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Biblioteca della Fondazione Mattia Furloni AFS E INTERCULTURA UN VIAGGIO PER IL MONDO UN VIAGGIO PER LA VITA “Nacque dall’incontro tra idealismi e pragmatismi diversi che confluiscono dalle due sponde dell’Atlantico, dal progetto di realizzare un ospedale ame- ricano a Parigi, dallo slancio umanita- rio di alcune centinaia di giovani uni- versitari americani, l’idea di creare un servizio di ambulanze che potesse velo- cizzare il trasporto dei feriti dal campo di battaglia alle strutture ospedaliere dove i militari colpiti potessero essere curati. Fino alla prima guerra mondia- le, infatti, la prima causa di morte in seguito al ferimento sul campo era l’estrema lentezza del trasporto dei feri- ti dai campi di guerra al luogo dell’as- sistenza medica. Nel liceo di Neuilly, alla periferia di Parigi, si installarono i primi autisti di ambulanza volontari. Si appoggiarono all’American Hospital Association, nata nel 1907, e crearono il nucleo ori- ginario di quella che più di novant’anni più tardi sarebbe, cambiando mezzi e scopi, diventata una organizzazione non governativa con uffici in più di sessanta Paesi, nonché il maggior organismo internazionale per gli scambi culturali dei giovani...” M Furloni AFS E INTERCULTURA Biblioteca della Fondazione 1

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Biblioteca della Fondazione

Mattia Furloni

AFS E INTERCULTURA

UN VIAGGIO PER IL MONDO

UN VIAGGIO PER LA VITA

“Nacque dall’incontro tra idealismi epragmatismi diversi che confluisconodalle due sponde dell’Atlantico, dalprogetto di realizzare un ospedale ame-ricano a Parigi, dallo slancio umanita-rio di alcune centinaia di giovani uni-versitari americani, l’idea di creare unservizio di ambulanze che potesse velo-cizzare il trasporto dei feriti dal campodi battaglia alle strutture ospedalieredove i militari colpiti potessero esserecurati. Fino alla prima guerra mondia-le, infatti, la prima causa di morte inseguito al ferimento sul campo eral’estrema lentezza del trasporto dei feri-ti dai campi di guerra al luogo dell’as-sistenza medica.

Nel liceo di Neuilly, alla periferia diParigi, si installarono i primi autisti diambulanza volontari. Si appoggiaronoall’American Hospital Association,nata nel 1907, e crearono il nucleo ori-ginario di quella che più di novant’annipiù tardi sarebbe, cambiando mezzi escopi, diventata una organizzazione nongovernativa con uffici in più di sessantaPaesi, nonché il maggior organismointernazionale per gli scambi culturalidei giovani...”

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Mattia Furloni

AFS E INTERCULTURA

UN VIAGGIO PER IL MONDO

UN VIAGGIO PER LA VITA

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AFS E INTERCULTURA

UN VIAGGIO PER IL MONDO

UN VIAGGIO PER LA VITA

Proprietà letteraria della Fondazione Intercultura

I testi di questo volume possono essere riprodotti gratuitamente

citandone la fonte

e purché per scopi non commerciali.

Non se ne possono trarre opere derivate.

Visitate il sito www.fondazioneintercultura.it

La foto in copertina e quelle dell'inserto appartengono agli archivi

AFS e Intercultura

Pubblicato nel mese di marzo 2009

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INDICE

PREMESSA 3

I 1914: AMERICAN FIELD SERVICE 7

1 Il liceo di Neuilly. Nasce l’American Ambulance Field Service. 7

2 AFS tra le due guerre. Fellowship for French Universities. 10

3 La seconda guerra mondiale. 144 La Campagna d’Italia. 17

II IL NETWORK INTERNAZIONALE DI SCAMBI 21

SCOLASTICI

1 I primi passi 212 Nasce il network internazionale 263 Intercultura, il partner italiano 294 Una realtà solida 32

III STUDI E RICERCHE 37

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE 49

BIBLIOGRAFIA 51

APPENDICE 53

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PREMESSA

Ho avuto la possibilità, la fortuna, il privilegio di passare un anno

di liceo negli Stati Uniti; un po’ spavaldamente, inconsapevole dei

risvolti e delle modifiche sulla mia persona, all'età di sedici anni ho

deciso, con l'aiuto e l'appoggio fondamentale della mia famiglia, che

era giunto il momento di partire da casa, cambiare scuola, cambiare

lingua, cibi, cultura e riferimenti socio-storici e di prendere parte ad

un progetto di studio all'estero, quello che in inglese si chiama

“Exchange Student”.

Nell'autunno del 2000 trovai nella posta una lettera che propone-

va soggiorni di studio all'estero di durata variabile, da compiersi in

alternativa al quarto anno di scuole superiori. Intrigato dall'idea presi

coraggio e iniziai ad interessarmi concretamente alla faccenda e fatti

tutti i debiti colloqui per valutare l'idoneità della persona ad un pro-

getto simile, fui giudicato abile e arruolabile ed entrai nel circolo for-

mato dalle strutture che organizzano gli scambi studio e da quelle

migliaia di giovani che ogni anno partono da ogni parte del mondo

per recarsi a studiare in un paese straniero. Entro i primi mesi del

2001, la mia candidatura era stata inviata all'agenzia americana che

si occupa di trovare la famiglia ospitante sul suolo americano, e a me

non restava altro che aspettare e scoprire in quale angolo di USA

avrei trascorso il successivo anno scolastico.

Venni scelto da una famiglia di contadini del Wisconsin, stato del

Mid-West, incastonato tra la frontiera con il Canada, il lago Superio-

re e una parte dello stato del Michigan a nord, il lago Michigan, a est,

Minnesota a ovest, Illinois e Iowa a sud.

Arrivai nella mia nuova casa, accolto dalla mia nuova famiglia,

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un giorno della fine di agosto del 2001; ero solo, giovane e carico di

incertezze quanto di curiosità.

L'anno che trascorsi nel Winsconsin, costellato di emozioni, sco-

perte, delusioni, incomprensioni, divertimento, noia, nostalgia e

amore mi ha cambiato radicalmente le prospettive future, mi ha fatto

crescere diverso dai miei amici coetanei, mi ha stravolto l'esistenza,

mi ha aperto al mondo, mi ha dato concezione diretta, esperienza in

prima persona dell'esistenza del diverso, dell'esistenza di usi, rituali,

di riferimenti storici e culturali differenti, mi ha messo di fronte al

fatto che il modo e lo stile di vita della mia famiglia, della mia terra,

della mia storia, della mia cultura non sono che uno dei modi e stili

di vita possibili, di sicuro non quello più giusto, di sicuro non l'uni-

co, come fino a quel momento mi era sembrato e che molte persone

continuano a concepire come tale.

Non è stato facile. Non è stato facile ambientarsi, non è stato faci-

le sopportare il fatto di non capire la lingua, trovare insopportabil-

mente difficile esprimere un concetto necessario quanto semplice da

pronunciare nella lingua italiana, non è stato semplice ritrovarsi uno

studente straniero in una scuola organizzata in modo completamen-

te diverso rispetto a quella italiana, non è stato facile nutrirsi di ham-burger e Coca-Cola a colazione pranzo e cena, non è stato facile

capire l'ondata di disprezzo per la cultura altrui e l'esaltazione della

propria patria che si scatenò a seguito dell'attacco terroristico alle

torri di New York proprio in quell'anno, a meno di un mese dal mio

arrivo nella terra a stelle e strisce. No, sinceramente di facile c'è stato

ben poco.

Ciononostante, quell'annata così tormentata, così agognata, così

sognata, così vissuta è rimasta impressa dentro di me, quell'esperien-

za fa parte di me, della mia persona e della mia personalità. Un'espe-

rienza del genere non può essere dimenticata, non può essere sminui-

ta a un'esperienza di studio, peraltro soddisfacente dato che mi sono

diplomato alla Cumberland High School, ho dovuto metabolizzarla,

riviverla nei miei ricordi, nelle mie sensazioni, nelle mie percezioni,

una volta tornato a casa.

Anzi sono dovuto ritornare in quel paesino, nella contea di

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Barron, circondato di laghi e foreste (nel 2004 per il matrimonio di

mio “fratello”) per rendermi conto che quell'annata è esistita davve-

ro, che gli amici che mi sono fatto là, allora, sono amici veri che mi

porterò sempre con me. Che l'esperienza che ho avuto il coraggio di

fare, a sedici anni, da solo è stata l'esperienza giusta per me.

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I

1914: AMERICAN FIELD SERVICE

I.1 Il liceo di Neuilly. Nasce l’American Ambulance Field Service.

All’inizio del Novecento molti studenti universitari americani di

discipline mediche e scientifiche erano attratti nella capitale transal-

pina dall’alto livello degli studi e delle ricerche. Qui li sorprese la

guerra mondiale, scoppiata nell’autunno del 1914, che rivoluzionò

la loro vita e quella del vecchio continente e che fece scattare in alcu-

ni giovani, intraprendenti intellettuali una molla di solidarietà verso

il popolo francese, che avevano appena imparato a conoscere e che

si trovava d’improvviso in una situazione estremamente critica.

Nacque così dall’incontro tra idealismi e pragmatismi diversi che

confluiscono dalle due sponde dell’Atlantico, dal progetto di realiz-

zare un ospedale americano a Parigi, dallo slancio umanitario di al-

cune centinaia di giovani universitari americani, l’idea di creare un

servizio di ambulanze che potesse velocizzare il trasporto dei feriti

dal campo di battaglia alle strutture ospedaliere dove i militari colpi-

ti potessero essere curati. Fino alla prima Guerra mondiale, infatti, la

prima causa di morte in seguito al ferimento sul campo era l’estrema

lentezza del trasporto dei feriti dai campi di guerra al luogo dell’as-

sistenza medica.

Nel liceo di Neuilly, alla periferia di Parigi, si installarono i primi

autisti di ambulanza volontari. Si appoggiarono all’American Hospi-tal Association, nata nel 1907, e crearono il nucleo originario di

quella che più di novant’anni più tardi sarebbe, cambiando mezzi e

scopi, diventata un’organizzazione non governativa con uffici in più

di sessanta paesi, nonché il maggior organismo internazionale per gli

scambi culturali dei giovani.

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Duecento autovetture furono requisite ai privati e trasformate in

ambulanze dal Ministero francese della Guerra, e negli Stati Uniti la

signora Vanderbilt comprò e adattò ad ambulanze dieci automobili,

Ford modello T, che furono imbarcate e donate alla nascente Ameri-can Ambulance Field Service. Il battesimo di fuoco le ambulanze e

gli autisti volontari lo ebbero il 6 settembre 1914 sui campi della

Marna dove furono recuperati trecentocinquanta feriti di cui cin-

quanta furono portati al liceo di Neuilly.

In seguito, con lo spostarsi del fronte verso est, fu creata una

dipendenza dell’American Ambulance a Juilly e i servizi si diversifi-

carono: a Juilly venivano trasportati in ambulanza i feriti del fronte

mentre a Neuilly arrivavano in ferrovia i feriti che necessitavano di

strutture ospedaliere più specifiche.

Nei primi mesi l’AAFS contava sul grande entusiasmo e sullo

spirito di iniziativa dei suoi membri, oltre che sull’appoggio di per-

sonaggi illustri ed autorevoli (oltre la già citata signora Vanderbilt, la

signora Whitney, fondatrice dell’omonimo museo di New York, che

sponsorizzò la nuova sede di Juilly, e numerosi alti esponenti del

mondo accademico e diplomatico americano) i quali fondarono un

“comitato degli Amici dell’AAFS” che si occupò di reclutare volon-

tari oltreoceano da impiegare direttamente sui campi di battaglia;

mancava però una struttura definita e una gerarchia di potere che

desse stabilità all’organizzazione.

All’inizio del 1915 fu reclutato come guidatore volontario di un

ambulanza un signore di nome Abram Piatt Andrew. Laureato a

Princeton e Harvard, già sottosegretario al tesoro sotto la presidenza

Taft, già direttore della Zecca americana, già professore di scienze

economiche ad Harvard, già tesoriere della Croce Rossa americana,

a 41 anni Piatt Andrew, rivelando una personalità decisa e volta alla

solidarietà, chiuse la sua brillante carriera di accademico e dirigente

e si imbarcò per l’Europa devastata dalla guerra.

Gli bastarono sei settimane per rendersi conto degli immensi pro-

blemi da risolvere e per proporre a Robert Bacon, già ambasciatore

USA a Parigi e presidente del “Comitato dell’Ambulanza” le sue

soluzioni. Gli venne dato credito e venne nominato ispettore genera-

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le dell’AAFS. E’ l’aprile del 1915. L’AAFS ha assunto il suo asset-

to definitivo e Abram Piatt Andrew ne è il vero fondatore.

La guida delle ambulanze viene riservata a giovani volontari

americani, che sono arrivati in Europa per condividere la durezza

della guerra, anche se il loro Paese ne è formalmente estraneo; nelle

università americane viene avviato un programma per arruolare

volontari e reperire mezzi finanziari. Più di tremila giovani si arruo-

lano e giunti in Francia, divisi in sezioni da una ventina o una tren-

tina di uomini si affiancano alle unità di combattimento francesi.

Nel dicembre del 1915 Piatt Andrew trova in Stephen Galatti il

suo braccio destro; anche lui ex harvardiano, poco più che trentenne,

aveva abbandonato una brillante carriera di agente di borsa per veni-

re in Europa e condividerne le atrocità della guerra. Lo contraddi-

stinguono un calore umano fuori dal comune ed una eccezionale pro-

pensione al lavoro. La AAFS si rafforza.

Nell’estate del 1916 il “Field Service” si stacca dall'AmericanAmbulance e si installa nella villa della contessa di Villestreux, al 21

di Rue Raynouard a Passy, sempre alla periferia di Parigi.

L'acronimo perde perciò la A di Ambulance e resta semplicemente

AFS, servizio da campo americano.

Nel 1916 due sezioni equipaggiate con il doppio del materiale

come scorta, vengono inviate sui campi di battaglia nei Balcani,

dove lavorarono con le truppe francesi nelle zone montagnose tra la

Grecia del nord, la Serbia e l’Albania.

L’anno successivo, il 1917, vede gli USA entrare in guerra a fian-

co delle potenze dell’Intesa; le truppe americane trovarono il servi-

zio di ambulanze perfettamente funzionante e poterono contare sulla

presenza di 1.200 volontari, con quasi tre anni di esperienza, giova-

ni, intelligenti e americani come i militari appena sbarcati.

Alla fine dell'estate del 1917, i contingenti AFS passarono sotto

il controllo dell’amministrazione militare americana.

L’American Field Service può ragionevolmente vantarsi di aver

raggiunto almeno quattro obiettivi nei suoi primi anni di vita. In

primo luogo ha anticipato le truppe americane sui campi di battaglia

francesi e dei Balcani di più di due anni e mezzo; in secondo luogo

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ha contribuito notevolmente a far comprendere all’opinione pubbli-

ca americana le ragioni della guerra e la necessità di schierarsi a fian-

co dell’Intesa; in terzo luogo ha fornito, all’arrivo dell’esercito ame-

ricano, un nucleo di ufficiali di qualità e devoti alla causa; infine i

suoi membri hanno lavorato a fianco dell’esercito francese, imparan-

do a riconoscere nei coetanei stranieri una similarità con la propria

vita che è stata la base per i futuri sviluppi dell’organizzazione.

Nel 1919 gli ultimi autisti di ambulanza lasciarono la casa della

contessa Villestreux e tornarono in America. Per il loro fondamenta-

le aiuto all’esercito, il governo USA rivolse una menzione d’onore

agli autisti di ambulanza dell’AFS: 159 erano venuti da Harvard, 53

da Princeton, 49 da Yale, 20 da Stanford, 17 da Wisconsin, 16 da

Dartmouth, 15 da Columbia e moltissimi altri da altre 80 università.

Molti di loro, quasi cento, avevano già ricevuto la croce di guerra.

Erano giovani provenienti da famiglie benestanti, che si erano paga-

ti da soli il biglietto del transatlantico, che attirati dal mito romanti-

co del prode cavaliere che abbandona tutto per salvare la civiltà, ave-

vano effettivamente lasciato il loro paese estraneo alla guerra per

confrontarsi direttamente con essa, e per dare il loro contributo “sul

campo”.

Molti di loro influenzati dall’esperienza di guerra diventarono

scrittori, (come Malcom Cowley, Louis Bromfield, E.E. Cummings,

Julien Green ed Ernest Hemingway) dando vita a quella corrente e

quella generazione di letterati ribattezzata “lost generation”, i cui

esponenti, bruciate dalla guerra le illusioni di una vita sana, felice e

regolare affogarono il loro male di vivere nell'alcool e nella droga,

uniche medicine in grado di far dimenticare gli orrori di cui erano

stati testimoni.

Se da un lato un'esperienza del genere poteva sconvolgere a tal

punto la vita e le prospettive future di coloro che ne erano stati par-

tecipi, dall'altro si rendeva necessario coglierne le potenzialità e cer-

care di sfruttarne il lato positivo.

I.2 AFS tra le due guerre. Fellowship for French Universities.

Dei 2.569 autisti di ambulanza dell’AFS, che erano accorsi

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1 Andrews A.P., cit. da “Incontri che cambiano il mondo. Intercultura: cinquant'anni di scam-bi studenteschi internazionali”. A cura di Ruffino R., Bellini M., Mazzanti P., Milano,

Sperling Paperback, 2004, p. 36.

11

volontari durante la Prima guerra mondiale, 127 erano rimasti in

Francia, caduti sui campi di battaglia. Nell’ultimo bollettino

dell’AFS (aprile 1919) A. Piatt Andrew scrive:

“Per quattro anni abbiamo cercato di far capire l’America aifrancesi e la Francia agli americani; questo sforzo non deve finirecon la guerra [...]. Non possiamo diventare un club di reduci [...]. Ciè stato suggerito di creare delle borse di studio per americani inFrancia e francesi in America. Questo darebbe al Field Service unruolo attivo, che potrà continuare nel mondo per molti anni dopo lanostra scomparsa [...]1.”

Nasce così l’idea di sponsorizzare 127 borse di studio da intitola-

re a ciascuno dei volontari autisti di ambulanza caduti durante il con-

flitto. Nasce dalla consapevolezza di dover continuare a mettere in

contatto coetanei di Paesi diversi, giovani desiderosi di viaggiare

con quella curiosità intrinseca che permette loro di superare le diffe-

renze culturali e puntualizzare l’attenzione sulle similarità.

Per chi aveva partecipato direttamente alle iniziative dell’AFS

risultava chiaro tanto che la guerra fosse un’azione deprecabile,

quanto che si dovesse fare di tutto per impedire che fatti tanto atro-

ci si ripetessero; escono negli anni successivi numerosi libri di auto-

ri che sono stati coinvolti nel servizio di ambulanze e che dall’espe-

rienza della guerra avevano maturato un forte sentimento pacifista e

internazionalista, volto a considerare tutti gli uomini come fratelli,

superando le differenze culturali, avendo imparato a riconoscere ed

apprezzare ciò che fa di un francese un francese e di un americano,

un americano.

Si vedano per esempio “The Green Bay” di Louis Bromfield,

“The Enormous Room” di E.E. Cummings, “The Best Times” di

John Dos Passos, “The Sun Also Rises” di Ernest Hemingway.

Per chi aveva partecipato con ruoli dirigenziali alle attività

dell’AFS, la scommessa era ora quella di far cambiare faccia all’or-

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ganizzazione, che fino dalla sua nascita aveva avuto finalità sanita-

rie, e convertirla in un’organizzazione volta a promuovere iniziative

interculturali per abbassare le tradizionali diffidenze tra i Paesi

dovute alle differenze culturali.

Si trattava, in sostanza, di trovare un nuovo corso sostenibile in

tempo di pace per un’organizzazione nata in tempo di guerra.

Al ritorno negli Stati Uniti, nell’estate del 1919, i membri AFS si

resero conto che una organizzazione che promuoveva borse di studio

per le rinomate università francesi esisteva già, e la sua fama era già

così consolidata da consigliare di evitare una duplicazione. Presi

contatti con i membri di questa organizzazione, la AmericanFellowship for French Universities, i quali erano già a conoscenza

dell’operato di AFS durante la guerra in Europa, si giunse ad una

sorta di partnership tra i due organismi. In considerazione dei risul-

tati raggiunti da AFS nei rapporti franco-americani, il board di

American Fellowship for French Universities, rinunciò alla sua iden-

tità, e la nuova struttura nata prese il nome di American Field ServiceFellowship for French Universities. AFS aveva la responsabilità di

amministrare il lavoro e scegliere i candidati, aiutati ed influenzati

dai membri del gruppo originale.

Il progetto di borse di studio fu finanziato originariamente con i

fondi rimasti dalla guerra; nell’annata 1919/1920, la prima, vennero

assegnate 8 borse di studio, tutte a studenti americani che si recava-

no in Francia. L’anno seguente le borse furono 22, di cui 4 assegna-

te ad ex-autisti di ambulanza impegnati al fronte.

Lo scopo del programma di borse di studio era quello di incorag-

giare e sviluppare un numero di studenti universitari i quali potesse-

ro, attraverso la loro esperienza personale, ed attraverso gli obiettivi

raggiunti, restaurare l’immagine della Francia agli occhi degli ame-

ricani. Si sperava inoltre che attraverso questo programma, le perso-

ne che in tutto il mondo credevano negli stessi valori di democrazia,

giustizia e libertà avessero a disposizione un meccanismo per avvi-

cinarsi, conoscersi ed eliminare, attraverso un’esperienza forte, le

barriere naturali create dalla lontananza e dalla non conoscenza di

ciò che esiste in altri contesti. Attraverso il progetto si poteva rag-

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giungere un più alto livello di interdipendenza tra le attività umane e

ed un più alto livello di cooperazione nella realizzazione degli inten-

ti comuni.

La AFS Fellowship fu una iniziativa pionieristica esattamente

come lo era stato il servizio di ambulanze durante la guerra. Nel

1920 le uniche borse di studio per l’estero organizzate erano quelle

sponsorizzate a partire dal 1903 dalla Rhodes Scholarships e, a par-

tire dal 1911, dalla American-Scandinavian Foundation Fellowship;

entrambe erano diverse per scopi, propositi e background. Prima

della guerra la maggior parte degli studenti americani che studiava-

no all’estero sceglievano le università tedesche, la cui tradizione

scolastica aveva influenzato molto il sistema didattico americano e

la creazione di borse di studio per la Francia fu “un modo per por-tare lo spirito dei bei vecchi tempi nel futuro2”.

Gli ingenti fondi necessari per finanziare le 127 borse di studio

non arrivarono immediatamente; per l’anno 1922, erano sponsoriz-

zate 80 borse, di cui alcune erano rinnovi per un ulteriore anno di

studio in Francia, ma per la maggior parte erano fondi donati da pri-

vati a singoli individui e l’Organizzazione di per sé non era riuscita

a racimolare i fondi sperati.

Fu alla fine di quell’anno, il 1922 che avvenne la svolta: Georges

Clemenceau, ex presidente francese, fece una turnée negli Stati Uniti

in qualità di rappresentante non ufficiale della Francia, per ristabili-

re canali commerciali e per rafforzare l’immagine del suo Paese,

uscito malconcio agli occhi dell’opinione pubblica internazionale

dalla guerra, come d’altronde tutta l’Europa.

Egli annunciò che la totalità dei proventi delle sue conferenze

doveva andare a beneficio di AFS Fellowship, in memoria del servi-

zio offerto sui campi di battaglia francesi dagli autisti di ambulanza

e in ricordo del suo anno di studio in America, prima della guerra.

La speranza di Clemenceau era altresì quella di aprire le borse ad un

nuovo corso bilaterale: sia per studenti americani in Francia, sia per

2 Galatti S., cit. in “AFS story. Journeys of a lifetime”. A cura di AFS Norge Internasjonal

Utveksling, Losanna, JPM Publications S.A. 1997, p. 24.

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studenti francesi in America.

Negli anni trenta, AFS Fellowship fu in grado di portare i primi

studenti francesi a studiare nelle università americane, segnando

l’inizio di quel programma di scambi di studio che, a parte l’inter-

vallo 1939-1945, ha continuato a crescere ininterrotto fino ai giorni

nostri.

Nel 1936 Piatt Andrew, il fondatore di AFS, colui che più di tutti

aveva creduto nell’utilità del servizio di soccorso e che più di tutti

aveva contribuito allo sviluppo dell’Organizzazione e a un cambia-

mento dei suoi obiettivi alla fine della guerra, muore. Gli succede, in

qualità di direttore generale, il suo braccio destro Stephen Galatti.

Un'altra iniziativa prese corpo a partire dal 1935: la creazione di

una sala, all’interno del Museo franco-americano di Blérancourt,

dedicata alla memoria e all’archivio del servizio di ambulanze di

AFS della Prima Guerra Mondiale. I fondi furono donati ancora una

volta dalla signora Vanderbilt (che già aveva sponsorizzato l'acqui-

sto delle prime ambulanze nel 1914), coadiuvata dalla signorina

Morgan, e i volontari AFS residenti in Francia lavorarono con lo

staff del preesistente museo per i successivi due anni. L’11 settem-

bre 1938 la sala fu inaugurata ufficialmente: vi erano esposti pezzi

appartenenti agli autisti di ambulanza, modelli di ambulanze e l’ar-

chivio completo di AFS risalente agli anni di guerra.

I.3 La seconda guerra mondiale.

Il 3 settembre 1939 la Francia e l’Inghilterra dichiarano guerra

alla Germania. Negli Stati Uniti gli atteggiamenti di isolazionismo e

non-interventismo erano molto forti; dal suo quartier generale di

New York (ospitato gratuitamente dallo studio legale Curtin, Miller,

Mitchell e Taliaferro, tutti ex autisti di ambulanza durante la prima

guerra mondiale) Stephen Galatti, e il suo staff non tardano a render-

si conto che il “servizio da campo” americano era chiamato ancora

una volta a svolgere il suo compito di assistenza e soccorso ai feriti

di guerra francesi. La difficoltà in questa nuova impresa, derivante

dall’altissimo isolazionismo degli americani, era quella di trovare

fondi necessari a finanziare una nuova campagna in Europa. Perfino

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persone che avevano contribuito largamente durante il primo conflit-

to mondiale non si sentirono in grado di mettere il loro nome oltre

che il loro portafogli al servizio di AFS.

Fu nuovamente la signora Vanderbilt, seguita dallo zoccolo duro

degli amici dell’Organizzazione a rendere possibile, per l’ottobre

1939 l’apertura di un ufficio AFS a Parigi e a mettere a disposizione

venti ambulanze su vetture General Motors. Il 23 marzo 1940 i primi

volontari si imbarcano da New York per la Francia. Il 18 aprile

l’Organizzazione AFS francese è legalmente costituita, cioè sono

state risolte le questioni burocratiche e il servizio AFS è affiancato

all’esercito francese. Il 18 maggio le venti ambulanze lasciano Parigi

per il fronte. Sino all’armistizio del 22 giugno, trasportarono oltre

mille feriti.

Con la caduta della Francia, il proposito iniziale di AFS cadde; le

ambulanze ed i beni dell’Organizzazione furono lasciati a disposi-

zione della Croce Rossa americana, con la clausola che AFS avreb-

be potuto riappropriarsene e che fosse comunque tenuta al corrente

dell’utilizzo che si faceva dei mezzi. I fondi di AFS furono donati

all’American Hospital di Parigi, da utilizzare per i servizi sanitari ai

militari francesi che vi giungevano.

Ma gli sforzi fatti da Galatti in America, i fondi raccolti e le ener-

gie spese per avviare la campagna di Francia non potevano essere

sprecati: Peter Muir, membro di AFS in Egitto, fu incaricato di tro-

vare un esercito attivo a cui affiancare il servizio di ambulanze

dell’AFS; le Forces Françaises Libres, o in caso di fallimento, le

Forze Armate britanniche.

Muir parlò con il Generale de Gaulle, il quale era già entrato in

contatto qualche mese prima con il quartier generale di New York e

che si rese disponibile ad affiancare alle armate francesi impegnate

in Medio Oriente le ambulanze dell'American Field Service. Ci furo-

no lo stesso delle complicazioni sul luogo dove dovesse rendersi atti-

vo il servizio. All'inizio fu indicato il nord Africa, poi l'Africa orien-

tale e, infine, fu designata l'Africa sub sahariana francese. Rimaneva

comunque non chiaro né ai francesi né agli americani quale fosse il

compito dei volontari AFS una volta fossero giunti ovunque doves-

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sero andare.

Galatti continuò a cercare finanziamenti, a questo punto per que-

stioni di principio, non fidandosi a inviare uomini in nome di accor-

di vaghi come lo erano stati quelli con l'esercito francese fino a quel

momento. Non avrebbe d'altronde avuto il permesso del governo

americano di inviare uomini nelle condizioni di insicurezza in cui si

trovava la trattativa.

Nonostante AFS avrebbe preferito lavorare esclusivamente per

l'esercito francese, per continuare quella partnership avviata duran-

te il primo conflitto mondiale, nessun accordo chiaro fu raggiunto.

Muir fu istruito quindi di proporre il servizio di ambulanza

all'esercito inglese, che si trovava a corto di mezzi e personale. Dopo

un inchiesta per verificare le credibilità di Muir, e le credenziali di

AFS, il 27 marzo 1941 gli inglesi accettarono di organizzare un

incontro tra Muir e gli alti comandi dell'esercito in Medio Oriente. Il

generale Wavell, comandante in capo dell'esercito inglese, letto il

memorandum proposto dalla delegazione di AFS, accettò l'offerta di

affiancare alle sue truppe “un numero illimitato di ambulanze nel

teatro di guerra del Medio Oriente, e di affidarle a guidatori ameri-

cani volontari”.

Il 6 novembre 1941 la prima unità di volontari AFS lasciò New

York, raggiunse Boston dove si riunì all'unità proveniente dal New

England e a mezzanotte del 7 novembre 1941 si imbarcò sulla nave

militare West Point. A causa dell'inizio della guerra con il Giappone,

nel dicembre di quello stesso anno, l'unità di volontari, in viaggio per

la Libia, dove avrebbe raggiunto le truppe britanniche impegnate

contro tedeschi e italiani fu dirottata su Bombay. Con il passaggio al

controllo inglese cominciava per AFS quella dimensione internazio-

nale che la contraddistingue nella sua futura formazione di organiz-

zazione per gli scambi di studio: oltre al nord Africa dove in seguito

arrivarono unità di volontari, AFS ha portato le ambulanze del suo

“servizio da campo” in Belgio, Olanda, Germania, Austria, India, e

Birmania, aiutando militari francesi, inglesi, greci, sudafricani,

australiani, neozelandesi, canadesi, polacchi, italiani, nepalesi,

indiani e di molte altre nazioni ancora, senza fermarsi a giudicare le

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ragioni di una guerra tanto devastante, ma per un semplice dovere di

solidarietà proveniente dal profondo della coscienza di giovani

uomini volontari americani.

Durante la seconda guerra mondiale, i volontari AFS furono in

totale 2196; tra loro 36 persero la vita, 68 furono feriti in azione, 13

furono fatti prigionieri di guerra. In tutto furono assegnate dai vari

paesi 3792 onorificenze al valore di cui 237 erano medaglie al corag-

gio o al merito di guerra.

I.4 La Campagna d’Italia.

Nel settembre 1943 iniziò la Campagna d'Italia che vide gli allea-

ti sbarcare a Taranto e Salerno. A poco più di un mese dai primi sbar-

chi di militari, negli stessi due porti, Taranto e Salerno, giunsero

anche i primi contingenti di ambulanze dell'American Field Service.

Il morale dei volontari autisti di ambulanza era alto, il governo

fascista era appena caduto e le vittorie dei militari anglo-americani

si succedevano. A Napoli venne fissato il quartier generale, mentre

le ambulanze, ora tutelate dalla convenzione di Ginevra alla Croce

rossa internazionale, che aveva riconosciuto l'operato dei volontari

dell'AFS, furono in prevalenza assegnate ai servizi ausiliari in favo-

re della popolazione civile, nella zona delle operazioni della ottava

Armata britannica, nel settore orientale dell'insuperabile linea

Gustav.

Una delle caratteristiche del nostro Paese, notate dagli autisti di

ambulanza fu la bellezza dei paesaggi a ridosso della linea Gustav,

tra le ultimi propaggini dell'Appennino Abruzzese, il Sannio e il

Matese; alcuni di loro, particolarmente dotati di sensibilità artistica

si innamorarono, proprio in quelle giornate di stress, paura e fatica

della penisola, decidendo, una volta conclusa la guerra, di rimanerci

a vivere per poter godere di tali bellezze naturali.

“La parziale autonomia dei membri di AFS rispetto alle truppedegli eserciti regolari consentì ai volontari un ampia libertà di movi-mento, soprattutto nei periodi di assenza di combattimenti. Animatida un profondo senso di umanità e altruismo, in nome della pace e

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della fratellanza, tutti i volontari si impegnarono con determinazio-ne, nelle operazioni di assistenza; probabilmente senza renderseneconto, i volontari AFS riuscirono con successo là dove fallirono glieserciti Alleati, nel conquistare l'assoluta fiducia della popolazionecivile, favorendo così un clima di fattiva e solidale collaborazionenelle zone dove si svolgevano le operazioni di assistenza3.”

Scrive William Congdon, uno dei maestri dell'arte del novecento,

laureatosi a Yale prima di aderire all'American Field Service, nella

primavera del 1942:

“l'AFS , senza rendersene conto, ha fatto molto per il bene comu-ne e la reciproca comprensione; ognuno di noi ha una “famiglia” inuno o più Paesi4.”

In taluni casi saranno gli stessi volontari dell'American FieldService a elaborare i primi programmi di ricostruzione delle città

bombardate. Questo accadde, per esempio a John C. Harkness che

partecipò alle operazioni di evacuazione e di soccorso di Isernia e

poi ne progettò l'articolato piano di ricostruzione immediatamente

dopo il bombardamento della città, mentre ancora imperversavano i

combattimenti lungo la linea Gustav5.

Nel gennaio 1944, gli eserciti Alleati iniziarono l'offensiva verso

l'Abbazia di Montecassino, ultimo baluardo tedesco lungo la linea

Gustav che, una volta conquistata, avrebbe aperto la strada per

Roma. A essa parteciparono anche, in funzione ausiliaria, le ambu-

lanze dell'American Field Service.

Gli scontri protrattisi fino a maggio furono durissimi, con perdi-

te tra gli eserciti molto elevate e il servizio di ambulanze americane

si rivelò provvidenziale. Le ambulanze di serie dell'esercito britanni-

3 Galli S.B., “Papaveri rossi”, “Intercultura”, n 27, III trimestre 2004, pp.11-12.4 Congdon W., “Lettera ai genitori”, 7 febbraio 1944, in Galli S.B., “Papaveri rossi”,

“Intercultura”, n 27, III trimestre 2004, p.12.5 Planning with you, “The Architectural Forum”, marzo 1945, in Galli S.B., “Papaveri rossi”,

“Intercultura”, n 27, III trimestre 2004, p. 12.

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co, infatti, erano grandi e pesanti e l'aspra morfologia del terreno,

unita alle avverse condizioni atmosferiche di quell'inverno ne rende-

vano la marcia molto difficoltosa.

“Dov'è l'Italia del sole?6” scrivevano a casa i militari coinvolti

nelle operazioni di guerra, che immaginavano la penisola ben diver-

sa climaticamente.

Al contrario le agili vetture dell'AFS riuscivano a percorrere le

mulattiere e le vie sterrate, rese fangose dalla pioggia e dalla neve,

dimostrandosi molto più affidabili nello svolgimento del servizio di

soccorso. Per tutti i volontari che parteciparono all'offensiva il ricor-

do dei drammatici momenti vissuti ai piedi dell'Abbazia di

Montecassino rappresentò il culmine delle difficoltà affrontate

durante la Campagna d'Italia.

Al tempo stesso però, il fatto di trovarsi in una situazione estre-

ma, in continuo pericolo di vita, li fece avvicinare, se possibile,

ancora di più ai militari impegnati nei combattimenti; essi proveni-

vano dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti, ovviamente, ed erano affian-

cati da truppe polacche, che da febbraio avevano rimpiazzato i con-

tingenti canadesi, con le quali tutti insieme trascorsero i festeggia-

menti durante le feste di Pasqua.

A conclusione degli eventi di Montecassino, gli autisti volontari

di ambulanze dell'AFS 567 Coy D – Platoon furono decorati con la

medaglia di bronzo per meriti di guerra dalla repubblica polacca.

Altri autisti di ambulanza sbarcarono ad Anzio e per mesi visse-

ro nelle buche scavate lungo il litorale, intrappolate dalle truppe

tedesche attestate ai Castelli, a sud di Roma. Quattro di loro ad

Anzio ci sono rimasti per sempre e sono sepolti nel Cimitero ameri-

cano di Nettuno: uno di loro aveva diciannove anni.

Dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944), le ambulanze

avanzarono su Perugia e Siena, entrarono a Firenze nei primi giorni

di agosto e aprirono un convalescenziario a Villa Gordon Mann, in

viale Michelangelo 51. Intanto, i volontari dell'Adriatico arrivarono

6 Ruffino R., Bellini M., Mazzanti P., “Incontri che cambiano il mondo. Intercultura: cin-quant'anni di scambi studenteschi internazionali”, cit. p. 38.

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a Lanciano e contribuirono a ripristinare i servizi sanitari.

L'inverno 1944 è interminabile. Si supera gradatamente la linea

gotica sull'Appennino che divide in due l'Italia, a nord i nazifascisti,

a sud gli angloamericani. Ritroviamo in marzo e aprile le ambulan-

ze a Forlimpopoli, Forlì e Faenza: William Congdon, rimasto in

Italia dopo la fine della guerra, fu uno degli artefici del museo delle

ceramiche di Faenza.

Poi nell'aprile del 1945 la guerra in Italia finisce. Gli autisti di

ambulanza morti nella campagna di liberazione del nostro Paese

sono undici.

Qualcuno torna a Napoli a chiudere gli uffici del quartier genera-

le AFS. Si torna a casa.

Qualcuno è inviato in Germania, dove la guerra finale ha prodot-

to una quantità di feriti che necessitano ancora dei servizi sanitari

dell'American Field Service, e alcuni degli autisti volontari vengono

inviati a Bergen Belsen dove assistono alla liberazione dei prigionie-

ri del campo di concentramento nazista. Uno di loro scrive a casa:

“abbiamo trovato 65.000 scheletri viventi e decine di migliaia dicadaveri insepolti; quando uno moriva, gli altri lo buttavano dallafinestra; se non lo facevano, lo tenevano a imputridire nella stanza.Abbiamo dovuto separare a forza cadaveri da corpi ancora vivi7”.

7 Ruffino R., Bellini M., Mazzanti P., “Incontri che cambiano il mondo. Intercultura: cin-quant'anni di scambi studenteschi internazionali”, cit. p. 39.

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II

IL NETWORK INTERNAZIONALE DI SCAMBI SCOLASTICI

II.1 I primi passi.

Nel febbraio 1946, mentre l'AFS stava ancora concludendo le sue

operazioni riguardanti le missioni di guerra, Stephen Galatti comin-

ciò a lavorare sui possibili progetti futuri dell'Associazione, per far

sì che AFS diventasse un'Organizzazione permanente in grado di

operare nel campo degli scambi studenteschi. La French Fellowshipricominciò presto a funzionare, ma come progetto separato. AFS

aveva ora bisogno di creare una struttura organizzata e permanente,

dotata di uffici e personale qualificato per svolgere operazioni del

tutto nuove e differenti da quelle portate avanti durante la guerra.

Nel settembre 1946 oltre duecentocinquanta autisti di ambulanza

a congresso decisero l'inizio di un nuovo programma, per portare

negli Stati Uniti studenti stranieri: quelle che seguono sono parole

che Galatti rivolse agli ufficiali inglesi e francesi durante il congres-

so, in qualità di rappresentante dell'AFS:

“Durante due guerre questi uomini hanno trasportato un milionee mezzo di soldati feriti: hanno avuto dei morti, dei feriti, dei prigio-nieri. Ciò che voglio dirvi è che, attraverso quest'esperienza si sonocalati nella vita degli altri. Hanno conosciuto degli stranieri e se lisono fatti amici. Che fossero australiani, indiani, neozelandesi,scozzesi, polacchi, soldati semplici, sergenti o ufficiali, oggi sonotutti dei fratelli. [...] L'AFS non guarda al passato, ma in avanti percontinuare la sua tradizione ed utilizzare qualsiasi mezzo a disposi-zione per promuovere la comprensione che deve esistere tra tutti gli

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uomini e tutte le nazioni [...]. Ci viene chiesto di mantenere in attivi-tà l'Associazione, di aprire una sede per i suoi membri e di comin-ciare un programma di borse di studio per studenti di altri Paesicome primo progetto della fase postbellica1”.

Il primo problema che la nuova struttura si trovò ad affrontare fu,

ancora una volta, il reperimento dei fondi necessari a finanziare le

borse di studio; i volontari della prima guerra mondiale si fecero

avanti per le borse di studio, mentre quelli impegnati nella seconda

guerra mondiale raccolsero abbastanza denaro da investire nella

costruzione di una clubhouse. Gli uffici si stabilirono al numero 30

East nella 51ma strada a New York, il personale fu gradualmente

ridotto e la nuova AFS International Scholarship cominciò lenta-

mente a prendere forma.

Durante l'anno scolastico 1946/1947 AFS fu in grado di ospitare

negli Stati Uniti 75 studenti provenienti da Paesi esteri, ed organiz-

zare un meeting per le feste di Natale nella clubhouse di New York,

in modo che gli studenti stranieri potessero ricevere supporto duran-

te quella esperienza così nuova ed eccitante, ma anche, sotto molti

aspetti, difficile.

Nel 1947/1948 l'American Field Service InternationalScholarship poté finanziare le prime borse di studio; andarono a 52

studenti provenienti da: Cecoslovacchia, Estonia, Francia, Gran

Bretagna, Grecia, Ungheria, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia e

Siria. Il piano originario era di continuare il progetto nato a seguito

della prima guerra mondiale: inserire studenti stranieri, scelti in base

al carattere e alle doti scolastiche, in un percorso che dall'highschool li avrebbe accompagnati, finanziandone gli studi, al college.

Ad ogni modo per il primo anno le borse erano in prevalenza asse-

gnate a studenti di high school e preparatory school (scuole di pre-

parazione al college e all'università, frequentate prevalentemente

dall'upper class).

1 Rock G. “The History of the American Field Service”, in Ruffino R., Bellini M., Mazzanti

P., “Incontri che cambiano il mondo. Intercultura: cinquant'anni di scambi studenteschi inter-

nazionali”, cit. p. 39.

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All'inizio del 1947, George Van Santvoord, un ex ambulanziere

durante la prima guerra mondiale, divenuto poi preside della

Hotchkiss School e Presidente della Commissione Nazionale

Preparatory School, si rese disponibile, con le scuole sotto la sua

giurisdizione, a fornire borse di studio, che comprendevano ospitali-

tà, tutoring e corsi, a studenti reclutati dall'AFS.

Lo seguirono altri presidi di licei americani, tutti speranzosi che,

se dei buoni risultati erano stati ottenuti con studenti universitari,

altrettanto buoni risultati, se non addirittura migliori, si potevano

ottenere rivolgendo il programma di scambi studio a studenti più

giovani, in età liceale. Il progetto era ancora una volta pionieristico:

nessuna borsa per studiare all'estero al liceo esisteva al tempo e la

scommessa di AFS non aveva alcun parametro per assicurarne i

buoni risvolti che tutti speravano.

Il compito del poco personale e dei molti volontari AFS a questo

punto prevedeva due azioni: la prima era trovare finanziamenti suf-

ficienti per assicurare le spese di viaggio, alloggio, tutoring, assicu-

razione e corsi, oltre a prendersi carico di tutte quelle spese cui gli

studenti non potevano far fronte; la seconda concerneva i rapporti

diretti AFS-studenti e AFS-famiglie. Nel primo caso era previsto che

i borsisti fossero accompagnati lungo tutto il loro percorso, dall'arri-

vo ai moli del porto di New York, al viaggio in pullman che li por-

tava alle famiglie ospitanti, fino all'organizzazione di incontri in

occasione delle feste di Thanksgiving, Natale e Pasqua. Lo scopo era

quello di condividere le molteplici esperienza che stavano vivendo,

senza mai sentirsi abbandonati. La seconda azione era rivolta verso

le famiglie dei ragazzi che dovevano vivere un anno lontano dai pro-

pri figli adolescenti, spediti in America a studiare, e che venivano

costantemente aggiornati sui progressi dell'esperienza.

Una volta definite le modalità di reclutamento, finanziamento e

assistenza degli studenti stranieri, gli obiettivi di AFS si fecero più

specifici: la personalità degli studenti da selezionare, ci si rese conto,

doveva essere estremamente aperta, i giovani dovevano essere

responsabili ed intelligenti. Si cercava, quindi, di offrire la possibili-

tà di studiare per un anno negli Stati Uniti a coloro che in quell'an-

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nata avrebbero compreso al massimo lo stile di vita americano, e che

contemporaneamente si sapessero rendere ambasciatori della loro

cultura nei confronti degli americani con cui venivano in contatto.

Una volta concluso il percorso di studio in America, gli studenti

tornati nei loro Paesi di origine, avrebbero trasmesso ai loro amici,

familiari e conoscenti ciò che avevano appreso, rendendosi ancora

una volta ambasciatori, questa volta dell'American way of life.

Questo avrebbe creato quello scambio di conoscenze, quella

comprensione tra individui che oltrepassa i pregiudizi, i luoghi

comuni e gli stereotipi sulle altre culture, che rappresenta da allora

lo scopo di fondo di AFS.

Nell'anno 1948/1949 gli studenti stranieri ospitati negli USA

furono 87, di cui 40 facevano parte del programma proposto da

George Van Santvoord per le preparatory school. Il gruppo com-

prendeva per la prima volta tre studentesse italiane.

L'anno successivo la high school di Elkhart, nell'Indiana, si pro-

pose con un altro nuovo progetto: il consiglio degli studenti aveva

raccolto finanziamenti sufficienti a pagare due borse, e la scuola

richiedeva la possibilità di ospitare due studenti stranieri, che avreb-

bero vissuto in una famiglia, come parte integrante del nucleo fami-

liare. In seguito sempre più scuole, che avevano sentito parlare di

questo esperimento, si fecero avanti e chiesero di poter partecipare

al programma di AFS.

Nell'annata 1950/1951 gli studenti ospitati in America furono

111, dei quali 82 presso high school o preparatory school; dall'anno

successivo il programma per studenti universitari fu soppresso. Di

conseguenza gli unici studenti che potevano ricevere una borsa di

studio dell'American Field Service erano adolescenti in età liceale.

Una volta tornati in patria, i borsisti AFS mantenevano contatti

con la struttura di AFS, aiutando l'Organizzazione nel lavoro di pub-

blicità e sviluppando programmi nei loro Paesi; uno di questi pro-

grammi, il “Summer Program”, creato da alcuni giovani francesi

tornati dall'anno di studio negli USA, permise nell'estate del 1950 di

accogliere, ospitati in famiglie, nove teenagers americani in Francia.

Nacque cosi l'“Americans Abroad Program” che dava agli stu-

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denti americani la possibilità di recarsi in Paesi esteri, e di essere

ospitati in famiglia. L'anno seguente furono ventiquattro i teenagersUSA che si recarono in Europa, non più solo in Francia, ma anche in

altre sette Nazioni a cui il progetto si era allargato. Durante l'inver-

no tra il 1951 e il 1952, fu il turno dei giovani tedeschi reduci dal-

l'avventura nelle high school americane: determinati a diventare i

primi referenti del l'Americans Abroad Program, così da compiere

un altro passo per superare le diffidenze generate oltreatlantico dal

nazismo e la guerra, conclusa da pochi anni, piazzarono per l'estate

successiva cinquantaquattro americani preso famiglie tedesche, e nei

i successivi cinque anni ospitarono più del cinquanta per cento del

totale degli studenti USA che raggiungevano l'Europa per i tre mesi

estivi.

Entro il 1950 dunque, gli elementi del progetto dell'AmericanField Service erano definiti: si ospitavano in famiglie americane stu-

denti di liceo provenienti da Paesi esteri, che erano considerati mem-

bri effettivi del nucleo familiare e che frequentavano un intero anno

scolastico. Analogamente alcuni studenti americani venivano inviati

per i tre mesi estivi in Europa, ospitati da famiglie volontarie.

Nei successivi cinque anni i programmi conobbero una crescita di

richieste e apprezzamenti notevole e, grazie al lavoro di coloro che

avevano avuto la possibilità di studiare negli USA e che una volta

tornati avevano partecipato attivamente allo sviluppo e all'afferma-

zione del sistema AFS, superarono i confini dell'Europa, diffonden-

dosi anche negli altri continenti.

Entro il 1957 l'American Field Service fu in grado di organizzare

un “Winter Program” che permetteva a liceali americani di recarsi

in Paesi stranieri, essere ospitati da una famiglia locale e frequenta-

re un intero anno di scuola.

Nel quartier generale di New York, sotto la supervisione del lumi-

nare Stephen Galatti, i lavori procedevano oramai nelle due direzio-

ni: da un lato si cercava di organizzare l'ospitalità per gli studenti

stranieri che dovevano frequentare l'high school, e dall'altro si orga-

nizzavano i viaggi dei giovani americani che partivano per l'estero.

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II.2 Nasce il network internazionale.

Durante gli anni cinquanta ci fu una notevole crescita nel nume-

ro di Paesi aderenti ai progetti AFS, specialmente in Europa,

America Latina e Asia. La Siria, coinvolta tra il 1947 e il 1949 tornò

a partecipare agli scambi alla fine degli anni cinquanta, insieme al

Libano, al Giappone, al Sud Africa, all'Iran e all'Uganda.

Negli anni sessanta, di pari passo con il processo di decolonizza-

zione, numerosi Paesi africani accettarono di entrare a far parte della

rete dell'American Field Service, vedendo nella possibilità di ospita-

re giovani americani e soprattutto in quella di mandare i propri gio-

vani a studiare all'estero, un ottimo sistema per guadagnare visibili-

tà internazionale e formare quell'élite dirigenziale necessaria al raf-

forzamento delle proprie istituzioni. Cominciarono gli scambi in

Algeria, Egitto, Marocco, Tunisia, Etiopia, Ghana, Kenya; in Medio

Oriente in Giordania; in Asia in Afghanistan, India, Thailandia,

Malesia, Indonesia.

Le vicende internazionali, influenzando le relazioni fra gli Stati,

hanno spesso portato alla chiusura dei programmi di scambio scola-

stico: molti Paesi hanno potuto partecipavi solo per uno o due anni,

tra questi Cecoslovacchia, Estonia, Polonia, Bahrein, Iraq. Altri

hanno dovuto abbandonare durante gli anni sessanta dopo molti anni

di partecipazione; tra questi India, Egitto e Arabia Saudita (dove

sarebbero poi ripresi in anni recenti).

Gli anni settanta furono particolarmente turbolenti. A causa di

guerre o semplicemente a seguito di tensioni fra Paesi, AFS fu

costretta a chiudere i battenti in Algeria, Afghanistan, Uganda, Laos,

Etiopia, Vietnam del Sud, Libano, El Salvador e Nicaragua. Segnali

positivi comunque si registrano per la partecipazione del Messico,

del Canada e di Israele, e poi la riattivazione degli scambi con

l'Egitto.

Molto spesso le problematiche che portarono alla chiusura dei

programmi dell'American Field Service furono legate al fatto che gli

scambi erano unilaterali verso e dagli Stati Uniti. In un mondo domi-

nato dalle logiche bipolari della guerra fredda, molti governi si tro-

vavano in imbarazzo ad accettare programmi che prevedevano l'in-

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vio dei propri giovani negli USA e l’accettazione di studenti ameri-

cani nelle proprie scuole.

Molto sensibile a questa problematica, e mantenendo sempre la

sua posizione apolitica, già a partire dal congresso internazionale del

1971, AFS cominciò una tendenza verso la diversificazione degli

scambi. Cercò di stabilire una rete tra i propri partner affinché i gio-

vani dei vari Paesi potessero disporre di una gamma di scelta molto

più ampia e non limitata solamente a programmi da o per gli USA.

Gli studenti che scelgono programmi di studio che non coinvolgono

gli Stati Uniti sono cresciuti dai 19 del primo anno agli oltre 7.000

dei giorni nostri (si vedano le tavole in appendice).

Sempre in questa direzione, ovvero quella di ridurre il ruolo degli

USA all'interno del network di Paesi, va vista la decisione, sempre

occorsa all'inizio degli anni settanta, di devolvere in maniera sempre

crescente alcune responsabilità dagli uffici centrali di New York

verso gli uffici delle associazioni nazionali, che si erano ormai affer-

mate ed erano pronte per svolgere un ruolo sempre più determinan-

te. A queste associazioni veniva affidato il compito di selezionare i

candidati nazionali alla borsa di studio AFS e quello di organizzare

l'ospitalità agli studenti che si recavano nel loro Paese per l'anno di

studio.

Gli anni ottanta videro lo sviluppo di numerosi programmi e l'ini-

zio di alcuni progetti per lo studio e il controllo del sistema creato e

delle esperienze di didattica interculturale. Nel 1984 il cosiddetto

“Montreal workshop” determinò i contenuti dell'apprendimento

interculturale e la qualità dei progetti sperimentali che prendevano

avvio. La carta che ne seguì è tuttora in vigore. Furono varati nume-

rosi programmi alternativi al cosiddetto “Year Program” (che rima-

se comunque il più importante nel mondo AFS), specialmente di

breve durata (“Short Programs” o “Intensive Programs”) che inte-

ressavano svariati gruppi scelti in base a interessi specifici.

Tutti i programmi di AFS divennero multinazionali, ovvero i par-

tecipanti venivano sempre dai quattro angoli del mondo, e avevano

possibilità di scegliere una destinazione tra la vasta rete di partner

che AFS aveva creato in varie Nazioni; i programmi erano più aper-

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ti e le possibilità maggiori.

Alla fine della decade però il sistema AFS, allargato e modifica-

to nel corso del trentennio precedente, cominciò a mostrarsi difficil-

mente sostenibile: il fatto che le decisioni più importanti, oltre che la

gestione dell'aspetto finanziario, fossero prese quasi totalmente negli

uffici di New York rendeva l'Organizzazione, a quel punto sviluppa-

tasi a livello mondiale, non controllabile dal punto di vista economi-

co. Si rese necessario sospendere i programmi in numerosi Paesi,

prevalentemente asiatici e africani, e si decentrarono le responsabi-

lità gestionali a partner nazionali autonomi ed interdipendenti.

Tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta, con la

caduta del muro di Berlino e del regime sovietico, AFS fu in grado

di aprire sedi e progetti nei Paesi che ritrovavano proprio in quel

periodo la loro piena sovranità; si cominciarono scambi da e verso la

Russia, la Lettonia, la Cecoslovacchia, l'Ungheria e la Slovacchia.

I programmi erano ora molto diversificati e agli studenti veniva

offerta una gamma di possibili destinazioni ampia ed eterogenea. Si

cominciò a puntare allo sviluppo di scambi con Paesi meno noti e

frequentati: furono varati progetti tra il Brasile, l'Ungheria, la

Thailandia, e la Turchia; tra la Lettonia, Portorico e il Venezuela; tra

i Paesi dei Caraibi e la Russia.

L'assetto realizzato in questi anni ha accompagnato i programmi

di AFS fino ad oggi, innovandosi costantemente e ampliando il set-

tore con studi e ricerche sul lavoro fatto e sulle opportunità che

un'esperienza come quella di un anno di studio all'estero, come

immersione totale nel contesto familiare-scolastico-civico, poteva

apportare ai ragazzi che intraprendevano questa avventura.

Si è cercato di accompagnare quei partner nazionali che non

erano riusciti ad effettuare la transizione da semplici sedi decentrate

dell’AFS in vere e proprie organizzazioni nazionali dotate di piani

economici, di ricerca e di sviluppo dei progetti; si è dato inoltre cre-

dito a chi invece riusciva ad innovarsi e svolgere un ruolo importan-

te nelle decisioni strategiche dell'Organizzazione mondiale. Tra que-

sti ultimi c'era e c'è Intercultura.

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Sopra: Abram Piatt Andrews e Stephen Galatti ambulanzieri aParigi nel 1917.

Sotto: Stephen Galatti alla guida di una delle ambulanze diAFS durante la prima guerra mondiale.

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Sopra: un ambulanzieresul fronte italianonel 1942.

A sinistra:ambulanzieri diAFS in azione inItalia, durante laseconda guerramondiale.

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Sopra: ambulanzieri di AFS in azione in Italia,durante la seconda guerra mondiale.

Sotto: ambulanzieri di AFS a Parigi nel 1940.

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Sopra: ambulanzieri diAFS in Birmania,durante la secon-da guerra mon-diale.

A sinistra: Galatti assiemeagli ambulanzieridi AFS in Italia,nel 1944.

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A destra: Stephen Galattisul campo di bat-taglia, secondaguerra mondiale.

Sotto: una delle ambu-lanze di AFSrestaurata e con-servata in NuovaZelanda.

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A destra: uno dei primiviaggi di exchan-

ge students diAFS sulla SevenSeas, 1956.

Sotto: Stephen Galattinella sede inter-nazionale di AFSa New York, nel1958.

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A sinistra: Stephen Galatticon studenti AFSgiapponesi aNew York, nel1955.

Sotto:un gruppo di stu-denti AFS inviaggio sullaSeven Seas, nel1964.

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Sopra: John Fitzgerald Kennedy e Stephen Galatti durante un incontro congli studenti AFS alla Casa Bianca, 1962.

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A destra: Martin LutherKing con una stu-dentessa AFS nor-vegese ad Atlanta,nel 1964.

Sotto:un gruppo di stu-denti AFS pianifi-cano il bus trip

negli Stati Uniti.

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Sopra: la IV D del Liceo “E.Segré” di Torino fre-quentata da WendellMurray (il primo dadestra in seconda fila)borsista in Italia nel1970/1971.

A destra: un giovanissimo RobertoRuffino durante un’atti-vità con gli studenti ospi-tati in Italia, nel 1971.

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Scene di vita dei borsisti di AFS.

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Scene di vita deiborsisti di AFS.

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Nella pagina accanto: immagini delle celebrazio-ni del Cinquantenario dellafondazione di Intercultura,tenutesi a Torino nel set-tembre del 2005.

Sopra: uno studente stranieroospite a Sassari tedoforo inoccasione dei XX GiochiOlimpici invernali diTorino 2006.

A destra: borsisti italiani in Cina.

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© Horace Kidm

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29

II.3 Intercultura, il partner italiano.

L'Associazione nota oggi come Intercultura nasce nel 1955. Il 18

dicembre di quell'anno una quarantina di ex-borsisti AFS italiani,

tornati in patria dopo aver preso parte ad un programma di studio

negli USA, si riunisce a Roma, all'auditorium dell’Ambasciata ame-

ricana di via Veneto, e fonda l'associazione italiana ex-borsisti AFS

(AFS associazione italiana) con il proposito di diffondere in Italia gli

scambi studio tra studenti liceali. Il primo presidente fu Alfonso

Vittorio Damiani. Vennero istituiti i “comitati locali” (oggi ribattez-

zati “centri locali”) a Roma, Firenze, Milano, Torino e Trieste e da

allora questi “congressi” si sono tenuti annualmente, rappresentando

un punto d'incontro e la linea di sviluppo per i volontari

dell'Associazione.

La prima struttura professionale embrionale Intercultura se la dà

nel 1957 quando Sandra Ottolenghi, ancora studentessa universita-

ria, apre a Milano, in via Solferino 7, il primo ufficio di AFS in Italia,

di cui è l'unica impiegata, per di più part time.

I partecipanti ai programmi AFS aumentarono negli anni seguen-

ti, da una cinquantina nel 1956 a più di settanta nel 1957 a oltre cento

nel 1958. Nel 1963 la piccola sede di via Solferino è ormai inade-

guata; Lisetta Gamondi, subentrata a Sandra Ottolenghi, trasferisce

la sede in piazza Cincinnato 6, vicino alla Stazione Centrale, in un

appartamento più adeguato ad ospitare un ufficio che vedeva cresce-

re costantemente la mole di lavoro da sbrigare.

Quattro anni dopo un nuovo cambiamento: l'Associazione cresce

in tutta Italia, anche al centro-sud; diventa necessario creare una

struttura solida, con rapporti stretti con le istituzioni, specialmente

con il Ministero degli Affari Esteri e della Pubblica Istruzione.

Roberto Ruffino, nominato segretario generale proprio in quell'anno,

il 1967, trasferisce la sede nazionale a Roma, in via Sant'Alessio 24

e incomincia il suo lavoro, fondamentale per la crescita

dell'Associazione, e tuttora in corso. Sotto le sue direttive e grazie

alle sue indicazioni strategiche Intercultura è diventato il terzo part-

ner all'interno del sistema AFS dopo Stati Uniti e Germania.

Per tutti gli anni sessanta la struttura del “mondo AFS” rimane

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più o meno la stessa: tutti i programmi sono da o per gli USA da cui

provengono i fondi e le direttive generali che tutte le Organizzazioni

locali devono seguire. Intercultura tuttavia assume assai presto una

sua posizione più autonoma e cerca, soprattutto tra le altre

Organizzazioni europee, alleati per trasformare l'AFS in un sistema

internazionale e policentrico.

Nel 1964 a New York si tenne il congresso internazionale di AFS

che seguì di pochi giorni la morte di Stephen Galatti, l'amatissimo

“padre padrone” dell'American Field Service, colui che dalla prima

guerra mondiale aveva preso in mano le redini dell'Organizzazione

guidandola attraverso i primi esperimenti di scholarship fino alla

transizione post-seconda guerra mondiale che portò agli scambi stu-

dio. Già da quella data Intercultura spinge nella direzione di creare

un cosiddetto “International Field Service”, dimostrando una visio-

ne precorritrice rispetto alle strategie che si svilupparono a partire

dagli anni settanta e che conobbero la vera realizzazione solamente

durante gli anni ottanta.

Nel 1964 un'altra iniziativa lanciata da Intercultura aggiunge

spessore alla struttura internazionale dell'American Field Service: la

proposta di creare un raccordo europeo tra le Organizzazioni AFS; i

volontari del Centro di Torino raccolgono i fondi necessari e invita-

no nel capoluogo piemontese, dal 1 al 4 novembre 1964, i rappresen-

tanti delle Associazioni AFS in Europa. Ben dodici Paesi aderiscono

al convegno (il primo a carattere esclusivamente europeo) e si deci-

de di creare un notiziario europeo e di ritrovarsi a scadenze annuali

per valutare il lavoro svolto e impostare le direttive comuni per il

futuro.

Nel 1967, anche su proposta italiana, AFS apre un ufficio di coor-

dinamento europeo a Bruxelles e nel 1971 viene fondato AFS-

Europa, che dal 1975 prenderà il nome di Federazione Europea per

l'Apprendimento Interculturale: Efil. Attraverso Efil Intercultura

stringe rapporti con l'UNESCO, il Consiglio d'Europa, l'Unione

Europea.

Dal 1975 Intercultura collabora con la sezione “gioventù”

dell'UNESCO, con la quale ha redatto il documento sugli scambi

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internazionali dei giovani e ha organizzato, sullo stesso argomento,

la prima Conferenza mondiale di esperti tenutasi a Roma nel giugno

1987. Ha fatto parte degli “incontri informali di Ginevra” sulle poli-

tiche giovanili e della delegazione recatasi in URSS nel 1989 per

vagliare le possibilità di scambi educativi tra le varie Repubbliche e

l'Occidente, in seguito alla disgregazione della struttura sovietica e

delle riforme di Gorbaciov.

Per il Consiglio d'Europa Intercultura ha svolto il compito di rela-

tore per le due conferenze sull'intolleranza (1980 e 1990), ha condot-

to studi e ricerche, e redatto numerosi documenti nei settori dell'edu-

cazione interculturale e della gioventù (tra cui quello sul concetto di

“qualità” nel settore degli scambi giovanili, per la Conferenza dei

Ministri della Gioventù di Vienna, tenutasi nel 1993), ha organizza-

to in Italia una riunione della “Rete europea per gli scambi scolasti-

ci”, un corso di formazione per quadri di organismi giovanili inter-

nazionali e quattordici seminari e simposi europei su temi intercul-

turali.

All'Unione Europea ha collaborato, specialmente negli anni

1975-1985, con varie direzioni generali (Informazione, Educazione

e Affari Sociali, Sviluppo) a numerosi progetti. Ha presieduto la

commissione di lavori che nel 1976-1978 portò alla creazione degli

“scambi di giovani lavoratori”; nel 1981 ha compiuto uno studio

sulla mobilità giovanile in Europa; nel 1983 ha organizzato una con-

ferenza in Burkina Faso sugli scambi interculturali tra Africa ed

Europa; nel 1989 ha diretto la produzione di una “Guida Giovani”

sull'Italia per il progetto Eriyca della Comunità Europea, poi distri-

buito in tutti i Paesi coinvolti nel progetto. L'ultimo lavoro coordina-

to da Intercultura per la Commissione Europea è un'indagine presso

oltre duemila scuole di diciannove Paesi europei sulla conoscenza e

la percezione degli scambi individuali di studenti (2002-2003), men-

tre nel 2007-2008 ha impostato e gestito il primo progetto pilota di

scambi scolastici individuali a livello di liceo, sul modello di quan-

to già si fa con Erasmus per gli universitari.

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II.4 Una realtà solida.

La struttura di Intercultura:

La struttura di Intercultura oggi poggia su quattro componenti

che ne assicurano in varia misura la stabilità, la capillarità, la profes-

sionalità e il dialogo con l'esterno. Esse sono:

1- un ufficio di segreteria generale articolato su tre sedi e vari

operatori periferici:

a. un ufficio di promozione e rappresentanza a Roma;

b. una direzione dei programmi e amministrativa a Colle

Val d'Elsa;

c. un ufficio comunicazione sviluppo a Milano;

d. dieci animatori del volontariato in altrettante aree

regionali o interregionali;

2- un volontariato competente e coinvolto che si occupa della

promozione della gestione dei programmi. I volontari par-

tecipano al processo decisionale a tutti i livelli ed eleggono

i loro rappresentanti negli organi nazionali, i quali determi-

nano la politica associativa in stretta collaborazione con

l'ufficio di Segreteria generale e con gli eventuali rappre-

sentanti degli enti con cui collabora. A livello locale sono

organizzati in oltre 130 Centri cittadini che realizzano il

progetto educativo dell'Associazione, ne promuovono i

programmi, assistono i partecipanti, raccolgono i fondi per

le attività locali e le borse di studio.

3- un centro di formazione interculturale a Colle Val d'Elsa

dove Intercultura tiene incontri di formazione per i suoi

volontari, convegni di studio per operatori di scambi cultu-

rali e corsi di formazione interculturale anche per enti o

società che desiderano sensibilizzarsi ai contatti con altre

persone e altre nazioni.

4- una rivista di educazione interculturale con varie sezioni:

articoli, relazioni, saggi prodotti da esperti o tradotti da rivi-

ste straniere, informazioni su quanto avviene nel settore

(borse di studio disponibili, calendario dei congressi di edu-

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cazione, recensioni, eccetera), esperienze educative inter-

culturali in varie aree del mondo, iniziative culturali

dell'UNESCO, del Consiglio d'Europa, dell'Unione

Europea e di altri organismi internazionali.

Ad esse si affianca dal 2007 una “Fondazione Intercultura per il

dialogo tra le culture e gli scambi giovanili internazionali”. Nel

corso di oltre cinquant'anni di attività la generosità e la creatività dei

volontari di Intercultura hanno infatti prodotto un patrimonio unico

di esperienze educative e di risorse finanziarie che l'Associazione ha

inteso utilizzare su più vasta scala, creando una Fondazione per pro-

muovere una cultura del dialogo e dello scambio interculturale tra i

giovani e per sviluppare ricerche, programmi e strutture che aiutino

le nuove generazioni ad aprirsi al mondo e a vivere da cittadini con-

sapevoli e preparati in una società multiculturale. La Fondazione è

aperta all'adesione di altri enti e annovera tra i suoi aderenti i

Ministeri degli Affari Esteri e della Pubblica Istruzione.

La Fondazione promuove ricerche, incontri e corsi di alto livello

sui grandi temi transnazionali nell'Europa e nel mondo e sui rappor-

ti di studio e di lavoro tra persone di culture diverse, coinvolgendo

università italiane, europee e straniere, per approfondire la cono-

scenza degli strumenti che favoriscono la comprensione e il rispetto

reciproci e la collaborazione internazionale. Essa vuol essere un

punto di incontro interdisciplinare sui grandi temi dell'interculturali-

tà, documentare i programmi esistenti di studio e stage all'estero e

studiarne l'efficacia, pubblicare dati aggiornati sui partecipanti, cen-

sire le “buone pratiche” e diffonderne la conoscenza attraverso i

media, i centri informa-giovani, le scuole, tenendo anche corsi di

aggiornamento sulla gestione degli scambi ed eventualmente offren-

do consulenza ad enti terzi interessati ad organizzarli.

Le risorse finanziarie:

Le risorse finanziarie provengono in piccola parte dalle quote di

associazione e in misura determinante da quattro fonti:

1- da un’equa partecipazione alle spese dei programmi da

parte di quei partecipanti che ne hanno la possibilità econo-

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mica;

2- dai fondi che aziende ed enti privati o pubblici mettono a

disposizione per la beneficenza generica e per i programmi

educativi e culturali di propri dipendenti o di altri;

3- dai fondi che le leggi nazionali e regionali attribuiscono

agli enti culturali e ai movimenti di volontariato;

4- dalla messa a disposizione di know-how in vari settori for-

mazione agli scambi internazionali, selezione per esperien-

ze interculturali, preparazione di individui o gruppi che

devono recarsi a vivere in un'altra cultura.

I pubblici di Intercultura:

Intercultura si caratterizza come un'Organizzazione di volontaria-

to internazionale con finalità educative: l'obiettivo è quello di contri-

buire alla crescita di studenti, famiglie e scuole attraverso scambi

internazionali di giovani e il loro inserimento in famiglie e scuole di

altri Paesi. Dal confronto, stimolato e guidato dai propri volontari,

con una cultura diversa, nella quale si è totalmente immersi, nasce

una nuova consapevolezza di sé e degli altri, e un desiderio di con-

tribuire pacificamente e con coscienza di causa al dialogo tra le

nazioni del mondo; questo processo educativo interculturale coin-

volge in egual misura numerosi soggetti, dagli studenti partecipanti

ai programmi, agli sponsor ai volontari, alle scuole.

I pubblici cui si riferisce Intercultura sono quindi:

1- i suoi volontari, cui Intercultura propone un itinerario for-

mativo che prende spunto da esperienze concrete di scam-

bio, in quanto molti aderenti al movimento hanno parteci-

pato a programmi interculturali all'estero o hanno ospitato

a casa studenti stranieri. Questa formazione iniziale “sul

campo” si arricchisce attraverso l'assistenza a studenti ita-

liani in partenza e a quelli stranieri che vengono in Italia.

Essa si completa con momenti di formazione teorica che si

svolgono in primo luogo nel Centro locale e successiva-

mente in seminari regionali, nazionali e internazionali;

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2- gli studenti stranieri in Italia, cui Intercultura garantisce

assistenza per l'inserimento in famiglie e nella scuola, per

l'apprendimento dell'italiano, per la felice risoluzione dei

problemi culturali e psicologici che si possono manifestare

durante il programma;

3- le famiglie ospitanti, cui Intercultura fornisce assistenza e

consiglio e la possibilità di partecipare attivamente al movi-

mento di volontariato;

4- le scuole, cui Intercultura offre la possibilità di partecipare

agli scambi individuali e di classe per gli alunni, ai semina-

ri di formazione interculturale per insegnanti e presidi e di

utilizzare il materiale prodotto a questo scopo dall'Associa-

zione e dalla Fondazione;

5- le imprese private e gli enti pubblici che finanziano le

borse di studio dell'Associazione, a cui Intercultura offre

l'opportunità di svolgere un ruolo sociale ed educativo nella

propria comunità e nella società italiana, rendendo possibi-

le una formazione internazionale per i giovani che vivran-

no in un mondo sempre più integrato.

I programmi di Intercultura:

I programmi di Intercultura oggi sono di quattro tipi:

1- soggiorni di studenti del quarto anno delle scuole secon-

darie superiori all'estero, per soggiorni di un anno scolasti-

co, un semestre, un trimestre o un estate, con ospitalità

presso famiglie volontarie.

2- accoglienza di studenti liceali stranieri presso scuole ita-

liane e famiglie che accettano di inserirli nel loro nucleo

domestico come figli, sotto la responsabilità e il controllo

di Intercultura, per scambi di un anno scolastico, un seme-

stre, un trimestre o un estate;

3- scambi di classe per due settimane, prevalentemente con

Paesi dell'Unione Europea, negli ultimi anni questi pro-

grammi si sono aperti ad altri Paesi in Europa e negli altri

continenti;

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4- corsi di formazione ai rapporti interculturali, per scuole,

presidi, insegnanti, associazioni, aziende. Questi corsi sono

in alcuni casi di brevissima durata (una giornata), in altri di

durata più lunga e anche annuale (nell'ambito di progetti di

formazione europei).

Dal 1947 ad oggi sono andati a studiare all'estero con Intercultura

quasi cinquantamila giovani, cosi suddivisi:

• circa 12.000 studenti per un intero anno durante le scuole

superiori;

• circa 1.500 studenti per un semestre;

• circa 2.000 studenti per un trimestre;

• circa 4.000 studenti per un periodo estivo;

• 306 classi (circa 6.000 studenti e 750 insegnanti).

Sono venuti a vivere con una famiglia italiana e a frequentare una

nostra scuola:

• circa 8.000 studenti stranieri per un intero anno scolastico;

• circa 1.500 studenti stranieri per un semestre;

• circa 2.000 studenti stranieri per un trimestre;

• circa 5.000 studenti stranieri per un periodo estivo;

• 306 classi di scuole estere (circa 6.000 studenti e 750 inse-

• gnanti).

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1 The AFS impact study, di Bettina Hansel e Cornelius Grove per conto di AFS Center for thestudy of Intercultural Learning.

37

III

STUDI E RICERCHE

La struttura AFS a partire dalla prima metà degli anni ottanta ha

sviluppato al suo interno una sezione rivolta alla ricerca e allo studio

dei risultati e dei benefici degli scambi studio all'estero per studenti

liceali e sui cambiamenti e percezioni che maturano durante un anno

in un altro Paese nella fase adolescenziale. Tra il 1980 e il 1985, una

ricerca condotta da Cornelius Grove e Betsy Hansel1 ha evidenziato

cinque aree in cui i borsisti AFS si mettevano in luce e si distingue-

vano in un certo senso dai loro compagni di scuola che non erano

partiti per l'anno di studio all'estero, ovvero:

• l'interesse verso altri mondi e la capacità di accettarne gli stili

di vita;

• la conoscenza e l'atteggiamento verso un'altra cultura;

• la capacità di comunicare efficacemente in una lingua stranie-

ra;

• l'adattabilità a situazioni nuove ed inattese;

• il senso di appartenenza a una comunità globale;

Oltre a queste caratteristiche, quella prima ricerca aveva eviden-

ziato nei ragazzi tornati da un soggiorno all'estero, un atteggiamen-

to meno materialistico; minore conformismo; maggiore capacità di

comunicare, anche in pubblico; una consapevolezza maggiore delle

proprie radici culturali. Negli anni seguenti le varie Organizzazioni

nazionali hanno promosso altre ricerche, anche in collaborazione

con altre istituzioni: scuole, università, ministeri, fondazioni,

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2 The educational result study. “Assessment of the impact of the AFS Study AbroadExperience”, di Mitchell R. Hammer, per conto di AFS.

Commissione Europea, e valendosi di esperti di pedagogia e socio-

logia interculturale, che hanno confermato i risultati positivi di uno

scambio scolastico individuale in età adolescenziale.

Tra le ultime ricerche si segnala per la sua importanza e vastità

quella di Mitchell Hammer nel 2002-2005, che ha investigato gli

aspetti interculturali della crescita che avviene durante un anno

all’estero in un ragazzo di 17 anni2. Quanto si sviluppano le sue

capacità di comunicazione (verbale e non) in un contesto straniero?

Sino a che livello di spontaneità e naturalezza riesce a interagire con

persone di quel Paese? Quanto riesce veramente a comprendere e

interpretare della nuova cultura? Quali strumenti acquisisce per

affrontare in futuro altre situazioni interculturali?

La ricerca rappresenta uno dei più ampi studi scientifici condotti

sul campo per valutare l’impatto degli scambi internazionali di stu-

denti delle scuole superiori. Hanno infatti partecipato alla ricerca un

totale di 2.100 studenti di Austria, Brasile, Costa Rica, Ecuador,

Germania, Hong Kong, Italia, Giappone e Stati Uniti. Di questi,

1.500 studenti (298 italiani, il 14%) hanno partecipato ad un pro-

gramma di scambio interculturale con Intercultura/AFS, vivendo in

una famiglia ospitante di un altro Paese e frequentando una scuola

pubblica con i coetanei del posto per 10 mesi. Gli altri 600 studenti,

selezionati tra i compagni di classe dei partenti, hanno costituito il

gruppo di controllo, ovvero coloro che sono rimasti a casa conti-

nuando a frequentare la stessa scuola e a vivere nella loro famiglia.

La ricerca ha messo in luce le differenti dinamiche tra i due gruppi.

La ricerca ha coinvolto un campione di 2.100 studenti, 1.500 par-

tecipanti al programma annuale all’estero di AFS/Intercultura e 600

appartenenti al gruppo di controllo. Il tasso di risposta è risultato

piuttosto elevato: 87% per il gruppo di partecipanti al programma e

83% per il gruppo di controllo.

In entrambi i gruppi il campione è composto in maggior parte da

studenti di sesso femminile (64% i partecipanti; 66% il gruppo di

38

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controllo), di 17 anni di età. In entrambi i gruppi l’88% del campio-

ne non aveva mai vissuto in un altro Paese per un periodo superiore

ai 3 mesi. In particolare il 43% degli studenti del gruppo dei parteci-

panti non aveva mai vissuto all’estero e il 45 % aveva vissuto

all’estero per periodi brevi, non superiori ai tre mesi (nel gruppo di

controllo questi dati sono rispettivamente il 52% e il 36%).

I due gruppi risultano in sintesi costituiti da studenti con un pro-

filo piuttosto omogeneo. Per alcune variabili in cui si notavano delle

differenze iniziali eccessive è stata utilizzata una particolare tecnica

statistica di correzione dei risultati, in modo di ottenere dati statisti-

camente corretti.

I dati sono stati raccolti in tre fasi attraverso dei questionari som-

ministrati prima della partenza degli studenti per il Paese estero (pre-

test), immediatamente dopo i dieci mesi trascorsi all’estero (post-

test) e sei mesi dopo il loro rientro in patria (post-post test). I risul-

tati provengono in eguale modo sia dagli studenti che dalle loro

famiglie ospitanti all’estero e dai loro genitori in patria.

Quali sono le principali dinamiche che si osservano nei due grup-

pi per effetto della partecipazione al programma di studio all’estero

con Intercultura/AFS?

1. Aumento del livello di interazione con le altre culture.

Dopo il rientro i partecipanti al programma tendono a trascor-

rere più tempo interagendo con persone di altre culture e svi-

luppano un’elevata propensione a instaurare rapporti con per-

sone di altri Paesi. Se da un lato tale osservazione non rappre-

senta una sorpresa, visto che i partecipanti hanno vissuto per

10 mesi all’estero, d’altro canto è molto significativo che la

tendenza ad instaurare nuovi contatti rimanga anche nella fase

post post-test (6 mesi dopi il rientro). Infatti il gruppo dei par-

tecipanti è passato da un tasso iniziale di interazione con altre

culture del 9 ad un tasso del 13%, mentre il gruppo di control-

lo rimane sostanzialmente sulle posizioni iniziali, registrando

addirittura un lieve calo (dal 9 all’8%).

Analogamente, la percentuale di amicizie con persone di

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altri Paesi del gruppo dei partecipanti prima della partenza

risultava dell’11% e dopo il termine del programma si è porta-

ta al 23% (il gruppo di controllo rimane stabile attorno il 9%).

Si tratta sicuramente di un risultato rilevante che consegue uno

dei principali principi educative previsti dal metodo pedagogi-

co dei programmi Intercultura/AFS.

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2. Aumento della conoscenza del Paese ospitante livello di

interazione con le altre culture.

Le analisi di Hammer rilevano anche differenze significative

sulla conoscenza della cultura del Paese ospitante, sia secondo

la valutazione fornita dalla famiglia che ha ospitato lo studen

te durante il programma all’estero, sia per quanto riguarda la

stessa autovalutazione fornita dai partecipanti al programma.

Nel gruppo di controllo invece, come era facile prevedere per

questa variabile, non si riscontrano significative variazioni.

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3. Riduzione dell’ansia nelle relazioni con persone provenien-

ti da culture diverse.

Il gruppo dei partecipanti parte già con un valore leggermente

più basso di ansia all’inizio dell’esperienza (3,3), rispetto al

gruppo di controllo (3,5). Probabilmente ciò è anche influen-

zato dal fatto che l’ansia è uno dei parametri che vengono tenu-

ti in considerazione durante il processo di selezione con cui

Intercultura/AFS accerta l’idoneità del candidato e individua il

programma teoricamente più adatto a lui.

Al termine del programma e dopo 6 mesi dalla sua conclu-

sione, il gruppo dei partecipanti conseguente mantiene una

significativa ulteriore riduzione, arrivando a un punteggio

finale di 2,5 (il gruppo di controllo dopo sei mesi registra un

valore di 3,3).

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4. Aumento delle competenze linguistiche.

Il grado di conoscenza della lingua del Paese ospitante è stato

fatto valutare dalla famiglia ospitante che ha accolto i parteci-

panti in casa propria. Per classificare i vari livelli di conoscen-

za linguistica è stata utilizzata la scala di valutazione del

Foreign Service Institute statunitense.

Al termine del programma il 47% dei partecipanti ha rag-

giunto il grado di conoscenza avanzata o di bilinguismo,

rispetto al dato iniziale del 7%.

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E’ interessante notare che anche gli studenti che non aveva

no alcuna conoscenza della lingua o che partivano da un livel-

lo elementare, al termine del programma hanno effettuato degli

ottimi progressi linguistici (la maggior parte si attesta al livel-

lo 3, come evidenziato nel grafico sottostante).

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Il modello utilizzato per la ricerca è il Developmental Model ofIntercultural Sensitivity (DMIS), creato da Milton Bennet tra il 1986

e il 1993 per inquadrare le reazioni delle persone di fronte alle diffe-

renze culturali e quindi l’evoluzione dei loro atteggiamenti e com-

portamenti quando esposti a interazioni con culture diverse.

Semplificando le nozioni di fondo del modello (su cui viene for-

nito un approfondimento a parte) è possibile evidenziare i principali

stadi di competenze interculturali su cui si fonda il modello, per poi

vedere le dinamiche messe in luce dalla ricerca di Hammer.

Secondo Bennett, gli individui partono in genere da una fase di

etnocentrismo che si manifesta come negazione o rifiuto delle diffe-

renze culturali (esaltazione della propria cultura e disprezzo per le

altre: denial or defense nel linguaggio di Bennett); un etnocentrismo

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alla rovescia può manifestarsi anche quando si adotta come propria

una cultura altra (è il caso di chi va vivere all’estero e si immedesi-

ma totalmente e acriticamente nei valori e nei comportamenti del

nuovo Paese. Bennett chiama questo atteggiamento “reversal”).

Da questa fase iniziale – se si hanno esperienze interculturali – si

può passare ad una fase di universalismo in cui si tende a minimiz-

zare le differenze tra le culture (minimalization nel linguaggio di

Bennett: “siamo tutti esseri umani, tutti sostanzialmente uguali”).

Se le esperienze interculturali proseguono in modo soddisfacen-

te, si può toccare una fase di etnorelativismo in cui la propria cultu-

ra è vista nel contesto delle altre, senza idealizzazioni, e si impara a

sentirsi a proprio agio a livello internazionale, accettando le norme

ed i comportamenti delle culture con cui si entra in contatto, senza

necessariamente condividerle (fase di acceptance and adaptation,

secondo Bennett).

Sullo schema di Bennett, Mitchell Hammer ha creato un

Intercultural Development Inventory (IDI) per misurare i livelli di

competenza interculturale dei soggetti ed il loro passaggio da una

fase a quella successiva. E’ lo strumento utilizzato per la ricerca sui

borsisti AFS.

ETNOCENTRISMO

DD(Denial & Defense)

Negazione o rifiutodelle differenze cultu-rali. Esaltazione dellapropria cultura edisprezzo per le altre.

R(Reversal)

Adesione acritica aivalori e comporta-menti del nuovoPaese

UNIVERSALISMO M(Minimization)

Identificazione di valori culturali comunie problematiche universali

ETNORELATIVISMO AA(Acceptance & Adaptation)

Comprensione eaccettazione di differenze culturalicomplesse

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Utilizzando i dati raccolti con i questionari, Hammer ha applica-

to il modello DMIS di Milton Bennett ai due gruppi di studenti sotto

osservazione.

I questionari della fase di pre test rivelano che la maggior parte

degli studenti partecipanti ai programmi Intercultura/AFS, prima di

trascorrere un anno all’estero, si trova in una fase di etnocentrismo o

di moderato universalismo: a sei mesi dal rientro in patria si rileva

invece un accentuato passaggio alla fase universalistica – con una

variazione di circa sei punti nella scala IDI – mentre il gruppo di

controllo rimasto a casa resta stabile sul punteggio di partenza. Si

danno anche casi di passaggio ad un etnocentrismo focalizzato sul

Paese d’accoglienza (fase di reversal). Esaminando i casi singolarmente, si trova che i cambiamenti

maggiori si verificano in quegli studenti che sono partiti da una fase

di etnocentrismo accentuato e che accedono a forme di universali-

smo, minimizzando quelle differenze verso lo straniero che in par-

tenza erano viste come insuperabili e non accettabili. Chi invece si

trovava già in una fase di apertura verso le differenze culturali

mostra cambiamenti minori. Pochi studenti (3%) si trovavano infine

in una fase di etnorelativismo prima di partire per un anno all’estero

(si tratta generalmente di studenti provenienti da famiglie internazio-

nali o con precedenti soggiorni prolungati all’estero): anche in que-

sto caso tuttavia il loro numero raddoppia (5%) dopo il programma

AFS.

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Le conclusioni del prof. Hammer convalidano ciò che AFS ed

Intercultura sostengono da tempo nel loro progetto di educazione

interculturale attraverso gli scambi – che un’esperienza di vita e

scuola in un altro Paese in età adolescenziale contribuisce a ridurre i

pregiudizi, gli stereotipi, le discriminazioni ed a creare una base

comune per una risoluzione dei conflitti culturali.

Ancora più importante è il dato relativo al percorso degli studen-

ti che partono da condizioni di maggiore marginalità e di etnocentri-

smo più sostenuto: sono proprio loro ad evidenziare i cambiamenti

più forti verso una visione del mondo più universalistica e di valori

condivisibili. Ciò libera il terreno dal rischio di élitismo che circon-

da talvolta i programmi AFS: sembra infatti beneficiarne di più pro-

prio chi ha avuto meno occasioni di esperienze internazionali prece-

denti.

Può essere oggetto di indagine ulteriore il fatto che pochi (5%) tra

i soggetti studiati raggiungano la fase di etnorelativismo. Ciò può

essere in parte imputabile all’età adolescenziale del campione ed in

parte alla filosofia che ispira i volontari di AFS e Intercultura nel

loro approccio educativo: è un punto su cui l’Associazione è chiama-

ta a riflettere nei prossimi anni.

Resta il fatto che il tipo di evoluzione rilevata tra i partecipanti a

questo programma, le competenze linguistiche e culturali acquisite e

il livello di soddisfazione dichiarato sono del tutto eccezionali rispet-

to a quelli rilevati da altri studi e per altri programmi. Ciò è proba-

bilmente dovuto al metodo di selezione, preparazione e sostegno

psico-educativo dei partecipanti attuato da Intercultura/AFS, secon-

do i principi pedagogici sviluppati in oltre 50 anni di attività.

La dimensione del campione studiato, la novità della metodolo-

gia applicata e l’indipendenza del ricercatore fanno di questo studio

di Mitchell Hammer una tappa molto importante, su cui si potranno

utilmente confrontare e misurare le ricerche future sull’educazione

ai rapporti internazionali ed alla mondialità.

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OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Vorrei concludere questo breve saggio storico con qualche rifles-

sione di carattere puramente personale al riguardo della documenta-

zione esistente e all'importanza che viene rivolta ai progetti di scam-

bio scolastico in Italia.

Per quanto riguarda la documentazione, estremamente scarsa

risulta essere quella indipendente, intendo dire che esiste pochissimo

materiale prodotto da persone estranee al mondo di Intercultura.

Sebbene esistano numerose altre organizzazioni che promuovono

scambi studio, queste si limitano ad offrire un prodotto, lasciando

cadere tutti i risvolti pedagogici e le prospettive che i giovani devo-

no affrontare durante e dopo il loro soggiorno all'estero. Questo dato

da me riscontrato è da considerarsi riduttivo rispetto alla reale porta-

ta di un'esperienza di studio all’estero e non valorizza l’opportunità

di compiere studi sociologici, psicologici e interculturali. A tale

riguardo mi sembra doveroso ringraziare il personale e i volontari di

Intercultura, partendo dal Professore Stefano Galli; anche se ormai

non appartiene più al volontariato dell’Associazione, in quanto è

stato il mio primo contatto con il mondo AFS e mi ha dall'inizio for-

nito indicazioni fondamentali per compiere le mie ricerche. Grazie al

suo interessamento al mio lavoro, sono entrato in contatto con il dot-

tor Roberto Ruffino, segretario generale di Intercultura, il quale mi

ha dimostrato altrettanto interesse e una attenzione davvero speciale

e mi ha consentito di consultare l'archivio della rivista “Intercultura”

da dove proviene gran parte del materiale su cui ho lavorato per

completare lo scritto. Ringrazio lui in qualità di rappresentante

dell'Organizzazione, senza dimenticare l'accoglienza che mi è stata

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riservata durante i giorni di ricerca nella sede di Colle Val d'Elsa da

tutto il personale che lavora in quella sede.

Il secondo punto riguarda la scarsa attenzione e importanza che

viene attribuita nel nostro Paese alle esperienze di scambio scolasti-

co: pur sapendo che esistono istituti sparsi sul territorio nazionale

assolutamente all'avanguardia nel campo, che promuovono, pubbli-

cizzano, incoraggiano i propri alunni a lasciare “casa” per andare in

prima persona a scoprire le altre realtà del mondo, troppo spesso

questo atteggiamento è frutto dell'intraprendenza di singoli indivi-

dui, presidi o insegnanti, senza che ci siano direttive comuni chiare

ed una volontà da parte delle istituzioni ad ampliare il capitale socia-

le nazionale, formando i giovani ad una coscienza internazionale. Al

contrario si incontrano ancora ostacoli e impedimenti da parte di

consigli di classe e singoli insegnanti troppo focalizzati sui program-

mi tradizionali per accorgersi delle nuove possibilità esistenti per i

giovani. Anche in questo contesto il lavoro svolto da Intercultura

risulta importantissimo: soprattutto gli incontri di formazione allo

scambio per presidi organizzati in tutta Italia aiutano ad avvicinare

la scuola al mondo degli scambi e fanno superare barriere di chiusu-

ra nazionale.

La mia esperienza di studio all’estero “sul campo”, seppure total-

mente differente, più semplice, sicura e infinitamente meno dram-

matica rispetto a quella dei miei predecessori autisti di ambulanze e

molto più strutturata rispetto ai pionieri degli scambi, partiti trenta,

quaranta, cinquant'anni fa, mi fa pensare positivo rispetto al futuro:

le competenze e le sicurezze che ho maturato durante quei mesi e gli

anni successivi sono un qualcosa di veramente eccezionale. Solo chi

ha il coraggio di abbandonare ciò che conosce può sperare di trova-

re ciò che cerca.

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BIBLIOGRAFIA

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A cura di R. Ruffino, M. Bellini, P. Mazzanti, Milano, Sperling

paperback, 2004, p. 36

Congdon W., “Lettera ai genitori”, 7 febbraio 1944, in S.B.

Galli, “Papaveri rossi”, “Intercultura”, n. 27, III trimestre 2004, p.12.

Galatti S., cit. in “AFS story. Journeys of a lifetime”. A cura di

AFS Norge Internasjonal Utveksling, Losanna, JPM Publications

S.A. 1997, p. 24.

Galli S.B., “Papaveri rossi”, “Intercultura”, n 27, III trimestre

2004, pp.11-12.

Planning with you, “The Architectural Forum”, marzo 1945, in

Stefano B. Galli, “Papaveri rossi”, “Intercultura”, n. 27, III trimestre

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Rock G., “The History of the American Field Service”, in

Ruffino R., Bellini M., Mazzanti P., “Incontri che cambiano il

mondo. Intercultura: cinquant'anni di scambi studenteschi interna-

zionali” cit. p. 40.

Ruffino R., Bellini M., Mazzanti P., “Incontri che cambiano ilmondo. Intercultura: cinquant'anni di scambi studenteschi interna-zionali” cit. p. 38 e 39.

The AFS impact study, di Bettina Hansel e Cornelius Grove per

conto di AFS Center for the study of Intercultural Learning.

The educational result study, “Assesment of the impact of the

AFS Study Abroad Experience”, di Mitchell R. Hammer, per conto

di AFS.

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www.fondazioneintercultura.it

www.intercultura.it

www.afs.org

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APPENDICE

Questa appendice presenta in forma sintetica i dati in possesso di

AFS per quanto riguarda quantità e qualità dei propri programmi. I

grafici che riassumono questi dati provengono dall’Annual Report2006 di AFS e dall’archivio di Intercultura.

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I partecipanti ai programmi AFS suddivisi per zona di prove-

nienza e per zona in cui sono stati ospitati (percentuali riferite al

2006).

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I partecipanti ai programmi AFS suddivisi per tipo di program-

ma e per classe di appartenenza (dati assoluti riferiti al 2006).

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Biblioteca della Fondazione

Nella stessa collana:

1. AFS e Intercultura

2. Identità italiana fra Europa e società multiculturale

3. L’immagine dell’altro

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La Fondazione Intercultura Onlus

per il dialogo tra le culture e gli scambi giovanili internazionali

“Chi è chiuso nella gabbia di una sola cultura, la propria, è in guer-ra col mondo e non lo sa” – diceva l’antropologo Robert Hanvey.

Parafrasandolo: chi si sente a disagio fuori dalla propria nazione e

dalla propria lingua è un cittadino dimezzato ed un attore inefficace

sul mercato globale. Aprirsi al mondo senza spaesarsi; vedere la real-

tà da molte prospettive; scoprire i confini della propria cultura intera-

gendo con quelle altrui; sentire legami comuni di umanità sotto il flui-

re di differenze appariscenti: a dar sostanza a queste aspirazioni lavo-

ra la Fondazione Intercultura Onlus, studiando e sviluppando l’ap-

prendimento interculturale e le infrastrutture che ne favoriscono la

diffusione soprattutto tra i giovani.

La Fondazione nasce il 12 maggio 2007 da una costola

dell’Associazione che porta lo stesso nome e che dal 1955 accumula

un patrimonio unico di esperienze educative internazionali, attraver-

so programmi individuali di vita e di studio all’estero per studenti

liceali di oltre 60 Paesi. La Fondazione approfondisce gli aspetti for-

mativi di questa attività, aiutando le nuove generazioni ad aprirsi al

mondo ed a vivere da cittadini consapevoli e preparati in una società

multiculturale. Vi ha aderito il Ministero degli Affari Esteri. La

Fondazione è attualmente presieduta dall’Ambasciatore Roberto

Toscano; segretario generale è Roberto Ruffino; del consiglio e del

comitato scientifico fanno parte eminenti rappresentanti del mondo

della cultura, dell’economia e dell’università.

Fondazione Intercultura Onlusper il dialogo tra le culture e gli scambi giovanili internazionali

Via Gracco del Secco 100 – 53034 Colle di Val d’Elsa (SI)

Tel. +39.0577.900001

www.fondazioneintercultura.org

Mattia Furloni ha 24 anni: a 16 è stato

exchange student alla Cumbrland HighSchool negli Stati Uniti.

Successivanente si è laureato in Scienze

Internazionali e Istituzioni Europee

presso l'Università degli Studi di

Milano con una tesi sull'AFS e il mondo

degli scambi scolastici. L'esperienza

negli USA da teenager gli ha dato gli

strumenti per rapportarsi con il mondo:

durante gli ultimi anni di università ha

vissuto a Parigi, rientrando a Milano

solo per sostenere gli esami; ha lavora-

to su barche a vela da crociera girando

il Mediterraneo e ha partecipato ad una

campagna di ricerche subacquee in

Sicilia. Vive da sei mesi a Mumbai, in

India, dove prosegue il suo personale

viaggio alla scoperta del mondo.

Collabora con aziende e persone italiane

nel rapporto con una cultura diversa,

aiutando la compresione reciproca tra

persone appartenti a due modi di vivere

e pensare apparentemente inconciliabili.

Dice di sé: “Le differenze interculturali,che la globalizzazione e la crescita diinteresse nei mercati emergenti ci pre-sentano di continuo hanno aperto unmercato di lavoro per chi conosce econcepisce l'altro come individuo indi-pendente dotato di coscienza e potere didecisione propri, anche se con riferi-menti sociali, culturali e storici alterna-tivi. Per poter efficacemente trattare lamateria non c'è altra via che vivere inun Paese estero per un tempo medio-lungo così da arrivare a vedere le moti-vazioni profonde dell'agire altrui.”

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Biblioteca della Fondazione

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