capitolo progetti economia aziendale
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1.1 GLI OBIETTIVI E I VINCOLI DEL PROGETTO
Il progetto nasce per soddisfare un bisogno di un cliente interno o
esterno dell’azienda e, attraverso l’analisi di modifica dei processi esistenti
o di ricerca di nuovi, persegue il raggiungimento dell’obiettivo
programmato e con esso i suoi limiti.
Dallo studio svolto ho avuto modo di vedere che, le ragioni che
determinano il suo sviluppo possono essere più o meno esplicite. Ci si
sposta dalla realizzazione di un prodotto commissionato alla creazione di
prodotti o servizi innovativi per conquistare la leadership di mercato o
ancora per ridurre il time to market che tanto condiziona le moderne
aziende.
Sono tutti obiettivi possibili e tutti diversi ma esiste una linea comune
ad ognuno di essi: ogni progetto posto in essere possiede infatti degli
obiettivi e dei vincoli di continuità.
Si tratta di elementi che fanno da anello di congiunzione tra il progetto
e l’azienda, elementi che derivano dalla cultura interna e dalle routine che si
sono impiantate negli anni all’interno dell’organizzazione.
L’attento studio degli obiettivi del progetto, da parte della società,
determina l’assegnazione delle risorse e l’assunzione dei rischi, questa è la
ragione per cui diventa cruciale la loro comprensione e la loro gestione.
Per quanto concerne la gestione, il lavoro del team dovrà essere
trasformato in un piano di azioni singole, al fine di dare organicità al
progetto stesso, in linea con le aspettative aziendali e con la possibilità di
valutare costantemente la corrispondenza tra i risultati realizzati e quelli
preventivati (vedi figura).
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OBIETTIVI E VINCOLI DI CONTINUITA’
Obiettivi e vincoli di continuità
PIANIFICAZIONE
Piano di azioni
PROGETTO
Risultati
MISURA DEI RISULTATI
Nonostante la linearità di questo meccanismo la sua applicazione nella
pratica non è altrettanto semplice.
Spesso infatti la variazione dello scenario esterno determina la
complessità del progetto, la cui pianificazione dovrà essere adattata
all’incertezza crescente per reagire in modo tempestivo agli eventi inattesi.
Nella pianificazione dovranno quindi trovare spazio sistemi di
controllo che siano in grado di porre costantemente in evidenza la relazione
tra le azioni singole, gli obiettivi ed i vincoli di continuità per permettere
aggiustamenti rapidi al progetto; è questa, a mio avviso, la difficoltà
maggiore che le aziende dovranno affrontare.
Ad ogni modificazione di una variabile quindi, il responsabile di
progetto sarà costretto a ripercorrere gran parte del processo di
pianificazione, da qui la necessità di disporre di strumenti veloci e in grado
di studiare contemporaneamente quante più variabili possibili.
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Anche se tale soluzione aumenterà di fatto la difficoltà di gestione di
un sistema di per sé già complesso.
Ritengo che l’equilibrio si ottenga attraverso la sua scomposizione
strutturale in sottoinsiemi, cosicché la complessità possa essere gestita
operando su problemi circoscritti e sui punti di collegamento tra le
attività,detti dalla letteratura in materia punti di snodo.
Ritengo che la scomposizione in sottoproblemi sia il metodo migliore
per contrastare la variabilità dell’ambiente esterno attraverso la velocità di
risposta e la semplificazione delle aree di gestione.
E’ pur vero che tale metodologia frammenta a tal punto il problema
che si rischia di perdere di vista la successione logica delle attività ed il
vero obiettivo del progetto.
La mia opinione è che la giusta individuazione dei punti di
collegamento tra le attività sia fondamentale per il successo del lavoro.
Una volta identificati gli obiettivi andrà invero fatta molta attenzione
a non confonderli con il risultato del progetto.
Dalle esperienze dirette che ho avuto modo di raccogliere, questo
sembra essere uno degli errori che si propone con maggior frequenza.
Di seguito riporto una distinzione inequivocabile per non confondere
gli obiettivi e i vincoli con il risultato finale del progetto.
Gli obiettivi e i vincoli possono considerarsi per la gran parte variabili
esogene, mentre il risultato dovrà possedere le caratteristiche richieste dal
cliente esterno o dal top management, con specifiche caratteristiche di:
• Qualità, intesa come caratteristiche dell’output richiesto
• Tempo, cioè le scadenze entro le quali va consegnato il prodotto
• Costo, cioè i limiti economici ai quali deve attenersi il progetto.
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Le specifiche dell’output appena presentate vengono dette obiettivi e
vincoli “specifici” in quanto legati alla natura stessa del progetto.
Appare così evidente che si procede dal generale al
particolare…Quelli di continuità delineano le linee di sviluppo mentre
quelli specifici sono la loro traduzione operativa e adattabile all’output
richiesto.
Analisi dei vincoli di costo e di tempo
E’ peculiarità del progetto la sua tempestività e il rispetto delle
scadenze, eppure questo viene trascurato a vantaggio della particolarità del
prodotto e delle sue specifiche di qualità.
Trascurando l’onere di eventuali penali da pagare, la rilevanza del
tempo va rintracciata, a mio avviso, nell’aumento del monopolio
temporaneo del prodotto innovativo e nell’allungamento della vita del
prodotto fattori cruciali per la sopravvivenza stessa dell’azienda.
Rispetto dei limiti economici del progetto
La meritevolezza di un team è anche nel rispetto dei limiti economici
poiché il budget a disposizione viene studiato non solo per coprire i costi
diretti ed indiretti del progetto stesso, ma anche per consentire investimenti
di sviluppo dell’impresa e la remunerazione del capitale, il tutto a fronte del
prezzo riconosciuto dal cliente.
E’ pur vero che queste sono affermazioni teoriche, dai progetti da me
analizzati, risulta che, nella pratica, il rispetto degli obiettivi e vincoli
specifici non è di così semplice attuazione.
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Esiste infatti un trade off tra i tre elementi: forti connessiono che non
permettono la modifica di uno senza variazioni consistenti degli altri; ad
esempio, la ricerca di una migliore qualità del prodotto allunga i tempi di
realizzazione, aumenta i costi e l’utilizzo di risorse, mentre un orizzonte
temporale accorciato abbrevia l’intervallo di previsione, limitando il
verificarsi di eventi imprevisti e riducendo al massimo la necessità di
variazioni in corso d’opera.
E’ delegato al responsabile di progetto il compito di cercare quei
circoli virtuosi che esistono tra le variabili in gioco nonché di prevedere e
fronteggiare situazioni di emergenza, consentendo una diminuzione dei
costi dovuti a sprechi o a penali.
1.1.1 SVILUPPO DEGLI OBIETTIVI E VINCOLI
SPECIFICI A PARTIRE DA QUELLI DI
CONTINUITA’: LE FINALITA’ DEL
PROGETTO.
Nel paragrafo precedente si è detto che si passa dal generale al
particolare andando dagli obiettivi e vincoli di continuità a quelli specifici,
vediamo adesso come.
Anche se intuitivo può sembrare lo sviluppo dei confini di un progetto
ho rintracciato 4 punti critici che non vanno sottovalutati:
1. La prima difficoltà che si incontra sta nel ricercare le relazioni
che traducono gli obiettivi di continuità i specifici. Difficile
quindi risulta il passaggio dalle mete di lungo periodo ai
risultati attesi del progetto, di breve periodo. E’ evidente come
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l’azienda si ponga dei traguardi di sviluppo per archi temporali
di 3-5 anni studiando la situazione macroeconomica generale,
purtroppo però le società definendo piani industriali generali
non predispongano adeguati piani operativi di breve periodo,
sarà quindi, in questo caso, compito del responsabile di
progetto trovare una coerenza tra lo sviluppo e i risultati del
progetto e i piani industriali dell’azienda. Ritengo che operando
in questo modo, oltre a ritrovare le linee guida per il suo
progetto, il responsabile di progetto riuscirà ad allontanare
possibili conflitti tra il team e l’organizzazione aziendale.
2. La seconda criticità è insita nella scarsità di informazioni che si
dispone, nella fase iniziale, sulla reale fattibilità del progetto
rispetto alle caratteristiche richieste.
3. Un problema di natura diversa si incontra poi nelle fasi di
sviluppo, è l’esigenza di isolare completamente i risultati del
progetto da tutte le variabili di contesto e dalle mete interne. A
questo proposito ritengo sia utile non solo separare gli obiettivi
ma anche delineare i confini del progetto, così da permettere
una chiara identificazione dei risultati rincorsi dal team. Spesso
infatti che nella corsa del rispetto delle scadenze e dei costi si
perdano di vista quelle che sono le reali mete.
4. L’ultimo ostacolo, in sequenza temporale, che dovrà essere
aggirato dal project manager sarà la difficoltà di trovare gli
indicatori più opportuni che consentano la misurazione del
lavoro svolto. Per soddisfare la flessibilità necessaria a questo
tipo di lavoro, saranno necessari strumenti che permettano di
porre in essere azioni correttive in itinere, visualizzare
immediatamente i lavori in corso d’opera, nonché stabilire
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quando il progetto possa considerarsi concluso. Gli strumenti
Pert e Gantt, da me approfonditi nel capitolo 5°, hanno le
caratteristiche di immediatezza e flessibilità ma per il loro
utilizzo è richiesto personale qualificato con formazione ad
hoc.
Dopo la rassegna delle difficoltà insite in un progetto, più avanti
ampiamente commentate, sarà ora possibile classificare i progetti sulla
base degli ostacoli che presentano per la definizione e controllo degli
obiettivi e vincoli specifici.
L’analisi si basa sulle caratteristiche del cliente cui è destinato il
risultato del progetto (immagine di seguito1).
GRADI DI COMPLESSITA’ NELLA GESTIONE GRADI DI COMPLESSITA’ NELLA GESTIONE DEGLI OBIETTIVI DI UN PROGETTODEGLI OBIETTIVI DI UN PROGETTO
INNOVAZIONI DIFFUSE
PROGETTI DI SERVIZIO INTERNI
SVILUPPO DI NUOVI
PRODOTTI
PROGETTI SU COMMESSA
Cliente
esterno
Clienteinterno
Note a priori
(Cliente -committente)
Non definite a priori
(Cliente – target)
Richieste del cliente
−−− 1 Amato R. “Il project management nell’organizzazione aziendale”, Ed. Alemanni, 1989.
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Dando uno sguardo alla verticale della matrice, immediata è la
distinzione sulla base della natura del cliente.
Con il cliente esterno si identifica il segmento target dell’impresa: è il
caso di progetti di commessa; mentre con cliente interno si designano le
necessità dell’azienda in quanto tale e dei sui dipendenti,:esempio la
richiesta di innovare il sistema informativo.
La linea orizzontale della matrice invece, opera una distinzione sulla
base delle conoscenze possedute dall’azienda e sulle esigenze del
destinatario finale dell’output.
Quando le caratteristiche che deve possedere il prodotto sono note a
priori avremo un cliente-committente. Il richiedente parteciperà
all’individuazione degli obiettivi e dei vincoli specifici delineando e
concordando le caratteristiche del prodotto.
E’ questo un contratto di committenza; il consumatore chiederà ad
esempio la costruzione di una scrivania, e ne sciorinerà le caratteristiche in
tutti i dettagli (altezza 100 cm, profondità 60 cm, lunghezza 120 cm, con
due cassetti, n legno di noce ecc..).
Viceversa quando le esigenze del cliente non sono note, ovvero ci si
riferisce ad un cliente-target, i dettagli e i confini del progetto dovranno
essere valutati e stabiliti dall’azienda.
In questo caso l’acquirente non entra affatto in contatto con
l’organizzazione dell’impresa ma trova in commercio il prodotto a lui più
confacente.
Sarà opera quindi dell’azienda fare delle indagini di mercato che le
consentano di avvicinarsi quanto più possibile alle esigenze del
consumatore.
Dall’incrocio tra le verticali e le due orizzontali si ottengo quattro
riquadri contenenti diverse tipologie di progetto, ognuna delle quali con
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diverso grado di criticità nell’individuazione dei punti di snodo, quindi
degli obiettivi e dei vincoli del progetto:
1. Il primo in alto a sinistra ospita i progetti di commessa. Tra il
cliente e l’azienda viene stipulato un contratto contenente le
caratteristiche del prodotto nel dettaglio, il prezzo e i tempi di
consegna.
Vengono così stabiliti i vincoli e gli obiettivi del
progetto,definiti precisamente i punti di snodo, riuscendo così
ad isolare il progetto da eventuali perturbazioni esterne. In
questa situazione l’azienda si trova avvantaggiata poiché gran
parte della pianificazione è ad opera del committente e sua ne è
la responsabilità.
L’unico elemento a sfavore dell’organizzazione sarà la verifica
della fattibilità del progetto, da cui dipende la sottoscrizione o
meno del contratto stesso.
2. Il riquadro in alto a destra propone lo sviluppo di nuovi
prodotti: una situazione in cui del proprio cliente esterno non si
conoscano le preferenze.
Qui, a confronto con la committenza, oltre i problemi circa la
valutazione della fattibilità del progetto, avremo anche
difficoltà nel tradurre gli elementi di continuità in specifiche di
lavoro. Sarà necessario riuscire a valutare congiuntamente gli
obiettivi di competizione nel segmento con la politica
dell’impresa, quindi con il time to market e la gestione delle
risorse sia umane che materiali.
Inoltre la società avrà l’esigenza di avere strumenti di
misurazione idonei a definire la conclusione del progetto e
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quanto più standardizzati possibile per permettere la
comparazione del nuovo output realizzato con altre produzioni.
Punto di maggior criticità rimane comunque la non conoscenza
delle esigenze del cliente. Mentre nella committenza queste
erano esplicite qui sono intuitive e derivano da approfondite e
costose indagini di mercato.
Ecco come interviene la realtà esterna a modificare le variabili
che dovranno essere costantemente verificate e adattate ai
mutamenti. L’azienda si troverà quindi nella situazione di
doversi dotare di supporti decisionali e operativi flessibili e
veloci, gli unici i grado di contrastare l’incertezza
dell’ambiente esterno.
3. Il riquadro in basso a sinistra della matrice propone i progetti di
servizio interni.
Sembrerebbe dalla configurazione simile alla commessa
invece questo progetto presenta sostanziali diversità, spesso
sottovalutate.
Causa degli ostacoli è il cliente interno, quindi, implicitamente,
la mancanza di un contratto scritto. Poiché il consumatore
finale appartiene all’azienda stessa, l’attivazione del progetto è
rapida ma priva di qualsiasi formalismo. Vengono così a
mancare le basi per la definizione degli obiettivi e vincoli
specifici; accade inoltre che il cliente interno tende a rimandare
le specifiche confidando nella possibilità di nuovi e continui
correttivi in seguito.
Mancano così tutte le basi per la riuscita del progetto: la qualità
dell’output non viene definita e con lei neanche i costi
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complessivi, le risorse umane vengono mal impiegate e le
scadenze tendono a protrarsi sempre di più in là con il tempo.
A mio avviso, il rischio più grande di questi tipi di progetti
risiede nel dare spesso avvio al lavoro senza il suo riscontro di
fattibilità e di convenienza economica.
4. L’ultimo riquadro della matrice indica i progetti di
innovazione diffusa.
Tra quelli trattati hanno il maggior grado di criticità. Potremmo
dire che sono una sorta di committenza interna ad opera del top
management ma l’utilizzatore finale rimane sconosciuto, cos’
come le caratteristiche dell’output da produrre. Sono un
esempio di questa tipologia i progetti di innovazione
organizzativa (si pensi a quelli di Qualità Totale), ma la loro
definizione è assai complessa.
Di fatto, non essendo definiti esplicitamente gli obiettivi ed i
vincoli specifici anche i confini del progetto risultano incerti,
così come il suo completamento.
La mia opinione è che, soltanto una buona capacità di
conversione degli obiettivi e vincoli di continuità in quelli
specifici permetta di limitare il verificarsi di eventi inattesi e
nel contempo di abbreviare i tempi di risposta a questi.
struttura che consente di passare dal generale al globale
traducendo la politica aziendale in specifiche di progetto
permette, da quanto si deduce dall’analisi svolta, di limitare la
probabilità del verificarsi di eventi inattesi e nel contempo di
abbreviare i tempi di risposta a questi.
A conseguenza di ciò potremo riscontrare miglioramenti sia di
qualità che di costi: gestire le variabili ambientali consentirà di
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evitare quel degrado qualitativo che spesso si riscontra nelle
soluzioni progettuali prese troppo velocemente; nel contempo
si eviteranno continue e dispendiose modifiche permettendo
una sostanziale riduzione dei costi.
Visualizzate le finalità vediamo ora come gli obiettivi e i
vincoli di progetto pongano delle frontiere allo sviluppo del
progetto.
1.1.2 SVILUPPO DEGLI OBIETTIVI E VINCOLI
SPECIFICI A PARTIRE DA QUELLI DI
CONTINUITA’: I CONFINI DEL PROGETTO
Con l’analisi della matrice di complessità degli obiettivi specifici si
sono evidenziate le finalità del progetto, ora andremo a stabilire i confini
del progetto identificando gli ambiti di intervento e gli attori interni ad esso.
Esattamente come le finalità del progetto essi possono essere
efficacemente gestiti e controllati traducendoli in obiettivi e vincoli
specifici, definendo così i gradi di interazione e separazione tra il progetto e
l’ambiente esterno.
Sia gli obiettivi che i vincoli specifici saranno indispensabili per
tracciare le linee di confine del progetto la cui identificazione chiara e
corretta costituirà un elemento indispensabile per la riuscita del lavoro.
Andiamo ora ad esaminare i due elementi necessari per stabilire le
frontiere:
⇒ Individuazione di tutti gli elementi che possono apportare limiti al
progetto
⇒ Verifica della coerenza tra finalità e confini.
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1.1.2.1 – GLI ELEMENTI VINCOLANTI IL PROGETTO
Anche in questo caso per addentrarci in un’analisi più accurata
useremo come punto di partenza la figura sottostante2.
Il motivo che sta alla base di questa scelta risiede nel fatto che, nella
pratica quotidiana, risultano sempre evidenti i limiti di contesto ma spesso
si perdono di vista quelli più specificamente inerenti ad esso e
schematizzarli aiuterà a tenerli in costante attenzione.
Come dicevo ogni progetto deve sottostare ad alcuni obblighi per sua
natura “innati”: sono quelli legislativi, politici e sociali, ma questi essendo
“istituzionali” saranno sempre ben evidenti; proviamo ora ad osservare
quelli invece che potrebbero rivelarsi “occulti”.
GLI ELEMENTI PORTATORI DI VINCOLI PER IL PROGETTO
AZIENDA
3 INSIEME DI IMPATTO
5 OBIETTIVI INDIVIDUALI
4 AMBIENTE INTERNO
2 CLIENTE
interno
esterno
1AM
BIE
NTE
ESTER
NO
PROGETTO
A seguire gli attori che intervengono nella formazione dei confini del
progetto.
−−− 2 Amato R. “Il project management nell’organizzazione aziendale”, Ed. Alemanni, 1989.
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1. L’ambiente esterno all’azienda. Sono l’elemento ritenuto più
vincolante per il progetto in quanto le sue variabili sono immodificabili ad
opera del team o dell’azienda. Per questa ragione vengono ritenuti fattiri
esogeni, ma la loro natura varia da progetto a progetto. Possono riguardare
normative di diversa origine: da quella fiscale a quella ecologica; o ancora
possono dipendere da agenti macroeconomici , tecnologici, culturali,
politici .
2. I clienti. Vincoli importanti vengono posti dal cliente sull’output,
sia che si tratti di contratti di commessa sia che si tratti degli altri tipi. Nel
primo caso le specifiche saranno puntuali e le caratteristiche esplicite e
regolamentate da un contratto, se si tratta invece di clienti target i dettagli
saranno studiati dall’azienda a fronte di accurate indagini di mercato, ma
sempre chiari ed inequivocabili. L’unico caso in cui si potrebbero
riscontrare delle difficoltà nel rintracciare i limiti è quando si realizza un
prodotto per un cliente interno. Come già detto, in questo caso il
consumatore tenderà a rimandare la descrizione delle specifiche confidando
in modifiche successive. Per ovviare parzialmente, ritengo che sia
opportuno non pensare al cliente in quanto tale, ma all’utilizzo che dovrà
fare dell’output richiesto.
3. L’insieme di impatto. Questa è una classificazione assolutamente
generale che comprende tutte quegli individui, gruppi o enti, esterni al
progetto, ma interni all’azienda che influenzano in vario modo i vincoli del
progetto stesso. Un esempio può essere fatto con un progetto di sviluppo
interno inerente l’innovazione dei processi produttivi. I limiti dovuti al
sistema di impatto possono riguardare le difficoltà interne come la
manutenzione, l’impossibilità di utilizzo di sistemi opportuni, scarsa
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formazione del personale addetto, e per ultimo la resistenza al cambiamento
da parte delle strutture, quadri e dirigenti intermedi.
4. L’ambiente interno all’azienda. In questa definizione potremmo
individuare quelli che abbiamo chiamato vincoli di continuità. Si tratta di
frontiere poste da norme e regole interne, dalla cultura organizzativa
dell’azienda, dalla disponibilità di risorse e dal loro utilizzo, dagli standard
qualitativi e tecnologici, dal grado di integrazione dei fornitori, dai rapporti
con le concorrenti…
5. Gli obiettivi individuali. Si tratta di tutti quei vincoli che vengono
posti ad opera dei partecipanti al team di progetto ma che possono
considerarsi esogeni e difficilmente gestibili. Si tratta di remore
dell’individuo all’esporsi nel gruppo, di difficoltà di inserimento e di
condivisione degli obiettivi…elementi che verranno approfonditi nel corso
del capitolo al fine di imparare a condurli per consentire la buona riuscita
del progetto.
Per il successo del progetto, da quanto ho avuto modo di apprendere,
sarà quindi necessario armonizzare le finalità con i confini, rintracciare cioè
una coerenza tra gli obiettivi e i vincoli di continuità per poi giungere ad un
loro puntuale dettaglio con quelli specifici.
Ritengo che, nella fase di avvio e di sviluppo del progetto, sia
indispensabile porre maggiore attenzione nell’individuare le variabili
esogene e quelle endogene, nel porre in essere meccanismi che indirizzino
tutti gli elementi verso un risultato positivo del progetto.
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Nelle prossime pagine introdurrò elementi tecnici e relazionali che
considero variabili cardine del progetto la cui gestione, seppur complessa, è
possibile attraverso tecniche diverse per ogni tipo di problema.
Analizzerò i punti critici dei fattori che influenzano l’andamento del
lavoro, e cercherò di proporre alcune possibili soluzioni agli inconvenienti
analizzati fin ora.
1.2 PRESUPPOSTI ORGANIZZATIVI TECNICI E
RELAZIONALI PER IL SUCCESSO DI UN PROGETTO
Analizzando i progetti ho avuto modo di verificare come il loro buon
fine dipenda in sostanza da due dimensioni organizzative tra loro opposte:
quella razionale e quella relazionale.
La prima contempla tutte le fasi puramente tecniche della gestione del
progetto: dalla definizione degli obiettivi e delle competenze professionali
alla definizione delle risorse utili, alla pianificazione dei tempi e dei costi.
La dimensione relazionale considera invece le logiche interne al
gruppo, quindi i problemi relazionali inter gruppo e quelli tra il team di
progetto e gli attori esterni ad esso.
1.2.1 PRESUPPOSTI ORGANIZZATIVI TECNICI
Nella prima definizione di quello che intendo per dimensione
razionale ho fatto riferimento a numerosi e complessi aspetti tecnici del
progetto, la cui gestione passa attraverso la loro armonizzazione in un piano
di progetto e l’analisi seguente vuole dimostrare la complessità delle
condizioni tecniche per la buona riuscita del progetto.
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E’ necessario infatti costruire un programma di lavoro in grado di
porre ordine nella molteplicità degli strumenti usati e di dare organicità alle
tante fasi o attività in cui il lavoro verrà smembrato per essere affidato ai
partecipanti del team.
La formulazione di un buon piano di progetto risulta quindi essere uno
degli elementi critici per la realizzazione stessa del progetto. Esso consente
ad ogni membro di visualizzare come il proprio incarico partecipi nel
conseguimento degli obiettivi, la sequenza con cui le attività dovranno
essere svolte per garantire il proseguimento dei lavori nonché a chi
concerne la responsabilità sui risultati finali e sulle mete intermedie.
Dovranno essere inserite le risorse necessarie, sia umane che materiali,
definiti i tempi di inizio e le scadenze di ogni attività e del progetto nel suo
complesso, così come i costi complessivi: dalla fornitura delle materie
prime, fino alla riconsegna del prodotto finito.
A questo proposito il project manager dovrà anche preoccuparsi di
indicare e predisporre nella pianificazione gli strumenti necessari alla
verifica dei costi ,dei tempi e della qualità del prodotto ottenuto.
Nella tabella a seguire ed in ordine cronologico propongo come, nel
piano di progetto e nelle diverse parti della sua articolazione, si vogliano
prefigurare tutto l’insieme di elementi e fasi che caratterizzano il progetto:
obiettivi, ruoli, responsabilità, risorse, competenze, tempi, costi etc.
Un buon piano di progetto potrà essere preparato rispondendo
esaurientemente step by step alle domande proposte nella tabella che segue.
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* CHE COSA SI DEVE
REALIZZARE ?
Occorre stabilire gli obiettivi, indicati come mete
e obiettivi puri. Questi ultimi, da definire
esplicitamente, costituiscono il risultato finale che il
progetto deve conseguire; le mete sono fasi sequenziali
che devono essere conseguite per raggiungere il
risultato finale. L’output del progetto dovrà essere
definito con tutte le specifiche tecniche, qualitative e di
design.
* QUANDO SI DOVRA’
REALIZZARE?
Devono essere formalizzati dei programmi che
stabiliscano le fasi temporali in cui si dovranno
realizzare le mete e i compiti prescelti individuandone
e analizzandone le correlazioni e gli eventuali passaggi
obbligati.
Dovranno essere note le date di inizio e di
scadenza di ogni attività del progetto nonché di questo
nel suo complesso.
Chiari dovranno risultare incentivi e penali
rispettivamente, sull’anticipo o ritardo sui termini
contrattuali.
* QUANTO VERRA’ A
COSTARE ?
Dovrà essere stilato un budget del progetto, che
permetta di evidenziare la quantificazione il più
possibile precisa delle risorse necessarie e le loro
qualità tecniche.
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E’ essenziale quindi definire la rilevanza
economica del progetto sulla base ove sia possibile di
trend noti, o comunque che diano
un’approssimazione attendibile. Così facendo sarà
possibile confrontare la convenienza della sua
realizzazione rispetto alle sue alternative.
* CHI PORTERA’
AVANTI LA
REALIZZAZIONE DEL
PROGETTO ?
La scelta delle unità organizzative, che dovranno
supportare il project manager nel progetto, può
risultare un fattore cruciale per il successo o
l’insuccesso del compito. Poiché molto rari sono i
progetti portati a termine da una sola persona la scelta
del personale da affiancagli dovrà essere sulla base
delle competenze e dell’attitudine al lavoro di squadra
del personale selezionato per tale scopo.
* QUALE SARA’ LA
RESPONSABILITA’,
RELATIVAMENTE AL
TEAM DI PROGETTO E
ALL’UTILIZZATORE
FINALE?
Alcuni progetti trovano la loro giustificazione a
valle, vale a dire che l’utilizzatore finale identifica un
bisogno e il team di progetto collabora con lui per
ricercare la soluzione .
Punto critico del progetto da valle è l’educazione
dell’utilizzatore ad usare correttamente il sistema
cosicché possa indicare inequivocabilmente le
specifiche del output commissionato.
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* QUALI PRODOTTI O
SERVIZI SI
REALIZZERANNO A
SEGUITO
DELL’ATTIVITA’ DI
PROGETTO ?
La finalità del progetto dovrà essere
estremamente chiara si dall’inizio e quindi sarà
necessaria un spiegazione puntuale e dettagliata,
eliminando dubbi e malintesi che risulterebbero
compromettenti per la buona riuscita del progetto.
* QUALI MECCANISMI
SI DOVRANNO
UTILIZZARE PER FAR
FRONTE AGLI
INCONVENIENTI ?
Il cambiamento risulta ormai essere una costante ed è
quindi necessario imparare a gestirlo. Sono necessarie
procedure già stabilite come persone a questo predisposte o
uno steering committee o un processo di composizione dei
reclami. Sono escamotage che permettono di monitorare il
lavoro.
* COME SI MISURERA’
L’AVANZAMENTO DEL
PROGETTO ?
Sono pochi i progetti che riescono a rispettare i tempi,
ma ciò non traspare se il suo avanzamento viene misurato
attraverso metodi soggettivi e se il team non ha definito
delle mete intermedie. Quindi risulta necessario che gli step
intermedi siano ben definiti e comparabili, così da costituire
una buona base per l’analisi degli scostamenti e delle loro
cause.
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* QUANDO IL
PROGETTO POTRA’
CONSIDERARSI
COMPLETATO ?
Spesso risulta difficile identificare la data finale del
progetto; a volte si protrae fino ad una “morte naturale”, di
gran lunga dopo che il problema di base è stato risolto, per
effetto di richieste successive identificate come
“ottimizzazioni”.
1.2.1.1 GLI OBIETTIVI DEL PIANO
Il piano di progetto possiede numerose finalità. Di seguito analizzerò
quelle che ritengo le più importati dal punto di vista del project manager.
1. Diventare la base per lo svolgimento delle attività. La sua
pianificazione ottempererà a ruolo di guida di tutte le altre
attività, garantendone l’ottimizzazione tramite il controllo della
performance e l’interdipendenza tra le esse così da emettere
output a standard comuni.
La verifica di ciò che si è oggettivamente realizzato, in rapporto
al programma fatto, consente al team di progetto di valutare i
progressi fatti, di operare le necessarie variazioni al piano e di
adottare i provvedimenti idonei per svolgere le attività in cui si
articola. Questa affermazione rischia di essere banale, ma trova
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la sua giustificazione nella constatazione della sua criticità.
Spesso, la decisione su “come procedere” si confonde con
quella sul “dove arrivare”, in particolar modo quando un
progetto viene avviato prima che siano chiariti puntualmente i
suoi obiettivi.
2. La seconda finalità ricoperta dal piano di progetto è quella di
definire e risolvere i problemi.
La fissazione degli obiettivi infatti e la loro successiva
classificazione in primari e secondari permette di individuare i
problemi, di formulare e studiare strategie alternative in termini
di scadenze, di costi, di risultati.
In corso d’opera può essere necessario analizzare , attraverso la
stesura di un piano di azione, se esistano possibilità di
compensazione e armonizzazione delle variabili critiche, sia
nelle fasi iniziali che successivamente, di compromessi atti a
superare le eventuali difficoltà incontrate.
3. Ultima in elenco è la capacità del piano di progetto di agire
sulla comunicazione sia interna al team sia con l’area esterna al
progetto.
La pianificazione di progetto è infatti una forma di
divulgazione e una fonte di informazione per il team di
progetto, il quale dovrà essere posto a conoscenza degli
obiettivi globali, nella speranza, se si riuscirà a coinvolgere tutti
nel processo di elaborazione delle mete intermedie, di ottenere
una buona congruenza tra gli obiettivi individuali e quelli di
progetto.
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1.2.1.2 LA SCIENZA DELLA PIANIFICAZIONE
La mia idea di pianificazione è una programmazione che attraverso
processi induttivi definisce le soluzioni ai diversi problemi insiti in un
progetto.
Dovrà essere identificato:
1. CHI AGISCE
2. CHE COSA FA
Il primo punto è l’assegnazione dei compiti specifici, in base a
professionalità ed esperienze.
Il secondo punto riguarda cosa fare: verranno così definiti gli obiettivi
del progetto, le modalità e i presupposti che sono gli elementi cruciali per la
riuscita dello stesso e per questa ragione dovranno sempre essere chiari e
condivisi dal team di progetto.
Superata questa prima fase, la pianificazione ritengo si debba occupare
del come raggiungere le mete prefissate: si stabiliranno le risorse, materiali
e umane, di cui si dispone, si definiranno i costi di realizzazione e le
competenze dei collaboratori.
Le decisioni relative alle risorse produttive costituiranno un punto di
partenza anche per la definizione dei compiti e delle scadenze. La gestione
delle risorse materiali risulta particolarmente ostica a causa delle
interrelazioni tra le fasi di lavoro, la necessità di standardizzazione degli
input e della loro acquisizione attraverso canali esterni su cui si possiede
scarsa capacità di controllo.
Il piano di progetto deve quindi tener presente non soltanto la cultura
dell’azienda in cui si opera e l’organizzazione interna del progetto ma
anche lo stesso ambiente esterno. Questa affermazione implica la raccolta,
in tutte le fasi del progetto, di informazioni rilevanti e relative allo stato di
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avanzamento del progetto, ai tempi o alle schedulazioni, ai costi, e consiste
nel rapportare i risultati effettivi con quelli programmati, di riuscire a
prevedere i costi e i tempi totali del progetto, a definire tempestivamente
azioni correttive e opere di aggiustamento. Si riesce così a valutare gli
effetti non solo sul breve periodo ma lungo tutta la vita del progetto. Inoltre
ritengo che in questo modo si possa essere in grado, in qualsiasi momento,
di operare valutazioni di performance, sul lavoro effettuato e quello ancora
da realizzare.
La panificazione per risultare uno strumento manageriale valido ai
suoi scopi dovrà sempre indicare i responsabili , predisporre gli strumenti
più idonei e rapidi sulla base del lavoro da svolgere.
Elemento cardine per il buon esito di un progetto è il coinvolgimento
del top management nella realizzazione del processo, tenendo conto dei
criteri e della cultura interna all’azienda.
Ho individuato così nello studio tre elementi chiave: strumenti idonei,
definizione delle responsabilità, delle persone cardine nell’organizzazione
del processo, ed infine una cultura della condivisione degli obiettivi tale da
far coincidere quelli personali con quelli dell’azienda.
Affinché la pianificazione possa affermarsi e divenire cultura dovrà
trovare una buona predisposizione nel management, formato a tale scopo.
Dopo i tanti “pregi” di tale tecnica non vanno sottovalutati i “vizi” in
essa insiti:
⇒ Aura di inviolabilità. Accade quando il piano assurge a libro
sacro, in quanto tale immodificabile e indiscutibile. Esso
diviene più importante degli eventi e dei problemi rischiando
così di far fallire il progetto.
⇒ Divenire scopo e non mezzo. Accade spesso infatti che da
strumento per il progetto essa divenga l’obiettivo stesso del
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progetto, in tale caso sarà necessario rimuovere il personale
coinvolto profeta più di perfezione che di realizzazione.
Risulta assai pericolosa anche la situazione inversa a quella appena
menzionata; può accadere infatti che il piano venga conservato come un
antichissimo tomo impolverato di una biblioteca dimenticata.
Questo può accadere se il personale scelto non abbia una propria
cultura della pianificazione o non sia stato formato a questa.
Ciò potrebbe accadere quando la sua stesura risulti di difficile
comprensione, quando la sequenza operativa che propone non è
immediatamente evidente, ma soprattutto quando le tecniche che stabilisce
per la messa in opera del progetto sono di difficile utilizzazione.
Avendo così evidenziato non solo le virtù di questa metodologia ma
anche i vizi, rimane comunque la consapevolezza della sua indispensabilità
per la buona riuscita di un progetto.
1.2.2 PRESUPPOSTI ORGANIZZATIVI RELAZIONALI
Il fattore più importante, per quanto concerne il mio studio, per la
buona riuscita di un progetto sono le risorse umane.
Si deve ricercare, a mio avviso, tutto l’impegno e le competenze dei
membri partecipanti al fine di raggiungere il più rapidamente possibile gli
obiettivi con gli standard di qualità voluti. Per realizzare tutto questo è
necessario creare le condizioni idonee, nel gruppo ed intorno ad esso, così
da costruire relazioni reciproche di influenza e di sostegno.
In via generale, il nascere e il consolidarsi delle relazioni, come anche
la gestione dei rapporti, è affidata ad individui che ricoprono cariche di
responsabilità all’interno del team: è il caso del project manager.
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Ritengo quindi indispensabile, nella scelta di tali soggetti, non solo
grande competenza tecnica e capacità organizzativa, ma anche quella
intelligenza sociale che permette di ascoltare, comprendere e indirizzare sia
le positività e gestendo le negatività esistenti.
Frequentemente nell’esperienza pratica si vede come, i conflitti
interni, se mal gestiti, portino un clima negativo nel team tanto da essere in
grado di compromettere la buona riuscita del lavoro. Viceversa gli stessi
scontri, se condotti con le dovute attenzioni, possono portare ad aumentare
la partecipazione attiva di tutti i membri del gruppo; ciò sarà possibile solo
ove un buon project manager riesca a dominare lo scontro, trasformandolo
in confronto.
Appare così evidente come, nella scelta del project manager, io
consideri essere necessaria la valutazione di alcune importanti capacità
personali:
⇒ La capacità di coltivare relazioni e conservare amicizie,di stabilire
legami personali di lunga durata.
⇒ La capacità di gestire la comunicazione.
⇒ La capacità di gestire e risolvere conflitti, di negoziare soluzioni.
⇒ L’intuizione nel capire le motivazioni che spingono a certe azioni,
l’analisi degli interessi , le emozioni degli altri.
⇒ L’abilità organizzativa.
⇒ La capacità di conoscere le proprie emozioni e gestirle.
E’ possibile sviluppare queste attitudini nei propri collaboratori con
corsi di formazione idonei, ma i risultati di questa crescita personale sono
scarsamente codificabili, comunque fortemente influenzati dalle attitudini
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possedute da ciascun individuo. E’ possibile tuttavia verificare dei
riferimenti e modelli utili a supportare le relazioni dei membri.
1.2.2.1 LA FORMAZIONE E LO SVILUPPO DEL TEAM
DI PROGETTO
Il team di progetto opera con modalità proprie del gruppo, possedendo
quindi le difficoltà e i vantaggi insiti in questo.
Di cruciale importanza ritengo sia la logicità con cui è stato creato e
l’efficacia che acquisisce nel corso della sua esistenza.
Il gruppo presuppone la nascita di un clima positivo che favorisca lo
sfruttamento di sinergie interne ove le differenze personali, con la creazione di
rapporti di fiducia e coesione, divengano fattori di ricchezza piuttosto che di
ostacolo.
Per la creazione di un buon team questo deve passare attraverso due tappe
fondamentali: la coesione e la leadership.
PRIMA FASE - La prima è l’emergere nel gruppo di modalità che portano
alla cooperazione ed ad un equilibrio interno dato dal senso di appartenenza al
gruppo stesso e alla percezione di intrusione e di non appartenenza al team da
parte dell’ambiente esterno.
A volte è possibile infatti far crescere la coesione interna contrapponendo il
gruppo all’ambiente esterno, aumentando la sensazione di elitarietà dei membri
appartenenti, quasi a renderlo una setta chiusa.
Per quanto invece concerne la leadership si considera il riconoscimento
ufficiale del ruolo di capo ad uno dei membri, data dalla sua capacità di
migliorare il lavoro del gruppo favorendo le relazioni e cooperazioni tra i membri.
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Le conseguenze del mancato instaurarsi di queste situazioni finiscono per
far “collassare” il team.
Io, appoggiandomi alla teoria di Baglieri3, ritengo sia necessario fare grande
attenzione a quello che si ritiene essere il fallimento del gruppo: difficilmente
infatti questo coincide con un esito completamente negativo del progetto.
Il senso di responsabilità verso l’azienda e verso il gruppo, oltre alle forti
pressioni gerarchiche, tendono a mantenere il personale aderente al proprio
mandato.
Il “collasso” normalmente coincide con il sottoutilizzo delle competenze e
delle potenzialità dei membri del gruppo.
Tale fenomeno però raramente trova riscontri oggettivi che possano essere
segnali forti per l’azienda.
Accade così che vadano persi gli elementi di differenziazione del personale
e spesso nella storia aziendale degli individui determinanti il fallimento del
gruppo non ne rimane traccia.
L’evoluzione positiva delle dinamiche interne al team ritengo possa essere
facilitata rimanendo aderenti alle 4 regole di base per il buon funzionamento del
progetto, individuate da Baglieri3:
1. Numero dei componenti del team. Il gruppo per creare dinamiche
positive non deve essere di eccessive dimensioni. Certo è che due individui non
costituiscono un team in quanto la coppia non crea senso di appartenenza; è solo
con il raggiungimento di quattro membri che cominciano a nascere le relazioni
specifiche del gruppo. Si formano così i processi cognitivi del team: la coesione,
la leadership, il consolidamento dei legami interni. Definire invece il margine
superiore diviene più complesso. Il numero massimo di partecipanti non è di
univoca definizione. Sicuro è che esso coincide con il numero di membri che
consenta il massimo sfruttamento delle sinergie collettive e delle potenzialità dei
−−− 3 Baglieri Enzo “Organizzare e gestire i progetti”, Ed. Etas Libri, 1999.
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singoli. Al crescere dei partecipati aumentano le frammentazioni e tende a
prevalere la realtà individuale su quella collegiale. Nelle aziende italiane il
numero ideale sembra essersi attestato intorno alle 5-8 persone fino ad un
massimo di 9-10 per gruppi già abituati al lavoro di gruppo.
Comunque più il numero cresce, tanto maggiore dovrà essere l’abilità del project
manager nella sua gestione.
2. Criteri di composizione del team. Spesso nella fase di costruzione si
tengono in considerazione quasi esclusivamente le competenze tecniche richieste
dal progetto da svolgere. Seppur valido questo metodo non può e non deve essere
l’unico elemento di scelta. E’ utile tenere sempre a mente gli altri criteri generali
di valutazione. Prima tra tutte deve essere l’eterogeneità, che deve essere sempre
preferita all’omogeneità. Differenze culturali, di esperienza lavorativa e di
attitudini, se ben gestite, portano ricchezza al gruppo. Il secondo elemento che
non va dimenticato è la partecipazione di membri che già abbiano avuto
esperienze positive nel lavoro in team. Questo oltre a essere garanzia della buona
gestione dei rapporti e implicitamente del successo del gruppo, può essere un
ottimo surrogato alla formazione specifica dei membri partecipanti.
3. Fasi di crescita del team. Il lavoro per progetti presuppone scadenze
inderogabili ed inevitabilmente forti pressioni temporali, avendo così un percorso
tracciato fatto di tappe obbligate anche se previste. Viceversa le fasi di sviluppo
del gruppo non sono altrettanto certe e stabilite. Tuttavia, nonostante queste
differenze è possibile rintracciare una certa coerenza tra le fasi del ciclo di vita del
progetto e le tappe di sviluppo del team, con i compiti lavorativi ad esso attribuiti.
Alcuni studi hanno dimostrato che, soprattutto nelle fasi iniziali, eventuali
discrepanze tra le due evoluzioni creano dinamiche negative all’interno del
gruppo . Si possono così sintetizzare le fasi di crescita di un gruppo:
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• Costituzione. In questa fase non è ancora possibile parlare di gruppo,
quanto piuttosto di persone con un obiettivo comune. La sensazione prevalente
sarà quella di forte instabilità ed insicurezza generalizzata. Il bisogno prevalente
di ogni membro sarà quello di ritagliarsi il proprio spazio all’interno del team.
• Identificazione. Una volta trovata la propria dimensione i soggetti
inizieranno ad esporsi verso gli altri: è la fase di conoscenza. Si rintracciano le
affinità che creano coesione e si studiano le differenze individuali in relazione alle
competenze ed ai comportamenti. In questa fase il gruppo valuta, attraverso
l’analisi di ogni individuo, le proprie risorse interne trovando coscienza di se. Le
modalità per la buona riuscita di questa fase sarà l’informazione, attraverso la
quale i membri metteranno in comune le conoscenze e le esperienze sul lavoro da
realizzare. Importante sarà inoltre l’elaborazione, esplicita o meno, di modalità di
confronto tra i membri. Il gruppo si trova così ad avere le basi per un buon
rapporto interno e potrà iniziare a gestire positivamente gli eventuali conflitti
insorgenti.
• Compattazione. Si realizza solo se il team ha superato le fasi precedenti.
Non è infrequente che non si riesca ad arrivare fino a qui a causa di contrasti
irrisolti o rancori personali. Tuttavia se l’equipe ha raggiunto questa fase il gruppo
può essere definito tale. I membri hanno perso qualsiasi inibizione e il confronto è
all’ordine del giorno. Nessuna remora intercorre nell’esprimere pareri e la
gestione del conflitto non è più vissuta come problema. In questo clima si liberano
le potenzialità dei singoli membri e la sinergia collettiva è ai massimi livelli; ora il
gruppo è pronto a svolgere al meglio i compiti del proprio mandato.
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MATRICE “COESIONE E PRODUTTIVITA’”
• La matrice pone in relazione il grado di compattezza con la capacità produttiva del team di progetto. Si evidenzia così come una maggior coesione sia la base di partenza sia per il miglioramento dell’individuo membro che per lo sviluppo di sinergie di gruppo.
MEDIA PRODUTTIVITA’
(Individuale e di gruppo)
BASSA PRODUTTIVITA’
ELEVATA PRODUTTIVITA’
(Individuale e di gruppo)
BASSA PRODUTTIVITA’
(Individuale e di gruppo)
ACCETTAZIONE degli STANDARD di PRODUTTIVITA’
Basso Alto
Bas
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E
4
4
• Maturità. In questa fase il gruppo matura appieno la consapevolezza di
se. Il raggiungimento delle mete crea ancor di più senso di appartenenza e
compattezza interna, creando nei singoli un senso di realizzazione.. Ora le energie
interne si spostano all’esterno del gruppo. L’individuo sente di essere orgoglioso
di farne parte e da esso protetto, mentre l’entità collettiva si mostra con
prepotenza all’esterno, è l’esplicitarsi del potere del gruppo nei confronti della
realtà aziendale ad esso straniera.
−−− 4 Amato R. “Il project management nell’organizzazione aziendale”, Ed. Alemanni, 1989.
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FASI DI SVILUPPO DEI GRUPPI
COSTRUZIONE
IDENTIFICAZIONE
COMPATTAZIONE
MATURITA’
ASSE TEMPORALE
La durata di ogni singola fase non è ovviamente definibile a priori a causa
delle differenze tra i membri del gruppo, dalla natura del progetto, nonché dal
contesto organizzativo e culturale dell’azienda.
4 Riunioni. In base alle caratteristiche del progetto il project manager
dovrà stabilire un calendario delle riunioni del team di progetto. Queste
consentono di verificare lo stato di avanzamento dei lavori nella sua globalità,
impostare lo svolgimento del lavoro secondo metodologie e scadenze ben
esplicitate, prendere decisioni di carattere collettivo etc. Questi incontri saranno
anche utili, oltre che per l’aspetto propriamente tecnico-organizzativo, anche per
dare ai membri la percezione di lavorare per il gruppo aumentando la coesione e
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la soddisfazione del singolo. Dovrà trattarsi quindi non di meri momenti di
supervisione e controllo ma veri e propri confronti tra i membri.
Attraverso le quattro tappe previste e facendo molta attenzione, affinché il
gruppo attraversi tutte le fasi proposte, ritengo sia possibile ottenere un team di
progetto che consenta di sfruttare appieno le proprie potenzialità e le sinergie,
nonché di supportare al meglio il project manager nello sviluppo del progetto.
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