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RITA PAVONE NEOLIBERISMO Le continuità e discontinuità con il modello classico di BENEDETTO VECCHI ●●●Il neoliberismo non è stata una pavloviana reazione padronale alla crisi del capitalismo che nella seconda metà degli anni Settanta raggiunse il suo acme. Le formule messe in atto da Margaret Thatcher e da lì a poco da Ronald Reagan volevano chiudere, ripristinando il potere perduto del capitale, la parentesi dei tanto declamati «trenta anni» di sviluppo economico garantito da un «interventismo» dello Stato, che non solo regolava il conflitto tra capitale e lavoro, ma era un soggetto economico a tutto tondo. Formule, quelle thatcheriana e reaganiana, che conquistarono però un robusto consenso sociale. Il pensiero neoliberista, che occupò allora il centro della scena pubblica senza abbandonarla nei decenni successivi, era tuttavia stato elaborato proprio in quei gloriosi trent’anni dentro alcune università americane e numerosi think thank lautamente finanziati da capitalisti sempre più insofferenti verso quella «rivoluzione mondiale» (il Sessantotto) aveva sottoposto a critica le geografie mondiale e le feroci gerarchie sociali del capitalismo. Il neoliberismo prende così forma e si sviluppa in quel centro di gravità permanente del sistema-mondo capitalista - l’asse atlantico tra Europa e Stati Uniti - scosso da una radicale politicizzazione dell’insieme dei rapporti sociali che mette in discussione le fondamenta del cosiddetto compromesso fordista. E fornisce il lessico per un modello di società che ha le caratteristiche di una controrivoluzione tesa a chiudere le porte a qualsiasi rinnovato progetto di superamento del capitalismo. È di questo modello di società che il volume La nuova ragione del mondo di Pierre Dardot e Christian Laval tratta. Un saggio impegnato e impegnativo, perché definisce una realistica e convincente genealogia del neoliberismo, definendone le continuità e le discontinuità con il pensiero liberale «classico». SEGUE A PAGINA 5 MARCEL E PAWEL LOZINSKI CECILIA MANGINI ANGELA BARBANENTE MONZA SILICON VALLEY LE ALTRE LINGUE DEL POP PROGETTO TINALS SAGGI DI BENEDETTO VECCHI, MARCO BASCETTA, ANDREA FUMAGALLI, GISO AMENDOLA, ADELINO ZANINI SU «LA NUOVA RAGIONE DEL MONDO» DI PIERRE DARDOT E CHRISTIAN LAVAL, LA PRIGIONE ECONOMICA CONTEMPORANEA IL FURTO LIBERALE

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RITA PAVONE

NEOLIBERISMO

Le continuitàe discontinuitàcon il modelloclassicodi BENEDETTO VECCHI

●●●Il neoliberismo non è statauna pavloviana reazionepadronale alla crisi delcapitalismo che nella secondametà degli anni Settantaraggiunse il suo acme. Le formulemesse in atto da MargaretThatcher e da lì a poco da RonaldReagan volevano chiudere,ripristinando il potere perduto delcapitale, la parentesi dei tantodeclamati «trenta anni» disviluppo economico garantito daun «interventismo» dello Stato,che non solo regolava il conflittotra capitale e lavoro, ma era unsoggetto economico a tuttotondo. Formule, quellethatcheriana e reaganiana, checonquistarono però un robustoconsenso sociale. Il pensieroneoliberista, che occupò allora ilcentro della scena pubblica senzaabbandonarla nei decennisuccessivi, era tuttavia statoelaborato proprio in quei gloriositrent’anni dentro alcuneuniversità americane e numerosithink thank lautamente finanziatida capitalisti sempre piùinsofferenti verso quella«rivoluzione mondiale» (ilSessantotto) aveva sottoposto acritica le geografie mondiale e leferoci gerarchie sociali delcapitalismo. Il neoliberismoprende così forma e si sviluppa inquel centro di gravità permanentedel sistema-mondo capitalista -l’asse atlantico tra Europa e StatiUniti - scosso da una radicalepoliticizzazione dell’insieme deirapporti sociali che mette indiscussione le fondamenta delcosiddetto compromesso fordista.E fornisce il lessico per unmodello di società che ha lecaratteristiche di unacontrorivoluzione tesa a chiuderele porte a qualsiasi rinnovatoprogetto di superamento delcapitalismo.

È di questo modello di societàche il volume La nuova ragionedel mondo di Pierre Dardot eChristian Laval tratta. Un saggioimpegnato e impegnativo, perchédefinisce una realistica econvincente genealogia delneoliberismo, definendone lecontinuità e le discontinuità con ilpensiero liberale «classico».

SEGUE A PAGINA 5

MARCEL E PAWEL LOZINSKI CECILIA MANGINIANGELA BARBANENTE MONZA SILICON VALLEY

LE ALTRE LINGUE DEL POP PROGETTO TINALS

SAGGI DI BENEDETTO VECCHI, MARCO BASCETTA, ANDREA FUMAGALLI,GISO AMENDOLA, ADELINO ZANINI SU «LA NUOVA RAGIONE DEL MONDO» DI PIERREDARDOT E CHRISTIAN LAVAL, LA PRIGIONE ECONOMICA CONTEMPORANEA

IL FURTO LIBERALE

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(2) ALIAS30 NOVEMBRE 2013

di MARCO BASCETTA

●●●I movimenti che sisvilupparono intorno al 1968erano soliti indicare nel«sistema» (riferendosi anche al«socialismo reale») il nemico daabbattere. Intendendo conquesto una totalità articolata deldominio in grado di controllare,manipolare o inibire ogniaspetto della vita individuale ecollettiva. Il concetto di sistemasi accompagnava solitamente aquello di «integrazione»,ovverosia l’insieme distrumenti, pratiche e istituzioniin grado di assicurare aglisfruttatori la complicità deglisfruttati e in primo luogo diquella classe operaia cheHerbert Marcuse aveva dato perdefinitivamente «integrata»,invitando a volger lo sguardoverso il terzo mondo e gliemarginati. L’espressione«sistema» stava ad indicarecome il «tardocapitalismo» fossediventato molto di più di un«modo di produzione» e degliapparati ideologici e giuridicinecessari a farlo funzionare. Sitrattava di una interacostellazione di elementiantropologici, psicologici,culturali, capace di corromperegli animi, così come dipenetrare e condizionare ognisingolo ingranaggio dellamacchina sociale e ognioscillazione dell’opinionepubblica. I movimenti diprotesta davano così la loroversione aspramente critica diquello che era stato ilcompromesso fordista,puntando essenzialmente su ciòche ne era rimasto fuori.

Un modello di societàAll’epoca, tuttavia, la perfezionedisciplinare e onnicomprensivadel «sistema» era statadecisamente esagerata (comedimostra, del resto, l’alto gradodi conflittualità che loattraversava), poiché è solo conil neoliberismo pienamentedispiegato, alla fine del XX secoloe dopo il crollo dell’Unionesovietica, che essa sembraessersi affermata e imposta comeuna vera e propria Nuova ragionedel mondo, al termine di unalunga, contraddittoria, storia delledottrine e delle politiche liberiste,che Pierre Dardot e ChristianLaval ricostruiscono in unostraordinario lavoro che recaappunto questo titolo

(DeriveApprodi, pp. 497, euro 27).Ma cosa è una «ragione del

mondo»? Appunto, nonsemplicemente un «modo diproduzione» ( se pure diquest’ultimo Marx non avesseaffatto fornito una idea poveraed economicistica come alcunigli imputano). Né un pensieroegemonico, o un organizzazionetanto efficiente da apparireindiscutibile. Nemmeno unainedita forma di governo sugliuomini o una nuova fedecapace di catalizzare aspirazionie speranze. O forse tutte questecose messe insieme. Masoprattutto, per dirla un po’ruvidamente, è l’affermarsi dellaragione dei vincitori in quantoragione dei vincitori, è ilrapporto di forze scaturitodall’esito di un lungo e asproscontro di classe, esito, per dipiù, accettato e interiorizzatodagli sconfitti.

In nome della concorrenzaDifferentemente dalla fine deglianni ’60, «sistema» non siaccompagna però più a«integrazione», (concetto che,nel volerlo rimuovere,ammetteva comunqueimplicitamente l’esistenza di unconflitto di classe) , ma a unanuova e del tutto antiteticaparola chiave: concorrenza (cheil conflitto di classe pretendeinvece di avere sostituito). Nel«sistema della concorrenza»confluiscono felicemente le duenecessità che, fin dalle origini,scontando divergenze econtroversie politiche einterpretative, avevanoattraversato la storia teorica epratica del liberalismo: lanecessità di stabilire le regoleper governare la società e quelladi garantire l’azione libera espontanea degli agentieconomici, la necessità dellostato e quella del mercato. Laconcorrenza, la legge supremadel neoliberismo, del resto, nonsi limita a una pura e sempliceregola di mercato, pretende diincarnare principi etici (lameritocrazia) e criteri di buongoverno (la democrazialiberale). È un modello direlazione tra soggetti che nelsuo riferirsi all’agone tendecostantemente allapersonalizzazione, a enfatizzarela forza e la determinazionedell’io imprenditoriale ( che sitratti di un singolo o di unaholding) rispetto ai fattori«sistemici» e statuali che necondizionano l’azione, chequell’io hanno letteralmentefabbricato. Ma la concorrenza,va da sé, non è a somma zero. Aogni vincente corrispondesempre uno o più perdenti. Almerito corrisponde la colpa, alsuccesso il fallimento. Alle«vittime di se stessi», dellapropria incapacità di calcolo odella propria inerzia, il regimeconcorrenziale non può offrire,salvo contraddire la sua ratio,alcun principio di«integrazione», ma solo lapossibilità (astratta) di provarciun’altra volta. È una economia euna politica dell’«occasione»che si sostituisce a ogniprincipio di integrazione o di

solidarietà. Questa sostituzionenon può che porre dei limitiall’esercizio della democrazia,poiché l’applicazione estensivadi procedure decisionalidemocratiche darebbe voceanche alla vasta schiera deiperdenti, i quali nonmancherebbero di mettere inquestione le regole dellacompetizione che li ha vistisconfitti. Del resto i teoricineoliberisti più coerenti nonhanno mai nascosto che la

libertà di competere sulmercato prevedeva unalimitazione delle libertàdemocratiche. Prevedeva, dettoaltrimenti, la presenza di unostato e di una politica che peressere «minimi» su un versante,quello della concorrenza e della«libera impresa», avrebberodovuto essere «massimi»sull’altro: quello dell’azione dicontrasto nei confronti deifattori politici, sociali, culturaliche rifiutano l’inclusione di

ogni sfera dell’esistenza e dellavita associata nell’arena dellacompetizione mercantile.

Al termine della lororicostruzione storica, Dardot eLaval concludono che, con ilneoliberismo della concorrenzauniversale, è la forma dicapitalismo più totalitariapervasiva e impermeabile checelebra il suo trionfo. Questotrionfo consiste essenzialmentenell’aver conseguito duerisultati: nell’avere impressotanto all’individuo quanto allostato la logica, la forma e lafinalità dell’impresa.L’individuo, costretto a farsi«imprenditore di se stesso» einvestitore del proprio «capitaleumano» in seguito allosmantellamento, squisitamentepolitico, di ogni protezionesociale, genera«autonomamente» la propriadisciplina, sorveglia che nulla sidiscosti dal calcolocosti/benefici e dalla coazioneal successo. Gli stati, dismessele vesti di garanti del quadrogenerale della concorrenza, si

precipitano a loro voltanell’agone. Ingaggiando unaaspra competizione pergarantire, a scapito dei dirittidei cittadini, delle condizioni dilavoro e della redistribuzionedei redditi, le miglioricondizioni di agibilità e diprofitto agli investimenti e lamassima sicurezza alla renditafinanziaria tramitel’inasprimento dell’imposizionefiscale (che, in questo caso, ilneoliberismo si guarda bene daldemonizzare). La competizionetra gli stati europei, resa ancorapiù brutale dallo stretto ringdella moneta unica, finisce colfar giustizia di ogni finzionecooperativa e di ogni illusionedi equilibrio. Illudersi e illudereche le sovranità nazionalipossano proteggere i propricittadini dalla rapacità delcapitalismo globale, comepretendono le diverse variantidel populismo, vuol direconsegnarsi ancor più indifesial comando senza scrupoli diélites nazionali in competizionefra loro per assicurarsi il

In grande, George Segal «Depression Bread Line», 1991. Installazione presso il FDR Memorial, Washington nel 1997.A destra « Walk, Don't Walk», 1976, Whitney Museum of American Art

NUOVA RAGIONE DEL MONDO

LA MESSA AL LAVORODEL PENSIERO CRITICO

NEOLIBERI

Esercizi di esododal grande sistema

«La nuova ragionedel mondo»di Pierre Dardote Christian Lavaldefinisce la genesima non le possibilivie di fugada un progettodi società

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sostegno delle oligarchiesovranazionali.

Oltre la contingenzaTuttavia, l’argomentazione diDardot e Laval nel suoapprezzabile antiriduzionismo,nel tentativo di restituire larazionalità totalizzante delsistema in tutte le suearticolazioni, la quale non sipotrebbe ricondurre allasemplice necessità diaccumulazione del capitale,lascia che il regimeperfettamente oppressivo dellaconcorrenza universale si libriper così dire nel vuoto.Certamente, come sostengono idue autori, è l’esito di unastoria, di una strategia didominio forgiata non già da undisegno diabolico, ma nel corpoa corpo con la contingenza.Nondimeno, senza la naturanecessariamente espansiva delcapitale, senza la potenza di unvalore che esiste solo pervalorizzarsi, senzal’ineluttabilità di un processo diaccumulazione che reagisce con

violenza ad ogni blocco eostacolo, né la legge dellaconcorrenza, né la logicad’impresa, né la suainteriorizzazione potrebberospiegarsi. E neanche la violenzanuda e cruda che regolarmentedeborda dal quadro dellarazionalità governamentale. Ilche non significa affattosostenere il carattere puramenteeconomico del liberismo a cuimagari potrebbe contrapporsiun più umano liberalismopolitico, come qualche animabella continua a sostenere.

Man mano che La nuovaragione del mondo si avvia allasua conclusione cresce lasensazione di trovarsi di fronte aun ordine senza residui e deltutto padrone dellecontraddizioni che loattraversano, laddove governodi sé e governo degli altri sifondano e si fondono l’unonell’altro in un sistema perfettodi oppressione e di controllosenza scampo.

di ANDREA FUMAGALLI

●●●È già di per se stessoindicativo che il ponderosovolume di Pierre Dardot eChristian Laval si intitoli La nuovaragione del mondo. Critica dellarazionalità neoliberista. Il porrel’accento sulla «ragione» e sulla«razionalità» ci mette subitosull’avviso che non stiamoparlando di «ideologia», ma diqualcosa che va molto più in là:stiamo parlando di antropologia epsicologia sociale.

Nella scienza economica,l’antropologia gioca un ruolo assaiimportante sino a definire unavera e propria antropologiaeconomica, quella dell’homooeconomicus. Tale concezione sibasa sul postulato secondo cui lasocietà umana è atomistica, cioècomposta da un insieme diindividui singoli che operano sullabase di due ipotesi che nedeterminano il comportamento(la psicologia, o meglio, lasoggettività): una razionalitàstrumentale che consente, pur inun contesto di informazioneimperfetta e incompleta, dipotersempre massimizzare unafunzione d’utilità individuale e lavalidità del principio di mutuaindifferenza, secondo cui non siconsiderano gli effetti che leproprie decisioni economichepossono avere sugli altri.

Una falsa libertà di sceltaIl perseguimento del massimoutile definisce così i confini dellalibertà umana. Uncomportamento che, partendo dalpresupposto (non dimostrato) chetutti gli esseri umani godono dipari opportunità (se ciò nonavviene, ne sono responsabili leistituzioni collettive) , nonpersegue la libertà effettiva (quellaè già assodata) ma si realizza nella«libertà di scelta» tra finialternativi.

È in questo passaggio - dallalibertà di agire (laissez faire) allalibertà di scelta –che si attua lamutazione dal liberalismo classicoal neoliberalismo contemporaneo.Non è un caso che Dardot e Laval,riguardo alla prima fase, parlino di«uomo imprenditoriale» per poisoffermarsi, con riferimento ainostri giorni, al «governoimprenditoriale». Finché la teorialiberista metteva al centro il temadella libertà economicadell’individuo, oggetto dell’analisiteorica era il rapporto traindividuo e legge, tra individuo eStato. La libertà del primo siscontrava così con i vincolisovra-individuali posti dalsecondo. Al riguardo il dibattitonegli anni ’30 tra von Hayeke, vonMises, da un lato, e LangeeLerner, dall’altro, sulla migliorefficienza allocativa del mercato odella pianificazione, èparadigmatico.

È in questo passaggio che ilpensiero neoliberista si ridefiniscee diventa egemone a partire dallacrisi del keynesismo negli anni ’70grazie ai contributi dei principalithink-thank (che hanno la lororadice nel Convegno Lippmann

del 1938: London School ofEconomics e Scuola di Chicagoper l’analisi teorica, Trilateral eForum di Davos per gli aspetti digovernance e policy).

Tale successo si fonda sulla«fabbrica del soggettoneoliberista». Non più sempliceindividuo con una suaantropologia naturale (homooeconomicus) ma «soggettoimprenditoriale» esito di unaevoluzione antropologica cheporta al «divenir impresadell’uomo».

Il rapporto tra individuo e leggee tra individuo e Stato vienesuperato nel nome del mercatocome organizzazionesovra-individuale al cui interno idesiderata individuali possonorealizzarsi a patto di accettare unanuova razionalità soggettivaauto-imprenditoriale.

È per questo che sia lo Stato,con tutte le sue varie articolazioni,che la «Legge» non definisconopiù i confini del laissez faire, mane diventano funzionali esubalterni oltre che amplificatoriculturali. Il diritto del lavoro tendea scomparire nell’alveo di undiritto privato che riconoscesempre più il primatodell’individualismosull’individualità. La politicaeconomica, sia monetaria chefiscale, viene ridotta ai minimitermini e diventa ancillare aidiktat di mercato. La BancaCentrale, ad esempio, tanto piùdiventa autonoma dalla possibilità

di svolgere scelte discrezionali(quindi di governance politicasociale) tanto più è subordinataalle dinamiche delle gerarchie dimercato. Tale governanceneoliberista, che si attua a livelloglobale, ha come strumento diricatto e di consenso il processo difinanziarizzazione. Unostrumento che per essere efficacerichiede che gli ambiti decisionali«liberi e democratici» siano il piùpossibile controllati e contenuti.Occorre quindi uno «Statominimo» a livello economico incopresenza con uno «Statomassimo» a livellopolitico-decisionale (soprattuttoin tempi di crisi).La razionalità delneoliberalismo è tutta qui: unagovernance delle soggettivitàimprenditoriali che sono dentro dinoinon dettata da dispositiviesterni o giuridici ma alimentatadagli stessi soggetti. L’illusione dipoter scegliere si tramuta cosìnella supina accettazione dellapropria miserevole condizione.

Strutturalmente instabileLa crisi finanziaria mostral’irrazionalità della presuntarazionalità neoliberista. Non soloperché la governance finanziariarisulta strutturalmente instabile operché l’adozione pervicace e«stupida» delle politicheneoliberiste (privatizzazioni,austerity) peggiora ulteriormentela già critica situazione. Masoprattutto perché il soggettoimprenditoriale si scopre nudo eimpotente, rubato della suaindividualità.

Vi sarebbero oggi tutte lecondizioni per sviluppare una«resistenza alla governamentalitàneoliberista», a patto però chenon si cada nell’«illusione che ilsoggetto alternativo possa essere,in un modo o nell’altro, ’già qui’».Tale soggetto, ieri classe oggidivenuto disperso nella precarietàdel lavoro vivo, a torto o a ragioneconsiderato dal pensiero marxistae alternativo la leva pertrasformare il mondo, deve fare iconti con la soggettivitàneoliberista. Ed è in questadimensione che occorrecontinuare quel «processo disoggettivazione» che pone ilconflitto al suo giusto livello.

DARDOT-LAVAL ■ L’economia della natura umana

Il punto di rotturadi una visionedel mondo doveil soggetto è nudo

SEGUE A PAGINA 5

In copertina, GeorgeSegal, «Chance Meeting»,1989, bronzo. Collezioneprivata

GERENZA

Il manifestodirettoreresponsabile:Norma Rangeri

a cura diSilvana Silvestri(ultravista)Francesco Adinolfi(ultrasuoni)

con Roberto Peciola

redazione:via A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:ULTRAVISTAe ULTRASUONIfax 0668719573tel. 0668719557e [email protected]://www.ilmanifesto.it

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ISMO

Una straordinaria cassetta degli attrezzi per smontarei dispositivi istituzionali del neoliberismo. Dove la retoricadello stato minimo si accompagna alla costruzionedi meccanismi antidemocrativi di decisione politica

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(4) ALIAS30 NOVEMBRE 2013

di GISO AMENDOLA

●●●«L’economia è il metodo.L’obiettivo è cambiare le anime»:così Margareth Thatcher, inun’intervista del 1986, sintetizzavala trasformazione dell’economiain una disciplina personale, in unaserie di tecniche per addestrare eprodurre soggetti conformi allaregola fondamentale imposta dalneoliberalismo, la concorrenza.Considerare il neoliberalismocome una specifica razionalità,seguire le particolari modalitàattraverso il quale ha dato formaai comportamenti, alle condottedi vita, è l’obiettivo dichiarato diLa nuova ragione del mondo.Critica della razionalità neoliberistadi Pierre Dardot e Christian Laval.Il neoliberalismo non vaconsiderato esclusivamente comeuna ideologia, e neppure comeuna politica economica, ma comeuna forma specifica digovernamentalità: un modello digoverno delle condotte, ispiratoappunto alla norma dellaconcorrenza, e, insieme, unamodalità di soggettivazione, per laquale il soggetto è chiamato adinteriorizzare la forma stessadell’impresa. Approfondendo inmodo notevole il campo diindagine che Michel Foucaultaveva aperto soprattutto con ilcorso sulla Nascita dellabiopolitica, una buona parte dellibro è dedicata appunto a unagenealogia della governamentalitàneoliberale. Dall’impostazionefoucaultiana, emerge qui unprimo chiaro obiettivo polemico:la ricorrente riduzione delneoliberalismo, e della suaspecifica e complessa razionalitàdi governo, a un’idea tropposemplificata di liberismo. Ilneoliberalismo non è una«ritrazione dello Stato»: è ancheproduzione di dispositivi digoverno, di specifiche forme divita, di soggettività.

Non solo laissez-faireLo Stato non è tolto da mezzo, eneppure semplicementetrasformato in strumento degliinteressi privati: uno dei principaliproblemi delle sinistre, di fronte alneoliberalismo, insistono Dardote Laval, è l’aver scambiato ilneoliberalismo per un ritorno inforza dell’ideologia dellalaissez-faire, restando cosìcompletamente sguarnite difronte al dispiegarsi molteplice eproduttivo dei dispositivi di cui sinutre la razionalità neoliberale.Non è solo però il Foucaultgovernamentale ad animarel’analisi di Laval e Dardot: quandola genealogia si fa esplicita criticadel presente, i due autoriconiugano moltoopportunamente l’analisi dellagovernamentalità con le analisidelle tecniche del sé, cui Foucaultdedicherà le sue ultime ricerche. Illibro, da genealogia della

governamentalità neoliberale, sitrasforma così in una precisacartografia delle modalità dicostruzione del neo-soggetto, deltipo di soggettività richiesta dallarazionalità neoliberale. È unviaggio tra le più sofisticatemodalità del biopoterefoucualtiano: il neosoggetto siforgia attraversol’interiorizzazione di un’etica dellaprestazione che lo spinge a esigeresempre più da se stesso, ben oltreogni antico ideale dellapadronanza di sé. Laval e Dardotdefiniscono questa identificazionedel soggetto con una maiconclusa «impresa di sé», comeuna ultra-soggettivazione:autorappresentarsi come capitaleumano significa spostare semprein avanti la barra della prestazioneche ci si autoimpone e delgodimento che si ricerca, in unsuperamento indefinito di sestessi (vera e propria incarnazioneneoliberale degli esercizi spirituali:Paolo Napoli chiude la sua bellaprefazione a quest’edizioneitaliana richiamando questasorprendente attualità di Ignazio

di Loyola).Questa ultrasoggettivazione

richiama evidentemente unalogica non esclusiva dellarazionalità neoliberale, ma sottesaall’intera storiadell’accumulazione del capitale: equi, incontrandosi soggettivazione«per eccesso di sé» e plusvalore, iltaglio foucaultiano non può cheincrociare il discorso marxista.

Il difficile incontroNon è un incontro dei più facili: illibro è anche un esplicitotentativo di far funzionare lagovernamentalità foucaultiana el’analisi dei processi disoggettivazione come correttivodell’analisi marxista, della qualeDardot e Laval sottolineano a piùriprese quelli che considerano ilimiti più evidenti. La pretesa dianalizzare tutto l’evolversi delcapitalismo alla luce della logicadell’accumulazione rischia diridurre forzosamente ad unità fasidifferenti e dispositivi cheemergono invece da incontri escontri strategici, ai quali non puòessere prestata dall’esterno una

razionalità compatta, unitaria elineare. La tentazione «marxista»di ricondurre l’intera analisi allaretrostante «logica del capitale» simuove su un piano sintetico,verso una logica unitaria delfunzionamento del sistemapiuttosto che verso una«foucaultiana» logica strategicadell’emersione dei singolidispositivi. Eppure, i due approccisi toccano proprio quando sitratta di leggere il tema dellasoggettivazione: l’approcciofoucaultiano, che mostra come ilsoggetto si fa impresa, in fondonon fa che descrivere come ilcomando del capitale oggi ècostretto a farsi produzione dellastessa soggettività, a calarsi neiritmi di vita, a distendersinell’interiorizzazione delle normedella concorrenza e dellaprestazione.

Al di là della critica opportunaalle rigidità dei marxismitradizionali nel comprendere larazionalità neoliberale, alla lorodifficoltà a fare pienamente i conticon la «governamentalizzazione»dello Stato, un incontro tra Marx e

Foucault è reso ora possibile eproficuo proprio dal trasformarsidella produzione in produzione disoggettività, dall’allargarsicontestuale della produzione dallafabbrica a tutto il sociale: inultima analisi, dall’impossibilità didistinguere estrazione di valore edispositivi di biopotere quando lamarxiana sussunzione reale si èoramai estesa direttamente alleforme di vita e all’interacooperazione sociale, ben oltre iritmi «misurati» dellosfruttamento tradizionale. Sequesto è vero, allora anche ilproblema della rottura dellagovernamentalità, o meglio,dell’elaborazione di unagovernamentalità altra da quellaneoliberale, verso cui muovonoinfine Dardot e Laval, potrebbeessere nuovamente impostato apartire da questa nuova densitàdella cooperazione sociale, delmarxiano lavoro vivo, su cui siestendono i dispositivi dellafoucaultiana razionalitàneoliberale.

Una qualità intensivaNon è possibile immaginare,insistono Laval e Dardot, un«fuori» assoluto rispetto allagovernamentalità neoliberale: leresistenze, se nascono, simuovono all’interno di queidispositivi. Ma, per quanto certonon si dia alcun «esterno»assoluto rispetto alla razionalitàneoliberale, va però aggiunto chequeste resistenze sono oggi forzeche lottano dentro la nuovaqualità intensiva che assume lacooperazione sociale. Laval eDardot, mentre assumono moltoopportunamente come elementoportante della loro analisi glielementi di regolazionegiuridico-istituzionali che ilcapitalismo finanziario mette incampo, riaffermano anche inquesto testo il loro scetticismosulle analisi che valorizzano latrasformazione «cognitiva» di talecapitalismo. Eppure, quasi

oltrepassando le loro stesseperplessità, questo incontro traMarx e Foucault fa cenno proprioalla trasformazione dei rapportitra «lavoro vivo» e «lavoro morto»,e, quindi, alla nuova densitàcognitiva della forza-lavoro. È infondo questa densità, la suaeccedenza rispetto allanormatività governamentale, checostringe continuamente ilneoliberalismo a mettere incampo tutte le sue risorse diadattamento, ma è anche quellache potrebbe trasformareeventuali strategie di resistenzainterne alla governamentalitàneoliberale nella sua interruzionee nell’elaborazione effettiva diquella «ragione del comune»,della quale anche Dardot e Lavalintravvedono le tracce nelle nuovepratiche generate dallacooperazione sociale.

NUOVA RAGIONE DEL MONDO

Il lento diveniredi una efficacecontrocondotta

LA MESSA AL LAVORODEL PENSIERO CRITICO

PIERRE DARDOTCHRISTIAN LAVAL

Le pratiche dimutua assistenza,di lavorocooperativopossono disegnarele linee di un’altraragione delmondo. La ragionedel comune

Un’analisidel capitalismoche usa la criticamarxianadell’economiapoliticae la produzionedi soggettivitàin Foucault.Aprendo nuovipercorsial pensiero critico

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(5)ALIAS30 NOVEMBRE 2013

di ADELINO ZANINI

●●●Nessuna continuità tra liberalismoclassico e neoliberalismo: Dardot eLaval l’avevano affermato a più ripresenell’edizione francese de La nuovaragione del mondo. Ritengononecessario ribadirlo ora, nell’introdurrel’edizione italiana, aggiungendo uncorollario d’indubbia rilevanza. Nonsolo il neoliberalismo non è morto, maè anche uscito rafforzato dalla crisi, chenel frattempo si è decisamenteincancrenita. E si tratta di unincancrenirsi in cui gli stati hannooperato attivamente, tramite le ben notepolitiche di austerità. Questo perché ilneoliberalismo non è affatto riducibile aun «fanatico atto di fede nella naturalitàdel mercato»; «non è semplicedistruzione regolativa, istituzionale,giuridica, è almeno altrettantoproduzione di un certo tipo di relazionisociali, di forme di vita, di soggettività».Rispetto a ciò, il libro intende porsicome «un’opera di chiarificazionepolitica della logica normativa e globaledel neo–liberalismo». Chiarificazione perla quale risulta più che pertinenteriflettere – come gli autori fanno neiprimi due capitoli – sulle tradizioni dipensiero economico di normaconsiderate essere una sorta di esteticatrascendentale del pensiero liberale.

L’approccio di Dardot e Laval èdichiaratamente foucaultiano, a partiredalla distinzione tra lin–guaggio deidiritti e linguaggio dell’utilità: tra dirittinaturali e interessi. Il liberalismoclassico risulterebbe essere perciòcaratterizzato dal coesistere di unapproccio giuridico e di un radicalismoutilitaristico ante litteram. Una talebidimensionalità non esclude in effettila «connessione incessante» tra i due: ilriproporsi della differenza tra unlinguaggio dei diritti e un linguaggiodell’utilità di cui parla lo stesso Foucault.Ed è da rinvenirsi qui la ragione per laquale l’economia politica non esaurisceil campo discorsivo del liberalismoclassico; e tuttavia, il suo porsi come«principio positivo dell’arte digovernare» rimodella interamente, sullabase di un’idea di progresso, il rapportotra individuo, società civile, storia.

Il gioco degli interessiA ragione gli autori osservano che ciòche si definisce liberalismo classico èattraversato sin dalle origini da tensionimolteplici: ad esempio, in Adam Smith,tra principio morale (in cui la simpatianon è una virtù, ma un criterio diapprovazione) e movente economicodell’interesse. Ma essi non mancano dinotare anche come una tale tensionenon sia affatto una contraddizione. LaTheory of Moral Sentiments (1759) e laWealth of Nations (1776) «sono duecorni di un vasto sistema morale: hannosenz’altro contenuti diversi maimpiegano un metodo affine». Sia che sitratti dell’immedesimazione simpateticao della circolazione delle ricchezze, illoro fondamento rimane il legamesociale inscritto nel cuore della naturaumana. Ed è per questo stesso legameche la tensione tra socialità e interesse èin Smith interamente positiva epropositiva, quantunque costantementevigilata dalla giustizia: virtù «negativa» ilcui compito è quello di sanzionare (edunque di negare) gli esiti estremi dellepassioni asociali, che non coincidonoaffatto con quelle egoistiche, per le qualiuna virtù, seppur inferiore, ha luogo.

In breve, il limite del potere sovranorisiede nell’intreccio degli interessi equindi nella capacità di ognuno disostenere, con mezzi adeguati, i propri.Si potrebbe ricordare al riguardo qualefosse la critica sferzante mossa da Smith(sulla scia di Hume) alla teoria delcontratto, a cui egli contrapponeva, nona caso, una teoria dell’obbedienzaforgiata interamente su di unaconcezione stadiale dello sviluppo dellesocietà umane. Il concetto di societàcivile – interamente ripensato daFoucault – svolge qui un ruolo chiavenell’intendere il progresso come unordine al cui interno «il gioco degliinteressi è posto come principio diperfezionamento delle società».

Il punto è – di nuovo Foucault – chenon è più pensabile una soggezionenecessaria della società civile a quellapolitica. Non perché si dia separatezza,bensì in quanto è cambiato il posto delsovrano, che in Smith (ma anche inSteuart) non è affatto inattivo. Sel’economia politica è «scienza dellegislatore», quest’ultimo deveprovvedere non solo alla difesa e allagiustizia, ma anche agli ordinamenti dipolizia e, dunque, ai requisiti

indispensabili di governamentalità: sitratti di istruzione elementare o dipubblica salubrità.

La scienza del legislatoreIl paradigma smithiano – scozzese,meglio – non esaurisce certol’articolazione del «discorso» auroraledell’economia politica. Dardot e Lavalrichiamano perciò con molta chiarezzaquali siano le diversità che distinguonoil primo dalla scuola fisiocratica, perconcludere affermando che entrambi«sono comunque animati daun’intenzione politica». La «scienzanuova» di Quesnay e la «scienza dellegislatore» di Smith evocherebberoperò non solo la differenza che esistetra «sovrano» e «legislatore», ma ancheil ruolo demandato alla conoscenza(dell’«ordine naturale» o del «corsonaturale delle cose») nello stabilirsi ditale differenza. Va qui sottolineato,certamente, come la conoscenza siarelativa ai modi di esercizio del governo,nonché all’organizzarsi del «discorso».Quanto a Smith, ad esempio, gli autoriosservano come «la scienza dellegislatore trov[I] il proprio fondamentonella scienza dell’economia politica, cuideve la comprensione del "corsonaturale delle cose"».

Dardot e Laval, si è sopra detto, noncercano di individuare, coi più, unasemplice continuità tra liberalismo,liberismo e neoliberalismo, bensì disottolineare la novità peculiare diquest’ultimo, in particolare per quantoconcerne i limiti del governo e icaratteri del mercato – ove la noncontinuità consiste nell’attribuire alneoliberalismo una specifica razionalitàfondata sul dispiegarsi della logica delmercato come logica normativa. Cisarebbe però da chiedersi quali siano iconfini a ritroso del liberalismo; perché,accademia a parte, si potrebbe obiettareche c’è un vizio d’originestoriograficamente importante, seppurnobilissimo, nell’interpretazione di unoSmith «liberale».

Come sempre accade in questi casi,spesso la continuità offusca itermini della discontinuità eviceversa. Ne esce comunque unaffresco degli ultimi quarant’annidi storia del capitale tra i piùsignificativi. È cioè un saggio checostringe a ripensare con radicalitàproprio la politica dellatrasformazione, prendendocongedo da ogni ipotesi di «riformadall’interno» del capitalismoglobale. La costellazione teorica deidue autori è subito dichiarata. Dauna parte c’è Marx e la sua analisidel capitalismo in quanto rapportosociale di produzione; dall’altra c’èil Michel Foucault dei seminarisulla nascita della biopolitica edell’ermeneutica del soggetto. Ilneoliberismo è dunqueinterpretato come il tentativo disviluppare da parte del capitale diuna vera e propria teoria generaledella società. Dardot e Lavalsostengono che dall’Europa e dagliStati Uniti è una ideologia che si èdiffusa in tutto il mondo, attraversoun processo di continuoadattamento, fino al paradosso chenon sono pochi gli analisti chedefiniscono la Cina come un paeseneoliberista. La nuova ragione delmondo non prefigura cioè unpensiero unico, bensì è unaweltanschauung che si nutre peraccumulo di differenze: spaziali, disistema politico, di ruolo delloStato. Già questo elementorendono il volume di Dardot eLaval un buon viatico per unastoria critica del neoliberismo,allorquando questo modello disocietà è entrato in una crisi suscala planetaria. La radicalità dellasua crisi non coincide, tuttavia, conl’eclissi di quel modello di società.Paradossalmente, il neoliberismoprospera con la crisi, al punto chela finanziarizzazione dell’economia(e la conseguentefinanziarizzazione dei diritti sociali)ha subito, dal 2008,un’accelerazione. Inoltre, comedimostra un prezioso saggio diSandro mezzadra sulle nuovegeografie del capitale(www.euronomade.info) ledifferenze tra realtà nazionalisvolgono un ruolo distabilizzazione del sistema.

L’uso disincantato che in questolibro di Dardot e Laval fanno diMarx e Foucault è propedeutico auna lettura che non sempre riescea intravedere i punti di frizione, dicontraddizione, di conflitto dentroe contro il neoliberismo. Possiamoper questo inscrivere il saggio diDardot e Laval in un filoneimportante di analisi delcapitalismo contemporaneo.Significativo, ad esempio, è l’analisidella figura dell’individuoproprietario che propone. Daquesto punto di vista, èun’«astrazione reale», avrebbedetto Marx, che spiega tanto lepolitiche economiche didismissione del welfare state,

quanto la riduzione della natura umana a un capitaleumano che tende a valorizzarsi nelle relazioni sociali in cuiè immerso. Uomini e donne diventano così capitaleculturale quando entrano nella fabbrica della formazione,stipulando debiti con le università per accedere a unsapere, fattore indispensabile per entrare nel mercato dellavoro, dove l’individuo proprietario indossa le vestidell’imprenditore di se stesso». Anche gli affetti devonovedere all’opera un singolo dotato di un certo capitalerelazionale, che deve essere regolato da un lex mercatoriadove i singoli devono trarre il massimo vantaggio. Sonotutti elementi che le scienze sociali hannoabbondantemente analizzato nel corso degli anni. Merito distudiosi come Dardot e Laval di averne svelato la funzionaregolatrice, dove lo Stato non scompare, ma assumefunzioni e un ruolo «pastorale», alimentando una crescitadel sistema giuridico (ogni aspetto della vita sociale deveessere regolata) e una riduzione della politica a praticaamministrativa.

Se un limite il volume di Dardot e Laval manifesta è lasottovalutazione di come la figura dell’individuoproprietario ha svolto un ruolo performativo nelrapporto tra capitale e lavoro vivo. Da questo punti divista, la precarietà – esistenziale e nel rapporto di lavoro– diviene la condizione indispensabile affinché ilneoliberismo posso divenire la «ragione del mondo». Inaltri termini, l’individuo proprietario è per naturaprecario. Garantendo così l'esercizio del potere da partedel capitale sulla società.

Al quale gli autoricontrappongono un genericoprocesso di soggettivazionediverso e antitetico a quelloneoliberista che comporti ilrifiuto della logica d’impresa edella concorrenza qualemodalità di «condotta» verso disé e verso gli altri, rifacendosi alconcetto foucaultiano di«contro-condotta», intesa comeresistenza costruttiva alleprescrizioni del potere. Se è purvero, come sostengono Dardote Laval, che la crisi finanziarianon ha affatto «cantato ilrequiem del capitalismoneoliberista» e che non esisteun soggetto bello e pronto ingrado di seppellirlo, è anchevero che «contro-condotte» e«invenzioni collettive di nuoveforme di esistenza»continuerebbero a poggiare alungo sul vuoto delle buoneintenzioni se la crisi non avesseportato al fallimento folteschiere di «imprenditori di séstessi» e se i listini del «capitaleumano» non avessero subito unvertiginoso crollo. A questodato di fatto, che non può averlasciato indennel’interiorizzazione della rationeoliberista, si aggiunge quellacaratteristica della forza lavorocontemporanea che si è vistarestituire (in quanto «impresa»)gli strumenti del proprio lavoroallo scopo di esercitarespontaneamente losfruttamento di sé, vedendosiprecludere, al tempo stesso, lapossibilità di affidare a unaqualche rappresentanza politicala propria liberazione. Ed è inquesti due fenomeni, nella lororuvida materialità, che la forzadi una nuova autonomiacomincia concretamente arivelarsi.

Il volume dei due studiosi francesi può essere lettoanche come uno straordinario affresco delle teorieneoliberiste. Con il limite però di offrireuna interpretazione acritica del pensiero di Adam Smith

VECCHI DA PAGINA 1

La maledizioneterrenadell’individuoproprietario

GENEALOGIE ■ Oltre il pensiero economico liberale

Prove tecnichedi una scienzadel legislatore

BASCETTA DA PAGINA 3

Il defaultdel capitale umanoe dell’imprenditoredi se stesso

In grande, GeorgeSegal «CircusAcrobats», 1988,gesso, filo metallico ecorda. Lincoln SunCenter, OrlandoA destra, «TheCommuters», 1980,installazione al PortAuthority BusTerminal di New York