albero ntizie 22 - 3/2012 - 10 anni dell'albero di cirene onlus
DESCRIPTION
Sono già passati 10 anni e nascono nuovi rami !!!TRANSCRIPT
Associazione onlus di volontariato per la tutela della vita e la promozione della dignità della persona
L’albero diCirene
3/2012notizie XXII
22
Don Mario Zacchini, presidente dell’Associazione
Editoriale
I 10 anni dell'Albero di Cirene
Il Vangelo, tanto divino e altrettanto umano, è una cosa che
dà pienezza, che dà valore e gusto alla vita; l’Eucarestia
domenicale è una ricchezza di consolazione e di grazia e pure un
forte “andate”: se non viene attuato, è bugiarda la nostra presenza.
Da tempo, da anni, ci si adoperava per condividere e sostenere la vita di altri meno
fortunati di noi: eravamo una quindicina ad incontrare le Donne prostitute che “lavorano”
in strada e con esperienze di “visita” a Missioni in Africa-Tanzania. Inoltre, in quegli anni
– una dozzina di anni fa - gli immigrati clandestini, perlopiù giovani della Romania e
dell’Albania, con le loro tragedie ci sollecitavano a dare loro attenzione e a porci accanto a
loro, andandoli a incontrare anche dove si “rifugiavano”: nei boschetti semi abbandonati
dei parchi, lungo il Reno e le linee ferroviarie o in case e fabbriche dismesse, come pure
sotto e dentro a cunicoli e sotterranei delle stesse fabbriche.
I loro volti, le loro condizioni familiari e personali, la loro fame, il loro stato di vita e di
salute come pure il loro sguardo manifestavano sgomento, paura, miseria.
Le Donne in strada, prostituite, allora in particolare nigeriane e albanesi, erano una
provocazione alla nostra vita “benestante” e le ingiustizie su di loro erano un grido e
altrettanto le loro morti violente e sconosciute ai loro cari. Noi visitammo villaggi e famiglie
dell’Albania e poi della Romania e della Moldavia: erano i familiari di queste donne che,
non sapendo più nulla di loro se non una vaga notizia della loro morte, avevano posto nel
cimitero croci di ferro intinte di macchie rosse come sangue per indicare la loro morte e il
dolore inenarrabile. Il loro bisogno di rivolgersi a Dio nella preghiera mentre esse erano
in quelle condizioni ci sconvolgeva e ci portava a interrogarci e a dirci: “ma allora è vero
che ci precederanno nel Regno dei cieli!…”
Per avere una voce e poter essere ascoltati dai diversi Enti era necessario avere la possibilità
di essere riconosciuti come Associazione: “e allora facciamola!”.
Una quindicina di adulti e giovani lasciati toccare da diversi passaggi del Vangelo di Gesù
e dal suo modo di fare, incoraggiati da altri ben forti e decisi come Madre Teresa di
IntervIsta a mons. sILvagnIvicario generale dell’arcidiocesi di Bologna
pagina 12
non seI soLa Il progetto pagina 16
Casa Magdala pagina 18 Sensibilizzazione pagina 19
PamojaIn cammino sulle strade del mondo
pagine 20-23
Zoen tencararIVivere come famiglia
pagine 24-27
LIberI dI sognareL’incontro con i detenuti, per il recupero della persona
pagina 10
aurora Assistenza e sostegno alle madri in difficoltà
pagina 7
La scuoLa dI ItaLIano:Parlare la stessa lingua pagina 8
Intervista doppia pagina 9
centro d’ascoLto marIa chIara baronIAl lavoro da 10 anni pagina 4Una giustizia accessibile a tutti pagina 6
Giovanni Paolo
AlessandroRobertoPaoloJacopoPiero
RiccardoMaurizio
AldoMarcoRita
Don SantoFrancesco
FilippoDon MatteoDon StefanoDon AlbertoDon Enrico
SilvanoSandro
Don MarcoDon Come
Don DamianoPadre Luis
Padre JurandiPadre Pedro
Padre DomingoPadre Milson
IrisPadre Vidal
ElenaPadre Josè
DavideLucia
RosarioAngeloJoseph
ElisabettaSergioEdualisNicolaMikaiKaterin
GiuseppeCristianMarius
SalvatoreCipriano
MikiCornelyDesiréAlain
NatalieAbanda
MassimilianoPietroCharlesPaul
EtiennePaulinoLuzErionErvin
AlessioGianlucaMicheleCristianGennaroJovalinSimone
EmanueleRaffaeleDavide
RiccardoFrederikEugenioToninoManuelFilippoIrene
WilliamOmid Asad
SimonaTommasoAndrea
EmanueleLaura
StefanoMatteoGiulioAndreaJuan 3
Calcutta, don Oreste Benzi, Papa Giovanni Paolo II e – per quel che mi riguarda – dai
10 anni di Missione in Tanzania; sospinti dal bisogno e dalle condizioni di vita di questi
uomini e donne in continuo aumento viventi nel sottobosco della nostra società.
Quante persone sono passate tra i Rami dell’Albero di Cirene: certamente migliaia!
Solo nel progetto-ramo Zoen Tencarari sono oltre 160 in una dozzina di anni. Quante
situazioni di vita “pesantissime” incontrate! Quanta umanità provata in modi terribili.
Quanto ci hanno dato in umanità e in dignità, in tenerezza e conforto! Quanto ci hanno
insegnato riguardo al saperci accontentare e gioire di quello che si ha e così il valore della
pazienza, dell’attesa, del fidarsi e del cercare…
Il futuro: continuare stando forti nella preghiera, nella consapevolezza che Dio viene a noi
in queste “genti” e che è assolutamente necessario anche per noi (ora i volontari sono non
meno di 180): dare senso al vivere di ogni giorno. Essere spalla a spalla per avere risposte e
ambiti umani dignitosi per ognuno: quanto si sperimenta la propria impossibilità! Eppure,
lì nella condivisione delle situazioni sta un briciolo di consolazione e di verità dell’umano
vivere. La Casa Tre Tende ci darà la possibilità di una maggiore attenzione.
Altro “futuro” è crescere nella capacità di smuovere le cause di queste miserie, in questo
nostro mondo che sembra perdere la gioia del vivere, la gioia dell’essere di aiuto agli altri,
sempre incapace di riconoscere la bellezza e l’importanza del bene comune.
Ci è dato di provare che nel cuore dell’Uomo, e tanto nei desideri dei giovani di oggi, c’è
un reale bisogno di vivere per qualcosa di vero e per gli altri, tanto che il più povero, il più
misero, il più sfortunato arricchisce il più ricco e il più fortunato.
Quante persone sono passate tra i Rami dell’Albero di Cirene: certamente migliaia!
Un esempio di impresa solidale
4
Nel 2011 sono state almeno 800 le persone arrivate al Centro per la prima volta
Imparare ad ascoltare
Al lavoro da 10 anni, con migliaia di incontri: tradizione e rinnovamento
Mattia Cecchini
Iniziò il suo servizio quando c’era ancora Maria Chiara Baroni, a cui ora il
Centro d’ascolto è intitolato, e oggi Paola è ancora lì: un impegno che dura
dal 2003. È martedì e poco prima delle 9, prima cioè di iniziare il suo mo-
mento di impegno al Centro, trova il tempo per riguardare un po’ indietro
alla storia di questo progetto, a come è cresciuto e cambiato nel tempo.
Ma non senza dimenticare l’importanza di saper trovare qualcosa su cui
rilanciare i semi gettati con idee “che portano una nota nuova e particolare
anche in questo servizio”. Ad esempio? Passare dall’ascolto alla opportunità
di creare e dare lavoro. E rispondere così a quella che è oggi una delle esi-
genze più pressanti di quanti si rivolgono al Centro di ascolto.
Dunque, dire oggi Centro d’ascolto si-
gnifica dire che cosa?
È lo stesso significato di allora, di die-
ci anni fa: il nome deriva dal progetto,
l’ascolto, che vuol dire aprirsi alle per-
sone che arrivano e lasciarsi coinvolge-
re dalle loro situazioni con delicatezza
e attenzione. Nel tempo però, il cam-
biamento delle condizioni economiche
del Paese si è fatto molto sentire: oggi
manca il lavoro, ma non solo per gli
immigrati che agli inizi erano i princi-
pali utenti del Centro d’ascolto, mentre
gli italiani erano pochi e per lo più con
disagi mentali. Oggi sono aumentati
moltissimo gli italiani, anche quelli di
mezza età, che hanno perso il lavoro.
Una situazione che ha un effetto domi-
no: famiglie che si sfasciano, persone
che restano sole, anche madri in attesa
di figli… Questa crisi si sente molto.
Anche rispetto al numero di persone
che arrivano: nei due momenti di aper-
tura del centro, martedì e giovedì, con-
tiamo quasi sempre 35-40 persone e
non riusciamo ad accoglierle tutte.
E in un anno quante diventano le ri-
chieste di ascolto e aiuto?
Nel 2011 sono state almeno 800 le
persone arrivate al Centro per la prima
volta. Ma questi numeri vanno rad-
doppiati a portati a 1.700-1.800 per-
ché molte persone ritornano più volte.
A queste persone diamo aiuti alimenta-
ri: un tempo erano solo a lunga dura-
ta, adesso possiamo distribuire anche
verdura, frutta. E poi diamo gli abiti:
dieci anni fa non c’era il guardaroba,
invece adesso è un servizio importante.
Per alcuni c’è anche un aiuto econo-
mico per le bollette con un contributo
• Data di nascita>Novembre2001(un
annoprimadellanascitadell’Associa-
zione)
• Nome>Centrod’ascoltoMariaChiara
Baroni.
• Significato del nome>Ilcentronasce
surichiestadiDonMario,einizialasua
attivitàconMariaChiaraBaroni (acui
èdedicato)chevolleconséalcunevo-
lontarieperaccogliereedascoltare le
sofferenzedegliemarginati,deipoveri,
maanchedichiviveinsolitudineede-
pressione.
• Numero volontari >IlCentrod’Ascol-
toiniziacon6volontari,finoagliattuali
12volontari.
• Quando>nelleduemattinedimartedì
egiovedìdalle9,30alle11.
• Quanti>Lepersoneche incontriamo
sonosempretantearrivandoanumeri
di1600/1700colloquiannuali.
• Progetti di solidarietà attivati > so-
stegno alle rette di studio, strumenti
mediciediagnostici,sostegnoaorfano-
trofiecasefamiglia,contributiaopere
parrocchiali,animazioneperbambinie
ragazzi
• Segni particolari > Il Centrod’Ascol-
toèunluogoaccessibileatutti,dovei
volontariincontrano,orientano,respon-
sabilizzanoetutelanolepersonepiùin
difficoltà,guardandociascunonellasua
unicitàaldilàdeibisognicheesprime.Il
Centrod’Ascoltoèlacapacitàdivedere
ilvoltodiGesùnelvoltodiciascuno.
A cura di Mattia Cecchini
L’intervista
Un esempio di impresa solidale
5
ProgettoCentro d’asColto
Maria Chiara Baroni
che è pari a
circa metà della
somma da pagare, per far ca-
pire che qualcosa bisogna che ci
mettano anche loro. Diamo poi aiuto
anche per i biglietti dell’autobus. Poi
il lavoro: cerchiamo di dare indicazio-
ni, spesso sfruttando internet, di posti
dove cercare un impiego. E infine sia-
mo collegati con i Servizi Sociali con
cui abbiamo fatto alcune riunioni per
vedere nuclei e casi singoli per i quali
avere occhio di riguardo. Case di acco-
glienza non ne abbiamo tante da poter
accogliere tutti: per le donne c’è la casa
delle suore della Misericordia, c’è l’O-
pera Padre Marella… ma per le altre si
passa dai Servizi Sociali.
Tutto questo grazie al volontariato, ma
chi regge questo sforzo?
Negli anni alcuni hanno interrotto
questo servizio, perché andando avanti
negli tempo la fatica dell’impegno si è
fatta maggiore e qualcuno non ha potu-
to continuare; ma sono arrivati giova-
ni e relativamente giovani. Il che non è
scontato perché si tratta di un servizio
alla mattina e per ragazzi che lavorano
e studiano non è facile. Eppure abbia-
mo avuto anche dei ragazzi. Adesso
siamo in una
dozzina di
volontari che
si alterna e siamo
sempre in quattro-cinque
fissi da alcuni anni.
Come si può definire il cammino del
Centro d’ascolto fino qui e come può
proseguire oggi? Come va avanti que-
sta storia guardando al suo passato?
Questa è una esperienza che ha anche
momenti di una certa fatica. Anche io
i primi tempi mi portavo a casa tutte
le situazioni che incontravo, mi face-
vo coinvolgere… poi piano piano
le cose sono cambiate, pur non
volendo che diventasse una que-
stione di routine. Credo di avere
evitato di far diventare
questo impegno una
routine, io come altri
che altrimenti avreb-
bero interrotto il servizio
che danno. E oggi bisogna
portare avanti le basi che abbia-
mo gettato: negli anni, tra l’altro,
sono nate cose come la Scuola di Ita-
liano. È partita con una-due persone e
oggi sono in tanti ed è di-
ventata un nuovo proget-
to per l’Albero di Cirene.
È un servizio importante
per i migranti, perché sapere l’i-
taliano è decisivo per trovare un im-
piego e relazionarsi con gli altri. Per il
futuro, una cosa che ci piacerebbe fare,
magari avendo degli spazi maggiori,
è creare un laboratorio, una sorta di
cooperativa di arti e mestieri, perché
in questo momento bisogna anche in-
ventarsi il lavoro. Questo può essere
un progetto per dare aiuto e coinvol-
gere persone con situazioni particolari.
Perché servono anche cose che portano
una nota nuova e particolare anche a
questo servizio.
Il profondo senso di giustizia che ho sempre avuto dentro di me, fin da
quando ero piccola, mi ha portato a lottare tenacemente contro le
ingiustizie che subivo e che vedevo subire dagli altri: amici,
compagni di scuola o di strada. Ho così maturato nel
tempo che la giustizia non è un concetto astratto, un
ideale da raggiungere (a volte così lontano da sem-
brare quasi utopia), ma è quanto di più concreto
si possa fare per il proprio simile; è il punto di
partenza, è ciò che spinge ad agire, a fare, ad im-
pegnarsi perché a ciascun uomo (sia esso italiano
o straniero) sia garantita dignità, libertà, uguaglianza,
diritto alla casa, allo studio, al lavoro, alla salute, per citarne
solo alcuni.
Lo sportello legale
Una giustizia accessibile a tutti
Rosamaria Micolucci
In particolare, poi, per quanto riguarda
la giustizia intesa come quella ammini-
strata dai tribunali, sono molto affe-
zionata all’idea di una giustizia acces-
sibile a tutti, che per me significa che a
ognuno deve essere data la possibilità
di “raccon-
tare” la
propria
vicenda
e conseguentemente ricevere un con-
siglio, “una dritta”. Tante volte basta
davvero una semplice indicazione per
risolvere una questione che sembra in-
sormontabile. Tutto questo senza che
si abbia la preoccupazione di dover
necessariamente, seppur giustamente,
pagare la consulenza.
È questo lo spirito che anima il servi-
zio di consulenza legale attivo all’in-
terno dell’Associazione fin dal
2004, dove vengono seguite me-
diamente 20-25 persone ogni
anno. Si cerca di ascoltare i
bisogni delle persone e, a
seconda delle questio-
ni poste, si interviene
con semplici consigli o
con attività più o meno
complesse, che vanno dallo
studio approfondito agli
accompagnamenti in
Questura o presso
uffici comunali, telefonate, invio mail,
eccetera. Per noi volontari della consu-
lenza è fondamentale lavorare in rete e
in collaborazione con i volontari degli
altri progetti dell’Associazione, cosic-
ché la persona possa essere sostenuta
sotto diversi profili.
Allo Sportello vengono molti stranieri
e ciò ha portato ad uno specifico ap-
profondimento delle questioni attinen-
ti al diritto dell’immigrazione e di tutta
la legislazione susseguitasi in materia.
Da qualche anno si registra una cresci-
ta del numero di persone italiane che
si rivolgono a noi con problematiche
riguardanti soprattutto questioni fami-
liari, questioni inerenti all’abitazione e
questioni economiche.
Attualmente la consulenza si svolge il
lunedì pomeriggio su appuntamento
con il prezioso e costante ausilio del-
la Dott.ssa Martina Boschi e del Dott.
Emanuele Mansuelli.
6
ProgettoCentro d’asColto
Maria Chiara Baroni
Donne in gravi-
danza, in difficoltà
economiche, sole,
senza lavoro e relazioni
sociali. Giovani madri
o famiglie con bambini
piccoli, anch’esse in situa-
zioni di disagio. Sono queste
le persone al centro del progetto
Aurora, che si fonda sulla convinzione che la
vita umana, a partire dal concepimento, sia
un bene prezioso per il futuro dell’umanità e quindi
vada protetto, custodito, difeso, aiutato.
A difesa dei più piccoli
Assistenza e sostegno alle madri in difficoltà
Il progetto, uno dei rami giovani
dell’Associazione Albero di Cirene,
è portato avanti da alcuni volontari
del Centro di ascolto: il loro compito
è quello di individuare le mamme bi-
sognose di aiuto, alle quali prestare
un’assistenza sia materiale - attraver-
so alimenti per l’infanzia, pannolini,
vestiario, cibo - sia morale con l’inco-
raggiamento, la fiducia, la condivisio-
ne della loro particolare situazione di
vita. Anche solo il fatto di trovare per-
sone disposte ad ascoltare i loro sfoghi
è un grande aiuto per queste donne che
non hanno nessuno con cui parlare e
neppure la minima idea di come risol-
vere i loro problemi.
Il progetto deve fare i conti con la scar-
sità di personale, di strutture, di dena-
ro, ma la speranza è che si possa creare,
con altre associazioni e strutture, una
rete di accoglienza su tutto il territorio
bolognese per queste persone.
Recentemente, presso il Poliambulato-
rio Zanolini, i volontari hanno avuto
un incontro con i Servizi Sociali, che
hanno apprezzato il progetto Auro-
ra ed espresso la volontà di costruire,
con scambio di informazioni e consu-
lenze, un’utile collaborazione per la
soluzione dei casi seguiti da entrambi
gli organismi, inclusa la possibilità di
coinvolgere la comunità parrocchiale
nel delicato problema dell’affido part-
time di minori in difficoltà relazionale
e sociale.
I volontari del Centro d’ascolto rivol-
gono a tutti l’appello a sostenere il
progetto Aurora: di persona, come vo-
lontari, con contributi in denaro, con
prodotti per l’infanzia.
Da parte di tutti i volontari: grazie!
Maurizio Giamboni, Chiara Zini
• Data di nascita>2009
• Nome>AURORA
• Significato del nome > accogliere e
sostenerelavitanascente
• Numero delle persone aiutate >
inquestiannisonostati fornitiaiutia
diversegiovanimammeinattesacon
sostegnieconomiciemateriali(panno-
lini, vestiti, ecc.).Attualmente sono in
carico12mamme.
• Servizi attivati >Una prima collabo-
razione è stata con le Piccole Sorelle
di MadreTeresa, più recentemente è
stato creato uno spazio apposito nel
Centro d’Ascolto con alcuni volonta-
ri dedicati (stabilendo un rapporto di
collaborazione con il Servizio Sociale
Territoriale di Quartiere per una su-
pervisione). È recentissima l’apertura
diCasaAurora, un appartamentoper
brevi periodi di ospitalità permadri e
famiglieconbambini.
• Segni particolari>progettogiovane,
scattante,hamoltecoseancoradafar
nascere!
ProgettoaUrora
7
Un esempio di impresa solidale
A8
Occhiello
8
I volontari della scuola di italiano
La scuola di italiano
Parlare la stessa lingua per sentirsi a casa
ProgettoLa scuoLa d’itaLiano
PaoLa Moruzzi
Il suono della nostra lingua madre ci
fa sentire a casa. Madre perché la im-
pariamo dalla prima persona che ci ha
accolto e a cui vogliamo dire qualco-
sa di noi. Se si trascorre qualche mese
all’estero, al rientro i suoni familiari
ci cullano. Ci beiamo della facilità di
trovare le parole per condividere una
storia o esprimere ben precisi concet-
ti (compresi quelli che non hanno un
corrispettivo in altre lingue, come ad
esempio la parola bazza).
Questo ci suggerisce che l’impegno
nell’imparare una lingua non è dato
solo dalla necessità di barcamenarsi
tra permessi di soggiorno, sanità, ricer-
ca di alloggio e lavoro. Queste motiva-
zioni corrispondono a neces-
sità primarie, sono molto
rilevanti e determinano il
primo obiettivo della scuo-
la: aumentare le chance di
sicurezza, di salute, di par-
tecipazione e di miglio-
ramento della propria
vita per tanti che
bussano in ogni
momento dell’anno
per iscriversi. Ma non
sono le sole motivazioni.
L’impegno nell’imparare una lingua,
nel farsela diventare familiare, è fat-
to anche dal desiderio di farsi capire
ed essere capiti, come a casa, di essere
accolti per quel che si è. Quindi il se-
condo obiettivo è dare alle persone la
possibilità di farsi comprendere e co-
noscere, anziché essere ignorate a cau-
sa dell’incapacità di esprimersi.
Una persona la conosciamo da come
agisce, ma anche da quel che ci dice di
sé, di quel che ha vissuto, delle perso-
ne che ama, di come interpreta ciò che
accade in base alla sua cultura e al suo
sistema di valori. Ed ecco il terzo me-
raviglioso effetto: la possibilità di farsi
conoscere come persone a tutto tondo
e grazie a questo sovvertire gli stereo-
tipi.
Noi volontari abbiamo il privilegio di
ascoltare per primi queste storie uni-
che, perché insegniamo le parole con
cui ci verranno raccontate; speriamo
poi non solo a noi ma anche a tanti al-
tri che grazie ad esse vedranno la per-
sona, non solo lo straniero.
È una continua sfida tenere insieme ne-
cessità pratiche, accoglienza, volontà
di superare gli stereotipi e… insegnare
la grammatica! E comunque prima o
poi ci scontriamo con il limite di quan-
to come insegnanti possiamo fare.
Come si dice, in italiano, quel gioiello
– una catenina che circonda il capo e
scende sulla fronte – che in Bangladesh
indossano le spose? Per trovare tutte le
parole, mille lezioni di italiano non ba-
stano. E allora? Mi ricordo di San Paolo:
“Se parlassi le lingue degli uomini e de-
gli angeli, ma non avessi l’Amore, sarei
come una campana che risuona, come
un tamburo che rimbomba”.
• Data di nascita>Novembre2001(un
anno prima della nascita dell’associa-
zione)
• Nome del progetto>ScuoladiItalia-
noPaolaMoruzzi.
• Significato del nome>laScuolaèin-
titolataaunadelleprimemaestreche,
dopounavitadedicataall’insegnamen-
to,hadatovitaaquestoservizioimpe-
gnandosicondedizioneeamoreperil
prossimo.
• Volontari coinvolti nell’insegnamen-
to>30
• Studenti della scuola>150
• Periodo di attività>daOttobreaGiu-
gno
• Orari>martedìegiovedì,15.30-17.00
e 17.30-19.00 - lunedì e mercoledì e
martedìegiovedì20.30-22.
• Altre iniziative > Festa conclusiva in
parrocchia, rassegna estiva di film in
italiano.
• Segni particolati>èunprogettoche
opera per l’integrazione dei cittadini
che provengono da altri paesi ai fini
dellaloropienainclusionesociale.
Un esempio di impresa solidale
9
L’intervista doppia
Intervista doppia: allievo e insegnante
Orizzontali3. Indicativopresentediandare: io…//4.Tanti
alunnivengonodaquestoPaesedell’Asia//8. Il
nostroalberoera…ilsuo//9.Losono le inse-
gnantiesemprepiùalunne//10.Abbreviazione
diItaliano//11.Primeletteredelverbolanciare
//14.IniziodiAlbero//15.Lasecondalinguapiù
usataascuola//18.AlterminediviaMassaren-
ti //19. Indicativopresentediessere:essi… //
21. Fine dei libri // 23.Vengo alla fine // 25. Il
contrariodino//26.Inservizioascuolainsieme
agli altri volontari // 28. Come inizia la città in
cui si trova la scuola? //29.Un’epocaall’inizio
//32. AbitantidiArezzo//34.Indicativopresen-
tedistare:egli…//36.Avverbiodinegazione//
39. Perprendereappunti//41.Pronomeperso-
nalediterzapersonaplurale//42.Loèl’allievo
appenaarrivato//43.Aggettivopossessivo
Soluzioni
Verticali1. È importantissimo nella nostra scuola //
2. Passato, presente, futuro // 3. Gli irregolari
sonodifficilidaimparare//4.Abbreviazionedel
modoindicativo//5.Ladoppiainpennarello//
6.Preposizionearticolata//7.Losonoquellisco-
lastici//9.Preposizionearticolata//10.Unodei
tempiverbali//11.Èunprogrammatvutileper
impararelalingua//13.Indicalaformaverbale
attivasullegrammatiche//14.Ascoltareall’ini-
zio//16.Ascuolasicominciadaqui//17.Verso
ilbasso//20.Ilmodoaulicoperdire“nonlo”//
22.Imparoallafine//24.Nonpiù,nonmeno,non
diviso.//26.Lopuòesserelapenna//
27.Serveperstudiare//28.Inostristudentialla
finesannol’italianocosì.//30.Ipennarellidelle
lavagne,all’inizio//31.Abbreviazionedipassato
// 33. Entrare all’inizio // 35.Avrete alla fine //
40. Levocalisono:a-e-i-…
1
DIALOGO
TEMPO
VERBI
ADOC
AT
A
S
UV
N
I
SNOL
PER
STILO
PENN
A
RNIND
BENE
INFINITO
ATT
DAL
ONN
TE
ENT
OU
TG
RO
ABC
GIU
PASS
TESTO
OS
NS
I DEL
ANNI
89
10
1415
19
283031 29
363738
3233
39
43
40
3435
4142
2324252627
2021
161718
22
111213
24567 3
Come ti chiami?
Said (allievo).
Alfonso (insegnante).
Da dove vieni?
S - Dal sud del Marocco.
A - Dal sud dell’Italia ma, quando sono
arrivato a Bologna, qualcuno diceva
che venivo dal Marocco.
Da quanto tempo sei a Bologna?
S - Da 5 anni.
A - Da 32 anni, anche se dal mio accen-
to sembra che sia arrivato ieri.
Sei qui con la famiglia?
S - Si, con mia moglie e i nostri bambini
di 1 e 3 anni.
A -Si,conmiamoglieeinostrifiglidi
11 e di 14 anni.
Come ti trovi a Bologna?
S - Èdifficiletrovarelavoro,malagente
ti aiuta ad andare avanti soprattutto
se sanno che hai dei bimbi piccoli.
A - All’inizio è stata dura, ma oggi mi
sento a casa e soprattutto si sentono
acasaimieifigli.
Come ti trovi alla scuola d’italiano?
S - Benissimo, quando non vado a
scuola mi viene mal di testa. Aspetto
con ansia che arrivi il giorno della
lezione.
A - Bella esperienza, si esce dalla quoti-
diana pigrizia per incontrare persone
che hanno grande voglia di imparare
e di incontrare un sorriso.
Cosa hai imparato?
S - Sono più sicuro quando parlo in
italiano. Ho imparato a scrivere e ho
trovato degli amici. Riesco a vedere
la tv, quando sento delle parole nuo-
ve le scrivo su un foglio e poi chiedo
ai miei insegnanti.
A - Che per aiutare gli altri basta poco,
e quando fai quel poco ti accorgi che
basterebbe un niente per fare di più.
Cosa vi piacerebbe fare a scuola?
S - Studiare di più i verbi e la storia.
A - Imparare qualcosa di più dei Paesi e
dei modi di pensare degli allievi.
Fai delle proposte per la scuola
S - Fare altre feste con le famiglie come
quella dell’estate scorsa, fantastica!
A - Organizzare delle partite di calcetto
con gli allievi.
S - Io ho il calcio nel sangue! A casa ho
già8palloniesperocheimieifigli
imparino a giocare a pallone presto!
A - Benissimo,allorasperochemiofiglio
diventi l’allenatore dei tuoi piccoli.
Volete dire qualcos’altro?
S - Sì, vorrei ringraziare tutti per l’aiuto!
A - Grazie a Don Mario, è un grande!
1
8 9
10
14 15
19
28 30 3129
36 37 38
32 33
39
43
40
34 35
41 42
23 24 25 26 27
20 21
16 17 18
22
11 12 13
2 4 5 6 73
10
Un nuovo ramo dell’Albero
È bene che ogni persona, nel corso del-
la propria esistenza, vada a far visita
ai detenuti e viva in qualche modo, at-
traverso qualsiasi tipo di attività utile
che vi possa essere svolta, l’esperienza
di entrare in un Istituto di Pena.
La Casa Circondariale di Bologna
Dozza si trova appena fuori città e
ospita circa 1050 detenuti per una ca-
pienza effettiva di 480 e “tollerabile”
di 880 persone. Tanti di loro si trova-
no a vivere in 3-4 in celle di 10 mq,
dove trascorrono circa 20 ore al gior-
no in una situazione critica di eviden-
za lampante. Fa riflettere il fatto che
la stragrande maggioranza delle per-
sone presenti in carcere siano in attesa
di giudizio o, comunque, non definiti-
vi (cioè per lo Stato sono innocenti),
Come possono rientrare nella società persone a cui è stata tolta ogni dignità?
Marco Merighi
L’incontro con i detenuti, per il recupero della persona
• Data di nascita >2012,anchesel’atti-
vitàdeisingolivolontarieragiàcomin-
ciatadal1996
• Nome>Liberidisognare…unasocietà
oltreilcarcere
• Significato del nome > i detenuti
sonopersonechehannolepotenzialità
perricostruirsiunavita.Hannobisogno
diunappoggioeunsostegnopercre-
derechepossonoricominciareparten-
dopropriodailorosogni.
• Numero volontari>10
• Segni particolari>Èpossibilepensa-
rechecisiaunasocietàchenonabbia
piùbisognodicarcerieunasocietàche
guardaall’uomo,oltre il suoerrore,e
nonloabbandonamacercadiintegrar-
lonellasocietàincuivive.
stranieri senza permesso di soggiorno
e tossicodipendenti che avrebbero bi-
sogno di una comunità di recupero
piuttosto che del carcere.
Fotografia della realtà del carcere di
Bologna, simile a tutte le realtà delle
carceri italiane (con rarissime eccezio-
ni), sufficiente a far comprendere la
condizione “spersonalizzante” in cui
vivono le persone detenute.
La forte motivazione che spinge e so-
stiene i volontari e chi si occupa del
“pianeta carcere”, oltre alla fede e
alle convinzioni personali di ciascuno,
è da ricercare nella profonda convin-
zione che ogni persona, in qualunque
condizioni si trovi (soprattutto se in
posizione di svantaggio ed emargina-
zione), vada sostenuta e valorizzata
nella propria dignità e personalità at-
traverso interventi mirati sia sulla sin-
gola persona che nel tessuto sociale.
L’obiettivo primario, dunque, è pro-
prio quello del recupero della perso-
na, inevitabilmente provata dal perio-
do di detenzione, anche in vista del
difficile percorso di reinserimento nel-
la società una volta usciti dal carcere,
al fine di cercare di costruire una rete
di relazioni familiari e sociali per il ri-
accoglimento all’interno della stessa
società.
Non va trascurato che i detenuti (pri-
ma o poi) verranno restituiti alla so-
cietà. Come possono rientrare nella
società persone a cui oltre alla libertà,
che è la sola limitazione che dovrebbe
patire un carcerato, è stata tolta ogni
11
Un nuovo ramo dell’Albero
dignità? Infatti, proprio nel carcere si
manifestano ben amplificati tutti quel-
li che sono i problemi che la nostra
società manifesta: ingiustizia, emargi-
nazione, maggiori possibilità di vivere
meglio la detenzione per chi possiede
denaro. Passando di sezione in sezione
c’è la possibilità di riscontrare i prin-
cipali malesseri che ci affliggono ogni
giorno.
In carcere si picchia molto, e sem-
pre di più in seguito al problema del
sovraffollamento, ma non mancano
anche episodi di solidarietà e di reci-
proco sostegno. Purtroppo le risorse
sono limitate e sempre ridotte, perciò
mancano educatori (sono solo 8) e at-
tività volte al recupero della persona,
lacune a cui per piccoli aspetti soppe-
riscono i volontari. Anche gli agenti di
ProgettoliBeri di sognare
polizia penitenziaria, che svolgono, o
dovrebbero svolgere, un ruolo premi-
nente nel percorso di rieducazione del
detenuto (sono a stretto contatto per
la maggior parte della giornata), sono
in sottonumero e assai poco prepara-
ti all’importante funzione di rieduca-
zione che pure hanno, oltre a quella
repressiva e di contenimento. Questo
porta il carcere ad essere, soprattutto
per i più giovani, una sorta di univer-
sità del crimine, ad aprire loro una
strada della malavita per sempre, dal-
la quale spesso, senza adeguato soste-
gno, può risultare impossibile uscire,
tornare indietro.
Ma alcune opportunità, anche di la-
voro, vengono offerte alla Dozza: ad
esempio la sartoria nella sezione fem-
minile e il laboratorio di rifiuti Raee.
Molti detenuti, circa 400, sono impe-
gnati in attività scolastiche.
Molto si cerca di fare con la collabo-
razione di tutti i soggetti coinvolti e
molto c’è ancora da fare, sia dentro il
carcere che fuori dal carcere, poiché è
una realtà che ci interessa tutti, anche
se è confinata ai margini della città.
Vorrei concludere con una preghiera
rivolta ai detenuti da Papa Giovanni
Paolo II “…Vengo fra voi per condi-
videre le vostre preoccupazioni, vengo
per recare a ciascuno il messaggio del
Vangelo, che è liberazione interiore e
riconciliazione con il prossimo. Alla
scuola di Gesù si impara che la vio-
lenza svuota la persona e distrugge la
società, che il male conduce alla morte
dello spirito, alla distruzione dell’indi-
vidualità. Dio ci chiama a collaborare
con lui per fare del mondo la sua fa-
miglia, retta dalla indistruttibile leg-
ge dell’amore. Dio conosce il segreto
dei vostri cuori, le vostre angosce, le
vostre speranze. La Sua giustizia tra-
scende ogni giustizia umana, la Sua
misericordia supera ogni nostra im-
maginabile capacità di perdono. Cri-
sto si centra sempre su ciò che è nel
cuore umano e si affida alle potenzia-
lità, alle energie che sono nell’uomo e
che vengono aiutate dalla grazia dello
Spirito Santo e possono fare di un pri-
gioniero anche un Santo…”.
Un esempio di impresa solidale
12
Il valore del servizio per un cristianoL’intervista
A cura di Giovanni Lauretti
Intervista a monsignor Giovanni Silvagni, vicario generale dell’arcidiocesi di Bologna
Qual è il valore del servizio per un cri-
stiano?
Il servizio per noi cristiani è soprattut-
to imitazione di ciò che per primo ha
fatto Gesù per noi. Si è fatto nostro
servo, ci ha lavato i piedi, ha dato la
vita per noi. Non l’ha fatto per costri-
zione ma per amore e ci ha insegnato
che questa è la regola della vita insie-
me tra noi. Più che un dovere è una
possibilità che il Signore ci ha aperto
davanti: imparare da lui il servizio e
condividerlo tra di noi in una dimen-
sione di totale fraternità, riconoscendo
di essere tutti sullo stesso piano. Siamo
fratelli, siamo tutti bisognosi e abbia-
mo tutti qualche ricchezza: nel condi-
videre quello che abbiamo, bisogni e
risorse, si può fare giustizia, cercare di
rendere questo mondo così come Dio
lo vuole.
L’accoglienza dello straniero è un tema
molto presente nella Bibbia. Come
vede la sfida dell’integrazione nel pa-
norama attuale?
È un tema molto affascinante questo,
sia a livello antropologico sia nella di-
mensione spirituale e teologica, perché
l’estraneità è la condizione di parten-
za dell’esperienza umana, e la familia-
rità, la comunione, il punto di arrivo.
Questo è vero nel rapporto dell’uomo
con Dio e nel rapporto con suoi simili.
L’estraneità porta spesso a indifferen-
za, pregiudizio, emarginazione, difesa
dei propri privilegi, paura del confron-
to con l’altro; prendere atto di questa
condizione di partenza aiuta a evolvere
verso una condizione di familiarità è
estremamente positivo. Bisogna anche
essere realisti nell’ammettere che non
è un cammino facile: ci sono aspetti
della cultura che non saranno mai inte-
grabili al 100% e questo va accettato.
C’è un margine di riserbo, una misura
oltre la quale solo Dio vede nel cuore
dell’altro: a quel punto bisogna mette-
re in atto un’altra dimensione molto
preziosa, quella della pazienza, dell’a-
scolto, del rispetto, affidando sempre
questo percorso così prezioso verso
l’integrazione, al nostro Dio che ci co-
nosce ed è padre comune a tutti i figli,
pur così diversi. Nel riferimento a Lui
c’è una sostanziale unità e una vera co-
munione, anche se imperfetta.
Un altro passo della Scrittura con cui
spesso ci confrontiamo è quello in cui
Gesù dice che le prostitute ci precede-
ranno nel regno dei cieli. Quale deve
essere la coscienza dei cristiani rispetto
a una forma di schiavitù come quella a
cui assistiamo sulle strade delle nostre
città?
Gesù ci spiazza spesso con affermazio-
ni con cui rovescia le prospettive e ci
aiuta a uscire dai luoghi comuni e dal-
la violenza dei giudizi. Mentre noi ten-
diamo spesso a identificare le persone
con quello che fanno, Gesù vede sem-
pre prima di tutto la persona, un fra-
Nel condividere bisogni e risorse possiamo rendere questo mondo così come Dio lo vuole.
Un esempio di impresa solidale
13
Il valore del servizio per un cristiano
tello da amare, cercare e aiutare, vede
in ogni persona l’immagine di Dio, per
quanto umiliata e nascosta.
L’aspetto della schiavitù spesso è poco
presente nella coscienza generale: an-
drebbe smascherato apertamente tutto
il sottobosco di violenza e prevarica-
zione, anche per la coscienza di coloro
che approfittano di queste condizioni.
Bisogna guardare a queste condizio-
ni pensando alle proprie madri, alle
proprie figlie, alle proprie spose: cre-
are empatia e partecipazione profon-
da. Oggi anche quella che può essere
una riprovazione sociale degli stili di
vita è passata in secondo piano: si può
cadere nella tentazione dell’indifferen-
za, assecondando una mentalità che
considera la persona un oggetto e non
quello che vale. Quello che si può fare
non è alla portata di tutti, per questo
sono preziose iniziative come le vostre,
non isolate, che offrano vicinanza e al
tempo stesso una concreta possibilità
di uscire da questo giro.
Un consiglio per i volontari dell’albero
di Cirene.
Consiglio di approfondire sempre il
senso di quello che fate, la spirituali-
tà, e anche la capacità di vivere tutto
come espressione di una carità che non
è soltanto la propria, ma anche quella
della comunità cristiana nel suo insie-
me. Un’altra cosa che vorrei dire è che
la prima responsabilità che abbiamo
verso noi stessi e la società è quella di
rispondere ognuno di noi alla propria
vocazione. A volte il rischio è che il vo-
lontariato diventi un luogo di rifugio
per eludere una presa di posizione sulla
propria vita personale, e ciò può por-
tare a vivere di esperienze senza che ci
sia un baricentro in una effettiva scelta
di vita. Ciascuno di noi ha una strada
su cui il Signore chiede di camminare:
il primo volontariato è la risposta alla
tua vocazione e, all’interno di questa,
aprire tutti gli spazi possibili per arric-
chire chi ti sta intorno con quello che
puoi dare.
L’Albero festeggia 10 anni di vita: cosa
può augurare per il futuro dell’Asso-
ciazione?
Quello che si riscontra nell’Albero di
Cirene è una grande vitalità e capacità
di intercettare bisogni e situazioni ne-
vralgiche della vita dell’umanità. L’Al-
bero è ben piantato: l’augurio è che
possa continuare su queste basi solide
e anche interagire sempre più con tutto
il contesto ecclesiale bolognese, per di-
ventare uno stimolo alla crescita nella
dimensione della carità e della condivi-
sione per tutta la comunità cristiana.
Intervista a monsignor Giovanni Silvagni, vicario generale dell’arcidiocesi di Bologna
A14
BEttA MANfREDINI
L’albero è l’altalena dei poveri, oggi sei di qua, do-mani potresti essere di là.Lo sapevate che l’associazione avrebbe dovuto chia-marsi Il Cireneo?! Marco ci teneva tantissimo: la cosa che ricordo con più emozione sono gli innume-revoli incontri per parlare del “nome”.Pensare a un “nome” è già tradurre in opera un pensiero, un’idea. Con la consapevolezza che biso-gna mettere l’Amore più nelle opere che nelle paro-le, continuavamo a rimuginare sul “nome” mentre facevamo ricerche per gestire gli aspetti giuridici, trovare la sede, i soldi (!!!), parlare con le autorità, convincere tutti della necessità di radunare tutte le molteplici attività di volontariato in un’unica realtà per non disperdere le energie.E intanto la “croce” del cireneo lavorava dentro a ciascuno di noi, e accogliere l’altro, il diverso, lo straniero nella sua diversità diventava un dono che arricchiva il singolo e di conseguenza tutta la co-munità. Con questo spirito è nata l’associazione, strumento al servizio della comunità e dieci anni di lavoro di tantissime persone unite nella volon-tà comune di essere strumenti del “cambiamento”, hanno trasformato l’alberello degli inizi in un tron-co solido con rami robusti e protesi verso la Luce e radici ben salde nella Verità.
PAOLO BOSCHI
Abito nel territorio di S. Antonio di Savena dalla fine del 1996.Pur avendo molto tempo a disposizione (a quel tempo in pensione da pochi mesi), ero impegnato pressoché a tempo pieno in diverse attività di vo-lontariato.Quando ho dato un po’ di disponibilità, sono stato subito coinvolto da Don Mario nel settore ammi-nistrativo della Parrocchia, prendendo visione, tra l’altro, delle tante attività caritative e sociali che molti effettuavano sì in ambito parrocchiale, ma con grande attenzione a zone del mondo meno for-tunate di noi (Tanzania e Bosnia).Pur non avendo partecipato direttamente, ho sem-pre seguito con interesse i diversi progetti di condi-visione che di anno in anno venivano attuati. Già dagli anni 1999-2000 ero stato sollecitato più volte, soprattutto da Lorenza Valetti, a collaborare per la creazione di una “struttura” in ambito par-rocchiale.In verità, all’inizio ero un po’ scettico perché mi pareva un organismo superfluo. Però fin dai primi incontri per esaminare la bozza di Statuto mi sono
reso conto che si trattava di una proposta vincente che permetteva di operare in modo snello ed effica-ce nei confronti di terzi e soprattutto avere la possi-bilità di coinvolgere tanti volontari. E, soprattutto, veniva “costruita” su ottime basi quali il Vangelo e la Chiesa cattolica. La frase dello statuto “promo-zione della dignità umana come espressioni della missionarietà evangelica cristiana” mi ha sempre colpito.La partenza non fu subito facile: si poteva fare af-fidamento su entrate limitate e che pervenivano in gran parte dall’attività dei “mercatini”. Con l’anda-re del tempo i fondi raccolti sono aumentati grazie all’impegno e alla generosità di tanti e tutte le “en-trate” sono state utilizzate nelle molteplici attività svolte dai singoli “rami” e hanno permesso di aiuta-re tante situazioni di persone svantaggiate.Sono personalmente molto soddisfatto per il tanto BENE che viene realizzato attraverso l’associazione “Albero di Cirene”. I tanti giovani volontari che vi collaborano con grande impegno e abnegazione meritano fiducia, oltre a un caloroso GRAZIE.
ZOEN tENCARARI
Per noi l’Albero è… la forza del metterci insieme
PAMOJA
Per noi l’Albero è… mille colori di pelle, di incontri, di vite, riuniti insieme intorno a Gesù
NON SEI SOLA
Per noi l’Albero è… incontro, ascolto e accoglienza
LIBERI DI SOGNARE
Per noi l’Albero è… fonte di speranza e di luce per tutta la nostra società
Le radici e le foglie
A15
MARCO BRuNO
L’albero ed il CireneoL’uomo, troppo spesso, utilizza i talenti ed i beni a sua disposizione non per costruire una società solidale ma per accumulare ricchezze ed accapar-rare potere, al fine di difendersi dagli altri che non percepisce più come fratelli ma come concorrenti ed avversari da combattere. Al contrario, la natura della nostra comunità associativa deve essere come quella di un albero. Gli alberi, secondo il proprio ciclo vitale, offrono gratuitamente i propri frutti agli uomini ed allora tra i due si stabilisce una rela-zione di cura ed amore. Infine l’albero anche morendo offre la possibilità all’uomo di utilizzare il proprio corpo per scaldarsi e costruire utensili. Allo stesso modo, il sacrificio ed il dono dei volontari devono produrre aspetti positivi nella vita della comunità oltre a sviluppare un sentimento di frustrazione e accidia tra i fratelli.Il secondo simbolo è il Cireneo: Il Cireneo è uno spettatore anonimo della folla, quindi siamo tut-ti noi. Il Cireneo sulla via del Golgota è l’unico a portare la Croce del Cristo. Sicuramente non ne avrà avuto alcuna voglia ma è attraverso questa sofferenza e questo sacrificio, mettendosi al fianco dell’uomo afflitto e condannato dalla società, che incontra l’amore di Gesù. Così dobbiamo metterci in gioco affianco alle persone che soffrono condi-videndo un tratto di strada insieme per aiutarsi re-ciprocamente. Infatti anche se apparentemente i poveri non han-no nulla da offrirci in realtà ci rivelano la vera vita e il vero amore.
LuCA fANtuZ
La disponibilità iniziale, nel 2001, di aderire al progetto “Tanzania”, promosso da Don Mario, fu data da me e Nadia con molto entusiasmo. Il progetto visto sotto questa luce ben si sposava con il percorso del matrimonio che ci accingevamo ad intraprendere.Poi ci è stato chiesto di impegnarci in un cammino per giungere alla fondazione di un’Associazione. Ora i fatti hanno dato ragione a Don Mario, poi-ché l’Associazione sta proseguendo il suo lavoro non solo nei paesi meno fortunati ma sta lavoran-do molto bene anche sulle problematiche quotidia-ne di Bologna. Ha acquisito un ruolo importante come punto di riferimento anche per altre realtà Associative.Siamo sempre più contenti ed orgogliosi della scel-ta di cui siamo stati chiamati a far parte. Il nostro impegno si è rivolto verso la missione in Tanzania ed in particolare verso Chita a cui siamo molto le-gati e che abbiamo visto crescere negli anni.Speriamo che in futuro ci sia l’opportunità di conti-nuare a portare aiuti concreti alle persone bisogno-se, non solo a livello materiale ma anche e soprat-tutto affettivo e spirituale nonché di mantenere le amicizie consolidate negli anni.
LORENZA
Sono sempre stata convinta che L’Albero di Cirene sia nato ben prima di dieci anni fa.Ero una ragazzina quando ascoltavo affascinata i racconti dei primi volontari che tornavano da Usokami, carichi di calore umano di gioia della condivisione vissuta, sono stati questi ricordi che 10 anni fa mi hanno spinto a dare una mano per creare quell’identità istituzionale che ora l’associa-zione possiede. Quella piantina piccola ma forte è cresciuta non condivide solidarietà solo con l’Africa ma anche con altri paesi, si è ramificata prepotentemente, ora presso l’albero trovano una mano stranieri, donne mercificate, mamme che reclamano il diritto di cre-scere per i loro bambini. Trovano tanto anche i volontari che arrivano do-nando amore ma non ritornano mai vuoti, tanta è la ricchezza che li riempie. Auguro a questo albero di diventare una “sequoia”: il nutrimento per tanti volontari.
SCuOLA DI ItALIANO
Per noi l’Albero è…l’ABC di un futuro possibile
AuRORA
Per noi l’Albero è… l’altalena dei poveri
Non sei sola
Per tutte queste storie è nato il progetto “Non sei sola”
Elena Losi e francesca Ansaloni
Possiamo iniziare a raccontare dalle
guance di Anita, gonfie perché piene
d’alcol per restare calde fino al mattino
o magari per le botte subite. Per rac-
contare il progetto potremmo partire
dalle parole di Alina, in strada per po-
tersi affermare, anche solo scegliendo
di quali clienti attirare più l’attenzione
e per assicurare, se non un futuro mi-
gliore, almeno una base economica ai
due figli piccoli che ha lasciato in Ro-
mania con i nonni.
Da e per tutte queste storie è nato il
progetto “Non sei sola”, quando Don
Mario Zacchini e alcuni giovani della
parrocchia di Sant’Antonio di Savena
hanno sentito la pesantezza dell’oc-
chio che sta a guardare queste donne
mentre vengono sfruttate. Hanno sen-
tito l’esigenza di andare oltre, di “fare”
oltre che “guardare”, di incontrarle e
di condividere momenti anche di pre-
ghiera.
Nasce così la nostra unità di stra-
da: dalla strada in cui queste ragazze
passano le loro sere, con il sole e con
la pioggia, esposte come merce in un
grande mercato all’aperto. Sono incon-
tri unici, fatti di sguardi e gesti piccoli,
con cui si cerca di restituire la dignità
che sera dopo sera, cliente dopo cliente
viene loro negata.
I volontari cercano di creare con que-
ste giovani donne un rapporto di fidu-
cia, cosa non sempre facile: si tratta di
persone che nella loro vita sono state
molte volte ingannate, a cominciare da
chi le ha fatte arrivare in Italia con la
prospettiva di un lavoro sicuro, da par-
rucchiera o cameriera, e che invece le
costringe a prostituirsi.
Le ragazze che si incontrano sono
principalmente Nigeriane e dell’Est
Europa: si tratta di due modelli di
prostituzione differenti, diverse sono
le modalità di reclutamento, diversa è
16
• Data di nascita >1996,casaMagdala
inveceènatanel2004
• Nome>NonSeiSola
• Significato del nome>farcapirealle
ragazzevittimaditrattaesfruttamento
chenonsonosole,chec’èchipuòaiu-
tarleainiziareunanuovavita
• Numero volontari iniziale>circa20
• Numero volontari attuale>circa60
• Numero di persone aiutate attraver-
so il progetto>16leragazzeaiutate
conCasaMagdalaecirca100leragaz-
zeincontrateognisettimanasullestra-
dedellanostracittà.
• Segni particolari > un progetto che
affronta uno dei problemi da sempre
presenticonunosguardonuovodiac-
coglienzaesolidarietàversolevittime
dellaprostituzioneechevuolesconfig-
gereifacilipregiudizisuquestarealtà.I
giovanivolontariconcretizzanolaspe-
ranzadipotercambiareilfuturodelle
ragazzevittimeditratta.
Da dove si può iniziare a raccontare un progetto che ha come scopo l’incon-
tro e l’aiuto delle donne vittime di tratta e sfruttamento sessuale? Dai piedi
di Sara, arrivati in Italia quando lei era ancora minorenne, piedi sui quali tanti
hanno scommesso il loro guadagno: è una scommessa facile questa, forse
proprio perché “è la più vecchia del mondo”. Hanno scommesso sul corpo
di Sara, per quanto piccolo fosse e per questo i suoi piedi hanno camminato
fino a noi, perché c’è chi ancora vende e chi ancora compra lungo le strade
di Bologna.
Progettonon sei
sola
la cultura da cui le ragazze provengo-
no. Tutte hanno però in comune una
cosa: lo sfruttamento. Ed è con questa
consapevolezza che i volontari del pro-
getto continuano le loro attività, per
non lasciarle sole in una società che le
vede solo come un problema di decoro
pubblico. Scandalizzano, provocano,
scatenano curiosità, talvolta rabbia e
fanno scrivere un altro racconto: un
racconto di caschi non allacciati, di se-
dicenni in jeans e di motorini che sga-
sano dopo che le mani hanno lanciato
uova e le bocche hanno sghignazzato
per averle colpite.
Da un racconto, una storia e da una
storia ad un nuovo ramo del progetto:
la sensibilizzazione. Sono incontri nelle
scuole che affrontano sia il tema della
tratta di esseri umani sia dell’esperien-
za diretta di chi è attivo all’interno del
progetto. Si cerca, con questa attività,
di sfatare i molti pregiudizi che la mag-
gior parte della società ha sul mondo
della prostituzione, di risvegliare le
coscienze di quelli che, vedendo quei
corpi in vetrina, fingono di non vedere
e si racconta cosa subiscono in realtà
queste donne: le violenze, gli abusi,
l’indifferenza.
Capita a tanti giovani di vedere solo
l’apparenza, ma spesso questa ingan-
na. Dietro l’ombretto, il rossetto e le
parrucche colorate ci sono ragazze
poco più che bambine. È tutto un truc-
co! Che nasconde la vera età e illude
chi “cerca compagnia” di poter trovare
esperienza.
“Se quando torno in Nigeria sanno che
ho fatto la prostituta mi arrestano e lì
le prigioni non sono come quelle di qui,
io ho paura, io non posso tornare”. Si
potrebbe iniziare a raccontare il nostro
progetto anche dalle storie a lieto fine
perché ci sono ragazze che sono scap-
pate dal mondo della prostituzione e
hanno iniziato una nuova vita.
Consapevoli dell’importanza di ac-
compagnarle in questa ritrovata quoti-
dianità scegliendo la propria
giornata e il proprio, questa
volta vero, lavo-
ro, da 8 anni è
attiva una casa
di seconda ac-
coglienza, Casa
Magdala, che ac-
coglie le vittime di
tratta e di violenza.
Tante sono le ragazze passate e tante
sarebbero le storie da raccontare, ma
tutte hanno negli occhi la stessa gioia e
la stessa voglia di ricominciare.
Durante la permanenza delle ragazze
all’interno della struttura non c’è un
percorso prestabilito: ogni ragazza ha
i suoi obiettivi da raggiungere e le pro-
prie difficoltà da superare, anche con
l’aiuto dei volontari che, dall’interno o
dall’esterno della casa, le seguono co-
stantemente.
Non c’è gomma che cancelli questi rac-
conti ma, come Madre Teresa ci ricor-
da, possiamo essere noi la matita che
continua a scriverli.
17
Benché mettersi in gioco possa risulta-
re difficile, è importante ricordare che
la ricchezza viene proprio dal confron-
to con l’altro. Con il nuovo anno Casa
Magdala ha ospitato per alcune setti-
mane delle nuove volontarie.
Questa casa è stata istituita per dare
accoglienza a ragazze, vittime di tratta,
decise a cambiare vita.
Attualmente sono ospitate due ragaz-
ze, ma la casa è aperta per l’accoglien-
za di molte altre, pronte a cominciare
un nuovo cammino.
La vita all’interno della casa prevede
un incontro fra culture differenti: si
mischiano abitudini, sapori e colori. È
difficile sentirsi soli: si è sempre in com-
pagnia tra musica e dialetti nigeriani,
telefilm africani da guardare insieme e
caldi odori di una nuova cucina.
Stare qui vuol dire passare tanto tempo
assieme.
È un po’ come essere in famiglia: rac-
contarsi la propria giornata e nono-
stante gli impegni ritagliare un mo-
mento per chiacchierare.
Come in ogni casa non è sempre tutto
rosa e fiori, ma non è poi difficile ve-
nirsi incontro e trovare una soluzione.
La decisione di fare questa esperienza
è nata dalla proposta delle responsabili
della struttura ed è stata accolta con
gioia e curiosità da tutte noi, spinte dal
desiderio di conoscere una realtà com-
plementare al servizio di strada e di
sperimentarci all’interno di una realtà
di condivisione stretta con le ragazze.
Vivere qui un’opportunità per le ragaz-
ze, a cui viene offerta la possibilità di
sperimentare cose diverse. Si orga-
nizzano così occasioni d’incontro
con gli altri volontari del progetto
“Non sei sola”: corsi di bicicletta,
serate al cinema o al bowling.
Questa esperienza di convivenza
diventa quindi una fonte di arricchi-
mento del proprio bagaglio persona-
le, supportati dal fatto che non si
è lasciati a sé stessi grazie
agli incontri settimanali
di confronto e condivi-
sione con tutte le per-
sone che, in vari modi,
si occupano delle
ragazze accolte e della gestione della
struttura.
Stando a casa Magdala ci siamo rese
conto che per viverla e comprenderla
nella sua pienezza non sono sufficienti
alcuni giorni. Solo condividendo con le
ragazze un periodo più lungo si riesce
ad instaurare con loro un rapporto di
fiducia, che le accompagna verso l’au-
tonomia all’interno della società.
A
“Chi non è mai uscito dalla propria casa crede che solo sua mamma la sappia fare bene il sugo”. Questo proverbio
africano, nella sua semplicità, ci fa capire quanto si possa apprendere nell’uscire dalla quotidianità così da fondere
stili di vita diversi.
Una casa perricominciare
Martina Grossi, francesca Notari, Sofia Bacchetta
Casa Magdala
18
Non sei sola
Progettonon sei
sola
A
Perché nell’ambito del progetto “Non sei sola” è stata avviata
un’attività di sensibilizzazione?
Ad un primo sguardo sembra sia nata quasi per caso, in risposta alle
richieste di gruppi parrocchiali interessati al mondo della tratta e
all’attività dei nostri volontari.
La naturale evoluzione del nostro sogno Parlare ai giovani per abbattere il pregiudizio e l’indifferenza
Emanuele Muzzi
19
Sensibilizzazione
Ricordo quanto fu prezioso per me
un incontro che Marco Bruno tenne
al nostro Gruppo Giovani (avevo for-
se vent’anni), in cui raccontava la sua
esperienza di volontario, facendoci
scoprire la drammatica realtà che si
cela dietro quelle ragazze che popola-
no i marciapiedi delle nostre periferie.
Alcuni anni più tardi decisi di colla-
borare al progetto dove, di pari pas-
so alle uscite in strada settimanali, ho
potuto assistere all’intensificarsi degli
incontri di sensibilizzazione che con il
tempo hanno perso la loro saltuarietà,
strutturandosi come un’attività vera e
propria. Dal continuo confronto tra
noi volontari, infatti, sono nate inizia-
tive di vario tipo: diversi incontri nelle
classi di alcune scuole superiori, inter-
venti in assemblee d’istituto, convegni
sul tema della tratta, partecipazioni ad
eventi culturali, fino alla collaborazione
nella stesura di un’opera teatrale inter-
pretata da giovani studenti. È una ric-
chezza da valorizzare, in quanto offre
a noi volontari l’opportunità di aprirci
verso l’esterno, di collaborare con altri
Enti e Associazioni,
di rivolgerci ad un
considerevole nu-
mero di giovani
che altrimenti
non avrebbero
gli strumenti
necessari per
comprendere la
situazione in cui
si trovano le “ra-
gazze di strada”.
Con la consape-
volezza delle grandi
potenzialità di que-
sta azione educativa, in
ogni incontro cerchiamo di
creare un dialogo con i ragazzi
che abbiamo di fronte, lasciando-
ci guidare dai molteplici interrogativi
che nascono in loro e accompagnan-
doli nella comprensione di una realtà
spesso troppo offuscata da indifferen-
za e pregiudizi, con l’obiettivo di of-
frir loro la possibilità di guardare da
un altro punto di vista, non più merci,
ma persone. Alla luce di questo, si ca-
pisce chiaramente che
la nostra sensibilizzazione non
è un’attività nata per caso, bensì la na-
turale evoluzione di un progetto che
mira, sotto vari aspetti, a restituire di-
gnità alle tante donne vittime di tratta
e sfruttamento.
Non sei sola
In cammino sulle strade del mondo
tommaso Simeoni, Antonio, Monica Piersanti e Massimo Sforzani
10 anni di condivisione• Data di nascita > 1997, con i primi
viaggi in Tanzania (alcuni anni prima
dellanascitadell’Associazione)
• Nome>Pamoja
• Significato del nome>insieme,inlin-
guaSwahili
• Numero volontari partiti negli utlimi
10 anni>circa300
• Nazioni visitate per il servizio mis-
sionario >Tanzania,Romania,Moldo-
va,Albania,Brasile,India
• Progetti di solidarietà attivati > so-
stegno alle rette di studio, strumenti
medici e diagnostici, sostegno a orfa-
notrofiecasefamiglia,contributiaope-
reparrocchiali,animazioneperbambini
eragazzi
• Segni particolari>l’amoreperilviag-
gio e per l’incontro, la condivisione e
l’apertura in un abbraccio che com-
prendetuttoilmondo!
20
500! Pensa-
vamo di avere
fatto qualche
errore nei
conti, invece
è proprio 500
(volontario più,
volontario meno)
il numero dei viag-
giatori missionari di Pa-
moja, nei primi 10 anni dell'Associa-
zione. Gente che si è messa in cammino
sulle strade del mondo, per incontrare e
conoscere altri popoli, altri stili di vita,
altre culture. Desiderosi di un incontro
profondo, cercando sempre di mettersi
al servizio dei bisogni, con gesti con-
creti di solidarietà, o con la semplice
presenza. Come si fa con gli amici.
I risultati? Tanti, piccoli e grandi, da
scoprire nelle prossime tre pagine.
Uno lo diciamo subito: siamo sempre
tornati più ricchi. Parti pensando di
dare, di fare qualcosa per gli altri. Tor-
ni stupito di quello che hai ricevuto:
ospitalità semplice, gioia anche nella
povertà, forza piena di dignità dove
ti aspetteresti la disperazione. Dopo,
guardi il tuo mondo con occhi nuovi:
apprezzi cose che prima erano sconta-
te, riconosci la povertà e l’emarginazio-
ne a Bologna, e ti viene voglia di fare
qualcosa. E l’Albero prova a dare una
prima risposta a questo desiderio. Già
con la festa di settembre: racconti, te-
stimonianze, fotografie del viaggio… E
la presenza degli altri progetti dell’As-
sociazione: che sono un’occasione, un
“la”, per continuare qui la missione
che hai iniziato lì.
In 10 anni Pamoja è cresciuto ed è
cambiato. Abbiamo iniziato in Tanza-
nia, proseguendo il lavoro della missio-
ne diocesana nel villaggio di Chita, poi
raggiungendo altri villaggi e città: Ifa-
kara, Wasa, Ngoheranga, Nyakipam-
bo. Intanto nell’Albero di Cirene na-
sceva il progetto Zoen Tencarari, che
è anche accoglienza e amicizia con per-
sone straniere: il gemellaggio è venuto
naturale! Volevamo conoscere meglio
le storie dei nostri amici migranti, che a
loro volta desideravano ospitarci nelle
loro case. E quindi si riparte! Albania,
tra Gjader e Scutari, Bosnia, tra le ma-
cerie della guerra, Romania, da Padre
Ireneo e nelle case famiglia del Chicco,
Moldova, tra i bambini di Cretoaia.
Nuove mete, nuovi progetti, da inizia-
re e continuare nel tempo. Negli anni
abbiamo sempre voluto proporre un
percorso di formazione al viaggio, che
preparasse i volontari rendendoli con-
sapevoli di essere missionari a tutti gli
effetti, aggiungendo ogni anno qualche
nuova proposta. Non sono mancate le
sorprese, come le partenze di famiglie
con bimbi piccoli, e come il progressi-
vo abbassarsi dell’età dei partenti: sem-
pre più ragazzi di 18-20 anni desidera-
no questo viaggio. Insomma, 10 anni
sulle strade del mondo, quelle percorse
anche dal Cireneo… Al tempo di Gesù,
Cirene era una città dell’odierna Libia,
molto lontana da Gerusalemme. Simo-
ne viaggiò da Cirene a Gerusalemme e
si ritrovò a portare la Croce di Cristo.
Proprio quello che vogliamo fare noi.
ProgettoPaMoJa
Tanzania
Quando: varie volte dal 1997, prima
della nascita dell’Associazione; poi,
dal 2002, ogni estate, per 3 settimane,
in gruppo. In più, tanti nostri amici
sono partiti da soli o in coppia, in
ogni periodo dell’anno.
Dove: nelle regioni di Iringa e Moro-
goro. Nei primi anni abbiamo seguito
il corso del fiume Kilombero, visi-
tando soprattutto i villaggi di Chita
e Merera e le vicine città di Ifakara e
Mahenge, nella savana. Dopo siamo
saliti sull’altipiano di Iringa, verso i
villaggi di Usokami, Tosamaganga,
Wasa, Nyakipambo, Ngoheranga.
Come: ospitati dalle comunità locali,
quasi sempre parrocchie e missioni,
ma anche case famiglia, case diocesa-
ne e orfanotrofi.
Chi: tutti quelli che potete immagina-
re! All’inizio partivamo in 2-3 gruppi
da 10-15 persone, e ogni gruppo
restava stabile a Chita o a Merera
per tutto il periodo. Negli ultimi anni
partono di solito 2 gruppi da 10-12
persone, che si dividono in gruppetti
più piccoli nei tanti villaggi di cui
siamo diventati amici. Età: dai 2 ai 75
anni. Professioni: studenti, impiegati,
medici, imprenditori, vigili urbani,
pensionati… In tutto, in 10 anni, 300
partenti!
Cosa: abbiamo vissuto nei villaggi del
cuore della Tanzania, tornando rego-
larmente con il famoso ma realissimo
mal d’Africa. E abbiamo fatto qualco-
sa per i bisogni delle persone: la casa
delle suore e l’asilo a Chita, il soste-
gno alla formazione delle infermiere a
Usokami e delle sarte a Nyakipambo,
il contributo alle rette scolastiche a
Wasa e Ngoheranga, gli strumenti dia-
gnostici nel dispensario di Merera.
21
Matrimonio bolognese a Wasa!
Quando siamo in Tanzania, spesso venia-mo invitati a un matrimonio: le nozze di due giovani sono un evento importantis-simo che coinvolge tutto il villaggio, com-presi gli ospiti wazungu (che vuol dire “uo-mini bianchi”), trattati con ogni riguardo. Ma Alessandro e Corinna hanno sorpreso tutti, perché da ospiti sono diventati… sposi in Tanzania! Nel 2006 sono partiti da Bologna per sposarsi a Wasa, che li ha letteralmente adottati, preparando la ce-lebrazione e la festa secondo le tradizioni locali. Il vestito di Corinna è stato cucito dalle donne di Wasa, e i due sposi sono stati accompagnati fino all’altare dai loro “genitori adottivi” di Wasa. E, dopo, festa grande per i wazungu sposi, con circa 2000 invitati, cioè tutto il villaggio!
Guardare il proprio mondo con occhi nuovi
L’aneddoto: transnistria, lo Stato che non esiste
Quasi nessuno sa che in Europa c’è uno stato “fantasma”, autoproclamatosi nel 1990 ma mai riconosciuto a livello inter-nazionale. È la Transnistria, una fettina di Moldova grande come la provincia di Bologna. Esiste a causa della guerra fredda, durante la quale l’URSS accu-mulò qui armi e truppe per presidiare
il confine con la Romania, e della suc-cessiva caduta del blocco sovietico, con la Russia che occupò militarmente, e di fatto occupa ancora oggi, la zona, per non perdere i depositi militari. Questo oggi vuol dire completo isolamento e povertà estrema per le 500.000 persone che vivono qui.
Moldova
22
Quando: ogni estate per 2 settimane,
dal 2006.
Dove: la Moldova, poco conosciuta, è
un’ex repubblica sovietica, e si trova
tra Ucraina e Romania. Noi siamo sta-
ti nella capitale Chisinau e nel vicino
villaggio di Cretoaia.
Perché: i moldavi a Bologna sono for-
se, tra gli immigrati dall’Est europeo,
i più sofferenti ed emarginati in lavo-
ri faticosi e degradanti. In particolare
le donne: alla disperata ricerca di un
lavoro, le giovani vengono illuse con
promesse false e poi ridotte in schia-
vitù e fatte prostituire, mentre le mogli
e madri lasciano le famiglie per fare le
badanti dei nostri anziani. Per questo
abbiamo voluto visitare questa terra.
Con chi: l’associazione Regina Pacis
lavora in Moldova da molti anni e ci
ha accolti nel servizio alla povertà a
Chisinau, svolto nella mensa e con i ra-
gazzi di strada. Attraverso Regina Pacis
abbiamo “adottato” la parrocchia di
Cretoaia, dove ogni anno animiamo un
campo estivo con i ragazzi del villag-
gio, un servizio prezioso in una realtà
di famiglie divise, alcolismo e pochissi-
me occasioni di “fare comunità”.
ProgettoPaMoJa
Scoprire Paesi, culture e tradizioni che conosciamo poco
23
Romania
Altre mete
Quando: ogni estate per 2 settimane,
dal 2003.
Dove: nel villaggio di Prislop del di-
stretto del Maramures, e nel villaggio
di Barnova alle porte della città di Iasi.
Come: ospiti di parrocchie, case-fa-
miglia… E a volte a casa degli amici
conosciuti a Bologna. Nei primi anni,
tutti sul furgone, e via per un migliaio
di km attraverso Austria e Ungheria, e
poi ancora dalle colline del Maramu-
res ai Carpazi, dai monasteri della Bu-
covina ai boschi della Transilvania…
Da qualche anno, l’amicizia con Iasi e
Barnova ci porta a fare esperienze di
servizio più stanziali.
Cosa: abbiamo visto da vicino la sof-
ferenza di un popolo devastato dalla
folle dittatura di Ceausescu e poi ab-
bandonato a se stesso dopo il crollo del
blocco sovietico.
Abbiamo conosciuto il Chicco, che ha
accolto bambini orfani e handicappati
dagli orfanotrofi-lager della Romania
comunista, e aiutato alcuni di loro per
visite specialistiche e protesi articolari.
Abbiamo vissuto la spiritualità greco-
cattolica a Prislop da padre Ireneo,
che attraverso l’Albero di Cirene ha
conosciuto Il Chicco, diventandone un
punto di riferimento per l’inserimento
sociale e lavorativo.
Abbiamo visitato le famiglie di Mari-
us, Daniel, Catalin, gli amici rumeni di
Bologna, accolti in canonica con il pro-
getto Zoen Tencarari… E aiutato alcu-
ni ricongiungimenti di famiglie rumene
a Bologna.
Tanzania, Romania e Moldova sono i
luoghi dove siamo stati più a lungo e
dove andiamo ancora oggi. Ma voglia-
mo ricordare tutti i sentieri del mondo
percorsi in 10 anni…
In Albania siamo stati tante volte nel
nord, nella zona di Lezhe e Scutari,
meravigliosamente ospitati delle fami-
glie degli amici albanesi di Bologna.
Abbiamo conosciuto la storia quasi in-
credibile della più feroce dittatura co-
munista del dopoguerra, le tradizioni
secolari del Kanun (l’antica legge civile
e sociale dell’Albania), e infine gli Am-
basciatori di Pace, ragazzi impegnati a
testimoniare ai coetanei dei loro paesi
e villaggi i valori della pace, della fra-
tellanza, della solidarietà. Una terra
splendida e quasi sconosciuta, anche se
solo a 80 km dall’Italia.
In Brasile abbiamo visitato Salvador
de Bahia, dove la missione delle suore
bolognesi di Santa Clelia porta soste-
gno alla comunità del Bairro da Paz,
una favela dove la violenza e il crimine
segnano la vita quotidiana dei poveri.
Abbiamo visitato tante esperienze di
solidarietà a Salvador, Foz do Iguazu,
Anapolis e Rio de Janeiro. Il Brasile è
una terra immensa e variegata, dove la
bellezza convive con la miseria e dove
vorremmo tornare presto.
E poi Bosnia, sulle tracce della guerra
dei Balcani; India, a Calcutta, insieme
ai poveri amati da Madre Teresa; Etio-
pia, Bulgaria, Bangladesh…
Insomma: guardando indietro, il Van-
gelo ci ha portato lontano.
E noi preghiamo di potere continuare
a seguirlo!
24
Da più di dieci anni si sono riaperte le porte della casa canonica alla vita di
comunità, condivisione, e ospitalità. In questi anni hanno vissuto in casa ca-
nonica insieme a don Mario e gli altri sacerdoti e diaconi, numerose famiglie
della parrocchia, diversi obiettori e molti ragazzi in discernimento vocazio-
nale. Sono stati accolti in canonica, per bisogno o per scelta, tanti giovani
studenti o lavoratori, stranieri e italiani. Una fusione perfetta di storie, tradi-
zioni e culture diverse: centinaia di volti che si fondono a formare una fami-
glia allargata che abbraccia tutto il mondo.
Vivere come famiglia
I giovani di casa canonica
Data di nascita
Nome
Persone che abitano in casa
canonica ad oggi >
Persone passate dalla casa canonica
negli ultimi 10 anni
Attività legate alla vita di comunità
Note
Segni particolari
La vita di casa è incentrata su due
momenti particolari che noi della ca-
nonica chiamiamo “le due tavole”: la
tavola della preghiera e la tavola del
mangiare. Questi sono i momenti in cui
si cerca di stare insieme, condividendo
preoccupazioni e gioie della giornata
e confrontandosi anche sul vivere in-
sieme, proprio come si fa in ogni casa.
I tre piedi - preghiera, tavola, acco-
glienza - sostengono la vita di comu-
nità e sono quelli che permettono di
confrontarsi nel quotidiano su temi
come diritti umani e intercultura. La
vita di casa-canonica crea così un sen-
so di famiglia, che promuove l'integra-
zione tra culture e l'uguaglianza tra le
persone: si vive senza fare distinzioni
di status sociale, provenienza o etnia.
Questo progetto aiuta profondamen-
te nella crescita personale coloro che
vengono accolti in casa. La vita di casa
offre costanza nella preghiera attraver-
so l'ora media a fine pranzo, la lettu-
ra del Vangelo con commento di don
Oreste Benzi a fine cena, l'incontro del
giovedì sera con successiva adorazione.
Diario Canonica
ProgettoZOEN
TENCARARI
Le mura di questa casa non hanno confini
Mattia Balelli, seminarista, 2008/2009
Non riesco a ringraziare ognuno per quello che mi avete dato.
Provo però a esprimere quello che provo con le parole del canto
che sempre mi ricorderà voi: “come è bello, come dà gioia, che i
fratelli stiano insieme! Grazie mamme, papà e fratellini e sorelli-
ne che avete arricchito i nostri giorni. Caro don Mario grazie: in
questo anno sei stato un vero padre per tutti noi.
Famiglia Costa, Quaresima 2008
Quando poi torni a casa per un po’ ti rimane lo stordimento ed
al contrario ti senti un po’ vuoto, un po’ solo con gli altri della
tua famiglia “ristretta” e apparecchiare per quattro o ti sembra
ridicolo o ti fa quasi tristezza e per un po’ di giorni continui a
buttare giù 2 chili di pasta! Riprende il rischio di abituarsi a cose
“indispensabili” e a ritmi di vita comodi, rassicuranti, il rischio
di perdere insomma la capacità di mettersi in gioco: per tutto
questo… probabilmente ritorneremo!
Asad, 1/4/2010
Ciao. Sono Asad Lashkari dall’Afghanistan. Sicuramente non riesco
a scrivere tutto quello che devo scrivere, però…Ringrazio tutti, per
tutto quello che mi avete dato. Adesso sono più contento nella mia
vita e voi siete il motivo. Grazie don Mario (Un padre vero per tutti).
Francesco Perlini, 25/3/2011
Questo per me rimarrà sempre uno dei posti più incredibili e
strani che io abbia mai visto. Quello che mi lascia a bocca aperta
è il fatto che qui ogni giorno vedo sempre almeno una faccia
nuova e se ogni giorno ci son sempre facce nuove vuol dire che
qui dentro c’è qualcosa di speciale. E quel qualcosa di specia-
le è proprio la gente stessa. Qualcuno arriva e se ne va subito,
qualcun altro prima di andarsene aspetta un po’, perché si vuole
godere l’atmosfera che c’è qui dentro. Qualcun altro viene a vi-
vere qui per due settimane apposta per poter respirare quest’a-
ria, qualcun altro qui c’è da una vita e una vita ancora ci vuole
rimanere. Qualcun altro invece è entrato e poi non è uscito più
perché si trova così bene che non riesce ad andarsene.
In dieci anni, la vita di casa-canonica
è cresciuta in molti aspetti, soprattut-
to nell’apertura verso la parrocchia e
verso il mondo. Grazie all'introduzio-
ne di una serie di attività è cresciu-
ta l’attenzione verso la realtà locale
in cui viviamo: l'incontro del giovedì
sera, il progressivo ingresso nella vita
di casa canonica di famiglie e di gio-
vani, la collaborazione con i ragazzi
del servizio in stazione che prepa-
rano i panini per i senza tetto, ecc.
Vista anche la presenza in casa di varie
confessioni cristiane e di fedi diverse, si
è creato e si sta sviluppando, una for-
ma di ecumenismo concreto, vero con-
fronto spirituale.
È un progetto non solo al passo con
i tempi, ma profetico, perché por-
ta risposte concrete a domande nate
da solitudine e isolamento, che ap-
partengono alla vita di oggi e che al-
trove trovano difficilmente risposta.
Qualcuno sente, grazie alla vita di casa,
il vangelo come visibilmente realizza-
bile. Questi dieci anni di casa canonica
ci dicono che non solo è possibile vi-
vere insieme, pur provenendo da paesi
e culture diverse, me è enormemente
arricchente e porta un senso di pienez-
za alle nostre vite. Questo è un mondo
bello, chi arriva qua è fortunato; siamo
dei fortunati. Non deve bastarci quin-
di il vivere qui ma sentiamo il deside-
rio e il bisogno di allargare le mura di
questa canonica e portare nel mondo
questa cultura di condivisione e inte-
grazione.
È un progetto profetico che porta risposte concrete a domande che appartengono alla vita di oggi e che altrove non sono ascoltate
25
26
Sono Paolo, un ex giovane che nel 1993 fece l’obiettore di coscienza in Caritas
con l’esperienza, allora nuova, della “vita comunitaria in canonica” col grande amico, padre
e fratello Don Mario. Una bella storia davvero… Se ad oggi resisto a qualche intemperia di
troppo è proprio per quel periodo di grazia e carezza, di speranza e amicizia, di fede e carità.
Scelsi la sistemazione della canonica perché vicino all’ospedale dove prestavo il mio piccolo
servizio: sentivo che era l’appoggio giusto e sicuro per l’esperienza che stavo per vivere. In
realtà non ho scelto io, mi ha indirizzato Lui: è Lui che viene giù a visitare la mia condizio-
ne di miseria, non io “Pierino” che scelgo…era tutto scritto! Il primo colloquio con il Don:
mi guarda, mi fissa come fa lui (mi sembrava un matto) e mi dice: “Tu cosa vuoi da me?”
Ero già in crisi però felice. Coglievo un bene, sentivo un senso. Mi sono solo fidato! Ho detto
un piccolo sì e da lì l’inizio. La bellezza della comunità, quella sana confusione, quel posto in
più per Gesù quando si apparecchiava, quel campanello che suonava sempre per qualcuno che
chiedeva aiuto. Mai ho sentito tanto parlare di Gesù ma soprattutto mai l’ho visto così bene!
Dalla piccola Stella (giovane perpetua di 90 anni) al faticoso diacono, in realtà dolcissimo e
buono. Ricordo le battaglie con la cipolla in canonica, la lotta con Don Mario. Gesù è ovunque,
ma lì lo senti proprio: l’accoglienza, la preghiera, i volti, le storie, le culture e un unico Padre.
Quante perle in quell’anno: la Messa tutte le mattine, il risveglio con la mano sulla fronte del
Don che ti dava la sicurezza di un padre, i piccoli gesti, il desiderio di ritornare a casa rinnova-
to, le proposte forti, inviti a un distacco dal tuo mondo per immergersi di più: un tesoro prezio-
so e pazzesco che comprendi e accogli fino in fondo solo quando “esci”. Cena, Messa, incontri
pratici, la compieta così densa di senso, ricca di vita, di umanità pazzesca che dentro alla casa
diventa un capolavoro, una liturgia viva, vera e quotidiana. I ragazzi di casa Gianni, l’ospedale.
Ricordo Norberto che in reparto infettivi mi è morto davanti. Quelle paure, quelle riflessioni e
preghiere che fai lì ti accompagnano e sostengono poi gli anni a venire; lo capisco ora. Che sana
malinconia: quelle foto ovunque in casa canonica, bellissime e colorate, l’Africa, la folla, il Papa,
che bella gente…tutta! Amici nuovi, famiglia, uno sguardo allargato, un orizzonte infinito.
Grande Mario che con i tuoi continui inviti e la tua forza hai spezzato e dato un vangelo vivo.
Capisco a pieno il salmo “Come è bello e gioioso stare insieme come fratelli”. Da qui
il desiderio di stare con gli altri, il sogno di rivivere quella carità dentro la vita di tut-
ti i giorni, quel piccolo si quotidiano così grande a volte. Meno parole e più fatti.
Ecco cos’è la canonica: una comunità di fratelli che si vogliono bene e si prendono per mano.
Socchiudo gli occhi e provo a pensare, sognare il Paradiso. Lo immagino proprio così.
Paolo
u
p
c
dipinto da Paolo
27
L'Albero di Cirene
Era l'autunno 2007:Ero arrivato a Bologna da poco, avevo due
amici lì; era una coppia Italiana che mi ha ospi-
tato temporaneamente ed aiutato a farmi una
sistemazione a Bologna…una città di cui non
sapevo nulla, dove non conoscevo nessuno, non
avevo lavoro e un posto dove stare, finché un
amico della coppia ci ha raccomandato a un
prete per chiedere aiuto.
Avendo avuto delle brutte esperienza con gli uo-
mini della religione che sono anche i “governa-
tori“ nel mio Paese c'era una cosa nella mia testa
che mi impediva di avere speranza ma l'appun-
tamento era fissato. Un ragazzo, forse Tonino o
Simone, ha risposto al campanello e ha detto “Il
Don scende, aspettate!”. Abbiamo aspettato mezz’ora e nessuno è sceso! Cavolo …io ero già
deluso e stavo anche per perdere la poca speranza che avevo. Ma finalmente il prete apre la
porta: lui ha la barba come immaginavo ma anche un sorriso che era sorprendente! Si siede
accanto a me e fa delle domande sulla mia vita, il mio passato e la storia che mi ha portato
dall’Iran al cortile della parrocchia. Più lui parla più dentro di me nasce la speranza di nuovo:
la sua voce era calda e forte e lo sguardo profondo ed amichevole… piano piano mi sono
sentito vicino a lui e mi potevo fidare. Don Mario sembrava tenero e accogliente, era diverso
da quello che immaginavo; era anche molto preciso, serio e determinato: ha controllato tutti i
miei documenti e mi ha invitato alla tavola del giorno dopo. Ed è così che io mi sono sentito a
casa di nuovo dopo esser uscito dal mio Paese.
L’unica preoccupazione era la mia ideologia per cui credevo di poter stare in canonica al mas-
simo una settimana! Io ero nato musulmano e quando ho incontrato Don Mario ero un ateo.
Non so cosa è peggio per uno che vuole vivere a casa di uomo di Gesù ! Ma essendo sicuro di
non volermi convertire ho deciso di essere onesto con il Don su questo. Immaginavo che lui
non avrebbe sopportato questa cosa e mi avrebbe cacciato ma comunque gli ho detto la verità.
La sua reazione è stata incredibile per me! Lui mi abbraccia e mi dice di essere quello che sono
senza sentire nessun obbligo a cambiare e mi dice “se senti qualcosa nel tuo cuore accettalo
ma se no non preoccuparti, resta qui finché non trovi la tua strada”. Proprio qui ho scoperto
chi è Don Mario: un uomo vero se non un santo. Mi ha accettato a casa sua solo perché sono
un essere umano, uno che ha bisogno, senza considerare le mie differenza di idee o religione…
una cosa che a me sembrava un miracolo! Non avevo visto nessuna cosa simile dai religiosi
nel mio Paese!
Questo percorso è durato 2 anni perché io da subito ho deciso di immigrare dall’Italia al Cana-
da, dove c'è anche la mia famiglia. E così lui, mentre ero solo e disperato per la strada e senza
dimora, Don Mario ha preso la mia mano e l’ha messa nella mano della mia famiglia che ora
qui in Canada ho accanto. Mi sono anche sposato pochi mesi fa e piano piano mi sto sisteman-
do e tutto grazie a chi ha dedicato la sua vita alla gente che ha bisogno, sia in Italia che in Tan-
zania o in Afghanistan! Non importano origini, colori, differenze…essere un uomo basta per
ricevere una mano o almeno un abbraccio. Don Mario Zacchini ti porto sempre nel cuore.
Omid
Venite, venite… c'è
posto per tutti!
disegno di Omid
disegno di Omid
A28
Zacchini, Mattia Cecchini, Rosamaria Micolucci, Chiara Zini, Maurizio Giamboni, i volontari della Scuola di italiano, Marco Merighi, Martina Grossi, Francesca Notari, Sofia Bacchetta, Emanuele Muzzi, Tomma-so Simeoni, Antonio e Monica Piersanti, Massimo Sforzani, i giovani di casa canonica, Paolo Molinari, Omid Reza, Stefano Costa.Grazie a Vittorio Valentini per le foto di copertina.
Direttore responsAbile: Andrea De Pasquale
CollAborAzione GrAfiCA: Roberto Anedda (immagini), Giorgio Perlini (disegni), Interpromex Comunicazione (progetto grafico)
Autorizzazione n° 7597 del 10/11/2005 - Tribunale di Bologna Stampa: CASMA SRL Via B. Provaglia, 3/b-c-d - 40138 Bologna
Albero Di Cirene onlus: 40138 Bologna - Via Massarenti, 182/a Tel. 051 305108 - Fax 051 [email protected] www.alberodicirene.org
orAri Di seGreteriA: lunedì/martedì: 15.00/19.00; mercoledì/venerdì: 9.30/12.30
per Contribuire: POSTE ITALIANE S.P.A. V. Pizzardi, 7 - 40138 BolognaIBAN: IT 35 X 07601 02400 000070249743
BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNAAg. 6 - Via Massarenti n. 22840138 Bologna: IBAN: IT 78 H 05387 02598 000001169585
intestare a: Albero di Cirene onlus40138 Bologna - Via Massarenti, 182
Ricordiamo che le erogazioni liberali in dena-ro, fino a € 2.068,83 annuali, a favore di "Al-bero di Cirene", da parte di persone fisiche,
sono detraibili dall’imposta sul reddito (IRPEF) per un importo pari al 19% della donazione. Le erogazioni liberali effettuate da soggetti titolari di reddito d’impresa sono invece de-ducibili per un importo massimo di € 2.068,83 ovvero del 2% del reddito d’impresa.
Condizione tassativa: il versamento va esegui-to tramite bonifico o con assegno “non trasfe-ribile” intestato all’Associazione.
CAporeDAttore: Giovanni Lauretti
reDAzione: Francesca Ansaloni, Iris Lo-catelli, Elena Losi, Andrea Spiezio, Maria Chiara Turchi. Hanno collaborato: Don Mario
notizie dall’Albero
Elleffe S.r.l. di Luca Fantuz
Via Mazzini, 7 - 40138 Bologna Tel. 051.6056697 - Fax 051.6056697 [email protected] - www.elleffe.org
RisTRuTTuRazioni ediLi paRziaLi e chiaVi in Mano
Un grazie a:
Diventa anche tu una foglia dell’Albero
Vuoi fare qualcosa per gli altri? Ci pensi da tanto ma non hai i con-
tatti giusti?pensi che la giustizia
sociale e l’integra-zione siano ancora troppo
lontane a bologna,
in italia, nel mondo?
Credi che l’incontro con l’altro sia un’oc-
casione di crescita, di gioia, di
amicizia?
Allora è il momento di fare qualcosa.
Diventa un volontario dell’Albero di Cirene!Da 10 anni l’Albero di Cirene opera per
promuovere la dignità della persona in
qualunque condizione si trovi. Aiutare le
persone che incontriamo a costruirsi un
futuro è la strada da percorrere.
Se anche a te stanno a cuore solidarietà,
giustizia, integrazione e pari opportuni-
tà… allora l’Albero di Cirene è l’associa-
zione giusta per te!
Se vuoi darci il tuo supporto puoi diven-
tare Socio dell’Albero di Cirene o scrivere
a [email protected] per avere
informazioni su come partecipare alle
nostre attività.
Resta connesso
www.alberodicirene.org Sul nostro sito Web trovi tutte le infor-mazioni sui nostri progetti e i contatti per scriverci o venire a conoscerci.
Iscriviti alla nostra Newsletter per es-sere informato sulle nostre iniziative e i sette progetti dell’Albero.seguici anche su facebook!
Comunicare in tutti i sensi
tel. 051 6360231 - [email protected]
InterpromexComunicazione
Pubblicità e graficaper imprese, associazionie attività commerciali.
www.interpromex.it