agricoltura e cambiamenti climatici
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UNIONE EUROPEA REGIONE MARCHE PSR MARCHE 2007-2013
AGRICOLTURA E CAMBIAMENTI CLIMATICI
I cambiamenti climatici in corso impongono un inderogabile impegno ad
intraprendere tutti gli interventi possibili per ripristinare condizioni di
equilibrio attraverso l’aumento di efficienza nella produzione e nell’impiego di
energia, l’adozione di modalità sostitutive nei sistemi di trasporto, la gestione
responsabile del territorio e, in generale, la modifica complessiva degli stili di
vita.
Gli impatti negativi dei mutamenti climatici sono, infatti, destinati ad incidere
in maniera significativa, non soltanto sull’ambiente naturale, ma anche sulle
fasce sociali e sui settori produttivi ed economici, coinvolgendo in una serie di
responsabilità l’intero sistema produttivo ed energetico di tutti i paesi
industrializzati o in via di industrializzazione.
In Europa, i cambiamenti climatici tendono ad aumentare le differenze tra
nord e sud. L’aumento di anidride carbonica in atmosfera, ad esempio, è
destinato ad incrementare la produzione agricola soprattutto al nord e centro
dell’Europa.
Nel sud dell’Europa, invece, la riduzione della disponibilità dell’acqua e
dell’aumento della temperatura tendono ad un effetto opposto. La
diversificazione geografica degli impatti dimostra come, a risentire
maggiormente degli effetti negativi dei cambiamenti climatici siano soprattutto
i paesi della fascia climatica mediterranea già sottoposti a difficoltà di gestione
della risorsa idrica. A seguito degli effetti dei cambiamenti climatici, il divario
di accesso all’acqua tra il nord e il sud del mondo rischia, di divenire ancora
più marcato.
Per questo, anche nell’ambito dei trattati internazionali che regolano il
commercio, il clima deve costituire una chiave di lettura prioritaria, in grado di
ovviare alle inevitabili distorsioni, collegabili anche ai differenti livelli di
adesione alle strategie climatiche da parte di alcuni importanti Paesi. Rispetto a
questo scenario, una risposta efficace si fonda certamente su strategie di
adattamento e di mitigazione, che rappresentano un’occasione di modelli
produttivi e di consumo più sostenibili. Le misure di adattamento e quelle di
mitigazione non dovrebbero, tuttavia, essere gestite separatamente, ma
dovrebbero agire in modo complementare. Infatti, è evidente che tanto
maggiori sono gli investimenti destinati alla riduzione della concentrazione di
gas serra, tanto maggiore è la necessità di interventi di adattamento e
viceversa. Inoltre, le azioni di adattamento e di mitigazione, spesso
parzialmente coincidenti, devono essere compatibili tra loro e congiuntamente
pianificate.
L’agricoltura, in generale, è uno dei settori maggiormente interessati dai
cambiamenti climatici e per questo deve ricoprire un ruolo centrale in queste
strategie. Da sempre, infatti, l’efficienza del modello di produzione agricola,
pur dipendendo in maniera consistente dalla capacità di gestione e di
pianificazione dell’imprenditore agricolo, risulta fortemente legata agli
elementi caratterizzanti il luogo di produzione, quali la fertilità del suolo e la
meteorologia.
Oggi, questa efficienza è sotto la minaccia degli effetti negativi dei
cambiamenti climatici, che, rispetto al passato, si stanno diffondendo con una
rapidità non compatibile con i ritmi naturali di adeguamento degli ecosistemi e
dello stesso sistema economico.
Gli effetti negativi dei cambiamenti climatici si fanno sentire sulle attività
agricole in modo diretto, attraverso variazioni qualitative delle produzioni,
influenzando le colture con un’alterazione degli stadi fenologici, del sistema
fitopatologico e delle esigenze in termini irrigui e di lavorazioni. Altre
conseguenze riguardano lo spostamento degli areali produttivi e la modifica
di alcune vocazionalità d’area.
Tutte queste influenze dirette pongono la necessità di un nuovo approccio nei
confronti dell’impiego delle risorse naturali, prima fra tutte quella idrica, il cui
consumo è significativamente cresciuto in Europa negli ultimi anni.
Rispetto a questo scenario, emerge il ruolo che il settore agricolo può giocare,
riequilibrando la serie di svantaggi diretti dal punto di vista produttivo
attraverso un processo che può e deve tradurre l’allarme clima in
un’opportunità. Si pensi, in questo senso, a quella azione di presidio
territoriale in grado di influire in modo consistente su alcuni preoccupanti
fattori di rischio di interesse collettivo, quali, ad esempio, l’erosione, il dissesto
idrogeologico, gli incendi e la siccità.
La scelta di coinvolgere attivamente il settore agricolo nelle politiche di
mitigazione climatica risulta assolutamente in linea con l’orientamento
dell’Unione Europea, che, attraverso la riforma della Pac, ha sancito il ruolo
multifunzionale dell’agricoltura, intendendo giustificare le politiche di sostegno
del reddito attraverso la capacità del settore di fornire servizi alla collettività,
diversi della semplice produzione primaria.
Attualmente, la competitività dell’agricoltura si coniuga con tecniche
produttive in grado di conservare le risorse naturali, ridurre e possibilmente
evitare l’inquinamento ambientale, fornire prodotti sani e di qualità,
conservare la biodiversità, l’integrità ecologica ed il benessere degli animali,
obiettivi a cui si aggiunge quello del contributo alla mitigazione degli effetti
negativi dei cambiamenti climatici, anche attraverso la produzione di energia
rinnovabile.
COME RIDURRE LE EMISSIONI IN ATMOSFERA
Le emissioni che l’uomo emette in atmosfera sono dovute alle attività
industriali, alla produzione di energia, ai trasporti nonché ai consumi ed al
proprio stile di vita. Gli effetti delle emissioni dovute dalle attività dell’uomo
che alterano il normale equilibrio dell’atmosfera possono manifestarsi su scala
spaziale e temporale molti differenti. Infatti se, ad esempio, le emissioni
inquinanti dovute al traffico o a particolari attività industriali fanno sentire i
loro effetti in tempi brevi e in ambiti territoriali limitati, le emissioni di gas
serra o di gas che causano la distruzione di ozono producono effetti su scala
globale i cui tempi sono talmente lunghi che è necessario tenerne conto nelle
scelte attuali per non compromettere la qualità della vita delle generazioni
future.
I principali gas-serra prodotti dall’agricoltura sono l’ossido di azoto e il metano
che hanno, peraltro, un potenziale climalterante ben maggiore della CO2. Le
emissioni di metano sono collegate alla zootecnia e alla risicoltura, mentre le
emissioni di ossido d’azoto derivano dalle fertilizzazioni e dalle deiezioni
zooteniche. Tra i fattori che possono determinare la produzione di emissioni
da parte del settore agricolo deve essere considerato anche l’impiego di
combustibili fossili ( gasolio), necessario allo svolgimento delle attività
aziendali ( lavorazioni, irrigazione, trattamenti, ecc..)
Scopo di questa newsletter è quello di illustrare cosa sono e quali sono le
energie rinnovabili, che contribuiscono a ridurre le emissioni dannose per
l’atmosfera.
Sono da considerarsi energie rinnovabili quelle forme di energia generate da
fonti che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono esauribili
nella scala dei tempi umani e, per estensione, il cui utilizzo non pregiudica le
risorse naturali per le generazioni future.
Sono dunque generalmente considerate “ fonti di energia rinnovabili”: il sole,
il vento, il calore della terra, ovvero quelle fonti il cui utilizzo attuale non ne
pregiudica la disponibilità nel futuro. Se la definizione in senso stretto di “
energia rinnovabile” è quella sopra enunciata, spesso vengono usate come
sinonimi anche le definizioni “ energia sostenibile” e “ fonti alternative di
energia”.
Esistono tuttavia delle sottili differenze, tra:
Energia sostenibile è una modalità di produzione ed uso dell’energia che
permette uno sviluppo sostenibile: comprende dunque anche l’aspetto
dell’efficienza degli usi energetici;
Fonti alternative di energia sono invece tutte quelle diverse dagli
idrocarburi, cioè non fossili.
Alla luce di ciò, non esiste una definizione univoca dell’insieme delle fonti
rinnovabili, esistendo in diversi ambiti diverse opinioni sull’inclusione o meno
di una o più fonti nel gruppo delle “ rinnovabili”. Secondo la normativa di
riferimento italiana, vengono considerate “ rinnovabili”: il sole, il vento, le
risorse idriche, le risorse geotermiche, la trasformazione in energia elettrica dei
prodotti vegetali o dai rifiuti organici ed inorganici.
Rientrano in questo campo, dunque:
Energia geotermica,
Energia idroelettrica,
Energia solare,
Energia eolica,
Energia da biomasse
Termovalorizzatore: combustibile derivato dai rifiuti tramite
dissociazione molecolare.
Una distinzione che spesso viene fatta in tale ambito è quella tra fonti
rinnovabili
”classiche”, essenzialmente idroelettrico e geotermia, e fonti rinnovabili
“ nuove” tra cui vengono generalmente incluse: solare, eolica e da biomassa.
Nell’ambito della produzione di energia elettrica le fonti rinnovabili vengono
inoltre classificate in “ fonti programmabili” e “ fonti non programmabili”, a
seconda che possano essere programmate in base alla richiesta di energia
oppure no.
Talvolta, in alcuni ambiti, anche risparmio energetico ed efficienza energetica
sono considerate, per estensione, “ fonti rinnovabili”, sebbene a rigore tali
tematiche facciano parte dall’utilizzo razionale dell’energia, e non della loro
produzione. Taluni, ancora, considerano questi due aspetti, legati all’uso
piuttosto che alla produzione, all’interno della categoria dell’energia
sostenibile. La tematica si intreccia anche con il problema del riscaldamento
globale e delle emissioni della CO2: una definizione parallela di energie
rinnovabili riguarda quindi anche il fatto che esse non contribuiscano
all’aumento dell’effetto serra, sebbene anche in questo caso sia più rigoroso
parlare di energia sostenibile, essendo l’accento posto sugli effetti ambientali
della produzione di energia, piuttosto che sulle fonti da cui viene ottenuta.
L’INFLUENZA DEI CAMBIAMENTICLIMATICI SULL’ATTIVITA’ AGRICOLA
Nell’ambito delle tematiche connesse ai cambiamenti climatici, l’agricoltura
assume, quindi, un ruolo passivo, che risulta amplificato dai livelli di rischio
climatico, costringendo le imprese agricole ad adottare necessari meccanismi di
adattamento, per rispondere ai numerosi condizionamenti diretti ed indiretti.
Va rilevato che un elemento determinate, rispetto alla naturale capacità di
adattamento del settore agricolo, è rappresentato dalla velocità di evoluzione
dei fenomeni climatici, che caratterizza il cambiamento climatico in corso.
I sempre più frequenti fenomeni estremi ( incendi,violente tempeste,
inondazioni e siccità), insieme alla comparsa di altre anomalie climatiche (
gelati precoci o tardive, maggiore variabilità della stagionalità, alterazioni della
frequenza delle precipitazioni interstagionali e interannuali, comparsa di nuove
malattie animali e vegetali) rappresentano pressioni in grado di mettere
effettivamente a rischio la solidità del sistema agricolo, provocando una
generale perdita di rendimento e di qualità delle produzioni nella maggior
parte delle regioni mediterranee, sino a sfociare in una tendenza alla riduzione
o all’abbandono delle attività agricole e forestali, in queste come in altre aree
vulnerabili.
Relativamente allo scenario di riferimento, emerge la necessità di mettere a
punto opportune misure di adattamento, finalizzate a far fronte ai
cambiamenti climatici attraverso azioni di adeguamento alle mutate condizioni
ambientali e di prevenzione degli effetti stessi.
Un’efficace strategia di adattamento può consentire non solo di ridurre il
rischio ed i danni conseguenti alle variazioni del clima, ma anche di sfruttare i
benefici derivanti dalle nuove opportunità economiche che si aprono in questo
contesto. Le imprese agricole sono, dunque, chiamate ad incamerare le
strategie di adattamento ambientale rendendole utile strumento di
competitività aziendale, sfruttando le opportunità connesse all’adozione di
pratiche e di tecnologie all’avanguardia attraverso l’adozione di modelli
volontari di comportamento.
A tal fine, risulta strategica l’adozione di modelli e codici volontari di
comportamento che possono rappresentare un’importante leva di marketing,
in un mercato sempre più sensibile alle tematiche ambientali.
Il coinvolgimento dei privati: la revisione degli stili di vita e del modello di
sostenibilità.
Anche il cittadino-consumatore può contribuire attivamente alle strategie di
adattamento attraverso la revisione dei propri stili di vita e di consumo.
Il concetto di filiera corta, deve essere inteso non tanto in termini temporali,
quanto spaziali. Lo sviluppo della vera filiera corta dovrebbe essere legato,
infatti, alla diffusione del consumo dei prodotti stagionali e territoriali.
Tale modello rappresenta l’occasione più immediata per offrire valide
opportunità reddituali alle imprese e dare impulso allo sviluppo del territorio.
Una risposta agli effetti dei cambiamenti climatici può essere fornita, infatti,
proprio dalla differenziazione delle formule di vendita e degli stili di consumo,
privilegiando, gli alimenti prodotti localmente garantendo elevati risparmi
sotto il profilo energetico e delle risorse naturali e riducendo, al contempo, le
emissioni connesse al trasporto delle merci.
Il progetto chilometro zero promosso da Coldiretti rappresenta, in questo
senso, una risposta alla domanda del numero crescente di consumatori
desiderosi di adottare, anche nell’alimentazione, stili di vita alla salvaguardia
dell’ambiente e del clima.
Limitare il fenomeno del consumo di suolo agricolo da parte degli impianti.
In Italia si è ancora al lavoro per la definizione di opportuni strumenti in grado
di garantire il necessario equilibrio tra la diffusione dell’energia verde e i
relativi impatti su territorio, ambiente e paesaggio.
Questo aspetto è particolarmente rilevante per i problemi causati dalla
diffusione dei grandi impianti eolici e di quelli fotovoltaici collocati a terra.
Rispetto ai dati del 2010, osservando il “ balzo” di crescita della potenza totale
installata del fotovoltaico avvenuto nel 2011, si può stimare che il suolo
sottratto all’agricoltura da questi impianti sia almeno triplicato nell’ultimo
anno.
Per far fronte a questi problemi, oltre alle linee guida emanate nel 2010, il
decreto 28/2011 ha introdotto alcune condizioni per limitare il fenomeno del
consumo di suolo agricolo da parte degli impianti, ma il decreto sulle
liberalizzazioni n. 1/2012 all’art. 65 ha stabilito la totale esclusione dagli
incentivi per gli impianti di fotovoltaico collocati a terra in aree agricole. La
vicenda del fotovoltaico a terra, come quella dell’utilizzo indiscriminato del
mais per l’alimentazione di impianti di biogas di grossa taglia o della massiccia
diffusione di grandi impianti eolici in aree ad alto valore paesaggistico,
costituiscono un importante elemento di riflessione rispetto alla necessità che
la diffusione delle rinnovabili, così importante e decisiva per lo sviluppo di un
paese industrializzato come l’Italia, debba essere obbligatoriamente
accompagnata da strumenti normativi in grado di promuovere un modello
energetico effettivamente sostenibile, evitando di lasciare le sorti di questo
importante comparto alla sola logica di mercato, esponendo a rischi
speculativi e a danni irreversibili per il territorio nazionale,già di per se
sottoposto a numerosi fattori di criticità.
Piano di sviluppo rurale 2007‐2013 Misura: 1.1.1. Azione nel campo della formazione professionale e dell’informazione.
Sottomisura: b) Attività informativa nel settore agricolo forestale con la partecipazione comunitaria‐ Domanda n. 4591/2010