi a più autori che hanno collaborato:

www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa/modules.php?name=News&new_topic=2 14 marzo 2003

40 Franti, La bestia nera di Piazza Alimonda: un profilo dei protagonisti, in http://www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa/

modules.php?name=News&file=article&sid=9&mode=&order=0&thold=0 14 marzo 2003.

41 Secondo un comunicato Ansa del 20 Aprile 2001: “Usa-Italia. Alta onoreficenza a ufficiale carabinieri – Washington:

Il presidente degli Stati Uniti ha insignito il colonnello dei carabinieri Leonardo Leso della Legion of merit. L’ onorificenza,

la piu’ alta ‘non combat’ degli Stati Uniti, di cui sono insigniti pochissimi militari italiani, costituisce il riconoscimento dell’

intensa carriera internazionale del col. Leso e dell’ opera svolta in varie missioni di pace dalla unita’ specializzata multinazionale,

una formazione di carabinieri impiegata dalla Nato in Bosnia, in Albania e nel Kosovo con compiti di ordine e di sicurezza

pubblica.”

42 Per maggiori approfondimenti si veda la relazione del Generale e Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Rolando Mosca

Moschin per l’inaugurazione dell’anno accademico 2002-2003 del Centro Alti Studi della Difesa. http://

www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa/modules.php?name=News&file=article&sid=48&mode=&order=0&thold=0 ,

settembre 2003.

43 Il ritorno della School of Americas in http://italy.indymedia.org/news/2002/12/124194_comment.php , dicembre 2002;

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molti documenti sulla School of Americas sono in inglese su questo sito www.soaw.org; lo studio migliore sui complessi legami

della SOA è J. Nelson-Pallmeyer, School of Assassins, guns, greed, and globalization, New York, Orbis Books. 2003

44 Carabinieri alla ex school of americas?, in http://italy.indymedia.org/news/2001/11/29573.php novembre 2001.

45 Marco Galluzzo, E l’Arma addestra 5.000 uomini anti-guerriglia, Corriere della Sera, 7 giugno 2001, consultabile in

h t t p : / / w w w . p i a z z a c a r l o g i u l i a n i . o r g / p i l l o l a r o s s a /

modules.php?name=News&file=article&sid=67&mode=&order=0&thold=0

46 Marcella Andreoli, I veri rapporti fra Stay Behind e i reparti speciali delle forze armate, Panorama. Disponibile in internet:

http://www.italy.indymedia.org/news/2003/03/198324.php 7 marzo 2003.

47 E-Lotta, La memoria delle bombe: dagli Nta alla brigata 20 luglio, www.italy.indymedia.org/news/2002/12/130701.php

11 dicembre 2002.

48 Newsletter numero 39, del 9 aprile 2002, in www.misteriditalia.it

49 Un Hacker rivela: è stato ucciso perché sapeva, www.informationguerrilla.org/caso_landi.htm

50 Newsletter numero 42, del 21 maggio 2002, in www.misteriditalia.it

51 La Stampa, 10 dicembre 2002.

52 New York Times, 16 febbraio 2003

53 Gianni Barbacetto, La P2 ieri, la sua vittoria oggi, in www.zaratustra.it/page18.html marzo 2003

54 Il testo del piano per la rinascita democratica, la base teorica su cui si appoggiava la P2, sequestrato a Gelli nel 1982,

è consultabile nel sito www.zaratustra.it/pianorinascitademocratica.htm marzo 2003

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11 settembre: un’oscura tragedianel cuore dell’impero

In questo capitolo elencheremo le molte questioni irrisolte sull’oscuratragedia dell’11 settembre. Cercheremo di entrare nelle contraddizionidelle stesse versioni ufficiali e analizzeremo le molte ricostruzioni aesse alternative. Partiremo dalle domande dei famigliari delle vittimeper arrivare alle tesi che mettono sotto accusa l’amministrazione Bush.Vedremo quali sono le questioni ancora poco chiare circa le dinami-che dei fatti: i mancati controlli, le mancate indagini preventive, lepiste scartate, le mancate indagini successive ai fatti. In alcune sche-de di approfondimento verranno trattati i dettagli dei maggiori misteriancora irrisolti. Partendo dalla dichiarazione di Kissinger, già protago-nista del 11 settembre 1973 in Cile, vedremo poi come l’estrema de-stra statunitense ha ingannato il mondo, tramite l’invenzione di BinLaden, un’ottima copertura mass-mediatica. L’11 settembre si presen-ta come una zona rossa nella misura in cui la catena legittima dicomando saltò e si realizzò uno stato di eccezione.L’11 settembre segna l’occasione, auspicata già anni prima daineoconservatori, con cui gli USA, nel nome della guerra al terrorismo,sferrano un attacco militare esportando zone rosse a quelle popola-zioni che hanno l’unica sventura di abitare su territori geostrategici.

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I fatti chiari ed evidenti dell’11 settembre

Alle ore 8.45 un aereo della American Airlines si schianta con-tro la torre Nord del World Trade Center. Quindici minuti dopo,ripreso dalle televisioni un secondo aereo si schianta sulla tor-re Sud. L’avvenimento è sotto l’occhio di milioni di telespettato-ri. Poco dopo le torri precipitano una dopo l’altra. Alle 9.40 unterzo aereo si schianta sul Pentagono. Più tardi un quarto ae-reo precipita in Pensilvania. Inizialmente si stima che sotto letorri ci siano circa 30.000 vittime. Il popolo degli Stati Uniti èsgomento. Tutto il mondo è incredulo. Non si capisce cosasuccede. Vengono additati i terroristi musulmani.Mai un attentato così grande nella storia. Mai tanta violenza indiretta televisiva. Eppure proprio questa evidenza dell’immagi-ne è stata alla base di tanta disinformazione. Molti hanno so-stenuto che con l’11 settembre la realtà abbia fatto irruzionenella fantasiosa quotidianità degli statunitensi poco abituati adavere la guerra in casa. Pochi invece sostengono che con l’11settembre è la fiction che ha fatto irruzione nella quotidianità. E’proprio ciò che per anni era solo stato rappresentato al cinemacome fiction, come scenario di attacco extraterrestre, venivarappresentato in diretta televisiva, e il carattere della diretta te-levisiva mondiale le conferiva di per sé il carattere di prova in-confutabile. La morte e la violenza costituisce da tempo unodegli intrattenimenti più seguiti nella società dello spettacolo,non solo negli Usa. Con delle chiare immagini tutto sembravero, ma Guy Debord ci avvertiva: “lo spettacolo è la ricostru-zione materiale dell’illusione religiosa; la tecnica spettacolarenon ha dissipato le nuvole religiose dove gli esseri umani ave-vano riposto i propri poteri distaccati; essa li ha solamente re-legati a una base terrena; così è la vita terrena che diventaopaca e irrespirabile”1. Infatti mai come l’11 settembre la direttatelevisiva permise di mettere a fuoco alcune immagini e na-sconderne altre. I mass-media raccolsero i frutti della loro pe-dagogia dell’ignoranza e della rimozione della memoria. Il sen-so critico fu annichilito sull’intero globo. L’esercito americanoavrebbe dispiegato il suo scudo stellare per salvare l’umanità

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da quell’attacco disumano, proprio come nei film. Cosa erasuccesso sarebbe però rimasto davvero sconosciuto e supe-rato da altri eventi da intrattenimento.

Alcuni sforzi giornalistici seri (testate di sinistra come “LeMonde”, “Libération”, “Spiegel”) si concentrarono per dimo-strare come alcune tesi non ufficiali, e anzi sospettose nei con-fronti di quelle ufficiali, che circolavano in internet erano in real-tà basate su fonti mai verificate, su citazioni estrapolate in modostrumentale, su teorie che non avevano nulla di vero: prima tratutte la tesi secondo cui l’aereo finito sul Pentagono non sareb-be mai esistito.2 In questo modo questi giornalisti progressistipossono dedurne che tutte le teorie che circolano su internet eche non corrispondono alla versione ufficiale sono basate sutale approssimazione, benché seducano l’opinione pubblica.Colpisce comunque come questi sforzi professionali sianovenuti da giornalisti che si sono ben guardati dall’analizzare lecontraddizioni interne alla versione ufficiale.

D’altra parte non tutti gli sforzi alternativi hanno il pregio di ac-cettare il terreno della ricostruzione della verità, obiettivo a cuiaspirano invece le famiglie delle vittime [vedi box], e alcuni ven-gono attirati dalla trappola sensazionalistica della società dellospettacolo. È il caso degli autori del libro Tutto quello che sai èfalso.3 Qui proprio nel capitolo sull’11 settembre si teorizza l’as-senza di una possibile verità. Si preferisce così la narrazionefantastica che dice più cose vere della versione ufficiale, macondivide con questa la visione relativista del mondo. Una ver-sione nichilista dove diverse verità possono convivere. Si trattaproprio dell’inflazione della verità, operazione della società del-lo spettacolo che permette a tante verità di convivere l’una afianco dell’altra come in un talkshow dove la politica è chiac-chiera e intrattenimento. Non esiste una verità tenuta nascostama una pluralità di versioni, tutte lontane dal vero. Questo ap-proccio, invece di cercare di dare indizi al lettore, punta a stu-pirlo, a dirgli un’altra verità, non a ricercarla insieme, con criteriscientifici. Teorizzare che sull’11 settembre non ci sarà mai

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una verità è ciò che qui non vogliamo fare, né vogliamo offen-dere l’intelligenza della lettora: vogliamo ricostruire fatti e do-mande rimandando alle fonti. È in questo conflitto di interpreta-zioni che dobbiamo agire, non creare novelle di fantascienza.Creare tante verità è ciò che già fa questa nostra società dellospettacolo.

L’invenzione di Bin Laden

La versione ufficiale non ha tardato a fare propria la versione diKissinger, uno degli esponenti dell’estrema destra statuniten-se, che come in altre occasioni è diventata senso comune alivello globale. Il primo a segnalare Bin Laden come responsa-bile dei fatti dell’11 settembre fu proprio Kissinger, il noto exsegretario di Stato ed ex-capo della CIA. A poche ore dall’atten-tato pubblicava Destroy the Network, sul The Washington Post,in cui si sosteneva: “Non sappiamo ancora esattamente seOsama Bin Laden abbia fatto questo benché sembra esserci ilmarchio di una operazione di Bin Laden, ma qualsiasi governoche protegge gruppi capaci di questo tipo di attacco, sia cherisultino coinvolti sia che non siano coinvolti dovranno pagareun prezzo esorbitante”. È in questo breve intervento che si pa-ragona l’attacco alle Torri a quello militare a Pearl Harbour.4

La politica estera americana, compresa la teoria dell’attaccopreventivo, era dichiarata in nuce a poche ore, il giorno stesso,l’11 settembre. È dubbio che Bin Laden abbia effettivamenterivendicato l’attentato, né sono mai state esibite grandi prove asuo carico. La versione ufficiale è già di per sé strana: primadell’11 settembre 2001 nessuno sapeva niente, due giorni dopoci sono già colpevoli, esecutori e mandanti. Eppure dopo 5 mesiRobert Baer, del consiglio di direzione della Cia dal 1976 al1997, disse che l’indagine era ancora tutta da fare.5

A molti mesi di distanza da quei fatti, questo Bin Laden apparesempre più per quello che è: un’invenzione mass-mediatica. Asostenerlo sono oggi in molti, bastava ascoltare anche e so-prattutto alcuni servizi di intelligence americani, fin dai primigiorni dopo l’11 settembre: “C’è molta finzione in tutto ciò. Ma a

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noi piace. Osama BinLaden è tutta mitologia.E’ partedell’intrattenimento. Nonabbiamo più un nemiconazionale, e non l’ab-biamo da quando l’im-pero del male è cadutosommerso dalle ondenel 1991”.6

Uno dei motivi principaliper cui è lecito pensareche Bin Laden sia soloun’invenzione mass-mediatica costruita per

nascondere i veri motivi dell’attacco all’Afghanistan risiede nel-la certezza che esistessero dei piani di attacco e conquista delCentro Asia già prima dell’11 settembre, questione ormai mol-to nota che vedremo nel capitolo successivo.7

Stan Goff, veterano dell’esercito, sergente maggiore delle for-ze speciali, esperto militare osserva: “L’aver trasformato BinLaden in un personaggio da fumetti non ha senso, quando sicomincia a capire la complessità e la sincronia degli attacchi...Posso dirvi che si è trattato di un’impresa molto sofisticata ecostosa, che avrebbe lasciato sul campo ciò che chiamiamouna ‘firma’ enorme. In altre parole sarebbe stato molto difficilenascondere la cosa”.8

Insomma che Bin Laden così come lo presentano i media nonesista e sia pura mitologia o fumettistica lo sostenevano chia-ramente importanti esponenti delle agenzie americane diintelligence, oltre a gran parte di esponenti del movimento diPorto Alegre e giornaliste radicali (vedi oltre). Si punta invece ildito contro la collaborazione di agenti di servizi segreti non benidentificati, ma capaci di non lasciare tracce. Bin Laden ha oc-cupato lo spazio televisivo quando invece giudici, intelligence,giornalisti avrebbero dovuto chiedere pubblicamente molte più

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cose.Come la riproduzione seriale delle immagini delle Twin Towersotto attacco ha la funzione di totalizzare lo spazio mentaledello spettatore in modo da veicolare una verità priva di interro-gativi (“America under attack!”), così la riproduzione serialedell’immagine di Bin Laden dà volto al male da sgominare. Dueimmagini totalizzanti che ricoprono la verità producendo unazona rossa dell’informazione. La chiacchiera televisiva che haassuefatto tutti. Siamo di fronte al carattere religioso della so-cietà dello spettacolo in cui Bin Laden è la proiezioneultrasensibile di tutti i mali terreni. Ciò è stato possibile ancheperché un presidente attore, Reagan, ha portato in politica ilgergo cinematografico di un noto film, Guerre stellari. Da allorail nemico indossa i panni del male da esorcizzare e i politici ipanni dell’esorcista. Questo fenomeno è ulteriormente com-prensibile alla luce della grande diffusione delle idee religiosedel fondamentalismo cristiano statunitense. I danni maggiori diquesta immagine non sono però in Occidente. Dopo l’11 set-tembre molte immagini di Bin Laden sono apparse nel mondo.I nemici degli Usa hanno trovato un loro redentore, benché cre-ato dal fondamentalismo cristiano e dai media statunitensi: èla spirale dell’odio dove i fondamentalismi cristiano, sionista,musulmano si alimentano a vicenda a detrimento dell’ascesadel dialogo inter-religioso. Da molte parti è stato festeggiatocon questa icona l’odio che gli americani hanno, a ragione o atorto, seminato nel mondo.9 Poco importa il suo lato reale, èl’icona mediatica Bin Laden che si globalizza, la cristallizza-zione dell’odio fondamentalista grazie alla società dello spetta-colo. Bin Laden è quindi forse più che un’immagine, un vero eproprio logo che in franchasing può aprire filiali in tutto il mondoa beneficio delle polizie locali e di gruppuscoli che si sentonofinalmente in rete.

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23 DOMANDE AL PRESIDENTE BUSH DAL “FAMILYSTEERING COMMETEE”

Il Comitato che rappresenta le famiglie delle vittime, alla CommissioneIndipendente sui fatti del 11 settembre chiede che il Presidente Bushrisponda a tutti i membri della Commissione in modo chiaro einequivocabile alle seguenti domande:10

“1.. Come Comandante Supremo, perché la mattina dell’11 settembrenon siete ritornato immediatamente a Washington, D.C. o al CentroComando Nazionale dell’Esercito, visto che eravate consapevole chel’America si trovava sotto attacco? Nello specifico, quando vi sietereso conto che l’America era aggredita? Chi vi ha informato di questofatto?2.. La mattina dell’11 settembre, chi era responsabile della nostra na-zione, mentre voi eravate lontano dal Centro Comando Nazionale del-l’Esercito? Siete stato informato o vi hanno consultato su tutte le deci-sioni prese in vostra assenza?3.. Che azione difensiva avete ordinato personalmente per proteggerela nostra nazione, durante la crisi dell’11 settembre? Quando sonostati dati questi ordini, e a chi? Quali ordini sono stati eseguiti? Qual èstato il risultato di questi ordini? Ci sono stati ordini non eseguiti?4.. Secondo la vostra opinione, perché la nostra nazione si è trovatacosì completamente impreparata a sostenere un attacco sul propriostesso territorio?5.. Il Capitano della Marina Usa , Deborah Loewer, Direttore del Centrodi Controllo della Situazione dello Stato alla Casa Bianca, vi ha infor-mato che il primo aereo di linea si era schiantato sulla prima Torre delWorld trade center prima che voi entraste nella Scuola Elementare“Emma E. Booker” di Sarasota, Florida?La preghiamo di spiegarci la ragione perché avete deciso di continuarecon la visita programmata alle classi, quindici minuti dopo aver saputoche il primo aereo dirottato si era abbattuto contro il World Trade Center.

6.. É normale procedura che il Direttore del Centro di Controllo dellaSituazione dello Stato alla Casa Bianca lavori con lei? Se sì, la pre-ghiamo di citarci qualche esempio accaduto in precedenza. Se invecenon è una normale procedura, la preghiamo di spiegarci le circostanzeche hanno indotto il Direttore del Centro di Controllo della Situazionedello Stato alla Casa Bianca a chiedere di accompagnarla in Florida

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durante la settimana dell’11 settembre.7.. Che piano di azione vi ha indotto a rimanervene immobile, anchedopo che Andrew Card vi ha informato che un secondo aereo di lineaaveva colpito la seconda Torre del World Trade Center, e l’America erasicuramente sotto attacco? Approssimativamente, per quanto temposiete rimasto nella scuola dopo il messaggio di Card?8.. In che momento siete stato informato che altri velivoli erano statidirottati, oltre al Volo 11 e al Volo 175? Chi vi ha informato? Qual èstata la vostra linea di condotta come Comandante Supremo degliStati Uniti?9.. Iniziando con il periodo di transizione tra l’Amministrazione Clintone la vostra, e terminando con l’11 settembre 2001, nello specifico cheinformazioni (verbali o scritte) avete ricevuto sui terroristi, su possibiliattacchi e obiettivi, e da quali fonti?10.. In particolare, cosa avete appreso dalla riunione del 6 agosto 2001sulla minaccia terroristica che stava per affrontare la nostra nazione?Avete richiesto che venisse messo in atto qualche intervento? Aveterichiesto qualche ulteriore informazione da sviluppare e/o da prepara-re?

11.. Come Comandante Supremo, dal 1 maggio fino all’11 settembre2001, ha ricevuto qualche informazione da qualche funzionario, o agentedi qualche agenzia di intelligence, che OBL (Osama bin Laden) stavaprogettando di attaccare questa nazione sul suo stesso territorio, usan-do come armi aeroplani, e individuando come obiettivi punti rilevanti diNew York City, durante la settimana dell’11 settembre o proprio nelgiorno esatto dell’11 settembre 2001?12.. Che misure difensive avete preso in risposta ai pre-allarmi dell’11settembre provenienti da undici nazioni su un attacco terroristico, al-cuni di questi citavano proprio di un attacco continentale negli StatiUniti? Avete predisposto qualche direttiva in reazione a questi possibiliinterventi terroristici? Se sì, con quali risultati?13.. Come Comandante Supremo dal 1 maggio 2001 fino all’11 set-tembre 2001, lei o qualche funzionario del Governo degli Stati Uniti hacondotto qualche negoziato o incontro con OBL, o con qualche agen-te diOBL, o con al-Qaeda? Durante questo stesso periodo, lei o qualchefunzionario del Governo degli Stati Uniti ha condotto qualche negozia-to o incontro con governi stranieri, i loro agenti o funzionari riguardantiOBL? Se sì, con quali risultati?

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14.. Il vostro programma per l’11 settembre 2001 era di dominio pubbli-co fin dal 7 settembre 2001. La scuola “Emma E. Booker” si trova soloa cinque miglia dall’aeroporto di Bradenton; allora voi, e quindi i bambi-ni della scuola, potevate costituire un obiettivo per i terroristi dell’11settembre. Qual è stata l’intenzione del Servizio Segreto nel consen-tirvi di rimanere nella scuola elementare “Emma E. Booker”, anche sesi aveva la piena consapevolezza che l’America si trovava sotto attac-co?15.. La preghiamo di spiegare perché è rimasto nella scuola elementa-re di Sarasota, Florida, per una conferenza stampa, dopo che avevateterminato di ascoltare la lettura dei bambini, quando eravate un obiet-tivo per i terroristi, e la vostra presenza potenzialmente metteva inpericolo le vite dei bambini?

16.. Qual è stata la giustificazione dei diversi blocchi della Forza Ae-rea, che non si è levata in volo l’11 settembre? L’Air Force One (l’aereopresidenziale) in qualche momento del giorno 11 settembre è statoobiettivo dei terroristi? Il cifrario dell’Air Force One è stato mai violatol’11 settembre?17.. Vi è stata una ragione per cui l’Air Force One è decollato senzauna scorta militare, benché ci fosse ampiamente il tempo di consenti-re a jets militari di arrivare?18.. Cosa ha provocato il vostro rifiuto a rilasciare informazioni riguar-danti appoggi e finanziamenti stranieri ai terroristi, come è dimostratodalla inaccessibilità alle 28 pagine redatte nel Rapporto sull’Inchiestadella Commissione Congiunta di Intelligence? Che iniziative avete per-sonalmente intrapreso dall’11 settembre per ostacolare l’appoggio stra-niero al terrorismo?19.. Chi ha approvato il volo della famiglia Bin Laden fuori dagli StatiUniti, quando tutti i voli commerciali erano stati bloccati, quando vi eral’opportunità almeno di un minimo di interrogatorio da parte del FBI, especialmente quando due dei membri della famiglia avevano avuto col-legamenti con Wamy, una istituzione benefica sospettata di finanziareil terrorismo? Chi erano i membri della famiglia di Bin Laden che aveva-no avuto questa concessione, un privilegio però non concesso a queifamiliari Americani che avevano voluto bene a qualcuno che era statoammazzato l’11 settembre?20.. La preghiamo di spiegarci perché nessuno del nostro governo, aqualsiasi livello, è stato ritenuto responsabile per le innumerevoli defi-cienze che hanno permesso ai fatti dell’11 settembre di accadere?

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21.. La preghiamo di commentare il fatto che le note segnaletiche diOBL sul tabellone del Fbi che indica i Dieci Latitanti più Importanti daCatturare non prendano in considerazione gli attacchi dell’11 settem-bre. A vostra conoscenza, quando è stata l’ultima volta che qualcheagente del nostro governo ha avuto contatti con OBL? Se prima dell’11settembre, ci venga specificata la data di questo contatto e in checontesto è avvenuto l’incontro.22.. Continuate ancora a ribadire che Saddam Hussein era collegatocon Al-Qaeda? Che prove potete produrre di qualche connessione fraAl-Qaeda e il regime di Hussein?23.. Chi, individui, governi, agenzie, istituzioni, o gruppi, può averebeneficiato degli attacchi dell’11 settembre? La preghiamo di specifi-care il suo pensiero su chi possa averne tratto vantaggi.”

La globalizzazione afghana made in Usa

Bin Laden, quello in carne e ossa, ben-ché oggi malaticcio (sarebbe stato incura in dialisi nelle grotte di Tora Bora),viene da una ricca famiglia wahabita,dedita alla costruzione e ricostruzio-ne di santuari della Mecca e Medina,strade e altro. Apparve da subito allaCia e ai servizi sauditi come una otti-ma pedina: partì così infervorato perla guerra in Afghanistan, dove pian pia-no costruì le sue basi e i suoi rifugi,

iniziò ad addestrare da solo le truppe che reclutava con unaampia rete in diversi paesi nella guerra santa contro l’UnioneSovietica. Nel 1985 fonda Al-Qaeda.

Bin Laden è quindi forse una scheggia impazzita, sicuramenteera un collaboratore della Cia, ma con ancora tanti e poco chiariamici. Tecnicamente dalla Cia era classificato come“intelligence asset ”, ovvero una risorsa esterna dei servizi se-greti, una pedina che rispondeva alla politica estera statuni-

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tense, la quale prevedeva e prevede l’uso indiscriminato di or-ganizzazioni criminali se queste sono coerenti con gli obiettiviprioritari della politica estera statunitense, e ciò non è mai statoun mistero. Secondo chi ritiene che attualmente sia a capo diuna coalizione anti-americana nel mondo mussulmano, il suopiano segreto potrebbe essere quello di scatenare guerre inMedio Oriente per allontanare l’invasione americana nell’area,mettendo in crisi Pakistan e Arabia Saudita, favorendo l’asce-sa di regimi fondamentalisti in questi stati.11 Probabilmente èriuscito a scampare all’attacco statunitense in Afghanistan eriparare in Pakistan o Iran.12 Sembra comunque meglio, per ilgoverno statunitense, che Bin Laden sia vivo e magari si troviproprio nel prossimo paese che gli Usa vogliano attaccare. E’stato persino possibile montare a livello globale la tesi cheSaddam Hussein fosse una filiale del logo Bin Laden. NegliUsa comunque la metà della popolazione è rimasta convintache Hussein sia responsabile degli attentati dell’11 settembre.La questione del logo Bin Laden è brillantemente sintetizzatadal giornalista del quotidiano Islambad Ausaf, autore di una bio-grafia su di lui e di ben quattro interviste: “Solo i dittatori posso-no proteggere gli interessi americani nel mondo arabo. Ma in-vece di ostacolare la democrazia, Washington dovrebbe rive-dere la sua politica. Per la gioventù araba Bin Laden non è uneroe in virtù della sua ideologia radicale: è un eroe perché nonc’è niente di meglio”.13

Il terrorismo di matrice musulmana è stato additato come re-sponsabile dei fatti del l’11 settembre. Per essere compresova ricondotto al suo contesto di origine: la terza guerra mon-diale [vedi box]. Non si tratta infatti di un retaggio medioevale etribale quale viene presentato dai media.14 Questa banalità sto-rica è necessaria per capire chi sono e come si sono armati icombattenti della Jihad.15 Dobbiamo quindi tornare alla terzaguerra mondiale, quella fredda, la guerra silenziosa tra Usa eUrss combattuta sempre nel “terzo” mondo. Durante questoconflitto il fondamentalismo religioso è stato trasformato in unfronte politico-culturale degli Usa. La Jihad afghana costituisce

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la più grande guerra occulta degli Usa: prima di allora il “blackbudget” (fondi neri) della Cia non aveva superato i 9 miliardi didollari.16 L’asserzione di Zbigniew Brzezinski, ex-Consigliereper la Sicurezza Nazionale degli Usa ai tempi dell’inizio dellaguerra in Afghanistan, è una prova della consapevolezza esfrontatezza degli statunitensi nel rivendicare la santità di quel-la guerra, di cui si proclamano iniziatori. Egli rivendicò che nel-la metà del 1979 il governo aveva promosso l’appoggio segre-to ai Mujahidin che combattevano contro il governo afghanofilosovietico in un tentativo di attirare i russi in quella che luidefinì la “trappola afghana”. Sempre Zbigniew Brzezinski asserìcompiaciuto che in tale trappola l’Urss avrebbe trovato il suoVietnam. 17

Il giornalista J. K. Cooley così riassume alcune tappe della lun-ga storia del forte sostegno dato dalla Cia alla nascitadell’estremismo islamico: “Anche per l’addestramento di oltrecinquantamila mercenari musulmani da inviare contro i russila Cia aveva scelto di agire per procura. Gli ufficiali pakistanidell’Isi - servizio segreto pakistano - e alcuni capi della resi-stenza afghana seguirono così dei corsi appositi presso i cen-tri della CIA e delle forze speciali della Marina e dell’Esercitodegli Stati Uniti. L’addestramento vero e proprio si svolgevasotto lo sguardo attento di ufficiali pachistani e di un numerolimitatissimo di funzionari della Cia, prima in Pakistan e, allafine nelle zone dell’Afghanistan libere dalla presenza di truppesovietiche e del governo comunista afghano. Per l’invio di armisi utilizzavano vari canali pubblici e occulti e diversi stratagem-mi. (...) I finanziamenti arrivavano da diverse fonti che, alla finedel conflitto, servirono a convertire i combattenti in terroristiinternazionalisti. Per prima cosa, nel corso delle due presiden-ze Reagan (1981-89), si utilizzarono i soldi dei contribuentiamericani. I contributi sauditi, di origine pubblica e privata, comequelli di Bin Laden, si sommarono, dollaro su dollaro, a quelliamericani. Altri miliardi arrivarono dalla Bank of Credit andCommerce International e dal commercio internazionale delladroga.”18

Il terrorismo afghano tornò e si diffuse in vari paesi perché la

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maggior parte degli afghani non era appunto afghana ma stra-niera, saudita per lo più, chiamata a combattere contro i russiuno dei conflitti della terza guerra mondiale. Questo spiegal’emergere del fondamentalismo armato in Egitto e Algeria pro-prio agli inizi degli anni Novanta, quando persone in carne eossa provenienti dalla guerra santa all’Urss tornarono in patria,dove erano per lo più ricercati.19 Altri rimasero in Afghanistan edintorni.Seguendo l’analisi di Chossudovsky, la rete del terrorismoislamico opera in quattro aree geografiche, tutte rivali econo-miche, militari e politiche degli interessi Usa in Asia: UnioneEuropea, Russia, India e Cina. In Europa, Uck (esercito di libe-razione kosovaro) e Nla (esercito di liberazione macedone) com-battono in Kosovo e Macedonia con il supporto di Nato emujahidin, quali consulenti, addestratori o combattenti. Esistepersino una relazione del Partito Repubblicano che accusal’amministrazione Clinton di “aver contribuito a trasformare laBosnia in una base per fondamentalisti islamici”.In Cecenia è ormai noto che il coinvolgimento del servizio se-greto pakistano (Isi), molto legato alla Cia, va decisamente ol-tre la semplice fornitura di armi ed esperti ai combattenti ceceni:ha il controllo della guerra. L’Iis ha poi un ruolo diretto nel fo-mentare rivolte musulmane in India, in un’scalation che avevaportato India e Pakistan molto vicini al conflitto atomico.Lungo i confini con l’Afghanistan e il Pakistan numerosi movi-menti islamici separatisti sono fomentati da chi fa riferimentoad Al-Qaeda. Washington sta cercando di destabilizzare que-sta regione con operazioni sotto copertura. Nella stessa regio-ne, un po’ più a occidente (Afghanistan, e ex-repubbliche so-vietiche) si stanno già allestendo basi militari statunitensi.Unione Europea, Russia, ma soprattutto India e Cina: questele principali potenze rivali degli Usa, che sono attualmente iluoghi dove il fondamentalismo islamico è usato per destabiliz-zare il tessuto sociale, con la copertura della Cia. Dopo unadettagliata analisi Chossudovsky conclude: “La politica esterastatunitense non punta a contenere la marea delfondamentalismo islamico. In realtà si potrebbe quasi dire il

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contrario: il significativo sviluppo del fondamentalismo islamicodopo l’11 settembre in Medio Oriente e nell’Asia centrale è unalogica conseguenza dell’agenda segreta di Washington, checonsiste nel sostenere, piuttosto che combattere, il terrorismointernazionale, per destabilizzare società nazionali e prevenirel’articolarsi di genuini movimenti sociali che si oppongano al-l’Impero americano”.20

Ci sono interessi economici emilitari degli Usa nel mantenereil terrore afghano sul globo, perfomentare lo scontro di civiltàcoerentemente con gli interessistrategici statunitensi? In tutto ciòl’11 settembre giocò favorevol-mente agli interessi statunitensi.Quella tragedia da chi fu organiz-zata ed eseguita? Siamo forsedi fronte a una vera e propria artedi piani anti-insurrezione [vedibox] per stabilizzare gli interessistatunitensi destabilizzandogrosse aree del pianeta: una sor-ta di “strategia della tensione glo-bale” per governare una globalizzazione sotto il segnoneoliberista altrimenti politicamente non governabile?

Domande aperte

Dopo l’11 settembre molte piste non sono state seguite. In pri-mo luogo le indagini si sono dirette in Germania e altri paesima si sono ben guardate dal puntare l’attenzione sull’ArabiaSaudita, anzi se sono tenute alla larga, e questo su preciseindicazioni. Un primo gruppo di domande si interroga quindi sucome mai la Cia e l’Fbi pur avendo determinate informazionisminuirono i pericoli. Recentemente persino il New York Timesè arrivato a interrogarsi rivelando che la Cia sapeva il nome e il

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numero di telefono di uno dei presunti dirottatori. In particolarenon avendo passato l’informazione, ricevuta dall’intelligencetedesca, all’Fbi, la Cia avrebbe perso una grande occasioneper prevenire l’attacco.21 In realtà le molteplici piste scartatesono sempre quelle che conducono in Arabia Saudita ePakistan. Una delle domande aperte è quindi come mai fu per-messo a circa venti persone della famiglia Bin Laden di rientra-re dagli Usa in Arabia Saudita dopo l’11 settembre. Più in gene-rale le domande vertono sulle mancate analisi della pistasaudita. Altra grande pista scartata [vedi box] è quella che con-duce al maggior sospettato finanziatore dei terroristi, l’ex-capodel servizio segreto pachistano. È questa la pista che ci sem-bra più interessante di tutte.

LE PISTE SCARTATE

Dopo l’11 settembre molte piste non sono state seguite. John O’Neill,l’ex-vicedirettore dell’Fbi, capo del settore internazionale, stava inda-gando, nell’estate 2001, sulle responsabilità di Bin Laden nei prece-denti attentati e indicò l’Arabia Saudita come il paese in cui trovare levere radici della rete: “ogni risposta, tutto ciò che serve per smantella-re la organizzazione di Osama Bin Laden, si trova in Arabia Saudita”.22

John O’Neill fu espulso dallo Yemen quando stava investigando sullastrage dello Uss Cole. Lasciato solo si dimise dall’incarico due mesiprima dell’attentato dell’11 settembre andò in ufficio nelle Twin Towerscome capo della sicurezza del Wtc dove trovò la morte.23 L’Fbi avevaarrestato nell’Agosto 2001 una persona che stava seguendo corsi diesercitazione di volo: un francese, Zacarias Moussaoui. L’intelligencefrancese conferma che è un uomo di Bin Laden. L’Fbi scopre che hamanuali di volo della Boeing.24

ABC News riferisce che l’Fbi era interessata a sapere di più sulla retefinanziaria della famiglia Bin Laden e che fosse molto sospetto cheOsama fosse un reietto della famiglia.25 L’Fbi sarebbe stata in posses-so di una documentazione su almeno altri due membri della famigliaBin Laden, tra l’altro operanti negli Usa, sospettati di terrorismo. Ep-pure l’Fbi aveva ordinato di sospendere le indagini su questi legami neidue mesi successivi agli attentati, proprio mentre circa 1.000 persone

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senza alcuna prova venivano arrestate e imprigionate in un clima dicaccia al fondamentalista musulmano. Gregory Palast di BBCNewsnight ha riferito che dopo le elezioni di Bush “alle agenzie è statodetto di sospendere le indagini su Bin Laden e i reali sauditi, e questoha amareggiato gli agenti”; addirittura al quartiere generale dell’Fbi èstato detto che non si potevano fare commenti su alcune scoperte inquel campo.26 In un’intervista a Green Press, sempre il noto giornali-sta britannico ha commentato: “Abbiamo saputo che fu loro proibitofino all’11 settembre, di fare verifiche sui finanziamenti sauditi alla retedi Al-Qaeda e altre organizzazioni terroristiche. Non c’è dubbio chequel che è successo sia stato il più grande fiasco della comunitàdell’intelligence dai tempi di Pearl Harbor, però quel che comprendia-mo adesso è che non si è trattato di un fiasco bensì di una direttiva”.Gregory Palast fa riferimento a casi concreti, al conflitto creatosi travertici e agenti operativi, i quali erano giunti quasi in possesso didocumentazioni a cui è stato ordinato dall’alto di non mettere mano.27

Secondo lo stesso giornalista, benché il patrimonio di Osama fossestato congelato, l’Arabia Saudita ha finanziato negli anni ‘90 moltefondazioni legate alla sua rete. Diversi esperti riportano che Osamasarebbe vicino a importanti figure del mondo wahabita.28 I motivi percui l’Arabia Saudita non può essere toccata da indagini anti-terroristesono dettagliatamente ricostruiti da J-C.Brisard e G.Dasquiè: ” L’Ara-bia Saudita non è compresa nella lista nera dei paesi che aiutano iterroristi per il semplice motivo che ha un ruolo insostituibile nella sce-na mondiale del petrolio. Ma senza tale giustificazione risulterebbe inottima posizione nella lista”.29

La versione ufficiale vuole che Osama Bin Laden e Al-Qaeda non ab-biano nulla a che vedere con gli Usa e siano stati ripudiati dall’ArabiaSaudita, paese che infatti ha tolto la cittadinanza a Bin Laden. Eppurementre fa parte ormai della storia il suo coinvolgimento da parte dellaCia per la guerra sporca contro l’Urss in Afganistan, in cui all’inizioaveva soprattutto il ruolo di fund-raiser,30 meno nota è la questione cheancora nel Luglio 2001 Bin Laden - come riporta Le Figaro - ha “ricevu-to visite di molti membri della sua famiglia, oltre che di eminenti mem-bri del mondo saudita e degli Emirati”.31 Sempre secondo Le Figaro,Bin Laden avrebbe visto agenti della Cia, e proprio il giorno prima del-l’attacco sarebbe stato scortato dall’Isi pachistano in un ospedale perspeciali cure mediche.32 Osama Bin Laden è stato del resto accuditodalla Cia fino agli anni di Clinton.33 Anche il recente studio suifinanziamenti di Al-Qaeda di Colley ci conduce a legami tra Usa e

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l’Arabia Saudita.34

Benché nel 2003 si è fatto luce quanto meno sui troppi silenzi circa lapista saudita molti dei nodi vanno ancora ben sciolti. Il Rapporto sulleattività delle agenzie e dei servizi segreti americani prima e dopo l’11settembre contiene infatti 28 pagine cancellate (segretate) e un’ap-pendice sulle limitazioni all’accesso poste dall’amministrazione Bushalla commissione parlamentare d’inchiesta. Queste limitazioni sonodescritte in quattro punti: rapporti delle agenzie dei servizi al presiden-te; relazioni con governi o servizi esteri; informazioni sui bilanci deiservizi; programmi per azioni clandestine. I parlamentari democratici erepubblicani del gruppo di inchiesta chiedono la desegretazione delleparti cancellate nella relazione e un maggiore accesso alle informazio-ni per poter verificare il lavoro effettivo svolto dai servizi. Raffaella Menichinicommenta così su Repubblica: “I legami con la potente famiglia saudita,e soprattutto il suo petrolio, avrebbero costretto la Casa Bianca a co-prire una parte di verità sulla più grande catastrofe americana dellastoria recente”.35

Insomma negli Usa, non solo non sono in corso delle indagine seriesui finanziamenti di Al-Qaeda, ma anzi sembrerebbero impedite pro-prio quelle indagini che passano dal mondo saudita. Qui un primomistero.

Inoltre interessa ricordare l’ormai noto legame tra le famiglie Bin Ladene quella di Bush. Secondo diversi servizi giornalistici il gruppo Carlyle,gigantesca società fornitrice degli apparati di difesa americana, pres-so cui lavora George Bush senor (presidente dal 1988 al 1993), harapporti antichi con la famiglia Bin Laden.36 Lo studio legale di interes-se pubblico Judicial Watch di Washington ha duramente criticato illegame Bush-Bin Laden.37

Una seconda questione, molto più grave, riguarda il ruolo dei servizisegreti pakistani, molto vicini a Washington. Abbiamo già detto comefaccia parte della storia il legame tra Isi e i combattenti della libertà inAfaganistan. L’Isi armava e addestrava gli arabi afghani, una folta trup-pa di delinquenti, ricercati, disperati e fanatici. Ancora oggi l’Isi giocaun ruolo chiave nel fomentare la rete di terrorismo islamico in diversipaesi (Cina, India, Russia, Unione Europea). Mahamoud Ahmad, di-rettore generale dell’Isi è stato capo delegazione dell’Isi per una visitadi routine negli Usa “casualmente” proprio nei giorni dell’attentato dell’11settembre. Il 10 settembre 2001, sul quotidiano pachistano News

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Pakistan, Mateen si interrogava su quali fossero gli scopi delle suevisite proprio in quei giorni: l’ultima visita del capo dei servizi segretipakistani in Usa fu prima del colpo di stato di Musharraf. Ufficialmenteil ruolo di Mahamoud Ahmad fu quello di fare la voce grossa e di chie-dere l’estradizione di Osama ai Talebani “cooperando” nella guerra anti-terrroristica. Giorni prima all’11 settembre, Mahamoud Ahmad, ordinòa un suo assistente di trasferire via cavo $ 100.000 a Mohammed Atta,che secondo l’Fbi sarebbe il capo dei dirottatori. Più tardi sarà costret-to alle dimissioni, ma nel silenzio. Lo svelava Times of India38 cheaveva tutto il suo interesse nel mettere a nudo il reale (non) impegnopachistano nella lotta anti-terrorista. Eppure l’episodio trova confermeanche in fonti di intelligence francesi.39 La notizia è poi confermataanche dall’Fbi. Insomma i rapporti tra Isi e Cia potrebbero delucidaremolte vicende legate agli attentati dell’11 settembre. In particolare irapporti tra Mahamoud Ahmad, che si è dimesso nel silenzio, e lepersone - George Tenet, Colin Powell, Richard Armitage, l’onorevolePorter Goss, il senatore Graham (gli ultimi due sono ora nella com-missione d’inchiesta) - che incontrò proprio l’11 settembre quando eraa Washington. Un secondo grande mistero: molto grande, perché es-sere capo del servizio segreto pakistano significa dirigere la politicaestera statunitense in gran parte dell’Asia centrale.

Altre questioni aperte sono i motivi per cui i servizi americanisottovalutarono o non presero in considerazione informazionidate da servizi stranieri. Si tratta delle avvisaglie scartate. Inol-tre, cosa ancora più grave, il giorno 11 settembre qualcosanon funzionò nei dispositivi di sicurezza normali. Non si alza-rono caccia come prevedono le procedure standard. La difesaantiaerea fu disattivata? Chi diede gli ordini quella mattina? Achi? Quali ordini furono eseguiti e quali no? Perché non ci sonoancora provvedimenti per questi gravi inadempienze? Perchéè stato ritrovato il passaporto del capo del commando suicidae non le più robuste scatole nere? Sono le questioni relativealla disattivazione del sistema di sicurezza aereo statunitense[vedi box].

Infine, il gruppo di questioni più scottanti investe il ruolo del-

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l’amministrazione Bush. Perché il presidente non è ritornatoimmediatamente a Washington? Perché il presidente ha deci-so di continuare con la visita programmata alle classi, quindiciminuti dopo aver saputo che il primo aereo dirottato si era ab-battuto contro il World Trade Center e anche dopo la notizia delsecondo schianto? Chi stava in quel momento comandando leforze armate? Perché non solo non ci sono risposte a questedomande ma addirittura ostacoli a reperire informazioni per lastessa commissione parlamentare. Il comitato dei famigliaridelle vittime [vedi box] sta cercando faticosamente la verità,nonostante gli impedimenti di Bush. Non solo inizialmente moltifamigliari si erano schierati contro la “Guerra al terrorismo” di-cendo “Not in our name”, ma successivamente hanno fattoazioni contro Bush, trovando appoggi in tutti gli USA. Nel mar-zo 2004 hanno dichiarato: “Il presidente Bush si è opposto allacreazione della Commissione di inchiesta e la sua Ammini-strazione ha alzato barricate che hanno impedito il progrediredei lavori della Commissione. Attualmente la Casa Bianca stacercando di limitare sia il tempo sia il numero dei membri dellaCommissione che possono partecipare all’interrogatorio del

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Presidente, nonostante i 10 membri della Commissione goda-no dei più alti livelli di sicurezza. Mentre alcuni documenti resiinaccessibili alla commissione sono stati messi a disposizio-ne di Bob Woodward, un autore che non gode di altrettantaaffidabilità, durante la ricerca per il suo libro Bush at War”.40 Inaltre parole si accusa esplicitamente l’Amministrazione di averstrumentalizzato i fatti dell’11 settembre e di aver fatto diretta-mente pressione sulla commissione per non procedere.41 Orala questione è se questi fatti sono stati strumentalizzati primao dopo la tragedia, da chi e in quale modo.

Il ruolo dell’amministrazion Bush

L’11 settembre i massimi comandi militari degli Usa non feceronulla. Interrogato dal senatore Carl Levin, il generale RichardMyers, sostenne, subito dopo i fatti, che al momento del primoimpatto fosse “stata convocata una squadra d’intervento per lesituazioni di crisi (...) Il momento che non so è quello in cui ilNorad ha risposto con i caccia.”42

Mentre al presidente sarebbe stato richiesto di prendere deci-sioni importantissime, la realtà è che, a dispetto delle diverseversioni ufficiali date dallo stesso Bush sulle attività da lui svol-te quel giorno, una caratteristica ricorra sempre: quel giorno ilpresidente degli Usa non fece nulla, non prese nessuna deci-sione. Alle 8.46 Bush, che si stava dirigendo verso una scuolaelementare, era scortato dalla sua squadra e doveva esserestato informato che quanto meno due aerei erano stati dirottatie che uno si era appena schiantato sul Wtc. Se i caccia fosse-ro decollati solo il presidente poteva ordinare l’abbattimento del-l’aereo. Si stava almeno preparando a una decisione del gene-re? Quando il presidente fu informato di fronte alle telecamere(ma era stato già informato almeno una volta dopo il primoschianto) invece di tenere una riunione di emergenza, rimasein visita alla scuola elementare. Rimase a fare foto mentre tut-to il mondo guardava in diretta le immagini del secondo impat-to e se ne andò tardi senza che l’aereo presidenziale fossescortato da caccia militari mentre “l’America era sotto attacco”

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e la popolazione credeva che ci fossero 11 aerei dirottati.

L’assoluta indifferenza sia di Bush sia di Myers inducono diver-si giornalisti a ritenere che la negligenza fa pensare a complici-tà.43 Per queste ragioni i teorici del complottismo asserisconoche ci fu un “colpo di stato”. Molti fatti lasciano supporre che ledecisioni in questo grave caso di emergenza fossero state pre-se dai servizi segreti e da altri vertici militari, ma comunquenon fossero decisioni dei sommi comandanti dell’esercito: Bushe Myers. Ma se non ci fu nemmeno una decisione politica diconferire potere ai militari è sbagliato parlare di prova di golpe?Se il presidente degli Usa era in totale balia degli eventi e deglispostamenti militari non si può certo dire che l’11 settembrenegli Usa gli ordini abbiano seguito la legittima catena di co-mando. L’emergenza ha quanto meno messo a nudo un vuotodel potere politico dell’amministrazione. Il fatto che la legittimacatena di comando sia stata sostituita da un altra che operònell’ombra ci permette di parlare di stato di eccezione.44

È la zona rossa creata negli Stati Uniti, apertasi quel giorno econtinuata con la sospensione dei diritti del Patriot Act di cuiparleremo nel capitolo successivo. L’analogia con la zona ros-sa di Genova consiste non solo nel terrore provocato sulla gentee nella successiva sospensione dei diritti, ma proprio in questocambio della catena legittima di comando. Come a Genova,anche a New York le decisioni fondamentali non vennero presedal potere politico legittimo, ma da quello militare non seguen-do la legittima catena di comando, ma con dinamiche mai suf-ficientemente ricostruite.La zona rossa è quello spazio d’ombra in cui, con la scusadell’allarme terroristico, il potere militare può agire fuori dal con-trollo pubblico.

Samir Amin (e a Porto Alegre nel 2002 molte avevano posizionianaloghe) vide nella crociata contro il terrorismo “un alibi perfarla finita con il movimento”. Spiegava a caldo anche la storiadel terrorismo islamico in modo differente dai mass-media

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occidentali. Fin dai tempi di Nasser, Samir è stato un attivistache si è scontrato con l’islamismo politico (o fondamentalismo)che egli considerava una creazione degli Usa, da far risalire alCongresso islamico mondiale. Questo congresso fu la rispo-sta statunitense tre anni dopo la conferenza di Bandung del1955, dove Egitto e India cercavano di costituire un fronte so-cialista afro-asiatico.45

Barry Zwicker, importante giornalista, attualmente presso CBS-TV, CTV’s News 1 e Vision Tv, fa a pezzi la linea ufficiale: “Benea differenza dell’Air Force io partirò all’inseguimento. Basta porsiqueste poche domande per accorgersi che la versione ufficia-le francamente non è plausibile. Più domande fate più diventaplausibile che la spiegazione sia un’altra: vale a dire che ele-menti all’interno del massimo comando dell’esercito,dell’intelligence e della politica americana - che sono stretta-mente legati fra loro - siano complici per quel che è accadutol’11 settembre.”46

Ritt Goldestein47 sostiene che tutti i punti del Patriot Act fosse-ro già predisposti prima del 11 settembre e non aspettavanomigliore occasione. Del resto anche gli attacchi militari suc-cessivi (Afghanistan e Irak) erano già stati progettati e aspetta-vano solo una grande occasione. Sempre Ritt Goldestein vaoltre, affermando che i teorici della cospirazione hanno avutomaggiori timori: nel settembre 2002 infatti “le speculazioni sonostate ulteriormente alimentate da un’indagine senza precedentidel Fbi sui parlamentari che investigavano sull’11 settembre.Molti considerano l’azione del Fbi un palese tentativo di intimi-dazione.”48 Esiste inoltre un’agenzia federale per la protezionecivile (Fema) che presenta una struttura ambivalente: si occu-pa, fin dai tempi della “minaccia sandinista” (Reagan, anni Ot-tanta), sia di protezione civile sia di dissenso interno. Starebbepredisponendo sia dei campi per rifugiati da attacchibatteriologici sia dei campi di prigionia interna. La Fema avreb-be già fatto un’esercitazione per detenere stranieri e radicals.49

Anche il ricorso all’esercito per gestire l’ordine pubblico e la

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schedatura informatica di massa con un piano dicoinvolgimento della società civile (piano Tips) sono strategieche sono state seriamente esaminate e rafforzate dopo l’11settembre.50

Giulietto Chiesa ipotizza che esistano servizi segreti deviatidiretti da una cupola in grado di guidare il ponte di comandodell’impero. Il loro identikit sarebbe: ottimi conoscitori dell’occi-dente, ottimi analisti della disperazione sociale del Sud delmondo, manipolatori brillanti del fanatismo islamico, frequen-tatori di circoli finanziari. Un sistema mafioso extra-statuale chesi sta impadronendo dello stato. Eppure i più vedono proprioall’interno dei poteri americani le origini del tutto.51

Michael Chossudovsky ritiene che gli Usa usino ancora il terro-rismo islamico per interessi geostrategici anche in Asia e chequalcuno dell’amministrazione, dei servizi segreti e tra i sena-tori, avesse legami personali con il mandante dell’11 settem-bre, l’allora capo del servizio segreto pakistano. Ritiene cheattualmente gli Usa siano un sistema totalitario e che occorradisarmare questo loro nuovo ordine mondiale. Sostiene che“la guerra americana minaccia il futuro dell’umanità”.52

Fulvio Grimaldi partendo dalla constatazione che nel Sud delmondo ben presto si intuirono i possibili legami tra i presuntiterroristi e i servizi di sicurezza statunitensi ricorda: “ Ogni in-terpretazione alternativa appariva irrealistica, peggio, impen-sabile. Fuorché nel mondo arabo e, più in generale, nel cosid-detto Terzo Mondo, quello delle brutalità coloniali, delle centoguerre per procura o dirette sofferte dagli Usa dal 1945, deicolpi di stato, delle provocazioni sanguinarie, delle operazionicoperte della Cia. Da Baghdad a Buenos Aires, da Teheran aCaracas, da Gerusalemme a Mogadiscio, dal Cile a Cuba sentiiriecheggiare le parole e la convinzione del leader drusolibanese: ognuno, da quelle parti, aveva ben presente il ricordodi capacità terroristiche quali Sabra e Shatila, lo stadio diSantiago, il Piano Northwood, Pearl Harbour, il Golfo del

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Tonchino”. Non esita poi a proporre un paragone che a tanti èbalenato, quello con l’incendio del Reichstag quando i nazistibruciano il parlamento dando la colpa ai comunisti”.53

Sbancor, fine critico, banchiere anarchico, è alla ricerca deilupi e degli sciacalli, del filone principale e dei secondari. Diffi-cile impresa. Per lui la guerra è la prosecuzione dell’economiacon altri mezzi. L’11 settembre segue la più grande recessioneeconomica nordamericana dopo il 1929. Il modello è quello dellacontro-insurrezione: si creano economie criminali legate al traf-fico di droga, si usano i soldi per i piani anti-insurrezione, sicrea terrore per imporre regimi e fare affari: sono i falchi delladestra americana, i Wasp (White anglo-saxon and protestant),i veri protagonisti della grande scacchiera, quelli che dopo l’11settembre volevano uno scontro di civiltà immediato in tutto ilMedio-oriente.54 Quelli del Skull & Bones,55 i fondamentalisticristiani. Quelli con le mani sia nella finanza sia nei comandimilitari.

Al di là della scoperta di un piano - Northwood Operation- diattacco di Cuba che aveva molte analogie con le dinamichedell’11 settembre [vedi box], una questione su cui molti sonotornati è infatti proprio l’assenza di investigazioni in campo fi-nanziario.

LA LUNGA STORIA DEI PIANIANTI-INSURREZIONE STATUNITENSI

Esistono molti esempi storici in cui un attaccante simula di essereattaccato per poter aver maggiore consenso per attaccare. Una seriedi incidenti simili alla ancora misteriosa bomba che fece esplodere nel1898 il battello Maine uccidendo 266 marinai e dando il pretesto agliUsa per iniziare la guerra contro la Spagna per “liberare” Cuba. Sullostesso episodio di Pearl Harbor esiste il sospetto che si sapesse pri-ma. Il più famoso è l’incendio del Reichstag. Esiste però un recentepiano che per le dinamiche sembra ricordare molto gli avvenimenti del11 settembre e che è da molti citato per questo.

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In un capitolo dal titolo emblematico, chiamato “pugni” della suamonumentale ricostruzione dell’anatomia e della storia dei servizi se-greti americani, James Bamford rivela molti dettagli del piano Northwoodoperation, elaborato dai capi di stato maggiore americani nel 1961 esvelato in questo suo ultimo libro, Body of Secrets. Tale piano preve-deva il dirottamento di aerei e attentati dinamitardi a Miami eWashington, affondamento di navi di profughi cubani, uccisione perstrada di civili americani innocenti. I documenti preparatori degli anni60 precisavano che si doveva “dare al mondo l’immagine di un governocubano che rappresentava (...) una minaccia grave e imprevedibile perla pace nell’emisfero occidentale”. La strategia prevedeva di lanciareuna campagna terroristica nei confronti dei cittadini americani e diattribuire la colpa a Cuba per giustificare un’invasione generalizzata.Un rapporto segreto affermava che “la pubblicazione dell’elenco dellevittime nei giornali americani avrebbe provocato nel paese un’ondata diindignazione strumentalizzabile”.Il 13 marzo il generale Lemnitzer, capo dello stato maggiore, presentòi dettagli del piano a McNamara, allora segretario della difesa e futuropresidente della Banca Mondiale. Più tardi McNamara si incontrò conlo staff militare del presidente Kennedy, che conservò l’unica copiache ora esiste del piano. Tre giorni dopo Kennedy disse che non eraipotizzabile uno scontro militare con Cuba. Lemnitzer insistette garan-tendo che l’operazione sarebbe stata veloce e non avrebbe comporta-to l’intervento dell’Onu. Pochi mesi dopo Lemnitzer fu “promosso” etrasferito in Europa. Ma anche quando il capo dello stato maggiore fuallontanato, ci furono altri piani per creare pretesti. La leadership delPentagono era in grado di pianificare questo tipo di operazioni, avevasottoscritto quel piano, e Bamford ipotizza che l’incidente di Tontik,che scatenò la guerra in Vietnam, fosse organizzato dai vertici milita-ri.56

Sulla morte di Kennedy occorre ancora far luce e c’è chi insinua che lasua cattiva opinione su molti vertici militari gli sia stata letale. In ognicaso il precedente presidente, Eisenhower, era stato esplicito nel suodiscorso di fine mandato: “Nel consiglio del governo noi dobbiamo guar-darci dall’acquisizione di un’influenza illegittima, sia che sia ricercatasia che non lo sia, del complesso militare industriale. Il rischio di unpotenziale sviluppo disastroso di un potere illegittimo esiste e esiste-rà. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazioneminacci le nostre libertà e i nostri processi democratici. Non dobbia-mo dare nulla per scontato. Solo una vigilanza e una coscienza civilepossono esigere che l’ingranaggio della gigantesca macchina indu-

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striale e militare di difesa sia conforme ai nostri metodi e fini pacifici,così che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme”.57 Pa-rola di presidente.Le divergenze tra il potere politico democratico e il complesso bellicoerano negli anni ‘60 molto forti. Questi presidenti erano coscienti diche tipo di strategie militari e mediatiche il complesso bellico era ca-pace. Una strategia fascista che ricorda l’incendio del Reichstag daparte delle Ss attribuito per anni ai comunisti.Dopo il Vietnam il potere militare statunitense mise a punto molti pianianti-insurrezione addestrando paramilitari e militari golpisti di gran par-te dell’America Latina e finanziando le operazioni coperte con fondineri, provenienti dal narcotraffico e altri traffici. Uno dei maggiori centrioperativi fu la School of America, chiusa più volte e più volte rinata.George Bush, fu legato alla Cia proprio dai tempi della Baia dei Porci edei tentativi di invasione di Cuba. Fu capo della Cia nel 1976 e divennevice-presidente dell’attore presidente Ronald Reagan nel 1981; infineprimo presidente ex capo della Cia nel 1988; suo figlio fece il resto.

Le speculazioni finanziarie

I grandi misteri intorno all’11 settembrepermangono infatti se si esamina un’al-tra pista non seguita, quella finanziaria.Nonostante il premio Nobel Dario Fo,con grande lucidità, in mezzo a tantosgomento e dolore, cinque giorni dopol’attentato avesse dichiarato “se voletei colpevoli seguite i soldi”, le indagini inquesto campo si sono insabbiate.58

Eppure potrebbe essere proprio que-sta pista a rivelare conoscenze del pia-no dell’attacco a grandi livelli. Più vici-no a Wall Street che non a Kabul.

Qualcosa in effetti sembrava essersi mosso, anche se si saben poco. Dal 6 al 7 settembre alcuni titoli azionari più espostiagli effetti della tragedia dell’11 settembre (compagnie aeree e

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assicurazioni) fanno registrare una forte speculazione al ribas-so. Tramite put options, contratti futures, che garantiscono dipoter vendere e comprare determinate azioni a un prezzo fis-sato in anticipo, qualcuno puntò (proprio come le scommes-se). Quando la borsa riaprì alcune azioni persero circa il 40%,ma quel qualcuno, più probabilmente più persone, portò a casacirca 10 milioni di dollari. Aveva giocato in anticipo con questicontratti futures. Molte di queste operazioni speculative sonostate localizzate nel Chicago Board Options Exchage; i prota-gonisti non paiono essere musulmani, ma bravi cristiani; sonodirigenti di una importante banca americana, la Bankers Trust.Molti titoli della United Airlines erano stati acquistati attraversola Deutschebank/A.B. Brown, società gestita fino al 1998 dal-l’attuale direttore esecutivo della Cia, A.B. Krongard, detto“Buzzy”.59 La A.B. Brown è stata denunciata dal senatore CarlLevin come una delle venti maggiori banche americane impli-cate nel riciclaggio di denaro sporco. “Buzzy” forse ha in qual-che modo frequentato ancora qualche terrorista prima degliattacchi e ne era informato?

Nonostante l’Fbi abbia confermato che il generale MahmoudAhmad, capo dei servizi segreti del Pakistan, abbia versato

Osama Bin Laden, consigliere della CIA e Zbigniew Brzezinski, ex-Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli USA, da giovani

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100.000 $ a Mohamed Atta, presunto capo di tutti i gruppi diattentatori [vedi box], nulla sembra essersi mosso.

Perché non si indaga sugli spostamenti finanziari per ricostru-ire la rete dei finanziatori dei terroristi? Se lo chiese persino DiPietro, certo non un intellettuale radicale. La mancanza di vo-lontà di iniziare le indagini ripercorrendo i flussi di denaro che,a quanto pare, anche in occasione dell’11 settembre si sonomossi, lascia molto perplessi. Forse non c’è volontà perché inessi tra economia pulita e economia sporca, soprattutto a li-vello finanziario, sono indicibili e forse non esiste un liberomercato non sporco. Né un libero mercato che non conosca inanticipo le mosse dei “terroristi”. O, detto altrimenti, il liberomercato ha un volto oscuro e uno terroristico. Il libero mercatoha sempre più bisogno di zone rosse. In borsa dopo l’11 set-tembre le azioni che sono andate più forte sono state quelledelle aziende legate al settore militare. E questo anche graziealla spesa pubblica dei sostenitori del libero mercato.Il re è nudo, lo dice involontariamente ma chiaramente un eco-nomista prestigioso, Paul Krugman: “i fatti dell’11 settembrehanno prodotto politiche più espansioniste dal punto di vistafiscale. La Federal Reserve ha tagliato i tassi di un altro punto.Per quanto sia sgradevole ammetterlo, quell’atrocità le ha datol’opportunità di agire con più prontezza e forza di quanto osavapensare. In secondo luogo l’attacco ha aperto le porte a unforte aumento della spesa pubblica, proprio la politica invocatada tanti economisti, ma che sembrava politicamente impossi-bile (...) vale la pena ricordare che le guerre stimolano le eco-nomie più che deprimerle (...)”.60 L’11 settembre è stato un ten-tativo di uscire dalla recessione e non la causa della recessio-ne come è stato presentato.

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Dopo l’11 settembre tutte le industrie legate al settore degli ar-mamenti salgono in borsa e ingenti risorse pubbliche vengonostanziate per la sicurezza. Sono le zone rosse dellaglobalizzazione armata che restringe i diritti verso l’interno eapre zone di guerra per il controllo dei flussi di risorse al suoesterno.Sul piano dei meri avvenimenti sono troppe le questioni apertee i misteri. La costruzione dell’immagine mass-mediatica di BinLaden; le ragioni della diffusione del suo logo; le mancate inda-gini delle piste saudite e pakistane; le mancate considerazionidegli allarmi precedenti; le inadempienze sul piano delle proce-dure standard di difesa antiaerea. Per ora rimangono le nume-rose domande delle vittime senza risposte. Anzi le pressioni einfine il rifiuto a rispondere da parte di Bush. Rimangono infinei sospetti che quel giorno e subito dopo sia stato sperimentatouno stato di eccezione. Lo scenario delineato in cui molti so-spetti fanno supporre che l’amministrazione abbia lasciato agi-re quando addirittura non incoraggiato i protagonisti degli at-tentati alle Twin Towers. Nel successivo capitolo rivolgeremol’analisi su quei cambi strutturali che già erano presenti e pro-grammati prima dell’11 settembre: l’attacco in centro Asia, l’in-cremento delle spese militari, il dispiegamento della cultura dellasicurezza e le restrizioni dei diritti civili (Patriot Act -2001). Cer-cando di capire il contesto e i piani di guerra, già tutti preparatiprima dell’11 settembre, vedremo anche come l’avvenimentofosse già stato addirittura auspicato e teorizzato da alcune mentidella destra americana. L’11 settembre è l’occasione prepara-ta e disposta per l’imposizione del sicuritarismo che segnasoprattutto l’esplosione su scala globale delle zone rosse.

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Note:

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1 Guy Debord, La società dello spettacolo, Roma, Baldini Castaldi, 2001 (ed. orig. Paris, Editions Buchet-Chastel, 1967)

2 Autore di questa tesi è T. Meyssan (L’incredibile menzogna, Fazi, Roma 2002) primo autore a esplicitare il ruolo diretto

dei servizi segreti statunitensi nell’attentato; gli autori che maggiormente hanno contrastato le presunte evidenze empiriche

su cui questa tesi si basava sono Guilaume Dasquié e Jean Guisnet in L’effroyable mensonge, Paris, La Decouverte, 2002;

il loro studio getta molti sospetti sugli esperti di cui si sarebbe avvalso Meyssan nel suo studio parigino. In Germania diversi

giornalisti del Der Spiegel si sono dilungati a decostruire molti dettagli, cf. Panoptikum des Absurden, Der Spiegel, 8

settembre 2003, n. 37.

3 Roberto Quaglia, Tutto quello che avresti voluto sapere sull’11settembre (e su tutto il resto) e non hai mai osato chiede-

re, in Tutto quello che sai è falso, Nuovi mondi media, a cura di Russ Kick, Bologna, 2002. Il libraio che non venderebbe

il suo libro sarebbe una pedina del grande complotto. L’autore invita ironicamente a non credere a mezza parola del suo

racconto e inoltrarsi nel paese delle meraviglie del suo “mondo” fantastico. Un bel saggio ricco di spunti interessanti e

confezionati con uno spirito sensazionalistico che non dà ragione dell’intelligenza del lettore/a.

4 Kissinger, Destroy the Network, The Washington Post, 11 settembre 2001; tuttora disponibile su intenet:

www.washingtonpost.com/ac2/wp-dyn/A13653-2001Sep11); Kissinger è ritenuto responsabile dei peggiori crimini terro-

ristici del secolo XX in Cile, Timor Est, Vietnam, Cipro, etc..., si veda Christopher Hitchens, Les crimes de Monsieur

Kissinger, Paris, Saint-Simon, 2001

5 Giulietto Chiesa, La guerra infinita, Milano, Feltrinelli, 2002, p.84

6 Sono queste le parole di Milton Bearder, agente della CIA, che dal 1964 al 1994 fu in Afghanistan, dove supervisionò gli

aiuti clandestini ai ribelli afgani nella loro guerra santa contro l’URSS. Una persona che, grazie al suo lavoro sul campo di

30 anni, con molti più argomenti sapeva distinguere quello che Kissinger aveva chiamato il “marchio” di Bin Laden. Hunting

Bin Laden, Interview with Milton Bearder, Fronteline, 13 settembre 2001 in www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/shows/binladen/

7 Pierre Abramovici, I negoziati segreti tra Washington e i talebani, Le Monde Diplomatique, gennaio 2002; vedi oltre.

Questo parere è confermato anche da una dichiarazione del comandante delle azioni Usa in Afghanistan, riportate in USA

Today: “Non abbiamo detto che sia Osama Bin Laden l’obiettivo di questa iniziativa -ha detto Franks ai giornalisti nel corso

del primo briefing al Pentagono da quando è iniziata la guerra”. Franks presiede la struttura del comando centrale in Medio

Oriente ed è il terzo anello della catena di comando dopo Bush e Rumsfeld. John Omicinski, General: Capturing Bin Laden

is not part of Mission, USA Today 23.11.2001, cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, Il ruolo dell’amministrazione

Bush nell’attacco dell’11 Settembre, Roma, Fazi editore, 2002, p.6

8 Stan Goff, The so called Evidence is a farce, in www.narcosnews.com/goff1.html; cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla

libertà, cit., p.194. Anche la testimonianza dell’ex-direttore delle operazioni della CIA in Afghanistan merita attenzione:

“Senta se non avessero avuto a disposizione Osama Bin Laden, avrebbero dovuto inventarselo” (CBS Evening News,

12.11.2001, cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.195); infine Robert Baer, sostiene, nell’anticipo della sua

biografia pubblicata da The Guardian: “Bin Laden avrebbe agito da solo tramite la sua rete Al-Qaeda nel lanciare gli

attacchi? Posso solo rispondere senza la minima incertezza: no.” (See No Evil, part II, The Guardian, 12 gennaio 2002; cit.

anche in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.195).

9 Sull’odio per gli americani e i festeggiamenti per l’attentato di Bin Laden, ha fatto considerazioni molto interessanti:

Tariq Alì, Lo scontro dei fondamentalismi, Milano, Rizzoli, 2002

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10 http://www.911independentcommission.org

11 Immanuel Wallerstein, Il piano di Bin Laden, Guerre&Pace, Novembre 2001

12 Robert Fisk, Bin Laden dove sei?, The Indipendent, 14 novembre 2002; trad. it. Internazionale, 29.11.2002; Hamid

Mir, La pista iraniana, trad. it. Internazionale, 29 novembre 2002

13 Hamid Mir, La pista iraniana, cit.

14 Per una rapida analisi giornalistica cf: A. Rashid, I Talibani grandi destabilizzatori della regione, Le Monde Diplomatique,

novembre 1999; O. Roy, Un fondamentalismo in cerca di guerre, ma senza progetto politico, Le Monde Diplomatique,

Ottobre 1998.

15 E’ interessante notare come il termine arabo Jihad, che significa sforzo morale e religioso, venga tradotto in Occi-

dente con guerra santa, usando il termine nell’accezione conferita dalla minoranza fondamentalista musulmana. Un po’

come tradurre fede (cristiana) con Crociata.

16 J. K. Cooley, Una guerra empia. La Cia e l’estremismo islamico, Milano, 2001, pp.178 sgg

17 Interviesta a Zbignew Brzezinski a cura di Vincent Javert, Le Nouvelle Observateur, 15-21 gennaio 1998; trad. it.

Guerra & Pace, novembre 2001; una traduzione inglese è disponibile sul sito www.globalresearch.ca/articles/

BRZ110A.html; cf anche J. K. Cooley, Una guerra empia, cit.

18 J. K. Cooley, Una guerra empia, cit. p.19; sulla Bank of Credit and Commerce International, e in generale sul peso

dell’economia sporca in Asia e Europa, rimane fondamentale: Jean Ziegler, I signori del crimine, le nuove mafie europee

contro la democrazia, Milano, Marco Tropea, 1998

19 Il ricorso al fanatismo islamico da parte degli USA è da ricondurre a una più generale strategia antisocialista in

medioriente, volta a limitare l’ascesa dei movimenti socialisti, che con l’asse India-Egitto stavano cercando una terza via.

Secondo Samir Amin alla conferenza di Bandung del 1955 sarebbe seguita la decisione di Arabia Saudita e Pakistan, spinte

dagli USA, di creare un Congresso Islamico Mondiale nel 1958, con matrice fondamentalista. In una sua preziosa intervista

ricorda come il suo amico primo ministro egiziano Nasser si infuriò molto: “Arabia Saudita e Pakistan hanno finanziato tutto.

Ma dietro ad essi vi erano gli Stati Uniti. Quando se ne accorse Nasser si infuriò. Me lo ricordo ancora che gridava ‘cos’è

questo Congresso Islamico mondiale?’ Chi ne ha bisogno se abbiamo già la conferenza di Bandung?’” Intervista a Samir Amin

di Anne Marie Merger, Proceso, 25 gennaio 2002, ora in Samir Amin, Il terrorismo, il grande alibi, in AAVV, Guerra globale,

globalizzazione e militarizzazione del mondo, le alternative dei movimenti sociali, Milano, Punto Rosso, 2002.

20 M. Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, la verità dietro l’11 settembre e la nuova politica americana, Torino,

EGA, 2002, pp. 33-39, 50-53

21 CIA Had Hijacker Name, Number Before 9 / 11 Report Says, New York Times, 24 febbraio 2004

22 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.180 (fonti: The Irish Times, 19 novembre 2001; CNN, 8 gennaio 2001)

23 Giulietto Chiesa, Guerra infinita, cit., p.87; sulle delusioni di O’Neill nelle trattative segrete con i Taliban, cf anche Pierre

Abramovici, I negoziati segreti, cit.

24 Reuter 11 settembre; Giulietto Chiesa, Guerra infinita, cit., p.88

25 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.158 sgg (fonti: Strained Family Ties, ABC News, 1 ottobre 2001)

26 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. p.160; cf. Stich, Rodney, www.unfriendlysky.com, cit. in Gregory Palast,

Green Press, 14. febbraio 2002, www.greenpress.org cit.

27 Green Press, 14.2.2002, www.greenpress.org, cit. anche in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.161

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28 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. p.163 (fonti: New Yorker, 22 ottobre 2001; Now, 22 novembre 2001; The Los

Angeles Times, 18 novembre 2001)

29 J-C.Brisard e G.Dasquiè, La verità nascosta, Marco Troppa, Milano 2002.

30 J. K. Cooley, Una guerra empia, cit. pp.193 sgg

31 Alexandra Richard, La CIA aurait rencontré Ben Laden en juillet, Le Figaro, 31 ottobre 2001, disponibile sul sito:

www.mindfully.org/Reform/Bin-Laden-Met-CIA.htm#2

32 The Guardian del 1 novembre 2001 sostiene che il proprietario di Le Figaro è il gruppo Carlyle che con bin Laden e i

sauditi ha sempre avuto relazioni. “Messaggi trasversali, mafiosi” commenta Sbancor, American Nightmare, incubo ame-

ricano, Bologna, Nuovi Mondi Media, 2003, p. 105; cf anche The Times, 1 novembre 2001, cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra

alla libertà, cit., pp.182 sgg, p.321.

33 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. pp. 165-188

34 J. K. Cooley, Ricerca senza fine del tesoro nascosto di al Qaeda, Le Monde Diplomatique, novembre 2002

35 Raffaella Menichini, L’Arabia Saudita aiutò i kamizake dell’11 settembre, Repubblica, 27 Luglio 2003; cf anche Ser-

gio Finardi, I meandri dell’intelligence, Il Manifesto, 6 agosto 2003.

36 Golden, Daniel e altri, Bin Laden Family Could Profit from Jump in U.S. Defense Spending Due to Ties to U.S. Banks, The

Wall Street Journal, 27.9.2001, pubblicato anche sul sito: /www.geocities.com/vonchloride/wsjarticle.html; in questo articolo

si spiega come paradossalmente l’aumento di spese militari in funzione antiterrorismo potrebbe creare profitti per la

famiglia Bin Laden. Cf. Anche: David Lazarus, Carlyle Profit on Afghan War, San Francisco Chronicle, 2 dicembre 2001;

entrambi cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., pp.155-156

37 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, op. cit. p.157, n.22 p.305 (fonte: United Press International, 13 febbraio 2001)

38 Times of India, 11 ottobre 2001, cit. in M. Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, cit., p. 62

39 M. Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, cit., pp.55-66; Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., pp.191-193

40 Statement of the Family Steering Committee for The 9/11 Independent Commission, 8 marzo 2004

41 Si vedano gli articoli di Gennaio-Marzo 2004 sull’interessante sito: http://www.septembereleventh.org/index.php

42 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. , p.143

43 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. , p.145 (fonte è l’articolo di Jared Israel su New York Press)

44 Su questo torneremo oltre seguendo l’analisi del filosofo Giorgio Agamben, che riprende le categorie di Carl Schmitt.

L’emergenza in quanto limite della normalità giuridica, spiega e descrive la normalità. Lo stato di eccezione è intimamente

legato al potere legittimo pur rivelandosi appieno solo nelle situazioni di emergenza e di guerra.

45 Intervista a Samir Amin di Anne Marie Merger, cit.

46 Barry Zwicker, The great Deception: What realy happened on September 11th, in www.visiontv.ca/Archive/

Archive.html, cf. anche Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.195

47 Ritt Goldstein, americano, è clandestino in Svezia. Leader di un movimento per la trasparenza nell’operato della polizia,

negli Stati uniti, ha subito aggressioni, sabotaggi e un tentativo di assassinio. Ha chiesto asilo in Svezia, che non glielo ha

concesso, nonostante i fatti siano documentati perché proveniente da un paese “democratico”.

48 Ritt Goldestein, Patrioct Act, il desiderio proibito, Il Manifesto, 11 settembre 2002

49 Ritt Goldestein, Usa, le sbarre dentro casa, Il Manifesto, 26 luglio 2002

50 Ritt Goldestein, Bush sogna un popolo di spioni, Il Manifesto, 18 agosto 2002

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51 Giulietto Chiesa, La guerra infinita, cit.

52 M. Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, cit., p.136

53 Fulvio Grimaldi, 11 settembre, un Reichtag americano, http://www.pane-rose.it/pagina_art.php?id_art=1922&loc=1

54 Sbancor, American Nightmare, cit.

55 Esclusiva società segreta dell’università di Yale composta da studenti dell’aristocrazia venale di cui faceva parte Bush

padre e forse anche il figlio. Sulla aristocrazia finanziaria statunitense e il gruppo di Yale cf. Geminello Alvi, Il secolo

americano, Milano, Adelphi, 1966, pp.160-161.

56 J. Bamford, Body of Secrets, Anatomyof the Ultra-secret National Security Agency from the Cold War trough the Down

of the new Century, Dubleday, New York, 2001, II ed. 2002 con un Afterword sul 9/11, pp. 78-91; cf. anche N. Hager, Al cuore

dei sevizi segreti americani, la Nsa dall’anticomunismo all’antiterrorismo, Le Monde Diplomatique, novembre 2001

57 Eisenhower’s Farwell Adress to the Nation, 17 gennaio 1961 (ora su internet in http.mcadams.posc.mu.edu/ike.htm)

58 Dario Fo e Franca Rame, Volete i colpevoli? Seguite i soldi!, 16 settembre 2001, ora in http://www.francarame.it/cacao/

colpevoli.html

59 G. Chiesa, La guerra infinita, op cit., pp. 97-98; la fonte è D. Radlauer che lavora al New York Future Exchange.

60 Paul Krugman, cit. in Sbancor, American Nightmare, cit., p. 52

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In questo capitolo vedremo come ipiani dispiegati dall’amministrazioneBush dopo l’11 settembre fossero giàstati preparati precedentemente. Lepresunte azioni di guerra anti-terrori-smo più che rispondere a un realeintento di combattere il terrorismohanno lo scopo di rafforzare lo “statodi polizia globale”, limitando i diritti inparticolare delle opposizioni: l’arte digoverno neoliberista in tutto il globo

ha approfittato dell’evento mass-mediatico dell’11 settembre per im-porre misure gravemente restrittive nei diritti umani e civili. In questosenso gli effetti “collaterali” delle guerre esportate dagli Stati Uniti e iloro vassalli, in Afghanistan e Irak e gli effetti interni provocati dallerestrizioni dei diritti non sono qualitativamente diverse. Quindi, seppurper comodità esplicativa ci soffermeremo prima sugli aspetti di politi-ca estera della guerra permanente al terrorismo e poi su quelli di poli-tica interna, essi sono trattati nel medesimo capitolo per mostrarnemaggiormente i nessi. Diritto internazionale e diritti civili sono in en-trambi i casi le vittime di questo nuovo stato di eccezione di poliziaglobale. Guantanamo non è un’eccezione ma il paradigma del nuovomodello di zona rossa in cui guerra esterna e guerra interna coincido-no nel cercare di legalizzare l’inumanità di alcuni esseri umani. Non èquindi casuale che gli attentati dell’11 settembre siano stati descritticome attacco “alieno”. Siamo di fronte al nuovo paradigma giuridicodello stato di eccezione, la globalizzazione delle zone rosse. Laglobalizzazione quale modalità dell’attuale processo dimondializzazione capitalistica è il processo di soppressione dei dirittidelle persone in nome della libertà delle imprese. La violazione deidiritti umani in Irak sta avvenendo oggi non solo sul piano delle torture,che ha assunto tratti ellettoral-scandalistici, ma soprattutto sul pianodelle condizioni schiavistiche in termini economici imposte su questanuova zona rossa. Il capitalismo è infatti, come era apparso già alcunisecoli fa ai suoi maggiori detrattori, non l’uscita da un supposto statonaturale di guerra permanente tra individui e specie bensì l’imposizio-

L’esplosione dellezone rosse

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ne a livello mondiale dello stato di guerra permanente. In questo sen-so potremmo iniziare a suggerire alcune vittime delle zone rosse dellaglobalizzazione (migranti, lavoro coatto, lavoro minorile, rifugiatiambientali,etc…) e descrivere la creazione delle zone rosse come ildispositivo culturale e militare di imposizione del neoliberismo all’uma-nità.

La guerra duratura era già iniziata

Con la caduta del muro di Berlino e il tramonto del mondobipolare (Usa-Urss), sembrava si aprisse per il pianeta un lun-go periodo di pace. Il capitalismo da parte sua sembrava poterrealizzare l’utopia che il socialismo non aveva realizzato: tutteavrebbero potuto liberamente soddisfare i propri bisogni grazieal mercato in un mondo senza confini. Qualcuno arrivò a par-lare di fine delle ideologie, fine delle classi sociali, fine dellalotta di classe e persino di fine della storia.Eppure, mentre i cervelli europei discutevano sulla fine delleideologie, la destra americana aveva già cinicamente capitoche la guerra si doveva orientare a Sud, contro gli stati poveriper il controllo dei flussi di risorse. Nel 1990 l’amministrazioneBush, nel sottoporre al Congresso la richiesta di un enormefinanziamento militare per il Pentagono, si giustificò con deitermini che oggi appaiono come una vera dichiarazione di guer-ra al Sud del mondo: “In una nuova era prevediamo che il no-stro potere militare resterà un puntello fondamentale dell’equi-librio globale, ma (...) le più probabili richieste di usare la nostraforza militare possono non riguardare l’Unione Sovietica, bensìil terzo mondo, dove potrebbero essere richieste nuove abilitàe strategie”.1 Era il 1990, la terza guerra mondiale, la guerrafredda, sarebbe finita l’anno successivo con la caduta dell’im-pero sovietico. Iniziò la quarta guerra mondiale: una grandequantità di armi convenzionali prese a circolare e la produzio-ne da parte degli stati sarebbe ripresa a salire negli anni suc-cessivi. L’ultimo decennio del secolo avrebbe fatto milioni di

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vittime in tutti i continenti del pianeta, soprattutto, come mai inpassato, tra la popolazione civile.2 Un documento interno alPentagono del 1992 spiegava: “Il nostro obbiettivo primario èimpedire il riemergere di un nuovo rivale (...) che ponga unaminaccia nell’ordine di quella posta precedentemente dall’Unio-ne Sovietica. La nuova strategia richiede che noi operiamo perimpedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cuirisorse sarebbero sufficienti (...) a generare una potenza glo-bale”.3

In questo contesto di disordine del mondo che, con Marcos,chiamiamo “quarta guerra mondiale” [vedi box], gli Stati Unititendono a ristabilire il proprio dominio sul mondo utilizzando ilproprio incontrastato potere militare. Nonostante siano statecondotte “guerre umanitarie”, il tentativo di riportare l’ordine conle armi non sembra finora aver stabilizzato nulla, anzi sonoqueste stesse guerre causa di ulteriori devastazioni ambientalie umane. In effetti gli Usa si sono trovati come unica potenzamilitare mondiale pur avendo avuto un calo del loro peso spe-cifico sull’economia mondo: se dopo la seconda guerra mon-diale (1945) il peso dell’economia monetaria statunitense (Pil)era più della metà di quello globale, alla fine della terza guerramondiale (1991) era di circa un terzo. Da allora ad oggi il deficitdella bilancia commerciale degli Usa è passato da 100 a 450miliardi di dollari: gli Usa non solo non possono più vivere dellaloro produzione ma hanno un tremendo bisogno del mondoper le materie prime, mentre il mondo scopre l’inutilità degliUsa.

LA QUARTA GUERRA MONDIALE

Definiamo con Marcos quarta guerra mondiale quell’insieme di conflittiarmati e non che caratterizzano il dopoguerra fredda. Con la fine delbipolarismo infatti il pianeta, lungi dall’aver raggiunto una nuova stabi-lità, vede una lotta assidua per la conquista e il controllo dei territori.

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Potere militare e potere finanziario hanno diversi centri e il controllo deiterritori assume un ruolo vitale per il controllo dei flussi di materie pri-me. Il nuovo contesto è caratterizzato dal declino del ruolo dello stato.Se la terza guerra mondiale si è combattuta tra primo e secondo mon-do, tra capitalismo statunitense/europeo e socialismo sovietico, pre-valentemente nel terzo mondo (Indonesia, Coree, Congo, Cuba, Cile,Nicaragua, etc..), la quarta guerra mondiale si combatte tra i grandicentri finanziari. La terza guerra ha lasciato alle spalle 23 milioni dimorti, moltissimi dei quali civili e in questo assomiglia alla quarta guer-ra. La mondializzazione di questa quarta guerra non è altro che lamondializzazione delle logiche economiche, ed è questo il suo datofondamentale. Così come i conflitti armati, essa ha come fine il con-trollo economico delle materie prime. E’ una guerra che si appropria ditutti gli aspetti della vita, una guerra totale come le tre precedenti, chevede la mobilitazione totale della popolazione come caratteristica prin-cipe. Nella quarta guerra però, con lo strumento della bomba finanzia-ria si fanno esplodere i mercati nazionali: la successiva espulsionedella gente dalle proprie terre, lascia libero spazio alla ri-territorializzazione (ovvero all’appropriazione del territorio senza piùpopolazione). Sorgono le megalopoli ovunque. E’ lo spopolamentoqualitativo dei territori, i cui effetti si hanno appunto per lo più in camporurale: devastazione totale del tessuto culturale e sociale, migrazioni.Nella quarta guerra mondiale i politici moderni non esistono più: cisono amministratori di imprese. E’ una distruzione storica e culturale,una distruzione della memoria, in breve una guerra all’umanità. Le ca-ratteristiche di questa guerra sono: concentrazione della ricchezza edistribuzione della povertà; globalizzazione dello sfruttamento; migra-zioni di milioni di persone; globalizzazione finanziaria e dell’economiacriminale (armi, droghe, nucleare illecito, prostituzione, tratta di uma-ni, etc...); la frammentazione dei paesi e la comparsa di sempre mag-giori sacche di resistenza.

Marcos, La quarta guerra mondiale è cominciata, Roma, Il Manifesto-Le Monde Diplomatique, 1998

Strategie dell’impero prima dell’11 settembre

Per capire la natura imperiale della globalizzazione vogliamoripercorrere la lettura di quello che potrebbe essere definito un

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vero e proprio manifesto programmatico della politica esteraamericana, uscito prima della guerra nel Kosovo: La grandescacchiera.4 Scritto da Zbigniew Brzezinski, neoconservatorestatunitense, il libro, dedicato ai suoi studenti, “per aiutarli aplasmare il mondo”, è tutto un programma ideologico. Il cini-smo è il tratto distintivo dell’opera, ma tale vizio ha la virtù dinon mistificare la realtà. Secondo l’autore la guerra fredda fuvinta dagli Usa anche per la maggior debolezza dei propri“vassalli”. Il “crollo dell’Unione Sovietica ha fatto sì che gli StatiUniti diventassero, in pari tempo, la prima e unica potenza glo-bale. Nella supremazia globale degli Stati Uniti è possibile scor-gere in qualche modo le tracce degli antichi imperi, benchè laloro estensione fosse senz’altro più ridotta.”5 La prima partedel libro confronta quindi con molta attenzione l’Impero ameri-cano con quello romano, mongolo e cinese, e descrive infinele cause del crollo di questi imperi. Secondo l’autore quella ame-ricana è un’egemonia - si noti anche qui l’utilizzo di Gramsci -di tipo nuovo. I primati americani sono quattro: militare, econo-mico, tecnologico e culturale.

La forza del sistema america-no è la “cooptazione”. L’analisidi Brzezinski valorizza il domi-nio culturale più che quello mi-litare: dall’università al McDonald l’impero americano pro-duce “imitazione di stile di vita”,elemento indispensabile perl’egemonia imperiale.6 La su-premazia americana ha pro-dotto così un “nuovo ordine in-ternazionale che non solo re-plica, ma istituzionalizza al-l’estero molte delle caratteristi-che del sistema americano”.Nell’elenco di queste caratteri-

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stiche troviamo: Nato, Nafta, Fmi, Wb, Wto, il Tribunale spe-ciale per i crimini di guerra (Bosnia). Se gli Usa vogliono esse-re all’altezza della leadership del nuovo ordine mondiale, devo-no portare a termine il controllo del continente più difficile:l’Euroasia. Il punto più delicato da controllare è l’Asia centrale.

Altre parti del libro sottolineano i vari punti deboli dei possibilirivali nel controllare queste aree, e quindi i principali alleati, vistinell’Unione Europea, evitando che si costituisca una potenzaregionale euroasiatica ostile agli Usa, cioè cercando di spac-care il blocco euroasiatico di Russia, Cina, a cui vanno aggiun-ti anche India e Giappone quali grandi competitori dell’Asia.

L’unica alternativa all’egemonia americana sarebbe il caos to-tale per cui, con Clinton, è lecito affermare che gli Usa sono“nazione indispensabile”.7 Nel lungo periodo è tuttavia impro-babile che i destini del mondo verranno retti da un solo paese:gli Usa non sono “solo la prima e unica superpotenza mondia-le ma probabilmente anche l’ultima”. Non prima però di averportato a termine la loro missione storica.A questo punto l’autore si preoccupa per l’opinione pubblica: “ilmutamento culturale in atto, non sembra favorevole alla conti-nuazione di una politica imperiale”, politica che “richiederebbeun impegno intellettuale e una gratificazione del sentimentopatriottico.” E poi: “quanto più l’America diventerà una societàmultietnica, tanto più sarà meno facile che si crei un consensosu questioni di politica estera, salvo di fronte a una minacciaesterna diretta ampiamente percepita come tale”.La consapevolezza della crisi del sistema economico è gran-de. Così come la paura che gli Usa possano star fuori dal grandegioco se non controllano l’Euroasia. Sempre per Brzezinskil’America non deve perdere tempo e diventare potenza globa-le, facendo fronte al clima di pessimismo culturale: “lo sviluppoeconomico non riesce a soddisfare le crescenti aspettativemateriali, stimolate da una cultura tutta rivolta al consumo”. E ipoveri del mondo minacciano: parlando di armi di distruzionedi massa, Brzezinski sostiene che “nel prossimo futuro sarà

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ben difficile che le loro remore possano frenare i due terzi piùpoveri dell’umanità.”8 Non facciamoci illusioni: Brzezinski è unuomo dichiaratamente di destra, e le sue idee sono oggi“egemoni”. Per lui “la democrazia è nemica della mobilitazioneimperiale”.9 Dal momento che la società multietnica non colti-va il sentimento patriottico, è auspicabile che venga posta difronte “a una minaccia esterna diretta ampiamente percepitacome tale”. Gli attentati dell’11 settembre asseconderanno que-sto suo viscerale desiderio.

Esiste però un altro documento - pubblicato nel 2000 - cheauspicava una nuova Pearl Harbor negli Stati Uniti. Si tratta diun docuemnto elaborato dal tristemente noto Project for theNew American Century (Pnac), il Progetto per il nuovo secoloamericano. Organizzazione non-profit costituita nel 1997 conlo scopo di promuovere la leadership mondiale americana, ri-ducendo il ruolo dell’Onu, dell’Europa e della Cina, il Pnac èuna fondazione che ha un suo sito e promuove moltissime at-tività di ricerca e divulgazione. Questa fondazione scriveva nel1998 una lettera a Clinton chiedendo di “intraprendere un’azio-ne militare per rimuovere Saddan Hussein dal potere” poichéin caso contrario “una significativa porzione di riserve petrolife-re mondiali sarà messa a rischio”. Continuava dicendo: “men-tre il conflitto irrisolto con l’Irak fornisce una giustificazione im-mediata, l’esigenza di avere una sostanziosa presenza delleforze americane nel Golfo va oltre la questione del regime diSaddam Hussein”. Insomma già da allora richiedevano unaguerra sia in Irak sia in Afghanistan. Il documento è firmato dapersone che sarebbero diventate personaggi chiave nella nuo-va amministrazione Bush: Rumsfeld (attuale segretario alladifesa), Wolfowitz (vice segretario alla difesa), Armitage(viceministro degli esteri), Dick Cheney (attuale vicepresidente)e molti altri “cervelli” dell’amministrazione Bush.10

L’11 settembre è servito per passare dalle teorie ai fatti: quelloche conta non è tanto e non è solo la spesa militare annua delbilancio degli Stati Uniti per le armi quanto il piano di investi-

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mento che si è delineato dopo l’11 settembre per i successivi 8anni: un piano che dai 296 miliardi di dollari del 2001 porterà a502 miliardi di dollari le spese militari del 2009. Un piano dispese di morte esorbitante se si pensa che già oggi gli StatiUniti spendono in armi più della maggior parte degli altri paesidel mondo messi insieme.11

Gli interessi geostrategici statunitensi in Asia possono esserevelocemente così riassunti. Appena cinque giorni prima del-l’inizio dei bombardamenti della Iugoslavia, il 19/3/1999, il Con-gresso degli Stati Uniti ha promulgato il Silk Road Strategy Act,il Documento strategico per la via della seta. Questo docu-mento definisce gli interessi geostrategici degli Stati Uniti dal-l’Europa, passando per il Mar Nero e l’Asia centrale fino ai con-fini con la Cina. Strategia che richiede la militarizzazione delterritorio e azioni politiche e diplomatiche combinate. Lo scopoè il controllo non tanto delle risorse naturali vitali quanto deiflussi di risorse; il controllo della Cecenia quale crocevia deglioleodotti strategici ne è solo un pezzo, così come la guerra inKosovo e in Afghanistan. Nell’ambito del controllo di questi flussivi è anche il controllo sulle rotte della droga - la cui messa fuorilegge non fa che aumentarne il costo e quindi i ricavi - che dallecoltivazioni di papavero in Asia centrale portano verso il mer-cato europeo. Rotta che avrebbe un giro di miliardi del tuttocomparabile a quello degli oleodotti.12

L’egemonia imperiale statunitense

Alla luce della crisi imperiale e delle ambizioni degli strateghiamericani cerchiamo ora di capire la natura delle guerre sca-tenate dagli Usa, così come sono state legittimate agli occhidell’opinione pubblica. Dietro ai proclami bellicosi del presiden-te degli Usa, continuati dall’ 11 settembre a oggi, la macchinamilitare americana si è preparata alle aggressioni contro i pae-si accusati di formare “l’asse del male”: Irak, Nord Corea, Irane altri stati scomodi.L’individuazione di stati canaglia e le relative teorie umanitarieper far accettare delle eccezionalità al rispetto del diritto inter-

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nazionale, che attualmenteesclude (come la costituzioneitaliana) il ricorso alla guerra qua-le mezzo di risoluzione dei con-flitti, sono da far risalire alla ter-za guerra mondiale.Secondo Paul-Marie de laGorce13 l’evoluzione degli obiet-tivi fondamentali della difesa de-gli Usa ha avuto tre fasi essen-ziali. La prima, degli anni Settanta, aveva l’obiettivo di preparar-si a condurre “due guerre e mezza”. Durante la guerra fredda,bisognava prevedere l’eventualità di una guerra contro l’UnioneSovietica e di un’altra contro la Cina, e contemporaneamentedi un terzo conflitto di dimensioni più ridotte, contro paesi piùpiccoli come per esempio la Corea, il Vietnam, il Libano, ilGuatemala o Santo Domingo.La seconda fase, dovuta al divorzio tra l’Unione Sovietica e laCina, ha visto il presidente Nixon adottare il concetto di “unaguerra e mezza”: si trattava di un solo conflitto, con l’Urss ocon la Cina, e un “mezzo” conflitto limitato a uno stato più pic-colo.La terza, iniziata nel 1992, subito dopo la fine della guerra fred-da, ha visto l’amministrazione di Bush padre pubblicare undocumento intitolato Base Force Review. In questa nuova dot-trina si prevedevano due conflitti regionali importanti (MajorRegional Conflicts). Con Clinton questi orientamenti furonoconfermati e i conflitti venivano definiti guerre di teatri impor-tanti (Major Theater Wars).Nel gennaio 2002, parlando a un gruppo di giovani ufficiali al-l’Università della difesa nazionale a Washington, DonaldRumsfeld, segretario alla difesa americano, ha esposto la nuovadottrina militare. “Dobbiamo agire ora - ha dichiarato - per ave-re una capacità di dissuasione su quattro importanti teatri dioperazione”; Rumsfeld ha sostenuto così che gli Usa devonoessere in grado “di battere simultaneamente due aggressori,mantenendo al tempo stesso la capacità di condurre una

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controffensiva di vasta portata e di occupare la capitale di unpaese nemico, per insediarvi un nuovo regime”. È stata unasvolta storica, perché Rumsfeld non si è accontentato di esten-dere da due a quattro i teatri importanti, ma ha anche definito leminacce che gli Usa dovrebbero affrontare, associando nellostesso schieramento nemico le organizzazioni terroristiche egli stati che le sostengono.La questione centrale verte sul concetto di controllo strategico,che consiste nel porsi in condizioni di identificare l’avversario edi ridurne la potenza con la distruzione pianificata delle suecapacità militari, industriali e politiche. Il controllo strategico nonimplica, almeno all’inizio, l’occupazione del territorio nemico.La conclusione di La Gorce è: “Nel complesso, per l’Afghanistancome per l’Iraq, la Bosnia e il Kosovo, i responsabili americanihanno motivo di credere che il loro concetto di ‘controllo strate-gico’ si possa applicare sempre, con inevitabili varianti, ma consufficiente efficacia, tanto da aver consentito agli Usa di rag-giungere sostanzialmente, e a un costo per loro irrilevante, ipropri obiettivi politici”.Gli artefici e i sostenitori della dottrina militare americana espon-gono senza alcun imbarazzo il legame esistente tra questoconcetto di controllo strategico e gli attuali progetti di difesaanti-missilistica. Eppure qui si annidano le peggiori questioni.Secondo questa teoria il territorio americano, le aree conside-rate di interesse vitale e situate presso gli alleati, così come lebasi, devono essere difese da un sistema anti-missilistico. Macontro chi? Chi potrebbe minacciarle seriamente? A cosa ser-ve questo sistema anti-missilistico, questo controllo totale sul-lo spazio? Ufficialmente per alcuni si tratterebbe di preveniredegli stati canaglia (rogue states) sempre demagogicamentedenunciati. Per altri, si tratterebbe evidentemente della Cina.Nel documento (pubblicato, nel giugno 2000, in una versioneedulcorata) emanato dal Comitato dei capi di Stato maggiore,intitolato Joint Vision 2020 la Cina è definita Peer Competitor -cioè rivale di pari livello. Queste teorie, almeno così come sonostate presentate pubblicamente, si sono però meglio definitenella teoria giuridica imperiale auspicata dall’amministrazione

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statunitense: la teoria dell’attacco preventivo. Teoria, secondonoi, abbozzata da Kissinger poche ore dopo l’attacco dell’11settembre sul Washington Post.

L’infinita guerra preventiva

Per assicurarsi il controllo totale sullo spazio e sul globo, l’am-ministrazione Usa sta faticosamente mettendo a punto un nuo-vo ordine, dunque una nuova dottrina politica e un nuovo dirittointernazionale. Nel giugno 2002, Bush ha presentato all’acca-demia militare di West Point la dottrina strategica a cui si ispi-rerà in futuro. Le minacce che gli Usa dovrebbero affrontareprovengono da gruppi terroristici internazionali e dagli stati cheli tollerano o li sostengono, ma anche da coloro che detengonoarmi di distruzione di massa o stanno per dotarsene. SecondoBush, poiché l’origine e la natura delle minacce sarebbero cam-biate, anche la risposta dovrebbe cambiare completamente.Gli Usa non possono più accettare che i nuovi nemici attacchi-no con atti terroristici di ampia portata. Ha perciò annunciatoche la strategia mira a impedire che le minacce si realizzino,scatenando contro i nemici potenziali azioni preventive(preemptiv actions).Si tratta di proposte organiche elaborate da esperti del Penta-gono in importanti studi: due sono apparsi nel Nuclear posturereview (Npr, Revisione della posizione nucleare) e nellaQuadriennal Defense Review (Revisione quadriennale delladifesa). Il discorso del presidente ne ha chiarito la realizzazio-ne pratica. Fino a quel momento gli Usa sostenevano pubbli-camente - anche se la realtà non lo confermava - che avrebbe-ro fatto ricorso alla forza militare solo per rispondere a un’ag-gressione e che l’iniziativa delle guerre a cui avrebbero rispo-sto sarebbe sempre stata dei loro nemici. In questo modo siera giustificato l’intervento in Kuwait e in Kosovo.Kissinger aveva lanciato la sfida, l’amministrazione Bush loaveva già spiegato; i mass-media ne avevano preparato l’humusculturale, con le paure del terrorismo, del pericolo mai chiaritodell’antrace e con le puntuali comparse a puntate di Bin Laden.

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Il 31 gennaio 2002 Rumsfeld dichiarò la svolta: “La difesa degliUsa richiede prevenzione, autodifesa e talvolta azione preven-tiva. Difendersi dal terrorismo e dalle altre minacce emergentidel XXI secolo, può certamente voler dire portare la guerra incasa del nemico. Talvolta, la sola difesa è una buona offensi-va”. Nel corso della riunione ministeriale della Nato del 6 giu-gno 2002 disse: “Poiché i terroristi possono attaccare in qual-siasi momento, ovunque e con qualsiasi tecnica, mentre è fisi-camente impossibile difendere tutto, sempre e contro tutte letecniche, allora abbiamo la necessità di ridefinire cosa vuol diredifensivo. (...) La sola difesa possibile è lavorare per scovare lereti terroristiche internazionali e trattarle come meritano, comegli Usa hanno fatto in Afghanistan”.“Trattare come meritano” vedremo che in concreto significa,prendendo appunto l’esempio dell’Afghanistan, violare sistema-ticamente i diritti umani, il diritto internazionale e il diritto di guerraprevisti nella convenzione di Ginevra.Il Consiglio nazionale di sicurezza raccolse queste teorie sottoil titolo generale di National Security Strategy,14 annunciandoesplicitamente l’abbandono delle dottrine precedenti di

Il papa incontra Pinochet in Cile dopo il golpe: un papa da sempreschierato per la pace e la giustizia nel mondo

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“dissuasione” o “arginamento” e definendo la nuova dottrinacon espressioni quali intervento difensivo, azione preventiva oprelazione.Dove si fermano le azioni preventive? Chi decide quale sia lostato di turno a mettere a repentaglio la democrazia e la libertàche l’occidente ha portato nel mondo? E se i prossimi fosseroRussia e Cina, a che tipo di conflitto “preventivo” andremo in-contro?

Forse è opportuno guardare alle risorse energetiche e ai rap-porti governativi in proposito, dal momento che tale questioneenergetica sta assumendo una rilevanza di “interesse e sicu-rezza nazionale”. Proprio nel momento in cui un grande movi-mento globale contesta la legittimità che l’80% delle risorse delglobo siano consumate dal 20% dei cittadini, proprio nel mo-mento in cui viene contestato il diritto degli Usa di inquinarel’aria del globo, i fatti dell’11 settembre sembrano rimettere tut-to in discussione. La relazione 2002 del vice-presidente degliUsa sulle risorse energetiche - National Energy PolicyDevelopment Group - programma di dipendere più dall’estero(52% nel 2001, 66% previsto nel 2020), allargando la dipen-denza statunitense per materie prime dall’America Latina al-l’area del Golfo, cioè proprio la zona in cui si vendono più armie le forze armate americane vorrebbero imporre dei protetto-rati. D’altro lato, lo stesso rapporto della difesa - QuadrennialDefense Review - lo dice chiaramente: “gli Stati uniti e i loroalleati dipenderanno dalle risorse energetiche del Medio Orien-te”. La programmazione energetica e quella militare convergo-no. Il concetto di sicurezza include esplicitamente anche quel-lo di sicurezza energetica. In questo senso sicurezza è davve-ro una parola magica e l’aggettivo “preventivo” indica bene lamolteplicità delle vere ragioni delle guerre “umanitarie”. E’ lasicurezza del padrone di assicurarsi la fedeltà forzata del ser-vo, che gli è indispensabile per sopravvivere.

Tornando alla questione propriamente militare, la nuova dottri-na dell’attacco preventivo è alla base del capovolgimento che

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già è in atto nel diritto internazionale: non sono più le NazioniUnite a dare un ultimatum a uno stato ma uno stato (gli Usa) adare un ultimatum alle Nazioni Unite. Il diritto non è de jure,secondo accordi, ma de facto, quello del più forte. L’Onu agi-sce solo per prendere atto delle invasioni Usa.

È l’esplosione delle zone rosse, la creazione di protettorati sta-tunitensi in Medio-oriente, dove ogni diritto è sospeso. Bere,mangiare, andare a scuola, avere una casa, non subire intimi-dazioni, torture, non essere detenuto senza accuse e senzaavvocato, non essere torturato durante la detenzione sono di-ritti revocabili dall’autorità militare per motivi insindacabili chefanno dell’eccezione la norma.

Che questa nuova dottrina abbia importanti conseguenze so-prattutto per i sistemi nucleari, è rivelato dalla citata Revisionedella posizione nucleare (Npr) pubblicata dal Pentagono nel gen-naio 2002. Qui si conferisce all’atomica la virtù principale della“flessibilità”, definita come adattamento permanente alle nuo-ve minacce. La Npr ha previsto in anticipo la ricomposizionedelle équipe di ricercatori, sciolte dopo la decisione del 1992 dicessare le ricerche sulle nuove armi atomiche, e laricostituzione delle unità di produzione, specialmente nel cam-po di piccole armi nucleari per piccoli colpi (small strikes) o peril primo colpo d’attacco (first strike) per decapitare il nemico.La NPR ne dà un’adeguata giustificazione: “era evidente lanecessità di rivitalizzare la struttura di produzione delle arminucleari”, prevedendo esplicitamente “la definizione di opzioninucleari variabili per ampiezza, portata e obiettivo, che sianocomplementari agli altri strumenti non nucleari”. È così aperta-mente proclamato l’inserimento di una gamma di armi nuclearinell’insieme delle forze sia convenzionali che atomiche, le unee le altre utilizzabili là dove sembrano più opportune, quindianche contro paesi non dotati di nucleare. Il nucleare quindinon è più considerato come deterrente ultimo ma come unadelle potenziali risorse preventive.15 Del resto l’ipotesi di uso diarmi nucleari era già stata presa in considerazione alla vigilia

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della prima guerra del Golfo, quando il segretario di stato statu-nitense, James Baker, aveva consegnato al ministro degli esteriiracheno, Tariq Aziz, una lettera con cui lo avvertiva che, sefossero state impiegate armi chimiche irachene, la rispostasarebbe stata di natura nucleare.16

Il nucleare nella sua forma di uranio impoverito è già stato uti-lizzato in Kuwait e Irak, in Somalia, in Bosnia, in Kosovo, inAfghanistan e in Serbia. I danni maggiori nella prima guerra delGolfo sono molto probabilmente derivati dall’utilizzo di “questasorella minore del nucleare” anche se non sono mai stati spie-gati ufficialmente. Gli Usa tendono a negare gli effetti devastantidell’uranio impoverito, benchè negli addestramenti forniscanoagli stessi soldati le istruzioni per difendersi dai suoi effetti. L’evi-denza di tali effetti è emersa con la sindrome del golfo, unamalattia che ha colpito in diversi modi sia 110.000 soldati sta-tunitensi (e parenti) che combatterono la guerra del Golfo, siaun numero maggiore di civili e soldati irakeni. Gli effetti sonosimili a quelli riscontrati a Hiroshima e Nagasaki.17

Secondo Paul Marie De la Gorce, “questa ipotesi di utilizzodelle armi nucleari prevista nella Npr non è una novità nellastoria della politica americana di difesa. Si tratta piuttosto diuna restaurazione. In una forma più consona all’attuale conte-sto internazionale, essa segna il ritorno alla strategia della ‘ri-sposta graduale’, concepita (...) agli inizi degli anni ’60. Nellaprospettiva di un conflitto, l’utilizzazione della gamma delle arminucleari, dette tattiche, veniva proposto come rinforzo, com-plemento o sostituzione delle armi convenzionali, sulla basedell’evoluzione delle operazioni e del comportamento degli av-versari”. La differenza rispetto all’oggi però non è piccola.L’eventuale utilizzo di armi nucleari sarebbe lo strumento del-l’azione preventiva decisa dagli Usa contro stati e non una ri-sposta ad attacchi. Leggendo queste dichiarazioni nella corni-ce che stiamo analizzando, più che a un piano di difesa siamodi fronte a un vero e proprio piano di attacco di uno stato eco-nomicamente in crisi. Piano di attacco che prevede l’uso dellearmi nucleari e delle armi chimiche. Esse non possono esseredetenute da stati che non godano della fiducia degli Usa, ma

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usate dagli Usa per distruggere questi stati. In questo senso gliaccordi sulla produzione e detenzione di armi batteriologiche(Btwc) è pura carta straccia: l’Irak deve essere attaccato an-che se non esiste nessuna prova di detenzione mentre gli ispet-tori dell’Onu non possono nemmeno entrare a verificare negliStati Uniti che si rispetti quanto da loro stessi sottoscritto.

La Npr lo stabilisce a chiare lettere: la militarizzazione dellospazio, l’unificazione del comando spaziale e di quello nuclea-re quale tappa primaria e fondamentale del post 11 settembreimplica uno salto fondamentale: “Le capacità nucleari posseg-gono proprietà uniche che danno agli Stati Uniti opzioni peresporre a rischio una serie di bersagli che sono importanti peril conseguimento degli obiettivi strategici e politici”.18 Finalitàpolitiche quindi che possono essere perseguite militarmente.Si stanno prefigurando due umanità, due cittadinanze, una pergli esseri umani, l’altra per gli abitanti degli stati canaglia. Alcu-ne popolazioni possono essere bombardate senza risponderea nessun organismo internazionale. La realtà è che più chepreventive le ultime guerre sono state tutte delle cacce a deglielementi usciti fuori dal controllo, ma tutti addestrati e cresciutidall’esercito statunitense: Noriega, Marcos, Saddam, OsamaBin Laden. Aggiustamenti di conti tra criminali per l’egemoniadell’impero? E cosa succederà quando questi criminali use-ranno fuori da ogni controllo il potere militare per perseguire ifini politici dell’assoggettamento di altri paesi?

Il nucleare è diventato un mezzo normale di controllo di territorie di popolazione in quegli stati che di volta in volta diventanoterroristi. Delle vere e proprie zone rosse in cui si normalizzaciò che un tempo era l’eccezione. Ma lo abbiamo già visto: laguerra globale é quello stato d’eccezione in cui operano senzacontrollo le forze economiche, militari e poliziesche globali. Lezone rosse, in cui il deserto viene chiamato pace, sono il nuo-vo territorio globale in cui imperano i profitti delle multinazionali.

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Il mercato delle armi

I cambiamenti attuali possono essere compresi meglio se va-lutati sotto l’ottica dei cambiamenti avuti nel mercato, partendoproprio da quello delle armi. In quanto mercato, l’offerta deveincontrare la domanda. Venendo meno il ruolo dello stato, l’im-presa è portata a cercare le guerre per soddisfare la propriacapacità produttiva.Quanto è avvenuto dopo l’11 settembre avrà ripercussioni dirilievo nel processo di ristrutturazione e internazionalizzazionefinanziaria e industriale che, dai primi anni Novanta, interessa ilcomparto della produzione militare nel mondo industrializzato.Achille Ludovisi,19 ricercatore italiano, mette in risalto la diffe-renza del mondo attuale con quello precedente: “In passatol’apparato militare-industriale si costituiva ed operava - in tuttele fasi del ciclo di produzione delle armi e dei beni e servizi diimpiego bellico - seguendo le direttive del governo; oggi il ruolodi controllo ed indirizzo degli organismi politico-militari degli statinazione, soprattutto per quel che riguarda il rapporto tra la ge-stione del marketing, la pianificazione finanziaria ed industrialee gli assetti proprietari delle aziende, si è trasformato assu-mendo la forma della continua interrelazione sistemica tra lasfera politico militare e quella industriale”.E’ avvenuto nel campo della produzione di armamenti, con unleggero ritardo, esattamente quello che è avvenuto in altri tipi diimpresa dopo la caduta del muro di Berlino: in Europa, e giàprima in USA, c’è stata una spinta verso la concentrazione pro-duttiva e finanziaria.In primo luogo - sempre secondo l’analisi di Ludovisi - vi sonostate crescenti e significative economie di scala (diminuzionedei costi mediante l’aumento delle dimensioni delle imprese)attraverso l’integrazione verticale. In secondo luogo c’è statauna “evoluzione ‘politico-culturale’ tra i responsabili dei governinazionali sempre più disponibili ad accettare la presenza dimonopoli nel settore della produzione di sistemi d’arma”. Glistati si sono così trasformati in partners di grandi concentra-zioni finanziarie e produttive transnazionali privatizzate, che

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condizionano i mercati interni ed internazionali.20 In questo con-testo, i governi nazionali stanno esercitando un controllo sem-pre minore sulle forniture di armamenti alle proprie forze arma-te e sulle esportazioni. Secondo Ludovisi “l’assettomonopolistico ha inoltre fatto insorgere problematiche assaicomplesse e dalle evidenti conseguenze negative. Infatti leaziende che vantano posizioni di privilegio nello sviluppo di de-terminati programmi d’armamento riescono spesso a condi-zionare le scelte di politica estera e di difesa; inoltre la scom-parsa della concorrenza nel settore sta generando perplessitàdi carattere tecnico-industriale persino tra i vertici militari. Leaziende hanno assunto un ruolo decisivo anche per quantoconcerne la fornitura di attrezzature e servizi per la logisticamilitare, ciò è avvenuto grazie al ricorso all’outsourcing, ossial’appalto a imprese private di funzioni e servizi in precedenzagestiti dall’organizzazione militare. I rischi associati a questastrategia, ispirata dalle politiche di ristrutturazione dei bilanciper la difesa, riguardano il diffondersi della corruzione associa-ta alle gare d’appalto, il costituirsi di potenti lobby d’affaristi ca-paci di condizionare le scelte del mondo politico e l’accentra-mento monopolistico delle conoscenze nel settore dell’adde-stramento e della manutenzione dei sistemi d’arma”.Secondo l’International Institute for Strategic Studies di Londrale due possibili strade che può percorrere l’industria europeadegli armamenti sono l’allargamento della collaborazione congli Stati Uniti al fine di costruire una base tecnologica e indu-striale comune, o, all’opposto, la creazione di una seconda for-tezza industriale-militare indipendente e in aspra competizio-ne. La prima ipotesi è sostenuta dalla dirigenza dell’industriabritannica per difendere i numerosi investimenti (realizzati sindagli anni Ottanta negli Usa). La seconda dalla Francia chepunta a uno sviluppo separato. La Germania è in mezzo. L’in-dustria statunitense è comunque restia a condividere con glieuropei il know-how tecnologico e logistico, dovuto al predomioacquisito durante la terza guerra mondiale e ai continui investi-menti a fondo perduto (30 miliardi di dollari all’anno per la ricer-ca e lo sviluppo nel settore militare) sostenuti dal contribuente

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americano. Costi che hanno il vantaggio di lasciare ai soli USAil primato tecnologico in campo militare (con tutte le relativeconseguenze). E’ quindi nel campo della ricerca - e conse-guente gap tecnologico - che si gioca molto della battaglia perl’egemonia militare-industriale.I costi della concentrazione monopolistica dell’industria a pro-duzione militare vengono, precisa Ludovisi, “affrontati ricorren-do alle sovvenzioni pubbliche, agli ordinativi interni, alla promo-zione delle esportazioni - il più possibile svincolate da controllidi qualsiasi genere - e all’indebitamento. Non vanno dimentica-ti anche il ricorso ai mercati finanziari tramite le borse e la forteriduzione dell’occupazione nel settore, provvedimento che av-via ed accompagna tutta la fase di ristrutturazione”.21

Eppure la privatizzazione e la relativa concentrazione, non rie-sce a risolvere i problemi cronici dell’eccesso di capacità pro-duttive, mentre cresce solo l’abilità delle lobbies di condiziona-re il potere politico per ottenere risorse pubbliche. Un progettodi costruzione aeronautico, assegnato nel 1991 alla McDonnelDouglas (successivamente incorporata dalla Boeing) è statoufficialmente cancellato a causa dell’insostenibilità economi-ca, “ma alla decisione hanno concorso anche i nuovi equilibridi potere nella sfera militare-industriale che vedono il prevalere

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del ‘partito’ Lockheed (quest’ultima finanziatrice di rilievo dellacampagna elettorale di Bush) antagonista della Boeing”.22 I ri-schi del mercato degli armamenti sono impressionanti. Sono ipochi gruppi industriali che condizionano le politiche di arma-mento dei governi e che vedono nelle guerre delle buone occa-sioni per la crescita del loro mercato.L’affermarsi di una concezione dell’impiego degli armamentisempre più basata sull’integrazione di reti di comunicazione,comando, controllo e informazione ha reso strategiche leforniture e la consulenza di aziende leader nell’InformationTechnology, non necessariamente specializzate nel settoremilitare.D’altro lato il processo di concentrazione dovuto alle politichedi privatizzazione e deregulation che riguardano tutti i settoristanno portando anche a ben peggiori alleanze tra il mondodelle comunicazioni e quello dei media. Riferisce IgnacioRamonet: “due gruppi - Dassault e Lagardère - che dominanoormai i media francesi, hanno in comune l’inquietante caratte-ristica di essersi costituiti intorno a una società centrale, la cuiprincipale attività si esplica nel campo militare (caccia, elicot-teri, missili, razzi, satelliti). Un’antica preoccupazione si è dun-que trasformata in realtà: alcuni dei più importanti media sonoormai nelle mani dei mercanti di cannoni”.23

Il rapporto tra mercato e guerre deve essere analizzato allaluce del nuovo contesto bellico: la quarta guerra mondiale. Lacrisi del ruolo dello stato sociale e il nuovo contesto, non piùbipolare ma dominato dalla strategia della guerra preventivastatunitense. Un mondo dove le privatizzazioni si diffondono intutti i settori ma dove gli apparati di produzione di armi sonoancora legati a un contesto nazionale. Gli attori militari sonotuttavia sempre meno eserciti regolari e sempre più esercitiparamilitari o eserciti mercenari stranieri. L’inversione dei rap-porti di forza tra stato e impresa nel campo militare è comun-que un elemento molto destabilizzante: si aprono zone rossecon interventi di multinazionali in concerto con stati o gruppi dipressione, incluso l’utilizzo di eserciti e armi.

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L’effetto paura il fondamentalismo cristiano

La religione ha sempre giocato un ruolo centrale nella mobilita-zione bellica, perché la guerra pone di fronte alla morte. Se-condo Mary Kaldor, “mentre si affermava che l’interesse razio-nale dello stato era il vero scopo della guerra, cause più emo-tive sono sempre state necessarie per rendere gli uomini fede-li e per convincerli a rischiare le loro vite. Dopotutto, fu il fervorereligioso a ispirare la New Model Army di Cromwell, che fu ilprimo esempio di moderna forza professionale. E il successoprussiano è spesso attribuito all’influsso del luteranesimo”.24

Dopo l’11 settembre la paura ha invaso i cuori e le menti dellapopolazione statunitense, esattamente come previsto dai ma-nuali di contro-insurrezione. La risposta del popolo statuniten-se a questa paura è stata apparentemente di tipo patriottico, insostanza di tipo religioso. Senza una vera e propria religionenon sarebbe possibile costruire un’identità americana, un sen-timento patriottico. Più propriamente si è rafforzato il caratterefondamentalista della religione civile statunitense.Reagan ha iniziato a usare una terminologia religiosa definen-do l’allora Urss “l’impero del male”. Passando nella politica illinguaggio della fiction holliwoodiana - il primo presidente atto-re cinematografico, emblema marionetta dell’apogeo della so-cietà dello spettacolo - gettò le basi per la retorica e le falsitàche seguirono. Scomparso l’impero del male andava inventatoun anticristo e questo fu trovato in Saddam Hussein prima e inBin Laden dopo. Personaggi che, benché l’ignoranza della metàdella popolazione degli Stati Uniti confonde o crede amici, han-no in comune il solo fatto di essere degli ex-collaboratori dellaCia.

In questo clima di paura, le idee della ultra-destra americanacrescono, e crescono non tanto nella loro dimensione politicaquanto piuttosto sul terreno religioso. Paradossalmente pro-prio mentre l’Occidente si faceva paladino delle libertà controla Jihad armata, che costituirebbe l’essenza di una religione,quella islamica, per sua natura anti-illuminista, il consenso per

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la guerra in Usa si creava soprattutto sul terreno delfondamentalismo religioso cristiano degli evangelicals.25

Milioni di persone scompaiono nel giro di una notte e l’anticristodiventa segretario generale delle Nazioni unite ed è un ex pre-sidente della Romania che inganna quasi tutti tranne ungruppetto di prodi. L’anticristo “mette su un trattato di pace conIsraele, vara una moneta unica mondiale, ricostruisce il tempiodi Salomone, sposta la sede delle Nazioni unite in Iraq, e per-suade tutte le nazioni a disarmare. Questo è almeno il riassun-to che il settimanale The Economist fa del primo volume dellaserie Left Behind (“lasciati indietro”, appunto), primo volumeche negli Stati uniti ha venduto sette milioni di copie. Il quintovolume, Apollyon (3,1 milioni di copie vendute) riguarda la ca-lamità di cavallette con teste umane e ali metalliche. L’ottavovolume, The Mark (“Il marchio”, 3 milioni di copie) mette in scenagli umani che fanno la fila per farsi impiantare dal governodell’Anticristo nella mano destra un microchip, che è il marchiodella Bestia (inteso come Satana). In The Remnant (prima ti-ratura: 2 milioni di copie), metà dell’umanità è stata uccisa ovive sotto terra, mentre le calotte polari si sciolgono e i mari sitrasformano in sangue. Finora la serie ha venduto negli Statiuniti la strabiliante cifra di più di 40 milioni di copie”.Sono queste le idee che appassionano quaranta milioni di let-tori statunitensi. Sono le idee degli avventisti, che aspettano lafine del mondo, dei born-again, i “risorti” dopo il giorno del giu-dizio. I fedeli in attesa dell’Apocalisse e i fondamentalisti cri-stiani non costituiscono più una sparuta (per quanto aggressi-va, rumorosa e armata) minoranza, ma sono una fetta dellapopolazione culturalmente ignorante ma egemone.Riferisce sempre Marco D’Eramo che per il 59% degli ameri-cani l’Apocalisse si avvererà e un quarto degli americani ritieneche la Bibbia avesse predetto l’11 settembre. E’ qui che GeorgeW. Bush trova lo zoccolo duro del suo elettorato. Quando Bushdescrive la guerra contro il terrorismo, come una “battagliacontro il Male” sa molto bene quello che fa. Si stabilisce cosìun’interazione tra l’amministrazione repubblicana e l’estrema

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destra cristiana. L’amministrazione Bush è spesso accusatadi unilateralismo, di diffidare delle organizzazioni internazionali(Fondo monetario, Nazioni unite, Banca Mondiale, Wto). In LeftBehind l’Anticristo è infatti il segretario dell’Onu. In questo modoviene incoraggiata la politica estera di Bush contando sulla suaretorica religiosa.26

Dopo l’invasione barbarica dell’Irak, questi fanaticifondamentalisti sono in prima fila, portando oltre 60.000 bibbieinsieme agli aiuti umanitari. La rivista Time del 4 agosto 2003 videdica la copertina e un servizio e si pone la domanda di fondosul senso per i cristiani della conversione dei musulmani inIrak. Franklin Graham, il predicatore evangelico noto per averorganizzato preghiere per la presidenza di George Bush, pas-sò alla cronaca per una intervista televisiva dopo l’11 settem-bre nella quale definiva l’Islam come una religione “malvagia” eil profeta Maometto come un “terrorista pedofilo”. Graham sispiega così: “siamo lì per cercare di amarli e di salvarli e lofaremo in nome di Gesù Cristo... in costante contatto con leautorità Usa”. Del resto sempre secondo Franklin Graham ilCorano insegnerebbe la violenza e non la pace, e l’Islam sa-rebbe una religione terrorista.27

Le notizie dell’arrivo in Iraq dei nuovi crociati evangelici anti-musulmani aveva suscitato le proteste della Lega Internazio-nale Musulmana, il cui segretario generale Abdullah bin

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Abdulmohsen al-Turki, ha invitato gli iracheni a evitare di cade-re nella trappola di coloro che vogliono portare avanti il progettodi uno “scontro tra civiltà” e di stare attenti alle “faide etniche oreligiose”. Scontro di civiltà che è proprio l’obiettivo di chi havoluto la guerra in Iraq. Con Ralph Reed, Jerry Falwell, PatRobertson, Gary Bauer, Franklin Graham unisce le posizionidell’ultradestra repubblicana con un deciso sostegno alla poli-tica di Sharon: sono i nuovi evangelicals, un tempo antisemiti,e ora in prima fila con la destra israeliana per la distruzione deipalestinesi e dei musulmani. Il padre fondatore di tale correnteè stato Jerry Falwell, della moral majority che una volta ricevet-te come regalo un aereo dall’allora premier israelianoMenachem Begin, e Pat Robertson della Christian coalition chefinanzia, tra l’altro, la Christian Embassy a Gerusalemme notaper sostenere le organizzazioni dei coloni ebraici più fanatici. Ilnuovo programma in arabo via satellite per l’Iraq è prodotto nellostudio della Grace Digital Media un network “strumento nellemani di Dio” noto per aver prodotto nel 2002 un documentariodall’illuminante titolo: Il destino di Israele e il ruolo degli Statiuniti. Conclude Chiarini, corrispondente dall’Irak del Manifesto:“tra predicatori folli, pretrolieri rapaci e coloni israeliani il futurodell’Iraq potrebbe essere ancor più nero di quello che molti pen-sano. E così l’inevitabile reazione, di fronte a tanta barbarie”.28

Benché sia consapevole che Jihad significa “sforzo morale” enon “guerra santa”, Barber, uno dei noti saggisti che affronta iltema del rapporto tra fondamentalismo e globalizzazione, usail termine per indicare qualsiasi forza di opposizionefondamentalista alla modernità, e cade nell’errore di metteretra questi movimenti anche quella che erroneamente e confu-samente definisce la Jihad americana, quella condotta dallaCoalizione cristiana, dalla National Rifle Association, dalla WhiteAryan Resistance, e da tutte quelle correnti che stanno sem-pre più condizionando e indirizzando il Partito Repubblicano.Secondo Barber ci sarebbero da una parte le forzemodernizzanti del mercato (McMondo) e dall’altra quelleconservative della Jihad. Con questo schematismo non capi-sce il ruolo “modernizzante” del fondamentalismo cristiano che

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desidera lo scontro di civiltà. Questo schematismo inoltre nonsolo non permette di ricondurre l’origine del fondamentalismoislamico armato alla sua matrice statunitense della guerra fred-da, ma impedisce anche di rendersi conto che la diffusione delfondamentalismo armato crea conflitti sociali soprattutto neiprincipali stati competitori degli Usa in Asia: India, Cina, Rus-sia, Medio Oriente. In altri termini non vede il carattere tuttopost-moderno che il fondamentalismo armato ricopre nelle at-tuali lotte imperialiste per il controllo dei flussi di risorse. Pari-menti il fondamentalismo cristiano (armato e non) non è unaforza del passato che rallenta la modernizzazione ma una for-za sinergica con la modernizzazione neoliberista.29

Il fondamentalismo critiano non è un’istituzione e questo spie-ga come negli Usa sia possibile una netta separazione tra sta-to e chiesa oltre a una varietà molto alta di sette religiose. Inrealtà negli Usa il fondamentalismo è un atteggiamento cultu-rale diffuso e trasversale alle tante e variegate sette. Non habisogno di essere istituzionalizzato perché è ben radicato nel-la società. Esso è stato giustamente definito religione civileamericana. Si tratta dell’adesione intima alla mission america-na, a quello scopo ultraterreno a cui ogni cittadino è chiamato:libertà e proprietà sono gli attributi naturali conferiti da Dio algenere umano, il governo degli Usa ha il dovere di diffonderlenel mondo. Nella bibbia ci sono tutte le indicazione pratiche dicome coniugarle. Questa religione civile riesce a dare con laforma religiosa un radicamento forte all’individualismo più sfre-nato: difendendo con le armi la sua piccola proprietà da ogniombra che sembra avvicinarsi, il cittadino statunitense mediosi riconosce nel grande conflitto tra bene e male che il suoPresidente e il suo popolo combattono nel mondo. Nel 1999John Ashcroft, che dopo l’11 settembre si sarebbe distinto peraver demolito lo stato di diritto, asserì seriamente: “unica tra lenazioni, l’America ha riconosciuto che la fonte del nostro ca-rattere è divino ed eterno, non civile e temporale. E poiché sap-piamo che la nostra fonte è eterna, l’America è diversa. Nonabbiamo altro re che Gesù”.30

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Quello che a noi comunque preoccupa è soprattutto l’acco-glienza riservata a tale fondamentalismo religioso dall’Europa“laica e moderata”. Come mai il discorso di Bush di attaccoall’Afghanistan e di guerra infinita al terrorismo è stato procla-mato da una cattedrale? Come si è potuti passare dall’orazio-ne funebre per i martiri dell’11 settembre alla santificazione dellaguerra duratura? Come si è potuto far seriamente credere almondo intero che un guerriero armato dalla Cia che parlereb-be dalla caverne sia il leader di tutti i musulmani, mentre nellastragrande maggioranza delle moschee del mondo si predicala pace? Perché i mass-media hanno tradotto Jihad (“sforzomorale”) con “guerra santa”?Il 14 settembre 2001 fu dichiarata giornata mondiale della pre-ghiera. Nella National Cathedral si svolge una cerimonia sen-za precedenti storici a cui assistono quattro ex-presidenti degliUsa e in cui il presidente Bush si improvvisa predicatore, conun’omelia preparata da Michael Gerson, un biblistafondamentalista: “Abbiamo una responsabilità storica ... dob-biamo rispondere a questi attacchi e liberare il mondo dal male...Hanno attaccato il nostro paese perché è l’anima e la difesadella libertà”. Il Washington Post commentava: “per la primavolta dopo che la destra religiosa è diventata un movimentopolitico, il presidente degli Usa ne è diventato il leader de facto,uno status che nemmeno Reagan, adulato dai conservatorireligiosi, è mai riuscito a ottenere”.31 Il Newsweek del 10 mar-zo 2003 dedicherà la copertina e un servizio a “Bush and God”,spiegando le novità religiose del capo degli Stati uniti.Di fatto dopo l’11 settembre la retorica fondamentalista venneglobalizzata, perchè in tutto il pianeta i governi imposero unsilenzio per decreto, una vera e propria celebrazione religiosaglobale: il decreto che annunciava la santità della guerra dura-tura. Chirac e Jospin firmeranno il decreto che impose il luttoplanetario ancora prima che lo firmasse Bush. Manipolando isentimenti religiosi, l’ultradestra americana ha trasformato levittime di un attentato in martiri, ha sacralizzato la versione uf-ficiale dei fatti dell’11 settembre, ha sancito religiosamente laguerra e investito i soldati americani del ruolo di difensori della

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civiltà cristiana. Ancora una volta la religione ha scoperto lasua vocazione guerriera. Mentre la retorica ufficiale vuole chela causa di tutti i mali sia il fondamentalismo musulmano, latragica realtà dice che siano proprio i fondamentalisti cristiania spingere per lo scontro di civiltà dopo aver usato - nella terzaguerra mondiale - il fondamentalismo armato musulmano percombattere la guerra santa contro il comunismo.

Lo scontro di civiltà è cominciato: islamofobia

Un primo effetto dell’11 settembre è stato proprio sul piano re-ligioso. La paura e la caccia del musulmano. L’attacco alla ci-viltà musulmana è stato fomentato da folte schiere di intellet-tuali e lo scontro di civiltà è diventato il maggior argomento deitalk-show televisivi, dove i più progressisti sostenevano che“non tutti” i musulmani sono fondamentalisti, come se fosseun’eccezione essere musulmano non fondamentalista. Inoltrenell’opinione intellettual-televisiva dominante, fondamentalismoe fondamentalismo armato venivano costantemente confusi.C’è invece una differenza tra opinioni fondamentaliste e la viaarmata del fondamentalismo; spostando il discorso in ambitocristiano l’antiabortismo è una posizione fondamentalista, manon va comunque confusa con chi ammazza i medici che pra-ticano l’aborto. In un clima denunciato da pochi intellettuali come“islamofobo”,32 venivano fermate, arrestate e detenute in car-cere senza un’accusa specifica molte persone musulmane poirivelatesi estranee a qualsiasi atto terroristico. In tutti i paesioccidentali sono state rinforzate misure o leggi contro l’immi-grazione clandestina.

Guerra interna e guerra esterna si sono dimostrate essere dueaspetti di una medesima guerra dai tratti razzisti e religiosi.Mentre infatti Berlusconi proclamava la superiorità della civiltàoccidentale su quella musulmana, molte opinioniste non face-vano che raffinare la tesi di cui ogni occidentale è intimamenteconvinto: l’occidente avrebbe portato democrazia, diritti, benes-sere e in breve tutte le virtù della globalizzazione al resto del

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mondo. Al contrario la civiltà musulmana non conoscerebbe lalaicità, il progresso, il rispetto della donna e sarebbe condan-nata a una perenne confusione tra stato e religione, quandonon peggio tra stato e fondamentalismo religioso. Persino suRepubblica ci si poteva rallegrare che “il mondo è diventato piùpiccolo intorno all’occidente ritrovato”.33 Intanto la sinistra isti-tuzionale europea, pentitasi del proprio passato marxista, ritro-vava la propria essenza occidentale piangendo gli Usa vittimedell’intolleranza.

Togliere libertà per dare sicurezza

Il triste scenario in cui questa guerra infinita o quanto menoduratura ha legittimato uno stato di polizia globale, può esseredescritta come la globalizzazione delle zone rosse, un pro-cesso dove le garanzie dello stato di diritto sono state formal-mente e praticamente tolte, in particolare ai cittadini e alle citta-dine del Sud del mondo. Il senatore repubblicano Trent Lott,subito dopo l’11 settembre, aveva affermato che “in tempo diguerra è necessario considerare in maniera diversa le libertàcivili”. Infatti, nei primi mesi dopo l’attentato sono state incarce-rate oltre 1.000 persone. Per il Washington Post del 22 Otto-bre 2001, l’Fbi sarebbe stata sul punto di considerare per i pre-sunti complici di Bin Laden “l’uso di droghe o di mezzi di pres-sione” oppure l’estradizione “verso paesi alleati i cui servizi disicurezza impiegano abitualmente minacce contro le famiglieo fanno ricorso alla tortura”.34 Il dibattitto pubblico sulla legitti-mità della tortura nella lotta al terrorismo fu uno dei molti argo-menti dei talkshow. In realtà proprio in quei mesi fu messo apunto un piano segreto in cui la Cia era autorizzata a procede-re con questi mezzi illeciti considerati legittimi di fronte alla gra-vità dell’attacco contro gli Usa, anche se a livello mass-mediatico lo scandalo scoppierà solo con le foto delle torture inIrak nell’aprile 2004. Il tutto mentre i famigliari di Bin Laden, ilcolpevole ufficiale, erano stati autorizzati a lasciare gli Usa. Moltidegli arrestati sono rimasti in carcere senza potersi rivolgeread avvocati e senza sapere di cosa erano accusati; in tutti i

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casi non esistevano prove a loro carico. Minacciati e picchiatierano stati arrestati per il semplice fatto di essere pachistani ostranieri. La repressione indiscriminata ha colpito anche i set-tori politici più radicali del movimento anti-globalizzazione, comenel caso delle Women in Black. In Canada addirittura era statapresentata (e poi ritirata) una legge che avrebbe equiparato leazioni nonviolente dei manifestanti anti-G8 a quelle di azioniterroristiche con imputazioni pesantissime e condanne fino a8 anni. Negli Usa del resto l’Fbi ha una lunga storia di repres-sione dei gruppi politici americani, specialmente quelli non bian-chi: Black Panthers e indiani. In Italia, nel clima creatosi dopol’11 settembre, sono stati riesumati articoli del codice civile maiapplicati dopo il periodo fascista: i manifestanti imputati per ifatti di Genova sono stati accusati di devastazione e saccheg-gio, o persino di sovversione dell’ordine economico.

“Gli attacchi dell’11 settembre e la guerra in Afghanistan - scri-ve il Washington Post - hanno notevolmente accelerato la di-namica di rafforzamento dei poteri presidenziali ricercata dal-l’amministrazione Bush (...). Il presidente gode di un dominioche lo pone al di sopra di tutti i presidenti successivi alWatergate, sfidando addirittura la supremazia finora incontra-stata di Franklin D. Roosevelt”.35 Sono proprio i neoliberisti piùsprezzanti dello stato che poi ne rafforzano notevolmente il suopotere esecutivo, e in particolare il potere di fare la guerra.Teorizzando lo stato “minimo”, Ronald Reagan era stato il pre-sidente della più ampia espansione militare in tempo di pace ditutta la storia degli Usa.36 Il suo successore George Bush senoraveva portato avanti lo stesso programma di rimobilitazionedell’apparato di sicurezza nazionale nel contesto del dopoguerrafredda. Bush junior ha spinto la medesima logica alle estremeconseguenze.

La sottomissione volontaria delle due Camere del Congressoche hanno votato lo Us Patriot Act (26 ottobre 2001) le ha spo-gliate di gran parte delle proprie prerogative. I tempi con cuiviene approvato sono rapidissimi, i deputati non fanno nem-

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meno in tempo a leggere iltesto e c’è chi ragionevol-mente sospetta che il testofosse già pronto prima. Inogni caso è proprio in queigiorni che per accelerare ladecisione arrivano delle bu-ste contenenti l’antrace a deideputati democratici, forseper convicerli a votare più ra-pidamente; gli attentati all’antrace comunque scom-paiono dopo l’approvazionedella legge. Si scoprì solodopo che quel tipo di antracepoteva provenire ragionevol-mente solo da alcuni labo-ratori militari statunitensi,ma quella non fu una notizia

che i mass-media considerarono rilevante. In ogni caso il PatriotAct permette alla polizia di effettuare perquisizioni segrete esequestrare oggetti in case e uffici, anche a insaputa degli in-dagati e senza comunicazione giudiziaria; con lo stesso crite-rio sono controllabili linee telefoniche, internet e posta elettroni-ca.37 Fu il trionfo definitivo di Tolleranza zero e del sicuritarismoprecedentemente descritto.

Bush ha dotato l’esecutivo di poteri straordinari: la popolazionestatunitense ha ceduto volentieri le proprie libertà in cambiodella sensazione di maggior sicurezza. Le prime persone aperdere le libertà effettive infatti sono migranti e militanti politiciche si oppongono al governo e vogliono uscire dalla logica “ocon Bush o con i terroristi”. Con un decreto presidenziale - ilMilitary Order (del 13 Novembre 2001) - sono stati instauratitribunali militari speciali (rispondenti direttamente all’esecutivoe quindi diversi dai tribunali militari esistenti) che hanno per-messo l’arresto indiscriminato di oltre 1.000 persone all’indo-

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mani dell’11 settembre. Alcune di queste erano ancora in car-cere nei mesi e negli anni successivi, senza che si sapessechi fossero o quali fossero le accuse a loro carico. Né i detenu-ti né i loro famigliari hanno avuto accesso al materiale probatorioraccolto dall’accusa. Questi tribunali militari speciali, creatisenza consultare né il Congresso né la Corte suprema, sonoautorizzati a incarcerare, giudicare e giustiziare “terroristi” e“criminali di guerra” identificati come tali soltanto dal potereesecutivo, e in base a testimonianze o prove segrete. Sonosegreti anche luoghi, procedure, accuse, deliberazioni, sen-tenze e composizione di tali tribunali. Contrariamente alle pro-cedure dei tribunali militari comuni, gli imputati non avrannopossibilità di ricorrere in appello, neanche nei casi di condannaa morte.

Come ha sottolineato il New York Times, queste violazioni deiprincipi fondamentali dello stato di diritto - principi che in teoriasi applicano con criteri uniformi e universali a tutte coloro cherientrano nella sua giurisdizione - equivalgono a “costruire unsistema giudiziario parallelo”. Per i cittadini americani, per glistranieri, residenti o non residenti negli Usa, ci saranno i tribu-nali speciali. Insomma la legge non è uguale per tutti perché unpotere extra-giudiziario con criteri extra-giudiziari decide chi hadiritto e chi no ai normali tribunali. In altri termini, l’esecutivo hacreato una istituzione di non diritto nello stato di diritto. Chi faràla guerra, identificherà i colpevoli e somministrerà la giustiziaalle aliens.

Secondo Golub “l’esecutivo avrà ampliato notevolmente il suospazio d’intervento nella vita pubblica americana: sottraendodi fatto alla Corte suprema il suo ruolo di giudice di ultima istan-za e riducendo all’impotenza il Congresso, Bush infligge unduro colpo a quella separazione dei poteri che costituisce ilfondamento stesso della democrazia americana. Si tratta diuna deriva autoritaria senza precedenti nella storia recente degliUsa. Neppure al culmine della guerra fredda l’esecutivo ameri-cano aveva mai osato tanto”.38

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Molti intellettuali temono il ritorno al maccartismo, periodo buioper la democrazia americana, che accusò di comunismo mol-ti intellettuali e artisti (che di comunista non avevano nulla, comenel caso di due tra i più grandi registi cinematografici del 900,Chaplin e Wells costretti all’esilio). Nel dopoguerra gli Usa ave-vano infatti già incoraggiato e sostenuto la caccia alle streghe,la censura, le liste di proscrizione, la repressione violenta deimovimenti per i diritti civili, il segreto e le menzogne di stato, ipoteri esorbitanti dell’Fbi, le operazioni illegali in patria e all’estero.Eppure nessuna guerra aveva portato alla creazione di unagiustizia parallela controllata dalla presidenza e dall’apparatodi sicurezza nazionale. Secondo l’espressione di un editoriali-sta libertario di destra, abitualmente entusiasta sostenitore deirepubblicani, si tratta di una “presa di potere dittatoriale”. Con-statazione analoga in Chalmers Johnson, saggista e ricerca-tore critico, che parla di “un colpo di stato militare in embrione,forse irreversibile che, come già avvenuto nell’ex Ddr, trasfor-merà il paese in un covo di delatori, in cui saranno al sicurosoltanto i mormoni bianchi”.39 Lo stato di massima sicurezzadi Bush, così contrario alle tradizioni politiche americane, potràistituzionalizzarsi soltanto se la guerra continuerà a oltranza. Ilnuovo ordine imperiale non è amico della democrazia, avevaspiegato Brzezinski. Sostenendo che “il terrorismo ha sostitu-ito il comunismo come movente per militarizzare il paese”,Howard Zinn paragona il clima attuale a quello del maccartismopostbellico e cita il pastore Niemöller sul nazismo: “Prima ven-nero ad arrestare i comunisti, ma io non ero comunista e nondissi nulla. Poi vennero per i socialdemocratici, ma io non erosocialdemocratico e non feci nulla. Poi vennero per i sindaca-listi ma io non ero sindacalista. Poi vennero per gli ebrei ma ionon ero ebreo e feci pochissimo. E allora, quando vennero aprendere me non c’era più nessuno che si levasse a difender-mi”.40

Dall’11 settembre 2001, altre leggi e decreti sono stati varati ealtri disegni di legge discussi. L’opinione pubblica statunitensesta però lentamente prendendo coscienza della natura totalita-ria di queste leggi. Duecentocinquanta consigli comunali, tra

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cui quello di New York, Los Angeles, Philadelphia, chiedono larevisione e la momentanea non applicazione del Patriot Act. Aevocare il clima di colpo di stato sono sempre di più.

La zona rossa: terrorismo, il nuovo alibi planetario

Il concetto mass-mediatico e ideologico con cui si stanno ap-plicando tutte queste restrizioni delle libertà, che ricordano ilBig Brother di Orwell, è quello di “lotta al terrorismo”. Eppure ilterrorismo non è mai stato menzionato nel diritto internaziona-le perché è visto come un atto di guerra illecito, nella misura incui colpisce la popolazione civile: il terrorismo è quindi assimi-lato ai crimini di guerra che, in base ai principi del Tribunale diNorimberga, sono così definiti: “Violazioni delle leggi e consue-tudini di guerra, che comprendono, a titolo esemplificativo manon esclusivo, l’assassinio, il maltrattamento, la deportazionedella popolazione civile dei territori occupati per assoggettarlaai lavori forzati o per qualsiasi altro scopo; l’assassinio o ilmaltrattamento di prigionieri di guerra o di persone in mare;l’esecuzione di ostaggi; il saccheggio di beni pubblici o privati;gli atti perversi di distruzione di città o villaggi o le devastazioninon giustificate da esigenze militari”.41

La storia dell’anti-terrorismo è sempre stata comunque nelquadro del diritto penale classico, e la legge mirava a punire ea prevenire atti concreti: dirottamenti, sequestro di ostaggi, at-tentati dinamitardi. Mai compariva la parola terrorismo. Nel di-ritto internazionale il termine terrorismo compare invece in duetesti molto recenti: le Convenzioni internazionali per la repres-sione degli attentati terroristici mediante esplosivi (New York,15 dicembre 1997) e la Convenzione per la repressione delfinanziamento del terrorismo (New York, 9 dicembre 1999). Inquesti testi il termine non è ben chiarito. “La Convenzione sullarepressione del finanziamento del terrorismo ... considera comereato ... ‘ogni (...) atto destinato a causare la morte, o a infligge-re lesioni fisiche gravi, a qualsiasi civile, o ad altra persona chenon partecipi direttamente alle ostilità, in una situazione di con-flitto armato, quando, per la sua natura e il contesto in cui ha

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luogo, il suddetto atto sia volto a intimidire una popolazione,ovvero a costringere un governo o un’organizzazione interna-zionale a compiere, o ad astenersi dal compiere, un atto qual-siasi’.”Questa formula giustappone due concezioni diverse e contrad-dittorie: la prima insiste sui danni inflitti alla popolazione civile,in linea con i principi del tribunale di Norimberga, la seconda,pone l’accento sul sovvertimento dell’ordine politico.Così alle descrizioni di odiosi crimini, di cui lo Stato di dirittonon imputava lo scopo politico, si va sostituendo la finalità po-litica, introdotta per fondare una nuova categoria di reati. Que-sta vera e propria rivoluzione copernicana nel diritto ci portaperò sul terreno del reato politico, reato tipico di regimi e non didemocrazie.Il concetto di finalità politica ha le sue radici in una definizionepoliziesca del terrorismo, e precisamente in quella del Fbi: “Ilterrorismo consiste in un uso illecito della forza e della violen-za contro persone o beni, allo scopo di intimidire o di coartareun governo, la popolazione civile o una sua parte, nelperseguimento di obiettivi politici o sociali”. In questo modo ogni“azione anti-capitalistica che utilizzi metodi al limite della lega-lità, o magari anche illegali, ma senza alcun uso della violenza,sarebbe allora considerata un atto terroristico”. Il parere di JohnBrown sulla definizione del Fbi è preoccupante: “Se è vero cheelenca una serie di azioni, non le definisce però in manierachiara e inequivocabile, e per caratterizzarle come atti terrori-stici fa riferimento a un criterio interpretativo di triste memorianel campo del diritto penale: quello dell’analogia, e più concre-tamente, di un’analogia di intenti”. Definendo il terrorismo inbase alle intenzioni, “chiunque abbia la pretesa di sovvertirel’ordine costituito, e voglia ‘infliggere gravi danni o (...) distrug-gere strutture politiche, economiche e sociali di un paese’ conalcune azioni la cui definizione rimane imprecisa, è un terrori-sta. Quindi, secondo una logica prettamente poliziesca, l’ele-mento fondamentale di incriminazione nel reato di terrorismonon è l’atto, bensì l’intenzione; in altri termini, è il soggetto stes-so a essere considerato un individuo ‘pericoloso’”. 42

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In Italia, il caso più eclatante è stato il tentativo di incriminazioneda parte della Procura di Cosenza di alcuni manifestanti anti-G8 accusati di “compartecipazione psichica agli scontri esovvertimento dell’ordine economico”, accuse derivate da uncodice fascista (codice Rocco) e succesivamente cadute inseguito alle numerose proteste.L’Europa sta procedendo velocemente nell’unificazione dellesue forze di polizia (Europol), mentre l’armonizzazione del di-ritto sembra rincorrere tali disposizioni.43 Questo ovviamentedesta preoccupazioni. Il termine terrorismo è stato storicamenteusato dalle destre di tutto il mondo per combattere le lotte deimovimenti sociali. Così in Turchia, così in Argentina e Cile, cosìin Nicaragua: sempre le dittature si sono legittimate con la re-pressione dei movimenti di liberazione che è stata presentatacome una lotta al terrorismo. Non deve quindi sorprenderci chedopo l’11 settembre la Cia abbia consegnato una lista delleassociazioni terroriste del pianeta includendovi sia organizza-zioni criminali, sia movimenti di liberazione (Farc, Pkk, Eln, ...).44

Lista con il tempo fatta propria anche dall’Unione Europea.Quello che preoccupa è, ancora una volta, come le idee del-l’estrema destra americana siano diventate luogo comune, eche gli autori dei peggiori piani terroristici (i sequestri clandesti-ni, le torture e le desapariciones) possano oggi proclamarsi iprecursori della lotta al terrorismo, che fu appunto lo slogancon cui i militari fermarono le mobilitazioni sociali nel Cile diAllende e in molte parti dell’America Latina.In questo senso le responsabilità del nuovo uso del termineterrorismo sono da addebitare molto ai mass-media. Eppuregiova segnalare che la Reuter si è attirata delle critiche proprioper essersi rifiutata di usare il termine terrorista come partedella sua politica di informazione che “eviti l’uso di parole emo-tivamente contrastanti”. I dirigenti spiegavano il 2 ottobre 2002:“la nostra politica è di evitare l’uso di termini emotivi e di nonesprimere giudizi di valore riguardo a fatti che cerchiamo diriportare in maniera accurata”. In un memo a uso interno sispecifica: “il terrorista di qualcuno è il combattente per la liber-tà di qualcun altro”. La Reuter ha corrispondenti in 160 paesi e

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non può accettare tutte le pressione governative che ogni go-verno fa per classificare i propri nemici come terroristi.45 Delresto se con terrorista si intendesse chiunque compia azionicontro dei civili - in linea appunto con le disposizioni di Ginevrae Norimberga che lo assimilavano ai crimini di guerra - moltieserciti regolari potrebbero essere classificati alla stessa stre-gua, a partire da quello statunitense.

Le zone rosse nei Sud del mondo

Le norme anti-terrorismo si sono diffuse dopo l’11 settembre intutto globo e hanno molto spesso significato un aumento dipotere per i militari specialmente in tanti paesi dove si sta spe-rimentando un faticoso ritorno alla democrazia dopo anni didittature dovute alla guerra fredda. In questi paesi pur essen-doci formalmente la democrazia, i militari hanno conservatoun grande potere, che stava per essere loro faticosamente elentamente tolto. Questo lavoro è stato vanificato.Paradigmatico in questo senso è il caso indonesiano. In Indo-nesia, dopo l’attentato a Bali, il rischio di un ritorno dei militari,che hanno regnato dopo il più sanguinoso colpo di Stato deldopoguerra (appoggiato dalla Cia) che costò la vita a quasi un

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milione di attiviste socialiste, comuniste, anarchiche è moltoforte. Di fatto i militari non hanno mai completamente rinuncia-to al controllo, specialmente a quello municipale, e ora si rifan-no avanti.46 I militari qui portano avanti progetti per conto dimultinazionali e giocano un ruolo fondamentale nell’aprire ole-odotti: sono essenziali per lo smantellamento delle popolazioniresistenti a tali progetti e il reclutamente forzato per la mano-dopera che deve costruirli. Gli abitanti si riferiscono ai militaricome “l’esercito Exxon”.47

In Africa siamo in un’era di conquista delle risorse strategicheche sta seminando le peggiori guerre del pianeta nel totale si-lenzio dei media occidentali; i media che raramente parlano diquesti conflitti alludono razzisticamente ai “soliti conflitti etnicie religiosi”. Le politiche di sicurezza elaborate da Washingtonvengono ora volentieri applicate dai governi dispotici africaniper far piacere agli Stati uniti e ricevere aiuti economici: “le dit-tature africane pretendono di scoprire delle cellule di Al-Qaedadopo aver benladenizzato (ben ladenisé) i ribelli locali e sfug-gendo così alle critiche delle organizzazioni di petizione dei di-ritti umani”.48 Ci sono inoltre molti buoni motivi per credere chele collaborazioni tecniche offerte dagli Usa in Africa per com-battere il terrorismo rientrino in una strategia geostrategica dicontrollo dei territori africani per togliere l’egemonia colonialesoprattutto francese della zona: con il pretesto della “guerracontro il terrorismo” gli Usa, consapevoli della loro dipendenzanel campo delle materie prime strategiche, hanno moltiplicatogli accordi politici e militari con un gran numero di paesi africa-ni per “rendere sicuri” i rifornimenti.49

I conflitti sono aumentati in tutta l’America Latina, a partire dallaColombia, dove la Us Army già sta intervenendo con corpi spe-ciali, oltre al supporto tecnico e agli addestramenti. In Europa,tra le organizzazioni terroristiche la Cia voleva inizialmente met-tere anche l’Ira irlandese. Ai margini della Eu, il Pkk kurdo ènella lista nera con tutte le conseguenze per un popolo chenon riesce a vedere la possibilità della fine del dominio razzi-sta.Per non parlare infine delle ripercussioni sul conflitto

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palestinese, dove finalmente Israele ha trovato un nome per gliabitanti originari della Palestina: terroristi. La vita per questopopolo dopo l’11 settembre si è terribilmente complicata e tuttosi misura con coprifuochi imprevedibili. Il termine “terrorismo”sta servendo a condurre un’estrema guerra di liquidazione fi-nale con la costruzione di un muro della vergogna in cui si vo-gliono rinchiudere i palestinesi ancora vivi; con la scusa delterrorismo si stanno spianando le case. Una guerra che non fapiù distinzioni razziste e ha ammazzato anche i militanti deicorpi di interposizione pacifica. Infine persino le organizzazioniper i diritti umani - come Human Rights Watch e AmnestyInternational - hanno subito attacchi e sono state accusate difiancheggiare i terroristi.Il quadro delle conseguenze delle misure anti-terrorismo nelmondo andrebbe maggiormente articolato e sinceramente nonsappiamo se tale lavoro sia stato fatto, ma qui ci limitiamo asegnalarne solo il pericolo. In questo senso condividiamo lapreoccupazione di Samir Amin50 e di molti e molte attivistespecialmente del Sud del mondo, che alla luce delle conse-guenze di queste misure sui movimenti di liberazione hannovisto l’attentato dell’11 settembre come un colpo inferto ai mo-vimenti di resistenza. Del resto, come riportato in un documen-tario presentato a Cannes nella primavera 2003, sono gli stes-si generali responsabili del Piano Condor a dichiarare senzamezzi termini di essere fieri di aver anticipato le strategie anti-terrorismo ora legalizzate.51

Se questo è il quadro di ciò che legalmente si muove graziealle leggi speciali globali, il quadro dei tentativi al limite dellalegalità, quando non completamente illegali, di ribaltare governidemocratici è ancora più allarmante. Anche qui il ruolo dei mediaè nevralgico, al punto che la nuova strategia può essere giu-stamente definita come golpe mediatico. Il Ned, NationalEndowment for Democracy è lo strumento con cui gli Usa for-niscono soldi e sostegno ai propri alleati nel mondo, facendoapertamente quel che la Cia faceva segretamente: iniziative di“politica estera” a tutto campo, dal Nicaragua alla Mongolia,dall’Albania al Portogallo. Ultima missione fallita è stata la rivol-

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ta contro Chavez in Venezuela. E’ un “mondo nuovo con colpidi stato senza spie”, rivelò il Washington Post nel 1991 riferen-dosi alla nascita di “programmi per la democrazia” statuniten-si.52

La zona rossa afghana, ovvero i crimini di guerradella giustizia infinita

In Afghanistan, a tre anni di distanza dal suo intervento,Washington non è in grado di riportare stabilità. I signori dellaguerra combattono tra loro e si contendono un paese devasta-to da 30 anni di guerre, in cui i potenti usano il fondamentalismocome strumento di dominio politico. Un reportage di JamiteDorian,53 aveva già messo a nudo delle sconcertanti verità: leconvenzioni di Ginevra sono state violate e sono stati compiutimassacri inauditi. Circa 5.000 prigionieri sono morti in circo-stanze spaventose, alcuni per asfissia, altri vittime di esecu-zioni sommarie. Tutto questo (come l’esistenza di una rete dicentri modello Guantanamo nel mondo e la legalizzazione del-la tortura) era ben noto e prima che esplodessero gli scandalisulle torture in Irak. Tutto questo era stato legittimato dai verticimilitari Usa in nome della lotta al terrorismo proprio subito dopol’11 settembre. Nel 2004, finalmente, Croce Rossa, AmnestyInternational e Human Rights Watch sostengono apertamenteche la lotta al terrorismo condotta dagli Usa sta contribuendo acalpestare i diritti umani nel mondo.In Afghanistan aveva raccontato il reporter: “Mentre già si stavadiscutendo l’accordo intervenne il segretario alla difesa ameri-cano, Donald Rumsfeld. Lo preoccupava l’idea che la fine ne-goziata dell’assedio potesse consentire ai combattenti stranieridi andarsene liberamente... È stata più volte citata un’altra suafrase, pronunciata poco dopo: ‘Mi auguro che siano uccisi ocatturati. Si tratta di persone che hanno commesso azioni ter-rificanti’ ”.54

Il 21 novembre 2001 si arrivò a un accordo tra le varie fazioni inguerra: tutte le forze Taliban si sarebbero arrese all’Alleanzadel Nord alla promessa di avere salva la vita. Circa 470 Taliban

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provenienti da altri paesi sarebbero stati portati a Kalai Janghie rinchiusi nei tunnel sotterranei della fortezza. Dopo il 25 no-vembre 2001 scoppia una rivolta: alcuni Taliban colgono di sor-presa le guardie, si impossessano delle loro armi e aprono ilfuoco, uccidendo nel giro di pochi minuti un agente della Cia euna trentina di soldati dell’Alleanza del Nord. Questi eventi diKalai Janghi monopolizzano l’attenzione dei giornalisti occiden-tali, richiamati in massa dalla resa di Kunduz, di cui non si par-la più. La loro fine lascerà sui militari americani un’ombra chenon potrà scomparire mai più.Il reporter ha raccolto molte testimonianze tra cui quella di AmirJhan, che aveva preso parte ai negoziati per la resa dei Taleban:“Li avevo contati uno per uno: erano in 8.000. Ne rimanevano3.015. Ma tra questi 3.015 c’erano anche molti pashtun locali,di Kunduz o delle città vicine, non compresi nel conto dei pri-gionieri che si erano consegnati. E gli altri, che fine avevanofatto?” Secondo l’autore del reportage “la risposta a questa do-manda si trova, almeno in parte, in una fossa comune sottouna duna lunga cinquanta metri, nel deserto di Dasht Leili”.Mancano più di 5.000 uomini: qualcuno potrebbe essere riu-scito a fuggire, qualche altro potrebbe aver comprato la libertà,molti sono stati forse venduti ai servizi di sicurezza dei rispet-tivi paesi, per subire un destino forse peggiore della morte.Tuttavia in maggioranza quei prigionieri, secondo vari testimo-ni oculari sarebbero stati uccisi. Nella ricostruzione, documen-tata da moltissime interviste, ecco la versione: “ufficialmentesi trattava di trasferire i prigionieri al carcere di Shiberghan,dove sarebbero stati detenuti in attesa di essere interrogati dagliesperti americani, che dovevano selezionare quelli da trasferi-re a Guantanamo. A Kalai Zeini, i prigionieri ricevono l’ordine disedersi per terra in un vasto campo recintato. Poco dopo arri-va un convoglio di camion carichi di container metallici. I prigio-nieri sono costretti ad avanzare in fila indiana per andare a sti-parsi nei container”. Secondo un ufficiale dell’Alleanza del Nord:“Noi eravamo responsabili della consegna dei prigionieri, e peril tratto da Zeini a Shiberghan abbiamo caricato 25 container. Inciascuno ne abbiamo fatti entrare circa 200”. Schiacciati nei

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container senza aria, nel buio pesto e a una temperatura dioltre 30°, i Taliban gridavano e imploravano: le guardie hannocosì sparato sulle pareti di qualche container e alcuni di lorosono morti. Quando infine furono aperti, dopo 5 giorni, di loronon rimaneva altro che un ammasso di corpi in decomposizio-ne, urina, feci, vomito e sangue. Alcuni erano ancora vivi, feritio svenuti. Li hanno portati nella fossa, gli hanno legato le manie gli hanno sparato. I principali testimoni sono i camionisti chefurono costretti al lavoro sporco.Gli americani hanno dato ordine a quelli del carcere diShiberghan di trasferire i prigionieri lontano per evitare che ve-nissero filmati dal satellite. Secondo il reporter: “Questa accu-sa di coinvolgimento americano sarà cruciale per ogni inchie-sta futura. Il diritto internazionale in materia - come del resto leleggi nazionali e le leggi diguerra - riposa in largamisura sull’accertamentodella catena gerarchicadegli ordini che hanno por-tato a commettere il crimi-ne. In altri termini, si trat-terà di sapere chi fossealla testa dei responsabilidi quanto è accaduto aShiberghan”.Gli ufficiali americani pre-senti dovrebbero esserestati una quarantina. De-gli americani (corpi sceltisi ricordi, forze molto spe-ciali), un generale dell’Al-leanza del Nord, ha dichia-rato: “Li ho visti con i mieiocchi colpirli a pugnalatenelle gambe, tagliargli labarba e i capelli, mozzar-gli la lingua. A volte pare-

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va che lo facessero solo per divertirsi. Portavano fuori un pri-gioniero, lo pestavano a volontà e poi lo ributtavano in cella. Maa volte non li riportavano dentro. A volte i prigionieri scompari-vano”.Tutte le persone intervistate nel film si sono dichiarate disponi-bili a deporre davanti a qualsiasi istanza internazionale e que-sto permette all’autore di concludere: “Se è vero che militariamericani erano effettivamente coinvolti, o sono stati anzi al-l’origine della catena di comando che ha portato all’ordine dieliminare questi prigionieri, come affermano numerose testi-monianze, o se hanno assistito senza intervenire all’esecuzio-ne sommaria di centinaia di uomini, devono rispondere di cri-mini di guerra... Chi è innocente non dovrebbe temere che laverità venga a galla”.55

Questi terribili crimini, benché poco conosciuti, descrivono benecome lo scandalo delle torture in Irak non sia che un pezzo diun nuovo terribile mosaico del terrore. Il problema è che le for-ze di occupazione statunitensi hanno fatto dell’Afghanistanun’ennesima zona rossa militare dove ogni libertà può esseresospesa dall’esercito. Una zona rossa dove non sono assicu-rati nemmeno alcuni diritti delle leggi marziali (finto avvocato econoscenza dell’accusa) e dove il governo militare è direttocontro la popolazione civile.

La zona rossa del modello Guantanamo

A Guantanamo arrivano i pochi sopravvisuti dall’Afghanistan.Guantanamo fa parte di una rete segreta di centri di detenzio-ne, che è anche una rete di tortura. Questo era noto già datempo, almeno da quando, all’inizio del mese di marzo 2003, ilgoverno degli Stati Uniti ha ammesso pubblicamente che duecittadini afghani prigionieri nella base di Bagram situata a 35miglia a Nord di Kabul sono deceduti dopo essere stati tortura-ti.56 La situazione giuridica dei prigionieri catturati in Afghanistandalle truppe statunitensi è stata al centro di un dibattito nato innome della lotta al terrorismo. Secondo il governo Usa i dete-

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nuti trasferiti nella base militare di Guantanamo, sull’isola diCuba, sono “combattenti illegali che non hanno nessun dirittonell’ambito della Convenzione di Ginevra”.57

Eppure non ci sono dubbi sul fatto che la Convenzione di Gine-vra del 27 luglio 1929, rivista nel 1949, relativa al trattamento acui sono sottoposti i prigionieri di guerra, dovrebbe essere ap-plicata ai detenuti di Guantanamo. La Convenzione - sottoscrittadagli Usa - è valida “in caso di guerra dichiarata o in qualunqueconflitto armato insorto tra due o più parti contraenti, anche selo stato di guerra non è stato riconosciuto da una di esse”. Laparola “guerra” è stata esplicitamente sostituita dall’espressio-ne “conflitto armato” espressione più generale applicabile quindiall’intervento degli Usa in Afghanistan. Gli Usa hanno intrapre-so un’azione armata contro l’autorità di fatto in Afghanistan, equindi la Convenzione deve essere applicata, qualunque sia ladurata del conflitto, il suo carattere più o meno sanguinoso,l’importanza delle forze sul campo e la loro posizione giuridica.La Convenzione concerne infatti “i membri delle forze armatedi una parte in conflitto, come i membri delle milizie e dei corpidi volontari che facciano parte di queste forze armate” catturatida uno dei belligeranti.Questa ampia terminologia è stata scelta per evitare le ambi-guità dovute alla diversa provenienza culturale e politica deicombattenti. La definizione di “terroristi” e di “combattente ille-gale” sono estranee al diritto internazionale e al diritto penale,nonché alla Convenzione di Ginevra. Per quest’ultima il princi-pio è quello della presunzione che ogni individuo preso in unconflitto è prigioniero di guerra.Secondo la Convenzione di Ginevra, “i prigionieri di guerra de-vono essere sempre trattati con umanità”, e “devono ancheessere sempre protetti, in particolare contro qualsiasi atto diviolenza o di intimidazione, contro gli insulti e la curiosità pub-blica” (art. 13). I trasferimenti sono sottoposti a eguali condi-zioni: “il trasferimento dei prigionieri di guerra si effettuerà sem-pre con umanità e in condizioni che non dovranno essere menofavorevoli di quelle di cui godono nei loro spostamenti le truppedella Potenza detentrice” (art. 46). I prigionieri di guerra sono

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soltanto tenuti a declinare il loro nome,grado e reparto militare. A Guantanamoregnano invece arbitrio e confusione, incui è permesso alle autorità statuniten-si di interrogare i prigionieri senza ri-spettare nessuna regola. Secondo laConvenzione di Ginevra, i prigionierihanno diritto a un processo giusto e le-ale, alla difesa e alla possibilità di fareappello.58 Lo stesso Dipartimento dellaDifesa ha diffuso le immagini di prigio-nieri incatenati e inginocchiati, la boccae gli occhi coperti. In celle di 2.16 metri

quadrati, alte 2.16, cioè assolutamente più piccole di quantoindichino le norme internazionali.Tale palese ostentazione ci permette di parlare di modelloGuantanamo come di una zona rossa tipica dellaglobalizzazione armata. In effetti per quanto queste misure nonsiano entrate nella pratica la prima volta con Guantanamo, que-sta è la prima volta che uno Stato cerca di difendere legalmen-te tale modello. Un modello che segna proprio il trattamentonormale e non esclusivo dei prigionieri di guerra nell’epoca dellaterza guerra mondiale, caratterizzata dalla normalizzazione edall’uso massiccio delle tecniche militari tipiche della lotta allacontroinsurrezione.59

Di questo modello, la cui eccezionalità risiede nella tentatavestizione giuridica, seppur imbarazzata e contradditoria, vo-gliamo esaminare alcuni tratti distintivi attraverso l’analisi diJudith Butler. Con Guantanamo si è prodotta una “riduzione diesseri umani allo stato animale, quello in cui ci si rappresental’animale fuori controllo, ed è necessario privarlo completamen-te della libertà (...) Il modo di trattare questi prigionieri è consi-derato un’estensione della guerra stessa, non un problemapostbellico che attiene a processi e pene appropriati”.60

La contraddizione del Dipartimento di Stato Usa risiede nel ri-vendicare di agire in coerenza con lo spirito della Convenzione

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ma di respingere l’accordo in quanto anacronistico. L’obiettivodella Convenzione “era stabilire cosa qualifica come umano iltrattamento dei prigionieri di guerra. In altre parole si cercava distabilire un significato universale dell’espressione ‘trattamentoumano’ e di accordarsi su quali dovessero essere le condizio-ni da soddisfare prima di affermare che veniva offerto un tratta-mento umano”. E’ quindi strumentale e aleatorio che gli Usadichiarino di agire “compatibilmente con l’accordo”, o “nellospirito dell’accordo”. Gli Usa hanno firmato un trattato e do-vrebbero considerarsi vincolati a esso.Guantanamo segna un luogo di ripensamento dell’umano dovealcuni individui sono dichiarati indegni dei diritti fondamentali:“uno sforzo di mettere in piedi un sistema giudiziario seconda-rio e una sfera di detenzione non legale, che di fatto fa dellaprigione stessa una sfera extra-legale mantenuta dal potereextra-giudiziario dello stato”.61

E’ il potere politico che autonomamente decide lo status di es-seri non umani, con la conseguente perdita del diritto a dellegaranzie minime. La decisione se qualcuno può fare a meno diun processo ed essere sottoposto alla detenzione indefinitaavviene per vie extra-legali, senza la necessità di esibire provee sulla base di riscontri che non erano mai stati ritenuti suffi-cienti dalle norme dello stato di diritto, quali le affermazioni noncomprovate, i sentiti dire e le affermazioni estorte sotto tortura.Il modello Guantanamo è un modello praticato nella guerra con-tro-insurrezionale. Nella maggior parte dei casi si trattava diprocedimenti clandestini ed extra legali persino in stati come ilCile di Pinochet e l’Argentina di Videla. Eppure questo modellova compreso nel quadro della moderna arte di governo dove ilcampo di concentramento “come puro, assoluto e insuperatospazio biopolitico apparirà come il paradigma nascosto dellospazio politico della modernità”.62 Gli storici disquisiscono se icampi di concentramento abbiano la loro origine storica neicampos de concentraciones creati dagli spagnoli a Cuba nel1896 per reprimere l’insurrezione cubana, o nei concentrationcamps in cui gli inglesi ammassarono i boeri. Agamben notainvece che è comunque nel contesto delle guerre coloniali e

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nel contesto del diritto dello stato di eccezione che il campo diconcentramento ha la sua origine. Questo carattere è ancorapiù evidente nei lager nazisti. Non era infatti per norme di dirittocomune ma per la Schutzhaft (custodia protettiva) che si en-trava nei lager. Norma che risale alla legge prussiana del 1851,estesa nel 1871 a tutta la Germania. E’ sulla base di questalegge che già dopo la prima guerra mondiale furono internatimigliaia di comunisti. Sempre nel 1923 fu creato un campo peri profughi ebrei orientali: Konzentrazionslager für Ausländer(campo di concetramento per stranieri).

E’ quindi nel contesto socialdemocratico della Germania deglianni Venti che non solo si creano i primi lager effettivi, ma sene codificano gli aspetti legali. L’articolo 48 della costituzione diWeimar recitava infatti: “Il presidente del Reich può, quando lasicurezza pubblica e l’ordine siano gravemente disturbati eminacciati, prendere le decisioni necessarie per il ristabilimen-to della sicurezza pubblica, in caso di bisogno con l’ausilio del-le forze armate. A questo scopo può provvisoriamente sospen-dere i diritti fondamentali contenuti negli articoli, (...)”.63

Il regime nazista teorizzò più tardi “lo stato di eccezione volu-to”, e qualche critico parlò ben a proposito di una sospensionedurata 12 anni. E’ interessante notare come la teoria dello spa-zio giuridico del campo sia tutta prenazista e di come si ap-poggiasse su categorie oggi molto in voga nel dibattito control’emergenza anti-terrorismo, quali “sicurezza”, “libertà”, “so-spensione momentanea dei diritti fondamentali”. Lo stato dieccezione, ovvero la sospensione dell’ordine giuridico, lungidall’essere una misura provvisoria e straordinaria sta diven-tando come nei periodi di possibile guerra civile una misuranormale di governo, anzi come il “paradigma di governo domi-nante nella politica contemporanea”, di cui Agamben ricostrui-sce i numerosi precedenti storici sia moderni sia classici.64

Agamben prosegue la ricerca di Foucault sulle istituzioni totalidel Novecento, riprendendo alcune analisi incompiute di Arendtsul rifugiato. Infatti “il rifugiato, che avrebbe dovuto incarnareper eccellenza l’uomo dei diritti, segna invece la crisi radicale

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di questo concetto”.65 La concezione dei diritti dell’uomo fumessa in crisi proprio dove si trovarono degli esseri umani cheavevano perduto ogni loro qualità tranne il loro essere umani.In realtà l’ambiguità è ascritta fin dall’inizio nella Dichiarazionedei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Per godere di dirittieffettivi occorre essere cittadini e non semplici esseri umani.Fa notare sempre Agamben che i nazisti per poter internarenei loro campi gli ebrei fino alla fase della soluzione finale ope-rassero il meccanismo giuridico della denazionalizzazione.Questo procedimento iniziò a diffondersi dopo la prima guerramondiale, periodo in cui venne introdotto il passaporto. Finoall’inizio dell’Ottocento ogni stato aveva tutto l’interesse ad au-mentare il numero dei suoi sudditi. La Francia nel 1915denazionalizzò i cittadini di origine nemica. Nel 1922 il Belgiodenazionalizzò chi aveva commesso atti antinazionali. I fasci-sti in Italia nel 1926 denazionalizzarono i cittadini “indegni dellacittadinanza italiana”. E’ in questo processo che Agamben in-serisce le leggi razziali di Norimberga che dividevano i cittadiniin due fasce. Analogamente oggi la distinzione tra alien e nonalien - in origine razzista e incostituzionale - proprio perchépolitica, è perennemente labile.

La zona rossa irakena

Un interessante articolo di Le Monde Diplomatique descrivel’Irak come l’Eldorado perduto. In effetti il paese devastato dal-l’occupazione statunitense appare ai feroci neoliberisti comela più ghiotta opportunità per costruire una zona di libero mer-cato. “Un sogno capitalistico” scriveva The Economist (25 set-tembre 2003). E in effetti “il sistema economico iracheno erastato trasformato: alle imposte si era fissato un tetto massimodel 15%, le tasse sulle importazioni scomparivano (sostituitesolo da una maggiorazione del 5% per la ricostruzione), il si-stema finanziario e monetario appariva rivoluzionato: circa 200imprese pubbliche dovevano essere privatizzate”.66

Gli investitori stranieri non hanno bisogno né di autorizzazioni,

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né di partners locali, né devono reinvestire gli utili. Le misureeconomiche decise dagli occupanti sono di un liberismo piùsfrenato delle leggi degli Stati uniti. Contrariamente alle Con-venzioni dell’Aja e di Ginevra, per le quali una potenza occu-pante non ha il diritto di procedere a questo tipo di riforme, letruppe statunitensi non hanno assicurato l’ordine e hanno ga-rantito invece le modifiche degli ordinamenti economici.67

Concretamente le leggi del libero mercato legittimano solo ilsaccheggio dei più forti. Sotto le pressioni della Casa Bianca èstato infatti soppresso un emendamento che prevedeva seve-re sanzioni in caso di frodi nei pubblici appalti. Paul Wolfowitzha ribadito che alcuni paesi - tra cui Francia, Germania, Rus-sia e Canada - sarebbero stati esclusi dai principali contrattiper la ricostruzione. Da qui le contrapposizioni in sede Onu ela minaccia di ricorrere al Wto. Del resto Colin Powell avevaavvertito che chi avrebbe preso posizione contro la guerra “neavrebbe subito le conseguenze”.Uno dei fatti più sconcertanti è che in realtà il bottino è acca-parrato da una manciata di imprese americane vicine all’am-ministrazione Bush, che negli ultimi anni hanno versato oltre500.000 dollari in favore delle compagne elettorali di GeorgeW. Bush. Imprese che avevano già operato in Irak nonostantel’embargo.68

Il 22 maggio 2003 Bush ha firmato il decreto n. 13.303, cheprotegge tutta l’industria petrolifera da “qualsiasi sentenza, giu-dizio, decreto, procedura o ordinanza di confisca, trattenuta oqualsivoglia altra misura giudiziaria”. Come ha constatato TomDevine, direttore legale del Government Accountability Project,“in questo modo l’industria petrolifera è stata posta al di sopradelle leggi americane e di quelle internazionali”.69

Un eldorado da sognare ma che nella realtà ha difficoltà a rea-lizzarsi: insomma delle leggi di libero mercato che si tirano eaggiustano come fanno comodo a chi ha le armi.Un unico problema: in Irak oltre il petrolio esiste il popolo irakeno,che soffre l’inflazione, il razionamento, la penuria di petrolio esoprattutto la disoccupazione, il caos, la sicurezza (quella vera).Un popolo che soffre da 14 anni una guerra-embargo.

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Per applicare la libera eco-nomia ci vuole una intelli-genza bellica. Inizia qui laseconda parte della vicen-da, quella meno nota anco-ra, che ci conduce nel cuo-re della zona rossa.Le biografie di due perso-naggi chiave danno da solegli elementi dell’attuale pia-no di occupazione statuni-tense, un piano economi-co che ha bisogno di unpiano anti-insurrezione.

Il primo criminaleriesumato dalle truppe oc-cupanti è primo ministrodel “governo” provvisorioirakeno: “Allawi viene ricordato dai compagni d’università comeun bravaccio. Dominava con arroganza i corridoi, pistola infila-ta nella cintura. Si dichiarava rappresentante degli studenti dimedicina per incarico del partito Baath. Pochi ricordano di averlovisto dare esami anche se, misteriosamente, si laurea giova-nissimo, non all’università di Baghdad: in un altro posto nonbene identificato. Subito il governo lo manda a Londra con bor-sa di studio dell’Organizzazione mondiale della sanità. Devespecializzarsi in qualcosa, ma il vero impegno è tener d’occhiogli studenti ribelli delle grandi famiglie irachene: brontolano etramano in Europa. Allawi li segnala. Vengono arrestati appenatornano a casa in vacanza. Vocazione precoce”.70 E oggi: “IlNew York Times della scorsa settimana racconta della visitadell’Allawi nelle carceri segrete dove sono chiusi politici sospettidel partito di Saddam. Allawi si infuria quando i detenuti non glimostrano rispetto. Due volte tira fuori la pistola, spara, uccide.Sbalordisce l’ufficiale americano che lo accompagna”.71

Negroponte, ambasciatore statunitense nel territorio occupato

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ha migliorato le tattiche anti-guerriglia statunitensi sui miglioricampi di battaglia. Cresce come giovane d’ambasciata nelVietnam in guerra dove parla correntemente il vietnamita:Kissinger lo invita ai colloqui di pace a Parigi ma poi litiganoperché Kissinger era troppo moderato. Bush padre, per que-sto, lo vuole consigliere di sicurezza assieme a Colin Powell(amico di Allawi). Il periodo d’oro inizia nel 1981 in Honduras,con l’Iran Gate. Sostiene i contras in Nicaragua e la guerracontro la resistenza salvadoregna. Il timore di Washington -spiega Chomsky- “era che in Nicaragua sarebbe potuto na-scere una seconda Cuba. In Honduras, l’incarico del proconsoleNegroponte era di sovrintendere le basi dove un esercito diterroristi mercenari, i contras, era addestrato, armato e inviatoa sconfiggere i sandinisti. Nel 1984, il Nicaragua rispose in modocorretto, come uno Stato rispettoso della legge: portò il casocontro gli Stati uniti alla Corte internazionale di giustizia, a LaHaya”.72 La corte ordinò agli Stati uniti di smettere con “l’usoillegale della forza” (terrorismo internazionale) contro ilNicaragua e di pagare sostanziali risarcimenti. Amnesty lo de-nunciò. Il Senato lo mise sotto inchiesta. Bush lo mise al postogiusto, in Irak.

In un recente articolo Pino Cacucci, per cercare di capire cosasia successo alle due giovani Simone rapite in Irak ci ricordache Negroponte era specializzato nella direzione di alcuni cri-mini: fare uccidere dagli stessi guerriglieri i propri compagnifacendoli credere spie. Ricorda l’omicidio di Dalton, il più gran-de poeta e scrittore salvadoregno appena entrato nella guerri-glia: “Paco Taibo II ha dedicato un capitolo del suo magistrale Aquattro mani alla trama che portò all’assassinio di Roque Dalton,ricostruendo il paziente lavoro portato a termine da un agentestatunitense specializzato nello ‘Shit Department’, una sezio-ne addetta a ‘spargere merda’... Roque Dalton era stato ucci-so perché sospettato di essere un informatore della Cia, ucci-so da ottusi guerriglieri che avevano ricevuto gli indizi, senzaesserne coscienti, da una sezione apposita della Cia. E così,come scrive Paco Taibo II, ‘la guerriglia salvadoregna si scisse

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e la sinistra perse il suo più lucido militante’”.73

Da quando arriva Negroponte in Irak la guerriglia fa quello che imedia hanno chiamato un “salto di qualità”: spariscono repor-ter indipendenti, spariscono operatori di Ong indipendenti e con-tro l’occupazione, la popolazione civile delle aree calde non hapiù né acqua, né luce, né ospedali.

Riportando alcuni articoli di media mainstream, Patrick Boylanprecisa: “Molti elementi inducono a pensare, infatti, che non sitratti dei cosiddetti ‘fanatici islamici’ bensì degli ‘squadroni dellamorte’ che, secondo The Guardian (9.12.03), da mesi la Ciasta allenando in Israele. (...) Pesanti ombre si allungano sulladomanda di chi stia dietro e per conto di chi agisca il sedicente‘esercito islamico’, quello che ha ucciso Enzo Baldoni e cheha rapito prima i due giornalisti francesi ed ora (lo stile è identi-co) le due coraggiose operatrici di pace italiane”.74

Allawi potrebbe apprestarsi a usare gli squadroni della morteper eliminare fisicamente l’opposizione in vista delle elezioni.E’ meglio che non ci siano testimoni oculari del regno di terroreche sta per iniziare. “Non ci devono essere pacifisti ficcanaso,giornalisti non allineati, Ong incontrollate, gente che potrebbescattare delle foto. Quindi occorre spaventarli, allontanarli, comeha fatto il primo Saddam e come hanno fatto i dittatorilatinoamericani portati al potere dalla Cia”.75

L’ospedale italiano di Baghdad ha ricevuto dall’ufficio di Moqtadaal Sadr un invito speciale al commissario straordinario dellaCroce rossa italiana (Cri) per inviare aiuti nella città santa diNajaf. Dopo diverse negoziazioni, parte Enzo Baldoni con unaspedizione che era autorizzata dalla Cri anche se la versioneufficiale lo ha ufficialmente negato. Lo rivela Diario pubblicandola versione segreta del capo-missione della Cri poi censuratanella versione agli atti della magistratura. Tra gli altri compitiquesta delegazione avrebbe dovuto prendere una lettera in cuisi chiedeva al papa di intervenire per una mediazione. Nella

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ricostruzione da inchiesta vecchio stile, Massimiliano Boschi,dice che in agosto persino Berlusconi vedeva di buon occhiol’iniziativa. La spedizione viene però attaccata all’andata, fer-mata a cento metri dalla moschea dalle truppe statunitensi einfine attaccata al ritorno dove viene rapito Baldoni, che poi saràgiustiziato. Le altre due organizzazioni che stavano aiutando lapopolazione di Najaf sotto assedio riceveranno trattamenti ana-loghi: la Mezzaluna rossa viene attaccata e tre suoi convoglibruciati, Un ponte per…, attiva per portare acqua a Najaf, rice-verà un razzo di avvertimento vicino alla sede. Poi il rapimentodelle due Simone.76

Allawi e, dietro le quinte, Negroponte non si auguravano forsel’allontanamento dal paese di Ong e giornalisti non embedded?Se fosse vera la notizia di una lista che comprendeva le Simonerapite, questo non sarebbe che la prova di un piano manovratodirettamente dal “governo” irakeno con regia terroristica dimatrice statunitense. Boylan conclude infatti: “Si comprendeperché i guerriglieri iracheni indipendentisti non vogliano de-porre le armi: semplicemente perché non vogliono fare la finedi Enzo Baldoni. Sanno che senza armi per difendersi saranno

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arrestati dalla polizia (se il governo riesce a trovare accuse)oppure, nel caso contrario, rapiti dagli squadroni della morte.Proprio come avviene non solo in America Latina ma anche, inquesti ultimi anni, in Algeria e altrove”.77

Ecco quindi l’eldorado, il sogno neoliberista altro non è che unaterrificante zona rossa dove ogni diritto è sospeso. Dove squa-droni della morte agiscono impunemente per eliminare la resi-stenza della popolazione e di chiunque voglia condurre un’op-posizione politica all’occupazione o anche solo e semplicemen-te il rispetto dei diritti umani più elementari.

Le zone rosse di massa: il lager umanitario

L’analisi di Agamben ci ha permesso di collocare il modello diGuantanamo descritto da Butler in un contesto più ampio. Oggisono proprio gli apolidi, gli esseri umani descritti da Arendt, chehanno perso la nazionalità, che sono costretti a migrare comerifugiati politici e che trovano rifugio spesso solo in quegli spaziinternazionali sotto la protezione di organismi umanitari. Eppu-re in questi spazi si consuma oggi la più grandedeumanizzazione. L’umanitarismo pensa di poter garantire idiritti fondamentali offrendo un pasto caldo giornaliero privo diqualsiasi richiamo culturale, deculturalizzato. I cibi distribuitidagli organismi internazionali segnano questo degrado cultu-rale dell’umano. Ricordiamo che cultura ha la sua origine eti-mologica nella coltura. Il proverbio tedesco “Der Mensch istwas er isst” (l’essere umano è ciò che mangia) indica bene ilcarattere ontologico fondamentale del cibo. Eppure oggi nei“campi umanitari” si consumano le maggiori catastrofi. E’ quellache ormai sempre più Ong - benché ancora una minoranza -denunciano come lagerizzazione del mondo. Qui l’ideologiaumanitaria “facendo astrazione (...) da tutto ciò che rende l’or-ganismo biologico qualcosa di propriamente umano, (...) con-tribuisce alla riduzione dell’essere umano a nuda vita cancel-lando ogni forma di alterità”.78 Sotto l’Unhcr (agenzia dell’Onuche si occupa dei rifiugiati) sono in 50 milioni i rifugiati e gli

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sfollati ufficiali. Molti oggi vivono in questi campi di concentra-mento chi per pochi mesi, la maggior parte per molti anni. Inalcuni campi, come nel caso dei palestinesi, siamo ormai allaterza generazione nata in un campo con la promessa di poterritornare nella propria patria.Discorso a parte meriterebbero poi i rifugiati ambientali, ovverotutte quelle popolazioni, soprattutto indigene, espropriate dei loroterritori o per la costruzione di dighe (si stima a almeno 60 milioniil numero di queste vittime nel mondo) o per l’estrazione di ognitipo di risorsa: impianti di estrazione nel delta del Niger o costru-zioni di oledotti in tutto il mondo. Nel Nord del mondo quando ilprezzo della benzina aumenta non sappiamo che prezzo hannopagato milioni di persone perché fosse così basso. Queste po-polazioni quando non sono sterminate sul posto, vengono eva-cuate e sradicate: costrette ad abitare le periferie delle disastro-se città del Sud del mondo, perdono le loro caratteristiche, muo-iono.

Le zone rosse del controllo della migrazione

Accanto al lager umanitario, il fenomeno che oggi vede legarsisempre più gli interessi economici e di controllo, è quello chepuò essere denominato come la gestione economica dell’immi-grazione.Il neoliberismo è il primo sistema economico che trova nell’ab-bondanza di esseri umani un limite alla propria espansione. Sti-me per difetto parlano di almeno 33 milioni di migranti definiticlandestini nel mondo. Altre parlano di mezzo miliardo di perso-ne in movimento. A queste persone sono legati interessi econo-mici e geopolitici per controllarne i flussi e garantire quindil’autosufficienza a un sistema che ha bisogno di lavoratori dasfruttare senza regole nel Nord come nel Sud. I clandestini ap-punto. Unione europea e Stati uniti con l’inizio della quarta guerramondiale si rincorrono nei propositi di contenimento della migra-zione detta clandestina, allocando fondi e risorse per la gestionemilitare delle frontiere (esercito, marina, aeronautica) e finanziandole organizzazioni transnazionali che lo gestiscono.

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La più potente di tali organizzazioni - l’Oim (OrganizzazioneIntergovernativa per l’immigrazione) -79 è descritta da FranckDuvell, di NoBorder Network, come un’organizzazione “…uti-lizzata come contro-agenzia dell’Unhcr, nata l’anno dopo. Incontrasto con l’Unhcr che è basata su principi umanitari, l’Oimsi basa su interessi economici. Essa è stata uno degli stru-menti della dottrina Truman durante la guerra fredda, e tuttorariflette la pretesa di rappresentare contemporaneamente i go-verni, le economie ed i migranti con lo stesso mezzo”.80

A tal scopo, per razionalizzare il meccanismo, l’intero globo èstato suddiviso in 19 aree geopoliticamente importanti per lamigrazione, ognuna gestita da un ufficio centrale. Il meccani-smo è talmente efficiente che l’Oim dichiarava “con orgogliod’aver interferito con la vita di 11 milioni di persone dalla suanascita” negli anni ’50”.81

L’offerta dell’Oim spazia però su più fronti. Importante è sicura-mente il settore della consulenza per l’innovazione tecnologicadelle frontiere. A tale scopo vengono di frequente organizzativiaggi di ufficiali di polizia - soprattutto di paesi dell’est Europa,Ucraina in testa - sulla frontiera tra Messico e Stati uniti, per“mostrare il modello di un sistema di controllo efficiente. L’Oim

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non solo comprende, applica e diffonde agli stati i principi dellapolitica dell’immigrazione e le tecnologie in tutto il mondo(Capacity Building Programs), ma offre anche un approccioonnicomprensivo consistente in una combinazione di schemidi contenimento della migrazione (Seminari d’Informazione), lacostruzione di posti di controllo della frontiera (come accade inUcraina), la costruzione di campi di detenzione (per esempioNauru)82 , la rimozione degli immigrati indesiderati (i cosiddettiSchemi di Ritorno Volontario, in Inghilterra, Germania, Olandae in molti altri paesi) e il reclutamento di lavoro richiesto (comedall’Ecuador alla Spagna)”.83

Queste agenzie quindi rappresentano il lato oscuro e sporcodelle politiche di migrazione globali e “riflettono anche un’ideaassolutamente razzista di casa, nazionalità e appartenenza”basandosi “sull’assunto che le persone devono primariamentevivere dove hanno la loro casa, la loro gente e la loro terra”.84

L’altra faccia (quella legale e presentabile) delle politiche di im-migrazione (che in Europa si fondono con i sistemi di schedaturacome il Sis - Sistema di Informazione di Schengen85 - ormaiutilizzati per tutta la popolazione, ed in primis per reprimere ildissenso) è il sempre più esplicitato legame tra status legale elavoro: la permanenza di un migrante nella fortezza Europa èoggi determinata quasi esclusivamente dal contratto di lavoro.

Il muro sul confine Nord-Sud del mondo inizia nell’Oceano Pacifico, traStati Uniti e Messico, prosegue per Gibilterra e il Canale d’Otranto, fino inAustralia

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Le agenzie sovranazionali hanno l’esplicito compito di regolarela migrazione nel mondo, a seconda degli interessi economicida tutelare, creando in tal modo zone rosse. Le migranti vistecome bestiame da spostare per creare stati etnicamente purio per soddisfare il fabbisogno di manodopera in una data zona.Un sistema che deve essere razionale e prevedere prigioni perchi non serve in quel momento.A tal scopo sono stati previsti lungo i confini Nord-Sud delleserie concentriche di veri e propri lager presentati in Italia comeCentri di Permanenza Temporanea ai quali attingere o nei qualirelegare forza lavoro.L’esistenza di tali centri crea inoltre un deterrente per ogni mi-grante clandestinizzato. Tale clandestinizzazione del fenome-no migratorio relega in economie illegali la regolazione di que-sti flussi di persone, controllati dagli stessi poteri criminali chegestiscono il traffico di droga, prostituzione ed armi. Nasce lamerce umana: il traffico di organi, schiavi e bambine deriva daquesta logica.Le zone rosse prodotte da chi gestisce più o meno legalmentele migrazioni globali, sono oggi tra quelle più efferate, dove sicreano territori - i centri di detenzione - alieni a qualsiasi dirittoe soggetti solo a leggi economiche e militari.Il Nord del mondo - Stati uniti, Europa, Giappone e Australia - sipresenta ai migranti come un’enorme zona rossa dove l’ac-cesso è vietato o difficile ma al tempo stesso desiderato e scel-to come possibilità di vita. Lungo i recinti di questa zona rossasono morti di fame, sete, per annegamento o per proiettili dellapolizia o dell’esercito, oltre diecimila esseri umani: è il muroche partendo da Tijuana divide il Messico dagli Usa e poi l’Eu-ropa dall’Africa. A Pantelleria esiste una fossa comune per que-ste vittime senza nome della zona rossa.86

La zona rossa del lavoro: terra e schiavitù

Una delle più spaventose zone rosse della globalizzazione è

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quella data dalle sospensioni dei diritti umani sul luogo di lavo-ro e dalla sospensione dei diritti sindacali. Esistono vere e pro-prie zone di sviluppo speciale che coinvolgono milioni di lavo-ratrici. Naomi Klein le ha rese famose. Sono le zone franche,“High Export Zone” (zone ad alta esportazione), stimate dal-l’Organizzazione mondiale del lavoro a 850, ma molto proba-bilmente intorno alle 1.000. Qui sono occupate almeno 30 mi-lioni di persone in 70 paesi, per lo più donne e bambini. Spessocon sorveglianza armata, sempre e comunque sotto il ricattodel licenziamento; è il luogo dove si ottengono salari da mise-ria, da preferirsi alla disoccupazione. Qui si producono la mer-ce-logo di marca e di uso comune nella società occidentale.87

In realtà la questione delle zone franche ci riporta alla consta-tazione che oggi nessuna persona ha un lavoro garantito nelmondo a eccezione di alcuni bianchi, specialmente uomini, perlo più di civiltà cristiana. È questo il carattere razzista del domi-nio capitalista nel globo. La zona rossa è per lo più una que-stione per non bianchi. L’anello debole della precarizzazione èquel lavoro schiavile postmoderno, ben diverso da quellopremoderno, in cui sono intrappolati dai 30 ai 300 milioni diesseri umani, a seconda della definizione di lavoro coatto chesi adotta, e a seconda delle fonti. Nel 1997 la forza lavoro erastimata intorno ai 2.5 miliardi di persone, e quella soggetta alavoro coatto si aggirava tra l’8% e il 14% del totale.88 Il dato difondo è comunque terrificante, e più che disquisire se sia libe-ro o schiavo un bambino di 12 anni che vende la sua forzalavoro ( “si vende” o “lavora”) in una fabbrica per 10 ore al gior-no anziché farsi arruolare in una banda criminale, ci sembrapiù opportuno riflettere su quanto ancora oggi siano le condi-zioni di lavoro a determinare le molte forme di violenza nellavita quotidiana. Invece di denunciare lo sfruttamento minorilenel mondo - una zona rossa in cui si trovano 300 milioni dibambini - bisogna denunciare i nessi tra questa e laclandestinizzazione dei lavoratori migranti al Nord, dove il per-messo di soggiorno è un’arma nelle mani del padrone. Questeviolenze contro gli esseri umani, che trovano la loro ragion d’es-

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sere nell’accumulo di denaro da parte di pochi e generano lamiseria e la povertà di molti, sono la causa delle molte zonerosse. Rousseau non aveva visto male quando disse: “l’uomonasce libero, ma è ovunque in catene.”

Forse infine la più grande zona rossa del pianeta rischia di es-sere la terra stessa.Troppa gente la abita. Eppure benchè la densità demograficamaggiore sia nei paesi ricchi, sono le popolazioni del Sud delmondo che dovrebbero abbandonare la terra. Migrare o esse-re soppresse, o entrambe. Samir Amin è tra i pochi studiosi aporre al centro della riflessione la questione della terra.89 Nelmondo, attualmente, più della metà della popolazione vive incampagna. Tra questi oltre 3 miliardi di contadine: una parteproduce tra i 100 e i 500 quintali all’anno, un’altra buona partecirca 10 quintali. L’agricoltura capitalistica industrializzata pro-duce tra i 10.000 e i 20.000 quintali. Lo scarto è quindi 2.000 a1, a differenza del 1940 quando era di 5 a 1. L’agricoltura indu-strializzata del Nord si basa infatti su un alto capitale tecnologi-co, un bassissimo numero di occupati, forti esternalità ambien-tali negative (inquinamento di aria, acqua e terra): questo tipodi agricoltura può fare a meno del lavoro agricolo di tipo tradi-zionale.Secondo Samir Amin, il capitalismo è incapace di offrire altreprospettive a questi 3 miliardi di persone che non siano lebidonvilles, la fame e la violenza. Occorre prendere le distanzedalla cinica visione, fatta propria dal marxismo fin dallateorizzazione di Karl Kautsky, secondo cui si tratterebbe di una“distruzione costruttiva”. A Porto Alegre si auspica invece unmodello di sviluppo capace di integrare progressivamente mer-cati locali con mercati regionali.

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Abbiamo visto come le nuove leggi dello stato di eccezione mettanosempre più a nudo gli aspetti disumani del neoliberismo. Emergonosempre più zone rosse: esse vanno identificate, smascherate, invase econdannate quale frutto del potere militare machista della globalizzazione.I processi economici e giuridici dispiegatisi dopo l’11 settembre hannoportato alle estreme conseguenze la logica distruttrice del neoliberismoche, nel disperato tentativo di trovare nuove fonti di accumulazione delcapitale e imporsi su scala mondiale, sta conducendo una efferatalotta all’umanità. Il terrorismo è funzionale (oltre a esserne un prodotto)a questa logica economica e militare che sta uniformando, terrorizzan-do e sopprimendo l’umanità nelle sue molteplici espressioni. Per que-sto è necessario e possibile iniziare a erodere le sedie del potere.

Note:

1 George Bush, National Security Strategy of the United States, White House, marzo 1990; cit. in N. Chomsky, Egemonia

americana e Stati fuori legge, Bari, 2001

2 M. Kaldor, Le nuove guerre, la violenza organizzata nell’età globale, Roma, Carrocci, 1999

3 M. Dinucci, Il potere nucleare, storia di una follia da Hiroshima al 2015, Roma, Fazi, 2003, p.112

4 Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera, Milano, Longanesi, 1998

5 Ibid., p.19

6 Ibid, p.40

7 Ibid., p.258

8 Ibid., p.277-281

9 Ibid., p.52

10 Neil Mackay, Bush aveva pianificato il cambio di regime in Irak prima ancora di diventare presidente, Sunday Herald, 15

settembre 2002; Miguel Martinez, USA: in un documento il progetto per sottomettere l’umanità in www.kelebekler.com/occ/

pnac (dove sono disponibili molti altri articoli e il maggior archivio italiano sui neocons americani); si consulti il sito stesso:

www.newamericancentury.org; in particolare la lettera a Clinton: www.newamericancentury.org/iraqclintonletter.htm .

11 M. Dinucci, Il potere nucleare, cit., pp.146 sgg.

12M. Chossudovsky, Guerre e globalizzazione, cit. pp. 28 sgg; pp. 69 sgg.

13 Paul-Marie de la Gorce, La nuova dottrina militare americana, Le Monde Diplomatique, marzo 2002

14 Casa Bianca, National Security Strategy in www.whitehouse.gov/nsc/nss.pdf

15 Paul-Marie De la Gorge, La nuova dottrina, cit.; M. Dinucci, Il potere nucleare, cit., pp. 185-192

16 M. Dinucci, Il potere nucleare, cit., p.104

17 Ibid., pp. 106-107

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18 Ibid., p.193

19 Achille Ludovisi, I nuovi complessi militari industriali nell’epoca della guerra globale permanente, dattiloscritto, 2002

20 Ibid.

21 Ibid.

22 Reuters, 1 ott. 2002; cit in Ludovisi, I nuovi complessi, cit.

23 Ignacio Ramonet, Quando la libertà di edizione è in pericolo, Le Monde Diplomatique, gennaio, 2003

24 Mary Caldor, Le nuove guerre, cit., p.31

25 Un’ampia descrizione delle influenze fondamentaliste nel mondo politico statunitense, benchè forse eccessivamente

complottista è quella di Eric Jewell, La Cristianità e il Nuovo Ordine Mondiale, in www.fisicamente.net/index-371.htm ; diversi

articoli sulla destra statunitense e il fondamentalismo cristiano si possono ritrovare nell’apposita sezione del sito:

www.kelebekler.com

26 Marco D’Eramo, I sionisti evangelici, Il Manifesto, 10 settembre 2002

27 Stefano Chiarini, I predicatori di Bush (e Sharon) per convertire l’Iraq, Il Manifesto 3 maggio 2003

28 Ibid.

29 Benjamin R. Barber, Guerra santa contro McMondo, neoliberismo e fondamentalismo si spartiscono il pianeta, Milano,

Pratiche Editrice, 1998, pp.188-200

30 M. Martinez, Armageddon: l’impero americano e l’immaginario del dominio universale in www.kelebekler.com/occ/

praxis02

31 Dana Milbank, Religious Right Finds Its Center in Oval Office, Bush Emerges as Movement’s Leader After Robertson Leaves

Christian Coalition, Washington Post, 24 dicembre 2001

32 Alain Gresh, Islamofobia, Le Monde Diplomatique, novembre 2001

33 L. Caracciolo, L’occidente e l’identità ritrovata, La Repubblica, 13 settembre 2001, cit. in Norman Solomon, Il “terrorismo”

secondo i media, Guerre&Pace, novembre 2003

34 Michael Ratner, Le libertà sacrificate sull’altare della guerra, Le Monde Diplomatique, novembre 2001 (fonti: New York

Times e Washington Post)

35 Philip S. Golub, A Washington una nuova presidenza imperiale, Le Monde Diplomatique, gennaio 2002; cf. anche Dana

Milbank, Religious Right Finds, cit.

36 Durante la presidenza Reagan, gli stanziamenti per la difesa sono saliti dal 23,5% al 27% del bilancio federale, tornando

così ai livelli del 1975, e la Cia ha condotto le due più grandi operazioni clandestine del dopo Vietnam, in Afghanistan e in

Nicaragua.

37 M. Dinucci, Il potere nucleare, cit., pp.156 sgg

38 Philip S. Golub, A Washington una nuova, cit.

39 Ibid.

40 Howard Zinn, Il nuovo maccartismo benedetto dai sondaggi, Il Manifesto, 11 settembre 2002; sulla sorveglianza totale dopo

l’11 settembre si veda soprattutto: Ignacio Ramonet, Sorveglianza totale, Le Monde Diplomatique, agosto-settembre 2003; Ritt

Goldstein, Usa, le sbarre dentro casa, Il Manifesto, 26 Luglio 2002; id., Bush sogna un popolo di spioni, Il Manifesto, 18 agosto

2002.

41 J. Brown, I pericolosi tentativi di definire il terrorismo, Le Monde Diplomatique, febbraio 2002; è interessante notare che

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il termine non è nemmeno contemplato nella Convenzione di Ginevra.

42 Tutte le citazioni sono tratte da J. Brown,, I pericolosi tentativi, cit.

43 Jean-Claude Paye, Le ipocrisie del mandato di cattura europeo, Le Monde Diplomatique, febbraio 2002

44 Per la lista e molti commenti cf N. Chomsky, 11 Settembre, le ragioni di chi?, Milano, 2001

45 N. Solomon, Il terrorismo secondo i media, Guerra & Pace, novembre 2001

46 Sydney Jones, Jacarta, torneranno al potere i carri armati?, Le Monde Diplomatique, novembre 2002

47 M. Forti, La signora di Narmada, le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Milano, Feltrinelli, 2004, pp. 31 sgg.

48 Jean-Marc Ela, Regards africains sur la première guerre du siècle, Le Monde Diplomatique, settembre 2002

49 Pierre Abramovici, Washington ridisegna la presenza militare in Africa, Le Monde Diplomatique, luglio 2004

50 Intervista a Samir Amin, cit.

51 Il film di Rodrigo Vazquez si basa in buona parte sul parallelo tra l’11 settembre 1973 e l’11 settembre 2001, lasciando le

voci agli esperti di antiterrorismo del Plan Condor: Operación Cóndor -El Eje del Mal, Cannes 2003

52 Ritt Goldstein, Nome in codice “democrazia”, Il Manifesto, 7 giugno 2002

53 Jamite Dorian, autore e produttore televisivo, ha lavorato per la BBC realizzando numerosi documentari su temi quali i

desaparecidos del Cile o il regime politico della Birmania; un suo cortometraggio su Stanley Kubrik è intitolato: 2001, The Making

of a Myth. Attualmente ha terminato il documentario dal titolo: Massacro a Mazar.

54 Rumsfeld avrebbe anche detto: ‘’Sarebbe sommamente deplorevole che gli stranieri in Afganistan - quelli di al Qaeda, i

ceceni e gli altri che hanno collaborato con i taliban - fossero rilasciati, con la possibilità di recarsi in un altro paese per

commettere altri atti terroristici”; Jamie Doran, Gli inconfessabili massacri afghani. Le dinamiche del disordine mondiale, Le

Monde Diplomatique, settembre 2002

55 Jamie Doran, Gli inconfessabili massacri, cit.

56 In Italia fondamentale l’articolo di S.Baraldini, Desaparecidos a Guantanamo, Guerre&Pace, n.98, aprile 2003 (fonti: testate

statunitensi)

57 Olivier Audeoud, Senza diritti a Guantanamo, Le Monde Diplomatique, settembre 2002; la convenzione di Ginevra è

consultabile on-line: www.admin.ch/ch/i/rs/0_518_51

58 Olivier Audeoud, Senza diritti a Guantanamo, cit.

59 M. Kaldor, Le nuove guerre, cit.

60 J. Butler, Modello Guantanamo, umano nonumano, Rivista del Manifesto, n. 35, gennaio 2003, pp.56-57

61 Ibid., p.60

62 G. Agamben, Homo sacer, il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p.135

63 G. Agamben, Homo sacer, op. cit., p.187

64 G. Agamben, Stato di eccezione, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p.11

65 G. Agamben, Homo sacer, op. cit., p.139

66 Ibrahim Warde, Irak, l’eldorado perduto, sotto scacco l’occupazione americana, Le Monde Diplomatique, maggio 2004

67 L’articolo 43 della Convenzione dell’Aja recita: “Poiché l’autorità del potere legale è passata di fatto agli occupanti, questi

ultimi adotteranno tutte le misure alla loro portata per ristabilire ed assicurare, per quanto possibile e salvo il caso di impedimenti

assoluti, l’ordine nella vita pubblica, nel rispetto delle leggi in vigore nel paese”.

68 Fin dal 1983 la Bechtel, all’epoca molto vicina all’amministrazione Reagan, aveva ottenuto l’incarico di costruire un

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oleodotto in Iraq; l’accordo era stato negoziato direttamente con Saddam Hussein da Donald Rumsfeld. La Halliburton, che

dal 1995 al 2000 era diretta da Richard Cheney, aveva ottenuto una deroga speciale per proseguire le sue attività in Iraq

nonostante il regime di sanzioni internazionali. Lo stato insomma aiuta i neoliberisti.

69 Tutte le citazioni sono tratte da Ibrahim Warde, Irak, l’eldorado perduto, cit.

70 Maurizio Chierici, Irak, tutti gli uomini della CIA, Unità, 29 giugno 2004

71 Maurizio Chierici, Chi si rivede: le squadre della morte, Unità, 26 settembre 2004

72 Noam Chomsky, John Negroponte: dal centroamerica all’Irak, 6 agosto 2004; in http://www.zmag.org/Italy/chomsky-

negroponte-americairaq.htm

73 Pino Cacucci, Il sequestro di Simona e Simona: forse la memoria aiuta più della scarna cronaca, 1 ottobre 2004; in http:/

/www.feltrinelli.it/BlogAutore?id_autore=155756&blog_id=14; pubblicato anche su http://italy.indymedia.org/news/2004/

10/641087.php

74 Patrick Boylan, Il nuovo Saddam, 8 settembre 2004, in http://www.boylan.it/

75 Ibid.

76 Massimigliano Boschi, La versione di Beppe, Diario, 7 ottobre 2004

77 Patrick Boylan, Il nuovo Saddam, cit.

78 AAVV, L’illusione umanitaria, la trappola degli aiuti e le prospettive della solidarietà internazionale, Bologna, EMI, 2001;

lo studio è una delle maggiori critiche al ruolo attivamente distruttivo giocato da organismi internazionali e ONG nell’usare

gli aiuti d’emergenza come soluzione finale, specialmente alla luce degli ultimi conflitti: Somalia, Kuwait, ex-Jugoslavia,

Kosovo.

79 Per informazioni dettagliate vedi www.iom.int, per maggiori critiche vedi www.noborder.org/IOM

80 Franck Duvell, La globalizzazione del controllo della migrazione; pubblicato in italiano su http://www.tmcrew.org/border0/

dossier/oim/oim02.htm

81 Ibid.

82 In particolare sul caso dell’isola di Nauru consultare il sito http://www.nauruwire.org

83 Franck Duvell, La globalizzazione del controllo, cit.

84 Ibid.

85 Un efficace dossier sulla storia e le implicazioni del SIS, si trova sul sito del collettivo border=0 http://www.tmcrew.org/

border0/dossier/sis/sis00.htm

86 In Europa la rete di 590 associazioni e ONG che dal 1993 monitora il muro è UNITED; il rapporto, a cui ha poi attinto

anche Amnesty International, è scaricabile dal sito: http://www.united.non-profit.nl/pages/info24.htm

87 Naomi Klein, No-Logo, Milano, Baldini&castoldi, 2001, pp.183 sgg

88 Sono le stime di Rossana Mungiello, Lavoro coatto a fine secolo in quattro grandi aree economiche, Altreragioni, n.6, 1997,

pp.11-45; Kevin Bales, I nuovi schiavi, la merce umana nell’economia globale, Milano, Feltrinelli, 2000 ritiene che la cifra

più probabile sia di 27 milioni, ma riferisce anche la cifra di 200 milioni di alcuni attivisti e ritiene che si tratti di un problema

di definizione della schiavitù. Bales definisce con rigore le caratteristiche della nuova schiavitù e ne illustra la realtà in diversi

paesi.

89 Samir Amin, Oltre il capitalismo senile, per un XXI secolo non americano, Milano, Puntorosso, 2003; si veda anche AAVV,

Question agrarie et mondialisation, Alternatives Sud, vol. IX, 2002

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Erodiamo le sedie del potere

Bonaventura ha fatto un piccolo viaggio. Ha attraversato, cercando diraccontarle, le zone rosse che lentamente ridisegnano i confini delnostro pianeta. Ora è stanco e si ferma. Lascia andare la mente eripensa al suo viaggio, prova a trovare parole abbastanza ampie perracchiuderlo dentro si sé. Ragionare anche su dove andare a parare,su come contribuire a trasformare, per quanto può, il mondo .

La ribellione della dignità

“Si ha dignità, o verità, solo lottando contro la mancanza didignità o contro le non-verità attuali. La dignità implica un movi-mento costante contro le barriere di ciò che esiste, unsovvertimento e un oltrepassamento delle definizioni”.1

Che cos’è per noi, abitanti del centro dell’impero, la dignità cheHolloway descrive come movimento portante della rivoluzioneindigena zapatista? In che modo un discorso sulla dignità emer-so dall’altra parte del pianeta, nella selva, tra indigeni senza

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terra, ci riguarda?La ribellione della dignità è l’affermazione di un desiderio diautonomia, un movimento di lotta che afferma il diritto ad ap-propriarsi dell’esistenza, ovunque essa viva i suoi giorni, in qua-lunque situazione sociale si radichi, in ogni campo della vita. Sitratti di terra, acqua, casa, tempo, genere, orientamento ses-suale, la dignità lotta per affermare i diritti e la libertà della so-cietà dai poteri costrittivi e omologanti. Se il potere aliena i bi-sogni e i desideri dalle loro condizioni materiali di soddisfazio-ne, si tratta di abolire le separazioni, le alienazioni esistenti aopera del potere. E’ la separazione/conflitto esistente tra for-ma e sostanza nelle democrazie occidentali a permeare tuttigli ambiti dell’esistenza. La democrazia formale coesiste conle povertà sostanziali, i diritti formali coesistono con la sop-pressione dei diritti materiali, il lavoro che formalmente, e po-tenzialmente, permette all’essere umano di realizzare parte disè, coesiste con la subordinazione totale dei corpi alle esigen-ze del mercato, l’uguaglianza tra uomini e donne coesiste conil patriarcato che vede ancora nella simbologia bellico-competitiva la legge dei comportamenti sociali. Aspetti diffe-renti che alludono, per noi, alla sostanziale subordinazione dellescelte di vita ai canoni prestabiliti dell’individualismo lavorativocapitalistico.Affermare la lotta per la dignità significa allora tessere una retefitta tra movimenti che in luoghi diversi del pianeta e con argo-menti diversi rivendicano la possibilità di costruire presenti incui gli individui e le comunità autogovernino le proprie esisten-ze abolendo le separazioni, le diseguaglianze. E’ un camminolungo, lunghissimo, che in primo luogo chiama ad abbattere leseparazioni tra linguaggi antagonisti e lotte differenti, per riven-dicare, dal basso, la dignità di un umanità solidale contro ilneoliberismo. I linguaggi e le pratiche di questa lotta sono ne-cessariamente plurali, distesi su mille piani e su più dimensio-ni dell’essere sociale, sia perchè plurale è la subordinazione aopera del potere sia perchè la pluralità delle forme di liberazionisi contrappone direttamente e radicalmente al linguaggio e allapratica dell’omologazione al pensiero “unico”. Il cammino di cui

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ci sentiamo parte è un cammino di ribellione, intendendo conribellione un “...movimento reale, trasformazione pratica e quo-tidiana dei rapporti sociali, conquista di obbiettivi e migliora-menti, anche parziali, della qualità della vita; sviluppo delle for-ze autorganizzzate della società civile, di forme di vita, asso-ciazione, cooperazione sociale autonome ed indipendenti, benoltre le categorie di potere e rappresentanza politica in sensostretto...”2 Si tratta allora di costruire sacche di resistenza incui la ribellione si faccia concreta forma di autonomia dalle zonerosse che invadono il pianeta e le coscienze, i desideri e il tem-po.

Socializzazione dei saperi e informazione

Viviamo all’interno di una zona ros-sa del sapere in cui l’informazionesulla verità storica dei fatti e dellescelte politiche che producono que-sti fatti è preclusa alla massaconsumatrice dei tele-elettori. Lamenzogna non si limita ad accom-pagnare il susseguirsi spettacolaredi eventi ma radica nel senso comu-ne l’ideologia dominante, il pensierounico del capitalismo globale. Bom-bardati da informazioni menzogneree da miti falsificanti il presente, sem-bra non rimanere altro che lo scetti-cismo del “tanto i potenti fanno quello che vogliono e noi nonpossiamo farci nulla”.Il presente lavoro contribuista a ribaltare i termini del discorsoin merito di informazione. Se la tradizione dei movimenti socia-li ha sempre parlato di riappropriazione del sapere come dicontroinformazione, oggi affermiamo che l’alternativa è da porsitra informazione ed intrattenimento dove i media mainstreamproducono quella menzogna strutturale che autoalimenta la fi-ducia cieca nella attendibilità del discorso ufficiale. Creare una

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frattura in questo circolo vizioso tra intrattenimento e fiduciageneralizzata significa fare realmente informazione.Se è vero che qualsiasi evento accade all’interno dello spetta-colo mass-mediatico, che produce il significato e l’interpreta-zione dominante degli eventi, allora dobbiamo rivolgerci a nar-razioni mediatiche altre. Dobbiamo essere noi stessi mediacapaci di raccontare il mondo dal punto di vista dei rapporti diforza non detti, degli interessi nascosti, delle vittime che nepagano il prezzo.In questo senso il nostro lavoro informativo si inserisce in unapratica di movimento che ritiene indispensabile la rinarrazionedel mondo, la riappropriazione della capacità di comunicare edi condividere saperi e narrazioni altri. Infatti “i mass-mediacome sistema assolvono la funzione di comunicare messaggie simboli alla popolazione. Il loro compito è di divertire, intratte-nere e informare, ma nel contempo di inculcare negli individuivalori, credenze e modelli di comportamento atti a integrarlinelle strutture istituzionali della società di cui fanno parte. In unmondo caratterizzato dalla concentrazione della ricchezza eda forti conflitti di classe, per conseguire questo obbiettivo oc-corre perseguire una propaganda sistematica”.3

E’ necessario sabotare la “fabbrica del consenso”,riappropriandoci della produzione di informazioni e comunica-zione alternative. Nella prospettiva del potere ogni individuo oggiè prodotto come media: terminale di informazioni utile alla pro-paganda globale; attraverso l’interiorizzazione e lasocializzazione di verità preconfezionate, ognuno di noi è unpotenziale di legittimazione degli interessi dominanti che nonva fatto scappare; la coscienza di ognuno va stanata nel quoti-diano della casa in cui vive, attraverso input informativi continuiche sedimentano certezze indiscusse, miti utili al potere. “Oggil’informazione diventa una risorsa primaria (...) Si accentua cosìil carattere artificiale, della vita sociale e le nostre esperienzehanno luogo in contesti che sono sempre più costruiti dall’in-formazione, diffusi dai media e assimilati da ciascuno di noi inuna sorta di spirale senza fine che trasforma la realtà in segnie immagini di cui diventiamo produttori e consumatori”.4

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La produzione del consenso porta la zona rossa del saperedentro di noi.Il potere se ne serve per creare una inconsapevole fiducia del-l’individuo nei confronti dei saperi ufficiali e degli stessi media,la cui attendibilità è percepita come assoluta. Ogni aspetto dellanostra esistenza è occupato da credenze indotte e da com-portamenti pilotati, dalle relazioni affettive, al lavoro, passandoper il rapporto con i bambini e le bambine, la spiritualità, etc...Alcuni miti su cui il sapere ufficiale si fonda, che strutturanoquotidianamente la notizia mass-mediatica e che tra loro silegittimano a vicenda, appaiono come indiscutibili.La credenza nello sviluppo capitalistico, come crescita pro-gressiva delle opportunità e del benessere dell’umanità, na-sconde il dominio economico e culturale di quella parte del-l’umanità che è l’occidente saccheggiatore.L’ideologia del libero mercato, che si autorappresenta comespazio paritario di opportunità per tutti i paesi e individui delmondo, cela i reali rapporti di forza tra i Nord e i Sud, tra ricchie poveri.La religione del consumo, come aspirazione naturale alsoddisfacimento di infiniti bisogni, maschera il carattere indot-to di bisogni omologanti, la produzione seriale di desideri daintegrare nei gangli del mercato.La teoria della guerra giusta, come di uno strumento in manoalla comunità internazionale per difendere la democrazia occi-dentale, in realtà continua la missione civilizzatrice iniziata 500anni fa con la conquista delle Americhe.Questi sono solo alcuni esempi di idee omologanti che trovanoi loro centri di produzione/diffusione in istituzioni quali il siste-ma scolastico, con al vertice l’università e il sistema mass-mediatico, con al centro la televisione.La parola stessa consenso veicola la mitologia della libertà,evocando “l’esercizio democratico del libero pensiero”. L’im-magine della libertà di scelta tra le opinioni è menzogna nelmomento in cui la sorgente delle informazioni è criptata e laverità dei fatti celata. Pensiamo al caso delle armi di distruzio-ne di massa in Iraq. Anche i giornali moderati ormai denuncia-

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no la menzogna di cui l’amministrazione Bush si è servita perscatenare una guerra che aveva ben altri fini. Ciò non incrina ilconsenso tacito nei confronti di qualcosa che in ogni caso nonci riguarda da vicino. L’individuo è così fatto contenitore di veri-tà linguistiche, storiche ed etiche preparate.Decolonizzare l’immaginario significa attaccare i presuppostidi queste verità producendo saperi alternativi condivisi, signifi-ca contrapporre al “consenso” i molteplici “dissensi” di cui sia-mo portatori e portatrici.Non possiamo odiare i media (dato che siamo media), mariappropriarcene socialmente, dal basso. E’ questo il sensodello slogan: “don’t hate the media, become the media”.Fare informazione significa allora socializzare dal basso i pro-pri saperi, fare lavorare le nostre conoscenze per decostruirela propaganda, liberare i nostri giudizi e comportamenti. Al tem-po stesso costruire chiavi di lettura altre del presente e del fu-turo che mettano in discussione radicale i miti che strutturanole notizie. La notizia quotidiana viene recepita dagli individuicome adeguata a confermare credenze indiscutibili: a scuolafin da bambini si impara che le Americhe sono state scoperte enon conquistate dal nascente imperialismo spagnolo. Così oggiil fatto che popolazioni intere debbano abbandonare la propriaterra per la costruzione di un oleodotto da parte di una multina-zionale non stupisce nessuno: è un processo storico naturaleche segna lo sviluppo della scienza, della tecnica, dell’econo-mia.L’urgenza è di trasformare ognuno e ognuna di noi da oggettoricettore di flussi informativi di intrattenimento, a soggetto ca-

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pace di socializzare saperi critici e visioni del mondo autono-me. Esperienze quali le street television, le fanzine quartierali,le radio libere, i network indipendenti, le street parade, le criticalmass, la chiacchera nel bar, la polemica sull’autobus, ilcammuffaggio delle pubblicità, il culture jamming, la discus-sione tra amici, le provocazioni teatrali in strada, nei centri com-merciali, nei luoghi pubblici, si riappropriano dello strumentocomunicativo in senso antagonista e sono esempi di sottrazio-ne di saperi all’intelligenza dominante. Questi sono gli spazi incui possiamo rigenerare il desiderio di porsi domande sul pre-sente e Bonaventura si propone come uno di questi spazi.Condividendo domande e letture, scambi di opinione e ricer-che, Bonaventura si appropria della capacità di ri-dire il mondoda un altro punto di vista e di divulgare la critica con mezziautonomi.

Il capitalismo come globalizzazione della guerra

Il teorico neoliberale Allan Minc, in nome del realismo e delpragmatismo sostiene: “Il capitalismo non può crollare, è lacondizione naturale della società. La democrazia non è la con-dizione della società. Il mercato sì.”5

In poche precise parole è racchiusa l’ideologia del capitalismo.La guerra di tutti contro tutti, si autorappresenta come condi-zione naturale dell’essere umano. La società capitalista, comeogni società complessa, richiede un collante ideologico, un di-scorso su di sè, che ne assicuri la sopravvivenza storica. Siproduce così il racconto ideologico di una condizione antropo-logica fondamentalmente competitiva e malvagia dell’essereumano, il quale ha la funzione di legittimare una concezioneeterna e naturale del capitalismo. Se il capitalismo è eterno enaturale, ogni aspetto della vita ne è assoggettato.Il capitalismo bellico-preventivo invade così la vita del pianeta edegli esseri umani, in ogni loro aspetto e abbatte qualsiasi pos-sibile argine capace di mediarne l’aggressione.La modernità poggiava sul presupposto di una possibile me-diazione dei conflitti sociali capitalistici, attraverso il conflitto/

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negoziazione tra i poteri statali e i soggetti della politica (movi-menti sindacati e partititi). Il corrispettivo di questo meccani-smo, sul piano della politica internazionale, era costituito dauna politica di mediazione dei conflitti internazionali sia attra-verso il diritto sia attraverso una concezione “minima” di guer-ra come di una “prosecuzione della politica con altri mezzi”(Clausewitz). La guerra era inserita come espediente ultimodel piano di mediazione che la politica internazionale, attraver-so il diritto, poteva sviluppare nei confronti dei conflitti espan-sionistici degli stati nazione. Il capitalismo neoliberista ha toltodi mezzo il potere mediativo della politica istituzionale, mostrandotutta la logica aggressiva e bellica dell’economia di mercato. Inquesto senso la guerra non è neanche la prosecuzione di que-sta economia, ma l’economia capitalista stessa nel suo aneli-to totalizzatore.La crisi del diritto internazionale e dell’Onu come soggetti dimediazione nei conflitti interstatali è l’esempio macroscopico

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dell’emergere di una zona rossa della convivenza, all’internodella quale vale esclusivamente la legge unilaterale del più for-te: la guerra di tutti contro tutti. All’interno di questa zona, laconvivenza stessa è a rischio, tanto sul piano microsocialedelle relazioni tra esseri umani lanciati in competizione l’unocontro l’altro, quanto su quello della convivenza tra popoli se-parati dalla reciproca paura e diffidenza (la guerra di civiltà). Sela specificità dell’essere umano risiede nella cultura qualeaspetto tramandato e prodotto dalla convivenza, la quarta guer-ra mondiale si profila come attacco all’umanità. In questa si-tuazione, la “produzione del consenso”, di cui parlavamo nelparagrafo precedente, diviene propaganda bellica e pedagogiadella guerra.

Il capitalismo come quarta guerra mondiale

Il nostro lavoro informativo tenta di entrare in questa zona ros-sa in cui la violenza regna sovrana.Smascherare le menzogne del potere, attraversando critica-mente i discorsi di cui si serve, ha lo scopo di mostrare la po-tenza costrittiva e distruttrice del sistema poliziesco e bellicodel neoliberismo.E’ la “quarta guerra mondiale”, di cui parlano le comunitàzapatiste, in cui bombe finanziarie e bombe belliche sono duefacce della stessa medaglia.“Il neoliberismo produce così distruzione/spopolamento, da unlato, e ricostruzione/riordino dall’altro, di regioni e nazioni, peraprire nuovi mercati o modernizzare quelli esistenti. Se le bom-be nucleari avevano un carattere dissuasivo, intimidatorio ecoercitivo, nella Quarta deflagrazione mondiale non accade lostesso con le iperbombe finanziarie. Queste armi servono adattaccare territori (stati nazionali), distruggendo le basi mate-riali della sovranità nazionale (...) e producendo unospopolamento qualitativo dei loro territori. Questo spopolamentoconsiste nel prescindere da tutti quelli che sono inutili alla nuo-va economia di mercato (per esempio gli Indios). Però, in più, icentri finanziari operano, simultaneamente una ricostruzione

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degli stati nazionali e li riordinano secondo la nuova logica delmercato mondiale (e i modelli economici si impongono su re-lazioni sociali deboli o inesistenti). La quarta guerra mondiale,presente sul terreno rurale, produce questo effetto. Lamodernizzazione rurale che i mercati finanziari esigono, puntaa incrementare la produttività agricola, però quello che ottieneè distruggere le relazioni sociali ed economiche tradizionali.Risultato: esodo massiccio dai campi alle città. Sì, come inuna guerra”.6

A livello globale la guerra ha oggi una funzione certo di espan-sione ma al contempo di conservazione dell’ordine mondialedei più forti e di controllo della società stessa. Con franchezzail consigliere di Madeleine Albright, Thomas Friedman, scrive-va: “La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senzaun pugno invisibile. McDonald’s non può svilupparsi senzaMcDonnel Douglas, il fabbricante degli F-15. E il pugno invisibi-le che assicura la sicurezza mondiale delle tecnologie dellaSilicon Valley, si chiama esercito, aviazione, marina e corpodei marines degli Stati uniti”.7

La funzione di stabilizzazione dell’ordine è tanto più necessa-ria, quanto più la globalizzazione neoliberista produce un au-mento esponenziale dei conflitti e generalizza la violenza cometessuto delle relazioni sociali: “Gli esseri umani hanno svilup-pato un modo per autodistruggersi e sono arrivati più volte moltovicini a farlo. Le grandi potenze, ma soprattutto gli Usa, chiedo-no di ampliare ulteriormente questo potere attraverso lamilitarizzazione dello spazio (...) sono costretti a farlo perchèsanno che la forma di globalizzazione che stanno cercando disviluppare aumenterà il gap tra ricchi e poveri fino a livelli intol-lerabili creando conflitti sempre più difficili da controllare”.8

Parlare di “guerra umanitaria”, di “operazioni di polizia interna-zionale”, di attacchi dal cielo o da terra come definiti “chirurgi-ci”, parlare di “guerra a bassa intensità” lascia intravedere unasorta di puritanesimo del linguaggio che maschera la realtàdella guerra. La “lotta al terrorismo”, come legittimazione del-l’attacco indiscriminato a territori e diritti, produce un soggettoantagonista ben più funzionale dell’antico “pericolo comunista”:

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esso è invisibile e potenzialmente ovunque e questo permettedi rendere legittimo qualsiasi mezzo ai fini di prevenzione e diconservazione del potere delle élites industriali-militari occiden-tali. Uno stato di paura globale si posa come un velo sulle co-scienze lasciando libero il campo agli eserciti e alle industriemilitari che governano le élites di pochi paesi: Usa, GranBretagna, Italia in testa.Se siamo di fronte alla esplicitazione dottrinaria della guerracome sorgente della politica stessa, ne consegue l’erosionedella distinzione tra pace e guerra, tra pubblico e privato nelcoinvolgimento bellico e ricostruttivo, tra civile e militare nellaconta dei morti.Come abbiamo sostenuto lungo tutto il libro: l’eccezione diven-ta la norma, normale è uno stato di eccezione, una zona rossapotenzialmente planetaria in cui il potere soggioghi tutto e tutti.In questo senso è fondamentale riconoscere il nesso indisso-lubile tra guerra e neoliberismo e tra questi e il modello di svi-

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luppo su cui si fonda il nostro stile di vita e di consumo.Il senso di impotenza di fronte alla realtà della guerra globale èin parte giustificato. Ognuno e ognuna di noi è poco di frontealle megamacchine belliche e massmediatiche.Eppure l’antagonismo alla guerra cresce, nelle piazze e neicomportamenti. C’è da augurarsi che il nodo guerra/neoliberismo, sia posto come base di discussione tra movi-mento antiliberista e movimento contro la guerra.La minaccia della violenza bellica si sta generalizzando comeconseguenza del disordine neoliberista a tutti i livelli dell’esse-re sociale. Un pacifismo radicale dunque non puo’ che essereantiliberista, in quanto il neoliberismo è la radice economicadella guerra; non solo, il liberismo partecipa di tutte quelle for-me di oppressione che promuovono comportamenti umani ditipo bellico-competitivo. Dobbiamo disertare la guerra, andarealle radici della guerra e decostruirne il potere: obiezione alletasse per le spese militari, lotta per la riconversione dell’indu-stria militare in impresa socialmente utile, ma ancheantimilitarismo come critica dei comportamenti machistico-competitivi interiorizzati. E’ la quotidianità della guerra, il nostrostesso stile di vita e modo di essere, a stringerci in una morsamortale.Il secolo passato, gli orrori dei campi di concentramento, leguerre razziali, il rischio nucleare, sembravano avere testimo-niato la necessità di mettere la guerra fuori dalla storia unavolta per tutte. Invece il pericolo bellico, la guerra come sostratodelle cose e delle relazioni si è generalizzata in mano a unpotere economico che sta mettendo a repentaglio il pianeta.La guerra deve diventare una volta per tutte un tabu’ dell’uma-nità. Sono dunque gli spazi sociali che abbassano il livello diviolenza, sperimentando relazioni personali, e insieme modali-tà economiche/politiche non-violente, ad aprire la strada perl’affermazione che è possibile stare al mondo senza la guerra,senza la competizione e l’odio.I movimenti hanno il compito di disorganizzare la violenza, di-sobbedendo ai meccanismi sociali, economici, politici,relazionali della violenza legalizzata, costruendo esperienze che

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concretamente siano capaci di organizzare la pace. Ecovillaggi,critical-mass, centri di formazione alla pace, diserzione milita-re, sono esempi tra loro differenti di ricombinazioni possibilidella convivenza che sperimentano, ognuna un aspetto, ognunaun frammento, la possibilità della pace.

Violenza

Se il neoliberismo mostra la violenza della guerra come pro-prio elemento strutturale, l’opposizione al neoliberismo non puòessere violenta e deve ridiscutere i propri mezzi di contesta-zione, inclusa la questione del rapporto con il potere statuale,monopolio moderno della violenza.Uno scontro frontale violento finalizzato alla presa del potereda parte delle opposizioni significherebbe la perdita dell’anta-gonismo e l’assimilazione al potere stesso. Di qui la nostradistanza verso le forme armate o organicamente violente del-l’antagonismo.

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L’esperienza di Genova rendetuttavia necessaria una chia-rificazione intorno alla violen-za. Difendersi dall’ingegneriamilitare della repressione dipiazza con atti violenti è altroda considerare l’utilizzo dellaviolenza come organico al pro-prio progetto politico. In que-sto senso è chiara e convin-cente la distinzione posta daMimmo Porcaro: “Attenendo-ci alla distinzione tra logica‘militare’ e logica ‘cooperativa’si può dire che un movimentoche concepisca la politica so-prattutto come rapporto di forza, anche se non accede alla verae propria violenza fisica, è violento in sé stesso perché identifi-ca la trasformazione dei rapporti sociali con l’attività dicoercizione. Invece, un movimento che concepisca la politicacome costruzione, e che nel suo periodo di formazione (quan-do si fissano i tratti costitutivi di qualunque soggetto) coltiviesclusivamente pratiche non violente, anche se dovesse farricorso (quando l’avversario si legittimi soprattutto attraversola forza ed usi la forza come strumento privilegiato) ad azioniviolente, non muterebbe immediatamente solo per questo il suocarattere genetico, e cioè la sua capacità di affrontare la tra-sformazione dei rapporti sociali secondo una logica cooperati-va”.9

In secondo luogo, la distruzione di beni privati, merci, luoghisimbolici della violenza capitalista (banche, agenzie interinali,distributori di benzina) non è assimilabile alla violenza contro lepersone. E’ una pratica che riteniamo poco convincente e con-troproducente sul versante della costruzione di consenso, mache certo non ci scandalizza.Pensare che distruggere una strada significhi liberarla dallapresenza del capitale vuol dire accontentarsi di uno “spettaco-

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lo della liberazione”, di una forma astratta e momentanea dide-mercificazione dello spazio.Il potenziale del movimento è al contrario quello di costruireforme concrete e permanenti di liberazione, de-mercificandolo stile di vita, il lavoro, i consumi, l’abitazione dello spazio e deltempo. Cadere in forme spettacolari, astratte, di conflitto de-termina un arretramento rispetto alla necessità che il conflittodeve generare sganciamento concreto, quotidiano, dai ganglidel potere, erosione dal basso della presenza neoliberista nel-le nostre vite di individue e comunità.Un’ulteriore distinzione va fatta nei confronti dell’assimilazionetra violenza e illegalità.Praticare azioni politiche illegali come forme di disobbedienzacivile fa parte dei diritti che l’umanità ribelle rivendica contro lalegalità dei potenti, come nell’800 il movimento operaio usavaillegalmente l’arma dello sciopero.Le occupazioni di case, le manifestazioni non autorizzate, lademolizione popolare dei McDonald’s, l’incendio dei campitransgenici, i blocchi stradali e il pirataggio, le invasioni di centridi detenzione, di cantieri bellici e caserme, insomma azionidirette contro le zone rosse, sono solo alcune forme di autono-mia dalle leggi che nulla hanno a che vedere con la violenza.A essa sostituiamo l’esigenza di percorsi di esistenza che co-

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struiscano spazi sociali e dunque forme di convivenza altri dallelogiche machiste e neoliberiste. Si tratta di percorsi politici, maè necessario ridiscutere i termini della politica. Laspettacolarizzazione della disobbedienza civile non ci soddi-sfa.

Politica

Il neoliberismo decreta l’economia come governo delle cose,riducendo la politica a mero spettacolo. Oggi la politica istitu-zionale non è il luogo in cui si gestisce il potere e la mediazionedel conflitto sociale. I poli di centro-destra e centro-sinistra nonpresentano alcuna differenza sostanziale di impostazione po-litico-economica tra loro. L’alternanza potrebbe apparire comeil gioco delle parti del poliziotto buono e di quello cattivo duranteun interrogatorio. Le opzioni neoliberiste di fondo, con tutte leconseguenze belliche, poliziesche e di erosione dei diritti fon-damentali, accomunano gli schieramenti saturando lo spaziodella politica istituzionale.Una immissione del movimento dei movimenti nei circuiti dellapolitica istituzionale significherebbe dunque scarsi risultati perquanto riguarda le alternative.Questo perchè il luogo in cui il capitalismo esercita il propriopotere non è più il parlamento e i governi sono appendici dellepolitiche economiche degli organismi internazionali (G8, Onu).Quale spazio trovano in questo sistema i movimenti?Pensiamo per esempio al bilancio partecipativo come occa-sione di costruzione di un potere dal basso capace di avvicina-re le amministrazioni locali a una partecipazione popolare alledecisioni di interesse collettivo.A livello globale il movimento dei movimenti in gran parte siassesta sull’idea neokenesyana di una possibileglobalizzazione governata dalla società civile. Questo progettoha lo scopo di invertire il rapporto tra economia e politica perridare priorità alla politica e alla partecipazione popolare.Il punto per noi fondamentale è però di cogliere la crisi epocaledella politica intesa in senso strumentale e attingere da quanto

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le critiche femminista, libertaria e zapatista hanno offerto. Ilmovimento dei movimenti ha la potenzialità di fare proprie que-ste critiche e pensare la politica in modo nuovo prima di rimet-terla a comandare l’economia, distanziandosi definitivamentedalla politica strumentale. Per esempio il bilancio partecipatopuò essere pensato e agito da comunità non guidate da leaderinipolitici che purtroppo nel movimento non mancano.Le logiche sottese alla politica istituzionale coinvolgono chiun-que entri nello suo spazio d’azione. Alleanze a fini elettorali,concessioni di poltrone, spartizione degli spazi d’azione, deci-sioni non trasparenti, occultamento di fatti di interesse pubbli-co: sono solo alcuni esempi delle logiche della politica intesa intermini strumentali.Quando prevale un concetto strumentale della politica dominal’accumulazione e l’esercizio della forza. Il ciclo di lottenovecentesche ha visto il prevalere di un’idea strumentale del-la politica su possibili alternative ad essa. La politica strumen-tale era in ogni caso il terreno di confronto/scontro con lo Statoautoritario al fine della presa del potere. Ponendosi sullo stes-so terreno, le pratiche antagoniste non si sottraevano alla logi-ca autoritaria del potere dominante. Molti movimenti rivoluzio-nari sono caduti nella trappola del potere. Alex Zanotelli riassu-

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me il concetto nel racconto di un dialogo avuto con RenatoCurcio: “’Alex lo sbaglio di noi brigatisti è stato solo uno: avercreduto a Machiavelli, che il fine giustifica i mezzi.’ Io gli horisposto: ‘Guarda Curcio che non sei stato il solo ad aver cre-duto a ciò, anche i tuoi nemici politici lo credevano fermamenteed hanno usato lo stesso sistema’”.10

Le esperienze anarchiche, utopistiche, comunitariste, creativedei movimenti radicali degli anni ’70 avevano già annunciatonuove forme di politica e tentato di praticarle. La politica anda-va riavvicinata alla vita, ai bisogni, ai desideri, ai corpi, ai con-sumi attraverso pratiche, collettive, di sovversione della vitaquotidiana. Ricordate il vecchio volantino?: “Quelli che parlanodi rivoluzione e di lotta di classe senza riferirsi esplicitamentealla vita quotidiana, senza comprendere cio’ che c’è di sovver-sivo nell’amore e di positivo nel rifiuto delle costrizioni.... co-storo si riempiono la bocca di un cadavere”.11

Le riflessioni femministe sono attente a mostrare come ogniaffermazione politica di liberazione per essere vera debba ri-flettersi in relazioni prime, in modi di stare al mondo con altri ealtre, liberati e liberanti. La ricchezza della politica deve dun-que essere quella di sperimentare mezzi che anticipino i fini.Se vogliamo costruire un altro mondo, in esso non possonovalere le pratiche relazionali che governano questo mondo. Ildiscorso femminista si concentra sull’aspetto di genere, sulpatriarcato come organizzazione storica della violenza e della“eliminazione dell’altra”. Il concetto di “politica prima” esprimeproprio questa opposizione alla simbolica e alla relazionalitàmaschile, la quale trova generazione nelle relazioni umane eda qui sperimenta di generalizzarsi nei luoghi della politica isti-tuzionale, “politica seconda”.

In fondo le esperienze libertarie e femministe si riaffaccianooggi nella sperimentazione di un nuovo concetto di “rivoluzio-ne“ da parte delle comunità zapatiste. Per gli zapatisti si trattadi contrapporre il nuovo spirito ribelle, al vecchio spirito rivolu-zionario:

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“L’atteggiamento che un essere umano assume di fronte allesedie è quello che lo definisce politicamente.Il Rivoluzionario (così, con la maiuscola) guarda con disprez-zo le sedie comuni e dice: ‘non ho tempo per sedermi, la pe-sante missione che la Storia (così con la maiuscola) mi haaffidato mi impedisce di distrarmi con delle sciocchezze’. Ecosì trascorre la sua vita, finchè arriva di fronte alla sedia delPotere, stende con una pallottola quello che ci sta seduto, sisiede con la fronte aggrottata, come se fosse stitico, e dice, esi dice: ‘la Storia (così, con la maiuscola) si è compiuta: tutto,assolutamente tutto, acquista un senso. Io sono sulla Sedia(così, con la maiuscola) e sono il culmine dei tempi’. E resta lìfino anche un altro Rivoluzionario (così, con la maiuscola) arri-va, lo sbatte giù e la storia (così, con la minuscola) si ripete.Il ribelle (così, con la minuscola) invece, quando guarda unasedia comune, la analizza a lungo, poi va a prendere un’altrasedia e la avvicina, e poi un’altra e un’altra ancora, e in pocotempo sembra già un dibattito, perché sono arrivati altri ribelli(così, con la minuscola) e cominciano a moltiplicarsi caffè, si-garette e parole, e allora, proprio quando tutti cominciano asentirsi comodi, diventano inquieti, come se avessero dei tarlinella zucca, e non si sa se sia stato l’effetto del caffè o dellesigarette o delle parole, ma tutti quanti si rialzano e si rimettonoin cammino. E vanno finché incontrano un’altra comunissimasedia e la storia si ripete.C’è solo una variante: quando il ribelle si imbatte nella Sediadel Potere (così, con le maiuscole), la guarda a lungo, la ana-lizza, ma invece di sedersi va a prendere una lima di quelle perle unghie e, con eroica pazienza, si mette a limare le zampefino a che, a suo giudizio, siano così fragili da spezzarsi quan-do qualcuno si siede, cosa che avviene quasi immediatamen-te. Ecco qua.”12

Per noi oggi interpretare il nuovo concetto di rivoluzione zapatistasignifica creare pratiche basate sul consenso. Il metodo deci-sionale del consenso si contrappone alla tradizionale modalitàdi scelta attraverso il voto, con la conseguente creazione di

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maggioranze e minoranze ed una divisione impari del potere. Ilconsenso necessita di tempi lunghi e di una messa in discus-sione di sè, per arrivare a una decisione partecipata.Tale pratica ha bisogno di uno schema di potere basato sul-l’autorevolezza.Il nuovo soggetto attivo dell’autorità è chi la conferisce. In que-sto modo l’autorità all’interno di un gruppo non viene presa sulgruppo (dai leader, dai più forti, da chi alza più la voce), mariconosciuta dal gruppo stesso e conferita a individui.Si tratta di processi in cui le comunità ed i singoli acquisisconopotere, competenze, conoscenze dove i meccanismi autorita-ri vengono costantemente monitorati e scartati dal gruppo stes-so.

Queste pratiche sono un tentativo di erodere il potere nelle sueradici più profonde.Il potere si gioca tutto sui rapporti di forza, cioè sulle relazionidinamiche e conflittuali tra diverse componenti della società.La storia del potere in fondo è la storia di una potente tentazio-ne umana.

Esso infatti può essere gestito almeno secondo due modalitàfondamentali: quella autoritaria e quella partecipata. La primadivide l’umanità. La seconda la unisce. La prima, dopo averediviso l’umanità, cancella le differenze (esclusa quella tra chiha il potere e chi no). La seconda, dopo avere unito l’umanità,esalta tutte le differenze (esclusa quella tra chi ha il potere echi no).

Le forme del dominio

Nel neoliberismo troviamo forme differenti di potere autoritario.Fa sue dominazioni più antiche, rielaborandole alla luce del-l’oggi.

1) Dominio del capitale sull’essere umano: l’infinita brama diaccumulazione economica del profitto si fonda sul proces-

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so di sfruttamento capitalistico del lavoro. Se il profitto deveaumentare all’infinito, tutto deve lavorare a suo favore. Tuttosignifica conquista biopolitica dell’essere umano. Con il pas-saggio a una organizzazione della produzione che prevedela messa al lavoro di tutte le capacità cognitive e relazionalidell’essere umano, scompare la distinzione stessa tra vitae lavoro. Insieme all’erosione dei diritti questo compie il do-minio del capitale sulla vita. La critica dell’etica lavorista,comune agli schieramenti, diventa oggi una chiave fonda-mentale per la liberazione dei bi(sogni) e dei desideri di vita.

2) Dominio dell’uomo sulla donna: la millenaria divisione dellavoro che segna la collocazione della donna nel lavoro do-mestico di riproduzione della vita, mentre consegna l’uomoalla gestione delle sorti dell’esterno/mondo, fonda la civiltàpatriarcale che generalizza come universale la cultura ma-schile. La cultura maschile normalizza pratiche relazionalidi tipo bellico e competitivo, esalta il predominio dell’ego,della razionalità, del senso del dovere, spacciando tutto cio’per “natura umana”. Se i femminismi hanno intrapreso unamoltitudine di percorsi emancipatori della donna, essi han-no dato al maschio la possibilità di emanciparsi dal patriar-cato, attraverso una reinvenzione della politica di genere euna maggiore consapevoleza di sé.

3) Dominio dell’essere umano sulla natura: l’occidente segnala separazione definitiva tra essere umano e natura. La na-tura è oggetto di contemplazione/osservazione/sfruttamen-to. Il regime di vita consumistico dipende totalmente dallosfruttamento delle risorse naturali. Il capitalismo è la primasocietà nella storia umana a rischiare l’esaurimento del pia-neta, il suo collasso definitivo. Il neoliberismo non risparmiadel proprio dominio biopolitico nessuna forma di vita: labiotecnologia porta l’accumulazione economica dentro isegreti della terra. La necessità della contrazione e conver-sione dei consumi si trova ad attingere dalle pratiche e dalletradizioni dei movimenti ecologisti e ambientalisti radicali.

4) Dominio della civiltà occidentale sull’umanità: l’occidentecristiano sancisce il dominio del bianco su tutti gli altri colori

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della pelle umana. Secoli di conquiste in nome della propriafede, della propria visione del mondo, fanno dell’uomo bian-co uno dei dittatori più longevi nella storia dell’umanità. Nel-l’economia dei colori siamo di fronte a una neutralizzazionedell’arcobaleno umano: essere ovunque ma invisibile, que-sta la strategia del potere, questa la qualità del bianco. La“missione civilizzatrice” dell’uomo bianco, un tempo fatta innome della fede cristiana, o poi , con la rivoluzione france-se, degli ideali umanistici di progresso e razionalità, oggi èportata avanti in nome della democrazia capitalista occiden-tale.

5) Dominio dell’adulto/a sui bambini e le bambine: in un mondoconsegnato all’ansia del profitto, al rigore della morale, allaserietà del lavoro, i bambini non hanno spazio. Cosi’ pocoansiosi, così poco rigidi e così poco seri rischiano di sviarel’adulto dal mestiere di sopravvivere a se stesso. Bisogna alpiù presto far dimenticare loro i giochi dell’infanzia inseren-doli in una dis-educazione sentimentale che porti nuovi frut-ti, cioè nuovi gregari. La scuola si premura di prendere ipiccoli individui, svuotarli delle loro potenzialità creative erenderli gregari attraverso didattica, voti, competizione, pu-nizioni, sensi di colpa. La televisione colonizza l’immagi-nario infantile di logos e acquisti, consumi e modellipreconfezionati di adultità cui aspirare. Il neoliberismo pro-getta la totale immissione dei bambini nei circuiti economiciattraverso la fornitura di non-luoghi capaci dispersonalizzarne il tempo di vita: gli infiniti “paradisi dei bam-bini” che l’Ikea ha inventato, permettono la normalizzazionenella coscienza infantile della sovrapposizione tra tempo econsumo.

Il rapporto con il potere dunque è carico di una storia fatta prin-cipalmente di autoritarismo e dominio.Pensare a un potere privo di autoritarismo richiede uno sforzoper immaginare modelli altri del potere che risiedano su rela-zioni e modi delle decisioni direttamente partecipativi e condi-visi. Gli zapatisti parlano di “comandare ubbidendo”: non pos-

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siamo immaginare una comunità umana priva di leadershipma tale leadership può avere consenso se chi guida è nellemani della comunità e non viceversa.Un mondo organizzato a partire da un potere partecipativo èsicuramente un mondo più giusto del nostro perché attraversola partecipazione diretta alla gestione del potere comunitariotutti e tutte possiamo direttamente modellare la comunità in cuiviviamo, i suoi scopi, i suoi metodi, il suo senso stesso.

Camminare domandando

La globalizzazione radicalizza la missione capitalista di inte-grare il pianeta all’interno di un unico mercato globale, correlatoall’ideologia di un “pensiero unico”. Lo slogan zapatista “Perl’umanità contro il neoliberismo” allude a una pluralità di forzesociali a essere coinvolta in quello che una volta si sintetizzavacome conflitto tra capitale e lavoro. Riscrivere questo conflitto

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come conflitto tra neoliberismo e umanità significa individuarenel presente un’espansione, altamente conflittuale, di ordinequantitativo del mercato e delle sue leggi al pianeta intero, maanche un radicamento qualitativo delle leggi di accumulazionecapitalistica nel tessuto sociale, tanto profondo da ridurre apropria funzione tutti gli aspetti della vita sociale. Il neoliberismorende dunque potenzialmente antagonista ogni soggetto so-ciale che rivendichi dignità.La modernità ci ha consegnato un discorso sulla rivoluzionelegato all’idea che vi fossero soggetti particolari in grado di ri-solvere le contraddizioni della storia determinate dal conflittotra capitale e lavoro. Questo discorso è fallitto perchè laristrutturazione del capitalismo ha determinato la crisi stessadella possibile localizzazione particolare del conflitto e insiemedi una possibile politica del soggetto antagonista unico (il parti-to, il lavoratore) in grado di farsi carico della soluzione dellecontraddizioni. I diversi discorsi che da trentanni parlano di post-modernità, post-fordismo, neoliberismo alludono tutti a uno stra-ripamento del potere capitalista dai confini della fabbrica-stato,verso lo sconfinato che è il vivente. Anche la formula che de-creta la crisi della politica, invasa dal comando economico, vanella direzione di un’immagine dell’oggi come di un presente incui il capitalismo dichiara la morte di tutti i soggetti che il ‘900descriveva come attori di mediazione nei conflitti tra il capitalee l’esistenza. Questo straripamento era stato individuato daalcuni soggetti, come i pensieri femministi, il situazionismo, ilmovimento non-violento, ma egemoni rimanevano le opzionilegate ai soggetti unici di stampo leninista.

Inoltre l’esito delle nostre lotte non è assicurato a nessuna co-noscenza totale della storia, a nessuna verità di essa, dunquea nessun soggetto unico della trasformazione.Rifiutando lo strumento analitico di vecchie, o nuove, filosofiedella storia affermiamo di non disporre di “saperi totali”, di teo-rie del tutto che rendono superflua la contaminazione con glistrumenti critici che altri adoperano.La nostra comprensione della storia è parziale, l’esito si mo-

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stra nella sperimentazione sociale quotidiana, i soggetti dellatrasformazione, della nostra rivoluzione, sono tutti coloro e tut-te coloro che affermino la loro dignità, ponendosi in una pro-spettiva di emancipazione dal potere neoliberista e dalle sueistituzioni ideologiche, economiche e sociali.Con Zibechi: “La frammentazione delle società moderne indi-ca che non esiste un’oppressione o una contraddizione princi-pale la cui risoluzione acceleril’andamento di tutto il resto. Lacomplessità delle nuove realtàci avverte che non esiste il nodogordiano da poter tagliare persbrogliare tutte le forme di do-minio, e pertanto neppure esi-ste un unico soggetto in gradodi farlo”.13

Sono allora necessarie una plu-ralità di pratiche di alternativa,di rivolte etiche, di percorsi didisobbedienza, sperimentazionidi autonomia dal basso eautorganizzazione della socie-tà.

La pedagogia della ribellione

La globalizzazione neoliberista dunque produce la guerra comeorizzonte globale e permanente, “equivalente generale” dell’eco-nomia, della politica, dell’etica, sorgente delle stesse.La guerra che abbiamo di fronte non è solo la guerra delle bom-be, siamo di fronte a una “pedagogia della guerra” capace dinormalizzare l’odio per il diverso, la paura per l’altra, la compe-tizione come comportamento selettivo tra simili.

Tale pedagogia avanza attraverso il controllo-carcerazionebiopolitico della vita.

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Ogni aspetto dell’esistenza è invaso dalla religione neoliberistadel denaro e del profitto e consegna il tempo di vita alla produt-tività, alla mercificazione, al consumo, all’insensatezza.I media, attraverso la banalizzazione della violenza televisiva ela produzione di un immaginario costruito sullo schema milita-re dei video giochi, normalizzano la coscienza individuale pre-parando nuovi gregari del sistema. Lo spettacolo sussume larealtà:

“I divertimenti elettronici propongono di solito dei mini raccontid’avventura con scenari che spesso si ispirano a scenari reali(...) Un eroe segue un percorso iniziatico nel corso del qualeelimina in continuazione degli avversari sempre più temibili.Uccidere, distruggere, sparare sono gli atti che questi giochirichiedono costantemente, e che l’adolescente esegue premen-do semplicemente un pulsante. A lungo andare quel piccologesto che uccide banalizza e rende irreale l’idea stessa dellamorte che pure costituisce il fondamento stesso della filosofiae delle religioni di tutte le civiltà”.14

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Non sono solo i videogiochi e l’alternanza confusiva tra cartonianimati e telegiornali a banalizzare la violenza e normalizzarela guerra. Il modello pedagogico del reality show ha la funzionedi comunicare l’idea che dietro tutte le comunità umane esistauna guerra permanente finalizzata all’eliminazione dei proprisimili.La scuola, con la gerarchizzazione delle prestazioni mediantei voti, prepara i bambini e le bambine a quella forma “civile” diguerra che è la competizione tra adulti.Agli inadeguati e le inadeguate ci pensano i calmanti e gli psi-chiatri.Questa pedagogia si basa sull’irragiungibilità della felicità e ladiffusione di massa dello scontento. Competere, produrre sem-pre nuove prestazioni di sé, rende frammentata la costruzionedelle biografie individuali, costantemente sottoposte ad ansie einsoddisfazioni. Nuovi mercati accolgono la sofferenza e cer-cano di porvi rimedio: palestre e personal trainer, psicofarmacie rabdomanti dell’anima, weekend di decompressione e clini-che del benessere, domeniche di famiglia negli ipermercati emaestri orientali pagabili con carta di credito. Tutti rimedi che,serialmente sostituibili l’uno all’altro, non intaccano la profondainsoddisfazione di quella parte di umanità che si definisce delben-essere.Opporsi a questa pedagogia significa riscrivere gli ambiti dellanostra esperienza di vita sotto il segno di una “pedagogia dellaribellione”.

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E’ necessario un profondo sforzo collettivo di decolonizzazionedell’immaginario.I bambini e le bambine hanno diritto a divertirsi stando l’unocon l’altro a vivere a partire dai loro desideri. Gli adulti e le adul-te hanno il diritto di dormire le loro notti e non di soffrirne leinsonnie.Le alternative sorgono da ogni ambito dell’esperienza.Non c’è un fenomeno sociale privilegiato sul quale agire per latrasformazione, è necessario rivoluzionare tutti gli ambiti dellenostre esistenze. Il sapere, i consumi, la pedagogia, la que-stione di genere, l’abitazione, il lavoro: tutti ambiti della riprodu-zione della vita, subordinati alla violenza mercificante del capi-tale bellico. Riappropriarsi della riproduzione della vita significaallora intessere con altri soggetti strategie di esodo dallagregarietà nei confronti del potere.Non allora una strategia di presa del potere, ma una reticolaritàdi esperienze che tentando l’autorganizzazione del sociale svin-colino la vita quotidiana e le relazioni sociali dal potere, erodendodal basso l’impero. Autoproduzione e cooperative di acquisto,centri sociali e media indipendenti, microeconomie non mone-tarie e scambi di tempo, forme di rifiuto del lavoro salariato eautoproduzione di reddito, esperienze comunitarie e scuole li-bere: sono solo alcuni esempi delle infinite possibilità di unacreatività sociale demercificata.La metafora lilliputziana dell’imbrigliamento del gigante attra-verso l’intreccio di mille lacci ribelli, coglie solo in parte la que-stione. Se è vero che si tratta di un grande sforzo cooperativotra piccole individualità, tale sforzo non deve avere di mira ilporre legami al gigante neoliberista.Ci sembra più calzante la metafora del limare le gambe dellasedia su cui il potere si siede. Ciò che rende grandi i potentisono le sedie su cui gongolano.Non sono idee nuove, e questo le rende ancora più valide.Howard Zinn scriveva in merito alla nuova sinistra nel 1969:

“L’idea della nuova sinistra di organizzazioni parallele qualiesempi per dimostrare che cosa dovrebbe fare la gente, come

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dovrebbe vivere, ha possibilità enormi: scuole libere, libere uni-versità, città libere, comunità autogestite. Ma anche sacchelibere e attive di persone all’interno della città, delle università,delle aziende tradizionali. Nei combattimenti militari, la guerri-glia nacque in risposta allo schiacciante potere militare centra-lizzato. Forse abbiamo bisogno di tattiche di guerriglia politicadi fronte alla società di massa, in cui creare enclave di libertàqua e là all’interno dello stile di vita ortodosso, affinchè diventi-no centri di protesta ed esempio per gli altri”.15

Abbiamo bisogno di essere un nuovo tipo di rivoluzione.

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Note:

1 John Halloway, La rivolta della dignità, in Camminare domandando. La rivoluzione zapatista, a cura di Alessandro

Manucci, Roma, DeriveApprodi, 1999.

2 Danilo del Bello, Potenza contro potere: l’utopia zapatista, in Camminare domandando, cit.

3 N. Chomsky, J. Herman, La fabbrica del consenso, p.16, Roma, Marco Tropea Editore, 1998

4 A. Mellucci, Culture in gioco. Differenze per convivere, Milano, Il saggiatore, 2000, p.24,

5 A. Mink, Cambio 16, Madrid, 5 dicembre 1994; cit. in I. Ramonet, Il pensiero unico e i nuovi padroni del mondo,

Roma, Strategia della lumaca, 1996.

6 Subcomandante Marcos, La quarta guerra mondiale è cominciata, Roma, Il Manifesto-Le Monde Diplomatique,

1998, p.16

7 T.Friedman, New York Time Magazine, 28 marzo 1999.

8 Intervista a N. Chomsky, In Movimento, Roma, DeriveApprodi, 2002.

9 Mimmo Porcaro, Primi appunti sul movimento, Milano, 27 Dicembre 2001, http://www.brianzapopolare.it/sezioni/

mondo/globalizzazione/genova_movimento_2001dic27.htm

10 Intervento di Alex Zanotelli all’Assemblea Nazionale della Rete di Lilliput, ottobre 2000.

11 AA.VV, Vivere insieme: Il libro delle comuni, Arcana, 1974

12 Subcomandante Marcos, La rebeldia e le sedie, 2003

13 R.Zibechi, Il paradosso zapatista, Milano, Eleuthera, 1998

14 Ignacio Ramonet, Il pensiero unico, cit, p.28

15 H.Zinn, Dissobbedienza e democrazia, Milano, Il Saggiatore, 2003.

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Indice

Non introduzione pag.7

Dal tramonto del socialismoalla zona rossa di Genova pag.15

11 settembre un’oscura tragedianel cuore dell’impero pag. 69

L’esplosione delle zone rosse pag.103

Erodiamo le sedie del potere pag.167

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