atti convegno 30 marzo 2011
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ATTI CONVEGNO
U.CI.I.M.
Modica, 30 marzo 2011
TEMA
La famiglia, la Scuola, le Istituzioni, la Chiesa per una società umanizzata e umanizzante
“Per insegnare basta un maestro; per educare occorre un villaggio”
A cura di Maria Vttoria Mulliri
Unione Cattolica Insegnanti Medi
Unione Cattolica Insegnanti Medi
Sezione di Modica
Presidente: Prof.ssa Maria Vittoria Mulliri
Gesualdo Nosengo
(San Damiano d’Asti 1906- Roma 1968)
Fondatore UCIIM (1944)
CONVEGNO “Famiglia, Scuola, Istituzioni e Chiesa per una società umanizzata e
umanizzante” <<Per insegnare basta un maestro; per educare occorre un villaggio”>>.
MERCOLEDI’ 30 MARZO 2011 ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE“G. Verga”
P. le Baden Powell, 1- MODICA
Ore 17.00-19.00
ATTESTATO DI PARTECIPAZIONE
Si attesta che _______________________________________________________ nel giorno 30 marzo 2011,
ha partecipato al
Convegno
“ Famiglia, Scuola, Istituzioni e Chiesa per una società umanizzata e umanizzante” -“Per insegnare basta un maestro; per educare occorre un villaggio”-
organizzato dalla Sede U.C.I.I.M. di Modica, presso l’Istituto d’Istruzione Superiore “ G. Verga” , P.le Baden Powell, 1 – Modica
Il Presidente Provinciale U.C.I.I.M.
D. S. Prof. Ignazio Inclimona
REGISTRO PRESENZE
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Accoglienza al Vescovo Don Mario Martorina
Consulente Ecclesiastico U.C.I.I.M. Provincia di Ragusa
La presenza del nostro vescovo, Mons. A. Staglianò, amato pastore ed apprezzato teologo, vuole essere oggi per tutti noi dell’ U.C.I.I.M , un segno tangibile della costante e particolare sollecitudine della Chiesa nei confronti del compito educativo. Sollecitudine costante, perché l’educazione è da sempre parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa; sollecitudine particolare, perché la Chiesa, sempre protesa all’inculturazione della fede, condivide con tutti gli altri soggetti, sia nel confronto che negli sforzi, l’attuale problematicità del fatto educativo, che è diventato una vera e propria ‘emergenza’ .
Ed è per questi motivi che l’Episcopato italiano ha scelto il tema educativo come programma pastorale degli orientamenti per il decennio 2010 – 2020 : “ Educare alla vita buona del Vangelo “.
Lo specifico, ed al contempo il fine, dell’educazione cristiana è la ‘ vita secondo lo Spirito ‘, avendo come Guida interiore lo Spirito Santo, come modello Gesù, il Maestro, e come ambito ogni comunità ecclesiale. Essa è dunque un compito unitario dell’esperienza cristiana comunitaria, che si gioca tutto nel coinvolgimento dei soggetti, snodandosi tra la catechesi, la preghiera, la vita di carità e l’etica, l’impegno sociale e politico per costruire insieme nella città dell’uomo la civiltà dell’amore, e soprattutto senza mai dimenticare di essere sempre discepoli anche quando si è chiamati a far da maestri.
Non si tratta tanto di seguire precetti aprioristici o teoretici, né di sforzo volontaristico, bensì l’educazione cristiana è l’invito all’ascolto, al confronto ed al coinvolgimento del ‘ vieni e vedi ‘ che segue alla domanda : “ Maestro, dove abiti ? “ (Gv. 1, 35-39;). Così lo stare insieme si traduce nell’educare a pensare, a scegliere, ad agire e soprattutto ad amare come ha fatto Gesù, secondo la sua misura e statura ( Gv. 13, 34-35; 15, 1-17; ), modellando su di Lui ed il suo Vangelo la vita quotidiana.
Concludendo, se l’educazione in sé come processo non può essere solo frutto dell’impegno individuale, ma chiama a corresponsabilità, e sempre, tutta la comunità sociale a partire dalla famiglia che ne è fondamento e prima forma, allo stesso modo il progresso educativo deve essere frutto del continuo interagire di soggetti ‘educanti’ e di soggetti ‘educandi’.
E con ciò da parte ecclesiale si intende ribadire che processo e progresso educativi coinvolgono sempre la consapevolezza soggettuale e progettuale di un percorso che si fa insieme, da persona a persona, perché chi offre e chi accoglie, coinvolgendosi, sono sempre e sempre devono restare un ‘ Io ‘ ed un ‘ Tu ‘, che interagiscono personalisticamente a partire dalla condivisione del vissuto, protesi a diventare il ‘ Noi ‘ sociale del percorso educativo completato. A tal riguardo l’educazione alla fede offre da secoli la sua specifica e consolidata esperienza. E vuole continuare a farlo insieme ed in confronto con gli altri soggetti ed ambiti educativi. Ecco il valore profondo e dialogico della presenza e del contributo del nostro vescovo.
Finalità e caratteristiche dell’U.C.I.I.M.
Prof.ssa Amalia Giordano
Presidente Regionale U.C.I.I.M.
L’U.C.I.I.M. è un’associazione professionale cattolica di dirigenti, docenti e formatori della
scuola e della formazione professionale. La sua storia affonda le radici nel difficile e doloroso
periodo in cui la seconda guerra mondiale era ormai alle sue battute finali, quando il 18 giugno del
1944 GESUALDO NOSENGO ne promosse la fondazione. Da allora, grazie alle numerose e
feconde personalità che l’hanno guidata e grazie al fecondo contributo dei numerosi soci,
l’U.C.I.I.M. ha costruito una storia gloriosa e ricca.
Di Gesualdo Nosengo potremmo dire moltissimo: sarebbe riduttivo vedere in lui soltanto il
grande e innovativo pedagogista, lo studioso appassionato, l’autore di numerose pubblicazioni in
cui è evidente il pensiero moderno e avveniristico. Infatti, Nosengo non è stato solo questo, lui è
l’incarnazione di un mandato, ma al di là del semplice pensiero pedagogico. È la dimostrazione
dell’uomo di fede, dell’uomo spirituale, dell’uomo con grandi capacità organizzative, del
grande pianificatore, della persona delle grandi “pensate”, come dicevano i suoi amici più
cari, “con una amicizia particolare con Dio”, del pensatore che dialoga con i suoi lettori,
Educatore, Maestro di grande fede e di profonda e coerente vita spirituale. Un Uomo di Dio,
che viveva per gli uomini, di profondo spirito religioso, lungimirante. Esempio di coerenza, di
onestà, di religiosità, di laicità impegnata nel sociale per tutti noi insegnanti uomini e donne,
esseri umani che vivono e aspirano alla salvezza.
E storicamente l’U.C.I.I.M. “ha fatto” la scuola italiana, prima con la guida di Gesualdo Nosengo,
poi con quella della presidente CESARINA CHECCACCI. Due lungimiranti pensatori,
anticipatori, precursori dei tempi.
Sicuramente la nostra Associazione è stata un fondamentale punto di riferimento nella
politica scolastica degli ultimi 60 anni.
L’U.C.I.I.M. ha contribuito in modo determinante alle più grandi riforme, alle più
importanti sperimentazioni del dopoguerra, citiamo soltanto la legge1859/62; la legge
348/79; i programmi del ‘79, la legge 275/99.
In questi ultimi due provvedimenti grande protagonista è stata la professoressa Cesarina
Checcacci che li ha arricchiti con pagine di alta pedagogia, lei che è stata consigliera di
diversi ministri qualunque fosse l’orientamento partitico del momento. Infatti, un’altra
caratteristica peculiare dell’U.C.I.I.M. è proprio quella di essere un’associazione apartitica,
super partes, il suo interesse è solo per la scuola. Un vanto della nostra Associazione,
principalmente sotto la guida della Checcacci, sono anche le sperimentazioni, che hanno
offerto un fondamentale apporto, ne citiamo una per tutte, la sperimentazione Brocca.
Un altro grande esponente dell’U.C.I.I.M. è LUCIANO CORRADINI, insigne pedagogista, che ha
guidato l’Associazione per tre mandati ed oggi, in qualità di Presidente Emerito, continua
ad offrire il suo prezioso contributo alla scuola italiana.
Positive innovazioni pedagogico - didattiche sono scaturite dai Convegni, dai seminari,
particolarmente da quelli di Arezzo, vera pietra miliare della scuola italiana, che hanno
veramente aperto nuove frontiere educativo -‐ didattiche.
La concezione pedagogica dell’U.C.I.I.M. si fonda sulla persona umana, sul suo valore, sulla
sua dignità, sulla sua inviolabilità, sulla promozione del suo essere e della sua dimensione sociale,
storica e spirituale. Una persona, secondo i principi del personalismo, che sia in grado di avere
cura di se stessa e della propria famiglia e di dare un contributo costruttivo alla società in cui
vive.
Il nostro fondatore ha voluto che l’U.C.I.I.M. nascesse come Unione, forte della sua identità e
del suo essere insieme, uniti, in comunione per conseguire peculiari fini.
La dimensione fondante della nostra Unione è la dimensione religiosa, la fede, il senso
della trascendenza, che ci differenzia, nello specifico, rispetto alle altre associazioni.
Nosengo, in un’epoca particolarmente difficile, ha avuto una grande intuizione, una grande
idea: un’ Unione laicale che contribuisse alla costruzione della nuova società. Il valore
del concetto di Unione è un messaggio e una raccomandazione che dobbiamo sempre
ricordare.
Un’ Unione che si propone di perseguire due vie principali:
1. la formazione spirituale, morale, pedagogica, didattica, disciplinare dei docenti.
Affermava Nosengo “La spiritualità dell’insegnante non è una dimensione che si collochi
a fianco o fuori o al di sopra della vita e della professione, ma è invece la stessa vita e
professione vissuta in pienezza con un’intenzionalità d’amore, come risposta alla volontà
di Dio”;
2. la capacità di incidere con le sue idee e con la sua opera nella realtà scolastica e
sociale grazie al decisivo contributo dei soci. Di tutti i soci. Storicamente la forza
dell’U.C.I.I.M. è la base, che costituisce la linfa vitale associativa, la vera ricchezza
dell’associazione. All’U.C.I.I.M. ci s’ incontra per confrontarsi, per arricchirsi grazie
al contributo dell’altro, per teorizzare le esperienze fatte sul campo, per
elaborare teorie e proposte.
L’U.C.I.I.M. nazionale è a stretto contatto con il Ministero, quelle regionali con le
realtà locali; si fanno proposte che vengono dalla consultazione della base, dalla
scuola militante, da chi entra in classe ogni giorno. È importante per noi dell’U.C.I.I.M. il
senso forte dell’appartenenza nello spirito di servizio e della gratuità. I dirigenti
U.C.I.I.M. sono a servizio dell’Unione e dei soci.
L’U.C.I.I.M. è amicizia, concordia, armonia, è lavorare insieme per la stessa
finalità.
Le proposte dell’Associazione non devono semplicemente fornire risposte alle esigenze del
momento storico e sociale, ma devono avere una visione propositiva prospettica per essere volano
della società. L’U.C.I.I.M. avendo come costante guida questi principi continuerà a dare il suo
insostituibile contributo allo sviluppo della scuola e di conseguenza alla crescita umana, culturale,
valoriale della persona e della società, con una particolare attenzione alla dimensione spirituale che
è la base e il sostentamento di tutte le altre, la trascendenza.
Introduzione tema del Convegno
Prof.ssa Maria Vittoria Mulliri Presidente U.C.I.I.M. sez. di Modica
Innanzitutto, quale presidente della sezione U.C.I.I.M. di Modica, ideatrice e organizzatrice di questo convegno, rivolgo un cordiale saluto a tutti i presenti - dai discenti, che sono i destinatari della nostra azione educativa, alle autorità che hanno risposto al nostro invito. Un saluto e un ringraziamento particolare a tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione di questo progetto, in particolare: 1. all’attuale Presidente onoraria dell’associazione, la Preside Pina Lucifora, “anima” dell’U.C.I.I.M. di Modica, l’amica che in quest’occasione è stata la mia più preziosa collaboratrice; 2. a don Mario Martorina, che svolge egregiamente il suo ruolo di consulente, di guida spirituale del nostro gruppo; 3. al nostro Presidente Provinciale Prof. Ignazio Inclimona, oggi assente per impegni improrogabili; 3. al collega prof. Piergiorgio Barone che ha voluto in quest’occasione presentare il secondo numero della rivista da lui curata ( “Magister); 4. al dott. Franco Portelli, giornalista, socio della sede di Scicli, che funge da moderatore. 5. Saluto e ringrazio inoltre Il preside Prof. Alberto Moltisanti, che ci ospita nel proprio istituto; 6. l’onorevole Riccardo Minardo; 7. il nostro primo cittadino, il sindaco dott. Antonello Buscema, e tutti 8. gli illustri relatori:
- il nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, - i Proff. Salvatore Nicastro e Simon Villani, esperti in campo pedagogico, - il Vicepresidente nazionale dell’U.C.I.I.M., Prof. Giacomo Timpanaro, molto apprezzato per la
sua professionalità. Un saluto particolare rivolgo, infine, alla Prof.ssa Amalia Giordano, attuale Presidente regionale dell’associazione, e mi complimento con lei perché, a mio avviso, ha fatto una bellissima presentazione dell’U.C.I.I.M. evidenziando quello che anch’io reputo uno degli aspetti più accattivanti di questa associazione: il sentimento di amicizia, la gioia della condivisione che si prova si prova quando si lavora insieme, soprattutto durante i convegni regionali e nazionali, condividendo esperienze didattiche e momenti di formazione e di preghiera. E devo dire che la stessa gioia l’ho rivissuta in questi ultimi mesi lavorando alla realizzazione di questo Convegno, per l’incoraggiamento e il sostegno che ho ricevuto dai soci vicini e lontani, giovani e anziani. Contrariamente a quanto generalmente si pensa, infatti, questi ultimi costituiscono per noi una preziosa risorsa perché continuano ad adoperarsi per la formazione delle nuove generazioni anche da pensionati. Penso in particolare alla Prof.ssa Graziella Modica Scala impegnata in più associazioni, al Prof. Emanuele Migliore, nostro attuale tesoriere, e alla Prof.ssa Clementina Rizzone, che, nonostante la sua veneranda età, (è nata nel 1922!) continua a leggere la rivista e a seguire le nostre attività. E veniamo al TEMA su cui il convegno verte: “La Famiglia, la Scuola, le Istituzioni, la Chiesa per una società umanizzata e umanizzante” (Slogan: “ “Per insegnare basta un maestro; per educare occorre un villaggio”), un argomento molto caro all’U.C.I.I.M. e al suo fondatore Gesualdo Nosengo, un uomo esemplare, che, come ha detto la Prof.ssa Amalia Giordano, ha dedicato la sua vita all’educazione dei giovani e alla formazione dei docenti fino all’anno della sua morte avvenuta nel 1968. E’ un tema che abbiamo voluto porre all’attenzione dell’intera comunità per offrire a tutti l’opportunità di ampliare le proprie conoscenze in campo pedagogico e trarre spunti di riflessione al fine di affrontare con successo la sfida educativa che ci lanciano i tempi critici in cui viviamo. L’educazione ha rivestito un ruolo fondamentale nello sviluppo personale e sociale dell’individuo fin dagli albori della civiltà umana. Educare è sempre stata un’arte difficile, ma oggi costituisce una vera e propria “emergenza” a causa dei cambiamenti intervenuti nella famiglia e nella società in generale, della crisi diffusa nei vari ambiti, dei problemi con cui facciamo i conti quotidianamente. L’arte dell’educare non si apprende solo seguendo “precetti aprioristici e teoretici”, come ha sottolineato don Mario, ma richiede nell’educatore le doti e virtù della pazienza, dell’equilibrio, della disponibilità, dell’elasticità e della fermezza e la capacità di orchestrarle in ogni momento con grande intelligenza. Educare, dal latino “ex - ducere”, significa letteralmente “condurre fuori”;
quindi, l’educazione è, per definizione, l’azione maieutica che consiste nel far emergere le positività del discente, sostenendolo affinché riesca a volgere le contraddizioni che in lui emergono verso valori positivi. Ma per educare con efficacia e serenità occorre il concorso dell’intero ambiente familiare e sociale, la condivisione di valori stabili, tali da contrastare il dilagante relativismo etico, il nichilismo. Pertanto oggi più che mai vale la massima della cultura africana che abbiamo scelto come slogan, secondo cui “per insegnare basta un maestro, per educare occorre UN intero VILLAGGIO”.
Darei ora la parola ai nostri relatori, che sono certa sapranno orientarci, scuotendo le nostre coscienze e stimolando in noi valide riflessioni. Grazie e buon ascolto.
S.E. Mons. Antonio Staglianò Vescovo della Diocesi di Noto
SINTESI-‐
Prendendo spunto dalla “bella espressione” <<Per insegnare ci vuole un maestro, per educare occorre un villaggio>>, S.E. Mons. A. Staglianò ha affermato l’importanza del villaggio nella formazione dell’individuo, sottolineando la necessità di “bonificarlo” a partire dal linguaggio, che, data l’attuale -‐ […]confusione linguistica[…] c’impedisce [-‐-‐-‐] di comunicare a tutti i livelli. Quindi, entrando nel cuore della problematica della Chiesa e dell’emergenza educativa di oggi, ha richiamato l’uditorio sulla necessità di aiutare i giovani “ […] a portare a espressione, a manifestazione, ad epifania quello che c’è dentro […] “ di ognuno di loro, attraverso un’azione educativa volta a renderli consapevoli delle proprie potenzialità, e in grado di operare le scelte giuste. Ha altresì ribadito l’importanza della dimensione religiosa nell’educazione, sottolineando che , “l’U.C.I.I.M. può fare appello alla sua dimensione religiosa all’interno delle scuole, perché [… ] si impegna e declinare culturalmente i dati della fede”. Servendosi quindi di efficacissime metafore vive ci ha suggerito cosa noi, come educatori, dovremmo fare, e precisamente:
1. il “taglio della fede” che è prezioso nel giovane perché possa giungere a maturazione producendo frutti buoni così come nel sicomoro, liberandolo dal succo velenoso che gli impedisce di svilupparsi (metafora degli intagliatori di sico-‐ moro);
2. non rompere parte del “bozzolo” perché il giovane venga fuori più agevolmente, se si vuole evitare che esca fuori un “lepidottero che non volerà mai” (metafora del bozzolo del baco da seta);
3. far sì che il giovane “metta radici profonde” per potersi poi sviluppare pienamente (metafora del bambù);
4. creare un contesto , un “ villaggio “ che non agevoli troppo l’educando impedendogli di fare il proprio salto (metafora della rana).
Molto efficace il monito finale: “Ti propongo di non sollazzarti troppo nell’acqua calda dell’inizio, ma quando hai visto la tentazione, togliti fuori perché sei capace, ne hai le forze, sei un essere umano, perché l’essere umano non è divino, ma è metafora viva”.
La nuova frontiera: gli educatori di strada nella città visibile e in quella invisibile
Prof. Luciano Nicastro Filosofo e sociologo
Per vivere oggi nei mondi vitali della società contemporanea bisogna avere un forte spirito di libertà per lottare contro il conformismo imperante, che è “il carceriere della libertà e l’ostacolo più grande per ogni progresso” (J.F. Kennedy) e nello stesso tempo come sosteneva J. Maritain “bisogna avere uno spirito duro e un cuore tenero”.
Jack Kerouac in “On the road” non parlava solo di nuovi orizzonti esistenziali, di una nuova avventura dello spirito della frontiera, ma soprattutto di una nuova frontiera dell’educazione come personalizzazione alla libertà da imparare come virtù e da considerare come consapevole integrazione liberatrice. La nuova educazione di oggi è un complesso processo di sinergia di corresponsabilità perché non cade come un semplice fall out di stimoli e di idee ma come criteri di una rete puntiforme di un mondo complesso e per certi aspetti incomprensibile.
La STRADA è diventata l’immagine di un nuovo mondo da visitare attraverso la ricerca e l’acquisizione di una padronanza. Si scopre così che il mondo contemporaneo, a ben vedere, risulta duale nelle espressioni organiche di due città che interagiscono: la città visibile e quella invisibile.
Nella prima le trasformazioni incidono non solo sui territori ma anche nei “modus vivendi”, nel modo di pensare e di agire attraverso la presenza di una scuola sui generis. La città visibile è diventata multiculturale. Non è più monoculturale. Richiede mentalità aperte e ancoraggi valoriali più forti. Nella città invisibile si svolge una second life invisibile ed efficace come in Matrix dove gli dei sono tanti, e i poteri e le suggestioni altrettanti. Anche questa città ha una sua scuola che tende alla socializzazione anticipatoria.
Le ricerche del passato, come ad esempio “Né leggere, né scrivere” di Gualtiero Harrison e Matilde Callari Galli sulla Palermo popolare degli anni ’50, indicavano non solo stratificazioni e modelli sociali educativi, ma l’esistenza anche di due scuole: quella della istituzione pubblica e quella della strada, due sistemi diversi per finalità, modalità di educare e per identità e ruolo degli educatori. Gli esiti delle due scuole erano sul piano educativo profondamente diversi. Come hanno fatto constatare i “santi sociali” da San Filippo Neri a don Bosco, da don Milani a don Puglisi, i giovani vengono respinti dalla istituzione scuola e formati dalla strada. Ad essi si rivolgeva la Chiesa per un processo di liberazione morale e di promozione sociale.
Nel pasticciaccio recente del Parini di Milano si è evidenziato come i genitori di oggi “distratti e insicuri con i figli” si sfogano e si scagliano contro i docenti e come non si accetta più che nella scuola pubblica, come ha notato Umberto Galimberti, vi siano visioni del mondo differenti rispetto a quelle impartite nelle mura di casa. Umberto Galimberti sostiene che “non ci sono altri luoghi di socializzazione, non ci sono più né gli oratori né le sezioni di partito, ci rimangono solo la strada e il bar”.
La cultura “religiosa” del mondo ipermoderno è caratterizzata da due assi assiomatici: il culto della prestazione e del successo sicuro e della ricchezza come chiave e nello stesso tempo la paura del fallimento e della povertà, dall’altro l’apologia cinica del consumo facile e dell’appagamento immediato senza differimenti. In questa società l’etica iperedonista rende relativisti (e perché no?) e sazi e ciechi nel desiderare dei sensi spegnendo il desiderio e la molla della progettualità. L’educazione diventa impossibile nel post moderno e nel tempo iper moderno perché non c’è più l’interdizione e il limite, non si usa il NO ma solo il si sempre. Non siamo riusciti a frenare la corsa rovinosa al godimento usa e getta fine a se stesso. Cosa resta del Padre? (Cortina 2011). Il potere simbolico e l’accompagnamento di sostegno si sta evaporando.
La vita non è vita nell’artificiale. La vita è vita nella strada. (On the road) I giovani sono cittadini del reale e dell’immaginario, del bisogno e del desiderio, della terra e del cielo, del virtuale “connettivo” e del virtuale spirituale. In loro spira non solo la menzogna ma anche il vento della verità, non solo il cinismo ma anche la generosità. L’ambivalenza è strutturale e l’abitazione nelle
due città (visibile e invisibile) è una permanente dimora provvisoria. La quotidianità è un continuo work in progress.
Il panopticon è il bullismo che non è solo il simbolo dei ragazzi abbandonati ai propri impulsi ed emotivamente immaturi, spavaldi e fragili (G. Pietropolli Charmet), ma un fenomeno culturale, sociale e mediatico che cala sul male dell’educazione e sulla socializzazione dei giovani in tempi di cinismo. Mc Luhan parlava dei mass media come prolungamento dei nostri sensi e intensità maggiore delle nostre emozioni. Noi siamo, secondo questo autore, massaggiati più che informati. Si diventa bulli a imitazione del bullismo sociale. Il nuovo problema da risolvere è la grande crisi dei rapporti genitori-figli e viceversa. Non sono più i figli che domandano di essere riconosciuti dai loro genitori ma sono i genitori che domandano di essere riconosciuti dai loro figli. Tutto è ribaltato. Per risultare amabili è necessario dire sempre “Sì!”. Eliminando il disagio del conflitto di una volta si tende a delegare tutto e ad avallare tutto. Il sì perpetuo unito al punto di domanda “e perché no?” della cultura sociale dominante producono un effetto perverso.
Sulla strada le generazioni non sono atemporali e codificate, senza storia e senza utopia. Esse si trasmettono narrazioni di valori e stili di vita. Si assegnano compiti di senso, di libertà, di godimento e di partecipazione sia nella città visibile che in quella invisibile che si influenzano dialetticamente.
In questa situazione diventare educatori è un compito difficile. E’ necessaria una nuova generazione di educatori di strada per la città visibile e per la città invisibile. Essi sono i nuovi accompagnatori dell’etica della corresponsabilità e della promozione di sane esperienze di vita in qualificati luoghi associativi anche provvisori. Tutti i poveri della città cercano la propria anima e il fascino di un bene profondo.
Vale qui nell’ipermoderno la lezione della parabola del figliol prodigo che è un paradigma adeguato soprattutto per la relazione educativa nella ipermodernità. Il padre della parabola non dice al giovane figlio: Diventa come me, ma gli dà tutto quello che chiede e lo aspetta perché affida all’esperienza del fallimento la capacità di ritrovarsi dopo essersi perduto mentre al fratello maggiore che aveva scelto di non sbagliare, la sicurezza del nido lo invita a capire che si può sbagliare e ci si può redimere purché dopo aver sbagliato si ritrovi la strada del ritorno e un adulto pronto ad accoglierlo. Come dice la parabola, era perduto ed è stato ritrovato.
L’educatore di strada è il nuovo educatore, portatore di una nuova filosofia della strada, di una nuova religione nella strada come sulla via di Emmaus dove si dialoga e si scopre l’interiorità profonda del prossimo e con lui si cammina. On the road!
Modica, 30 Marzo 2011
Prof. LUCIANO NICASTRO
Intenzionalità, corresponsabilità e testimonianza per l’educazione della persona Prof. Giacomo Timpanaro Vicepresidente nazionale U.C.I.I.M.
Non possiamo parlare di società umanizzata e umanizzante se non parliamo di istruzione dell’uomo .
Chi lotta contro una società umanizzata e umanizzante? Sono l’individualismo (io e basta) Quale idea di società, di famiglia, di scuola ? Una: Vogliamo una società umanizzata e umanizzante . Dobbiamo lavorare affinché le nuove generazioni possano operare in questa prospettiva . Cosa fanno la scuola e la famiglia per educare? La scuola deve educare . Non è vero che tutti desiderano, anche se lo professano, una scuola che educhi. Nell’opera educativa la scuola deve essere preceduta dalla famiglia. Il primo ente educativo è la famiglia. L’azione educativa ha due pilastri: sapere (conoscenze, competenze), dimensione etica, religiosa che va educata perché l’uomo ha la tensione verso il trascendente. Vivere secondo le scelte ispirate ai valori e alla religiosità INSEGNARE IL SAPERE, TESTIMONIARE I VALORI.
L’educazione fondata su adulti significativi che diano testimonianza dell’essere veramente uomini e donne umanizzati e umanizzanti. Le conoscenze possiamo insegnarle tutti noi, con competenze disciplinari, competenze pedagogico-‐ didattiche ; ma non tutti possiedono adeguate capacità comunicative-‐relazionali. L’uomo non è solo sapere, intelletto, ragione, ma è anche dovere, diritti, giustizia, senso dello stato, onestà, rettitudine. Tutto questo non si può insegnare perché l’informazione non comporta agire corretto. Quante persone sono colte, ma operano non correttamente e senza deontologia; anzi, operano a fini immorali, utilizzano il sapere a fini amorali? I valori si devono interiorizzare, fare propri: il valore mio e della famiglia . Anche nei vari documenti ministeriali il termine “interiorizzare” non sempre compare. Si educa ai valori testimoniando quotidianamente i valori ( del comportamento, la coerenza, il riconoscimento dei propri limiti, rispettando e tenendo in considerazione l’altro) . Bisogna creare persone sensibili e attente. Non è secondaria la presenza in classe di alcuni docenti invece che di altri: alcuni docenti riescono ad educare alla libertà nel rispetto degli altri, a scegliere secondo i valori . Non è secondario che un certo modo di insegnare abbia risultati diversi rispetto ad altri: se insegnare il sapere è difficile, più complesso e più difficile è educare ai valori. Ad esempio, l’integrazione di alunni in situazione di handicap a volte riesce, a volte no . La lezione frontale e la rigidità del gruppo classe non porta alla crescita secondo i valori. Bisogna distinguere chiaramente i valori dai disvalori . Non deve esserci dicotomia tra dire e agire. E’ fondamentale il rapporto interpersonale corretto .
Il ruolo delle motivazioni. L’alunno non deve far leva su motivazioni estrinseche (faccio questo perché ottengo questo), ma deve far riferimento a motivazioni intrinseche. La gratuità del sapere. Oggi si assiste invece alla strumentalizzazione del sapere. Noi dobbiamo riscoprire i contenuti, il loro valore. La valutazione. Non si può intendere la valutazione come momento esterno o strumentale, come mera valutazione tecnicistica. Il problema all’interno della valutazione è che non è né standardizzazione, né misurazione. Il momento valutativo non è esterno ma interno; è un momento di processo per far sì che l’alunno possa conoscere. Coerenza morale e intellettuale deve contraddistinguerci. Un cattolico comportamentista non funziona . E’ fondamentale la fiducia, il rispetto degli allievi, l’essere sempre presenti a se stessi e vigili dei propri comportamenti . Abbiamo tante persone da educare contemporaneamente: tenere presente un singolo alunno e la classe . Dobbiamo dividere con le famiglie la corresponsabilità. Fare scuola è molto complesso, ma altrettanto appagante e gratificante. Tale è l’incontro con i ragazzi, il loro sguardo di attenzione e di ammirazione; il loro conoscere e manifestare che tu hai dato qualcosa; il loro saluto allegro la mattina; la speranza di avere migliorato la loro vita, di aiutarli a dare senso religioso e morale alla loro esistenza. A livello personale, bisogna essere “adulti significativi” come diceva Nosengo . In sintesi, G. Timpanaro è sceso nella complessità della nostra vita professionale. Partendo da una concezione personalistica dell’uomo, ci ha ricordato che una risposta c’è , l’omologazione generale, l’egoismo sono i pericoli . E’ stata fatta una distinzione tra saperi e valori . Sono due aspetti diversi di quello che uno dovrebbe acquisire . E’ stato sottolineato l’aspetto della testimonianza. Se noi siamo testimoni, dobbiamo portare un messaggio di speranza. Bisogna essere significativi come persone, educatori . L’uomo ha una tale ricchezza di componenti che chiaramente possono insieme comporre una personalità perfetta dell’alunno. Noi cristiani abbiamo una forza in più che è la Grazia. Un altro punto sottolineato è la valutazione spesso scambiata con misurazione. La valutazione è stima, prendere atto di quello che c’è. Sotto l’aspetto religioso come per istruire basta un maestro, per educare occorre un intero villaggio, la scuola da sola non può, ma ha bisogno delle istituzioni.
Ruolo delle istituzioni nell’emergenza educativa contemporanea Prof. Simon Villani Docente di Pedagogia speciale dell’Università di Catania
Potremmo definire la società attuale come la <<società dell’emergenza>>, in quanto in essa ci percepiamo costantemente in situazioni di pericolo e/o di difficoltà, che ci chiedono di agire celermente e con determinazione. Tale percezione si è aggravata nel mondo occidentale dal 2001, anno in cui avvenne l’attentato alle Torri Gemelle, che ha segnato una vera e propria cesura con il mondo islamico. Eppure ci troviamo da allora – e negli ultimi tempi la cosa si è fatta maggiormente rilevante – ad affrontare gravi situazioni di emergenza, per le continue fughe dai Paesi d’origine di intere popolazioni, provenienti in particolare da Paesi africani e asiatici, che ci impongono l’esercizio dell’accoglienza e che hanno incentivato le nostre relazioni interculturali. Parimenti, siamo assaliti da una sovrastante presenza mediatica, che ci propone modelli comportamentali in stridente contrasto con i modelli comportamentali veicolati dalle agenzie educative. Così, mentre ci viene raccomandato l’esercizio della pazienza e del dialogo per dirimere le controversie, assistiamo a prepotenze, turpiloqui, violenze verbali e illimitate oscenità. Le istituzioni educative, poi, sono preda continua di presenze capaci di alterarne lo spirito collaborativo e di violare il senso di appartenenza: ci sono bulli, iperattivi, extracomunitari, ragazzi a rischio di abbandono e di devianza, ragazzi che ripropongono in classe le difficoltà presenti nelle famiglie problematiche in cui vivono. Tutto questo ripropone e amplifica, anche qui, il clima di emergenza. Che fare allora?
Occorre, innanzitutto, che gli educatori apprendano a guardare all’emergenza in modo inverso: evitando di considerarla un fenomeno inevitabile e usuale, ma al tempo stesso cercando di fare appello a tutte quelle risorse psicologiche e personologiche che consentano, rifuggendo da ogni fatalismo, di considerare l’educazione come un continuo e costante <<work in progress>>, un attività nel suo farsi e come tale che necessita di un continuo confronto con i fenomeni nuovi e le situazioni emergenti.
In secondo luogo, occorre che le istituzioni educative sappiano individuare nell’emergenza un efficace mezzo per costruire e rinsaldare la propria identità.
Infine, occorre indirizzare l’attenzione e l’impegno comune verso la costruzione e la diffusione di una cultura, che sappia costantemente collocare l’uomo al centro della sua riflessione, ponendolo in condizione di rivendicare gli spazi necessari per guardare dentro di sé, per rivendicare la propria autenticità e per vivere con rinnovata intensità le relazioni con gli altri uomini; condizione questa indispensabile, perché possa gradualmente dissolversi il clima di emergenza che ottenebra le menti e rende assai confuso e problematico ogni itinerario di formazione umana.
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