appunti operativi per la disabilita’ visiva
Post on 03-Oct-2021
4 Views
Preview:
TRANSCRIPT
F ino a pochi decenni fa il danno al sistema visivo veniva considerato irreversibile senza alcuna speranza di recu-
pero.
Solo recentemente la scienza si è interroga-
ta per capire quanto vi sia di innato e quanto
di acquisito nel funzio-namento del sistema visivo.
Negli anni sessanta, grazie a Natalie Barra-
ga e agli studi neurofi-siologici della vista, si è compreso che un si-
stema visivo, seppur gravemente danneg-
giato, merita di essere stimolato, anche nei casi in cui non può di-
ventare la modalità principale di apprendi-
mento senza il sup-porto del tatto e dell’udito.
Dopo queste scoperte il soggetto ipovedente ha iniziato ad ac-quisire una propria identità e caratteristiche specifiche che lo
differenziano dal soggetto cieco assoluto (vedi la dispensa “Primi passi per l’integrazione scolastica dell’alunno con deficit visivo”).
QUADERNI DI LAVORO
Chi è il soggetto ipove-
dente
2
I disordini visivi e le
relative distinzioni
4
L’intervento educativo
e i modelli comporta-
mentali
7
I prerequisiti per l’ap-
prendimento
11
Il progetto educativo e
il ruolo dell’educatore
14
Centro per
l’integrazione
scolastica e la piena
realizzazione dei non
vedenti
Enti fondatori:
- Provincia di Brescia
- Comune di Brescia
Viale Piave 46
25123 BRESCIA
Tel.: 030360764 - 0303361105
Fax: 0303367223
E-mail: segreteria @centrononvedenti.it
www.centrononvedenti.it
APPUNTI OPERATIVI PER LA DISABILITA’ VISIVA
L’alunno ipovedente a scuola
Caratteristiche e principali obiettivi di intervento
Sommario:
Semicieco, ambliope, disabile visivo, subvedente, videoleso, ipove-
dente sono alcuni dei termini che ricorrono per designare le persone
affette da grave minorazione visiva. Il numero elevato di sinonimi
adottati è sintomatico della confusione che per anni ha imperato cir-
ca lo status di ipovisione.
La significativa diversità dei processi di sviluppo cognitivo tra ipove-
denti e non vedenti, evidenziata da Y. Hatwell (1967, 1986) e suc-
cessivamente confermata da altri ricercatori, impone di fare chia-
rezza nel distinguere l’ipovisione dalla cecità al fine di orientare nel
migliore dei modi gli interventi educativi e riabilitativi.
I gradi di ipovisione sono recepiti nella legislazione italiana che defi-
nisce “privi della vista” i soggetti con residuo pari o inferiore a
1/10. All’interno di tale categoria si distinguono i minorati della vi-
sta con residuo visivo, i ciechi parziali e i ciechi assoluti.
Gli ipovedenti sono coloro che conservano un residuo visivo com-
preso tra 1/10 e 3/10 con la massima correzione possibile.
Di recente si è introdotta anche la considerazione del campo visivo,
variabile di non poca importanza nel determinare impedimenti
all’autonomia di una persona con danno visivo (vedi tabella nella
pagina a lato).
Al di là di una semplice classificazione, cerchiamo ora di compren-
dere meglio – aiutati da un opuscolo predisposto dall’ASL di Firenze
nel 2008 - i principali disordini visivi o meglio quelle significative
alterazioni della funzione visiva che ostacolano il normale sviluppo
del bambino e lo svolgimento delle azioni quotidiane.
E’ possibile ricondurre i disordini visivi a tre grandi categorie:
1) ipovisione,
2) disordini della motricità oculare,
3) disordini visivi di origine centrale.
Spesso la presenza di un disordine riferibile ad una categoria non
esclude la presenza di altre disabilità.
Pagina 2
QUADERNI DI LAVORO
Gli ipovedenti
sono coloro
che
conservano un
residuo visivo
compreso tra
1/10 e 3/10 con
la massima
correzione
possibile.
Chi è il soggetto ipovedente
Con questo termine si intende una riduzione della funzionalità visiva tale da compromettere
significativamente lo svolgimento delle azioni quotidiane. La funzionalità visiva è determina-
ta da numerosi elementi tra cui la capacità di fissare e di inseguire con lo sguardo, di adat-
tare la vista alle differenti intensità luminose, di percepire i colori, i contrasti, la profondità,
ecc.
Nel definire la condizione di ipovisione
intervengono due importanti variabili:
l’acuità e il campo visivo.
L’acuità visiva è la capacità dei nostri
occhi di distinguere il dettaglio. Il pote-
re di risoluzione degli occhi si misura in
decimi. Le persone considerate normo-
vedenti raggiungono, con o senza gli
occhiali, i dieci decimi che rappresenta-
no quindi l’integrità visiva. Gli ipove-
denti sono coloro che hanno una acuità
visiva in entrambi gli occhi non superio-
re a tre decimi, anche con la migliore
correzione ottica (legge 138/2001).
Il campo visivo riguarda invece l’ampiezza dello sguardo, cioè la capacità di percepire una
larga porzione dello spazio che, a capo fermo, è convenzionalmente di 180 gradi. Un indivi-
duo è riconosciuto ipovedente quando possiede un residuo perimetrico binoculare inferiore
al 60% del totale.
L’alunno ipovedente
Pagina 3
Ipovisione
Grado della
minorazione visiva
Visione Centrale Visione Periferica
Assente Residuo > 3/10 Campo visivo > 60%
Ipovisione lieve Residuo < 2/10 > 3/10 Campo visivo 59% - 50%
Ipovisione moderata Residuo < 1/10 > 2/10 Campo visivo 49% - 30%
Ipovisione grave Residuo < 1/20 > 1/10 Campo visivo 29% - 10%
Cecità relativa Residuo < 1/200 > 1/20 Campo visivo 9% - 3%
Cecità assoluta Motus Manus, Ombra/luce, Spento Campo visivo < 3%
La seconda categoria delle difficoltà visive riguarda tutte le situazioni in
cui entrambi gli occhi sono fortemente ostacolati a compiere i principali
movimenti del vedere, cioè, spostare gli occhi sull’oggetto di interesse,
mantenerli fermi e ben allineati, inseguire rapidamente o lentamente in
modo fluido ciò che si sposta nello spazio.
Le cause principali di difficoltà sono
derivate dalla presenza di importanti
strabismi (divergenza o convergenza
di uno o di entrambi i bulbi oculari),
di nistagmo (movimento involontario
dell’occhio, simile a rapide scosse,
che può avere direzione orizzontale,
verticale o rotatoria), di danni che
coinvolgono le strutture muscolari
dell’occhio o i centri nervosi di co-
mando.
Spesso in queste situazioni anche l’acuità e/o il campo visivo non sono
completamente integri pur collocandosi al di sopra delle soglie dell’ipo-
visione.
In questa categoria vengono com-
presi i disturbi dell’elaborazione,
dell’interpretazione e della inte-
grazione delle informazioni visive
che gli occhi raccolgono e tra-
smettono al cervello. Si definisco-
no di origine centrale perché non
riguardano tanto le strutture peri-
feriche dell’apparato visivo, ma le
aree cerebrali deputate all’elabo-
razione complessa dell’imput visi-
vo.
Pagina 4
Nel definire la
condizione di
ipovisione
intervengono due
importanti
variabili: l’acuità
e il campo visivo.
Disordini della
motricità oculare
Disordini visivi di
origine centrale
La causa più frequente dei D.V.O.C. è la sofferenza ipossico–ischemica, cioè la mancanza di
ossigeno o di sangue nei tessuti cerebrali prima o durante la nascita; altre cause possono es-
sere i danni che coinvolgono vaste zone dell’encefalo o l’immaturità e le anomalie nell’archi-
tettura cerebrale dovute alla grave prematurità. A volte lo stato di salute dell’occhio è buono,
ma le informazioni visive che vengono raccolte e portate al cervello non sono elaborate in
modo efficace e il bambino, pur vedendo, ha difficoltà a svolgere compiti visivi complessi co-
me per esempio leggere, riconoscere e denominare le immagini quando ce ne sono molte pre-
senti, analizzare gli elementi spaziali per programmare l’azione. Anche i parametri dell’acuità,
del campo visivo e della motricità oculare non risultano – a volte - completamente integri in
presenza di D.V.O.C.
.
Come possiamo vedere nel riquadro più sotto, le variabili che intervengono nel definire la con-
dizione di ipovisione sono tante e non riducibili a semplici classificazioni patologiche.
Pagina 5
Distinzione tra minorazione visiva, disabilità visiva, handicap visivo.
Minorazione visiva: è il danno sensoriale che la malattia provoca a carico delle diverse componenti della funzione visiva. Disabilità visiva: è data dalle incapacità che il danno genera in tutte quelle attività che implicano un impegno visivo. Handicap visivo: è dato dallo svantaggio sociale che la disabilità provoca, ostacolando la realizzazione delle aspirazioni personali. In Italia, su tutto l’arco della vita, ci sono 150.000 ciechi con visus minore di 1/20 e un milione di ipovedenti.
Distinzione tra visus o acuità visiva e funzionalità visiva.
Il visus viene evidenziato dalla diagnosi oculistica che si avvale di criteri oggettivi di misurazione del danno sensoriale.
La funzionalità visiva è data dal comportamento soggettivo, cioè la capacità del soggetto di utilizzare al meglio il proprio residuo visivo e le strategie per limitare al massimo le conseguenze del danno sul piano delle autonomie.
L’alunno ipovedente
Alcune importanti
distinzioni
Ogni individuo vive la propria specifica condizione di ipovisione e, anche
in presenza di minorazioni visive simili, i problemi funzionali che ne deri-
vano possono variare ampiamente da soggetto a soggetto.
E' importante che chi sta accanto all’ipovedente impari ad osservare i
suoi comportamenti per comprenderne i bisogni, difficilmente deducibili
da una semplice cartella clinica. Solo l’ipovedente infatti può descrivere a
chi gli sta vicino cosa e quando è in grado di vedere e cosa e quando non
è in grado di vedere. Quale tipo di illuminazione, di ausilio o di testo sia
necessario, ad esempio, per essere in grado di leggere. Ma per fare tutto
ciò l'ipovedente deve conoscere ed individuare le proprie esigenze, e ciò
non è sempre possibile in presenza di bambini molto piccoli o di soggetti
pluriminorati. Un soggetto nato con minorazione visiva, quando si trova
con persone normovedenti, non è in grado di sapere quanto queste vedo-
no.
Deve allora chiedere alle
persone con una "normale
funzione visiva" che cosa
vedono, fino a che distanza
vedono e quali colori vedo-
no. Solo così sarà possibile
avere un'idea degli ausili e
dei sussidi didattici da adot-
tare.
Questo è possibile in sog-
getti che hanno maturato
una chiara consapevolezza
della propria minorazione
ed hanno accettato la pro-
pria condizione.
Pagina 6
QUADERNI DI
LAVORO QUADERNI DI LAVORO
L’ipovedente è un soggetto che deve
imparare ad utilizzare in modo ottimale
il proprio residuo visivo accettando la
propria situazione.
L’intervento su un soggetto ipovedente è molto diverso da quello programmato per un alunno
cieco e, per molti aspetti, risulta più complesso. Il cieco è infatti colui che non vede, punto e ba-
sta. Per lui vi è – di solito - un percorso quasi totalmente standardizzato.
L’ipovedente è colui che vede poco e male, non vede sempre allo stesso modo e ciò può dipen-
dere da fattori emotivi, ambientali, di illuminazione. Per l’ipovedente non vi è e non può esservi
nulla di standardizzato.
Obiettivo principale dell’intervento educativo rivolto ad un
bambino ipovedente è sicuramente favorire la funzionalità visi-
va e le potenzialità di sviluppo del soggetto in un’ottica di inte-
grazione; vale a dire ridurre la possibilità di arresti e/o ritardi
di sviluppo attraverso quelle stimolazioni che aiutino il sogget-
to ad acquisire consapevolezza delle proprie capacità visive re-
sidue e delle possibilità di recupero attraverso tutti i canali
sensoriali vicarianti e gli ausili-strumenti più idonei.
Nel caso di un soggetto ipovedente, molti sono i fattori che
possono intervenire ad influenzare le performances visive met-
tendo a dura prova il lavoro di insegnanti, esperti e specialisti.
L’efficacia dell’intervento educativo infatti dipende da molti fattori:
A) dalle caratteristiche personali del bambino.
La limitazione visiva puó giocare un ruolo molto importante a livello di motivazione, di apprendi-
mento e di sviluppo psicomotorio del bambino nei primi anni di vita. La minorazione visiva é un
fattore che inibisce la motivazione, la curiositá, l'interesse verso il mondo esterno e, di conse-
guenza, inibisce il movimento e l'esplorazione nel bambino. Stimolare il bambino a essere con-
sapevole del suo residuo e della sua funzione porta a migliorare anche le sue capacitá motorie e
di conseguenza cognitive.
B) dal grado di accettazione della minorazione.
Fondamentale é il momento della diagnosi, ovvero a quale età
viene evidenziato il problema visivo del soggetto. Nonostante
le tecniche di prevenzione siano notevolmente migliorate, capi-
ta ancora che, soprattutto nel caso di patologie particolari, il
problema visivo sia diagnosticato con ritardo. Quanto più lungo
é il tempo che intercorre tra il sospetto diagnostico e la sua
conferma, tanto più sono destinati a protrarsi meccanismi di
difesa e dinamiche relazionali e comportamentali inadeguate
che rendono alquanto difficile ripristinare condizioni di norma-
litá e nuocciono allo sviluppo del bambino. Si possono mettere
in atto comportamenti di evitamento e mascheramento confusi
spesso con disturbi di attenzione e di iperattività generici.
Pagina 7
L’alunno ipovedente
L’intervento
educativo
Quando la patologia sopraggiunge tardivamente (come nei casi di retinite
pigmentosa, di ipovisione da trauma, di infezioni, ecc.), é il soggetto
stesso che si accorge dei mutamenti a livello visivo e ne informa la fami-
glia che procede agli accertamenti del caso. Tuttavia quando la patologia
è degenerativa aumenta l’incertezza delle prospettive future e l’incognita
del “come e quando”.
A livello educativo-sensoriale il soggetto sarà avvantaggiato grazie al ba-
gaglio mnemonico di informazioni visive accumulate, ma le sue presta-
zioni e la sua autonomia potrebbero essere invalidate seriamente qualora
la minorazione fosse negata o rifiutata.
C) dal contesto di vita
La diagnosi di ipovisione può disorientare ancor più di quella di cecità,
perché é più difficile per i genitori comprenderne il reale significato e
mettersi nei panni di un figlio "quasi cieco".
La difficoltà a comprendere i problemi del figlio ipovedente porta la fami-
glia a mettere continuamente alla prova le sue facoltà, ma con il risultato
di porgli, a volte, richieste superiori alle sue possibilità. Al piccolo ipove-
dente possono derivare esperienze di insuccesso che generano un diffuso
senso di insicurezza destinato a influire sull'organizzazione del suo “Io”.
La scuola e il contesto di vita in cui il soggetto ipovedente é inserito han-
no una notevole influenza sul suo percorso di accettazione e di conse-
guenza sullo sviluppo e il benessere generale del soggetto (così come per
tutti).
Due gli atteggiamenti più frequenti nei confronti del bambino ipovedente:
IPOVEDENTE = CIECO e quindi si ipotizza:
l’inutilità di stimolazioni visive;
atteggiamento pietistico;
iperprotezione;
limitazioni all’autonomia.
IPOVEDENTE = VEDENTE e quindi si richiedono prestazioni spropor-
zionate e aspettative eccessive con le seguenti conseguenze:
insuccessi e frustrazioni;
insicurezza;
vissuto di inadeguatezza;
alterazioni nell'organizzazione del “Se”.
Pagina 8
QUADERNI DI
LAVORO QUADERNI DI LAVORO
La difficoltà a
comprendere i
problemi del
figlio ipovedente
porta la famiglia
a mettere
continuamente
alla prova le sue
facoltà, ma con il
risultato di porgli,
a volte, richieste
superiori alle sue
possibilità.
Tentare di individuare un quadro psicologico e comporta-
mentale "tipico" dell'ipovedente sarebbe una forzatura,
tuttavia, nel caso di una compromissione visiva precoce, é
possibile descrivere un repertorio comportamentale comu-
ne di frequente riscontro nei soggetti ipovedenti.
1) In età prescolare.
Tendenza all'immobilismo ed alla chiusura sociale; stereo-
tipie accentuate (è un bambino che sta spesso seduto in
un angolo a giocare con la luce dondolando la testa a de-
stra e a sinistra); autostimolazione visiva (picchia i pu-
gnetti sugli occhi e volge lo sguardo verso la fonte lumi-
nosa, tentando di avvicinarsi e dondolando il capo, ruo-
tando il corpo su se stesso poiché ciò gli procura piacere);
attenzione labile; linguaggio verbale povero; difese tattili accentuate; manualità scarsa.
2) In età scolare.
I° profilo: ipercinetico (come tentativo di mascheramento delle difficoltà); brevi tempi di at-
tenzione (poiché spesso le attività richiedono per lui un notevole impegno visivo); aggressi-
vità verbale (come tentativo di evitare il compito).
II° profilo: passività; tendenza all'isolamento (per mascherare le sue difficoltà ed incapaci-
tà), dipendenza dall'adulto o da un compagno guida. In questa fase di età non vi è sempre
coscienza del problema (la differenza tra vedere e non vedere o vedere male) e da qui sorge,
di conseguenza, l’insofferenza per la difficoltà nello svolgimento di compiti assegnati, rispet-
to ai compagni.
3) In età pre e adolescenziale.
In questa fase di vita i fattori biologici di maturazione
si intersecano con i problemi di accettazione della mi-
norazione visiva rendendo l'equilibrio psicofisico del
soggetto molto precario.
La costruzione dell'immagine di sé si scontra con un
aspetto estetico poco soddisfacente: il ragazzo porta
spesso lenti correttive evidenti e fa uso di ausili di-
versificanti ed anche l'aspetto del suo sguardo è par-
ticolare. Il desiderio di autonomia si scontra con i li-
miti imposti dal deficit che rende difficili gli sposta-
menti autonomi soprattutto in ambienti esterni e poco
noti.
Ne conseguono atteggiamenti di chiusura (per evitare
Pagina 9
L’alunno ipovedente
I modelli
comportamentali
il confronto con i coetanei) e/o di mascheramento (con conseguente an-
sia da prestazione).
Quest'ultimo è l'atteggiamento più frequente che porta a negare le diffi-
coltà visive e al tentativo di fare tutto ciò che fanno gli altri (situazione
pericolosa): gioca a calcio, va in bici o in motorino, non accetta stru-
menti diversificanti.
Le prestazioni scolastiche possono risultare scarse e giustificate da at-
teggiamenti provocatori di disinteresse.
In generale si possono riscontrare alcuni atteggiamenti e tratti posturali
comuni a soggetti ipovedenti: movimenti grossolani ed impacciati; rigi-
dità del corpo (per mascherare il problema); capo rivolto in alto, verso
la fonte luminosa; mani che si muovono davanti agli occhi; capo ondeg-
giante durante la lettura e in compiti di fissazione; sguardo perso nel
vuoto durante le lezioni in classe; immobilismo durante le attività crea-
tive e sportive.
Per un alunno con disabilità visiva le difficoltà reali di apprendimento si
possono ricondurre alle quattro aree principali delle attività quotidiane.
Comunicazione: occorre valutare le distanze alle quali il bambino può
percepire una qualche comunicazione visiva non verbale: saluto, sorri-
so, rimprovero, ecc. Esistono infatti difficoltà nel riconoscimento dei vol-
ti, delle espressioni, del linguaggio del corpo.
Uso della vista per vicino: occorre valutare la grandezza dei dettagli
di immagini, la struttura del campo visivo utile, l’uso di sussidi ottici e
non, le strategie ergonomiche, la necessità di tecniche speciali per pro-
blemi oculomotori e di postura.
Autonomia: dipende dalla capacità di localizzare e ritrovare oggetti, dal
grado di abilità nel nutrirsi, nel vestirsi, nell’igiene personale e nelle at-
tività ludiche. Bisogna curare la postura del capo, la coordinazione ocu-
lomanuale, l’uso del campo visivo e dell’esplorazione visiva.
Orientamento e mobilità:
bisogna osservare da quale
distanza il bambino riconosce
i profili degli oggetti, le tecni-
che di esplorazione ambien-
tale, l’uso delle informazioni
a basso contrasto, la funzio-
nalità con luce ad alta e me-
dia intensità, l’uso degli altri
sensi e della memoria spazia-
le.
Pagina 10
QUADERNI DI
LAVORO QUADERNI DI LAVORO
Occorre valutare
le distanze alle
quali il bambino
può percepire
una qualche
comunicazione
visiva non
verbale: saluto,
sorriso,
rimprovero, ecc.
Difficoltà organizzative
di apprendimento
E’ importante cogliere ogni segnale di difficoltà nella consapevolezza spaziale e nell’orientamento.
Per una corretta valutazione della funzionalità visiva bisogna analizzare i tre aspetti o aree che la
compongno. Essi sono:
la capacità visiva (cosa può essere visto);
l’attenzione visiva (che cosa guarda il bambino);
l’elaborazione visiva (che significato viene dato alle informazioni visive).
Nel bambino ipovedente è facile che fin dal primo periodo di vita si creino lacune che tendono ad
aumentare col passare del tempo. Questo accade perché egli spesso non ha la possibilità di riceve-
re precocemente la quantità adeguata di stimoli.
I prerequisiti fondamentali della visione - o funzioni visive elementari - sono i processi di atten-
zione e discriminazione. Altri aspetti, quali la motivazione e l’interesse sono altrettanto impor-
tanti nei processi di apprendimento, per imparare a vedere e prendere consapevolezza del residuo
visivo da utilizzare al meglio.
L’attenzione.
Per attenzione s’intende la capacità
del soggetto di orientarsi in direzione
degli stimoli più importanti dell’am-
biente e di produrre le risposte più
adeguate a tali stimoli.
In particolare si può distinguere l’o-
rientamento verso gli stimoli am-
bientali (oggetti), verso le persone
(contatto oculare o visivo) e l’orien-
tamento prolungato al compito
(tempi di attenzione).
Orientamento verso gli stimoli ambientali:
orientamento visivo: consiste nella ricerca, attraverso il canale sensoriale della vista,
di un oggetto o stimolo ambientale, nella fissazione e nello studio delle caratteristi-
che visive di tale oggetto;
orientamento uditivo: consiste nel rivolgersi verso la direzione da cui proviene un
suono nitidamente distinguibile;
orientamento tattile: può essere definito come la risposta che si produce in conse-
guenza ad uno stimolo tattile come ad esempio l’essere toccati su un braccio o una
spalla.
È importante valutare il grado di attenzione del bambino verso i diversi stimoli perché l’attenzione
è necessaria per svolgere un compito e apprendere nuove abilità.
Pagina 11
L’alunno ipovedente
I prerequisiti per
l’apprendimento
Attenzione alle persone:
tutti i bambini dimostrano attenzione verso le persone quando instaura-
no con loro un contatto visivo. In questo modo possono imparare molto
dagli altri copiando ciò che fanno. Ma se un bambino non guarda le altre
persone non potrà mai usufruire del canale imitativo per imparare cose
nuove.
Questa è una difficoltà tipica e frequente nel bambino ipovedente per il
quale può essere utile programmare un intervento mirato ad aumentare
la frequenza e la durata del contatto oculare e dello schema di fissazio-
ne.
I tempi di attenzione:
i bambini imparano osservando, ascoltando e imitando, ma tutto ciò ri-
chiede tempo e la capacità di non farsi distrarre da stimoli che non han-
no niente a che vedere con la situazione di apprendimento. Spesso il
bambino ipovedente ha difficoltà nel mantenere un’attenzione prolunga-
ta, perché facilmente distraibile e perché poco motivato verso una real-
tà che non riesce a controllare.
La discriminazione
Per discriminazione intendiamo
la capacità di distinguere le ca-
ratteristiche principali di una si-
tuazione-stimolo e di rispondervi
correttamente.
Ogni oggetto può avere caratte-
ristiche simili a qualcun altro, ma
possiede anche caratteristiche e
funzioni che lo rendono diverso
da tutti gli altri. Se un bambino
non impara a compiere corretta-
mente tali discriminazioni è diffi-
cile che possa poi imparare cor-
rettamente l’uso di oggetti co-
muni.
E’ importante quindi imparare a
discriminare i colori, le dimensio-
ni, le forme geometriche.
1) Discriminazione visiva:
se un bambino presenta un residuo visivo è importante, una volta sti-
molata l’attenzione e l’interesse verso ciò che lo circonda, educare la
capacità di distinguere, analizzare e interpretare i dati percepiti.
Discriminare colori, oggetti, forme e dimensioni è un importante passo
per il bambino verso la conoscenza, poiché la discriminazione rappre-
Pagina 12
QUADERNI DI
LAVORO
Se un bambino
non guarda le
altre persone
non potrà mai
usufruire del
canale
imitativo per
imparare cose
nuove.
QUADERNI DI LAVORO
senta il requisito base per le operazioni di classificazione e associazione che permettono di rag-
gruppare gli oggetti in base alle loro caratteristiche e di riconoscerne le specifiche funzioni.
Quando si arriva alle rappresentazioni iconiche degli oggetti bisogna ricordare che il bambino
con grave deficit visivo non riesce ad estrarre tutte le informazioni che si legano alla percezione
dei dettagli che, nel loro insieme, definiscono il significato complessivo dell’immagine. Il bambi-
no deve essere guidato all’esplorazione e all’interpretazione contestuale dei dettagli, alla defini-
zione dei rapporti tra figura e sfondo, fornendogli gli strumenti utili per migliorare la sua cono-
scenza della realtà e formarsi immagini mentali sempre più complete.
Nell’analisi delle immagini bidimensionali il bambino deve essere guidato a ricercare quei detta-
gli che sono significativi per il riconoscimento dell’oggetto. Nel processo di esplorazione bisogna
adottare una strategia spazialmente ordinata. L’abitudine di procedere dall’alto verso il basso e
da sinistra a destra facilita l’automazione della sequenza esplorativa maggiormente utile per la
letto-scrittura.
2) Discriminazione uditiva:
è la capacità di riconoscere quelle caratteristiche pro-
prie di un suono-rumore che permettono di distinguer-
lo tra tanti altri.
Intendiamo quindi la capacità del bambino di ricono-
scere la voce dei familiari da quella degli estranei,
suoni domestici da quelli di altri ambienti. È inoltre
importante riconoscere la vicinanza-lontananza della
fonte sonora in base al variare dell’intensità del suono
stesso.
Questo permette all’ipovedente di riconoscere alcune
situazioni anche se non può gestirle visivamente.
(vedi la dispensa “Educazione all’ascolto”).
3) Discriminazione tattile: dai primi anni di vita si impara a riconoscere, attraverso il tatto,
la consistenza di un oggetto, la superficie, la temperatura, il peso, la forma. (Vedi la dispensa
“Le rappresentazioni tattili”).
Nel successivo processo di apprendimento è impor-
tante favorire la costruzione di schemi mentali per
educare all’analisi degli elementi caratterizzanti di
un’immagine, in modo che la denominazione
dell’oggetto presentato funga da guida per pro-
grammare l’esplorazione visiva.
Per il bambino ipovedente è importante, sin dalla
scuola dell’infanzia, poter ampliare le proprie espe-
rienze riguardanti gli oggetti. Bisogna quindi guida-
lo all’esplorazione tattile e visiva (residuo) in modo
analitico, aiutandolo a descrivere tutti i dettagli,
facendogli sperimentare concretamente l’uso degli
oggetti stessi.
Pagina 13
L’alunno ipovedente
Ai fini di un corretto intervento educativo, l’insegnante, supportato dagli
specialisti e attraverso l’osservazione diretta dei comportamenti visivi del
bambino nelle aree sopraccitate, valuterà la funzionalità visiva del bambi-
no e le capacità di utilizzo nel contesto di vita quotidiana e scolastica.
Analizzerà i comportamenti vi-
sivi del soggetto evidenziando
ciò che sa fare e ciò che lo in-
teressa.
Sulla base della diagnosi fun-
zionale verrà redatto un pro-
getto di intervento tiflopedago-
gico che contempla:
gli obiettivi didattici che
riguardano le abilità e le
capacità relative alle di-
verse discipline scolasti-
che, quali la pre-lettura,
la lettura, la scrittura, l’a-
ritmetica, la geometria,
ecc;
gli obiettivi funzionali che riguardano le abilità e le capacità di cui
il bambino necessita per vivere con il massimo grado di autonomia.
Possono essere abilità legate strettamente alla funzionalità visiva co-
me la consapevolezza visiva, l’attenzione visiva e la discriminazione,
oppure legate alle funzioni visuo-percettive e visuo-cognitive,
gli obiettivi strumentali per l’addestramento all’utilizzo di materiali
e strumenti specifici: libri ingranditi, PC con software ingrandente,
sintesi vocale, ecc.
gli obiettivi adattivi relativi ad abilità e strategie particolari che il
soggetto deve imparare ed acquisire per supplire al deficit visivo al
fine di svolgere alcune attività in piena autonomia.
E’ necessario avere ben chiari gli aspetti prioritari a cui rivolgere l’atten-
zione educativa per un coinvolgimento sereno ed attivo dell’alunno nella
vita scolastica:
favorire situazioni di benessere, mediante l’equilibrio affettivo-
relazionale che, a sua volta, è legato al concetto di sé e all’accetta-
zione della propria disabilità;
Pagina 14
QUADERNI DI LAVORO
Ai fini di un
corretto
intervento
educativo è
necessario
valutare la
funzionalità
visiva del
bambino e le
capacità di
utilizzo nel
contesto di vita
quotidiana e
scolastica.
Il progetto educativo e
il ruolo dell’educatore
avere fiducia nelle capacità dell’alunno e valorizzare quello che può dare;
accrescere la sua autostima e fiducia, mettendo in risalto i lati positivi;
sostenere l’interesse e la motivazione, indispensabili per lo svolgimento di qualsiasi attività;
sensibilizzare il gruppo della classe attraverso attività di accoglienza e socializzazione;
adattare gli spazi e gli ambienti per facilitare l’autonomia (conoscere l’ambiente sia interno
che esterno è fondamentale per la sicurezza e l’autonomia);
curare l’illuminazione perché la luce eccessiva – ad esempio - provoca abbagliamento;
motivare l’alunno ad integrare i dati visivi con quelli provenienti dai sensi vicarianti (tatto,
udito, gusto e olfatto);
scegliere gli ingrandimenti più adeguati e i materiali ad alto contrasto cromatico;
valutare gli strumenti e gli ausili più funzionali alla conquista di una sempre maggiore auto-
nomia (si veda la dispensa “Primi passi per l’integrazione scolastica”).
Pagina 15
L’alunno ipovedente
BIBLIOGRAFIA
Mazzeo M., “ Il bambino cieco: introduzione allo sviluppo cognitivo ” , Anicia, Roma, 1988.
Galati D. “ Vedere con le mente: conoscenza, affettività, adattamento nel non vedente ” , Franco Angeli, Milano, 1996.
Y. Hatwell, ( contributo di ) in: Galati D. “ Vedere con le mente: conoscenza, affettività, adattamento nel non vedente ” , Franco
Angeli, Milano, 1996.
Nisi A. e Ceccarani P., “ Apprendimento ai primi passi ” , Lega del Filo d ’ Oro, Osimo ( A n ) , 1994.
Zingirian M.,Calabria G., Ciurlo G., “ Oftalmologia e qualità della visione, INC, Roma, 1992.
Lanners J., Salvo R., Un bambino da incontrare, edizione Fondazione Hollman, Cannero Riviera ( VB ) 2002.
GLI ARGOMENTI DELLE EDIZIONI DEI
“QUADERNI DI LAVORO”
Si definisce ipovedente colui che è affetto da disabilità della funzione visiva anche dopo un trattamen-
to medico-chirurgico e/o una correzione della refrazione standard e possiede un'acuità visiva inferiore
a 0.3 o un campo visivo inferiore a 60° dal punto di fissazione, ma che utilizza o che potenzialmente è
in grado di far uso del residuo visivo per la programmazione e l'esecuzione di un determinato compito.
Il soggetto ipovedente presenta quindi un livello di capacità visiva insufficiente per svolgere attività
quotidiane, lavorative o di svago che sono abituali per individui della medesima età, sesso e stato so-
cio-culturale. L' ipovisione è una condizione che colpisce più di una persona su 100 nella popolazione
dei paesi industrializzati. Si è valutato che in Europa esistano 11 milioni di ipovedenti in aggiunta ad
un milione di non vedenti. Tra le cause dell'ipovisone: la degenerazione maculare, la miopia degenera-
tiva, la retinopatia diabetica, le cheratopatie, il glaucoma, le coroiditi, la retinopatia pigmentosa.
Esempio di ipovisone con degenerazione maculare Esempio di ipovisone con glaucoma
Esempio di ipovisone con cataratta
LA STORIA DEL C.N.V. E I SUOI SERVIZI
LE RAPPRESENTAZIONI TATTILI
L’INTERVENTO PRECOCE
LE TECNOLOGIE INFORMATICHE
L’EDUCAZIONE ALL’ASCOLTO
I PRIMI PASSI PER L’INTEGRAZIONE
SCOLASTICA
L’ALUNNO IPOVEDENTE A SCUOLA
LE MINORAZIONI PLURIME
top related