accademia per la riprogrammazionecms.riprogrammazione.it/files/files/48204tesi_iurescia_area... ·...
TRANSCRIPT
ACCADEMIA PER LA RIPROGRAMMAZIONE
Corso di counseling per la riprogrammazione
2011-2014
“L’USO DEL COLORE, DEL DISEGNO E DELLA
CREATIVITA’
NELLA RELAZIONE D’AIUTO CON IL METODO DELLA
RIPROGRAMMAZIONE”
Manuela Iurescia
(per il testo completo contattare
SOMMARIO
1. Introduzione
2. Il colore nella natura
3. La forma
4. Visione dei colori
5. Elaborazione dei colori
6. Il significato dei colori
7. Lücher
8. Cos’è la creatività
8.1 La creatività nei bambini
8.2 La creatività nell’adolescenza
8.3 La creatività negli adulti
9. Storia dell’arte
10. L’arte e il cervello
10.1 Emozione ed il sistema limbico
10.2 Cosa accade davanti ad un’opera d’arte
11. Utilizzo nella relazione d’aiuto
12. Nella Riprogrammazione
13. Il laboratorio esperienziale di “Counseling a
Colori”
14. Il caso: “La macchia”
15. Conclusioni
16. Bibliografia
2
1. INTRODUZIONE
Inizio da me.
Sono giunta alla fine del percorso di formazione di
counseling. Ho studiato presso l’Accademia per la
Riprogrammazione® del dott. Mario Papadia.
Solo ora che mi ritrovo a scrivere questa tesi di
conclusione, mi rendo conto di quanto le scelte della mia vita
si possono ricollegare tra loro. Possono essere tutte riunite
da una grande passione ed un sempre rinnovato amore: la
biologia e le scienze in generale.
Mi ritrovo a fare due grandi considerazioni.
Sono cresciuta in una famiglia in cui l’istruzione non
contava poi molto. Era meglio lavorare ed essere produttivi.
Considerata un po’ la figlia ribelle, rispetto a mia sorella
maggiore, ho iniziato a cercare la mia strada già
dall’adolescenza. Sin da allora il mio unico interesse era la
biologia: riesco con ottimi risultati a diplomarmi come
tecnico di laboratorio chimico-biologico. E a quel punto il
passo verso l’università e la facoltà di Scienze Biologiche è
breve.
Mi laureo dopo cinque anni di studio, mentre lavoro
saltuariamente. Lavoro come biologo da tanti anni e nel tempo
mi sono specializzata in microbiologia e biologia molecolare.
Mi occupo di identificare, classificare e studiare batteri
responsabili di infezioni nell’uomo e negli animali da
compagnia e da reddito, per poter mettere a punto terapie
mirate su malattie e prevenzione di esse. Abituata quindi ad
un mondo invisibile all’occhio umano.
L’importanza di dare una forma e un colore ai
microrganismi è alla base della microbiologia. Partendo da
qualsiasi campione biologico il primo passo, per poter poi in
un secondo momento fare analisi sul DNA, è quello di
identificare la specie batterica. Negli anni la tecnologia ha
fatto grandi passi. Colorazioni specifiche e l’utilizzo di
microscopi prima ottici poi a scansione e trasmissione mi
permettono di “vedere” l’invisibile. E questo è il primo
punto.
Il secondo è la scelta della scuola di counseling. Di pari
passo con la biologia è diventato un autentico amore anche
questo.
Oltre ad essere una professionista sono naturalmente un
essere umano, con la sua vita e le sue vicende. La separazione
traumatica da quello che fu mio marito, padre di mio figlio,
mi portò a intraprendere un percorso di “ricostruzione”
3
accompagnata da uno psicoterapeuta. Quando pensavo di aver
superato tutto cominciai a soffrire di attacchi di panico. Mi
aiutò una cara amica dell’infanzia, rincontrata per caso che,
oltre ad essere infermiera, era ed è una counselor. Il lavoro
personale che mi aiutò a fare funzionò. Non mi aveva dato
nessun consiglio, mi aveva portato a riflettere, a vedere le
cose che avevo dimenticato e a farmi scoprire una forza che
non sospettavo.
Nutrii un interesse sempre più profondo per questa
professione. Cercavo sul web, leggevo, studiavo. Sentivo una
spinta forte. Ero in grado di farlo? Dovevo mettermi in gioco.
Ero indecisa e confusa: doveva fare una scelta sulla scuola da
frequentare. Volevo scegliere bene e prendevo tempo. E intanto
cresceva la passione.
Trovai così l’Accademia per la Riprogrammazione® e il
colloquio con il dott. Papadia mi tolse ogni dubbio: il suo
approccio basato sull’evoluzione, la genetica, le neuroscienze
era per me qualcosa che riconoscevo e che dava un filo logico
conduttore al mio voler essere biologa-counselor.
E finalmente arrivo al punto cruciale: la scelta della
tesi.
Da sempre attratta dal colore e dalla forma ho scoperto di
poter unire questa mia passione nel counseling.
Come nel counseling, infatti, l’individuo è un soggetto
che non può essere segmentato ma va preso per la sua totalità,
nel suo complesso esistenziale. Lo studio del colore e delle
forme, attraversa trasversalmente il sapere sotto ogni
conoscenza. Forme e colore, come l’uomo, non possono essere
decontestualizzati ma formano un complesso rapporto di saperi
e di conoscenze.
Attraverso il colore è possibile collegare tutte le
scienze ad altre discipline e creare collegamenti trasversali
tra loro.
Il colore riunisce in sé lo studio della fisica, la luce,
il fenomeno della rifrazione, della riflessione, della
polarizzazione e l’ottica in generale. Troviamo l’importanza
dei colori e delle forme in chimica, con la spettrofotometria,
la colorimetria, lo studio dei pigmenti. Ritroviamo i colori
nella mineralogia; nella matematica con lo studio dei modelli
che spiegano perché percepiamo il colore; in botanica nei
pigmenti vegetali presenti nelle piante e nei frutti; nel
colore degli animali in zoologia; nello studio dell’occhio
umano e della vista in anatomia e in psicologia riguardo
all’influenza dei colori sulla nostra psiche.
Il continuo sviluppo delle neuroscienze ci aiuta sempre
più a comprendere la funzione del cervello e la percezione
dei colori e delle forme, fino poi ad arrivare alla
4
letteratura e alla genetica (studio dei disturbi legati alla
visione), alla medicina e all’arte dove è facile associare
forme e colori. In maniera più specifica, ho scoperto che i
colori e le forme fanno parte del mio DNA, sono parte di me e
la scelta è venuta naturale e spontanea.
5
2. IL COLORE NELLA NATURA
L’occhio umano ha la capacità più d’ogni altro essere
vivente di vedere i colori che la natura regala.
Tra i mammiferi, solo i suoi parenti più stretti, le
scimmie, condividono con l’uomo questa straordinaria capacità.
Tutti gli altri esseri viventi sono quasi o totalmente
privi di questa abilità. Solamente alcuni pesci, insetti,
rettili e uccelli sono in grado di vedere i colori.
La capacità di vedere il colore si è evoluta perché essa
contribuisce alla sopravvivenza.
L’evoluzione della visione del colore è strettamente
connessa all’evoluzione stessa del colore sulla superficie
della Terra.
Ciascun colore ha una o più funzioni ben precise e spesso
riconducibili alla riproduzione e al comportamento.
I colori della natura possono essere di origine fisica,
ossia il risultato, come vedremo più avanti, della rifrazione
e dell’interferenza della luce sulle superfici e di origine
chimica, cioè dovuti a particolari sostanze dette pigmenti che
gli animali sono in grado di sintetizzare da sé o direttamente
collegati all’alimentazione.
In natura esistono svariati pigmenti naturali che sono
riconducibili al mondo vegetale e animale.
I Pigmenti sono distinguibili in base alla loro natura:
naturali e artificiali.
Quelli naturali possono essere inorganici od organici, a
seconda che la loro origine sia minerale o vegetale e animale.
I colori inorganici costituiti da minerali si trovano nei
terreni, nei fossili, nei marmi sotto forma di silicati,
carbonati, ossidi, solfuri e sali di vari metalli. Per quanto
riguarda i pigmenti organici, invece, essi si trovano
distribuiti ovunque. Ne sono un esempio i fiori, la frutta, la
corteccia degli alberi, l’erba. Anche il mondo animale è
riccamente colorato. Possiamo quindi dedurre che il colore
porti in sé un significato preciso.
I carotenoidi sono i responsabili del colore rosso. Nel
mondo animale questo colore è associato a diversi significati:
Avvertimento – la preda ricorda ai possibili
predatori le conseguenze dell’ingestione con
conseguente effetto deterrente (1).
Seduzione – alcuni uccelli marini, e ne è un esempio
il maschio della Fregata minor, utilizzano questo
colore (presente sulla gola) per attrarre la femmina.
Mettersi in mostra – alcuni animali assumono questa
colorazione che è dovuta all’alimentazione : i
6
fenicotteri mangiano gamberetti e piccoli pesci di
questo colore che colora loro le penne e le piume.
I pigmenti verdi sono il risultato dell’associazione dei
colori blu e giallo. E’ il colore che maggiormente si ritrova
in natura e rappresenta, per questo motivo, un importante
vantaggio per tutti quegli animali che adottano il mimetismo
criptico per nascondersi, siano essi prede o predatori. E’ il
caso di alcune rane e serpenti. In natura invece il colore
verde è dato dalla clorofilla.
Il giallo è un colore che viene ben distinto da tutti gli
animali ed ha per questo la funzione di richiamare
l’attenzione o è utilizzato come segnale di avvertimento. Il
colore giallo dei fiori attira gli insetti con conseguente
aumento della possibilità di essere impollinati, mentre alcuni
insetti velenosi lo usano per dissuadere i predatori (api e
vespe). Per i leoni della savana è un colore mimetico: essi
si nascondono facilmente nell’erba secca e alta.
Il colore blu è un colore che difficilmente si trova in
natura e non dipende da alcun pigmento. E’ dovuto, invece, ad
effetti fisici di rifrazione della luce della pelle di alcuni
animali. E’ un colore di avvertimento, ad esempio, per le rane
velenose del Sud America o può essere utilizzato per messaggi
sessuali come avviene per i pappagalli.
Nella maggior parte degli animali troviamo un pigmento
responsabile del colore nero che prende il nome di melanina.
E’ il colore che permette agli animali di mimetizzarsi al buio
o nelle foreste fitte, rinforza il pelo ed il piumaggio (molto
spesso, infatti, la melanina si lega con la cheratina
contenuta nel becco o nelle piume degli uccelli) e protegge
dai raggi ultravioletti del sole.
Infine il colore bianco, cioè l’assenza di pigmento,
funziona per alcuni animali per mimetizzarsi. Ne sono un
esempio le zebre: muovendosi sempre a branchi creano una sorta
di confusione visiva ai leoni, che vedono solo in bianco e
nero, impedendo a questi ultimi di identificare una singola
preda (2).
3. LA FORMA
“Il libro della natura è scritto in lingua
matematica ed i suoi caratteri sono triangoli,
cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali
mezzi è impossibile intenderne umanamente
parola; senza questi è un aggirarsi vanamente
per un oscuro labirinto.” Galileo Galilei
7
Osservando la natura possiamo renderci conto di quanto sia
ricca di forme. Ne esistono di svariate nel mondo vegetale,
nei minerali e negli animali. Alcune di esse si presentano con
maggior frequenza e per questo appaiono all’occhio umano più
immediate, più distinguibili e più familiari. Le forme
geometriche più frequenti, dette primarie, dalle quali si
possono ricavare tutte le altre, sono il quadrato, il
triangolo equilatero ed il cerchio.
A queste figure semplici l’uomo ha dato sin dall’antichità
significati simbolici universali che si possono ritrovare
nelle espressioni culturali e artistiche dei popoli.
Il quadrato è, per l’uomo, simbolo di perfetto equilibrio
geometrico. Esprime stabilità, immutabilità e rappresenta la
concretezza. Nelle culture orientali e nell’antica Grecia il
quadrato rappresenta la realtà terrena e i quattro elementi
della natura. Nelle prime forme di scrittura prende il
significato di recinto, di campo, di casa. Molte città antiche
erano edificate partendo da una base quadrata, derivante dalla
necessità di mantenere simmetria e proporzioni.
Il triangolo equilatero è simbolo di equilibrio. In natura
lo troviamo nei cristalli ma anche in alcune piante. Nella
tradizione religiosa è il divino. Nell’architettura si ritrova
nelle piramidi egizie. Questa figura geometrica si associa
alle montagne, base solida che tende al cielo.
Il cerchio è la forma geometrica perfetta, poiché ogni
punto è equidistante dal centro, non ha angoli. In natura il
cerchio porta numerosi vantaggi: ad esempio il mantenimento
del calore in quanto la forma sferica a parità di volume ha
superficie minore. E’ il simbolo del sole nelle civiltà
antiche e simboleggia la fonte della vita. Come non pensare
all’ovulo da cui inizia la vita?
Lo ritroviamo nella natura sotto forma di polline, ad
esempio, che facilita la dispersione nell’aria. E’ la forma di
molti batteri; del nucleo delle cellule e dell’atomo!
La figura del cerchio è, inoltre, associata al movimento.
Si pensi alle danze o, semplicemente, alle ruote di un mezzo
di locomozione.
4. VISIONE DEI COLORI
8
La visione è un processo di trasformazione e di
interpretazione del mondo esterno in un mondo percettivo che è
caratteristico di ogni individuo.
L’obiettivo della visione è, tra le altre cose, quello di
individuare colori e forme delle cose che ci circondano.
Infatti, grazie alla luce che viene riflessa dagli oggetti
intorno a noi riusciamo in qualche modo a dare un senso al
mondo complesso che ci circonda.
La luce, come vedremo, è costituita da energia
elettromagnetica emessa sotto forma di onde. Le onde finiscono
contro gli oggetti e vengono assorbite, disperse, riflesse e
deviate. Grazie alla natura delle onde elettromagnetiche e
della loro interazione con l’ambiente, il sistema visivo può
estrapolare informazioni del mondo circostante grazie ad un
complesso lavoro di meccanismi neuronali. Nel corso
dell’evoluzione la visione ha fornito nuovi modi di
comunicare, ha dato origine a meccanismi cerebrali che
consentono di intuire la traiettoria degli oggetti ed eventi
nello spazio e nel tempo, ha provveduto a nuove forme di
immaginazione mentale ed ha portato alla creazione del mondo
dell’arte.
Il significato della visione è probabilmente meglio
dimostrato dal fatto che circa la metà della corteccia
cerebrale umana è dedicata all’analisi del mondo visivo (3).
Il sistema visivo parte dall’occhio. Sul lato posteriore
dell’occhio si trova la retina che contiene fotorecettori
specializzati nel convertire l’energia luminosa in attività
neuronale. L’occhio, spesso paragonato ad una macchina
fotografica, ha la capacità di seguire gli oggetti in
movimento e di mantenere la sua superficie trasparente pulita.
L’occhio si adatta automaticamente ad illuminazioni
differenti e mette a fuoco automaticamente gli oggetti
interessanti.
La retina è in realtà una parte del cervello. Ciascun
occhio possiede due retine sovrapposte: una specializzata per
bassi livelli di luminosità (che utilizziamo dal crepuscolo
all’alba) e un’altra specializzata per livelli di luminosità
più elevati e per la detenzione del colore (che utilizziamo
dall’alba al tramonto). L’elaborazione dell’immagine è già
molto ben sviluppata a livello retinico, prima ancora che
qualsiasi informazione visiva raggiunga il resto del cervello.
Gli assoni dei neuroni retinici si uniscono a formare i
nervi ottici i quali trasmettono l’informazione visiva a
diverse strutture cerebrali.
9
I fotorecettori convertono, o più esattamente traducono,
l’energia luminosa in modificazioni di potenziale di membrana.
Questo processo è, per molti versi, analogo alla traduzione
dei segnali chimici in segnali elettrici che avviene durante
la trasmissione sinaptica.
Senza entrare troppo nello specifico nel fotorecettore,
sia esso un bastoncello o un cono, la stimolazione luminosa
attiva le proteine G che a loro volta attivano un enzima
effettore capace di modificare la concentrazione plasmatica
della molecola. I canali del sodio si chiudono, stimolati e
dipendenti anche da altre molecole che fungono da messaggeri,
ed il potenziale di membrana diventa più negativo. Si dice
perciò che i fotorecettori si iperpolarizzano.
La risposta di iperpolarizzazione alla luce è innescata
dall’assorbimento di radiazioni elettromagnetiche da parte del
pigmento che prende il nome di rodopsina nei bastoncelli.
La luce del sole provoca nei bastoncelli, che sono
responsabili della visione dal crepuscolo all’alba,
trasformazioni tali da far diventare satura la risposta alla
luce. Per questo la visione durante il giorno dipende
interamente dai coni. I coni contengono tre diversi pigmenti
che conferiscono ai fotopigmenti sensibilità spettrali
diverse. Possiamo quindi parlare di coni “blu”, che sono
attivati da luce con lunghezza d’onda di circa 430nm, di coni
“verdi”, attivati da luce con lunghezza d’onda di circa 530nm,
e di coni “rossi”, attivati da luce con lunghezza d’onda di
circa 560nm.
La percezione del colore è determinata dall’attivazione
relativa dei coni blu, verdi e rossi del segnale della retina.
Questo sistema di rilevazione dei colori è stato proposto
intorno al 1802 dal fisico inglese Thomas Young e
successivamente supportato dal fisiologo Hermann von
Helmholtz.
Essi dimostrarono che tutti i colori dell’arcobaleno,
compreso il bianco, possono essere creati mescolando le giuste
quantità di luce rossa, verde e blu. Inoltre ipotizzarono,
10
idea che si rivelò abbastanza corretta, che in ciascun punto
della retina esistesse un gruppo di tre tipi di recettore,
ognuno sensibile a luce di diverso colore: blu, verde e rosso
(teoria tricomatica di Young-Helmholtz). Secondo questa teoria
il cervello attribuirebbe i colori in base al confronto tra le
risposte dei tre tipi di coni. Quando sono tutti e tre attivi
in uguale misura, percepiamo il bianco.
I tre colori principali che siamo in grado di percepire,
quindi, sono il rosso, il verde e il blu (RGB - Red, Green,
Blue). Questi tre colori sono rappresentati concettualmente dalla sintesi additiva del colore. Dei colori si parlerà
dettagliatamente più avanti.
Il nervo ottico trasmette i segnali al cervello, dove le
zone preposte alla visione ricostruiscono l’immagine,
producendo il fenomeno fisiologico soggettivo che chiamiamo
visione del colore(4).
Lo studio scientifico della percezione visiva iniziò con
Sthephen Kuffler, medico ungherese fondatore del primo
Dipartimento di neurobiologia degli Stati Uniti (1967). Egli
dimostrò che l’aspetto di un oggetto dipende sostanzialmente
dal contrasto tra l’oggetto e lo sfondo e non dall’intensità
della luce. Inoltre intuì che le cellule gangliari della
retina non rispondono a livelli assoluti di luce ma al
contrasto tra luce e buio.
Ulteriori studi, questa volta applicati alle aree della
corteccia cerebrale, portarono poi alla comprensione di come
il cervello costruisce le linee e i contorni necessari per il
riconoscimento degli oggetti.
Il riconoscimento visivo può essere descritto anche come
corrispondenza tra l’immagine retinica di un oggetto e la sua
11
rappresentazione nella memoria. L’analisi corticale delle
informazioni visive inizia nell’area della corteccia visiva V1
con l’analisi dei bordi e contorni. I principi responsabili di
questo possono essere ritrovati nel pensiero della gestalt
(dal tedesco “forma”) sulla visione che propone una serie di
regole per la definizione dei contorni. Secondo il “principio
della buona continuità” un bordo è percepito come continuo se
gli elementi che lo compongono possono essere congiunti da una
linea retta o curva, originando così illusioni. E’ il caso del
famoso vaso di Ruben.
Secondo la regola della “prossimità” o vicinanza gli
elementi del campo percettivo vengono uniti in forme con tanta
maggiore coesione quanto minore è la distanza tra loro.
Per la regola della “somiglianza”, invece, gli elementi
vengono uniti in forme con tanta maggiore coesione quanto
maggiore è la loro somiglianza.
Per regola della “chiusura”, infine, si ha la tendenza a
percepire come uniti bordi che sono molto vicini tra loro. La
nostra mente è predisposta a fornire le informazioni mancanti
per chiudere una figura, pertanto i margini chiusi o che
tendono ad unirsi si impongono come unità figurativa su quelli
aperti (5)
.
12
5. ELABORAZIONE DEI COLORI
“Agli uomini il colore dona, in genere, grande diletto.
L’occhio ne ha bisogno come ha bisogno della luce” J.W.Goethe
Cos’è il colore?
Per rispondere a questa che sembra essere una semplice
domanda, bisogna studiare la luce ed il processo di visione.
Mi sembra perciò utile e doveroso fare un piccolo excursus
storico.
Partendo dagli studi di Newton (1966) con il suo ben noto
esperimento di dispersione della luce (6) egli dimostrò che il
colore non è una proprietà dei corpi, bensì dovuta ad una
proprietà della luce.
Newton usò un prisma per scomporre la luce del sole (luce
bianca) nello “spettro dell’iride”. Distinse diversi colori: ”
il rosso, il giallo, il verde, l’azzurro e il violetto che
tende al viola, insieme all’arancione e all’indaco e ad
un’indefinita varietà di gradazioni intermedie” (trattato
Optiks).
Nel tempo Newton formulò la teoria corpuscolare: i corpi
luminosi emettevano corpuscoli che viaggiando su via retta e a
velocità elevatissime producevano raggi, i quali colpendo gli
occhi davano la sensazione di luce. Secondo quest’ipotesi il
colore degli oggetti è legato al modo di reagire delle
superfici alla luce. L’ipotesi corpuscolare di Newton ha
influenzato la fisica per più di 100 anni.
La teoria corpuscolare fu poi integrata dall’ipotesi
ondulatoria formulata da Thomas Young, medico e fisico, e da
Christiaan Huygens, fisico, astronomo e matematico olandese.
Questa teoria pose le basi della spiegazione fisica del
colore: la luce come onda di energia. Huygens contribuisce
ulteriormente fornendo un apporto importante sulla percezione
dei colori dell’occhio umano. “Se la sensazione che chiamiamo
colore possiede delle leggi, ci deve essere qualcosa nella
nostra natura che determina la forma di queste leggi. La
scienza del colore è dunque una scienza della mente”.
13
Questa è una frase pronunciata da James Maxwell, uno dei
più grandi fisici di tutti i tempi. Egli dimostrò, attraverso
i suoi studi, che la luce visibile all’occhio umano è un’onda
elettromagnetica e che i diversi colori dello spettro
corrispondevano a frequenze di oscillazione differenti. Nel
1859 Maxwell fece conoscere la sua “Teoria sulla visione dei
colori”.
Secondo Goethe, poeta, narratore e drammaturgo tedesco
(1749-1832) un fenomeno naturale come il colore, capace di
dare grandi emozioni estetiche ed emotive, non poteva essere
legato solo a teorie meccanicistiche. A lui si deve la teoria
che pone al centro della fenomenologia del colore l’uomo ed i
suoi sensi, che ebbe molto seguito nell’ambito artistico (7).
Se immaginiamo la luce come una frequenza emessa da un
corpo che vibra, possiamo affermare che se la vibrazione è
costituita da poche oscillazioni, il colore corrispondente è
rosso; aumentando la frequenza il rosso si trasforma mano a
mano in giallo, per poi diventare verde, blu e violetto.
Ad oggi sappiamo che se un oggetto ci appare verde, ad
esempio, ciò è causato dal fatto che la superficie riflette
verso di noi solo quel colore e trattiene tutti gli altri.
Il nero assorbe tutte le lunghezze d’onda mentre il
bianco, in contrapposizione, le riflette.
Lo spettro della luce visibile mostra tre bande di colori
predominanti: il rosso (R), il verde (G) e il blu (B), i
colori primari additivi. Se sovrapponiamo tre fasci di luce di
questi tre colori (RGB) si ottiene la luce bianca (W). Dalla
sovrapposizione di due luci colorate si ottiene il ciano (C),
il magenta (M) e il giallo (Y): i colori primari sottrattivi.
14
I colori secondari sono i colori derivabili dai primari.
Variano secondo il tipo di sintesi del colore, se additiva o
sottrattiva.
I colori terziari sono i colori derivabili dalla miscela
dei secondari (8)
.
Gli attributi dei colori sono:
La tonalità, che dipende dalle variazioni nella
lunghezza d’onda della luce che colpisce l’occhio;
La luminosità, che si riferisce alla quantità di
chiaro o scuro del colore e che dipende dal grado di
riflessività della superficie che riceve la luce;
La saturazione, che si riferisce all’intensità del
colore.
Per comprendere meglio perché un oggetto ci appare di un
colore piuttosto che di un altro dobbiamo considerare la curva
di riflessione della superficie dell’oggetto colpito dalla
luce. Sostanzialmente è una funzione matematica che
definisce il grado combinato di eccitazione dei tre tipi di
coni della retina, come abbiamo già visto. Questa curva può
essere tradotta in un grafico diviso in tre parti:
Il colore percepito sarà, quindi, un verde tendente al
QuickTime™ e undecompressore
sono necessari per visualizzare quest'immagine.
15
giallo.
Esiste una classificazione dei colori sulla base di una
reazione, che possiamo definire di natura psicologica: I
colori caldi e i colori freddi.
I colori che tendono al rosso e al giallo sono considerati
caldi perché evocano il fuoco ed il sole; quelli che tendono
al blu e al verde sono considerati, invece, freddi perché
evocano acqua e cielo.