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1 Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XII n° 4/2008 Abitare la vita

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SO

MM

ARI

OPrimapagina3

La melodia della vita6

Nel palmo della mano 4

Dedicato a tutti gli assenti10

Come una barca nel mare 8

La nostra casa è sempre oltre14

Un tesoro nascosto nel campo 12

Una pace possibile20

Contemplare il creato 18

Alle radici dell’amore 22

Natale, il mistero della fragilità24

Il viaggio della veglia di Romena 26

Graffiti 30

Verso il Natale28

trimestrale Anno XII - Numero 4 - Dicembre 2008

REDAZIONElocalità Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)tel./fax 0575/582060

DIRETTORE RESPONSABILE:Massimo OrlandiREDAZIONE e GRAFICA:Simone Pieri, Alessandro Bartolini Massimo Schiavo

FOTO:Massimo Schiavo, Eliseo Pieri, Piero Checcaglini, Elisa VitoCOPERTINA:Massimo Schiavo

HANNO COLLABORATO:Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Maria Teresa Abignente, Luca Buccheri, Luigi Padovese, Wolfgang Fasser.

Filiale E.P.I. 52100 ArezzoAut. N. 14 del 8/10/1996

www.romena.ite-mail: [email protected]

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PRIMA

PAG

INA

Nevica. Nevica dolcemente, il vento si culla ogni fiocco.Nevica sul Casentino, il grigio chiaro del cielo si tuffa nel bianco della valle.Nevica, e una coperta lieve copre ogni rumore, se cammini senti anche i tuoi passi, affondano morbidi, fanno musica.

Penso alle tante nevicate cui ho assistito. Ti affacci fuori, e devi restare dentro. Hai mille cose da fare, e puoi solo aspettare. Senti quell’evento come una violenza. Come se la natura ti obbligasse ad accorgerti di lei. Poi passa. Ti scopri a seguire la scia infuocata delle braci sul camino, a scrivere una lettera a un amico, ti riesce anche di giocare, come un bambino, all’aperto. E non ti ricordi neanche perché, fino a poco prima, ti tormentava la tua ansia. Le sbarre sono sparite, ti consegni volentieri a quell’oceano di pace e di bellezza.Associo questa nevicata a una recente esperienza. Durante un corso che sto facendo con la Compagnia delle Arti di Romena, ci è stato chiesto di metterci a coppie e di ascoltarci. Per cinque minuti uno dei due doveva parlare e l’altro star lì, occhi negli occhi, senza voltarsi, senza annuire, senza ribattere. L’amica che doveva farlo con me la conosco da anni. In quei cinque minuti ho visto di più. Non mi sfuggiva nulla, le sue parole scolpite, gli occhi che salivano e scendevano, i suoi capelli, e come erano pettinati, il sorriso accennato e l’onda del suo volto in movimento. Ho visto un mondo anche se quel mondo lo avevo sempre avuto a portata di mano.Ha scritto padre Balducci che è l’ascolto, l’ascolto del mondo e degli altri, che ci permette di uscire dal nostro “monologo” e di entrare nella grande sinfonia dell’universo. Sento che il mio ascolto è spesso prigioniero della mia emotività o del mio attivismo, che il mio “monologo” nasce da quella frenesia del fare che distribuisce ciò che sento solo in funzione del bisogno, solo in previsione della sua efficacia. Si può andare oltre, sento il bisogno dell’oltre. E quest’oltre è in un orizzonte più vasto e pro-fondo dell’ascolto, capace di farmi incontrare nuove note nella sinfonia dell’universo. Me lo dice una nevicata, me lo ha comunicato un’amica.

“Abitare la vita” dice il tema di questo numero. Per me, in questo momento, vuol dire imparare ad ascoltarla meglio. Non so se in questo bisogno si riconosce anche qualcuno di voi. So che questo tema si può sviluppare solo uno ad uno, ciascuno dal luogo dove si trova la sua vita, ciascuno indirizzandosi verso ciò di cui sente l’assenza. La vita da abitare non è solamente quella che viviamo, è il nostro presente nutrito anche dal richiamo del futuro. Dov’è che spinge la vostra vela? Cosa vi manca per sentirvi più autentici, più vicini a voi stessi, alla vostra vita? Ora tocca a voi svolgere, nella vostra intimità, questo stesso tema. Se volete, vi posso offrire un po’ di questa neve, la sua carezza di pace, il suo tempo senza tempo, il suo profumo di domani, sotto una scorza bianca di silenzio. Può essere un buon aiuto per il vostro ascolto interiore. Di sicuro è anche un modo perché possiate immaginare la nostra Romena imbiancata, come in una cartolina di auguri inviata al cuore di ciascuno di voi.

Massimo Orlandi

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Spesso ciò che ci è familiare non lo conoscia-mo, perché è sempre sotto i nostri occhi e per-ché l’enfasi eccessiva delle ripetizioni rende scontati i modi di fare, gli atteggiamenti e gli obiettivi.Gli aspetti per noi più importanti delle cose sono nascosti dalla loro semplicità e quoti-dianità.

Minima Moralia di Adorno, uno dei più bei libri scritti sulla vita quotidiana, aveva come sottotitolo “Riflessioni di una vita offesa”.La vita quotidiana è così il teatro di una ten-sione costante, un insieme di pratiche, di am-bienti, di relazioni.Ci si attrezza a vivere con l’incertezza, elabo-rando volta a volta strategie utili a eliminare dall’orizzonte ciò che procura ansia.

In questa vita offesa, se vogliamo rimane in piedi e non essere travolti, dobbiamo prende-re esempio dallo stile di vita del monaco e dell’artigiano. Per loro prioritario è il presen-te, il Kairòs, che vuol dire armonia.Il monaco e l’artigiano si incarnano nel pre-sente, lo attraversano, per trovare la misura giusta dell’armonia e cercare una saggezza che renda abitabile questa nostra vita terrena.Il vivere intensamente il presente li porta a conquistare se stessi, uscire da sè e affrontare il mondo.

Oggi la nostra vita è un continuo migrare e migrare è sempre smantellare il centro del mondo per entrare in un mondo perduto e di-sorientato di frammenti.Dio è sempre molto attento ai dettagli e ai frammenti: agli occhi, ai gesti, a come si fan-no e si dicono le cose, al granello di senape, alla pecora perduta, allo spicciolo della ve-dova.In ogni momento di frantumazione e di crisi Dio ci chiede di partire dai frammenti e dai dettagli per riprendere il cammino e la nostra dignità.L’attenzione ai particolari appartiene a uno

stile di vita orientato alla profondità e all’in-teriorità; un dettaglio è ciò che fa commuove-re, è ciò che fa innamorare o che ci fa perdere per un momento nella vertigine dell’infinito.

Oggi dobbiamo tornare a scegliere e smette-re di vivere per contrarietà, perché senza una storia di scelte nessuna dimora può essere una casa.Dopo l’anno di pausa che mi aiutò ad attra-versare la crisi senza scappare, decisi di tor-nare. Dovevo scegliere un luogo per abitare e la scelta di Romena non è stata una scelta di gusto, ma di intuizione, è stata eleggere un luogo in cui le due linee della vita si incro-ciavano.Ad abitare un luogo così intensamente, dopo un pò senti che l’amore non è un luogo, ma un modo di vivere, e la tua casa non è più l’abitare, ma la storia non detta di una vita vissuta.

Ogni fiore, casa, amore, lavoro è iniziato dal palmo di una mano.All’inizio di Romena in falegnameria creavo icone, ma anche tavoli e altri oggetti per ar-redare la casa, e tutto partiva dal palmo della mia mano. Accoglievo chiunque attento ai dettagli e tutto partiva dal palmo della mia mano; il palmo della mano era il crocevia delle due linee, io e Dio, io e l’altro. Dobbiamo tornare ad abitare la vita per far sì che non si ripeta la triste liturgia delle stesse parole e dei gesti di chi consuma.Abitare la vita è permettere all’altro di abi-tare con te in un “luogo” che non pretende una chiarezza senza ombra, un’identità senza divenire, un posto fisso.L’altro in noi deve restare di carne, vivo, mo-bile, senza mai trasformarlo in un’idea; biso-gna scoprire i gesti o le parole che toccano l’altro nella sua alterità.Abitare è essere capaci di risparmiare in noi un luogo non solo per l’altro, ma per la rela-zione con lui, creare uno spazio libero in cui ciascuno si possa sentire a casa.

N e l PA l M O d e l l A M A N Odi Luigi Verdi

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La pelle del palmo

ha memoria

tenace.

Erri De Luca

Foto di Massimo Schiavo

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Di recente ti ho sentito usare questa bella espressione: “Vivo volentieri”. Cosa significa?È quello che sento ogni mattina al mio risveglio. Vivo volentieri, non mi devo sforzare. E devo que-sto alla scelta di una vita autentica.Cosa intendi per autenticità?Io sono autentico quando vivo in modo sempli-ce, essenziale. È una delle grandi lezioni che ho imparato trascorrendo lunghi periodi in una delle regioni più povere dell’Africa, il Lesotho: godi di quello che hai. Questo non vuol dire che io non sappia apprezzare le comodità: ma so che i soldi e l’aver troppe cose mi allontana dal contatto pro-fondo con me stesso. Ma ti è capitato anche di vivere con fatica, di svegliarti senza la stessa gioia? Quando ti alzi con quel senso di depressione, quando senti che metterti in movimento ti costa, vuol dire che c’è qualcosa nella tua vita che non sei te.Tutte le volte che mi sono trovato a compiere scel-te che mi allontanavano da me, che non erano au-tentiche, mi sono ammalato.In che modo riesci a stare vicino a te stesso?Ascoltando la melodia della mia vita. Se ci si ascolta profondamente si sente come una melodia di fondo che ci accompagna sempre. Immagina una grande orchestra i cui strumenti, i violini, i corni, le trombe, sono i temi di fondo, le grandi aree d’interesse della nostra vita. Nel corso della vita, uno di questi temi, la passione per la fi-sioterapia, quella per l’Africa, la musica, l’ascolto della natura, è venuto alla ribalta, e mi sono sentito bruciare dal desiderio di esplorarlo, di metterlo al centro dell’orchestra, con un ruolo da solista. Ogni volta questo tema ha avuto poi una fase di realizza-zione e poi una sua conclusione, ma anche quando ha esaurito la sua parabola è rimasto con me nella sua essenza, come un timbro da apportare al ri-tornello successivo della melodia. Così ogni volta l’orchestra trova un nuovo tema dominante, ma è costantemente arricchita dai temi già sviluppati. Inoltre sullo sfondo ci sono delle note costanti, che accompagnano tutta la melodia, per me per esem-pio è la mia cecità, e il modo di affrontarla.

Ecco, se si riesce a riconoscere il movimento me-lodico che c’è dentro di noi riusciamo meglio a compiere le scelte più giuste. In questo momento qual è il tema dominante nella tua melodia di vita?Sono consapevole che in questa fase al centro della mia vita ci sono alcuni impegni di fondo. Innan-zitutto un compito di formazione: la formazione dei miei giovani colleghi musicoterapeuti al Trillo, la formazione dei fisioterapisti in Lesotho. Poi un compito di apprendimento: sto partecipando a un master di musicoterapia in Svizzera. Ricorda, che per tenersi svegli, è bene continuare a rimettersi sempre sui banchi di scuola. E al cuore di questa fase c’è il compito di realizza-re questa nuova esperienza di incontro e di ascolto della Fraternità di Romena a Quorle. Sono consapevole che altre richieste, altre oppor-tunità io non posso seguirle, non posso soddisfarle. Ma il fatto di aver centrato gli obiettivi che sono più vivi dentro di me mi rende sereno, mi rende più facile muovermi nelle mie giornate. Non sempre però nella vita i cambiamenti han-no un ritmo così armonico…Nella melodia della vita c’è spazio per le conso-nanze, ma anche per le tensioni. Le dissonanze sono necessarie all’armonia perché tengono viva la nostra vita, la aprono a nuovi orizzonti.Capiterà però anche a te di compiere scelte che non vanno nella giusta direzione. Che rapporto hai con gli errori. Ho compreso che gli errori esprimono il loro si-gnificato solo più avanti, lì per lì non lo vedi. Per questo è bene lasciarli aperti, non definirli. E poi, se è possibile, quando si è capito, bisogna provare a condurre quella lezione verso qualcosa di positi-vo. Ho sempre davanti il grande esempio di Nelson Mandela. La tragedia dell’apartheid era stata un enorme errore e lui, per primo, ne aveva subito le conseguenze. Ma quando divenne presidente del Sudafrica disse chiaramente: “Il nostro compito è di tradurre quel drammatico errore in qualcosa di positivo di cui il Sudafrica e l’umanità intera potranno andar orgogliosi”. E così l’apartheid finì con uno straordinario percorso di riconciliazione.

l A M e lO d I A d e l l A v I tAConversazione con Wolfgang Fasser

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I gesti essenziali sono quelli che servono per far vivere, evocano il pane, la casa, l’amore, la speranza, la confidenza…

Antonietta Potente

Foto di Massimo Schiavo

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Vorrei abitare la vita come una barca abita il mare. Leggera, sapendo di essere sostenuta dalla carezza dell’acqua vorrei partire senza paure, allontanandomi pian piano dalla terra verso un orizzonte che sembra sempre più vicino, vicino allo sguardo. Andare verso il sole e sulla sua scia lasciarmi cullare, senza la pretesa di sapere dove il vento mi condurrà. Partirei come si parte sempre all’inizio del viaggio della vita, senza altro bagaglio che la mia libertà, lo spazio e l’eternità. E davvero mi abbandonerei al dondolio dell’onda, certa che il suo abbraccio mi proteggerà sempre; che non avrò fame e sete, ma che per me fame e sete saranno saziate. La mia culla avanzerà sicura e a me non resteranno che paesaggi da guardare ed infinita riconoscenza. E gli scogli fra i quali sosterò avranno il nome di chi, con i suoi occhi, mi sprona a procedere e mi incoraggia ad avanzare. E le spiagge dove mi fermerò mi custodiranno con il sorriso buono ed accogliente di chi non giudica i miei errori.Il mare, come la vita, vuole essere sempre con-quistato, a colpi di remi che fanno sanguinare le mani o fidando nel vento favorevole; sempre chiede fatica e attenzione e la pazienza di sop-portare il sole che arde quando è mezzogiorno e saper scrutare la lontananza. Il mare chiede di attendere, come la vita; chiede di guardare in alto per scoprire le stelle, anche quando velate dalle nuvole sembrano scomparse per sempre.Poi verrà il tempo delle burrasche e il desiderio immenso di sfidare le onde e il vento. E quando arriverà la paura e le onde si faranno grosse non servirà scappare, ma anzi bisognerà andar loro incontro. Solo così faranno meno male. In quel momento cercherò di diventare io stessa onda e acqua schiumeggiante; dovrò smettere di rema-re tentando di sfuggire e affronterò invece con coraggio la tempesta, anche se sentirò brividi di freddo e di paura.

Dovrò restare in piedi e puntare la prua diritta verso l’onda che si prepara e si gonfia. Il sapore dell’acqua salata che mi schiaffeggia si mescolerà a quello delle mie lacrime.Il mare, come la vita, vive di drammi e di nau-fragi: a volte però dalle profondità degli abissi emergono tesori che solo grazie alle tempeste ci vengono donati, rendendoli ancora più preziosi. Così quando il sole e la calma torneranno potrò riposare: tra le mie mani spaccate dal sale e dal vento troverò i segni della bufera, ma anche per-le inaspettate di una bellezza inestimabile e di una purezza ignota fino ad allora. E sarò ancora riconoscente. Scivolerò pacata nel mare ritornato tranquillo e avrò negli occhi la gioia di aver vinto una tem-pesta e sul corpo avrò le sue ferite; sarò un poco più sicura, ma saprò anche che altre burrasche arriveranno e che altre onde mi faranno tremare e sussultare. Ma questo non mi fermerà.Il mare, come la vita, è fedele verso quelli che lo amano e allora getterò le mie reti e le tirerò su colme: prenderò solo il necessario, solo quello di cui ho bisogno. Il resto lo restituirò all’acqua perché il mare vuole sentire che lo si desidera sempre, come la vita. Sarà bello poi al tramonto seguire il riflesso del sole che traccerà per me la rotta da seguire: sarà come incontrare, nel brillare dell’acqua, le mani che mi hanno sostenuta, gli occhi fieri che mi hanno seguita, le voci che mi hanno accarezzato mentre lottavo. E tutto sarà finalmente calma e pace, non rimarrà che silenzio e quella luce indefinibile che precede la notte. Potrò allentare la presa dai remi, lasciare che la mia barca, seguendo il gioco scintillante dell’ultimo sole, approdi verso l’orizzonte.Lascerò andare zavorre e ormeggi ormai inutili, finchè il mare, come la vita, mi prenderà tra le sue braccia.

COMe uNA bARCA Nel MARedi Maria Teresa Marra Abignente

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Non andare sempre fino in fondo,

c’è tanto in mezzo! Elias Canetti

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È una dedica per tutti, anche per te. Sembra paradossale, ma non è per niente scontato saper abitare la vita, solo per il fat-to di trovarsi fisicamente presenti su questa terra. Ti sarà capitato tante volte di veder persone che mentre parli loro sono con la testa da un’altra parte, oppure di conoscere coppie che, pur dormendo sullo stesso letto, vivono mondi e storie diverse. Ma anche noi stessi, quanti film, quante con-getture prima di entrare in una situazione, senza accorgersi di quanto opi-nioni e pregiudizi possano distorcere la realtà, a vol-te procurandoci perfino sofferenze per eventi che non accadranno mai.L’essere umano è mae-stro in questo, è la sua grandezza, ma è anche la fonte dei suoi pro-blemi. Parlo di quella sua divina capacità di costruire la vita, di pensarla prima ancora di abitarla, di renderla colorata e avvincente oppure disastrosa ed infelice prima ancora di assaggiarla. Lo fa con l’immaginazione, con la fede, lo fa con la scelta dei punti di vista, con la capacità di attribuire il significato alle cose, di dare un nome a tutto ciò che esiste o che solo potrebbe esistere sulla terra. Proprio come quando Dio dà ad Adamo ed Eva il compito di dare un nome a tutto ciò che loro vedevano intorno. Ma dà loro un confine, da non oltrepassare. E sta proprio qui il dramma: quando chia-miamo verità i nostri pregiudizi. E diven-tiamo presuntuosi. Perché non si riesce più

a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare, ad aderire almeno un po’ alle cose prima ancora di giudicarle. Ma tuo figlio, tua moglie, i tuoi amici sono altro da te e tu non puoi incasel-larli, prima di incontrarli.Come potrai poi abbracciare uno, se prima hai già deciso che è uno stupido? Come può un uomo ricominciare con la sua donna, se prima non ha ascoltato le sue ragioni e non ha deposto i suoi giudizi?

Non credo che l’essere umano sia un girovago per l’universo, credo che spesso non riesca ad ade-rire alle cose, perchè da lontano pensa agli altri come nemici, come pro-blemi, senza incontrarli. Per forza poi si difende. Ed evade. Le nostre giornate sono piene di innocenti e a volte meno innocenti evasioni. È difficile es-serci, aderire alle cose e

agli altri, appartenere. Ma è la vita. Se non si appartiene non si vive.Ho dedicato questo articolo agli assenti, in maniera affettuosa, perché siamo tutti lì. A dibattersi con tutto il peso delle nostre complicazioni, a volte nemmeno coscienti di quanto onnipotenza e presunzione ci im-pediscano di abitare la vita.Ma si può crescere, cominciando proprio a rimettere in discussione le nostre verità. Appartenere, se da un lato vuol dire portare il nostro contributo alla costruzione della realtà, dall’altro è anche lasciarsi model-lare, condurre, convincere dalla vita che ci circonda. È ritrovare lo stupore di chi sa di non sapere.

La paura bussò alla porta.

La fede andò ad aprire.

Non c’era nessuno.

M. L. King

d e d I C AtO A t u t t I G l I A S S e N t Idi Pier Luigi Ricci

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Possiamo anche lottare con Dio come Giacobbe, dubitare e dibatterci come Giobbe, rattristarci come Gesù e le sue amiche Marta e Maria. Anche questi sono sentieri che portano a Dio.

Card. C. M. Martini

Foto di Massimo Schiavo

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“Abitare la vita” significa innanzitutto “abitare se stessi”. Mi pongo di fronte a questa affer-mazione con un duplice sentimento. Emozione forte rispetto alla possibilità che mi viene offerta e contemporaneamente sgomento rispetto a un compito che, a prima vista, appare difficile, quasi impossibile. In quest’ottica mi viene subito in mente il lungo cammino professionale fatto, come psicologo. Le tante occasioni di formazione, di analisi, di studio, di lavoro che mi hanno aiutato a sviluppare una maggior consapevolezza.Penso però che ciò che più mi ha sostenuto, nel timido tentativo di “abitare me stesso”, siano stati, come si dice a Romena, gli incontri. Incontri con persone, con luoghi e Comunità; con Romena e con la Comunità delle Piagge di Firenze. E poi ancora incontri con personaggi di cui ho letto e riletto i libri, cercando di fare mio il loro pensiero. Infine, in quanto più importante e trasformativo per me e per il mio modo di essere, il re-incontro con la migliore compagna di viaggio che potessi trovare, mia moglie Daria e i miei figli, Roberta e Tommaso.Qui però vorrei chiedere aiuto a due grandi com-pagni di lettura e di meditazione. Padre Giovanni Vannucci che per poco non ho conosciuto di persona, quando mi sono trasferito a Panzano in Chianti e Roberto Assagioli, fondatore della psicosintesi .Tutti e due hanno detto e scritto cose molto simili circa l’importanza di “abitare se stessi”. Certo, da due prospettive diverse: spirituale e psicologica.Assagioli, dal punto di vista della psicosintesi ci dice che “ognuno di noi è una folla”. Ci illudiamo cioè di essere un’entità monolitica e immutabi-le, mentre invece è vero il contrario. Siamo un miscuglio di elementi contrastanti e mutevoli. Prosegue Assagioli: “Non siamo unificati. Ne abbiamo spesso l’illusione perché non abbiamo vari corpi, varie membra,… ma nel nostro inter-no avviene metaforicamente proprio così; varie personalità e sub personalità si azzuffano tra loro continuamente: impulsi, desideri, principi, aspirazioni, ideali sono in continuo tumulto”.

Basta pensare a come possiamo essere diversi nelle varie situazioni. Non siamo certo gli stessi con i genitori o con gli amici, in un funerale piuttosto che ad un matrimonio.Ecco che allora diventa necessario conoscere questi diversi modi di essere, sviluppare più consapevolezza e padronanza, saperli valorizzare e meglio armonizzare nell’insieme della nostra persona. In altre parole, come ci ricordava Lidia Maggi in un recente incontro a Romena, il nostro fine non è essere “perfetti” ma “interi”, cono-scendo e dando spazio armonico a tutte quelle caratteristiche personali che ci identificano e che ci appartengono.Padre Vannucci, commentando la parabola del regno dei cieli e del tesoro nascosto nel campo, parla anche lui di sub-personalità, naturalmente a modo suo, da una prospettiva spirituale. E dice: “Il campo siamo noi e il tesoro è nascosto dentro di noi; e vi sembrerà strano, ma dobbiamo ven-dere tutto per comprare noi stessi”.Proseguendo domanda a ciascuno di noi quanti “Padroni” abbiamo? E, soprattutto, se siamo consapevoli di averli. In effetti ne abbiamo tanti: l’ambizioso, il prepotente, il sensuale, ecc., pa-droni e passioni che ci dominano e ci controlla-no, allontanandoci dalla nostra vera essenza ed autenticità. Vannucci ci invita dunque “…a scendere nel nostro campo per ricominciare a rilevare tutti i proprietari che se ne sono impossessati…una volta conquistato il nostro campo, noi troveremo il tesoro e questo tesoro darà alla nostra vita più serenità, più forza, più pace, più armonia”.La Psicosintesi direbbe più o meno la stessa cosa. Prendiamo un po’ le distanze (si chiama disi-dentificazione) da questi atteggiamenti profondi che ci fanno da padroni, spesso senza che noi ce ne rendiamo conto. Impariamo a riconoscerli e a governarli.Riusciremo così a liberarci da questa illusione che condiziona la nostra vita e a ritornare al no-stro vero sé, tornando “a casa” e proseguendo il cammino della nostra evoluzione.

u N t e S O RO N A S C O S tO N e l C A M POdi Luigi Padovese

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Possa tanta fatica vostradivenirvi un tesoro,sebbene, ahimé,siete voi stessivelo al tesoro! Rumi

Foto di Massimo Schiavo

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Cristo ci dice: “Io sono la vita”. Abbiamo visto che la vita è una mutazione continua, un passag-gio incessante da una figura all’altra figura; la permanenza della vita è garantita da questa con-tinua morte per risorgere, morte e resurrezione, distruzione e apparizione di una nuova figura. Questo avviene implacabilmente nel ritmo del tempo per tutte le cose viventi. È avvenuto nel Cristo e avviene anche di noi che vogliamo seguire la via del Cristo e vivere la vita del Cristo. Dobbiamo implacabilmente essere pronti e vigilanti alla novità che incontriamo nel giorno che di dischiude al nostro cammino. Ogni giorno Dio è nuovo: la chiamiamo “l’eter-no dei giorni” ma Dio non ha tempo, è presente eternamente. Per la nostra esperienza umana in continua mutazione è presente ed è assente. Cristo è venuto e lo attendiamo; è un paradosso questo. Cristo è venuto, perché lo attendiamo? Diciamo: “La seconda venuta. Attendiamo ancora che Cristo nasca in noi. È nato a Betlemme e deve nascere in noi…” Se invece ci chiudiamo nelle nostre visioni reli-giose, corriamo il rischio di essere pietre morte nel fluire della vita. Allora Cristo passa in noi e noi non lo avvertiamo, non ci guarda neppure, perché non ci sente, non siamo viventi: siamo morti di una morte senza risurrezione. Questa è la vita di Cristo, la realtà di Cristo, la realtà della vita. Noi dobbiamo continuamente confrontare il mistero di Dio, che è vita, con le manifestazioni della vita. Se chiudiamo Dio soltanto nell’esperienza della nostra mente o della nostra emotività, dimentican-do la realtà vivente, rischiamo di morire soffocati dai nostri sentimenti pietistici e rischiamo di rimanere inerti, inariditi dalle definizioni della nostra mente.Anche la nostra vita cristiana bisogna sia permea-ta da un continuo rinnovamento, dalla continua ansia di seguire la novità di Cristo. Cristo ci passa vicino, ci saluta, ci dice: “Va’ oltre”: E diventiamo inquieti, agitati, finchè non sentiamo che il nostro passo segue le orme di Cristo.

E quando gli chiediamo: “Dove abiti?”. Lui ci dice: “Il Figlio dell’Uomo non ha una tana dove dimorare né una pietra dove posare il capo”(Mt 8,20. Lc 9,58). È il pellegrino eterno, qui nel tempo e nello spa-zio, e noi che siamo alla ricerca di Dio dobbiamo essere i pellegrini eterni, sempre in un movimento vitale per poter seguire le orme del maestro che ci porta a più vita, più amore, più verità, più saggezza, più equilibrio; e questo “più”, questo “oltre”, che l’esperienza religiosa introduce nel nostro organismo psicologico e mentale non trova mai pace. Noi cerchiamo una città che non è costruita da mano d’uomo, ma è costruita da Dio stesso, la Gerusalemme celeste che è oltre il tempo e oltre lo spazio, la maturazione del nostro essere in Dio, che è oltre il presente e non avverrà altro che nel momento in cui il bacio di Dio si poserà sulle nostre labbra. Allora saremo assorbiti dalla luce e dalla vita di Dio, e avremo una vita senza fine. Come deve essere, allora, la nostra vita cristiana? Un avvento continuo, una continua attesa dello Sposo che viene. Allo Sposo dobbiamo andare incontro con le lampade accese, cioè con tutto il nostro essere vivente, non racchiuso in nessuna visione religiosa, perché tutte le visioni sono buone nel momento presente, ma tutte devono essere superate nel momento successivo. Vorrei che sentiste così il mistero di Cristo: egli ci chiama ad andare oltre, vuole che la nostra vita abbia sempre accanto il segno più, mai il segno meno. Noi sognamo una vita più piena, più intensa, sognamo un amore più caldo, più umano, più esteso, più umano, sognamo una libertà sempre maggiore, una possibilità di comunicare con tutti gli esseri, una dilatazione di coscienza che ci permetta di essere presenti a tutte le creature che attualmente vivono negli sconfinati universi che attorniano la nostra terra. Questo aspettiamo e dobbiamo essere insoffe-renti fintanto che non avremo raggiunto la vera pienezza di vita.

*Questo testo è tratto da “Il passo di Dio”, Meditazioni per l’Avvento, Edizioni Paoline, Milano, 2005

l A N O S t R A C A SA È S e M P R e O lt R e di Giovanni Vannucci*

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A differenza di un moralista,Cristo non amava una teoria,

ma amava l’uomo vero. D. Bonhoeffer

Foto di Eliseo Pieri

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Foto di Elisa Vito

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Sarà cristiana la società in cui l’amore

sostituirà le leggi. Ignazio Silone

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La poesia del quotidiano, i piccoli segni di attenzione che ci invitano ad abitare la vita sono al cuore di questo brano di Sorella Maria, fondatrice dell’eremo di Campello, in Umbria.

I l brano è stato scelto nell’ambito di “Ogni giorno 2009”, l’agenda di Romena, che quest’anno è accompa-gnata dallo sguardo di grandi testimoni femminili della spiritualità.

CONTEMPLARE IL CREATOdi Sorella Maria di Campello

N on mi stancherò mai di dirvi che considero un dovere sacro quello di uscire all’aperto

e di contemplare la bellezza che ci attornia, e di salutare i luoghi amati, e tutte le creature.

Vorrei che ognuno di noi si abituasse alla tenerezza verso ogni creatura, e a renderle servizio.Per esempio: passiamo nel bosco, ecco un alberello che ha bisogno di sostegno. Ecco un ramoscello secco, che si deve togliere dai giovani pini. L’al-berello patisce se non gli si toglie il secco. Ecco i processionali da distruggere, sui cipressi, sui pini, sulle querce.Ecco una pianticina di passiflora, che deve essere aiutata nel suo abbarbicarsi. Ecco un cespuglio di fiori solitari nel bosco e sul prato…

L’ammirazione e il rispetto ai fiori! Come vorrei ne fossimo tutte penetrate.Lasciamoli vivere all’aperto, e alla gioia dei nostri occhi contemplanti!Non sono le conversazioni spirituali o le letture che maggiormente ci insegnano. È il nostro cuore desto, attento, che amando può servirsi di tutto.

Come è sacro il mistero che ci avvolge, e che miracoloso potere di amore ci tocca, ci sostenta quanto l’aria!Io sento il mistero sacro e il miracolo dell’amore in un attimo di comunione col Cristo quanto nella stella e nel passero.

E del passero avrò sempre memoria, come della vespa che mi aspettava in cella, della farfalla che visse con me otto giorni, della coccinella e del bru-chino lucente sotto il chiostro, del grillo che mi ha fatto compagnia per giorni e della rondinina che mi ascoltava mentre le dicevo la mia confessione in una vigilia della Madonna.

Ognuno di questi ricordi mi è presente, e accre-sce la mia venerazione pensosa verso il mistero dell’amore.

Campello: via della pace

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Contentarci di poco!

Il poco, con l’amore,

giunge ad abbellire,

a gettare raggi di dolcezza

attorno.

Sorella Maria di Campello

Foto di Massimo Schiavo

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Una domenica pomeriggio d’autunno in dialogo con ALex ZAnOTeLLi, il missionario comboniano che ha trascorso più di dieci anni in una baraccopoli a nairobi, in Kenya, e da qualche anno è rientrato in italia scegliendo di vivere accanto ai poveri del rione Sanità di napoli. Un incontro forte, a tratti duro, col tenore di una testimonianza profetica innanzitutto vissuta e pagata di persona.

Non è la prima volta di Alex Zanotelli a Romena; già 5 anni fa è stato con noi in un memorabile in-contro con Pietro Ingrao, e adesso è nuovamente qui, mentre nel mondo si agitano venti di crisi nella finanza e in Italia inerti lavoratori immigrati vengono massacrati da bande di criminali ca-morristi. «In questo contesto – domanda l’amico giornalista e conduttore del ciclo di incontri sulle Beatitudini, Raffaele Luise – che senso ha oggi costruire la pace?». «Sono tanti i segni di speranza che ci vengono dal Sud del mondo – esordisce l’ex direttore di Nigrizia – come il presidente del Paraguay Lugo, vescovo, eletto dal popolo, che porta la scelta dei poveri dopo 60 anni di dittatura…; poi un altro presidente, Correa, dall’Equador, nella cui Costituzione per la prima volta risulterà che non soltanto gli uomini e le donne sono soggetti di diritto, ma anche gli esseri viventi, la natura, il creato».

Assieme ai segni di speranza vi sono però molte ombre e tristezze che riaffiorano alla mente e rabbuiano il volto del nostro coraggioso testimo-ne. «Porto nel cuore una grande tristezza, prima di tutto per quello che è accaduto 2-3 giorni fa a Castel Volturno, sul litorale domiziano, quel massacro chiaramente di stile camorristico: 6 africani uccisi; teniamo presente che sono questi i grandi poveri in mezzo a noi ed è incredibile come li trattiamo… Secondo. Porto nel cuore un’enorme tristezza per aver visto il nostro Pre-sidente del Consiglio annunciare in televisione che il problema dei rifiuti a Napoli è risolto. Io vi posso dire una cosa – confida Alex, che a Napoli ci vive ormai da diversi anni – che non solo non è risolto, ma che il popolo campano (e non solo napoletano) sta pagando pesantissimamente tutto questo… e lo vedrete nei prossimi anni. Terzo. Permettetemi di dirvi la mia amarezza per la sconfitta che tutti noi abbiamo subito quest’esta-

Una pace possibiledi Luca Buccheri

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te… il governo di Berlusconi, con l’approvazione unanime dell’opposizione, il 5 agosto ha deciso che l’acqua è merce e che gli usi idrici in questo paese saranno gestiti dalle multinazionali, cioè dai privati». Come declinare allora la beatitudine dei “co-struttori di pace” in un contesto così violento? Esaminando il testo del vangelo di Matteo e di Luca, Zanotelli fa notare, sottolineandolo più vol-te, che «Gesù – e non Gandhi – è l’inventore della nonviolenza attiva»; essa è «il rifiuto della logica della violenza utilizzando l’intelligenza a ribaltare la situazione», come nel caso del porgere l’altra guancia o dello spogliarsi della propria tunica in tribunale nel caso ti venga tolto il tuo solo mantello. Purtroppo «noi cristiani non abbia-mo tirato la conseguenza teologica della nonviolenza di Gesù… Essa vuol dire infatti che Gesù credeva in un Dio nonviolento».Poi, citando uno dei santi più geniali d’Occidente, che ha vissuto tra l’altro in questi luoghi della Toscana, ha spiegato il moti-vo per cui i potenti di tutto il mondo tornano ad armarsi: «Padre – disse Francesco di Assisi nudo davanti al suo vescovo – se io ho, devo avere le armi per difendere quello che ho. È tutto qui il problema. Perché in Occidente tanta corsa alla sicurezza? Perché abbiamo e più siamo ricchi e più dobbiamo difenderci. Io sono vissuto 12 anni in una baraccopoli e non avete idea di cosa significhi essere ricchi, straricchi, a Nairobi… andate a vedere le palazzine dei ricchi: muri, filo spinato, poliziotti, cani… è chiaro, davanti alla miseria devono difendersi… Ma è la stessa logica nostra; ecco perché politicamente paga il discorso sicurezza oggi».«Non è possibile che l’11% della popolazione mondiale si pappi l’88% delle risorse disponibili. Perché ci sia la pace c’è bisogno di un minimo di giustizia nella divisione dei beni di questo mondo. E questa è la prima risposta che dobbiamo dare».

Di fronte però a problemi planetari tanto grandi si corre il rischio di demoralizzarsi nel cercare cose concrete da fare e di cedere alla rassegnazione che paralizza. Ecco allora che Alex – dopo aver spiegato ai presenti che fine ha fatto la mondezza di Napoli e quanto grande sia ancora l’emergenza rifiuti in Campania – raccoglie alcuni suggeri-menti finali da consegnare al popolo di Romena, assiepato in ogni dove nella pieve. Sono «tre cose semplici ma importanti – conclude appassionato con crescente vigore – 1) Basta

agli imballaggi! Compri un regalino piccolo così… e devi buttare via tutto! I sindaci devono tassare le ditte che fanno tanti imballaggi. In Germa-nia più involucri fai più tasse paghi… Dobbiamo abolirli tutti gli imballag-gi, se non quelli proprio essenziali. 2) Basta con la plastica! Noi al rio-ne Sanità incoraggiamo tutte le donne che vanno a comperare… (e non andate nei supermercati, ma per favore…, ma non

siete ancora stanchi dei supermercati?). Quan-do andate in un negozio andateci con le vostre sportine di pelle, di iuta, come le vostre mamme o nonne. E dite “No, grazie” a chi vi offre buste di plastica, bicchieri di plastica ecc. 3) Basta con le bottiglie di acqua minerale! L’Italia è il paese che ha l’acqua naturale più buona al mondo; nel giro di pochi anni è diventato il paese che beve più acqua minerale al mondo… Ma siamo pazzi? Ma sapete qual’è la regione che beve più acqua minerale in Italia? …la Campania…! Ma capite quanto è assurda tutta questa roba? C’è bisogno che cambiamo cultura tutti». Alex vuole congedarci con una nota di speranza, la stessa che aveva aperto l’incontro: «Sta na-scendo dal basso una lotta di resistenza bella… C’è una “grande svolta” possibile; andiamo avanti e diamoci tutti da fare perché vinca la vita». Ecco una pace possibile da vivere, alla portata di tutti.

“La pace è l’uomo

e questo uomo è mio fratello,

il più povero di tutti i fratelli;

la libertà è l’uomo

e questo uomo è mio fratello,

il più schiavo di tutti i fratelli:

la giustizia è l’uomo

e quest’uomo è mio fratello”

David Maria Turoldo

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Quali sono le condizioni per abitare una vita insieme? in che modo possiamo rafforzare le fondamenta di un amo-re? A Giogoli, vicino Firenze, l’esperienza di un prete che si fa compagno di viaggio per tante giovani coppie, invitan-dole a un cammino profondo. Una preparazione vera alla promessa più grande e più difficile: quella di camminare insieme, per sempre.

ALLE RADICI DELL’AMOREdi Massimo Orlandi

Sale alto sulle colline di Scandicci il campani-le di Giogoli. Come un braccio alzato, come un invito.Se ti avvicini trovi auto insinuate in ogni spazio tra gli olivi che ammantano la collina.Se entri trovi un prete che parla e fa parlare, e un abbraccio accogliente, che sa di casa. Dev’essere scritta nel Dna della pieve di sant’Alessandro questa capacità di richiamo, ma di sicuro c’entra molto anche il cammino intra-preso da don Giorgio Mazzanti e dai suoi com-pagni di viaggio. In questo cammino uno spazio speciale è stato riservato a chi cerca di condivi-dere insieme gioie e dolori di una vita.All’inizio galeotta era la bellezza antica delle chiesa, il panorama dominante sulla piana. Ma a don Giorgio convinceva poco questa processio-ne di futuri sposi che sceglievano Giogoli specie per la foto con vista. “Più che altro non volevo sposare persone anonime. Volevo incontrarli, camminare con loro”. Sul solco degli incontri pre-matrimoniali classici veniva gettato il seme di un cammino in profondità. Per le coppie quel tempo non era certo il pedag-gio necessario per sposarsi nella chiesa prescelta,

ma un vero viaggio di vita. Accadeva non di rado che quel mettersi a nudo interrompesse anzitem-po il progetto di vita a due. E questo accade anche oggi, ogni tanto, proprio perché il corso di Giogoli è basato su un cam-mino che tocca le corde più profonde. Ma negli anni è cresciuta soprattutto la consapevolezza del valore di questa esperienza: in questi anni di di-sgregazione anticipata di troppe unioni, di esplo-sione dei nuclei familiari, i ragazzi, spiega don Giorgio, hanno sempre più voglia di stimolarsi a vicenda per vedere se la barca che stanno alle-stendo ha la forza per affrontare i venti, a volte turbolenti, di una vita. E il corso non è certamen-te la prova del nove, ma certamente un aiuto a essere più consapevoli del loro percorso, senza lesinare provocazioni, specie nei primi incontri: “Quando domando, perché ti vuoi sposare? Per amore mi si risponde spesso. Ma cosa vuol dire amare? insisto, perché per amore si possono fare tante cose, non è detto che ogni tipo di amore sia un amore nuziale”. Non è in un’affettività senza radici o in un sen-timentalismo di superficie, non nell’esigenza di coprire i reciproci vuoti affettivi la linfa che può

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alimentare un rapporto duraturo. Ci vuole altro. Don Giorgio individua le radici da piantare per dare stabilità a un viaggio a due: “Io credo che l’innamoramento sia la percezione della dimensione profonda di se stessi e dell’al-tro. Questa conoscenza intima, profonda, vera, è necessaria perché l’amore possa esprimersi e consentire a ciascuno di espandersi nella totalità del potenziale che ha dentro. Perché, questo è il fine dell’amore, la tua donna, il tuo uomo, ti deve portare alla piena realizzazione di te stesso”. Di fronte a questo cammino di conoscenza si innalzano, spesso, le resistenze più forti delle coppie, perché ciascuno ha paura di vedere il suo vuoto, i suoi aspetti negativi, e perché spaventa l’ingresso nella dimensione più intima, ma anche più vera dell’altro: “Durante uno degli incontri chiediamo di mettersi in silenzio, a lungo, uno di fronte all’altra, sen-za far nulla, senza dir nulla: e questo momento, nella sua semplicità, diventa molto diffi-cile quando si ha paura di en-trare nel silenzio dell’altro”.C’è una seconda radice che, per don Giorgio, deve essere ben salda per favorire un viaggio a due. È la ra-dice che è rivolta verso il futuro, verso ciò che si ha davanti, che non si può vedere, ma che si dovrà vivere insieme. “Cosa vi tiene uniti? Qual è il vostro progetto di vita? Spesso le coppie ri-spondono indicando di avere in comune cose molto concrete, magari le stesse idee per il tem-po libero, e obiettivi chiari e concreti: una casa, un figlio. Ma ciò che conta, alla lunga, non è il singolo obiettivo, è avere un orizzonte, una pro-spettiva di vita condivisa. Questo sguardo aperto e condiviso sul futuro è necessario, perché è il-lusorio pensare che l’amore possa permettere di superare ogni differenza”. Al radicamento dell’amore serve ancora una componente: la disponibilità a sostenere anche la fatica dello stare insieme. “Di solito uso que-sto esempio: quando impari a suonare la chi-tarra, le corde ti possono far venire le vesciche

alle dita. Ma se non vuoi farti venire le vesciche non imparerai mai a suonare. C’è un callo che è necessario farsi per suonare la melodia dello stare insieme. Chi ci sta davanti può anche far-ci resistenza, ma questa tensione, scomoda, può contenere l’ invito a incontrare sempre di più noi stessi e quindi a realizzarci ancora di più.”Conoscenza di sé e dell’altro, spinta a guarda-re oltre, capacità di affrontare anche le tensioni: sono le basi di una coppia, sono in fondo ciò che serve in ogni relazione umana, sociale. Per que-sto don Giorgio sente così prezioso questo lavoro sulla coppia: chi lo sperimenta nel suo viaggio a due, potrà trasportare le stesse dinamiche nella sua vita con gli altri. “È più facile che chi si è ben equipaggiato nella vita a due sappia vive-

re meglio anche nella società. Chi ha impostato bene questo primo, essenziale grado di socialità intuisce che ciò che ha trovato per sé è anche ciò che serve nella società. È la prima spinta a giocare questo percorso di coppia portando in spazi più vasti, nel lavoro, nel sociale, questo bisogno di rapporti più veri, più liberi”.

Ogni anno molte decine di coppie rispondono al richiamo del campanile di Giogoli. Ma ora la bellezza del luogo non è più coreografia, è un paesaggio interiore, voluto, conquistato, atteso. E don Giorgio? A lui cosa resta della festa? “Una gioia profonda, la gioia di aver accompagnato quelle persone e di averle viste per certi aspetti nascere e poi sbocciare insieme”. È un innamoramento contagioso. Ti fa rinascere ogni volta. Parla a ogni tipo di amore. Ti aiuta a riconoscerti nel tuo. “Fin dall’inizio ho sem-pre sentito che l’amore nuziale riguarda tutti, ha a che fare con la profondità del cuore di ogni uomo”. Perché, in fondo, da quando Dio ti mette in vita, ti invita alle nozze con Lui. Ognuno, a suo modo, è sposo. Ciò che conta è che l’amore sia profondo, vero, libero e liberante. Perchè, è il saluto di don Giorgio “Solo l’amore che si tuffa nell’infinito trova l’infinito”.

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Natale, il mistero della fragilità

Oggi scrivo di padri, di madri e di bambini. E non solo perché le sere stanno allungando le ombre e l’aria odora, come già fosse vigilia di Natale. Scrivo di padri, di madri, di bambini perché que-sti miei giorni sono affollati di volti. Di padri, di madri e di bambini.

Oggi mi sono incantato, ultimo e non ultimo di innumerevoli incantamenti, per come Stefano teneva tra le braccia Maddalena, la sua piccola cucciola, e per come Elisa, la madre, la teneva negli occhi neri. Dopo giornate a sapore di attese e di nascite, di grembi colmi e di sconfinamenti alla luce di bimbi. Dopo visite in chiesa di giovani donne incinte, a rischio di nascita, che affidano un grembo alla tua preghiera – mancano pochi giorni, mancano solo ore – ecco ora gli annunci che bucano lunghe attese: è un bimbo, è una bim-ba, è una coppia di gemelli. Ora tutti messi alla luce e hanno un nome. E anche lui, come tutti, ed era figlio di Dio, messo alla luce, lui che era la luce, dopo avere abitato nove mesi di tenerezza

d’ombra. Anche lui in un gesto di affidamento, che è la vita. E ci furono mani quella notte, ci furono fasce e la mangiatoia. Come se Dio non avesse chiesto di più per nascere. Come se vo-lesse insegnare che la vita è consegnarsi ad una promessa. Se non ti affidi, muori in un grembo. Se, prima di uscire alla luce, vuoi il programma, non uscirai mai. Esci affidandoti. Senza un atto di fiducia rimaniamo nel grembo. Senza un atto di fiducia nella vita, la vita senza aggettivi, la vita così come accadrà. Insegna-mento prezioso che sta nell’umido degli occhi di ogni bambino, in quello sguardo senza ombre e senza pretesa. Insegnamento urgente per un tempo come il nostro che sta segnalandosi come la stagione di una accentuata diffidenza, come la stagione del calcolo esasperato, del controllo ossessivo. Anche per questo le barche rimangono a riva. Non si accetta l’avventura di traversate a rischio di vento e di flutti, a rischio dell’impreve-dibile. A riva, le vele afflosciate, senza respiro di vento, senza trascinamento di passione.

di Angelo Casati*

* Il testo di Angelo Casati è tratto dal sito www.sullasoglia.it

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Mi sembra oggi di leggere una sorta di esitazione a confidare, ad abbandonarsi. Non voglio entrare nei motivi di questo disagio che sono molteplici e possono avere anche una loro serietà. Può essere una sfida lasciare il sicuro, la terra in cui stai, il paese conosciuto, per un viaggio che non puoi immaginare. Abbandonandoti. Ma immaginiamo come sarebbe triste, triste e spenta, una gene-razione che si muovesse solo a una condizione: avere una garanzia in mano. La vita, dicevo, ha nel suo “dna” l’abbandonarsi. Gesù ci propone il bambino, non certo per la sua innocenza che non potremmo imitare, ma per la sua capacità di abbandonarsi. È così che si cresce nella vita. Se da pic-coli non ci fossimo affidati, saremmo ancora al nastro di partenza. È dando fiducia che noi cresciamo e viviamo. Viene dagli occhi umidi dei bimbi questo invito a la-sciare, a rischiare, ad aver fiducia. Pena l’intristirsi in un porto da cui non si ha mai il coraggio di salpare.Ma la Nascita, le nascite ci fanno chini anche su un altro mistero, quello delle fragili-tà. Su un mistero di fragilità si chinarono nella notte Ma-ria e Giuseppe. Ogni madre e ogni padre chini, come ad adorare una vita che è soffio in pochi palmi di mani, le tue mani. Sfiori e quasi è paura di strin-gere, tanto la carne ha segno di debolezza. Ma il mistero della fragilità, che abita ogni nascita di un cucciolo d’uomo, si inarcò a dismisura, la notte delle notti, e sembravano chinarsi i cieli in un trasalire di stelle. O era forse dare nomi di cieli e di stelle al trasalire degli occhi e del cuore che navigavano nel mistero delle notte? Mistero di una fragilità umana sposata da Dio. Che Dio avesse scelto per la sua visita alla terra non la modalità fragorosa e solenne, accecante, privi-legio degli dei pagani, ma l’ingresso nel segno della debolezza e della fragilità, era sì segno da far stupire gli occhi e il cielo.

Da quella notte Dio diede appuntamento nella fragilità degli umani. Purtroppo lungo i secoli si persistette a cercarlo da altre parti, anche le chie-se lo cercarono e ancora lo cercano da altre parti, nel segno di modelli vincenti, in modelli disumani di perfezione. Ma è perdere l’appuntamento. Che è nella debolezza e nella fragilità.Non vergognartene. Né della tua né di quella degli altri. Dio l’ha sposata, sposata per sempre,

quella notte. E tutta la vita, la sua – leggi il vangelo – fu un chinarsi sul mistero della fragilità. Ha dato appuntamento, non cercarlo altrove, mancheresti l’ap-puntamento con Dio. Che è nella fragilità della carne di un neonato. Guardalo, non occorre altro per amarlo. È ancora nudo dei mille orpelli umani, non ha altro titolo che quello di un essere umano, un titolo che appar-tiene a tutti, il vero grande titolo, il solo che Dio ha onorato. Ogni essere umano da onorare dunque nella sua fragilità e debolezza, da amare nudo, per come è, soffio del vivente in una fragile tenda di carne.Non ti è chiesto altro, non altri prerequisiti, perché tu possa chinarti e adorare il mistero. Anche questo è

un insegnamento urgente, in controtendenza in stagioni di disprezzo o di obnubilamento del rispetto. Sacro per ogni creatura. Va custodita una luce negli occhi. La Nascita, le nascite rac-contano, ogni volta che accadono, questo mistero di una fragilità d’amare, di cui prendersi cura, da custodire.Creare vicinanza sembra essere invito buono, profumo di pane nei nostri inquieti giorni. Non sempre, quasi mai, ci sarà dato di togliere dalle spalle dell’altro il peso della vita. Neppure a Gesù riuscì tanto! Non sempre poté i miracoli, ma sem-pre raccontò con i suoi occhi la vicinanza. Ora tocca a noi raccontarla. Con i nostri occhi.

Asino e buesiamo tutti, o Signore,muso dietro muso,a fissare il mistero.

Mistero di ruvidae povera pagliae giorni senza lucedroghe senza speranza.

Essere, mio Dio,asino e buecol fiato sospesoa godere il mistero.

Noi siamo, Signore,il tuo vivente presepe,siamo la pagliasu cui coricarti ancora.

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IL vIAGGIO DELLA vEGLIA DI ROMENA

35incontri

nelle varie cittˆper ritrovarcie continuareil cammino

Abitare la Vita

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Parrocchia di SOVICILLE - p.zza Marconi ore 21,00 28 Gennaio

AREZZO

GROSSETO

LIVORNO

BOLOGNA

IMOLA

PESARO

LE PIAGGE (FI)

MARTINA FRANCA

LECCE - GALATONE

BARI

ALTAMURA

SAN SEVERO (FG)

NAPOLI

FONDI (LT)

ROMAPiccole sorelle, via Acque Salvie - Tre fontane - EUR ore 21,00 26 Marzo

Santuario Madonna della Rocca ore 21,00 25 Marzo

Istituto Maria Ausiliatrice - via Cimarosa - Vomero ore 21,00 24 Marzo

Casa Ecumenica ore 20,30 13 Marzo

Chiesa S. Sabino - Loc. FORNELLO ore 20,30 12 Marzo

Chiesa di S. Marcello ore 20,30 11 Marzo

Parrocchia S. Francesco D’Assisi - via Metello ore 20,30 10 Marzo

Chiesa S. Antonio ai Cappuccini ore 20,30 9 Marzo

Comunità delle Piagge ore 21,00 25 Febbraio

Pieve Santo Stefano - CANDELARA ore 21,00 18 Febbraio

Convento dei Cappuccini ore 21,00 17 Febbraio

Santa Maria della Pace - p.zza del Baraccano ore 21,00 16 Febbraio

Parrocchia di S. Caterina - p.zza dei Domenicani ore 21,00 11 Febbraio

Centro giovanile Salesiani - via degli Apostoli 1 ore 21,00 10 Febbraio

Parrocchia di Saione ore 21,00 4 Febbraio

SIENA

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Verso il Natale

MercatinoCome ogni anno nel nostro mercatino si possono trovare piccoli doni, oggetti artigianali, pensieri semplici e, naturalmente, i nostri libri. Un modo per conservare l’idea del regalo restituendolo a una dimensione più spontanea, più semplice, meno costosa.

dalle 14,30

IncontriPrima della Messa ci ritroviamo nella sala del camino per una riflessione sui temi del Natale. Un modo per prepararci e per riflettere sul significato e il valore della festa.

7 dicembre, ore 15Dio Dei gesti

Aderire alla vitacon Pier Luigi Ricci

14 dicembre, ore 15Dio si fa caRne

Diventare concreticon Luigi Verdi

21 dicembre, ore 15Dio in camminoIn viaggio verso se stessicon gianni marmorini

AccoglienzaDopo la messa delle 16.30 è bello fermarsi ancora un po’ per una cioccolata calda, una fetta di torta da condividere, un momento di vicinanza con buoni sapori e tanta amicizia.

Tre domeniche di avvento, tre occasioni di festa, di accoglienza, di incontro. Domenica 7, 14 e 21 dicembre Romena si prepara al Natale attraverso tre proposte di condivisione.

Naturalmente poi ci ritroveremo tutti insieme la notte di Natale alle ore 22.30per la messa con cui accogliere la nascita di Gesù.

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Agenda

Il GiornalinoUn regalo di Nataleper il nostro giornalino

Da dodici anni il giornalino di Romena arriva gratuitamente nelle case di tutti coloro che hanno partecipato alle nostre attività, dei loro amici, di chi, semplicemente ce lo richiede.Stiamo per arrivare a quota 10.000 copie. È un risultato bellissimo che vogliamo custodire e coltivare, allargando questo luogo d’incontro a tanti altri amici. Per far questo, però, abbiamo anche bisogno di voi. Per poter continuare a proseguire su questa strada di condivisione, senza alcun impegno o abbonamento, sarebbe prezioso un vostro piccolo aiuto. Immaginate: un regalo di Natale per il nostro giornalino. Che ne pensate? Se volete, trovate il bollettino di conto corrente al centro anche di questo numero.

Grazie, di cuore

OGNI GIORNO 2009Con gli occhi delle donne

Ritorna l’agenda di Romena. Sarà la sensibilità femminile a guidare lo scorrere del tempo del prossimo anno: Antonietta Potente, Christiane Singer, Sorella Maria, Etty Hillesum, Maria Zambrano ed altre donne ci regalano il loro sguardo sulla profondità della vita. Con un aforisma, una poesia, con un commento “vivo” del Vangelo accompagnamo il nuovo anno.Un piccolo regalo per Ogni Giorno.

A Romena e in libreria € 14,00 - ISBN: 978-88-89669-27-3

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S ono nel porticato dell’ospedale St. Gem-ma a Dodoma, aspetto che una suora mi porti dei ricevutari da riempire ed osser-

vo le persone che man mano arrivano. Molti di loro per giungere lì, avere una diagnosi ed essere curati si sono dovuti alzare molto presto, affron-tando, magari febbricitanti, diversi km a piedi. Ci sono anche molte giovani madri con bambini, sorretti sulle loro schiene con una tela particolare chiamata Kanga, per lo più affetti da malaria, tal-volta da AIDS. Le loro facce sono comprensibil-mente stanche, ma non affrante. Un’inspiegabile energia le sostiene, diritte e dignitose nel loro do-lore e nella loro povertà. A metà mattinata il por-ticato è pieno di malati, educatamente e silenzio-samente in fila, in attesa del loro turno per essere visitati o per ricevere il “dispensing bag” (piccola bustina trasparente) con il giusto numero di pillo-le prescritte. Non c’è bisogno della macchinetta col numero stile Coop: nessuno discute o si sogna di non rispettare la fila. Mi vengono in mente le innumerevoli volte che per le strade del centro livornese ho visto mam-me con vestiti firmati, spalle tatuate e piercing che spingevano passeggini con bambini di 3 o 4 anni mentre, animosamente, si lamentavano per futilità con le loro amiche; oppure rivedo altre scene di “ordinaria follia” e mi sorge spontanea una domanda: qual è il mondo “civile”?! Qual è il mondo che permette di vivere la vita nei suoi aspetti più autentici? Qual è il mondo che permette all’uomo di accettare la vita in modo dignitoso, nell’umiltà e nel rispetto di se stesso e degli altri?

In quel mese all’ospedale ho sperimentato di persona il senso di impotenza che la povertà ti mette di fronte, povertà che lascerebbe inerte chiunque di noi, ma non loro, loro, le “sisters” erano diverse, con naturalezza si rimboccavano le maniche senza commenti, senza lamentarsi, inventando sempre nuovi stratagemmi per far rendere al meglio quel poco che c’era, sempre col sorriso sulle labbra e la battuta pronta, senza perdere la voglia di comunicare e rallegrare le consorelle, magari raccontando la visita in città alla Casa Madre, così come se fosse una novella. Per un mese spalla a spalla con le suore, grazie al loro calore e alla loro accoglienza, ho potuto affrontare serenamente situazioni di disagio che altrimenti avrei saputo gestire con difficoltà. Non ero andata tanto per dare, quanto per imparare e sono stata accontentata a piene mani.

Car la

S to imparando, forse per la prima volta, ad “abitare la vita”: verità, fedeltà, tor-nare ad innamorarsi.

Per la prima volta dopo tanto tempo mi riappro-prio del mio centro, del mio respiro e, finalmente mi sento, mi percepisco; e veramente mi sento viva….Fedele a me stessa, alla mia unicità, all’energia e luce interiore che mi appartiene per diritto di nascita, quale creatura d’amore, figlia dell’Al-tissimo.Lentamente mi sciolgo dagli attaccamenti, dai bisogni, dalle paure, dalle dipendenze, per sen-tirmi in un’onda d’amore che mi penetra l’ani-ma, che mi fa sentire già a casa e innamorata.

elisa

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l a nostra struttura biologica è fatta per abitare la vita; dalla più piccola cellula ai sistemi complessi del nostro corpo si

svolge un processo di trasformazione, moltipli-cazione, movimento, morte e rigenerazione che crea l’armonia del nostro essere.Abitare la vita è sentire che lei scorre dentro di noi come il nostro sangue ed è in un certo senso più forte di noi, di tutti i nostri dubbi e certezze, del nostro amore e dei nostri vuoti, perché men-tre noi pensiamo, organizziamo, tratteniamo, camminiamo, continua il suo corso dentro di noi e ci supporta anche nel nostro abitarla senza at-tenzione.Questa mancanza di attenzione alla vita spesso ci accompagna, perché la riteniamo “normale”; è normale vivere, è normale ciò che ci accade.Io credo che la vita non sia normalità, ma natu-ralità fatta di bellissime differenze.Siamo fatti per abitare la nostra unicità dando attenzione a tutto ciò che avviene dentro e fuori di noi.La normalità è chiudere la vita nella norma, nella

legge, è omologarla e giudicarla, mentre la natu-ralità è lasciarsi portare dalla vita immergendosi in essa come in una forza viva che tutto abbrac-cia e accompagna. La normalità giudica la vita e la rinchiude nei propri schemi, la naturalità è un lasciarsi guidare e giudicare dalla vita sapendo che alla fine ciò che accade è più forte. Abitare la naturalità della vita è non avere paura di lei, ma lasciarla scorrere consapevoli che c’è posto per ciascuno e per ogni diversità, perché in natura ogni cosa è unica e le differenze sono imperfezioni che creano bellezza.Quando ho fiducia in questo, nonostante le dif-ficoltà della mia vita, mi sento al mio posto; ciò che faccio nel mio lavoro, in casa, nelle relazioni ha attenzione ed è calmo.Guardo i miei figli e ho fiducia che anche la loro vita è forte e sarà sempre più abitata (come quel-la di mia figlia, che è incinta) e, nonostante si siano formati nel mio utero, comprendo la novità e originalità delle loro esistenze, anche se capir-lo non è facile…

Monica

PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a Marzo approfondirà il tema:

“PotARe”.Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ulti-mo: 28 Febbraio 2009), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected]

UN CONTRIBUTO: se volete darci una mano a realizzare il giornalino e a sostenere le spese potete inoltrare il vostro contributo col bollettino allega-to, oppure effettuare un’offerta ai seguenti conti correnti intestati a Fraternità di Romena ONLUS, Pratovecchio (Arezzo):

postale IBAN:IT 58 O 07601 14100 000038366340

bancario IBAN:IT 25 G 05390 71590 000000003260

PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è ar-rivato il giornale o ha cambiato indirizzo, se desideri farlo avere a qualche altra persona, informaci.SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 17,30 alle 19,30, sabato e domenica quando vuoi.Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso.

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M i avvicino a te e ritrovociò che ho perduto, Mi sorridi e ritrovo ciò che ho amato.

Luigi verdi

Foto di Massimo Schiavo