bloglobal weekly n°12/2014
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N°12, 13 APRILE-17 MAGGIO 2014
ISSN: 2284-1024
I
BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 17 maggio 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Maria Serra
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°12/2014 (13 aprile-17 maggio 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net
Photo credits: Ansa. Charles Charapak/AP, Ajit Solanki, Lapresse, Picture-alliace/DPA
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FOCUS
LIBIA ↴
Sembra non conoscere fine il caos politico e sociale che imperversa nel Paese norda-
fricano. A gettare nuova benzina sul fuoco sono stati i violenti scontri in corso dal
16 maggio a Bengasi, a Derna e in generale in tutta la Cirenaica e che hanno
provocato finora almeno 79 morti e 141 feriti, tra le milizie islamiste (Ansar al-Sharia
Libia e Brigata islamica 17 Febbraio) e le formazioni paramilitari dell’autoproclamato
Esercito Nazionale Libico, guidate da Khalifa Haftar, ex Generale in pensione che
ha preso parte alla rivolta contro il regime di Gheddafi e che ha tentato un golpe –
fallito – il 14 febbraio scorso. Nel difendersi dalle accuse di colpo di Stato lanciate dal
Presidente del Parlamento libico, Nuri Abu Sahmein, Haftar si è detto determinato a
«proseguire la sua offensiva contro le milizie islamiste», allo scopo di «sradicare il
terrorismo in Libia». Secondo indiscrezioni di stampa, alcuni reparti dell'aviazione
militare e altre unità militari si sarebbero unite a quelle di Haftar. Da parte loro, il
governo di Tripoli e l'esercito regolare libico hanno istituito una zona di esclusione
aerea (una no fly-zone) su Bengasi, minacciando di abbattere qualunque aereo mi-
litare sorvoli l'area, e hanno intimato al generale Haftar di fermare le operazioni mi-
litare e di ritirare le proprie milizie.
Sono ormai mesi che la situazione in Libia sembra incamminarsi verso una nuova
stagione di preoccupante instabilità. Dapprima la sfiducia parlamentare e le imme-
diate dimissioni da Primo Ministro di Alì Zeidan, il 12 marzo, a seguito del caso
della petroliera nordcoreana Morning Glory, carica di petrolio proveniente da uno
scalo controllato dai gruppi ribelli, che aveva superato un blocco navale ed era riuscita
a fuggire dalle coste libiche; successivamente le dimissioni del Premier ad interim ed
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ex Ministro della Difesa Abdullah al-Thani (13 aprile) e l’attacco al Parlamento da
parte di uomini armati (29 aprile); infine, le tensioni intorno al neo Premier, il giovane
imprenditore di formazione britannica Ahmed Maiteeq – quinto Primo Ministro dalla
caduta di Gheddafi nel 2011 – eletto con il sostegno dei partiti islamisti in Parlamento.
A queste situazioni bisogna tuttavia aggiungere un ulteriore fattore di instabilità, os-
sia il mancato riconoscimento del nuovo Esecutivo come governo legittimo da parte
dei ribelli di Ibrahim Jadran e, sempre da parte loro, il mancato rispetto degli ac-
cordi sulla riapertura dei terminal petroliferi dell’Est del Paese, concordato solo
un mese prima, il 7 aprile, con al-Thani. Infatti, il governo centrale di Tripoli e l’Ufficio
Politico di Barqa (nome arabo della Cirenaica) avevano trovato un accordo per la
riapertura di due dei quattro porti petroliferi occupati dalla fine di luglio 2013 da un
gruppo separatista guidato dall’ex rivoluzionario Ibrahim Jadran, deus ex machina
dell’intera operazione di mediazione e influente attore dell’attuale scena politica li-
bica. I porti petroliferi in questione sono quelli di Hariga e Zweytina, mentre quelli di
Sidra e Ras Lanouf sarebbero dovuti essere riaperti nelle settimane successive.
Una situazione esplosiva e dagli effetti imprevedibili che preoccupa, non poco, gli
Stati Uniti che hanno invitato l’intera comunità internazionale a non distogliere l’at-
tenzione dal Paese nordafricano. Nelle scorse settimane, il Daily Beast aveva avvertito
sui pericoli che sta attraversando la Libia definendo il Paese la «Woodstock del jiha-
dismo». Un invito a non sottovalutare la situazione è giunto, in particolare, dall’ex
Segretario alla Difesa USA, Leon Panetta, che, in linea con quanto affermato dal Pre-
sidente Obama nella sua visita a Roma del 27 marzo, ha invitato il governo Renzi
ad assumere un ruolo maggiormente attivo in quella che dovrebbe essere la
«maggiore priorità della politica estera italiana». Altre raccomandazioni erano giunte
oltre che dalla Conferenza internazionale sulla Libia del 6 marzo a Roma, anche dal
Sotto Segretario di Stato USA William Burns, che in una visita a sorpresa in Libia il
28 febbraio, aveva ammonito i governanti libici ad «assumersi le loro responsabilità
nel superare l’agitazione corrente entro due mesi, altrimenti il Paese sarà preso in
consegna dalla comunità internazionale» e, anche se non espressamente, aveva ri-
chiesto un maggior impegno italiano nelle sorti dell’ex colonia. Ecco perché gli Stati
Uniti hanno spostato 180 marines da Rota, nel sud della Spagna, a Sigonella,
in Sicilia, (insieme a due aereo-cisterna KC-130 e quattro convertiplano ad uso mili-
tare Bell Boeing V-22 Osprey), pronti a intervenire nel caso in cui la situazione do-
vesse precipitare. Non improbabile, dunque, che nella visita di Stato del Ministro degli
Esteri Federica Mogherini a Washington dal 13 al 17 maggio, i vertici di Casa Bianca,
Pentagono e Dipartimento di Stato abbiano nuovamente richiesto all’Italia un nuovo
intervento di securitization nel Paese nordafricano.
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STATI UNITI ↴
Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha effettuato un importante viaggio in
Estremo Oriente tra il 23 e il 28 aprile. In realtà, esso era stato messo in pro-
gramma per l’ottobre dello scorso anno; tuttavia, esigenze di politica interna, nella
fattispecie il cosiddetto “shutdown”, avevano fatto slittare la tappa asiatica di alcuni
mesi. Obama ha così visitato Giappone, Corea del Sud, Malesia e Filippine. Tre sono
stati i temi più importanti toccati nel corso delle varie tappe: primo, le contese
territoriali/marittime che tali Paesi hanno con la Cina; secondo, la minaccia nucleare
posta dalla Corea del Nord; terzo, i progressi dell’area di libero scambio Trans-Pacific
Partnership (TPP).
Nei colloqui con il Primo Ministro di Tokyo, Shinzo Abe, non poteva che essere al
centro la questione delle isole contese Senkaku/Diaoyu. Gli Stati Uniti hanno nuo-
vamente ribadito l’impegno nel trattato di mutua difesa, siglato nel 1951, per cui, in
caso di un ipotetico attacco della Cina al Giappone, Washington dovrebbe sentirsi
ugualmente aggredita, con le eventuali conseguenze. Obama ha ribadito la necessità
di abbandonare l’unilateralismo nel perseguire una soluzione per la sovranità sulle
isole, dichiarandosi contrario, ad esempio, alla recente creazione da parte di Pechino
della “Zona d’identificazione per la difesa aerea” che include proprio le Sen-
kaku/Diaoyu. Il Presidente americano ha inoltre auspicato un maggiore impegno da
parte di Tokyo in termini di spese per la difesa, per meglio rispondere congiuntamente
a minacce esterne.
A Seul, poi, il tema caldo è stato, per ovvi motivi, la Corea del Nord. Obama ha
rassicurato il proprio alleato e ha invitato il regime di Kim Jong-Un ad abbandonare
la via nucleare poiché essa «conduce su una strada che porta a un ulteriore isola-
mento. Non è un segno di forza. Chiunque può minacciare, spostare eserciti, o far
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partire un missile. Ma questo non vuol dire che sia forte. O che faccia aumentare la
sicurezza, o le opportunità, o il rispetto».
Successivamente, Obama si è recato in Malesia, la prima visita di un Capo di Stato
USA dal lontano 1966, dove ha incontrato il Primo Ministro Najib Razak. Qui Obama
si è soffermato sulle questioni commerciali, enfatizzando i vantaggi che la TPP
potrebbe portare ad ambo i Paesi, soprattutto in chiave anti-Cina, un Paese con
cui anche la Malesia, come il Giappone, ha contese territoriali aperte: le isole Spratly.
Proprio queste ultime, però, sono reclamate anche delle Filippine, che sono state
l’ultima tappa del viaggio asiatico del Presidente statunitense. Al grido obamiano di
«Noi riteniamo che la legge internazionale vada rispettata, che la libertà di naviga-
zione debba essere preservata e il commercio non debba essere impedito. Noi cre-
diamo che le dispute vadano risolte pacificamente e non con l'intimidazione», Manila
e Washington hanno siglato un accordo di sicurezza della durata di dieci anni che
permetterà alle truppe a stelle e strisce di stazionare sul suolo filippino, ex colonia
americana fino al 1946. Le Forze Armate di Washington, inoltre, garantiranno soste-
gno logistico ed addestreranno i soldati di Manila.
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UCRAINA ↴
Come da aspettative, e sebbene persino nei primi di maggio il Presidente russo Vla-
dimir Putin avesse frenato sull'opportunità di tenere il momento elettorale, il refe-
rendum separatista dell'11 maggio nelle regioni sud-orientali dell'Ucraina, a
Donetsk e a Lugansk, ha visto oltre il 90% della popolazione (il 95,98%) esprimersi
in favore dell'indipendenza da Kiev (anche l'affluenza è stata piuttosto elevata, atte-
standosi, secondo il Presidente della Commissione elettorale, Oleksandr Malykhyn,
ad oltre il 70%). Oltre alle denunce di brogli, avvalorate peraltro dal fatto che nes-
suna organizzazione internazionale ha vigilato sul corretto andamento delle votazioni,
il Ministro degli Esteri ucraino, Andrii Deshiza, ha immediatamente dichiarato che si
è trattato di una “farsa criminale” organizzata dalla Russia, «giuridicamente nulla e
che non avrà alcuna conseguenza per l'integrità territoriale». Mentre i leader separa-
tisti del bacino del Donbass proseguono dunque le discussioni sulla loro unificazione
probabilmente sotto il nome di Novorossia, regione storica con cui l'Impero zarista
identificava le regioni sud-orientali del Paese, il Cremlino temporeggia sull'avvio
di un possibile processo di annessione sul modello della Crimea lo scorso mese
di marzo. A pesare sulle decisioni di Putin, ma non solo, sono, inevitabilmente le
nuove sanzioni economiche da parte dei Paesi occidentali a cui la Russia è sottoposta.
Al termine del Consiglio Affari Esteri del 12 maggio, l'Unione Europea ha infatti
esteso le restrizioni ai visti e il congelamento dei beni e degli asset finanziari a 13
nuove persone – aggiungendosi alle 48 precedenti – e a due società energetiche della
Crimea, Chernomorneftegaz e la Feodosia (sembrerebbe scongiurando così l'inseri-
mento nella lista anche del numero uno di Gazprom, Aleksey Miller). Questa volta nel
mirino: Vyacheslav Volodin, primo vice Capo dello staff presidenziale russo; il Tenente
Colonnello Vladimir Shamanov, comandante delle forze aeree di primo combatti-
mento; Vladimir Pligin, Presidente della Commissione costituzionale della Duma
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russa; Pyotr Jarosh, capo operativo del Federal Migration Service Office della Cri-
mea; Oleg Kozyura, capo operativo del Federal Migration Service Office per la città di
Sebastopoli; Vlacheslav Ponomariov, auto-proclamato sindaco di Sloviansk; Igor Bez-
ler, leader della milizia Horlivka; Igor Kakidzyanov, leader delle forze armate
dell'auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetsk; Oleg Tsariov, membro della
Rada; Roman Lyagin, capo della Commissione elettorale centrale della stessa Repub-
blica di Donetsk; Aleksandr Malykhin, appunto, capo della Commissione elettorale
centrale di Lugansk; Natalia Poklonskaya, Procuratore Generale della Crimea; Igor
Shevchenko, Procuratore a Sebastopoli.
Nonostante la nuova lista di sanzioni, e a dispetto di quanto dichiarato dal Presidente
del Consiglio UE, Herman Van Rompuy, secondo cui Bruxelles è pronta ad adottare
misure di più vasta portata, i Paesi europei si sono dimostrati ancora una volta
divisi al loro interno circa la necessità di agire con un'unica voce sul dossier ucraino,
ma piuttosto disponibili ad agevolare in ogni modo la missione di mediazione lan-
ciata dal Presidente della Confederazione elvetica e leader di turno
dell'OCSE, Didier Burkhalter. Fallito difatti il tavolo quadripartito del 17 aprile tra
USA, Russia, UE e Kiev, questi ha tracciato una road-map, immediatamente accettata
dall'Ucraina e su cui la stessa Russia non ha mostrato alcuna reticenza, imperniata
su quattro punti: fine delle violenze, disarmo, dialogo tra le parti e corretto svolgi-
mento delle elezioni presidenziali il prossimo 25 maggio, cercando il più possibile di
superare la contrapposizione USA/UE-Russia e focalizzando l'attenzione sul negoziato
inter-ucraino. La trattative saranno pertanto affidate al governo di Kiev con il soste-
gno della mediazione OCSE, per ora affidata al tedesco Wolfang Ischinger.
Il primo incontro del cosiddetto “tavolo di unità nazionale” si è in questo senso
tenuto lo scorso 14 maggio e ha visto la partecipazione dei politici nazionali delle
varie regioni ucraine, esperti, Ministri, rappresentanti della comunità religiose e della
società civile, due ex Presidenti della Repubblica (anche se non il leader della Rivolu-
zione arancione, Viktor Yushenko), i candidati alle elezioni del 25 maggio, con esclu-
sione infine dei rappresentanti delle regioni separatiste. Tra le personalità di spicco
presente invece, l'oligarca Rinat Akhmetov, proprietario della holding siderurgica
SKM e tra gli uomini più ricchi se non il più ricco delle regioni orientali, che si è
dimostrato più che favorevole alle trattative diplomatiche, bloccando lo scenario se-
paratista – probabilmente in virtù delle considerazioni di tipo economico se la Russia
non dovesse procedere con un'annessione – e sostenendo il processo di riforma
costituzionale che conferisca più poteri alle regioni e la possibilità di un'elezione
diretta dei governanti locali al posto dell'attuale procedura di nomina.
Neanche troppo sullo sfondo restano i focolai di guerra civile e i numerosi episodi di
scontro e violenze, tra cui spicca l'incendio della Casa del Sindacato di Odessa lo
scorso 4 maggio in cui sono rimasti uccisi 31 miliziani filorussi e altri 50 sono i fe-
riti; l'imboscata del 13 maggio nei pressi di Kramatorsk da parte dei separatisti ai
danni di alcuni pro-governativi che ha provocato 7 vittime; l'assalto alla sede televi-
siva di Sloviansk nella notte tra l'11 e il 12 maggio; l'omicidio del Comandante della
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polizia locale di Mariupol, Valeri Androshchuk. Non si è invece tradotto in un'opera-
zione anti-terrorismo su larga scala contro i checkpoint ucraini, come era stato ini-
zialmente paventato, l'ultimatum lanciato il 14 maggio dai miliziani filorussi ai
soldati di Kiev (mentre, a proposito di ultimatum, il Premier slovacco Robert Fico ha
lanciato l'allarme sul possibile imminente blocco – dal 3 giugno – degli approvvigio-
namenti energetici dalla Russia se l'Ucraina non ripianterà i propri debiti). Un Rap-
porto dell'ONU pubblicato il 17 maggio, e che prende come lasso temporale l'inter-
vallo 2 aprile-6 maggio, parla di «assassinii, torture, rapimenti, intimidazioni contro
civili, politici e giornalisti», nonché di almeno 127 morti per il periodo in questione.
L'Alto Commissario per i Diritti Umani dell'ONU, Navi Pillay, ha esortato le parti in
conflitto a terminare le operazioni e i Paesi coinvolti ad arginare le forze estremiste.
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BREVI
BRASILE, 16 MAGGIO ↴
Continuano gli incidenti e gli scontri tra manifestanti
anti-mondiali di calcio FIFA e forze di polizia per le
strade e le favelas di Rio de Janeiro, San Paolo, Recife,
Belo Horizonte, Brasilia e Manaus e in tutte le altre
principali città del Paese sudamericano. I maggiori
incidenti si sono registrati nel quartiere di Taboao,
nell'area di Guarulhos, l’aeroporto internazionale di San Paolo, dove gli agenti hanno
sparato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti che hanno risposto con un fitto
lancio di pietre e l’incendio di auto e pneumatici per bloccare le strade. Secondo i
media locali sono 234 le persone arrestate. Così, a poco meno di un mese (12 giugno)
dall’inizio di una delle più grandi manifestazioni sportive al mondo, cortei e violenze
non accennano a diminuire. La rabbia contro i mondiali è dovuta soprattutto alle
enormi somme di denaro spese per allestirli che secondo i manifestanti potevano
essere investiti invece per la costruzione di opere di valore sociale e per migliorare i
trasporti, l’istruzione, l’edilizia e la sanità. Secondo le ultime statistiche i costi
complessivi sarebbero più che triplicati raggiungendo la considerevole cifra di 11
miliardi di dollari. Il governo, che teme nuovi incidenti come in occasione della
Confederations Cup FIFA e la visita del Papa del giugno-luglio 2013, oltre a lanciare
un dialogo con tutte le parti sociali, ha comunque annunciato che manterrà alta la
guardia, soprattutto nelle 12 città che ospiteranno gli incontri.
CINA-VIETNAM, 7 MAGGIO ↴
Crescono le tensioni nell’area del Mar Cinese
meridionale. Questa volta è stato il turno di Vietnam e
Cina. Pechino ha recentemente installato una
piattaforma petrolifera, la Haiyang Shiyou 981, nei
pressi delle isole Paracel, un’area contesa tra Pechino
e Hanoi. Sono seguite polemiche e manifestazioni tra i
vietnamiti, che hanno letteralmente assaltato
fabbriche – pare anche di Taiwan – e causato feriti e morti in alcune decine. Le
autorità di Hanoi hanno condannato la violenza, ma hanno supportato le ragioni delle
dimostrazioni di massa. Anche in mare si sono registrate pericolose tensioni, con le
navi vietnamite e cinesi che hanno rischiato la collisione. Cina e Taiwan hanno quindi
protestato ed invitato il Primo Ministro di Hanoi, Nguyen Tan Dung, a ripristinare
l’ordine e la sicurezza per i propri cittadini e le aziende. La portavoce del Ministero
degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha affermato che «le violenze sono legate
direttamente all'indulgenza del governo vietnamita e alla connivenza con una parte
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delle forze anticinesi». In totale, sono state coinvolte nelle proteste oltre cento
fabbriche e ben dieci di queste sono state incendiate. Almeno due sono stati i cittadini
cinesi uccisi, mentre più di quindici sono stati quelli di etnia cinese. Nonostante tali
fatti, Pechino ha fatto sapere di voler continuare le sue attività di estrazione
petrolifera al largo delle Paracel. Il Generale dell’esercito cinese, Fang Fenghui,
nonché influente membro del Politburo, ha avvertito che la Cina farà quanto in suo
potere per garantire la sicurezza ai suoi uomini operanti nel Mar Cinese meridionale.
INDIA, 16 MAGGIO ↴
Dopo una lunga maratona elettorale durata 35 giorni e
9 turni di consultazioni nelle 29 regioni indiane, la
Commissione elettorale nazionale ha assegnato al lea-
der del Bharatya Janata Party (BJP), Narendra Modi, la
vittoria alle elezioni generali con ampio margine. Come
da previsioni, il candidato nazionalista indù ha conqui-
stato gli oltre 272 seggi necessari per formare una
maggioranza alla Camera bassa (o Lok Sabha). Secondo i primi risultati ancora uffi-
ciosi, il BJP e i suoi alleati regionali hanno conquistato oltre 336 seggi sul totale di
543 della Camera bassa. La destra indiana torna così al potere dopo 10 anni di governi
di orientamento socialista del Partito del Congresso di Manmohan Singh e Sonia Gan-
dhi. Nella débâcle della coalizione del governo uscente ha influito il diffuso malcon-
tento per il carovita e la corruzione, perdendo consensi soprattutto negli Stati chiave
dell'Uttar Pradesh, Bihar e Maharashtra che contano la maggioranza dei seggi. Sem-
pre la Commissione elettorale ha certificato una partecipazione popolare record di
551 milioni di votanti pari al 66,38% dell'elettorato, in crescita rispetto ai 417 milioni
di cinque anni fa. Per il Premier in pectore dunque importanti saranno le sfide in
campo economico: lotta alla corruzione e crescita del PIL superiore al 5%, magari
esportando anche a livello nazionale il modello di sviluppo diffuso nei suoi 12 anni di
governo nel Gujarat, dovranno essere i primi impegni di Modi in campo nazionale.
Sul piano internazionale, invece, il compito principale del nuovo Esecutivo sarà quello
di proporre un’idea di India non più potenza incompiuta, bensì quello di un grande
Paese in grado di incidere anche nelle principali arene e crisi globali.
ITALIA, 13-17 MAGGIO ↴
Tour americano per il Ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, che a Wa-
shington prima di incontrarsi con le istituzioni ha recato visita ad importanti think
tank come la Brookings Institution e il Center for American Progress. Ha poi parlato
a rinomati intellettuali nell’ambito del disarmo nucleare e delle relazioni transatlanti-
che. La Mogherini ha quindi incontrato il Consigliere della Sicurezza Nazionale, Susan
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Rice, e subito dopo il Segretario di Stato, John Kerry.
Al centro delle discussioni non ha potuto che esserci
l’Ucraina, su cui il Ministro ha notato una certa con-
vergenza di vedute, dopo quelle iniziali piuttosto dif-
ferenti. È difatti importante, come ha detto la Moghe-
rini, che «nell'affrontare la crisi ucraina dobbiamo
tutti, UE, USA, G7 parlare con unica voce». Kerry ha
poi ringraziato l’Italia «per il suo grande sforzo ed aiuto nell'eliminazione dell'arsenale
chimico siriano offrendo il porto di Gioia Tauro per effettuare il trasbordo delle armi
chimiche di Assad sulla nave USA Cape Ray». Si è discusso anche di Libia, dove
entrambi si sono detti preoccupati dell’ormai cronica instabilità che caratterizza l’in-
tero Paese, di Iran, su cui si attende la conclusione dei negoziati sul nucleare, e di
India, tema sensibile per Roma per via della questione dei marò. Sul piano delle
relazioni tra Italia e USA, molta eco hanno avuto la scorsa settimana le parole dell’ex
Segretario al Tesoro, Timothy Geithner, che nelle sue memorie ha rivelato la contra-
rietà di Washington ad assecondare il “complotto” europeo nel 2011 per deporre dalla
carica di Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
SIRIA, 13 MAGGIO ↴
Le dimissioni dell'inviato speciale per la Siria di Nazioni
Unite e Lega Araba, Lakhdar Brahimi, già succeduto nel
2012 all'ex Segretario Generale dell'ONU Kofi An-
nan, rappresentano indubbiamente una sconfitta per la
soluzione diplomatica del conflitto in Siria, a pochi
giorni, peraltro, delle elezioni presidenziali che certa-
mente decreteranno la vittoria di Bashar al-Assad. Lo
stesso regime di Damasco, attraverso Fayez Sayegh, deputato del Parlamento ed
esponente del partito Baath, ha auspicato che il successore di Brahimi, punto sul
quale Ban Ki-moon non si è ancora espresso, sia meno di parte e non eserciti inge-
renze sugli affari interni siriani. Intanto il Ministro degli Esteri francese, Laurent Fa-
bius, in un incontro a Washington con il Segretario di Stato USA John Kerry, ha di-
chiarato che, nonostante l'accordo dello scorso anno sullo smantellamento dell'arse-
nale chimico, dalla fine del 2013 il regime di Assad avrebbe fatto uso in almeno 14
occasioni di armi non convenzionali. Mentre l'OPAC ha dunque deciso di inviare i pro-
pri ispettori per verificare l'utilizzo di gas nel corso di un attacco nella provincia di
Hama lo scorso 11 aprile, il 7 maggio i ribelli (almeno 1700 combattenti) hanno an-
nunciato l'inizio del ritiro dalla città vecchia di Homs per spostarsi a Dar al-Kabira,
una località controllata dai ribelli ad una ventina di chilometri più a nord, sulla base
di un accordo firmato alcuni giorni prima (4 maggio) con i capi dei servizi di sicurezza
damasceni alla presenza dell'Ambasciatore iraniano e con il sostegno dell'ONU: la
liberazione in sicurezza della città martire di Homs dovrebbe avvenire in cambio della
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liberazione di decine tra militari e agenti dei servizi di sicurezza iraniani e libanesi in
mano agli insorti.
SUD SUDAN, 9 MAGGIO ↴
Non è durato più di 24 ore l'accordo di cessate il fuoco
siglato ad Addis Abeba (Etiopia) sotto la mediazione
dell'Intergovernamental Authority on Development
(IGAD) da parte del Presidente del Sud Sudan, Salva
Kiir, e il leader dell’opposizione ed ex vice Presidente
sud sudanese, Riek Machar, per porre fine a una
guerra civile che andava avanti da cinque mesi. L'intesa prevedeva non solo l'imme-
diata cessazione delle violenze – implementando dunque la tregua già concordata lo
scorso 23 gennaio ma di fatto mai entrata in vigore –, ma anche la formazione di un
governo di transizione di unità nazionale incaricato di redigere una nuova Costitu-
zione rispettosa dei diritti di tutti i gruppi etnici (dinka e nuer in primis, ma non solo) e
di condurre verso nuove elezioni, l'obbligo di includere nei negoziati di pace tutti gli
attori sud sudanesi interessati (e dunque non le sole parti in conflitto), nonché quello
di collaborare con l’ONU per portare aiuto alla popolazione civile, aprendo corridoi
umanitari. La debolezza dell'accordo, che difatti tra le altre cose non specificava a chi
dovesse toccare il compito di formare il governo di unità nazionale, è emersa dopo
poche ore, quando negli Stati di Jonglei, di Unity e dell'Upper Nile sono ripresi gli
scontri tra le forze governative e i ribelli fedeli a Machar: come confermato dal por-
tavoce dell'esercito di Juba, Philip Aguer, e dalla sua controparte ribelle, Lul Ruai
Koang, colpi d'artiglieria sono stati sparati a Dolieb Hill, a sud della capitale dell’Upper
Nile, Malakal, e nel distretto settentrionale di Renk, così come nei pressi di Bentiu
e Rubkona, nelle vicinanze della base della missione internazionale UN Mission in
South Sudan (UNMISS). Nonostante gli attriti e il conflitto degli anni recenti, a spe-
rare su un esito positivo dei negoziati di pace è il Sudan di Omar al-Bashir, che ne-
cessita di una stabilizzazione del Paese resosi indipendente nel 2011 per via delle
riserve petrolifere che, partendo dalle regioni in crisi, si snodano attraverso il territo-
rio sudanese: il Ministro degli Esteri di Khartoum, Abou Bakr al-Seddik, si è detto
pronto ad inviare assistenza alle parti affinché l'intesa entri in vigore.
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ALTRE DAL MONDO
CINA, 6 MAGGIO ↴
Il Centro di ricerche sulla strategia e sicurezza internazionale dell'Istituto di Relazioni
Internazionali e la Casa editrice di Scienze Sociali hanno presentato a Pechino il primo
Libro Blu della Cina sulla sicurezza nazionale: il documento rileva come nel 2013 le
attività terroristiche sul territorio cinese abbiano ripreso con maggiore frequenza (al-
meno 10) per lo più diretti – fattore di novità – nei confronti degli organismi gover-
nativi e di polizia.
KOSOVO, 7 MAGGIO ↴
Con 90 voti a favore e 4 contrari, sui 115 totali, il Parlamento di Priština ha votato lo
scioglimento anticipato della medesima Assemblea nazionale, annunciando per il
prossimo 8 giugno il voto anticipato. Alla base della decisione vi sarebbe stata la
difficoltà del Premier Hashim Thaçi a far approvare la creazione di un Esercito rego-
lare del Kosovo, a causa in primo luogo dell'opposizione dei deputati serbo-kosovari.
KENYA, 16 MAGGIO ↴
Un duplice attentato nel mercato di Gikomba, nel quartiere somalo di Nairobi, ha
provocato la morte di 10 persone e il ferimento di almeno altre 70. Sebbene l’attacco
non abbia ricevuto rivendicazioni, si segue la pista degli estremisti islamisti di al-
Shabaab, che si sarebbero resi colpevoli di altri episodi di violenze nella stessa capi-
tale kenyota già nei primi giorni di maggio.
IRAQ, 30 APRILE ↴
In attesa dei risultati ufficiali, che dovrebbero confermare il Premier uscente Nouri
al-Maliki per il terzo mandato consecutivo, il 30 aprile oltre il 60% degli iracheni si è
recato alle urne per quelle che sono state le prime consultazioni dopo il ritiro delle
forze USA dalla fine del 2011.
IRAN, 16 APRILE ↴
Si è concluso con un nulla di fatto il quarto round di negoziati a Vienni tra Gruppo
5+1 e Teheran per un accordo definitivo sul nucleare iraniano. Il negoziatore iraniano,
Abbas Araqchi, ha assicurato che questa conclusione non deve essere considerata un
fallimento ma utile a preparare il terreno e che le trattive continueranno in vista di
un’intesa globale entro il prossimo mese di luglio.
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NIGERIA, 2 MAGGIO ↴
Mentre sul piano internazionale continua la mobilitazione a favore delle 268 ragazze
rapite da Boko Haram, lo stesso gruppo terroristico si è reso colpevole di una strage
ad Abuja nei primi giorni del mese: un’autobomba esplosa in una stazione degli au-
tobus ha ucciso almeno 19 persone, provocando anche una sessantina di feriti. Nello
steso luogo, il 14 aprile, un altro attacco aveva provocato la morte di 71 persone e il
ferimento di altre 100.
SLOVENIA, 5 MAGGIO ↴
Dopo poco più di un anno di governo, il Primo Ministro Alenka Bratušek ha rassegnato
le proprie dimissioni: ad incidere sulla scelta dell’esponente del partito centrista Slo-
venia Positiva è stata la mozione di sfiducia all’interno dello stesso partito avanzata
dal suo principale antagonista, il sindaco di Lubiana, Zoran Janković, che ha accusato
la Bratušek di non aver affrontato nel giusto modo la crisi economica del Paese.
SUDAFRICA, 7 MAGGIO ↴
Come da aspettative, con il 62,2% dei voti l’African National Congress (ANC) del
Presidente uscente Jacob Zuma si è confermato – nonostante gli scandali e le accuse
di corruzione a suo carico – alla guida del Paese per il secondo mandato consecutivo.
Si attesta al 22,15% la principale formazione di opposizione, la Democratic Alliance
di Mmusi Maimane, mentre raccolgono il 6,3% i populisti radicali di Julius Malena.
THAILANDIA, 8 MAGGIO ↴
La Corte Costituzionale di Bangkok ha stabilito la destituzione del Primo Ministro Yin-
gluck Shinawatra, riconoscendola colpevole di abuso di potere a fini personali quando
nel 2011 depose il Capo della Sicurezza nazionale, Thawil Pliensr, con il cognato del
fratello del Premier, Thaksin Shinawatra, il Generale Priewpan Damapong. Anche la
Commissione nazionale anti-corruzione ha riconosciuto il leader del Pheu Thai colpe-
vole di corruzione al termine di un'indagine sul programma pubblico di sussidi sul
riso. Nuove elezioni sono attese per il 20 luglio anche se la data non è stata ancora
ufficializzata.
TURCHIA, 14 MAGGIO ↴
Sono riprese con vigore proteste anti-governative – questa volta accusato di negli-
genza nella tutela della sicurezza dei lavoratori – a seguito dell’esplosione nella mi-
niera di Soma che ha provocato la morte di 282 persone. La polizia è dovuta interve-
nire con lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere manifestazioni nella stessa
Soma, a Smirne, ad Ankara e ad Istanbul.
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ANALISI E COMMENTI
LA CRISI DEL “FATTORE K” IN ARGENTINA: ANTEPRIMA DI UN NUOVO POSSIBILE DEFAULT
FRANCESCO TRUPIA ↴
In Argentina la vittoria del Frente Renovador di Sergio Massa alle scorse elezioni
legislative di mid-term di ottobre ha impresso una pesante sconfitta all’attuale Presi-
dente Cristina Kirchner. Dopo aver perso dodici dei ventiquattro distretti del Paese,
la crisi economica ha diminuito le chances di riconferma per il terzo mandato conse-
cutivo alla già ribattezzata politica del “fattore K”. Durante gli ultimi mesi il Presidente
argentino ha subìto un ulteriore ridimensionamento non solo sul piano politico. Per la
coalizione governativa la sconfitta elettorale di ottobre ha condotto alla perdita di 2/3
dei parlamentari necessari per effettuare le auspicate modifiche costituzionali.
(…) SEGUE >>>
L’ALGERIA AL VOTO TRA INSTABILITÀ E INCOGNITE
SARA BRZUSZKIEWICZ ↴
Il 17 aprile oltre 38 milioni di algerini saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo
Presidente della Repubblica Democratica Popolare. Una data fondamentale per le sorti
presenti e future del Paese retto dal 1999 da Abdelaziz Bouteflika, passato indenne
attraverso gli ultimi turbolenti anni e le cosiddette Primavere Arabe, ma ancora inca-
pace di garantire una svolta positiva al processo democratico. Ad un’analisi più ap-
profondita, infatti, risulta evidente come in Algeria siano presenti squilibri sociali
molto forti e un diffuso malcontento popolare provocati da un lato dalla stagnazione
economica e da una critica totale verso la staticità del sistema politico vigente, dall’al-
tro dal fenomeno mai sopito del terrorismo di matrice islamista (…) SEGUE >>>
LA POSSIBILE SVOLTA DELLA QUESTIONE CIPRIOTA
ANNALISA BOCCALON ↴
L’11 febbraio i negoziatori ciprioti greci e turchi hanno raggiunto un accordo con-
giunto sulla necessità di riavviare i negoziati sotto l’egida ONU per risolvere la que-
stione di Cipro Nord. Era il 20 luglio 1974 quando con la cosiddetta Operazione Atilla
le truppe turche invasero un terzo dell’isola di Cipro, appellandosi al Trattato di Zurigo
e Londra del 1960, per stroncare il colpo di Stato del movimento nazionalista EOKA
B, sostenuto dalla Guardia nazionale cipriota e dal regime dei Colonnelli dal 1967 al
potere ad Atene, ai danni dell’Arcivescovo Makarios, primo Presidente della Repub-
blica di Cipro dopo l’indipendenza dal Regno Unito. L’intervento turco, che portò infine
nel 1983 alla nascita della Repubblica Turca di Cipro Nord (Kktc) presieduta da Rauf
Denktaş (…) SEGUE >>>
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L’ACCORDO HAMAS-FATAH: UN NUOVO REBUS PER IL MEDIO ORIENTE
STEFANO LUPO ↴
Il 23 Aprile 2014 potrebbe divenire una data storica per svariati motivi e non solo per
l’accordo che torna a legare in un unico ensemble Hamas e Fatah. Data per scontata
la necessaria presa di distanza dei leader del governo di Israele, il totale superamento
delle logiche post-Oslo 1993, anticamera dell’inimicizia tra Hamas e Fatah, segna il
ribaltamento delle posizioni del biennio 2006-07 tra i due movimenti palestinesi,
dall’altro la possibile fine di Hamas come elemento di power balance tra Tel Aviv e
Ramallah. Il gesto del 23 aprile, che per la verità ha trovato piuttosto fredda la piazza
di Gaza City dopo i tentativi andati a vuoto nel 2007, nel 2011 e soprattutto nel 2012
(Accordo della Mecca, Accordo del Cairo e la Dichiarazione di Doha) (…) SEGUE >>>
LA NIGERIA TRA BOOM ECONOMICO E SOTTOSVILUPPO
CHIARA GIGLIO ↴
A seguito della pubblicazione dei nuovi dati economici da parte del National Bureau
of Statistics di Abuja, la Nigeria, con un PIL pro capite in crescita di 510 miliardi di
dollari e già egemone regionale nell’Africa Occidentale, è diventata la prima economia
del Continente, scavalcando il Sudafrica. Tale sorpasso è stato possibile grazie
all’operazione nota come “rebasing”, vale a dire l’aggiornamento dei parametri per il
calcolo del Prodotto interno lordo ad opera dello stesso Ente: con un semplice spo-
stamento dell’“anno base” di riferimento del PIL reale dal 1990 al 2010, l’economia
nigeriana compie un enorme balzo in avanti, attestandosi al 26° posto mondiale (…)
SEGUE >>>
OCEANO ATLANTICO, IL NUOVO ELDORADO DELL’ENERGIA?
SIMONE VETTORE ↴
Ai tempi della Guerra Fredda uno degli indiscutibili capisaldi dottrinali, talvolta recitati
come un mantra nei circoli NATO, era che la difesa dell’Europa Occidentale non po-
tesse prescindere dal dominio dell’Atlantico. Tale convinzione derivava in primo luogo
da valutazioni di ordine strategico-militare ed, in subordine, di natura politico-econo-
mica: per quanto riguarda il primo aspetto uno sguardo ad una carta geografica del
periodo è sufficiente a chiarire come, nel contesto globale dei due blocchi contrappo-
sti, l’Europa al di qua della cortina di ferro non fosse altro che un’appendice a stelle
strisce affacciata sulla sponda orientale del “laghetto” nordatlantico (…) SEGUE >>>
I RIFLESSI DELLA RIFORMA AGRARIA DEL GIAPPONE SUGLI EQUILIBRI DEL PACIFICO
PAOLO BALMAS ↴
A partire dal 2014, la consolidata politica giapponese sulla produzione e sulla vendita
del riso subirà un radicale cambiamento. Il controllo delle quote dal 1970 è stato
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impostato con l’obiettivo di mantenere il prezzo del riso alto e di garantire agli agri-
coltori un sussidio statale annuale. Ciò permetterebbe di rendere il riso giapponese
molto competitivo sui mercati esteri e incrementare le esportazioni come mai avve-
nuto prima. Le scelte rivoluzionarie di Abe arrivano proprio nel vivo del dibattito
sul Trans Pacific Partnership (TPP), il trattato che dodici Paesi che si affacciano
sull’Oceano Pacifico stanno concordando al fine di abbattere i limiti che regolano la
libertà di scambio delle merci e la proprietà intellettuale (…) SEGUE >>>
POLONIA, LA NUOVA FRONTIERA ECONOMICA DELL’EUROPA
ALBERICO IUSSO ↴
Il 1° maggio 2004 è una data storica per l’Europa Orientale. Quel giorno infatti, en-
trando in vigore il Trattato di Atene firmato l’anno prima, veniva sancito l’ingresso
nell’Unione Europea di Cipro, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania,
Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia. Tre anni più tardi si sarebbero aggiunte anche
Bulgaria e Romania. L’allargamento del 2004 non ha solo rappresentato la riunifica-
zione dell’Europa dopo la Guerra Fredda, ma anche un’incredibile opportunità per i
nuovi Paesi membri di accedere al più ricco mercato del mondo, nonché alle risorse
dei Fondi Strutturali. I primi anni dopo l’allargamento sono stati estremamente posi-
tivi per le economie dell’Est. Sebbene in misura diversa, tutti i Paesi hanno beneficiato
delle risorse europee, sapendo sfruttarle per un ammodernamento delle proprie in-
frastrutture e dei propri processi produttivi (…) SEGUE >>>
EUFOR RCA, ULTIMA CHIAMATA PER LA REPUBBLICA CENTRAFRICANA?
DANILO GIORDANO ↴
Dopo ripetuti rinvii, il 1° aprile la portavoce del Consiglio d’Europa, Susanne Kieffer,
ha annunciato che durante l’ultima seduta dello stesso organismo prima del quarto
Vertice UE-Africa (2-3 aprile) è stata approvata l’operazione militare europea EUFOR
RCA nella Repubblica Centrafricana. Oltre all’Italia, che ha messo a disposizione al-
cuni veicoli e una quarantina di uomini, saranno otto i Paesi che schiereranno i propri
militari: Spagna, Svezia, Estonia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Georgia e Francia.
Proprio quest’ultima, già operativa sul suolo africano con una propria missione di
circa duemila soldati (Opération Sangaris), ha fatto grandi pressioni sui partner eu-
ropei affinché si costituisse EUFOR RCA (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net
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