alessandro manzoni riuscì chichibio a salvarsi da questa scomoda situazione ? r. fa ridere corrado...
TRANSCRIPT
ALESSANDRO MANZONI
nato a Milano nel 1785
di nobili origini, studia presso istituti
religiosi, il soggiorno a Parigi lo forma
politicamente e culturalmente.
Visse quasi sempre a Milano e divenne
anche senatore del nuovo Regno
d’Italia nel 1861.
E’ l’esponente più rappresentativo del movimento romantico
il tema ricorrente nei suoi testi è la divina provvidenza ossia Dio
segna la sorte degli uomini ed essi devono rassegnarsi da buoni
cristiani alla loro sorte.
Egli compose inni sacri, odi e il romanzo “I promessi sposi”
ode: il cinque maggio
venne scritta in occasione della morte di Napoleone non per
citarne la gloria, ma per far capire che la divina provvidenza lo
aveva indotto a fare determinate scelte e che alla fine Dio gli
aveva concesso la vera salvezza concedendogli la vita eterna in
paradiso.
parafrasi “napoleone è morto il corpo immobile ha dato l’ultimo sospiro senza ricordi e senza un’anima così grande la terra è rimasta colpita dalla sua morte in silenzio pensa all’ultima ora di quell’uomo potente e non sa quando un’altra impronta simile potrà calpestare la terra lasciata insanguinata da tante guerre che Napoleone ha combattuto
è andato dall’Italia all’Egitto dalla Spagna alla Germania appena prendeva una decisione passava all’azione era veloce come un fulmine dalla Sicilia fino alla Russia da un mare all’altro è stata vera gloria? non si sa, solo gli uomini di domani potranno giudicare Napoleone provò tutto la gioia della gloria dopo il pericolo la fuga dopo la sconfitta la vittoria, il potere e la tristezza dell’esilio due volte provò la sconfitta due volte provò la gloria
Astolfo sulla luna
Orlando è diventato pazzo quando ha
saputo che la sua amata Angelica si è
innamorata di Medoro.
In realtà è stato Dio a togliere il senno
(ragione) ad Orlando per punirlo della
sua passione amorosa invece che
aiutare Carlo Magno nella lotta contro i
Saraceni.
Da quel momento il suo senno se n’è andato sulla luna e il Duca
Astolfo decide di andare a recuperarglielo.
Sale in groppa ad un cavallo alato che si chiama ippogrifo e
arriva al paradiso terrestre dove incontra san Giovanni
Evangelista che lo accompagnerà fin sulla luna.
I due si avviano e quando arrivano in una valle lunare, vedono
sparse li intorno, tutte le cose che gli uomini sulla terra hanno
perso e soprattutto il senno che è chiuso dentro ampolle con
scritto fuori il nome di chi l’ha perso.
Ce ne sono talmente tante, da pensare che sulla terra non ci sia
più saggezza.
Non molto lontano Astolfo vede l’ampolla con dentro il senno di
Orlando e con il permesso di San Giovanni Evangelista, ne annusa
il contenuto.
La Luna è descritta come un mondo uguale al nostro, ci sono
mari, fiumi, laghi, pianure, città, castelli, come da noi.
La Luna quindi è uno specchio della terra che offre immagini
rovesciate ed è la parte che completa la terra, dal momento che
sulla luna si trova tutto ciò che sulla terra si è perso.
Astolfo torna sulla terra e consegna all’amico il senno perduto
così Orlando guarisce.
comprensione
Chichibio e la gru
chi è il protagonista?
r. Chichibio
qual’è il suo lavoro?
r. cuoco
chi è l’antagonista?
r. Corrado
cosa ha cacciato Corrado col falcone ?
r. gru
chi viene attirata dal profumo d’arrosto di gru?
r. Brunetta
cosa chiede a Chichibio?
r. dammi una coscia
Chichibio per giustificarsi con Corrado afferma che le gru
hanno…?
r. una sola gamba
qual è lo stato d’animo di Corrado?
r. arrabbiato
…e quello di Chichibio?
r. paura
come riuscì Chichibio a salvarsi da questa scomoda situazione ?
r. fa ridere Corrado
chichibio e la gru
Viveva a Firenze un nobile cittadino, chiamato messer Corrado, generoso con tutti, il quale, buon cavaliere, si dilettava a cacciare. Un giorno, nei pressi di Peretola, egli prese col falcone una bella gru, e trovatala giovane e grassa, la mandò a un suo abile cuoco, che si chiamava Chichibio, con l’ordine di arrostirla con ogni cura e servirgliela a cena. Chichibio la prese e si accinse subito a cuocerla e quando la cottura fu quasi al termine, cominciò a diffondersi attorno un odore gradevolissimo. Venne a passar di lì una ragazzetta della contrada, la quale era chiamata Brunetta e di cui il buon Chichibio era innamoratissimo; ella entrò nella cucina e nel sentire l’odore della gru e nel vederla sul fuoco, si mise a pregar Chichibio di dargliene una coscia. “No davvero – rispose Chichibio - proprio non posso” Donna Brunetta se ne corrucciò molto e infine disse: “In fede di Dio, se non me la date, vi giuro che non vi guarderò più in faccia” E così andarono avanti a litigare. Finché Chichibio, per non vederla adirata, tagliò una coscia alla gru e gliela diede. La gru fu portata così, senza una coscia, alla mensa di Corrado che aveva invitato un amico suo e Corrado, molto stupito, fece chiamar Chichibio e gli chiese che cosa fosse avvenuto dell’altra coscia della gru. Il brav’uomo rispose subito: “Signore, le gru hanno una sola coscia e una gamba” “Come diavolo non hanno che una coscia e una gamba?” domandò Corrado “E’ forse questa la prima gru che vedo?” “Messere, - insisté Chichibio, - è proprio così come vi dico e ve lo farò vedere negli uccelli vivi quando vorrete”. Corrado, per non far discorsi davanti ad un invitato, volle tagliar corto e concluse: “Va bene, lo vedremo domattina e se sarà come dici sarò contento. Ma ti giuro che se sarà altrimenti, ti farò conciare in maniera tale che ti ricorderai di me finché campi” Per quella sera non fu detto altro, ma il mattino dopo, appena sorto
il sole, Corrado a cui non era affatto sbollita l’ira durante la notte, si alzò ancor pieno di stizza e comandò di sellare i cavalli. Poi fece montare Chichibio sopra un ronzino e lo condusse sulle rive di un fiume dove, sul far del giorno, si vedevano sempre delle gru. “Adesso vedremo chi di noi due ha mentito ieri sera” disse minaccioso. Chichibio, vedendo che l’ira di Corrado era ancora viva e che doveva provare la sua bugia, cavalcava pieno di paura a fianco del padrone senza sapere quello che dovesse fare. Se la sarebbe data volentieri a gambe, se avesse potuto, ma poiché purtroppo non lo poteva, si guardava ora davanti, ora dietro, ora di fianco e in tutto ciò che gli appariva gli sembrava vedere delle gru piantate su due buone gambe. Arrivati però nelle vicinanze del fiume, riuscì a vedere prima degli altri ben dodici gru le quali se ne stavano tutte su una gamba sola come sogliono fare quando dormono. Si affrettò dunque a mostrare a Corrado dicendo: “Messere, potete vedere molto bene che ieri sera vi dissi il vero. Le gru hanno una sola coscia e un solo piede guardate là” Corrado le guardò un poco e poi rispose: “Aspetta e ti farò vedere che ne hanno due” E avvicinandosi agli uccelli, gridò: “Oh! Oh!” A quel grido le gru mandarono giù l’altro piede e fatto qualche passo, presero a fuggire. Corrado si rivolse allora a Chichibio dicendo: “Che te pare furfante? Non ti sembra che ne abbiano due?” Chichibio, mezzo tramortito, non sapendo in che mondo si fosse, rispose: “Messer si, ma voi non avete gridato “oh, oh” a quella di ieri sera: se aveste gridato così essa avrebbe mandato fuori l’altra coscia e l’altro piede come hanno fatto queste” A Corrado questa risposta piacque tanto che tutta la sua ira si convertì in riso e allegria e disse: “Hai ragione, Chichibio, dovevo fare così” E Chichibio, con la sua pronta risposta, sfuggì al pericolo e si rappacificò col suo padrone.
il decadentismo
è una corrente artistica e letteraria nata in Francia nel 1880
diffusa poi in Europa
le caratteristiche principali del Decadentismo:
� sfiducia nella scienza, per scoprire i misteri della vita ci si
deve affidare solo all’intuizione
� sfiducia nella società
� esaltazione dell’IO (individualità)
� esaltazione di sentimenti come l’angoscia, la solitudine e la
morte
per i poeti decadentisti, solo attraverso la poesia è possibile
conoscere la realtà, quindi il poeta è considerato come un
veggente (colui che conosce il futuro)
i poeti decadenti:
giovanni pascoli
gabriele d’annunzio
i letterati decadenti:
italo svevo
luigi pirandello
GIOVANNI PASCOLI (1855 – 1912)
le vicende tristissime della sua famiglia, a cui egli
assistette da fanciullo e poi le difficoltà
economiche e gli ostacoli da superare, sempre da
solo, lasciarono un solco profondo nel suo animo ed
influirono sul suo carattere e conseguentemente
sulla sua poesia.
Grazie ad una borsa di studio riuscì a laurearsi in lettere ed insegnare
all’università di Bologna.
Non fu un ribelle, ma alla maniera decadente si chiuse nel suo dolore.
La sua ribellione si manifestò in un’avversione verso una società in cui era
possibile uccidere impunemente (sorte toccata al padre) e nella quale si
permetteva che una famiglia di ragazzi (la sua) vivesse nella sofferenza e
nella miseria.
Non c’è ribellione nella sua poesia, ma rassegnazione e passività al male
vi domina la malinconia.
Egli accetta la realtà triste come è, e si sottomette al mistero che non
riesce a spiegare.
La sua poesia esprime soltanto gli stati d’animo e l’ascolto della sua anima
e delle voci misteriose che gli giungono da lontano:
dalla natura o dai morti
Per Pascoli in ognuno di noi vive un fanciullino al quale tutte le cose
appaiono nuove e solo lui conosce il mistero della natura e dell’uomo.
X Agosto di Giovanni Pascoli
San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra i spini; ella aveva nel becco un insetto: la cena dei suoi rondinini. Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono. Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male!
È il 10 agosto, il giorno di San Lorenzo, ed io so perchè così tante stelle in cielo ardono e sembrano cadere, perchè così tante stelle che sembrano lacrime, brillano in cielo Una rondine ritornava al suo nido, sotto un tetto: venne uccisa: cadde tra i rovi; aveva nel becco un insetto: doveva essere la cena dei suoi piccoli Ora lei è là, come se fosse morta in croce, che tende verso il cielo il verme catturato, cielo indifferente al dolore; e nel nido ombroso, il pigolio dei piccoli si fa sempre più tenue Anche un uomo, mio padre, tornava a casa: venne ucciso: disse:Perdono; e morì con gli occhi spalancati come se volessero gridare per lo stupore: ed aveva con sè due bambole da regalare alle figlie... Ora là, nella casa isolata, lo aspettano, ma aspettano inutilmente: egli immobile, stupito, protende le bambole al cielo lontano e indifferente E tu, Cielo, dall'alto dei mondi senza il male, infinito, immobile, è come se inondassi di stelle questo piccolissimo pianeta dominato dal Male!
significato del “X AGOSTO”
Rappresenta la principale poesia in cui rievoca la morte del padre avvenuta
proprio il 10 agosto del 1867, nella notte di San Lorenzo
Pascoli contempla il cielo nel suo luccichio di stelle cadenti paragonandole
a un pianto del cielo per l’uccisione del padre
Al centro della poesia vi è l’accostamento della famiglia di Pascoli con una
famiglia di rondini
Pascoli descrive così un parallelismo fra una rondine uccisa mentre porta
il cibo al nido e il padre del poeta assassinato mentre tornava a casa
La rondine rimane tra gli spini senza vita come in croce accostando così le
vittime (rondine e padre) al sacrificio di Cristo
Nel frattempo il nido con i rondinini si avvia alla fine data la mancanza
della rondine, unica fonte di sostentamento
Analogamente anche un uomo sta tornando a casa ma viene ucciso
rimanendo con gli occhi sbarrati con in mano due bambole da portare in
dono ai suoi figlioletti
Nella casa ormai desolata tutti lo aspettano invano mentre l’uomo come la
rondine rimane esposto al cielo il quale ignora il male che pervade la terra
La rondine diviene il simbolo di tutti gli innocenti perseguitati dalla
malvagità degli uomini alludendo così a Cristo accostato anche dalla figura
del padre di Pascoli il quale sul punto di morte perdona i suoi uccisori
L’analogia fra l’uomo e la rondine non è basata solo sul loro sacrificio ma
anche sulla loro esclusione forzata da nido che rappresenta la famiglia
che protegge i suoi figli dai mali e dalle insidie che sconvolgono il mondo
esterno.
evoluzione della lingua italiana
Nella prima metà dell’800, l’italiano veniva parlato solo dalle
persone colte, il resto della popolazione era analfabeta e parlava
solo il dialetto che era differente da regione a regione.
La corrente culturale e letteraria del periodo è definita
romanticismo, un suo esponente è Alessandro Manzoni che
con la sua opera “i promessi sposi” diffonde la nuova lingua
ma senza l’uso di espressioni dialettali.
Con l’unità d’Italia 1861, c’è la necessità di parlare tutti una
stessa lingua per capirsi.
Questi i motivi per cui si diffonde l’uso dell’italiano:
� l’obbligo di andare a scuola
� gli insegnanti e gli impiegati dello stato che si spostano in
tutta Italia
� la diffusione dei giornali
� lo sviluppo del commercio
il neoclassicismo (nuovo classicismo fine 1700) si ispira ai
modelli classici dei greci e dei romani che volevano esprimere la
bellezza e la perfezione.
Un letterato del neoclassicismo è Ugo Foscolo.
il neoclassicismo è definito l’anticamera del
romanticismo.
Gabriele D'Annunzio (1863 – 1938)
è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo,
militare, politico e giornalista italiano,
simbolo del Decadentismo italiano ed eroe di
guerra soprannominato il Vate cioè "il
profeta"
D'Annunzio nasce nel 1863 a Pescara da
un'agiata famiglia borghese.
Frequenta il liceo a Prato e a 16 anni pubblica Primo vere, la
sua prima raccolta di poesie, che lo fanno diventare famoso.
Finito il liceo si trasferisce a Roma, dove frequenta i salotti
mondani e le redazioni di importanti giornali.
Comincia così a diventare famoso per i suoi articoli, oltre che
per i racconti e le novelle, di contenuto anche erotico e
scandaloso.
La vita privata di D’Annunzio diventa spettacolo per il pubblico,
attirando sul poeta un interesse mai raggiunto da nessun autore
italiano.
Dalla relazione con la celebre attrice di
teatro Eleonora Duse scrisse anche opere
teatrali.
Egli inseguì l'estetismo che è il culto del
bello, vuole vivere la propria vita come se
fosse un'opera d'arte, sperperò tutti i suoi
soldi e si vide costretto ad emigrare in
Francia, dove continuò a scrivere,
visse così quattro anni a Parigi.
Tornato in Italia nel 1915, si arruolò come
volontario distinguendosi in ardite azioni belliche
tra cui il volo su Vienna e la liberazione della città
di Fiume,
Qui nasce il mito del superuomo che associava al
bello un’intensa vitalità e un'energia eroica.
Quest'atteggiamento, preso dal Decadentismo francese,
corrisponde alla personalità del poeta, che vuole distinguersi
dalla normalità, dalle masse.
La sua è un'esistenza costruita artificialmente per realizzare
l'ideale del “vivere inimitabile” (sign. distinguersi dalle masse)
Dal 1921 fino alla morte visse sul lago di Garda.
il Vittoriale degli italiani è la cittadella monumentale fatta costruire dal
poeta Gabriele D`Annunzio a Gardone Riviera sul Lago di Garda.
Non si tratta di una casa, ma di un insieme di edifici, giardini, teatri, vie e piazze,
un complesso realizzato e voluto dal poeta in memoria della sua vita e delle sue
imprese.
GIOVANNI BOCCACCIO
Nasce a Firenze nel 1300 circa.
Qui compie i suoi studi poi va a Napoli
per far pratica mercantile e bancaria,
ma ben presto lascia il lavoro per
dedicarsi agli studi letterari.
Frequentando la corte dei d’Angiò conosce la donna di cui
si innamora, Maria d’Aquino e alla quale dedica i suoi
componimenti dandole il nome di Fiammetta.
Per problemi finanziari torna a Firenze dove conosce
Petrarca e dove ha l’onore di leggere e commentare
pubblicamente la “divina commedia” di Dante.
DECAMERON (dieci giorni)
L’opera più importante di Boccaccio è il DECAMERON,
una serie di 100 novelle scritte in lingua volgare.
Narra la storia di 7 giovani donne e 3 giovani uomini (10 in
tutto) che per sfuggire all’epidemia di peste che c’era a
Firenze si rifugiano sui colli fiorentini.
Qui passano le giornate a raccontare ogni giorno per 10
giorni una novella a testa (da qui 100 novelle)
Tratta tutti i temi della vita:
la gioia e il dolore, la ricchezza e la povertà, la vita e la
morte…ma il tema dominante è l’amore.
Inno di Mameli
è conosciuto anche come
Il Canto degli italiani o come Fratelli d'Italia
riferendosi alla prima frase della canzone,
è il canto nazionale italiano simbolo del
risorgimento, nato nel fervore patriottico
precedente la guerra contro l’Austria
è diventato ufficialmente l’inno nazionale della
Repubblica Italiana nel 12 ottobre 1946.
Goffredo Mameli nasce a Genova il 5 settembre 1827,
studente e poeta dai sentimenti liberali e repubblicani, aderisce al
mazzinianesimo nel 1847, anno in cui partecipa alle grandi manifestazioni
genovesi per le riforme e compone Il Canto degli Italiani mentre
Michele Novaro ne scrive la musica.
Da quel momento in poi dedica la propria vita di poeta-soldato alla causa
italiana:
in quel periodo era stata abolita una legge che vietava assembramenti di
più di dieci persone, così oltre 30.000 persone ascoltando l'inno e
imparandolo, lo cantarono senza sosta in ogni manifestazione .
Anche durante le Cinque giornate di Milano, gli insorti lo intonavano a
squarciagola, il Canto degli italiani diventò così un simbolo del
Risorgimento.
Gli inni patriottici come l'inno di Mameli furono un importante strumento
di propaganda degli ideali del Risorgimento e di incitamento
all'insurrezione che contribuì alla svolta storica che portò all'emanazione
dello Statuto Albertino e all'impegno del re nel progetto di riunificazione
nazionale.
Quando l'inno si diffuse, le autorità cercarono di vietarlo, considerandolo
di ispirazione repubblicana e anti-monarchica, ma il tentativo fallì.
Dopo la dichiarazione di guerra all'Austria, persino le bande militari lo
suonarono e il Re fu costretto ad accettarlo ed a riconoscere come unica
bandiera il tricolore verde, bianco e rosso,
anch'esso impostosi come simbolo patriottico,
dopo essere stato adottato clandestinamente
nel 1831 come simbolo della Giovine Italia.
In seguito fu proprio intonando l'inno di Mameli
che Garibaldi, con i "Mille", intraprese la
conquista dell'Italia meridionale e la
riunificazione nazionale.
Nel 1862 Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni, affidò proprio al
Canto degli Italiani (e non alla Marcia Reale) il compito di simboleggiare
l'Italia, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese.
Sempre in prima linea nella difesa della città assediata dai Francesi,
Mameli viene ferito alla gamba sinistra e morirà d'infezione a soli
ventidue anni, ma le parole del suo inno, che invocava un'Italia unita, erano
più vive che mai. Anche la presa di Roma del 1870, fu accompagnata da
cori che lo cantavano.
L'inno Fratelli d'Italia L'Italia s'è desta, Dell'elmo di Scipio S'è cinta la testa. Dov'è la Vittoria? Le porga la chioma, Ché schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamoci a coorte Siam pronti alla morte L'Italia chiamò. Noi siamo da secoli Calpesti, derisi, Perché non siam popolo, Perché siam divisi. Raccolgaci un'unica Bandiera, una speme: Di fonderci insieme Già l'ora suonò. Stringiamoci a coorte Siam pronti alla morte L'Italia chiamò. Uniamoci, amiamoci, l'Unione, e l'amore Rivelano ai Popoli Le vie del Signore;
Giuriamo far libero Il suolo natìo: Uniti per Dio Chi vincer ci può? Stringiamoci a coorte Siam pronti alla morte L'Italia chiamò. Dall'Alpi a Sicilia Dovunque è Legnano, Ogn'uom di Ferruccio Ha il core, ha la mano, I bimbi d'Italia Si chiaman Balilla, Il suon d'ogni squilla I Vespri suonò. Stringiamoci a coorte Siam pronti alla morte L'Italia chiamò. Son giunchi che piegano Le spade vendute: Già l'Aquila d'Austria Le penne ha perdute. Il sangue d'Italia, Il sangue Polacco, Bevé, col cosacco, Ma il cor le bruciò. Stringiamoci a coorte Siam pronti alla morte L'Italia chiamò
LUDOVICO ARIOSTO vita e opera
dopo aver studiato legge presso quale famiglia lavora?
r. estensi di ferrara
a cosa si dedica quando si ritira dal lavoro?
r. lettere e poesia
qual’è il suo poema più importante?
r. Orlando furioso
la trama si divide in quali vicende principali ?
r. la guerra tra…
la pazzia di …
l’amore tra Bradamante e ...
nella I vicenda perchè i cristiani vincono la battaglia?
r. Orlando uccide il re dei saraceni
nella II vicenda di chi si innamora Orlando?
r. Angelica
perché Orlando impazzisce?
r. Angelica sposa Medoro
chi riporterà il senno ad Orlando?
r. il duca Astolfo
nella III vicenda chi è Bradamante?
r. guerriera cristiana
e Ruggiero?
r. guerriero saraceno
dall’unione dei due, quale “casa” nascerà?
r. d’este
ariosto si ispira alle storie dei cavalieri ma quale aspetto esalta ?
r. umano
...e quale sentimento prevale?
r. amore
in quali luoghi ambienta la trama?
r. fantastici
LUDOVICO ARIOSTO
nasce a Reggio Emilia nel 1474
inizia a studiare legge, lavora presso la
corte degli Estensi di Ferrara fino a 51 anni.
Poi si ritira con la sua famiglia e si dedica
allo studio delle lettere e della poesia,
il suo capolavoro è un poema intitolato
l’Orlando Furioso.
Il poema si può dividere in tre momenti principali:
1 - la guerra tra cristiani e saraceni
l’episodio principale si svolge a Parigi, la battaglia la vincono i
cristiani grazie ad Orlando cavaliere francese che uccide il re
dei saraceni (mussulmani)
2 - l’amore e la pazzia di Orlando
narra l’amore di Orlando non corrisposto da Angelica figlia del re
del Catai (cinese), quando Angelica riesce a fuggire dal campo di
Carlo Magno, Orlando la insegue inutilmente e la cerca ovunque,
affrontando mille avventure, ma quando si accorge che Angelica
si è sposata con Medoro, un soldato saraceno, egli impazzisce di
dolore e perde il senno (ragione). Glielo va a cercare il duca
Astolfo sulla Luna, in groppa all’ippogrifo, così Orlando guarisce
e torna a combattere con i saraceni.
3 - l’amore tra Bradamante e Ruggiero
Bradamante è una guerriera cristiana che si innamora di un
guerriero saraceno di nome Ruggiero, il quale per poterla
sposare si converte al cristianesimo, dalla loro unione avrà
origine la “casa d’Este”
In questo modo rende onore alla casata degli Estensi di Ferrara
per la quale ha lavorato tanti anni.
Si ispira ai poemi che narrano le gesta dei cavalieri esaltando
però il lato umano dell’eroe, soprattutto l’amore, la gelosia e il
coraggio.
Ambienta il suo poema in luoghi a volte fantastici e immaginari
con mostri e maghi e narra battaglie sanguinose.
comprensione
Nastagio degli Onesti
chi è Nastagio degli Onesti?
r. nobile di Ravenna
perché sperpera il suo denaro in banchetti in onore della ragazza
di cui è innamorato?
r. per attirare la sua attenzione
la ragazza ricambia l’amore di Nastagio?
r. no lo rifiuta
cosa consigliano i parenti e gli amici a Nastagio?
r. andare via da Ravenna
dove si trasferisce?
r. a Classe
cosa vede tutti i venerdì all’imbrunire nella pineta?
r. i fantasmi
la ragazza fantasma da chi è inseguita?
r. due cani
anche l’altro fantasma insegue la ragazza per ucciderla, chi è?
r. un cavaliere nero
perché alla ragazza è toccata questa sorte?
r. non corrispondeva l’amore del cavaliere
Nastagio decide di far vedere la scena alla sua amata ed essa
per paura di ricevere la stessa sorte cosa accetta?
r. sposare Nastagio da questa novella le donne di ravenna hanno imparato ad essere più...?
r. gentili
...con i loro innamorati
Nastagio degli Onesti
Nastagio degli Onesti è un nobile di Ravenna, ritrovatosi ricchissimo in seguito alla morte del padre e dello zio. Egli s'innamora di una fanciulla di famiglia ancor più nobile, la figlia di Paolo Traversari. Per attirare la sua attenzione, Nastagio comincia a sperperare il proprio denaro in banchetti e feste organizzate soltanto per lei. La ragazza tuttavia non ricambia l'amore di Nastagio, anzi si diverte a rifiutarlo. Gli amici e i parenti di Nastagio vedendo che si sta consumando nella persona e nel patrimonio, gli consigliano di andarsene da Ravenna, in modo da riuscire a dimenticare il suo amore non corrisposto. Il giovane lascia Ravenna e si trasferisce a Classe, poco lontano dalla sua città. Un venerdì all'inizio di maggio, all'imbrunire, Nastagio, passeggiando nella pineta vede i fantasmi di una ragazza che corre nuda in lacrime, inseguita da due cani che la mordono e da un cavaliere nero con uno spadino che la minaccia di morte. Nastagio cerca di difenderla, ma il cavaliere, presentatosi come Guido degli Anastagi, gli racconta come un tempo aveva amato follemente questa donna che sta inseguendo, ma poiché costei non aveva voluto ricambiare il suo amore, egli si era suicidato.
Quando anche la ragazza morì, senza alcun pentimento per il tormento che aveva inflitto al suo innamorato, venne condannata con lui alla pena di quella crudele caccia: ogni venerdì, la ragazza avrebbe dovuto subire l'uccisione e successivamente la ricomposizione del proprio corpo, per tanti anni quanti erano i mesi che aveva rifiutato il suo innamorato. Rassegnatosi al volere divino, Nastagio assiste allo strazio del corpo della giovane da parte del cavaliere, al termine del quale i due sono costretti a ricominciare la corsa, fin a quando la visione svanisce. Il giovane decide di approfittare della situazione: preparerà un banchetto in quello stesso luogo del bosco il venerdì successivo, invitando i propri parenti e l'amata insieme con i suoi genitori. Come Nastagio aveva previsto, alla fine del pranzo appaiono i fantasmi e si ripete la scena straziante e pietosa. Con ciò egli ottiene l'effetto sperato: dopo che il cavaliere nero spiega di nuovo ai presenti la sua condanna, la fanciulla amata da Nastagio, rendendosi conto di come aveva sempre calpestato l'amore che egli prova per lei, per paura di subire la stessa condanna, cambia atteggiamento e acconsente immediatamente alle nozze, tramutando il suo odio in amore. Così la domenica successiva i due si sposano, e da quel momento tutte le donne di Ravenna impararono ad essere più gentili verso i loro innamorati.
il vedutismo
era un genere pittorico nato
alla fine del 1700 dove
l’artista dipingeva vedute di
paesaggi o di città, in tal
modo il turista si poteva
portare a casa l’immagine del
luogo visitato.
Le città d’arte più
apprezzate erano Venezia, Firenze, Roma e Napoli.
In quel tempo infatti i giovani di ricche famiglie usavano fare il
Gran Tour ossia un viaggio d’istruzione e di avventura.
Esponente del vedutismo veneziano è il Canaletto.
il neoclassicismo (dal 1750)
è un movimento che rifiuta il barocco e
il rococò dell’aristocrazia e rispecchia
invece i modelli classici dei greci e
romani esprimendo razionalità, equilibrio
e gli ideali della borghesia.
Si diffonde in tutta Europa, in Russia
ed anche in America, si costruivano
edifici ispirandosi al tempio Greco con
colonnati, cupole, erano simmetrici e
utilizzavano la pietra ed il marmo.
Si costruivano archi di trionfo proprio
come nell’antica Roma, lo scultore italiano più importante del
neoclassico fu Antonio Canova.
ANTONIO CANOVA
PAOLINA BORGHESE
data 1804-1808
dimens. 2 m lunghezza
1,60 h
materiale marmo
colloc. Roma galleria Borghese
La scultura rappresenta
Paolina Borghese sorella di Napoleone Bonaparte nelle sembianze
della dea Venere,
realizzata dal Canova in occasione delle nozze di lei.
Egli si è ispirato al racconto mitologico dove Paride fa una gara
di bellezza fra le dee in cui vince Venere ed alla quale egli regala
la mela della vittoria.
Nella scultura la mela è tenuta nella mano sinistra.
Nella lavorazione del marmo utilizza tecniche diverse, nella zona
dei capelli e della pelle per renderlo particolare al tatto, usa una
cera rosata per evidenziare il colore naturale della pelle.
Il supporto è in legno lavorato per sembrare marmo, all’interno
vi era un meccanismo in grado di far ruotare la scultura .
Canova per realizzarla ha preso ad esempio il dipinto di Tiziano.
comprensione
ORLANDO
perchè Orlando vaga nella foresta per due giorni?
R. cerca il suo cavallo
giunto in uno spiazzo cosa vede incisi su un albero?
R. due nomi, Angelica e Medoro
Orlando entra in una grotta e sui muri è scritta una frase
d’amore, in quale lingua ?
R. arabo
come si sente Orlando?
R. disperato
raggiunto il bosco deserto cosa fa?
R. urla di dolore
come manifesta la sua ira?
R. strappa gli alberi
quanti giorni rimane immobile a terra afflitto dal suo dolore?
R. tre
il quarto giorno come diventa Orlando?
R. pazzo furioso
si toglie l’armatura e...?
R. uccide tutti
La pazzia di Orlando
Mentre Orlando sta affrontando in duello un
saraceno, il suo cavallo si imbizzarrisce e fugge
nella foresta, costringendolo ad inseguirlo per
due giorni.
Ad un certo punto giunge in uno splendido
spiazzo con fiori e alberi e su di uno vede incisi i
nomi di Angelica e Medoro intrecciati insieme.
Orlando innamorato di Angelica si sforza di
credere che sia un’altra Angelica o che Medoro sia solo un soprannome
che lei a voluto dare ad Orlando.
Errando, in preda al rifiuto di accettare il fatto che Angelica ama
Medoro, giunge all’entrata di una grotta e anche qui vede incise frasi
d’amore per Angelica: sono scritte in arabo da Medoro, ma Orlando
conosce la lingua e le legge più volte fino a crollare dalla disperazione.
Riprende il cammino e giunge ad una capanna dove un pastore aveva
ospitato Medoro ferito e Angelica, e anche qui le pareti erano piene di
scritte.
Il pastore, vedendolo triste e pensando di fare cosa gradita gli narra una
storia d’amore, ma purtroppo è quella di Angelica e Medoro.
A questo punto la disperazione di Orlando è immensa e raggiunta una
parte di bosco solitaria incomincia ad urlare e gridare tutto il suo dolore.
Tutta la notte cammina nel bosco e all’alba si ritrova ancora davanti
all’albero dove Medoro ha scritto il suo amore per Angelica, allora sguaina
la spada, taglia gli alberi, getta terra nella fonte, finchè stanco e afflitto,
cade sull’erba, dove rimane fermo senza cibo e senza dormire per 3 giorni.
Il quarto giorno, agitato dalla pazzia, si toglie l’armatura e tutto nudo
comincia la sua furia distruttrice, i pastori che hanno sentito tutto
corrono a vedere cosa è successo e vedono Orlando furioso
Invano cercano di fuggire, ma vengono brutalmente uccisi, come anche le
greggi e tutta la gente che aveva cercato di fermarlo con le armi per
evitare che distruggesse le loro case.
luigi pirandello (Agrigento 1867 – Roma 1936)
Drammaturgo , scrittore e poeta italiano.
Formatosi nell'ambiente siciliano, frequentò
l'Università di Roma e concluderà i suoi studi
laureandosi a Bonn in Germania.
Rappresentò sulle scene l'incapacità dell'uomo di
identificarsi con la propria personalità, nel dramma della ricerca di una
verità al di là delle convenzioni e delle apparenze.
Due anni prima della morte gli fu conferito il premio Nobel per la
letteratura.
Pirandello raggiunse la fama con l'opera teatrale
- Lumìe di Sicilia
- Cosi è (se vi pare) - Sei personaggi in cerca di autore, Enrico IV
Ricevette grandi accoglienze anche dal pubblico e dai critici stranieri
soprattutto in Germania ed in Francia, i suoi drammi furono interpretati
dalle maggiori compagnie teatrali del tempo.
le sue opere: Novelle per un anno raccolta di tutte le novelle
Il fu Mattia Pascal
Uno, nessuno centomila romanzi sulla sua concezione di vita
Maschere nude opere teatrali
Pirandello afferma che l’uomo non conosce se stesso perché non conosce
con certezza la realtà.
L’uomo accetta gli schemi imposti dalla società, tanto che se pensa di
essere uno si accorge poi di essere centomila altri uomini in base a
quello che gli altri vogliono che noi siamo, e spesso si nasconde dietro una
maschera tanto che finisce col sentirsi nessuno
da qui il romanzo “uno, nessuno e centomila”
La patente è una novella di Luigi Pirandello, pubblicata nella raccolta “Novelle per un anno” nel 1911
Il protagonista della novella è Rosario Chiarchiaro, un uomo scacciato
dal suo lavoro, il banco dei pegni, per essere stato considerato uno
iettatore (colui che porta sfortuna)
I superstiziosi temono talmente gli influssi della malasorte che al
passaggio di Chiarchiaro, fanno i più svariati segni scaramantici: toccano il
ferro, fanno il gesto delle corna…
Agli occhi del giudice D'Andrea sembra che Chiarchiaro abbia
querelato due giovani che in sua presenza hanno fatto "gli scongiuri di
rito", ma non è così.
Nell'ufficio del giudice, Chiarchiaro, arriva vestito come un perfetto
menagramo (iettatore)
Il protagonista dichiara che non ha nessuna intenzione di far condannare i
due giovani: il suo obiettivo è invece quello di ottenere una patente di
iettatore con cui pretendere di essere pagato per evitare i suoi malefici.
Infatti Chiarchiaro, stanco della "schifosa umanità", vuole ora
vendicarsi sfruttando la superstizione popolare, imponendo una tassa che
tutti al suo passaggio vorranno pagare pur di evitare il malocchio e
vendicarsi così dei suoi persecutori.
Anche in questa novella, dal carattere pessimistico e dallo stile verista
verghiano, Pirandello espone il suo "gioco delle maschere", dove con un
atto di ribellione Chiarchiaro pone a suo vantaggio le maldicenze della
gente.
La patente affronta il tema tipicamente pirandelliano del contrasto fra
ciò che siamo e ciò che pensano di noi.
Questo tema emerge attraverso una vicenda legata all'ignoranza e alla
superstizione di una società culturalmente arretrata, in cui perfino i
giudici credono alla iettatura e al malocchio. Di fronte a questa società,
che impone all'individuo una "maschera" odiosa e opprimente, l'uomo non
può ribellarsi, ma solo accettare il proprio destino.
i promessi sposi
Romanzo storico in parte
inventato e in parte reale
soprattutto nella
descrizione storica, scritto da Alessandro
Manzoni nel 1821 nel fiorentino parlato
dalle persone colte, è ambientato in
Lombardia nel 1600 quando lo stato di
Milano era sotto dominazione spagnola.
Il periodo in cui è ambientato il romanzo è
uno dei più tristi, vi è carestia, peste,
sommosse e il paese è invaso dai
lanzichenecchi (mercenari del sacro romano
impero di Germania che vennero in Italia a combattere contro Roma e il papa, si narra
che siano stati loro a portare la peste)
E’ la storia di due contadini lombardi, i promessi sposi, Renzo Tramaglino
e Lucia Mondella, la vicenda si svolge in tre anni descrivendo situazioni
diverse, viene infatti definito “l’epopea della divina provvidenza” anche
perché incentrato sulla fede cristiana, spesso viene descritto un Dio
misericordioso che aiuta i buoni e redime i cattivi,
Nel romanzo è presente una finzione letteraria ossia il romanzo ha
un’introduzione in cui Manzoni narra di aver trovato un vecchio
manoscritto del 1600 di un autore anonimo e ritenendolo un ottima storia
dice di averlo riscritto in forma moderna per meglio capirlo.
ecco la storia…
La sera del 7 novembre 1628 don
Abbondio, parroco d'un borgo montano
sulle rive del lago di Como, rientra dalla passeggiata serale.
Due Bravi (soldati) di don Rodrigo, signorotto del luogo, lo
fermano e gli comandano di non celebrare il previsto
matrimonio tra Lucia e Renzo
Don Rodrigo si è innamorato di Lucia e ha
scommesso con il cugino conte Attilio che la
fanciulla sarebbe stata sua.
Don Abbondio, che è un uomo pauroso, si
sottomette al volere di Don Rodrigo e quando il mattino
seguente, Renzo si presenta da lui per le ultime formalità
gli dice di non poter celebrare il matrimonio per mancanza di documenti.
Renzo, interroga Perpetua serva di don Abbondio e riesce a
scoprire la verità.
Renzo comunica subito il fatto a Lucia e a sua madre Agnese.
Quest'ultima consiglia a Renzo di rivolgersi
all'avvocato Azzeccagarbugli, che al solo sentire
il nome di don Rodrigo allontana il giovane e
dichiara di non volersi mettere contro il signore
della città.
I due promessi sposi tentano allora un matrimonio a
sorpresa, ma il tentativo fallisce per la reazione di don
Abbondio che sveglia l'intero paese.
Nello stesso momento i Bravi di don Rodrigo
guidati dal Griso (capo dei Bravi) falliscono il
rapimento di Lucia.
Per salvarsi ai due giovani non resta che fuggire e
con l'aiuto di padre Cristoforo, il frate cappuccino
confessore di Lucia, lasciano il paese, Lucia va a
Monza e Renzo a Milano.
Da questo momento trascorreranno
due anni prima che possano ritrovarsi.
Raggiunto il convento di Monza, Lucia è affidata alle cure di Gertrude, la
monaca di Monza.
Gertrude che è diventata monaca costretta dalla volontà del padre, ha da
tempo una relazione con Egidio, un nobile legato all'Innominato, un
potente e malvagio signore del luogo. Quest'ultimo con l'aiuto di Egidio e
Gertrude rapisce per don Rodrigo, Lucia che viene condotta nel suo
castello.
L’Innominato vedendo la disperazione di Lucia e sentendo le sue parole
che invocano anche per lui, che è colpevole di orrendi misfatti, la
misericordia di Dio, vive una notte di profonda crisi interiore, tutto gli
appare insensato e la vita solo una rapida corsa verso la morte.
Al mattino, informato dell’arrivo in paese
del cardinale Federigo Borromeo si reca da
lui.
Alle parole affettuose del cardinale,
l’Innominato piange, lo abbraccia e si sente
pronto ad affrontare un radicale
cambiamento di vita. L'uomo decide di
aiutare Lucia, l'affida a donna Prassede,
moglie dello studioso don Ferrante
Renzo, che avrebbe dovuto trovare rifugio in un convento di cappuccini a
Milano, giunto in città rimane coinvolto nei tumulti di San Martino.
Scambiato per uno dei capi della rivolta, mentre veniva condotto in
carcere riesce a fuggire, si rifugia a
Bergamo dal cugino Bortolo e dietro suo
suggerimento prende il nome di Antonio
Rivolta (Renzo)
La guerra per la successione del ducato di
Mantova strazia intanto l'Italia
settentrionale coinvolta nella Guerra dei
Trent'anni.
La carestia e la peste, diffusa dall'esercito dei lanzichenecchi,
cominciano a mietere vittime.
Renzo, informato che Lucia è a Milano da donna Prassede, lascia Bergamo
e arriva in città quando l’epidemia è ormai dilagata.
Scambiato per un untore si salva saltando su un carro di monatti (uomini
incaricati al trasporto dei malati di peste) che lo portano al Lazzaretto.
Qui ritrova padre Cristoforo, che aiuta i malati nonostante sia anch'egli
vicino alla fine, vede don Rodrigo morente e finalmente trova Lucia.
L'ultimo ostacolo alla felicità dei due giovani è il voto di castità che Lucia
aveva pronunciato quando era rinchiusa nel castello dell'Innominato.
Padre Cristoforo scioglie questo voto, che era stato fatto in un momento
di grande agitazione e senza tener conto che lei s'era già promessa a
Renzo.
Una pioggia purificatrice segna la fine dell'epidemia.
Tornati al paese, Renzo e Lucia sono sposati da don Abbondio. Dopo il
matrimonio si trasferiscono altrove.
Li attendono le normali difficoltà della vita, che più maturi e consapevoli
sapranno affrontare.
statua della spigolatrice
sul golfo di Sapri - Salerno
La spigolatrice di Sapri
è il titolo di una celebre poesia scritta
da Luigi Mercantini, che ha conosciuto
Garibaldi, il quale lo invitò a comporre
l’inno alla fine del 1857.
La poesia narra la sfortunata spedizione
di Carlo Pisacane nel Regno delle Due
Sicilie.
Il poeta adotta il punto di vista di una lavoratrice dei campi, intenta alla
spigolatura (raccolta del grano) e presente allo sbarco, che incontra Pisacane
e se ne innamora; la donna fa il tifo per i trecento ma assiste impotente al
loro massacro da parte delle truppe borboniche.
Particolarmente conosciuto - e citato - è il ritornello
“Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti”
La spigolatrice di Sapri è considerata una delle migliori testimonianze
della poesia patriottica risorgimentale.
testo Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Me ne andavo un mattino a spigolare quando ho visto una barca in mezzo al mare: era una barca che andava a vapore, e alzava una bandiera tricolore. All'isola di Ponza si è fermata, è stata un poco e poi si è ritornata; s'è ritornata ed è venuta a terra; sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra, ma s'inchinaron per baciar la terra. Ad uno ad uno li guardai nel viso: tutti avevano una lacrima e un sorriso. Li disser ladri usciti dalle tane: ma non portaron via nemmeno un pane;
monumento a Pisacane
sul golfo di Sapri
e li sentii mandare un solo grido: Siam venuti a morir pel nostro lido. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro un giovin camminava innanzi a loro. Mi feci ardita, e, presol per la mano, gli chiesi: - dove vai, bel capitano? - Guardommi e mi rispose: - O mia sorella, vado a morir per la mia patria bella. - Io mi sentii tremare tutto il core, né potei dirgli: - V'aiuti 'l Signore! - Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Quel giorno mi scordai di spigolare, e dietro a loro mi misi ad andare: due volte si scontraron con li gendarmi, e l'una e l'altra li spogliar dell'armi. Ma quando fur della Certosa ai muri, s'udiron a suonar trombe e tamburi, e tra 'l fumo e gli spari e le scintille piombaron loro addosso più di mille. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Eran trecento non voller fuggire, parean tremila e vollero morire; ma vollero morir col ferro in mano, e avanti a lor correa sangue il piano; fin che pugnar vid'io per lor pregai, ma un tratto venni men, né più guardai; io non vedeva più fra mezzo a loro quegli occhi azzurri e quei capelli d'oro.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!''
in morte del fratello giovanni
Ugo Foscolo scrive questo sonetto esprimendo il proprio
dolore per la morte del fratello Giovanni che si è suicidato a
vent’anni per un debito di gioco.
La morte per Foscolo non ha un valore negativo, ma rappresenta
la fine della sofferenza e la ritrovata quiete.
“un giorno se non sarò costretto a fuggire da un paese all’altro mi vedrai seduto sulla tua tomba piangendo la tua giovinezza spezzata ora solo la madre ormai vecchia parla di me con le tue ceneri che non possono più risponderle io tendo le mani verso di voi senza riuscire ad abbracciarvi e da lontano saluto la mia casa e la mia patria sento che il destino mi è ostile e sento tutte le preoccupazioni che ti hanno tormentato e prego di trovare anch’io pace nella morte ormai non mi resta che questa speranza e quando sarò morto vi prego di restituire il mio corpo a mia madre”
UGO FOSCOLO
nasce nel 1778 a Zante un’isola nel
mar Ionio.
Quando muore il padre, egli si
trasferisce a Venezia con la famiglia
qui diventa sostenitore della politica
di Napoleone e condivide gli ideali di
libertà ed uguaglianza della
Rivoluzione Francese.
Viaggiò molto finchè si trasferì a
Londra dove morì nel 1827
idee e politica
Ugo Foscolo è un rappresentante del neoclassicismo quindi
amante della bellezza classica ma il suo animo sempre in
conflitto con il sentimento e la ragione lo vedono anche
esponente del romanticismo.
Egli sosteneva che gli ideali di bellezza, di amore e di libertà
sono necessari all’uomo per vivere ma sono solo illusioni quindi
non reali.
Questi sentimenti diventano reali solo attraverso la poesia ecco
perché Foscolo scrive in tono solenne e ricercato.
opere
“ultime lettere di Jacopo Ortis” - romanzo autobiografico
“odi” - dedicate a due donne esaltandone la bellezza
“sonetti” (12) - tema il dolore e l’amore
“i sepolcri” – è una carme, un tipo di poesia scritta in tono
solenne dove afferma l’importanza dei monumenti funebri per
ricordare i morti
il verismo
detto anche realismo è un movimento letterario italiano del 1870
che prende spunto dal naturalismo che si diffuse in Francia.
La differenza tra naturalismo francese e verismo italiano sta nel
fatto che in Francia lo sviluppo industriale era ormai radicato
mentre in Italia era all’inizio e con molti problemi legati alla
diversità fra regioni del nord e del sud.
Gli scrittori veristi analizzano i problemi delle loro regioni
descrivendo nelle loro opere realtà drammatiche e spesso
pessimistiche.
La Sicilia è descritta nelle opere di Giovanni Verga e di Luigi
Capuana.
Napoli in quelle di Matilde Serao e di Salvatore di Giacomo
la Sardegna nelle opere di Grazia Deledda
Roma nelle poesie di Cesare Pascarella
la Toscana nelle novelle di Renato Fucini
il maggiore rappresentante della poesia realista, negli ultimi
anni dell'Ottocento, sarà Giosuè Carducci
caratteristiche dell’opera verista: - descrizione di una realtà oggettiva
- narrazione dei fatti senza considerazioni
personali dell’autore
- utilizzo di un linguaggio semplice a volte
dialettale
giovanni verga
Nasce a Catania nel 1840 e muore sempre a
Catania nel 1922
Scrittore e maggior esponente del Verismo,
inizialmente scriveva romanzi storici e romantici poi quando si
trasferì a Milano si avvicinò alla corrente letteraria del verismo
e qui scrisse le opere più importanti che descrivevano la vita
nella sua terra, opere drammatiche piene di disavventure e
disgrazie.
Queste le più importanti:
- Nedda - Vita dei campi - Novelle rusticane - I Malavoglia - Mastro don Gesualdo
I protagonisti della sue opere erano uomini o donne umili e
oppressi, con grande forza di volontà ma destinati ad essere
sconfitti dalla vita.
Verga li chiama i Vinti proprio perché sono sopraffatti da un
destino crudele.
Per Verga ogni ideale (amore, felicità, ricchezza) è solo illusione,
nei suoi romanzi fa raccontare ai suoi protagonisti le vicende
della povera gente senza fare mai commenti personali,
il linguaggio è semplice e a volte i termini sono dialettali.
la novella era un genere letterario del medioevo che viene
riscoperto agli inizi del 1900 sotto forma di racconto, entrambi i
testi sono brevi e conclusivi, significa che c’è un inizio, uno svolgimento ed
una fine.
Nel racconto anche se breve, dà molta importanza ai personaggi
con i loro stati d’animo e all’ambiente in cui si svolge la vicenda.
la roba è una novella di Giovanni Verga che fa parte della raccolta
“Novelle rusticane” In questa novella l'umile contadino Mazzarò viene descritto come un uomo
basso e con una grossa pancia: era " ricco come un maiale" (metafora che
rappresenta anche la sua avidità in questo caso di ricchezza) ed aveva la testa
simile a un brillante (per rappresentare l'intelligenza)
Egli finisce, piano piano, per appropriarsi di tutti i terreni che prima
appartenevano a un potente barone, il quale si vede costretto a vendere
prima i suoi possedimenti e poi anche il suo castello .
Verga descrive nella novella il concetto del duro lavoro, necessario se si
vuole raggiungere un qualsiasi obiettivo, poiché il Fato e la Provvidenza
sono invece destinati a travolgere l'uomo.
L'ossessione di Mazzarò è di espandere sempre di più i suoi possedimenti,
avere sempre più "roba", alla quale è molto legato.
Il suo attaccamento ai beni materiali è così forte che quando verrà il
momento di separarsene poiché si trova sul punto di morte, cammina nei
suoi possedimenti, uccidendo il bestiame al grido di
"Roba mia, vieni con me!"
riassunto Nell’ attraversare le vaste campagne tra Lentini e Francofonte, nella
piana di Catania, il viandante che avesse chiesto di chi era tutta quella
estensione di terra, il bestiame, le proprietà e quanto altro si poteva
vedere si sarebbe sentito rispondere che era tutta roba di Mazzarò.
A quel viandante poteva così sembrare che fosse di Mazzarò anche il sole
che illuminava quelle distese e che anzi quelle proprietà fossero
addirittura Mazzarò disteso sulla sua terra e che vi camminasse sulla sua
pancia.
In realtà Mazzarò era un’ ometto che di grande aveva solo la pancia
benché non spendesse per mangiare che poco o nulla. Tutto quello che
aveva era stato guadagnato con l’intelligenza e la sua abilità che lo
avevano fatto passare dallo stato di povero bracciante a grande
proprietario terriero
Aveva cioè dedicato tutta la sua vita ad accumulare la roba.
Chi lo aveva preso a calci, ora gli dava dell’ “eccellenza”, e lui poteva
permettersi di pensare al barone, suo vecchio datore di lavoro come ad un
“minchione” (persona sciocca) caduto in disgrazia.
Cosi poco a poco Mazzarò aveva acquisito tutte le proprietà del barone
lasciandogli solo lo stemma di famiglia, di cui lui non sapeva proprio che
farsene; così come non aveva mai denaro, poichè quando accumulava una
certa somma acquistava ancora terra e proprietà.
Diceva sempre che voleva avere più terra del Re che contrariamente a lui
non poteva dire che era sua, ne poteva venderla.
Ma, giunto al termine della sua vita, non sapendo rassegnarsi di dover
lasciare la sua roba, come un pazzo uccise le sue bestie e gridò alla sua
terra che doveva andarsene con lui.