d schemi di procedura penale
Post on 16-Apr-2015
725 Views
Preview:
TRANSCRIPT
SCHEMA – TIPO DEL PROCESSO PENALE
INDAGINI PRELIMINARI
↓ ↓ RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE RINVIO A GIUDIZIO ( ESERCIZIODELL’AZIONE PENALE)
↓ UDIENZA PRELIMINARE ↓ ↓ SENTENZA DI NON DECRETO CHE DISPONE LUOGO A PROCEDERE IL GIUDIZIO ↓ DIBATTIMENTO
↓ ↓
SENTENZA SENTENZA DI DI PROSCIOGLI- CONDANNA MENTO
↓
2 GRADO O APPELLO
↓
3 GRADO O RICORSO PER CASSAZIONE.
1
I SOGGETTI DEL PROCESSO
I soggetti del processo penale sono: il giudice, il pubblico ministero, l’imputato, il
difensore, la parte civile, il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la
pena pecuniaria, e la persona offesa. Di queste solo le prime 4 sono parti essenziali,
senza le quali cioè non può esservi il processo, mentre le restanti sono definite parti
eventuali.
IL GIUDICE
Il ruolo del giudice nel processo penale è quello di terzo imparziale al di sopra delle
parti, il quale verifica le prove formatesi nel processo, ed in base a quelle giudica
sulla responsabilità penale dell’imputato.
Il giudice deve avere varie prerogative tra cui: l’autonomia, l’indipendenza, la terzietà
e l’imparzialità.
La prima si riferisce in via esclusiva alla magistratura intesa nel suo aspetto
organizzatorio, la seconda si riferisce invece più che all’ordine nel suo complesso alla
posizione del singolo giudice nel concreto esercizio della giurisdizione. Quindi
mentre l’autonomia riguarda l’ordine nella sua totalità, l’indipendenza indica il
rapporto tra il giudice e la legge, di conseguenza l’autonomia si pone come
strumentale all’indipendenza. L’art. 104 della Cost. afferma che la magistratura è
2
autonoma ed indipendente da ogni altro potere dello stato ed in particolare da quello
legislativo ed esecutivo; ed infatti in tale chiave va visto il Consiglio Superiore della
Magistratura. Ma il problema dell’indipendenza non è solo esterna, cioè verso gli altri
poteri dello Stato, ma è anche interna nel senso che il giudice nell’esercizio della sua
funzione non subisca condizionamenti da altri soggetti appartenenti alla magistratura
che possono trovarsi in una condizione di supremazia; ed ancora una volta la cost.
assicura tale garanzia con l’art. 101 della Cost dicendo che i giudici sono soggetti
soltanto alla legge e che quindi godono di autonomia di giudizio.
Autonomia ed indipendenza si pongono come presupposti indispensabili per la
terzietà e l’imparzialità: nel senso che solo garantendo le prime due sarà possibile
avere un giudice che nell’esercizio della sua funzione sia super partes ossia al di
sopra delle parti e quindi equidistante da entrambe.
L’art. 102 della Cost. vieta l’istituzione di giudici speciali o straordinari, senonchè
proprio nella Costituzione si ritrova l’ipotesi di giurisdizione speciale ed in
particolare la Corte Costituzionale ed il tribunale militare; mentre non esistono
giudici straordinari ossia creati ad hoc.
Esistono, nel processo penale vari tipi di organi giudicanti ordinari: il Giudice di
pace, il Tribunale (collegiale e monocratico) e la Corte di Assise i quali giudicano in
primo grado; la Corte d’Appello e la Corte d’Assise di Appello che giudicano in
secondo grado; infine abbiamo la Suprema Corte di Cassazione, la quale rappresenta
il terzo grado di giudizio1.
1 La corte di Cassazione a differenza di Tribunale e Corte di Appello è giudice di legittimità, in quanto non giudica il merito delle sentenze impugnate ma solo la legittimità di queste ultime.
3
Affinché il giudice penale possa esercitare legittimamente la sua funzione è
indispensabile che egli possegga il requisito della CAPACITA’, con tale termine non
ci riferiamo alla capacità di intendere e volere. La capacità può essere ASTRATTA,
cioè con riferimento all’attività complessivamente considerata, e CONCRETA con
riguardo ai singoli affari sui quali il giudice è chiamato a decidere. Alla prima si
riferiscono le norme dell’ordinamento giudiziario relative alle condizioni di capacità
del giudice e sul numero dei giudici per costituire i collegi. Alla seconda si
riferiscono le norme del codice di procedura penale in materia di incompatibilità,
astensione e ricusazione. L’inosservanza delle norme relative alla capacità è
sanzionata con la nullità ( artt. 178 e 179 cpp ).
Per determinare quale sia il giudice che deve giudicare un imputato bisogna
determinare la COMPETENZA dell’organo giudicante. La competenza è la sfera di
giurisdizione assegnata a ciascun giudice; esistono vari tipi di competenza: per
materia, per territorio, per connessione e per funzione.
Cominciamo proprio da quest’ultima : la competenza funzionale è una competenza
concernente i diversi segmenti in cui è possibile frazionare il processo penale oppure
particolari attività che vengono in esso compiute. Secondo i gradi del processo è
possibile distinguere i giudici di primo grado, di secondo grado o di appello, di terzo
grado o legittimità.
Secondo gli stati del processo si distinguono i giudici per gli stati precedenti il
giudizio, i giudici del giudizio e giudici dell’esecuzione; per gli stati precedenti
abbiamo le indagini preliminari e quindi il gip, e per l’udienza preliminare il gup.
4
Nell’ambito della competenza per stati è consentito enucleare determinate ipotesi di
competenza attribuite con riferimento a specifiche attività compiute all’interno di uno
stato: ad esempio la competenza ad adottare taluni provvedimenti riconosciuti al
presidente del collegio negli atti preliminari al dibattimento. In tema di competenza
per gradi e stati vige la regola che il giudice che ha partecipato ad un determinato
grado o stato del processo non può intervenire negli ulteriori gradi o stati per evitare
che eventuali pre- giudizi possano turbare la serenità e l’obiettività del giudizio.
COMPETENZA PER MATERIA
Tale tipo di competenza stabilisce in concreto per quali reati sono competenti i vari
organi giudicanti di solito essa viene determinata secondo un criterio sia qualitativo
(ossia il tipo di reato es. omicidio, rapina, sequestro di persona etc. etc.), che
quantitativo (riferendosi alla pena edittale prevista per quel tipo di reato)
La Corte di Assise dal punto di vista qualitativo è competente per reati quali
l’omicidio, la strage, l’istigazione al suicidio etc. etc.; dal punto di vista quantitativo è
competente per quei reati puniti con l’ergastolo ovvero con la reclusione non
inferiore nel massimo a 24 anni.
Il Tribunale collegiale dal punto di vista qualitativo è competente per reati quali
l’associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata allo spaccio
di sostanze stupefacenti, corruzione etc. etc.; dal punto di vista quantitativi è
competente per reati puniti con pena massima che va da 10 a 24 anni di reclusione.
5
Il Tribunale in composizione monocratica ( o anche detto giudice monocratico)
dal punto di vista qualitativo è competente per reati quali lo spaccio di sostanze
stupefacenti, evasione etc. etc.; dal punto di vista quantitativo è competente per reati
puniti con pena massima non superiore a 10 anni.
Infine il Giudice di pace ha una competenza per reati di lievissima entità quali le
percosse, minaccia, omissione di soccorso etc. etc.
In secondo grado non vi sono particolari difficoltà in quanto la Corte di Appello è
sempre competente tranne nel caso di sentenza emessa in primo grado dalla Corte di
Assise per il cui caso è competente la Corte di Assise di Appello
COMPETENZA PER TERRITORIO
Tale tipo di competenza vale a determinare territorialmente il giudice competente,
ovviamente presupposto indispensabile per determinare questa competenza e che sia
già determinata la competenza per materia.
Per determinare la competenza per territorio il principio generale sancito dalla legge è
quello secondo il quale è competente il giudice del luogo nel quale il reato è stato
consumato (art. 8 c.p.p).
A questa regola generale il codice fa discendere delle eccezioni:
1. Nel caso in cui dalla condotta criminosa sia derivata la morte di una persona,
allora è competente il giudice del luogo nel quale si è verificata la condotta
criminosa indipendentemente dal luogo nel quale si è verificato poi l’evento
morte (es. se Tizio a Napoli spara a Sempronio, e Sempronio, trasportato in
ospedale a Salerno, muore appena giuntovi, giudicare del reato sarà quindi il
6
giudice di Napoli in quanto è in questa città che si è avuta la condotta dalla
quale è derivata la morte di Sempronio a prescindere dal fatto che l’evento
morte sia poi avvenuto a Salerno) ( art. 8 comma 2 c.p.p.).
2. Nel caso di reato permanente è competente il giudice del luogo nel quale ha
avuto inizio il reato (es. se Tizio rapisce Caio a Napoli e lo trasporta in giro per
l’Italia indipendentemente dal luogo in cui è cessata la permanenza del reato,
sarà sempre competente il Tribunale di Napoli) ( art. 8 comma 3 c.p.p.)
3. Nel caso di delitto tentato è competente il giudice nel cui territorio è avvenuto
l’ultimo atto diretto a commettere il delitto ( es. Caio vuole uccidere
Sempronio allora lo aspetta sotto l’abitazione di quest’ultimo che si trova a
Bergamo, lo pedina in auto fino a Milano e qui lo spara, ferendolo però
solamente di striscio, allora sarà il Tribunale di Milano a giudicare Tizio per
tentato omicidio) ( art. 8 comma 4 c.p.p.).
Nel caso in cui attraverso la regola generale, appena citata, non si riesca ad
individuare il giudice competente ed allora l’ art. 9 c.p.p. indica una serie di regole
suppletive quali: giudice dell’ultimo luogo nel quale è avvenuta una perte dell’azione
o dell’omissione ovvero il luogo di domicilio dell’imputato ovvero ancore il luogo
nel quale vi è il P.M. che per primo ha avuto conoscenza di tale reato.
Le regole appena enunciate per determinare la competenza per territorio subiscono
delle deroghe in talune ipotesi. La prima ipotesi concerne i procedimenti in cui sono
coinvolti i magistrati, infatti l’art. 11 cpp stabilisce la regola per cui le funzioni di
giudice nel processo penale vengono svolte da un giudice di pari competenza per
7
materia ma che si trova in altro distretto di corte di appello. La ratio della regola è
quella di voler evitare che un giudice si trovi a dover giudicare di un collega con cui
condivide l’ufficio e che quindi non sarebbe pienamente sereno nel giudizio e quindi
non si troverebbe nelle condizioni ideale di imparzialità ed obiettività.
Altra deroga si ha in caso di rimessione del processo che esamineremo tra breve.
Ancora altre deroghe sono previste da leggi regolanti materie particolari quali: per
reati previsti dal codice della navigazione consumati a bordo di navi ed aeromobili
non militari, fuori dallo spazio territoriale. In tale ipotesi competente sarà il giudice
del luogo in cui, dopo essere stato commesso il reato, è avvenuto il primo approdo
della nave; solo in via sussidiaria sarà competente il giudice del luogo di iscrizione
della nave.
Altra deroga prevista dall’art.328 comma 1 bis cpp per i procedimenti di criminalità
organizzata nel corso dei quali le funzioni di giudice per le indagini preliminari
vengono esercitate, quale che sia il locus commissi delicti, da un magistrato del
capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice che naturalmente sarebbe
competente se le norme non stabiliscano diversamente.
COMPETENZA PER CONNESSIONE
Tale competenza è necessario determinarla allorché occorre trattare cumulativamente
in un unico processo una serie di reati, per cui, per ragioni di economia processuale, è
necessario identificare un unico giudice che abbia competenza a decidere su tutti i
reati in questione.
Vi sono tre tipi di connessione:
8
1. Connessione soggettiva nel caso in cui un reato sia stato commesso da più
persone in concorso fra di loro ( si pensi ad un reato associativo) o in
cooperazione, ovvero il caso di reato commesso da più persone con condotte
indipendenti le une dalle altre che però abbia cagionato lo stesso evento (art.
12 lett.a c.p.p.)
2. Connessione oggettiva nel caso in cui una persona compia più reati commessi
con una sola azione od omissione ( si pensi al concorso di formale di reati),
ovvero con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ( si pensi al
caso della continuazione) (art. 12 lett.b c.p.p.).
3. Connessione teleologica nel caso in cui i reati sono stati commessi per
eseguire o occultare altri reati ( art. 12 lett.c c.p.p.)
La connessione comporta delle modifiche per quanto riguarda la competenza per
materia e per territorio:
1. Competenza per materia determinata dalla connessione è competente il
giudice superiore, se quindi vi sono contemporaneamente alcuni procedimenti
per i quali è competente la Corte di assise ed altri per i quali è competente il
Tribunale allora ci avverte il codice (art. 15 c.p.p.) che per tutti è competente
la Corte di Assise.
2. Competenza per territorio determinata dalla connessione per questo tipo di
connessione è competente il giudice del luogo nel quale è stato commesso per
il reato più grave; se però da più condotte poste in essere da persone in
concorso o in cooperazione ovvero con condotte indipendenti, in luoghi
9
differenti, sia derivata la morte di una persona, ed allora sarà competente
territorialmente il giudice del luogo nel quale si è verificata la morte l’evento
morte (art. 16 c.p.p.).
La connessione dei procedimenti non va però confusa con il fenomeno della
RIUNIONE dei processi. La differenza essenziale sta nel fatto che : mentre la
connessione suppone la pluralità di giudici tutti astrattamente competenti a conoscere
dei diversi processi legati tra di loro da particolari vincoli; invece la riunione prevede
che più processi siano di competenza dello stesso giudice, il quale per esigenze di
celerità o se lo ritiene necessario ne dispone la trattazione congiunta.
Le previsioni tassative contenute nell’art.17 cpp che consentono la riunione dei
processi riguardano: 1) tutti i casi di connessione; 2) i casi di reati appartenenti alla
competenza dello stesso giudice, commessi da più persone in danno reciproco le une
alle altre; 3) i casi in cui la prova riguardante un reato o una circostanza influisca su
quella riguardante un altro reato o una sua circostanza, di competenza dello stesso
giudice. Tale ultima ipotesi è quella indicata nell’art. 371 cpp relativa ai reati
collegati.
La possibilità di riunire i processi è demandata alla valutazione discrezionale del
giudice ( infatti l’art. 17 dice il giudice può ) ed è subordinata a due presupposti : che
i processi siano nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice, e che la
riunione non pregiudichi la rapida definizione del processo. La riunione sarebbe
impossibile quando un processo sia all’inizio ed un altro alle discussioni finali;
ovvero non può aversi riunione di un processo di primo grado e di un processo che è
10
già in Cassazione. Ovviamente la riunione non può avvenire in fase di indagini
preliminari in quanto ha ad oggetto processi e non procedimenti.
Accanto alla riunione il codice prevede la SEPARAZIONE dei processi ( art. 18 cpp
), la quale avviene nelle ipotesi in cui non è possibile trattare unitariamente i processi
per esigenze di celerità: per esempio quando all’udienza preliminare è possibile
pervenire ad una decisione solo per alcuni e non per altri ; oppure quando viene
disposta la sospensione del processo solo per alcuni degli imputati; od ancora quando
non compaiono in dibattimento l’imputato o il difensore per motivi legittimi. Sono
tutte ipotesi enunciate nell’art. 18 comma 1 in cui il giudice ha l’obbligo di separare i
processi; al contrario al comma 2 dello stesso articolo è prevista l’ipotesi della
sospensione facoltativa in cui il giudice al di fuori dei casi del comma 1 su accordo
delle parti dispone la separazione.
La riunione e la separazione dei processi sono disposti dal giudice con ordinanza,
anche di ufficio, sentite le parti.
Si parla di DIFETTO DI GIURISDIZIONE quando la cognizione sul procedimento
spetta ad un ufficio giudiziario appartenente ad un diverso ordine; il difetto può
essere assoluto o relativo. Il difetto è relativo quando il giudice pronuncia in ordine
ad un reato che appartiene al giudice speciale , o viceversa; il difetto è assoluto
quando qualsiasi organo della giurisdizione penale risulti carente della potestà di
giudicare.
Entrambe le situazioni sono rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del
procedimento; se in particolare il difetto è rilevato nel corso delle indagini preliminari
11
il giudice pronuncia ordinanza restituendo gli atti al pubblico ministero. Se invece il
difetto rileva dopo la chiusura delle indagini preliminari il giudice pronuncerà
sentenza, ordinando la trasmissione degli atti all’autorità competente. ( art. 20 cpp ).
Sempre con riferimento alla giurisdizione si deve distinguere tra:
giudici con giurisdizione piena: la cui attività è completa e culmina
nell’emissione di qualsiasi pronunzia ( tribunale, corte d’assise ecc);
giudici con giurisdizione semipiena: la cui potestà di accertamento e decisione
è limitata all’applicazione della pena in conseguenza del comportamento accertato
( gup, che non può condannare ma solo emanare s.d.n.l.a p.);
giudici con giurisdizione limitata: la cui capacità di accertamento e decisione è
circoscritta a singoli atti espressamente indicati ( gip che interviene nel corso del
procedimento per assumere provvedimenti in materia di libertà personale).
Può anche capitare in un processo penale che non sia rispettata la ripartizione delle
competenze per cui si da luogo alla c.d. INCOMPETENZA dell’organo giudicante, la
quale può essere sia per materia che per territorio.
INCOMPETENZA PER MATERIA
L’incompetenza per materia deriva allorquando il giudice a cui è sottoposta la
questione non è competente a decidere per quel reato ( es. si pensi al Tribunale
chiamato a decidere in ordine ad un omicidio).
L’incompetenza per materia può essere rilevata sia ad eccezione di parte sia anche ex
officio in ogni stato e grado del processo ( per cui se per esempio in Cassazione si
12
rileva che il giudice del primo grado era incompetente a giudicare quel reato la
Cassazione annullerà la sentenza e rinvierà il processo al giudice competente).
Vi sono però l’eccezione della incompetenza materiale per eccesso ( es. si pensi al
caso della Corte di Assise che giudica di un reato di competenza del tribunale) la
quale può essere fatta valere entro il termine previsto dall’art. 491 c.p.p. ossia
durante le questioni preliminari al dibattimento. La mancata osservanza del termine
comporta la decadenza dalla possibilità di sollevare la questione.
Altra eccezione riguarda l’ipotesi in cui l’incompetenza derivi dalla connessione dei
processi: questa deve essere fatta valere prima della conclusione dell’udienza
preliminare, e se questa manca va sollevata durante le questioni preliminari al
dibattimento, subito dopo la costituzione delle parti.
INCOMPETENZA PER TERRITORIO
Tale incompetenza è diversa da quella per materia: innanzitutto essa può sì essere
eccepita dalle parti o rilevata ex officio, ma è soggetta a termini rigorosi trascorsi i
quali si decade dalla possibilità di eccepirla ( prima che si concluda l’udienza
preliminare ovvero, se questa manchi, durante la fase introduttiva del dibattimento
subito dopo la costituzione delle parti, momento entro il quale potranno essere
sollevate anche le questioni eventualmente rigettate all’udienza preliminare).
Inoltre a differenza di quella per materia può riguardare anche il Gip ( Giudice per
l’udienza preliminare), del quale si tratterà diffusamente quando si tratterà delle
indagini preliminari, il quale può essere incompetente ( es. si pensi ad indagini
iniziate a Napoli per un reato commesso a Roma).
13
INCOMPETENZA PER CONNESSIONE
Ricalca i criteri sopra osservati per la incompetenza per materia e per territorio ( art
21 cpp ).
Bisogna domandarsi come si può rilevare l’incompetenza per qualsiasi causa:
1. Se è rilevata dal Gip, lo stesso emetterà ordinanza dichiarativa della propria
incompetenza, e restituirà gli atti al pubblico ministero affinché quest’ultimo
individuerà il giudice territorialmente competente ( art. 22 comma 1 cpp ).
2. Se è rilevata dal in sede di udienza preliminare dal Gup (Giudice
dell’udienza preliminare) lo stesso la dichiara con sentenza con la quale
individua il giudice competente ed ordina la trasmissione degli atti al pubblico
ministero presso il giudice ritenuto competente ( art. 22 comma 3 cpp ).
3. Se è rilevata in dibattimento, durante cioè il primo grado di giudizio, allora il
giudice anche in questo caso, così come per l’udienza preliminare, rileva la
propria incompetenza tramite una sentenza con la quale, oltre ad individuare il
giudice competente, ordinerà la trasmissione di atti al pubblico ministero
presso il giudice competente ( art. 23 comma 1 cpp ).
4. Se è rilevata nel processo d’appello allora la Corte ove rilevi che la sentenza
di primo grado è stata emessa da un giudice incompetente annullerà la
sentenza di primo grado, ordinando la trasmissione degli atti al pubblico
ministero presso il giudice, di primo grado, competente ( art. 24 cpp ).
14
Cosa importantissima da sottolineare è che l’inosservanza delle norme sulla
competenza non produce necessariamente l’invalidità degli atti in precedenza
compiuti:
1. Le prove mantengono la loro piena efficacia anche se acquisite da un giudice
territorialmente incompetente, purchè siano rispettate le norme circa la
formazione delle stesse; se invece sono state acquisite da un giudice
incompetente per materia se si tratta di atti irripetibili rimangono pienamente
efficaci, mentre se si tratta di atti ripetibili possono solamente essere adoperate
nell’udienza preliminare per verificare sostanzialmente se il processo debba
sfociare o meno in un rinvio a giudizio, possono cioè adoperate solo ai fini
delle contestazioni ex artt. 500-503 c.p.p. (art. 26 c.p.p.).
2. Per quanto riguarda le misure cautelari emesse da un giudice per qualsiasi
causa incompetente, esse per continuare ad esplicare i propri effetti devono
entro 20 giorni, che decorrono dal giorno in cui vi è stata la trasmissione degli
atti, essere confermate dal giudice competente (art. 27 c.p.p.).
Il codice, inoltre, detta delle regole per il caso di inosservanza dei criteri delle
attribuzioni al tribunale: in particolare quando il difetto investe il giudice
monocratico, nel senso che si tratta di un reato che doveva essere attribuito al
tribunale collegiale, si verifica la regressione del procedimento e gli atti vengono
rimessi al pubblico ministero analogamente a quanto avviene nella dichiarazione di
incompetenza.
15
Quando invece il procedimento sia stato erroneamente portato nella cognizione del
collegio si verifica una semplice traslatio iudicii ( cioè un trasferimento di giudizio )
davanti al giudice monocratico, avendo in definitiva l’imputato beneficiato di più
garanzie con conseguente impossibilità di configurare lesioni del suo diritto di difesa.
Vi possono essere delle situazioni che fanno si che il giudice si possa trovare in una
situazione di INCOMPATIBILITA’ con il processo che si sta trattando; varie
possono essere le cause dell’incompatibilità:
1. Con riferimento agli atti compiuto nello stesso processo ( es. un giudice di
tribunale non può essere, nello stesso processo, anche giudice di appello;
ovvero un gip sicuramente nello stesso processo non potrà essere anche gup
etc. etc.) (art. 34 c.p.p.)
2. Con riferimento a determinate qualità del giudice ( es. esiste un rapporto di
parentela tra il P.M. ed un giudice, ovvero il giudice ha un rapporto di
parentela con un avvocato etc. etc.) (art. 35 c.p.p.)
3. Con riferimento alla posizione del giudice rispetto all’oggetto della causa ( es.
il giudice è creditore dell’imputato o del suo difensore, il giudice ha una forte
inimicizia con l’imputato o con il difensore o con altra parte privata, ovvero il
giudice ha indebitamente espresso un parere sull’oggetto del processo al di
fuori dell’esercizio delle sue funzioni etc.etc.) (artt. 36-37 c.p.p.)
4. Vi sono situazioni ambientali che condizionano negativamente il normale
svolgimento del processo ( es. un giudice che sta celebrando un processo di
16
criminalità organizzata viene minacciato dai parenti degli imputati etc.etc.)
(art. 46 c.p.p.)
Nel momento in cui si verifica una situazione di incompatibilità il giudice può
astenersi ovvero essere dalle parti ricusato.
ASTENSIONE
L’astensione consiste in una rinuncia da parte del giudice procedente all’esrcizio
della funzione giurisdizionale perché si viene a trovare in una ipotesi di
incompatibilità prevista dalla legge o quando ravvisa altre gravi ragioni di
convenienza; per cui egli mediante dichiarazione nella quale enuncia i motivi che lo
inducono ad astenersi, chiede al Presidente dell’ organo giudicante di cui fa parte di
sostituirlo( quindi se giudice di Tribunale ha decidere sarà il presidente del
Tribunale; se giudice di Corte di Appello ha decidere sarà allora il presidente della
Corte di Appello).
Se la richiesta di astensione non è accolta allora il processo prosegue normalmente,
se invece la richiesta di astensione viene accolta il processo è trasferito ad altro
giudice dello stesso ufficio ( cioè se si astiene un giudice del Tribunale di Napoli il
processo è trasferito ad altro giudice sempre del Tribunale di Napoli). In caso di
accoglimento della richiesta di astensione il giudice che accoglie la richiesta dichiara
con lo stesso provvedimento se gli atti compiuti dal giudice astenutosi restano validi.
Vi è da chiarire un punto molto importante, ossia che al momento in cui il giudice
avanza la richiesta di astensione nell’attesa della decisione il processo comunque
17
continua, fermo restando l’impossibilità per il giudice di compiere atti c.d. definitori
( per intenderci il giudice non può pronunciare la sentenza del processo).
RICUSAZIONE
Allorquando il giudice, in presenza di una causa di incompatibilità, non si astiene, vi
è la possibilità per il P.M. e per le parti private di chiedere la ricusazione dello
stesso.
La dichiarazione di ricusazione può essere fatta personalmente dall’interessato o
proposta tramite il suo difensore ovvero un procuratore speciale; tale dichiarazione
deve ovviamente contenere l’enunciazione dei motivi per i quali si vuole ricusare il,
giudice.
Per proporre la ricusazione vi sono dei termini:
1. Nell’udienza preliminare sino a quando non è terminata la costituzione delle
parti
2. Nel dibattimento fino a che non sia scaduto il termine previsto dall’art. 491
1 comma c.p.p. ( ossia fin quando non è scaduto il termine per la
proposizione delle questioni preliminari)
3. Quando la causa di ricusazione è divenuta dopo la scadenza dei termini su
espressi, allora è possibile proporla entro 3 giorni dal verificarsi o
dall’avvenuta conoscenza della stessa.
A decidere della ricusazione è la Corte di Appello se si tratta della ricusazione di un
giudice del tribunale o della corte d’assise o della corte d’assise d’appello; sulla
ricusazione di un giudice della Corte di appello sarà competente a decidere una
18
diversa sezione della corte di appello; ed infine sulla ricusazione di un giudice della
Corte di Cassazione decide una diversa sezione della corte di cassazione. L’organo
competente a decidere deve innanzitutto verificare se sia o meno ammissibile la
richiesta di ricusazione e poi, nel caso la ritenga ammissibile, decide se accoglierla o
meno nel merito.
Nel caso in cui ritenga inammissibile la domanda ovvero non ritenga sussistente la
causa di ricusazione rigetta la richiesta ed il processo continua regolarmente;
viceversa nel caso in cui ritiene fondata la domanda accoglie la richiesta e
trasferisce il processo ad altro giudice dello stesso ufficio del giudice ricusato ( vedi
es. fatto per l’astensione).
Anche nel caso della ricusazione, così come gia visto per l’astensione, il giudice nei
confronti del quale la domanda è proposta non può pronunciare sentenza.
In ultima analisi, v’è da dire che non è consentito ricusare il Pubblico Ministero dato
che egli è parte processuale per cui non possiede i caratteri della terzietà ed
imparzialità tipici, invece, del giudice.
RIMESSIONE DEL PROCESSO
La rimessione del processo comporta uno spostamento del processo fondato però su
presupposti differenti rispetto a quelli che giustificano l’astensione e la ricusazione;
infatti il presupposto della rimessione è dato dal crearsi di gravi situazioni locali in
grado di turbare lo svolgimento del processo stesso. Attualmente, a seguito della
legge Cirami, vi è la possibilità di chiedere la rimessione del processo anche per
legittimo sospetto. Con tale espressione ci si riferisce a qualsiasi circostanza
19
ambientale che appaia idonea a pregiudicare la libertà di autodeterminazione del
giudice.
Soggetti legittimati a chiedere la rimessione sono il Procuratore generale presso la
Corte di Appello, il Pubblico Ministero presso il giudice procedente, l’imputato
(personalmente o a mezzo di procuratore sperciale). La richiesta di rimessione deve
essere motivata e depositata nella cancelleria del giudice procedente, e viene
notificata alle altre parti in modo da assicurare a queste la possibilità di interloquire
dal momento che la rimessione in caso di accoglimento della richiesta comporta una
deroga al criterio della competenza territoriale, alla cui osservanza ciascuna parte può
avere interesse all’osservanza. Il giudice che riceve la richiesta di rimessione la
trasmette subito alla Corte di Cassazione che è l’organo competente a decidere se
accogliere o rigettare la richiesta e quindi se spostare o meno il processo dal luogo
naturale di celebrazione.
In pendenza della decisione della Cassazione, il giudice può sospendere il processo
in attesa che la Cassazione, con ordinanza, si pronunzi. A seguito della legge
CIRAMI anche il giudice di merito procedente, oltre alla Cassazione, ha la facoltà di
sospendere il processo; mentre prima della suddetta modifica la richiesta di
rimessione non produceva alcun effetto sospensivo del processo.
La sospensione del processo diventa un obbligo per il giudice procedente quando il
processo giunge alla fase delle conclusioni e della discussione.
20
L’istituto della rimessione ha carattere eccezionale e come tale si applica solo in
presenza di determinate situazioni che possono incidere sul corretto e sereno
svolgimento del processo.
Nel ambito di un procedimento penale possono poi anche sorgere dei CONFLITTI
tra i giudici; contrasti che possono essere negativi ovvero positivi:
CONFLITTO POSITIVO
Tale contrasto sorge allorché 2 giudici si ritengono entrambi competenti circa un
processo, questo conflitto può essere risolto preliminarmente quando uno dei due
giudici riconosce la propria o l’altrui competenza (art. 29 c.p.p.)
Se, però, ciò non avviene allora l’esistenza del conflitto o è rilevata ex officio dal
giudice ( con ordinanza non ricorribile ) ovvero l’esistenza di questo conflitto è
denunciata dalle parti (P.M., imputato etc. etc.), gli atti vengono trasferiti alla
Suprema Corte di Cassazione e la stessa decide, sentite le parti, con sentenza
comunicata immediatamente alle parti interessate.
CONFLITTO NEGATIVO
Tale conflitto lo si può ricavare per inverso da quanto detto a proposito del conflitto
positivo; in questo caso vi sono 2 giudici i quali si ritengono entrambi incompetenti,
per cui o spontaneamente uno dei due riconosce la propria competenza, ovvero la
Corte di cassazione, investita della questione, sentenzierà sulla competenza.
Accanto a queste due ipotesi di conflitto l’art 28 comma 2 c.p.p. disciplina anche i
conflitti sui casi ANALOGHI; questo perché ci sono delle situazioni non suscettibili
21
di una aprioristica determinazione e comunque per garantire che l’imputato venga
giudicato da un giudice naturale e precostituito.
Quindi i casi analoghi si determinano per esclusione: NON vi rientrano i conflitti tra
PM e GIUDICE. Però nell’art. 28 co. 2 si legge anche che nel contrasto tra gup e
giudice del dibattimento prevale la decisione di quest’ultimo. E’ quindi affermata
una REGOLA DELLA PREVALENZA a favore del giudice del dibattimento, per
evitare una regressione del processo dal dibattimento alla fase delle indagini. qUindi
l'art. 28 comma 2 nello stabilire questa regola si rifà alla competenza funzionale.
Il terzo comma dell’art. 28 c.p.p. dice che nel corso delle indagini preliminari non vi
è conflitto positivo fondato su ragioni di competenza per territorio dovuto a
connessione. Lo scopo è evidente: il conflitto per territorio per connessione blocca
le indagini e quindi per esigenze di celerità si è sottratta questa ipotesi e quindi il
conflitto può valere solo dopo l’esercizio dell’azione penale; tant’ è che l’art. 28
bada al processo e non al procedimento, esso parla di giudice e non di magistrato.
QUESTIONI PREGIUDIZIALI SUGLI STATUS: il codice all’art. 3 cpp fa
riferimento alle questioni pregiudiziali relative a controversie riguardanti lo stato di
famiglia o di cittadinanza. Quando la decisione penale dipende dalla risoluzione di
una controversia sullo stato di famiglia o cittadinanza il giudice può sospendere il
processo fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione.
presupposti per la sospensione sono : la serietà della questione e che il giudizio
civile sulla controversia incidentalmente sollevata sia già pendente secondo le
norme del cpc. La sospensione è facoltativa e la relativa decisione resta affidata alla
22
valutazione discrezionale del giudice, che eventualmente si pronunzierà con
ordinanza. La sospensione inoltre non impedisce al giudice di compiere gli atti
urgenti. La decisione emessa in sede civile, divenuta irrevocabile, non può essere
disattesa nel senso che vincola il giudice del processo penale.
Diverse sono le questioni indicate nell’art. 479 cpp ossia quelle relative a questioni
di natura civile o amministrativa. Queste questioni sono dette pregiudiziali nel
senso che il giudice deve risolverle preliminarmente per poter giungere alla
conclusione finale sul merito dell’imputazione ( per esempio l’altruità della cosa in
relazione ad una imputazione di furto ). Tali questioni sono diverse da quelle sopra
indicate e disciplinate dall’art. 3 cpp per vari motivi: in primo luogo l’art. 3 si
riferisce a questioni relative allo stato di famiglia o di cittadinanza, mentre queste
dell’art. 479 si riferiscono a questioni di natura civile o amministrativa; in secondo
luogo la questione, secondo il dettato dell’art. 3, deve essere seria, mentre per l’art.
479 deve essere complessa; ed infine nell’art. 479 per la sospensione del processo è
richiesto l’ulteriore requisito che la legge non ponga limitazioni alla prova in
conformità all’art. 193 cpp che ammettendo una deroga per le questioni previste
dall’art 3, esclude dal processo penale l’osservanza delle regole probatorie previste
dalle leggi civili. L’unico elemento comune è la pendenza del giudizio sulla
questione. Anche nell’ipotesi dell’art. 479 la sospensione del processo è facoltativa;
l’eventuale sospensione è disposta con ordinanza immediatamente ricorribile per
Cassazione ( in deroga a quanto previsto nell’art. 586 cpp ), e l’impugnazione non
ha effetto sospensivo.
23
Diversa infine è l’ipotesi della pregiudiziale costituzionale che si ha quando il
processo penale viene sospeso in attesa della decisione della Corte Costituzionale
sulla questione.
IL PUBBLICO MINISTERO
Così come il giudice anche il P.M. è parte essenziale nel processo; a differenza però
del giudice non è organo imparziale ma parte processuale vera e propria, egli, infatti,
rappresenta la pubblica accusa e colui il quale, cioè, chiede che sia affermata la
penale responsabilità dell’imputato. Vari sono stati i contrasti circa la collocazione
istituzionale del pubblico ministero, infatti si diceva che era rappresentante del
potere esecutivo presso gli organi del potere giurisdizionale e quindi in quanto tale
avente natura amministrativa. Con il tempo si è cominciato ad evidenziare, da parte
di alcuni, l’allontanamento della posizione giuridica dei magistrati del PM dal potere
esecutivo con un accostamento alla funzione giurisdizionale.
La posizione del giudice rispetto a quella del pubblico ministero resta comunque
distante : innanzitutto il pubblico ministero non ha la facoltà di ius dicere, cioè
emettere una decisione; in secondo luogo non presenta i tratti tipici della funzione
giurisdizionale, ed in particolare l’art. 101 della Cost. che afferma che i giudici sono
soggetti alla legge, e non si riferisce invece anche ai pubblici ministeri inducendo
così a pensare che i pubblici ministeri subiscano vincoli di soggezione sia pure
24
all’interno dell’organizzazione gerarchica di tipo verticale da cui i loro uffici sono
contrassegnati.
Diversamente dall’organo giudicante, il codice non detta norme in ordine alla
capacità ed alle situazioni di incompatibilità del PM; diversamente dal giudice non
può essere ricusato perché egli è parte nel processo e non soggetto imparziale. Al
contempo però il PM può astenersi quando ricorrono “ gravi ragioni di convenienza
“; sulla domanda decide il capo dell’ufficio cui il PM appartiene.
Brevi cenni sono opportuni circa la strutturazione degli uffici del P.M.:
1. Presso la Corte di Cassazione titolare dell’ufficio è il procuratore generale
presso la Corte di Cassazione coadiuvato da sostituti procuratori generali
2. Presso la Corte di Appello titolare dell’ufficio è il procuratore generale
presso la Corte di Appello coadiuvato da sostituiti procuratori generali
3. Presso il Tribunale titolare dell’ufficio è il Procuratore della Repubblica
coadiuvato da sostituti procuratori ed eventualmente da procuratori
aggiunti.
Il compito fondamentale del P.M. è quello di esercitare l’azione penale, infatti
allorquando a seguito delle indagini preliminari ritiene di poter provare la penale
responsabilità dell’imputato allora esercita l’azione penale chiedendo il rinvio a
giudizio dell’imputato.
Anche tra uffici del pubblico ministero possono sorgere dei contrasti sia positivi che
negativi:
CONTRASTO POSITIVO
25
Si ha un contrasto positivi quando due magistrati di due uffici del pubblico
ministero differenti affermano entrambi l’appartenenza di un determinato
procedimento; anche in questo caso è possibile risolvere preliminarmente il conflitto
allorché uno dei due P.M. riconosce la competenza dell’altro.
Se invece ciò non avviene allora il contrasto viene risolto:
1. Se i due pubblici ministeri appartengono allo stesso distretto di Corte di
Appello (es. vi è un contrasto tra un sostituto procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Napoli ed un sostituto procuratore presso il Tribunale di
Torre Annunziata) allora il conflitto sarà risolto dal procuratore generale
presso la Corte di Appello (art. 54 bis c.p.p.)
2. Se i due pubblici ministeri appartengono a diversi distretti di Corte di Appello
(es. vi è contrasto tra un sostituto procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Napoli, ed un sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma)
allora il conflitto sarà risolto dal procuratore generale presso la Corte di
Cassazione
CONTRASTO NEGATIVO
Si ha contrasto negativi quando due diversi uffici del pubblico ministero entrambi
negano l’appartenenza di un determinato procedimento.
Per la risoluzione del conflitto valgono le stesse regole che riguardano i contrasti
positivi.(art. 54 c.p.p.)
Anche le parti, indagato persona offesa, possono porre in discussione la competenza
del pubblico ministero chiedendo che il procedimento venga trasferito al giudice
26
ritenuto competente; se il pubblico ministero, entro il termine di 10 giorni dalla
richiesta, accoglie la richiesta allora non vi sono problemi in quanto lo stesso
trasferisce gli atti del procedimento al pubblico ministero competente; se invece non
provvede in tal senso trascorsi inutilmente i 10 giorni l’interessato nei successivi10
giorni può chiedere al procuratore generale presso la Corte di Appello, se il
giudice competente appartenga allo stesso distretto, ovvero al procuratore generale
presso la Corte di Cassazione, se il giudice competente è di un diverso distretto, di
stabilire la competenza.
L’organo chiamato a giudicare deciderà entro 20 giorni dalla richiesta.
Rilevante è la novità introdotta dalla legge CAROTTI con l’art. 54 quater che ha
introdotto la possibilità di un controllo dall’esterno della competenza del PM: infatti
prima di tale norma solo il PM poteva contestare la legittimazione delle indagini
della Procura, attivando appunto il meccanismo del contrasto negativo o positivo tra
gli uffici del PM; oggi con tale novità la parte privata agisce direttamente cioè senza
bisogno del provvedimento del gip nel corso delle indagini, in via generale cioè
avuto riguardo all’indagine nel suo complesso. Ovviamente per evitare tattiche
dilatorie ad opera delle parti private che approfittando di tale possibilità possano
bloccare in ogni momento le indagini, lo stesso articolo al comma primo ha inoltre
stabilito che le parti devono enunciare a pena di INAMMISSIBILITA’ le ragioni a
sostegno della loro richiesta.
Vi è anche la possibilità per il PM di grado superiore di fare proprie le attribuzioni normalmente demandate all’ufficio del pubblico ministero di grado inferiore, tale istituto è defitto AVOCAZIONE. ( art. 372 )
27
L’avocazione del PM è il provvedimento con cui, nei casi tassativamente previsti dalla legge, le indagini vengono sottratte al PM che dovrebbe svolgerle ma è rimasto inerte e vengono affidate ad altro PM. Si deve distinguere tra:
avocazione obbligatoria: il procuratore generale presso la Corte d’Appello, assunte quando occorre le necessarie informazioni, la deve disporre con decreto motivato quando:
o in conseguenza dell’astensione o della incompatibilità del magistrato designato, non è possibile provvedere alla sua tempestiva sostituzione;
o il capo dell’ufficio del PM ha omesso di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato designato per le indagini nei casi previsti dal 36 co.1;
o trattandosi di indagini collegate, per i reati cui agli artt. 270 bis, 280 ecc., quando è obbligatorio l’arresto in flagranza;
o quando il PM non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione nel termine;
avocazione discrezionale, cioè lasciata alla valutazione del procuratore generale, in due ipotesi:
o quando il GIP gli ha comunicato ex 409 co.3 la fissazione dell’udienza in camera di consiglio sulla richiesta di archiviazione presentata dal proc. della Rep.;
o quando il GUP gli ha comunicato l’ordinanza con cui ha ordinato al PM le ulteriori indagini.
L’avocazione è disposta con decreto motivato anche su richiesta dell’indagato o della persona offesa dal reato ex art. 413.
Inoltre l’art. 371 disciplina l’avocazione del procuratore nazionale antimafia che nei proc. di criminalità organizzata ex 51 co.3 esercita funzioni di impulso nei confronti dei PM distrettuali.
Il decreto motivato di avocazione viene trasmesso al CSM dai procuratori della Rep. interessati.
LE ALTRE PARTI PRIVATE
L’IMPUTATO
La persona sottoposta ad indagini è il soggetto al quale è attribuito il fatto in base alla notitia criminis.
Vi sono alcune garanzie informative nei riguardi della stessa (art. 111 Cost.): deve essere informata al più presto e in via riservata delle indagini a suo carico . In realtà è
28
necessario informarla soltanto in occasione del primo atto in cui il difensore ha diritto di comparire, il che di fatto lascia molto tempo alle indagini segrete.
Secondo l’art. 61 si estendono alla persona sottoposta ad indagini gli stessi diritti e garanzie che ha l’imputato, salvo che si diversamente stabilito.
L’imputato è la persona sottoposta ad indagini nei confronti della quale sia stata esercitata l’azione penale.
La qualità di imputato permane sino a quando: 408: archiviazione; 428: impugnazione della sentenza di non luogo a procedere; 648: quando diviene irrevocabile la sentenza di proscioglimento o assoluzione; 643 – 650: quando diviene esecutivo il decreto penale di condanna.Poteri di impugnazione dell’imputato: contro le sentenze di condanna; contro le sentenze di proscioglimento, tranne quelle perché il fatto non sussiste o per non
aver commesso il fatto.Numerose sono le garanzie che il codice riserva all’imputato; tra tutte citiamo il
diritto per lo stesso di intervenire libero all’interrogatorio, la possibilità di non
rispondere a domande che concernono la propria responsabilità penale.
Per quanto riguarda l’interrogatorio il nuovo art. 64 c.p.p. prevede il dovere di
avvertire l’imputato che le sue dichiarazioni potranno essere utilizzate contro di lui;
che comunque ha la facoltà di non rispondere, e che se renderà dichiarazioni che
riguardano la responsabilità di altri soggetti assumerà in ordine a tali fatti la qualità
di testimone ( art. 64 comma 3 cpp ).
L’art. 65 cpp detta le regole dell’interrogatorio nel merito; interrogatorio nel merito
significa interrogatorio sui fatti specificamente addebitati: cioè l’inquirente dovrà
contestare all’interrogato in forma chiara e precisa il fatto che gli è attribuito.
L’interessato ha la facoltà di non rispondere a tutte od alcune domande.
IL DIFENSORE
29
La figura del difensore è anche essenziale per lo svolgimento del processo penale in
quanto deve essere garantita una difesa tecnica all’imputato ( nel processo penale non
è consentita l’autodifesa all’imputato). Così viene pienamente realizzato il
contraddittorio disposto dall’art. 111 Cost .
Attualmente vi è anche per il difensore la possibilità di svolgere indagini difensive,
per fare qualche esempio l’art. 391 bis c.p.p. possono conferire con persone in grado
di riferire circostanze utili ai fini dell’indagine, vi è la possibilità di richiedere
documentazioni alla pubblica amministrazione (art. 391 quater c.p.p.).
La difesa può essere di fiducia o di ufficio, in caso di difesa di fiducia l’imputato può
nominare fino ad un massimo di due difensori. Nel caso che l’imputato, o l’indagato,
non abbiano un difensore di fiducia ed allora il giudice provvede a nominare un
difensore di ufficio. Il difensore di fiducia può non accettare l’incarico o in qualsiasi
momento rinunciarvi; in tal caso subito deve darne comunicazione all’autorità
procedente nonché al soggetto che lo ha nominato. Tuttavia fino a che, in seguito a
revoca o rinuncia, il soggetto non risulta assistito da un altro difensore l’incarico
affidato originariamente resta valido per evitare paralisi del processo.
Al contrario il difensore non può rifiutare la difesa di ufficio, a meno che non siano
motivati.
L’art. 103 cpp stabilisce una regola fondamentale: ossia che negli studi del difensore
sono vietate le ispezioni e le perquisizioni salvo quando sono rintracciabili persone,
cose e tracce pertinenti a reati commessi da terzi, ovvero se il difensore o i suoi
colleghi sono imputati. Nell’accingersi ad eseguire un’ispezione, una perquisizione o
30
un sequestro l’autorità giudiziaria deve a pena di nullità avvisare anche il consiglio
dell’ordine al quale appartiene l’avvocato; a tali operazioni partecipa personalmente
il giudice, ovvero nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero con
decreto motivato di autorizzazione del giudice.
LA PARTE CIVILE
E’ una parte eventuale del processo che interviene quando la persona offesa o
danneggiata dal reato intende ottenere il risarcimento del danno subito da parte
dell’imputato.
Affinché ciò avvenga è quindi necessario costituirsi parte civile nel processo penale.
La costituzione può avvenire solamente una volta esercitata l’azione penale da parte
del pubblico ministero, per cui ci si può costituire parte civile o all’udienza
preliminare o, se questa manca, al dibattimento non oltre la costituzione delle parti.
Ci si può costituire parte civile tramite il proprio difensore o tramite un procuratore
speciale; occorre inoltre una dichiarazione nella quale, oltre alle proprie generalità a
quelle dell’imputato ed a quelle del proprio difensore, vi sia una sommaria
indicazione dei motivi per i quali si chiede il risarcimento del danno.
La parte civile può essere esclusa dal processo da parte del giudice il quale accolga in
tal senso la richiesta del P.M., dell’imputato o del responsabile civile.
Vi può anche essere la revoca della parte civile la quale può essere:
1. Tacita nel caso in cui il difensore della stessa non presenti le conclusioni a
norma dell’art. 523 c.p.p. ( per intenderci il difensore non esegua l’aringa
finale)
31
2. Espressa se la parte dichiara di voler esercitare l’azione civile in sede civile.
Bisogna in conclusione porre l’accento relativamente ai rapporti tra azione civile ed
azione penale, in tal senso l’art 75 1° comma c.p.p. ci dice che anche se iniziata in
sede civile l’azione per il risarcimento può essere trasferita in sede penale sempre che
non vi sia stata in sede civile una sentenza, anche non definitiva, nel merito.
Il 2° comma dello stesso articolo ci informa che l’azione civile prosegue nella sede
civile quando non è trasferita nel processo penale ovvero è stata iniziata quando non è
più ammessa la costituzione di parte civile nel processo penale.
Infine il 3° comma conclude sostenendo che se l’azione civile viene esercitata in sede
civile dopo che vi è stata la costituzione di parte civile in sede penale ovvero dopo
che è stata emessa sentenza di primo grado, il processo civile resta sospeso in attesa
della definitiva definizione del processo penale.
Il legislatore in tal modo ha voluto evitare la contraddittorietà dei giudicati con il
principio dell’indipendenza dei giudizi fondato sull’assunto che una volta scelta una
via non è possibile adirne un’ altra.
IL RESPONSABILE CIVILE
E’ la persona che è tenuta alla sorveglianza del soggetto autore del reato (es. i
genitori ovvero i tutori per i danni causati dai propri figli o dalle persone soggette a
tutela) e di conseguenza si impegna a pagare le richieste di restituzione o risarcimento
avanzate dalla parte civile per il danno cagionato dal reato.
Il suo intervento può essere indotto, ossia richiesto dal P.M. dall’imputato o dalla
parte civile, ma può anche intervenire volontariamente.
32
Anch’esso, così come la parte civile, può essere escluso dal processo.
IL CIVILMENTE OBBLIGATO PER LA PENA PECUNIARIA
E’ colui il quale risponde dell’inadempimento dell’imputato condannato al
pagamento di una multa o di un’ammenda.
PERSONA OFFESA
E’ la persona lesa dal reato alla quale il codice riconosce diritti e facoltà già nella fase
delle indagini preliminari, a differenza del danneggiato che esplica un ruolo
processuale solo attraverso la costituzione di parte civile.
La persona offesa ha la possibilità, tramite il suo difensore di raccogliere elementi di
prova a carico dell’indagato, ha il diritto di avere informazioni certe relativamente
alle indagini.
ENTI ED ASSOCIAZIONI RAPPRESENTATIVI DI INTERESSI LESI DAL
REATO.
Tali enti o associazioni sono portatori di interessi lesi dal reato, avendo finalità di
tutela di interessi collettivi, diffusi nella collettività, che rendono possibile una
partecipazione al processo. La loro partecipazione al processo è subordinata al
consenso della persona offesa per evitare la loro partecipazione qualora non sia
gradita alla stessa.
33
GLI ATTI
Il legislatore non ha previsto una definizione di atto, per cui nel processo penale
avremo una serie di atti tra di loro differenti a seconda del momento procedurale o
processuale nel quale l’atto stesso esplica i suoi effetti.
Per quanto riguarda la forma dell’atto essa è sempre scritta, e la lingua adoperata e
l’italiano.
Gli atti tipici del giudice sono: sentenza, ordinanza e decreto.
SENTENZA: è il provvedimento del giudice con cui egli definisce il rapporto
processuale ovvero un grado o una fase. Le sentenze possono essere procedurali o di
merito. Sono sempre motivate e sempre impugnabili.
ORDINANZA: è un provvedimento con cui il giudice non definisce il
procedimento, ma risolve questioni incidentali o singoli punti relativi allo sviluppo
dell’iter processuale ( per esempio l’ordinanza con cui si adottano misure cautelari).
E’ obbligatoria la motivazione e sono impugnabili.
DECRETO: è il provvedimento formalmente più semplice e ha carattere incidentale.
Non sono motivati, a meno che la legge non richieda espressamente la motivazione.
Differenze tra ordinanza e decreto sono: 1) obbligo di motivazione per l’ordinanza
come per la sentenza, mentre per il decreto è necessario solo se espressamente
richiesto dalla legge; 2) l’ordinanza è revocabile, al contrario il decreto non è
revocabile, ciò perché l’ordinanza ha carattere interlocutorio cioè si basa sulla
situazione esistente al momento dell’emissione e quindi può essere revocata o
modificata a seguito del mutamento della situazione originaria.
34
Il procedimento in camera di consiglio
Il procedimento in camera di consiglio è disciplinato dall’art 127. Esso, pur assicurando il principio del contraddittorio, riduce i tempi processuali.Quando la legge (127 co 1) prevede la camera di consiglio, il giudice fissa la data dell’udienza e ne dà avviso alle parti 10 giorni prima.Il co 2 del 127 prevede che le parti possano depositare memorie fino a 5giorni prima dell’udienza.Il co 3 infine, prevede che PM e difensore siano sentiti se compaiono. ( contraddittorio eventuale ).Possiamo distinguere 4 modelli di rito camerale, che si distinguono per il grado di contraddittorio:
o ex 127 con oralità solo eventuale, quando il giudice disattende la richiesta di archiviazione;
o incidente probatorio;o autorizzazione alla proroga delle indagini preliminari;o inammissibilità dell’atto introduttivo dell’atto camerale dichiarata dal giudice
senza formalità.
VALIDITA’ DEGLI ATTI PROCESSUALI
Un atto processuale valido è un atto in grado di produrre effetti giuridici;
ovviamente per ogni tipo di atto il legislatore ha tipizzato un modello astratto al
quale bisogna necessariamente attenersi pena l’invalidità dell’atto stesso.
Un atto invalido ha come conseguenza la nullità, l’inammissibilità ovvero
l’inutilizzabilità.
LA NULLITA’
Nel codice vi è il principio di tassatività della nullità le ipotesi di nullità sono solo
quelle previste dalla legge (art. 177 c.p.p.).
Preliminarmente bisogna distinguere tra le nullità di ordine generale previste dal
codice in via generale ed astratta e le nullità speciali previste in leggi speciali.
35
NULLITA’ GENERALI
Le nullità generali sono previste dall’art. 178 c.p.p. esse riguardano:
1. L condizioni di capacità del giudice ed il numero dei giudici per costituire i
collegi (art. 178 c.p.p. lett. a)
2. L’iniziativa del PM nell’esercizio dell’azione penale o la sua partecipazione
al procedimento (art. 178 c.p.p. lett. b)
3. L’intervento, la rappresentanza e l’assistenza dell’imputato e delle altre parti
parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e
dal querelante (art. 178 c.p.p.lett.c).
Nell’ambito delle nullità generali distinguiamo le nullità assolute, le nullità a regime
intermedio e le nullità relative.
NULLITA’ ASSOLUTE
Le nullità assolute sono previste dall’art. 179 c.p.p. esse riguardano:
1. I casi previsti dall’art. 178 lett.a c.p.p. ( ossia le condizioni di capacità del
giudice; es. un giudice che non sia laureato in giurisprudenza configura
un’ipotesi di nullità generale assoluta)
2. L’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale come
previsto dalla prima parte dell’art. 178 lett.b c.p.p. (es. l’esercizio
dell’azione penale è esclusivo compito del pubblico ministero)
3. Omessa citazione dell’imputato o assenza del suo difensore nei casi in cui ne
è obbligatoria la presenza (es. l’omesso indicazione nel decreto che dispone il
giudizio del luogo ove si terrà l’udienza)
36
La caratteristica di tali nullità, consiste nel fatto che esse possono essere rilevate,
anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo; inoltre esse sono insanabili.
NULLITA’ ASSOLUTE A REGIME INTERMEDIO
Queste nullità sono previste dall’art. 180 c.p.p. esse costituiscono una ipotesi
residuale delle nullità assolute, tali nullità derivano quindi:
1. Dalla mancata partecipazione, quando sia necessaria, del pubblico ministero
al procedimento (es. vi è una richiesta di revoca di una misura cautelare da
parte dell’imputato fatta al gip, quest’ultimo prima di decidere deve portare
tale richiesta a conoscenza del pubblico ministero affinché emetta parere in
ordine alla richiesta presentata dall’imputato. Nel caso in cui il gip decidesse
senza preventivamente comunicare al pubblico ministero tale richiesta la
susseguente ordinanza è nulla ai sensi degli artt. 178 1° comma lett.b
2.L’intervento, la rappresentanza e l’assistenza dell’imputato e delle altre
parti parti private, nonché la citazione a giudizio della persona offesa dal reato
e del querelante (es. la polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero
deve eseguire un’ispezione in tal caso essa deve avvertire il difensore con un
anticipo di almeno 24 ore di modo da consentirgli di assistere alla ispezione.
Se la polizia non avverte il difensore allora tale mancanza è causa di nullità
dell’atto compiuto e di quelli successivi). 178 lett.c c.p.p.)
Anche le nullità a regime intermedio possono essere rilevate sia ex officio, sia
ad eccezione di parte, ma la differenza sostanziale con quelle assolute consiste
nel fatto che quelle a regime intermedio sono sottoposte a termini di decadenza,
37
ossia esse non possono più essere più rilevate e dedotte dopo la sentenza di
primo grado ( in tal caso si tratta di nullità che si sono verificate o durante le
indagini preliminari ovvero durante l’udienza preliminare) ovvero se si sono
verificate nel corso del giudizio dopo la deliberazione della sentenza di grado
successivo.
NULLITA’ RELATIVE
Le nullità relative sono previste dall’art. 181 c.p.p. e sanzionano vizi di minore
gravità diversi da quelli codificati dall’art. 178 c.p.p., si tratta di vizi previsti da
norme specifiche. A differenza delle nullità intermedie e di quelle assolute quelle
relative sono solo di ordine speciale, cioè nascono da tassative previsioni di legge. Il
loro regime è totalmente differente rispetto a quelle assolute ed a quelle a regime
intermedio: innanzitutto esse non possono essere rilevate ex officio bensì sono
rilevabili solamente ad eccezione di parte, e sono sottoposte a termini perentori per
la loro rilevabilità:
1. Per le nullità concernenti gli atti compiuti nella fase delle indagini
preliminari, dell’incidente probatorio e nell’udienza preliminare esse
devono essere eccepite prima che sia pronunciato il decreto che dispone il
giudizio da parte del gup.
2. Per le nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio ovvero gli atti
preliminari al dibattimento devono essere eccepite entro il termine previsto
dall’art. 491 c.p.p. ( ossia entro il termine per sollevare, nel dibattimento, le
38
c.d. questioni preliminari); entro questo termine vanno anche riproposte le
questioni di nullità eventualmente respinte dal gup.
3. Le nullità concernenti il giudizio devono essere eccepite impugnando la
relativa sentenza.
Importante è l’art. 182 c.p.p., tale disposizione stabilisce che le nullità a regime
intermedio e quelle relative non possono essere rilevate da chi vi ha dato causa
ovvero a concorso a darvi causa (es. la parte che nel processo assuma come
testimone un soggetto che in quello stesso processo è stato già ausiliario del
pubblico ministero, non potrà poi eccepire la nullità della testimonianza); inoltre tali
nullità possono essere fatte valere solamente dalla parte che ha interesse a rilevare
tale nullità.
Bisogna inoltre sottolineare che sia le nullità a regime intermedio che le nullità
relative sono sanabili, ciò è previsto dall’art. 183 c.p.p.; infatti tale norma ci
informa che la sanatoria può avvenire o tramite l’acquiescenza allorquando la parte
interessata accetta, espressamente o tacitamente, gli effetti pratici dell’atto nullo,
ovvero l’effetto sanante discende dal conseguimento dello scopo a cui l’atto nullo è
preordinato.
Altro tipo di sanatoria è quella prevista dall’art. 184 c.p.p. la quale riguarda
specificamente le nullità delle citazioni ovvero delle relative notificazioni e
comunicazioni. Tale sanatoria avviene o attraverso una esplicita rinuncia a
comparire della parte che avrebbe interesse a chiedere la nullità della citazione
ovvero mediante la comparizione personale e volontaria della parte interessata.
39
In ultima analisi bisogna spiegare quali sono le conseguenze che derivano dalla
pronunzia di nullità di un atto; la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi
che dipendono da quello dichiarato nullo art. 185 c.p.p. (es. la nullità del decreto
che dispone il giudizio rende invalido il processo che ne consegue).
Inoltre la nullità comporta la regressione del processo allo stato ed al grado nel quale
l’atto nullo è stato compiuto (es. la nullità del decreto che dispone il giudizio
comporta la regressione del processo all’udienza preliminare).
Altre forme di invalidità degli atti meno gravi della nullità sono:
L’INUTILIZZABILITA’ DEGLI ATTI
La quale è una forma di invalidità che va ad incidere solamente sugli atti a
contenuto probatorio, infatti l’inutilizzabilità investe non già l’atto in sé per sé
quanto piuttosto il suo valore probatorio.
L’INAMMISSIBILITA’ DEGLI ATTI
Va ad incidere sulle richieste delle parti che risultano viziate quanto alla forma, all’
oggetto, o alla parte legittimata a proporle.
Negli anni 70 Giovanni Conso ha cercato di riorganizzare l’ambito della patologia processuale, respingendo ipotesi come l’annullamento e facendo riferimento allo schema del potere-atto-scopo.
Ne deriva che le fattispecie di cui all’art. 606 co.1 lett. c rilevano sotto l’aspetto dell’atto: la nullità come conseguenza della violazione della legalità dell’atto; l’inammissibilità come conseguenza del mancato rispetto della tipicità della
domanda (riguarda quindi il contenuto dell’atto);
40
la decadenza come conseguenza del mancato rispetto dei termini richiesti per il compimento dell’atto;
l’inutilizzabilità (art. 191) come mancata accettazione di un mezzo di prova.Esempio di inutilizzabilità: perquisizione effettuata senza autorizzazione. Al riguardo Cordero ha concepito la teoria dei “frutti dell’albero malato”, secondo la quale l’inutilizzabilità delle prove ottenute con la perquisizione non inficia la possibilità di disporre un sequestro.
Altre tre fattispecie individuate da Conso, invece, rilevano sotto il profilo del potere: l’inesistenza come conseguenza dell’assoluta mancanza di potere; l’abnormità come conseguenza di una violazione della competenza funzionale; l’annullamento come forma di invalidità alternativa alla nullità.Il discorso sull’annullamento va approfondito. Se si pensasse che annullamento fosse uguale alla nullità, si avrebbe un’estensione della disciplina della nullità all’annullamento; ma non si capirebbe perché il legislatore parli di annullamento.Secondo RICCIO, l’annullamento non è una sanzione in senso tecnico, ma è un potere. Esso cioè riguarda un comportamento, non l’atto (come la nullità).Nell’art. 24 (decisione del giudice di appello sulla competenza), ad esempio, troviamo l’attribuzione di un potere.
LE NOTIFICAZIONI
La notifica ha lo scopo di portare a conoscenza della parte l’atto che la riguarda, vi
sono vari tipi di notifica a seconda del soggetto destinatario; per cui avremo la
notifica all’imputato, al difensore, alla parte civile, al pubblico ministero etc. etc.
L’organo che esegue le notifiche è di solito l’ufficiale giudiziario, ma vi possono
essere dei casi nei quali la notifica è eseguita da soggetti differenti (giudice, pubblico
ministero, difensore)
Per compiere gli atti di solito vi sono dei TERMINI oltre i quali non è più possibile il
compimento degli stessi:
TERMINI DILATORI
41
Sono quei termini prima dei quali non è possibile compiere un atto (es. il termine che
intercorre tra il decreto che dispone il giudizio e la prima udienza dibattimentale)
TERMINI ACCELLERATORI
Sono quei termini che indicano la spazio di tempo entro il quale un atto può
validamente essere compiuto.Tali termini si distinguono in:
1. Termini perentori e sono quei termini scaduti i quali non è più possibile
compiere l’atto (es. si pensi alla possibilità di rilevare l’incompetenza
territoriale non oltre il termine di cui all’art. 491 c.p.p.)
2. Termini ordinatori il mancato rispetto dei quali non comporta sanzioni
processuali di sorta (es. si pensi al mancato rispetto da parte del giudice per
quanto riguarda il deposito della sentenza).
OBBLIGO DELL’IMMEDIATA DECLARATORIA DELLE CAUSE DI NON
PUNIBILITA’ ( art. 129 cpp ).
Il comma 1 dell’art. 129 contiene la regola secondo cui il giudice, in ogni stato e
grado del processo, quando riconosca che il fatto contestato all’imputato non sussista
o che lo stesso non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che non è
previsto dalla legge come reato ovvero che il reato si è estinto o che manca una
condizione di procedibilità, lo dichiara con sentenza.
Il comma 2 poi specifica che il giudice, qualora ricorra una causa di estinzione del
reato, ma dagli atti risulta evidente che il fatto contestato all’imputato non sussista o
che lo stesso non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato ovvero che non è
42
previsto dalla legge come reato pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a
procedere con la formula prescritta.
In altre parole l’art. 129 presuppone che l’azione penale sia stata esercitata e che
quindi va arrestata appena emerge la possibilità di pronunciare sentenza di
proscioglimento; se si verifica una delle condizioni previste dal primo comma
dell’art.129 al giudice è precluso il compimento di qualsiasi attività anche se
finalizzata ad ottenere una formula più favorevole. Tuttavia il comma 2 fissa una
regola di prevalenza, in forza della quale in presenza di una causa di estinzione del
reato il giudice è obbligato ad applicare una formula più favorevole all’imputato ove
ciò risulti evidente dagli atti. L’ordine progressivo delle cause indicate nel comma 2
indica quale deve essere applicata con priorità rispetto ad un'altra; per cui si va dalla
formula più favorevole a quella meno favorevole.
43
LE MISURE CAUTELARI
Talvolta all’interno di un procedimento penale si avverte la necessità di anticipare le
conseguenze di una eventuale sentenza di condanna da parte del giudice; in tal senso
ecco che può aversi l’applicazione delle c.d. misure cautelari le quali hanno come
scopo appunto quello di anticipare gli effetti, nei confronti dell’imputato, di una
sentenza di condanna.
La disciplina della libertà personale prende spunto da una serie di principi
costituzionali: la Costituzione pone la persona al centro di una serie di principi.
Innanzitutto l’art 2 Cost. afferma l’inviolabilità dei diritti dell’uomo sia come singolo
che nelle formazioni sociali ove si realizza la sua personalità. Tale norma costituisce
una clausola aperta ad altri valori. E così tale norma diventa anche una norma
centrale in tema di libertà personale dell’imputato vista la sua natura inviolabile.
Se letta in combinazione con l’art. 27 della Cost. comma 2 e 3 essa libera dai limiti
derivanti dall’art 13 Cost.
L’art. 13 della Cost. svolge un ruolo centrale in materia di libertà : infatti comincia
con la dichiarazione di inviolabilità della stessa. Il principio dell’art 13 si coniuga
bene con quello dell’art. 2 della Cost perché entrambi riferiscono il diritto alla tutela
della libertà personale a tutte le situazioni connesse allo sviluppo della persona.
Nel comma 2 dell’art. 13 della Cost. si afferma che le restrizioni della libertà sono
possibili nei casi previsti dalla legge e con atto motivato dell’autorità giudiziaria.
44
Erroneamente si è parlato di giurisdizionalizzazione delle misure cautelari in
riferimento all’art. 13 della Cost., ma in realtà ci si deve riferire all’art. 111 comma 7
Cost.
L’art. 111 comma 7 Cost. ha la funzione di sottolineare l’esigenza di
giurisdizionalizzazione dei provvedimenti incidenti sulla libertà personale, cioè che i
provvedimenti restrittivi della libertà personale devono essere emessi dal giudice;
leggendo tale articolo congiuntamente all’art. 13 della Cost. si ricava che
quest’ultimo dove si riferisce ad “ atto motivato dell’autorità giudiziaria “ intende
rifersi a restrizioni della libertà minori – quali ispezioni, perquisizioni etc. – che
possono esser disposti anche dal PM.
L’art. 27 della Costituzione esprime il cd. Principio di NON COLPEVOLEZZA
secondo il quale l’imputato non è colpevole fino alla sentenza definitiva di condanna;
a livello delle Carte Internazionali si parla invece di presunzione di innocenza; ora la
differenza tra le due è minima, solamente che parlare di presunzione di non
colpevolezza ci permette di colmare quel vuoto di fini che si era creato con l’art. 13
della Cost. Infatti, in virtù di tale principio è possibile sulla base di elementi, anche
gravi, a sostegno dell’accusa limitare la libertà personale del soggetto.
I principi che regolano l’applicazione delle misure cautelari sono: il primo è quello
della giurisdizionalizzazione nel senso che le stesse possono essere applicate solo
previo provvedimento del giudice, ed è inoltre lo stesso giudice che deve decidere
circa il loro mantenimento; secondo è quello della tassatività nel senso che le misure
cautelari sono solamente quelle previste dalla legge ed in particolare dall’art. 272
45
cpp; il terzo è quello della c.d. domanda cautelare nel senso che il giudice può
disporre l’applicazione della misura cautelare, ovvero la sostituzione di quella in atto
con altra più gravosa, solamente a seguito di esplicita richiesta da parte del pubblico
ministero.
Le misure cautelari si distinguono in misure cautelari personali, le quali vanno ad
incidere direttamente sulla persona, e misure cautelari reali, le quali vanno ad
incidere sul patrimonio della persona.
MISURE CAUTELARI PERSONALI
Tali misure cautelari si distinguono in misure cautelari personali coercitive, le
quali vanno ad incidere sulla libertà della persona, e sono:
1. Custodia cautelare in carcere
2. Arresti domiciliari
3. Custodia cautelare presso luogo di cura
4. Divieto di espatrio
5. L’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria
6. L’allontanamento dalla casa familiare
7. l’obbligo o il divieto di dimora
Ed in misure cautelari interdittive le quali interdicono l’esercizio di una specifica
attività o funzione, e sono:
1. Sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori
2. La sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio
46
3. Il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o
imprenditoriali
Al fine di poter applicare qualsiasi misura cautelare il giudice deve accertarsi che
sussistono i presupposti per l’applicazione delle stesse, tali presupposti sono:
GRAVI INDIZI DI COLPEVOLEZZA
Per quanto riguarda i gravi indizi l’art. 273 c.p.p. stabilisce, innanzitutto, che non è
possibile applicare alcuna misura cautelare se il reato è stato compiuto in presenza di
una causa di giustificazione ovvero in presenza di una causa di estinzione del reato.
La norma in esame individua nei gravi indizi di colpevolezza i presupposti in
presenza dei quali può essere applicata una misura cautelare. Il termine indizio
assume un significato diverso da quello dell’art. 192 cpp: qui con il termine indizio ci
si riferisce alle risultanze dell’indagine che non possono assumere il termine prove
perché non c’è ancora stato il vaglio del dibattimento. Mentre il termine cautelare
considera tutti gli elementi capaci di dimostrare la responsabilità penale, anche se
solo in chiave probabilistica.
La gravità va invece intesa sia in termini quantitativi che qualitativi, nel senso che gli
elementi raccolti devono raggiungere un tale livello di consistenza tale da far ritenere
che il soggetto nei cui confronti si dirigono sia responsabile.
Tra le condizioni in presenza delle quali va applicata una misura cautelare vi rientra
anche il limite di pena, nel senso che vi sono dei limiti al di sotto dei quali non è
possibile applicare una misura cautelare. ( vedi dopo ).
ESIGENZE CAUTELARI
47
Le condizioni indicate dall’art. 273 cpp sono elementi necessari ma non sufficienti,
occorrono infatti anche le esigenze cautelari.
Le esigenze cautelari sono disciplinate dall’art. 274 c.p.p. , in questo articolo sono
considerate tre diverse esigenze:
1. Quando vi è un concreto ed attuale pericolo in relazione alla genuinità della
prova art. 274 lett.a c.p.p. (l’applicazione di una misura cautelare avente
questa esigenza rappresenta l’unico caso nel quale il giudice deve indicare
nell’ordinanza applicativa la durata della stessa). Tale pericolo è detto di
inquinamento probatorio, nel senso che si vuole evitare il compimento di atti
da parte dell’ indagato che ledano la genuinità delle prove. Il pericolo deve
essere concreto ed attuale.
2. Quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo di fuga art.
274 lett.b c.p.p.
3. Quando sussiste pericolo concreto che la persona sottoposta alle indagini
ovvero l’imputato commetta un grave delitto con uso di armi o con altri mezzi
di violenza personale, ovvero compia delitti di criminalità organizzata della
stessa specie art. 274 lett.c c.p.p. Questa esigenza è meglio conosciuta con il
termine di PERICOLOSITA’ SOCIALE. Questa ultima esigenza è quella che
ha dato luogo a maggiori dibattiti in dottrina : il problema nasce dal fatto che la
norma nella sua formulazione letterale è molto generica, infatti il pericolo
dovrebbe risultare da una situazione concreta che permette di fondare un
48
giudizio in tal senso. Quindi giocano un ruolo importante l’imparzialità del
giudice e la terzietà.
Bisogna chiarire che al fine di applicare una misura cautelare non è necessario che
concorrano tutte le esigenze cautelari sopra descritte, essendo sufficiente la presenza
di una sola tra le esigenze indicate.
L’applicazione di una qualsiasi misura cautelare coercitive presuppone inoltre
anche dei limiti di pena; per meglio intenderci l’art. 280 c.p.p. stabilisce che le
misure coercitive possono essere applicate solamente per quei reati puniti con la pena
dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni.
Se ritratta di custodia cautelare in carcere allora il reato, per consentire
l’applicazione della misura cautelare, deve essere punito con la pena dell’ergastolo
ovvero con la reclusione non inferiore a 4 anni.
Per quanto invece riguarda le misure cautelari interdittive esse possono applicarsi
solamente quando si tratti di un reato punito con la pena dell’ergastolo ovvero della
reclusione superiore nel massimo a 3 anni.
Al fine di applicare una misura cautelare il giudice procedente deve tenere conto di
due principi fondamentali, quelli dell’adeguatezza e dalla proporzionalità (art. 275
c.p.p.).
Per quanto riguarda il primo, il giudice deve adeguare la misura cautelare alle
esigenze concrete scaturenti dal tipo di reato compiuto, in tal senso la custodia in
carcere costituisce, in una immaginaria scala di valori, l’extrema ratio tra le misure
applicabili.
49
Per quanto invece riguarda la proporzionalità il giudice prima di applicare una
misura cautelare deve fare un bilanciamento tra la gravità del fatto e l’entità della
sanzione che, presumibilmente, per quel reato verrà irrogata all’imputato ritenuto
colpevole.
Per quanto riguarda il giudice competente ad emettere la misura cautelare, l’art. 279
c.p.p. ci informa che è sempre il giudice che procede (per cui se ci si trova nella fase
delle indagini preliminari allora sarà il gip; se ci si trova in dibattimento allora sarà il
giudice del dibattimento etc. etc.).
Bisogna ora sottolineare come si svolge il procedimento che porta all’applicazione di
una misura cautelare:
PROCEDIMENTO APPLICATIVO DELLE MISURE CAUTELARI
L’applicazione di una misura cautelare viene sempre richiesta dall’organo che in
quella fase è organo di accusa ( pubblico ministero, procuratore generale etc. etc.)2; il
giudice procedente deve sempre valutare, prima di applicare la misura richiesta, se
sussistono i gravi indizi e le esigenze cautelari.
Nel momento in cui ritiene sussistenti i presupposti di cui sopra (gravi indizi ed
esigenze cautelari) emette ordinanza applicativa della misura cautelare; in questa
ordinanza, a pena di nullità devono essere indicate: tutte le generalità dell’imputato; i
gravi indizi e le esigenze cautelari, motivando circa i fatti concreti sui quali gravi
indizi ed esigenze si poggiano; la fissazione della data di scadenza della misura ( se
l’esigenza considerata è quella di cui all’art. 274 lett.a c.p.p.); la data e la
2 L’organo di accusa nella richiesta ha il dovere anche di indicare eventuali elementi a favore dell’indagato, o imputato, che potrebbero valere ad evitare l’applicazione della misura cautelare.
50
sottoscrizione del giudice; ed inoltre il giudice deve indicare anche perché gli
elementi portati a favore dell’indagato, o imputato, da parte dell’accusa non sono stati
ritenuti rilevanti.
Una volta applicata la misura cautelare, la persona ad essa sottoposta deve essere
interrogata dal giudice che ha emesso tale misura (art. 294 c.p.p.)
Tale interrogatorio è chiamato di GARANZIA.
Il motivo di tale interrogatorio consiste nel fatto che la misura cautelare viene emessa
senza che vi sia un contraddittorio tra le parti per cui è necessario che la persona
sottoposta alla misura abbia comunque la possibilità di difendersi, ed il giudice
constatare di persona la reale sussistenza delle esigenze cautelari.
L’interrogatorio deve avvenire entro termini ben precisi:
1. Se la misura applicata è quella della custodia cautelare in carcere allora
l’interrogatorio deve avvenire entro 5 giorni dall’applicazione della misura.
2. Per qualsiasi altra misura, coercitiva o interdittiva, l’interrogatorio deve
avvenire entro 10 giorni dall’applicazione della misura.
A questa regola generale fa eccezione la misura interdittiva della sospensione
dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio in quanto in questo caso
l’interrogatorio del giudice deve procedere l’eventuale applicazione della misura
cautelare.
Le misure cautelari sono sottoposte a dei termini scaduti i quali la misura perde
efficacia.
51
TERMINI DI DURATA DELLE MISURE CAUTELARI
Ovviamente le misure cautelari non possono durare in eterno perciò il legislatore ha
previsto dei termini ben precisi scaduti i quali, come già detto, la misura cautelare
perde efficacia.
Il codice stabilisce la durata massima delle misure cautelari sia coercitive che
interdittive; per le quali individua un termine di fase (es. la fase delle indagini
preliminari, la fase del dibattimento, etc. etc.), facente riferimento ad ogni singola
fase processuale, ed un termine finale che non può mai essere complessivamente
superato.
Particolare attenzione il codice dedica alla custodia cautelare in carcere in quanto
vi dedica una disciplina precisa art. 303 c.p.p. in queste due norme il legislatore
specifica analiticamente i vari termini suddistinguendoli, a seconda del reato e a
seconda delle pena prevista, fase per fase e stabilendo termini finali.
I termini possono essere prorogati (art. 305 c.p.p.) ciò allorquando nel corso del
processo di merito è disposta una perizia sullo stato di mente dell’imputato; ovvero
quando, nel corso delle indagini preliminari, i termini sono prossimi a scadere e
sussistono gravi esigenze cautelari che portano il pubblico ministero a chiedere la
proroga dei termini.
In tali casi il pubblico ministero chiede la proroga ed il giudice procedente decide
con ordinanza, sentito il difensore.
I termini possono anche essere sospesi in una serie di casi previsti dall’art. 304
c.p.p., tra i quali: rinvio del dibattimento per impedimento dell’imputato o del
52
difensore, ovvero durante il tempo necessario per il deposito della motivazione della
sentenza.
Ovviamente la sospensione va ad incidere sui termini sia di fase che finali
aumentandoli.
Infine l’art. 308 c.p.p. prevede i termini di durata massimi per le misure coercitive
diverse dalla custodia cautelare e per le misure interdittive.
In caso di trasgressione della misura imposta il giudice può disporre la sostituzione o
il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell’entità , dei motivi e delle circostanze
della violazione ( art. 276 cpp ). Tale principio costituisce una deroga al principio
della domanda contenuto nell’art. 299 cpp ; infatti in questo caso il giudice può
sostituire o cumulare la misura cautelare anche senza richiesta o parere del PM.
Le misure cautelari possono anche essere revocate, sostituite o possono estinguersi.
REVOCA E SOSTITUZIONE DELLE MISURE CAUTELARI
La revoca e la sostituzione sono previste dall’art. 299 c.p.p..
La revoca consiste nell’eliminazione della misura cautelare applicata allorquando
vengono meno i presupposti che ne avevano giustificato l’applicazione.
La sostituzione invece prevede una modifica della misura cautelare originariamente
applicata. Tale modifica però può essere tanto migliorativa quanto peggiorativa della
misura cautelare applicata.
I soggetti che intervengono nel procedimento di modifica o revoca sono: Il giudice.
Il pubblico ministero, l’indagato, o imputato, ed il suo difensore. L’unico soggetto
53
che può decidere è ovviamente sempre il giudice il quale può revocare o sostituire la
misura cautelare dopo assunto l’interrogatorio della persona sottoposta alla
restrizione, ovvero quando deve decidere sulla richiesta di proroga avanzata dal
pubblico ministero.
Per quanto riguarda le altre parti. Se la richiesta è avanzata dall’imputato
personalmente o tramite difensore, il giudice dovrà decidere entro 5 giorni dalla
richiesta previo parere del pubblico ministero che deve essere emesso entro 2 giorni
dalla richiesta3.
Per quanto riguarda la richiesta del pubblico ministero, la quale sarà
presumibilmente di sostituzione peggiorativa, il giudice se ritiene che le esigenze
cautelari risultano aggravate sostituisce la misura cautelare in atto con altra più
gravosa.
ESTINZIONE DELLE MISURE CAUTELARI
Le misure cautelari possono estinguersi per effetto della pronunzia di determinate
sentenze (es. si pensi al caso in cui il gup emetta sentenza di non luogo a procedere,
ovvero nel caso in cui vi sia una sentenza di assoluzione nel corso del dibattimento)
ovvero per lo scadere dei termini di fase o massimi, in questo il pubblico ministero
ha la possibilità di richiedere o l’applicazione o della stessa misura cautelare o di
altra misura cautelare, se comunque continuano a sussistere le esigenze cautelari che
hanno giustificato l’applicazione della misura estinta.
3 Il parere del pubblico ministero non è vincolante per il giudice, il quale può tranquillamente decidere in maniera difforme dal parere espresso dal p.m.
54
Ancora, comporta l’estinzione della misura cautelare, in particolar modo quella
stabilita per esigenze probatorie, il venir meno del termine indicato nell’ordinanza
dal giudice al momento dell’applicazione della stessa.
Infine si ha estinzione anche nel caso in cui sia stato omesso l’interrogatorio di
garanzia.
LA RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE
Essa è prevista nel caso in cui ad un soggetto sia stata applicata la misura della
custodia cautelare, e lo stesso sia stato successivamente prosciolto con sentenza
definitiva perchè il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perchè il
fatto non è previsto dalla legge come reato.
In tali casi il soggetto ha diritto ad un’equa riparazione per il periodo in cui è stato
detenuto (art. 314 1°comma c.p.p.).
Il 2° comma dello stesso articolo prevede la possibilità di ottenere l’ingiusta
detenzione per quel soggetto, prosciolto per qualsiasi causa o condannato, nei
confronti del quale è stato emesso o mantenuto un provvedimento cautelare senza
che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 280 c.p.p.
La parte lesa può chiedere che sia risarcita, giudice competente è la Corte di
Appello del luogo in cui a sede il giudice che ha emesso la sentenza o il
provvedimento divenuto esecutivo.
55
MISURE CAUTELARI REALI
Come detto in precedenza le misure cautelari reali vanno ad incidere sul patrimonio
del soggetto ad esse sottoposto, esse sono:
1. Sequestro preventivo
2. Sequestro conservativo
Il Sequestro preventivo tale sequestro ha ad oggetto una cosa pertinente al reato
tutte le volte in cui la sua disponibilità potrebbe aggravare le conseguenze del reato
stesso oppure agevolare il compimento di altri reati.
In tal caso il pubblico ministero effettua richiesta di sequestro al giudice che
procede il quale verifica che sussistano le condizioni previste dall’art. 321 1°
comma c.p.p. ed emette decreto applicativo del sequestro.
Durante la fase delle indagini preliminari se non è possibile attendere il decreto
del giudice allora il sequestro può essere disposto, con decreto motivato,
direttamente dal pubblico ministero, nelle stesse condizioni possono provvedere
anche gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria i quali nelle successive 48
ore devono trasmettere il verbale di sequestro al p.m. del luogo in cui il sequestro è
avvenuto.
Successivamente, entro le successive 48 ore che decorrono dal momento in cui è
avvenuto il sequestro, se è disposto dallo stesso p.m., ovvero da quando il p.m.
riceve il verbale di sequestro, se disposto dalla polizia giudiziaria, il pubblico
56
ministero deve chiedere, al giudice, la convalida del sequestro eseguito e
l’emissione del decreto di sequestro.
Il giudice procedente emette nei successivi 10 giorni ordinanza, con la quale
convalida il sequestro già avvenuto, e decreto, che consiste nel provvedimento
cautelare reale vero e proprio.
Il sequestro conservativo interviene quando vi è la fondata ragione di ritenere che
possano andare disperse o che vengano a mancare le garanzie per il pagamento
della pena pecuniaria a seguito di condanna in giudizio (art. 316 c.p.p.)
A chiedere il sequestro può essere il pubblico ministero o la parte civile; esso può
avvenire solamente nel processo di merito, quindi è escluso sia durante le indagini
preliminari che durante il giudizio di legittimità.
Presupposti del sequestro conservativi sono:
1. Il fumus boni iuris ossia l’esistenza dell’imputazione
2. Il periculum in mora ossia la possibilità di disperdere o di sottrazione dei
beni atti a garantire il credito
LE IMPUGNAZIONI DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI
Avverso l’ordinanza che applica una qualsivoglia misura cautelare personale è
possibili, oltre al ricorso per Cassazione (art. 311 c.p.p.), anche il duplice
rimedio del riesame e dell’appello, v’è subito da fare una considerazione
preliminare, cioè bisogna dire che sia il riesame che l’appello si svolgono
entrambi innanzi allo stesso giudice ossia il Tribunale del riesame presente nel
capoluogo del distretto di Corte di Appello nel quale è stata emessa la misura.
57
IL RIESAME
Il riesame può essere proposto nei confronti delle ordinanze che dispongono una
misura coercitiva (art. 309 c.p.p.), lo scopo è quello di verificare se sussistono o
meno i presupposti che giustificano il provvedimento cautelare.
Soggetti legittimati a chiedere una pronunzia del tribunale sono l’indagato, o
imputato, ed il suo difensore.
Caratteristica del procedimento di riesame e che non è necessaria la
presentazione dei motivi di gravame (cioè la richiesta di riesame non deve essere
motivata dalle parti), dal momento che si decide sullo status libertatis del
soggetto.
Il primo passo consiste nel, proporre la richiesta di riesame entro 10 giorni
dall’esecuzione o notifica, all’imputato, del provvedimento cautelare.
Il secondo passo per addivenire alla pronuncia è la trasmissione degli atti da
parte del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato al tribunale del
riesame che deve decidere, il codice prevede che tale trasmissione deve avvenire
nel termine perentorio di 5 giorni che decorrono dal momento nel quale è
presentata istanza di riesame.
Successivamente il tribunale fissa l’udienza e fa notificare avviso, almeno 3
giorni prima dell’udienza, all’imputato e al suo difensore ed anche al pubblico
ministero.
58
Successivamente entro 10 giorni dalla ricezione degli atti il tribunale, a seguito
di udienza in camera di consiglio, deve decidere, con ordinanza, se confermare,
riformare, solamente in melius, ovvero annullare la misura cautelare applicata.
Tutti i termini nel riesame sono perentori.
Contro questa ordinanza è ammissibile il ricorso in Cassazione.
L’APPELLO
I provvedimenti che possono essere sottoposti al giudizio di appello innanzi al
Tribunale del riesame sono le ordinanze relative a misure cautelari diverse da
quelle assoggettabili a riesame (per cui non è possibile proporre appello avverso
un’ordinanza che applica una misura cautelare coercitiva) (art. 310 c.p.p.)
Per cui per quanto riguarda le ordinanze per le quali è proponibile appello esse
sono:
1. Ordinanze che applicano una misura interdittiva
2. Ordinanze che decidono sulla richiesta di sostituzione o revoca di una
misura cautelare già in atto (es. il difensore chiede al gip la revoca della
misura della custodia cautelare nei confronti del proprio assistito. Il gip,
sentito anche il parere del pubblico ministero, rigetta la richiesta del
difensore. Avverso l’ordinanza di rigetto del gip il difensore ha come
rimedio quello di esperire appello al Tribunale del riesame)
Altri numerosi esempi è possibile effettuare relativamente ai provvedimenti
appellabili, ma quello che è importante apprendere è che il giudizio di appello al
59
Tribunale del riesame ha un carattere residuale rispetto al procedimento di
riesame vero è proprio.
Per quanto riguarda i soggetti che possono proporre appello abbiamo: il pubblico
ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato,
all’indagato, o imputato, ed al suo difensore.
A differenza del riesame devono essere indicati i motivi a pena di
inammissibilità; quindi la cognizione del giudice di appello è limitata ai punti
della decisione indicati nei motivi.
Per quanto riguarda il procedimento, esso in larga misura è simile a quello
previsto per il riesame; il termine per proporre appello è di 10 giorni che
decorrono dalla notificazione o dalla comunicazione o dall’avviso di deposito
dell’atto.
La domanda di appello deve essere motivata, questa è una differenza rispetto al
riesame nel quale la domanda non necessariamente deve essere motivata.
Anche in tale procedura devono essere trasmessi al giudice di appello gli atti di
cui ha tenuto conto il gip nel provvedimento impugnato, solamente che in questo
caso non vi è un termine perentorio oltre il quale, in caso di mancato rispetto,
decade la misura.
L’avviso dell’udienza deve essere dato alle parti almeno 10 giorni prima della
stessa.
Il procedimento avviene in camera di consiglio e la decisione deve avvenire
entro 20 giorni dall’udienza e tale termine non è perentorio.
60
A differenza che nel riesame, in appello gli unici provvedimenti che possono
essere emessi sono: o la riforma dell’ordinanza impugnata ovvero la conferma
della stessa.
Anche avverso l’ordinanza emessa in sede di appello è ammesso ricorso in
Cassazione.
LE IMPUGNAZIONI DELLE MISURE CAUTELARI REALI
Anche per le misure cautelari reali sono previsti il riesame e l’appello.
Per quanto riguarda il sequestro conservativo l’art. 318 c.p.p. prevede come
possibili impugnazioni solamente il riesame ed il ricorso per Cassazione.
Per quanto riguarda il riesame v’è da dire che il procedimento non si discosta
particolarmente da quello previsto per le misure cautelari, l’unica sostanziale
differenza riguarda i soggetti legittimati a proporre riesame, in quanto essi sono
tutti coloro che hanno interesse a ciò; per cui non è concesso di proporre riesame
al pubblico ministero ed alla parte civile.
Avverso il provvedimento del Tribunale del riesame è ammissibile il ricorso per
Cassazione.
Per quanto invece riguarda il sequestro preventivo oltre al riesame ed al ricorso
per Cassazione è ammesso anche il giudizio di Appello innanzi al Tribunale del
riesame.
Riassumendo le differenze tra il riesame delle misure cautelari personali ed il
riesame delle misure cautelari reali esse consistono nel fatto che in queste
ultime:
61
1. La legittimazione a proporre la richiesta di riesame spetta, oltre che
all’indagato, o imputato, ed al suo difensore anche alla persona alla quale il
bene è stato sequestrato o che ha diritto alla restituzione nel caso di
sequestro preventivo; ovvero, nel caso di sequestro conservativo, alla
persona che ha interesse.
2. La trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria non deve essere effettuata
nel breve termine di 5 giorni previsto per il riesame delle misure personali
3. Il Tribunale del riesame può mantenere il sequestro rinviando la
controversia al giudice civile laddove sia stata contestata la proprietà del
bene soggetto a vincolo.
62
LE INDAGINI PRELIMINARI
Le indagini preliminari costituiscono la fase procedimentale che precede l’eventuale
richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pubblico ministero.
L’aggettivo PRELIMINARE indica il complesso di attività che compie il PM,
direttamente o a mezzo di PG per verificare se sussistono o meno, in relazione ad un
certo fatto, le condizioni per l’esercizio dell’azione penale.
Con la legge del 2000 n. 397 sono state previste le indagini difensive cioè viene data
la possibilità al difensore di svolgere indagini a favore del proprio assistito, anche
avvalendosi di propri investigatori.
La fase delle indagini preliminari è caratterizzata dal segreto investigativo per singoli atti di indagine individuati dall’articolo 329, che viene rispettato attraverso il divieto di pubblicazione.Questo segreto subisce : sia una deroga disposta dal PM quando sia necessario per la prosecuzione delle
indagini; sia una ultrattività sempre per la medesima necessità, quando il PM dispone per
atti di indagine non più segreti, la segretazione con decreto motivato e con il consenso dell’imputato.
Le indagini rappresentano una fase procedimentale e non processuale perché non è ancora stata esercitata l’azione penale, quindi manca il rapporto processuale tra giudice PM ed imputato.Tuttavia la giurisdizione si individua nell’articolo 328 che ha ad oggetto il GIP il quale ha competenza funzionale limitandosi all’emanazione solo di alcuni atti ed interviene per dirimere i conflitti intersoggettivi tra PM e difesa.Il dominus delle indagini è il PM che ex 370: personalmente o avvalendosi della pg compie le attività di indagine. Per le indagini da compiersi fuori dalla circoscrizione del proprio tribunale, il PM procedente può delegare il PM di altro tribunale che per ragioni urgenti procedere anche di propria iniziativa.
63
Nell’ambito delle indagini preliminari il GIP (giudice PER le indagini preliminari, e
non DELLE ) interviene solamente a richiesta del pubblico ministero, della persona
sottoposta alle indagini ovvero della persona offesa dal reato, al fine di compiere
determinati atti.
La giurisdizione del gip è particolare, in quanto si tratta di un giudice che interviene
in una fase del procedimento nel quale non è stata ancora esercitata l’azione penale,
e non è detto che essa venga esercitata, per cui appare corretto parlare del gip come di
un giudice di garanzia e di controllo: di garanzia della libertà personale,
dell’inviolabilità del domicilio e di tutte le libertà costituzionalmente garantite; di
controllo della legittimità dell’attività di accusa.
Le indagini preliminari prendono spunto dalla c.d. notizia criminis; tale notizia può
essere o specifica, se il reato è stato commesso da una o più persone specificate,
ovvero generica, se non è noto l’autore del reato.
Le notizie di reato si distinguono, inoltre, in tipiche, ossia disciplinate dalla legge, ed
atipiche, se non sono disciplinate dalla legge.
Per quanto riguarda le notizie tipiche esse sono:
1. La denuncia è la dichiarazione con la quale una persona informa la polizia
giudiziaria, ovvero il pubblico ministero, che è stato commesso un reato
perseguibile di ufficio. Mentre i privati cittadini hanno la facoltà di presentare
denuncia all’autorità giudiziaria, tale facoltà si tramuta in obbligo quando si
tratta di un reato punito con l’ergastolo ovvero si tratta di delitto contro la
personalità dello stato, e per il reato di sequestro di persona; per quanto
64
riguarda gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria essi hanno l’obbligo di
presentare denuncia al procuratore della Repubblica dei reati di cui hanno
avuto conoscenza, anche al di fuori dell’esercizio delle loro funzioni. Tale
obbligo riguarda anche gli ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio che
abbiano avuto notizia di un reato nell’esercizio o a causa delle loro funzioni
(artt. 331-333 c.p.p.)
2. Il referto è la dichiarazione con cui l’esercente una professione sanitaria
informa il pubblico ministero o la polizia giudiziaria di un reato, perseguibile
di ufficio, di cui ha avuto notizia in occasione della sua attività (art. 334
c.p.p.). V’è però da dire che il codice prevede la possibilità per il medico di
non presentare il referto quando tale referto esporrebbe la persona assistita ad
un procedimento penale.
Non sempre i reati sono perseguibili di ufficio, vi sono dei casi in cui il pubblico
ministero, pur sapendo che un reato è stato compiuto non esercitare l’azione penale se
non in presenza di una condizione definita di procedibilità.
Le condizioni di procedibilità sono:
1. La querela ossia la dichiarazione della persona offesa dal reato, presentata
personalmente o a mezzo di procuratore speciale, attraverso la quale chiede al
pubblico ministero di procedere penalmente nei confronti di un dato soggetto.
La parte querelante può anche rinunciare espressamente alla querela tramite
una dichiarazione scritta rilasciata all’interessato o ad un suo legale
rappresentante (art. 339 c.p.p.). Accanto alla rinuncia si ha anche la
65
remissione della querela, tale atto si differenzia dalla rinuncia per il fatto che
esso deve essere accettato dalla controparte. La querela deve essere proposta, a
pena di decadenza, entro 90 giorni, tale termine decorre dal momento nel
quale è stato compiuto il reato o la persona offesa è venuta a conoscenza del
reato.
2. L’istanza è la facoltativa manifestazione di volontà con la quale la persona
offesa da un reato commesso all’estero chiede che il pubblico ministero
proceda per quel reato che se fosse stato compiuto nel territorio dello stato
sarebbe perseguibile di ufficio.
3. Richiesta di procedimento è presentata al PM dal Ministro della Giustizia in
relazione ad alcuni delitti indicati dagli articoli 8 – 11 cp
4. L’autorizzazione a procedere è la dichiarazione con la quale un organo
pubblico, estraneo all’autorità giudiziaria, consente, a seguito di richiesta da
parte del pubblico ministero, che venga esercitata l’azione penale nei confronti
di una determinata persona. Tale procedura avviene allorquando occorre
indagare nei confronti di un parlamentare o di un giudice costituzionale, per
cui è necessaria l’autorizzazione data dall’assemblea parlamentare (Camera
dei deputati o Senato della Repubblica ) alla quale il soggetto appartiene, o
della Corte Costituzionale se il soggetto è un giudice costituzionale.
5. L’autorizzazione ad acta consente invece il compimento di alcuni atti
limitativi della libertà, quali: ad esempio perquisizioni, arresto, intercettazioni,
etc. )
66
Nel momento in cui il pubblico ministero ha conoscenza che si è verificato un reato,
iscrive tale notizia in un apposito registro definito appunto registro delle notizie di
reato, nel quale vengono indicate tutte le generalità del soggetto al quale,
presumibilmente è attribuito il reato.
La funzione di tale registro è di estrema importanza in quanto è possibile per
chiunque sapere se nei propri riguardi è in corso o meno un’indagine.
La funzione di tale registro è ,inoltre, tanto più importante soprattutto se si tiene cono
che non sempre la persona sottoposta alle indagini viene avvertita tramite il canonico
avviso di garanzia.
Per quanto riguarda le indagini preliminari esse possono essere compiute sia dalla
Polizia giudiziaria, prima che la direzione delle stesse venga assunta dal pubblico
ministero, sia dal pubblico ministero stesso.
INDAGINI COMPIUTE dalla Polizia.Giudiziaria.
La pg è soggetto del procedimento, ma non parte del processo penale, non essendo
portatrice di una situazione giuridica sostanziale innanzi al giudice dell’udienza
preliminare o dibattimentale.
Ad essa è affidato il compimento degli atti investigativi.Essa può operare: in via autonoma, di propria iniziativa fino a quando la direzione delle indagini non
sia stata ancora assunta dal PM; su delega del PM.Dobbiamo sottolineare che il 327 seconda parte, aggiunto nel 2001 ( norma politica), affida alla PG la possibilità di proseguire in via autonoma l’attività anche dopo aver consegnato le notizie al PM.Secondo l’art 109,la polizia giudiziaria dipende funzionalmente dalla magistratura mentre l’organizzazione della PG dipende dall’esecutivo.La vera novità avutasi nel 1989 è stata la tripartizione di funzioni tra:
67
servizi o nuclei di pg: svolgono le attività di pg ( es squadre mobili); esse dipendono esclusivamente dal potere esecutivo, cioè dal ministro dell’interno);
sezioni: organo che ha una stretta dipendenza con la magistratura mentre dal punto di vista strutturale dipende dall’esecutivo;
agenti o uffici di pg.
Tali indagini consistono:
1. Nella possibilità di assumere sommarie informazioni dalla persona nei cui
confronti si svolgono le indagini alla presenza del difensore di quest’ultima, in
quanto se ciò non avvenga, se cioè non sia presente il difensore, non vi è la
possibilità né di documentarle in alcun modo, né tanto meno di utilizzarle.
Le sommarie informazioni vanno tenute distinte dalle spontanee
dichiarazioni; le prime sono informazioni rilasciate dall’ indagato e che
prevedono una serie di cautele da parte della PG : necessaria assistenza del
difensore, impossibilità di assunzione dall’indagato in vinculis. Mentre le seconde
sono dichiarazioni che l’indagato rende di sua spontanea iniziativa senza che
siano sollecitate da domande o contestazioni degli inquirenti. Si tratta di un
mezzo di autodifesa e di collaborazione spontanea, utilizzabile anche dall’
indagato in vinculis e senza l’assistenza del difensore.
L’art. 350 c.p.p. prevede diverse modalità con cui la PG può assumere
informazioni dall’ indagato. La PG innanzitutto può assumere informazioni dalla
persona sottoposta ad indagini con l’assistenza necessaria del difensore; questi
deve essere preavvisato. Se manca un difensore di fiducia viene nominato un
difensore di ufficio, se il difensore non compare la PG chiede al PM di designare
un difensore di ufficio immediatamente reperibile. Delle dichiarazioni viene
68
redatto verbale che può essere utilizzato sia in fase endoprocessuale che in
dibattimento.
Il quinto comma dell’articolo in questione ( art. 350 cpp ) prevede la possibilità
che sul luogo o nell’immediatezza del fatto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono
assumere sommarie informazioni nei confronti della persona sottoposta ad indagini
anche senza la presenza del difensore. In tal caso però tali dichiarazioni sono
utilizzabili solo ai fini interni delle indagini, ed in alcun modo sono utilizzabili in
giudizio. In giudizio si possono utilizzare solo per le contestazioni.
L’assenza di garanzie difensive qui si giustifica dalla necessità urgente dello sviluppo
immediato dell’azione investigativa; tali dichiarazioni però non sono utilizzabili in
dibattimento. La polizia giudiziaria però ha il potere – dovere di sviluppare le
indagini sulla base di quanto appreso, sicché nel processo restano validi ed utilizzabili
i risultati dell’attività investigativa compiuti sulla base di quanto appreso.
2. Nella possibilità di procedere all’identificazione della persona nei cui
confronti si svolgono le indagini, procedendo all’accompagnamento presso i
propri uffici nel caso in cui la persona rifiuti di rilasciare queste generalità
ovvero rilasci generalità false.
3. Nella possibilità di procedere, in casi di elevata urgenza, a sequestro
(probatorio o preventivo) trasmettendo poi il verbale di sequestro al pubblico
ministero per gli adempimenti del caso. Il verbale è trasmesso senza ritardo e
comunque nelle 48 ore al PM del luogo dove è stato eseguito il sequestro. Il
69
PM nelle successive 48 ore con decreto motivato convalida il sequestro se ne
ricorrono i presupposti ovvero dispone la restituzione delle cose sequestrate.
4. Nella possibilità di ricevere dichiarazioni spontanee da parte della persona
sottoposta alle indagini, le quali dichiarazioni possono, in dibattimento, essere
utilizzate solamente ai fini delle contestazioni ex art. 503 c.p.p.
5. Nella possibilità di acquisire informazioni dalle persone che possono riferire
circostanze utili ai fini delle indagini; ferma restando che se nel corso di
questa dichiarazione emergono indizi di reità a carico della persona
dichiarante, l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria deve immediatamente
interrompere l’atto ed avvertire la persona dichiarante che nei suoi riguardi
potranno essere compiute indagini, e la invita a nominare un difensore di
fiducia. Tali dichiarazioni non possono comunque essere utilizzate contro la
persona che le ha rese (art. 63 c.p.p.).
6. Il potere di perquisizione di regola spetta all’ A.G. ( PM e giudice ) che emette
decreto di perquisizione che la polizia giudiziaria consegna in copia
all’interessato prima del compimento delle operazioni; tuttavia gli ufficiali ma
non gli agenti possono procedere d’iniziativa nei casi di urgenza presunta: cioè
in caso di evasione o di flagranza di reato. Presupposto comune ad entrambe le
ipotesi è il motivo di ritenere che sulla persona o nel luogo sottoposto alla
perquisizione si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato. La
perquisizione effettuata di iniziativa della PG va convalidata dal PM cui il
70
verbale va trasmesso nelle 48 ore, ed il PM nelle successive 48 ore deve
convalidare.
La perquisizione è un atto a sorpresa e quindi irripetibile, il cui verbale va
inserito fra gli atti dibattimentali; è inoltre un atto cui il difensore ha diritto di
assistere ma non di essere preavvisato.
INDAGINI COMPIUTE DAL P.M.
Il pubblico ministero è il vero dominus della fase delle indagini preliminari, infatti
egli dirige e coordina la polizia giudiziaria nello svolgimento di tali indagini.
Per quanto riguarda le attività che possono essere compiute dal p.m. esse consistono:
1. Nella possibilità di invitare la persona sottoposta alle indagini a presentarsi
quando bisogna compiere atti (interrogatorio, confronto, ispezione,
perquisizione personale) che ne richiedono la presenza. Bisogna a tal
proposito ricordare che nel caso in cui all’indagato sia applicata una misura
cautelare l’interrogatorio del pubblico ministero non può mai precedere
l’interrogatorio di garanzia effettuato dal gip, ed inoltre l’interrogatorio
assume le forme indicate dall’art. 64 c.p.p. L’invito a presentarsi per
compiere l’interrogatorio contiene all’enunciazione del fatto quale risulta dalle
indagini anche, la dove possibile, l’indicazione degli elementi e delle fonti di
prova.
2. Nella possibilità di procedere, tramite decreto motivato, a sequestro
probatorio del corpo del reato o delle cose appartenenti al reato. Inoltre può
71
anche rigettare la richiesta di dissequestro presentata dalla parte interessata, la
quale avverso tale rigetto ha la possibilità di presentare opposizione al giudice.
3. Nella possibilità di procedere, nei casi di urgenza tramite decreto, a sequestro
preventivo delle cose pertinenti al reato la cui disponibilità possa protrarre le
conseguenze del reato ovvero favorire l’esecuzione di altri reati.
Successivamente il pubblico ministero dovrà poi chiedere al giudice
procedente la convalida di tale sequestro.
4. Nella possibilità di chiedere al gip l’autorizzazione a disporre le intercettazioni
telefoniche ed ambientali di conversazioni riguardanti la persona o le persone
sottoposte alle indagini. Il PM richiede al gip l’autorizzazione a disporre le
intercettazioni. L’intercettazione è data con decreto motivato quando vi sono
gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini
della prosecuzione delle indagini. In caso di urgenza il pubblico ministero, con
decreto motivato, può disporre l’intercettazione senza attendere il decreto
autorizzativo del gip, fermo restando però l’obbligo di trasmettere entro 24 ore
tale decreto al giudice per le indagini preliminari per la convalida dello stesso.
Il gip poi nelle successive 48 ore decide se convalidare o meno con decreto
motivato; se non convalida i risultati delle intercettazioni effettuate fino a quel
momento non sono utilizzabili.
Le intercettazioni hanno una durata di 15 giorni prorogabili di volta in volta
quando sussistono i presupposti. I risultati delle intercettazioni non sono
72
utilizzabili in altro procedimento, salvo che risultano indispensabili per accertare
delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.
5. Nella possibilità di interrogare la persona sottoposta alle indagini che
spontaneamente, avendo appreso che nei propri confronti vi sono in corso
delle indagini, si presenta al pubblico ministero.
Durante la fase delle indagini preliminari vi è la possibilità di procedere all’arresto di
persona colta nella flagranza di commettere un delitto, ovvero al fermo di persona
indagata.
ARRESTO
Al fine di procedere all’arresto di un qualsivoglia soggetto è necessario che la
persona sia colta nella flagranza di commettere un reato.
Essere colto in flagranza significa essere colto nel momento in cui il reato si sta
compiendo (flagranza propria) ovvero nel momento in cui ci si allontana dal luogo
in cui il reato è stato compiuto con il corpo del reato (quasi flagranza).
Procedono all’arresto gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria, ma talvolta anche
i privati cittadini possono procedere, nell’ipotesi di arresto obbligatorio, all’arresto
della persona colta in flagranza di reato, fermo restando la necessità di consegnare
senza ritardo la persona arresta alla polizia giudiziaria.
L’arresto può essere:
1. Obbligatorio nei casi previsti dall’art. 380 c.p.p.. Tale norma prevede
varie ipotesi di arresto: a seconda della pena comminata per quel delitto (si
procede all’arresto per delitti puniti con la pena dell’ergastolo, ovvero con
73
la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni e nel massimo a
20 anni); ovvero per categorie delitti puniti con una determinata pena (es.
delitti contro la personalità dello stato puniti con la reclusine non inferiore
nel minimo a 5 anni o nel massimo a 10 anni); ovvero, infine, per delitti
specifici (es. spaccio di sostanze stupefacenti, associazione a delinquere e
associazione a delinquere di stampo mafioso etc. etc.).
2. Facoltativo allorquando pur in presenza di una flagranza di reato gli
ufficiali e gli agenti di p.g. hanno la facoltà di arrestare o meno il soggetto.
Tali ipotesi sono previste dall’art. 381 c.p.p. ed in questo caso è necessario
verificare, al fine di procedere all’arresto, la gravità del fatto ovvero la
pericolosità sociale del soggetto o le circostanze del fatto stesso.
CONVALIDA DELL’ARRESTO
Una volta proceduto all’arresto la p.g. entro 24 ore deve porre l’arrestato a
disposizione del pubblico ministero, conducendolo nella casa circondariale del
luogo in cui è avvenuto l’arresto trasmettendo contestualmente anche il verbale
dal quale risulta il giorno l’ora ed il luogo dell’arresto e l’eventuale nomina del
difensore di fiducia dell’arrestato.
Il pubblico ministero, se non deve ordinare l’immediata liberazione dell’arrestato
(es. l’arresto potrebbe essere stato compiuto per errore di persona, ovvero per un
reato che non prevede l’arresto), ed una volta eventualmente eseguito
l’interrogatorio investigativo alla presenza del difensore, deve, entro 24 ore,
chiedere al gip la convalida dell’arresto.
74
Il gip, entro 48 ore dalla richiesta del pubblico ministero, fisserà l’udienza di
convalida, in camera di consiglio, per la quale è prevista la presenza obbligatoria
dell’arrestato e del suo difensore, e la presenza facoltativa del p.m.
Se non compare, il pubblico ministero, trasmetterà al giudice le proprie richieste
in ordine alla libertà personale dell’arrestato e i motivi di esse. Se invece compare
il p.m. provvederà direttamente ad indicare i motivi dell’arresto ed effettuerà
eventualmente la richiesta di applicazione di una misura cautelare. All’ udienza di
convalida il gip procede ad interrogatorio dell’arrestato.
Il gip se ritiene che l’arresto sia stato compiuto secondo la legge lo convalida; la
convalida dell’arresto non presuppone però che automaticamente il giudice
emetta anche una misura cautelare, in quanto potrebbe ben darsi che lo stesso
ritenga giusto l’arresto ma non ritenga invece che vi siano i presupposti per
l’applicazione di una misura cautelare. In questo caso il soggetto arresto sarà
immediatamente rimesso in libertà. Il provvedimento con cui il giudice convalida
l’arresto ed eventualmente dispone sulla misura cautelare è l’ordinanza.
FERMO
Il fermo è previsto dall’art. 384 c.p.p. esso è disposto dalla polizia giudiziaria o
dal p.m. nei confronti di indiziato di reato, per il quale la legge presuppone la
pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 2 anni e
superiore nel massimo a 6 anni, se vi sono elementi che fanno ritenere fondato il
pericolo di fuga.
CONVALIDA DEL FERMO
75
Vi sono le stesse regole previste per la convalida dell’arresto (ad essa si rinvia).
INFORMAZIONE DI GARANZIA
L’informazione di garanzia ex 369 è inviata dal PM all’indagato e alla persona offesa dal reato solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere; essa contiene:- indicazione delle norme che si assumono violate;- data e luogo del fatto;- invito a nominare un difensore di fiducia;- l’eventuale omissione dell’invio dell’informazione di garanzia comporta una
nullità a regime intermedio, perché lede il diritto all’intervento e all’assistenza dell’imputato.
SSUU hanno stabilito che non sussiste l’obbligo del PM di inviare l’informazione di garanzia, prima dell’esecuzione della perquisizione e del sequestro, trattandosi di atti a sorpresa altrimenti vanificati.L’informazione di garanzia va distinta dall’informazione sul diritto di difesa; essa come l’informazione di garanzia è inviata al compimento del primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere e comunque prima dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio quando la persona sottoposta ad indagine abbia chiesto di essere interrogata ex art 416.Anche nel caso dell’omissione dell’invio di tale informazione è prevista la nullità a regime intermedio e cioè la nullità degli atti successivi. la differenza tra le due informazioni sta nel contenuto.
ACCERTAMENTO TECNICO NON RIPETIBILE ( art. 360 ):
ART 360 ( autopsia): ACCERTAMENTO TECNICO NON RIPETIBILE: nel senso che è una attività che non può essere rinviata alla fase del giudizio, perché è caratterizzata da una irripetibilità tale da non permettere di attendere il dibattimento. Infatti riguarda persone cose o luoghi, soggetti a modificazioni.Questo è un atto garantito, a differenza del 359.Esso viene assunto nel fascicolo del dibattimento [assieme agli atti non ripetibili ( perquisizione e sequestro) e all’attività materiale non tipicamente disciplinata ( es sopralluogo, stub)] quindi la sua finalità è sia investigativa ( art. 326 ) sia ai fini della decisione del giudice, nel senso che si tratta di prove utilizzabili ai fini della decisione ( art. 526 ); costituisce materiale su cui si fonda la decisone del giudice, in deroga al principio dell’immediatezza che impone il contatto diretto tra giudice e prova.Tuttavia sono previste comunque una serie di garanzie per l’indagato: il PM infatti dispone ( non c’è bisogno dell’autorizzazione del giudice, perché il PM è obbligato) l’accertamento, ma scattano una serie di avvisi nei confronti dell’indagato e della persona offesa, per permettere all’ indagato:
76
di sollevare riserva di incidente probatorio in cui sarà garantito il contraddittorio contrariamente all’accertamento;
consentirgli il diritto di difesa ex 24 co 2 ( non 111 dibattimento).L’indagato ha dunque la facoltà di opporsi a tale procedura facendo riserva di
incidente probatorio; di fronte a tale opposizione il PM ha due possibilità: aderire
alla richiesta formulata dall’indagato ed attivarsi per dar luogo all’incidente
probatorio; oppure ritenere che i tempi per l’incidente probatorio siano eccessivi
rispetto all’esigenza di procedere con urgenza e procedere ugualmente
all’accertamento tecnico non ripetibile ( ad esempio la rilevazione di alcool nel
sangue ). La scelta di procedere ugualmente all’accertamento tecnico non
ripetibile comporta per il PM il rischio che qualora risluti che l’accertamento
avrebbe potuto essere differito sino al momento dell’incidente probatorio i relativi
risultati non possono essere utilizzati agli effetti del giudizio, con la conseguenza
che, se si tratta di atti non ripetibili la prova andrà perduta.
Bisogna a questo punto distinguere tra accertamento tecnico non ripetibile e l’incidente probatorio.Prima di tutto l’incidente probatorio è disciplinato dall’art 392 e consiste nell’anticipazione della formazione della prova nella fase delle indagini o in udienza preliminare e non nella sua sede naturale che è il dibattimento.L’incidente può essere chiesto dal PM o dalla persona sottoposta ad indagine e può avere ad oggetto:- testimonianza;- esame delle persone;- esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità
altrui 64 co 3;- confronto tra persone che hanno reso dichiarazioni discordanti;- perizia o esperimento giudiziale riguardanti persone o cose soggetti a
modificazioni che se disposta in dibattimento darebbe luogo ad una sospensione superiore a 60 giorni;
- ricognizioni che nei casi urgenti non consentono il rinvio al dibattimento;- esame di persone indicate nell’art 210.
77
La richiesta è presentata entro i termini per la conclusione delle indagini preliminari e comunque in tempo sufficiente per l’assunzione della prova prima della scadenza dei medesimi termini e indica a pena di inammissibilità: la prova da assumere; le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova; circostanze che rendono la prova non rinviabile al dibattimento.Con la richiesta di incidente probatorio il PM deposita in cancelleria del GIP o GUP tutti gli atti di indagini compiuti.La richiesta va notificata dal richiedente al PM o alle persone nei cui confronti si procede e lo stesso richiedente deve depositare in cancelleria la prova della notificazione.Entro due giorni dalla notificazione della richiesta:
i destinatari della richiesta possono depositare deduzioni e documenti;
il PM può chiedere di disporre il differimento dell’incidente chiesto dall’indagato
quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare.
Il differimento non è consentito quando pregiudicherebbe l’assunzione della
prova.
Entro due giorni dal deposito della prova della notifica, il giudice pronuncia
ordinanza con cui:
accoglie; dichiara inammissibile; rigetta la richiesta.Con la stessa ordinanza il giudice stabilisce: l’oggetto della prova nei limiti della richiesta e delle deduzioni; le persone interessate all’assunzione della prova individuate sulla base delle
richieste e delle deduzioni; la data dell’udienza.Il giudice fa notificare almeno due giorni prima all’indagato, alla persona offesa e ai difensori, l’avviso del giorno dell’ora e del luogo in cui deve procedere all’incidente, con l’avvertimento che entro due giorni si possono estrarre copie delle dichiarazioni già rese dalla persona da esaminare .Se l’indagato la cui presenza è obbligatoria per compiere l’incidente, non si presenta senza legittimo impedimento, il giudice ne ordina l’accompagnamento coattivo.L’udienza si svolge in camera di consiglio ex 127 e la presenza del PM e del difensore di fiducia è necessaria.
78
Le prove sono assunte con le forme previste per il dibattimento.E’ vietato estendere l’assunzione della prova a fatti che riguardano persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all’incidente ex 401 co6, a meno che il PM o il difensore dell’indagato ne facciano richiesta e il giudice lo autorizzi notificando alle persone l’avviso e rinviando l’udienza per il tempo necessario e comunque non oltre 3 giorni ex 402.La sanzione prevista ex 403 in caso di inosservanza del divieto posto dal 401 co6 è l’inutilizzabilità in dibattimento della prova assunta con l’incidente probatorio.
Dobbiamo distinguere il 392 dal 467.In casi urgenti si possono acquisire le prove anche prima del dibattimento vero e proprio.ART 467: Nei casi previsti dal 392, il presidente del tribunale o della corte di assise dispone a richiesta di parte, l’assunzione delle prove non rinviabili, osservando le forme per il dibattimento.I verbali degli atti compiuti, entreranno a far parte del fascicolo per il dibattimento.Il rinvio all’articolo 392 circa l’incidente probatorio, vale solo per:- tipologia delle prove assumibili;- alle situazioni legittimanti l’acquisizione;- particolare urgenza che non rende rinviabili al dibattimento l’assunzione della
prova stessa.Il richiamo al 392 non vale per quanto riguarda l’iter procedurale. Infatti si tratta di un procedimento probatorio pre - dibattimentale che si differenzia dall’incidente probatorio poiché non costituisce un procedimento incidentale.
DIFFERENZE TRA INCIDENTE PROBATORIO ED ACCERTAMENTO TECNICO: l’accertamento è a due (manca il giudice) e manca il contraddittorio l’incidente è a tre;
l’accertamento deroga il principio dell’immediatezza; l’incidente probatorio si attua con un mini dibattimento anticipato;
nell’accertamento l’esercizio di diritto di difesa si esplica ex 24 co 2; nell’incidente la difesa si esplica ex 111 Cost;
il PM dispone l’accertamento senza necessaria autorizzazione del giudice , quando la realtà fenomenica è caratterizzata dalla non ripetibilità;
il PM non è obbligato ad accogliere la riserva di incidente quando chiesto in seguito all’accertamento, l’incidente pregiudicherebbe l’acquisizione della prova,
79
che è caratterizzata da una irripetibilità tale da non poter attendere i tempi dell’incidente.
LE INVESTIGAZIONI DIFENSIVE
La legge 397/2000 ha introdotto le indagini difensive ex art 391 bis, per dare attuazione al: diritto di difesa; giusto processo; parità tra le parti.Finalità di queste indagini è quella di raccogliere in ogni stato e grado del procedimento ( ma anche nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione)elementi a favore dell’assistito e non a carico dei terzi avvalendosi anche di investigatori privati e consulenti tecnici.L’attività investigativa del difensore può esser di tre tipi: preventiva, in caso di preventivo mandato nell’eventualità che si instauri un
procedimento penale; suppletiva, dopo il rinvio a giudizio e l’inizio della discussione nell’udienza
preliminare; integrativa, successiva all’emissione del decreto che dispone il giudizio ai fini
delle proprie richieste al giudice del dibattimento, fatta eccezione degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato e del difensore.
Le attività che il difensore può compiere sono:
Le dichiarazioni rese in sede di audizione devono essere documentate ex art 391 ter;
il difensore può rivolgere alla pa, richiesta di documenti ; il difensore può effettuare l’accesso ai luoghi e redigono il verbale che deve
essere sottoscritto dalle persone intervenute; il difensore può chiedere accertamento tecnico non ripetibile; può nominare consulenti: se è già disposta la perizia, il difensore può nominare
propri consulenti in un numero non superiore a quello dei periti; se non è disposta la perizia, il difensore può nominare non più di due consulenti.
ART 391 octies: nel corso delle indagini o dell’udienza, il giudice deve adottare una decisione con l’intervento della parte privata, il difensore può presentargli direttamente gli elementi di prova a favore del proprio assistito.Della documentazione il PM può prendere visione ed estrarre copia prima che venga adottata una decisone.dopo le IP, il fascicolo del difensore è inserito:- ex 433 nel fascicolo del PM;- ex 431 se atti irripetibili(accesso ai luoghi) nel fascicolo per il dibattimento.
80
Le dichiarazioni rese dal teste che poi si rifiuta di rendere esame e controesame sono inutilizzabili.
DIFESA DURANTE LE INDAGINI: il difensore, nel corso delle indagini svolte dalla pg, ha:- l’obbligo di presenziare nell’assunzione delle sommarie informazioni;- il diritto di presenziare nella perquisizione locale o personale, sequestro, rilievi, e
accertamenti.Ulteriore garanzia è data dal deposito dei verbali di questi atti presso la segreteria del
PM entro tre giorni dal compimento degli atti e per 5 giorni affinché il difensore
possa prendere visione ed estrarne copia.
nel corso delle indagini preliminari svolte dal PM , il difensore ha:- diritto ( e non l’obbligo ) di presenziare all’interrogatorio al confronto, alle
ispezioni personali, all’accertamento tecnico irripetibile, e senza preavviso alle perquisizioni e sequestri, trattandosi di atti a sorpresa.
AUDIZIONE DI PERSONE
Tale indagine consiste nella possibilità di acquisire informazioni o da persone in
grado di riferire notizie utili ai fini delle indagini, ovvero da persona imputata o
indagata, nello stesso reato ovvero in un reato connesso o collegato.
In questi ultimi tre casi all’audizione della persona deve parteciparvi anche il
proprio difensore al quale deve essere dato avviso almeno 24 ore prima del
compimento dell’atto; se la persona è detenuta il difensore che intende ascoltarla
deve a ciò essere autorizzato dal giudice procedente sentiti il difensore della
persona detenuta ed il p.m.
Prima di iniziare il colloquio il difensore deve procedere ad una serie di
avvertimenti tra gli altri quello sulla possibilità di non rispondere; quello sul
81
divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria
o dal p.m.; quello sull’obbligo di dichiarare se essa è imputata o indagata nello
stesso procedimento o in procedimento connesso o collegato.
Se la persona si rifiuta di rispondere il difensore ha due alternative:
1. Se si tratta di persona semplicemente in grado di riferire circostanze utili,
allora il difensore ha la possibilità di chiedere al p.m. di disporre
l’audizione coattiva. Ed il p.m. è obbligato a fissare entro 7 giorni
l’audizione della persona.
2. Se si tratta di imputato o indagato nello stesso procedimento o in
procedimento connesso ovvero in procedimento collegato, allora il
difensore può chiedere al giudice di procedere con incidente probatorio
anche fuori dei casi previsti dall’art. 392 c.p.p.
L’articolo in questione prevede vari modi in cui il difensore può sentire la
persona in grado di riferire elementi utili alla sua difesa, ed in particolare:
con un COLLOQUIO che è una conversazione cui non segue alcuna
documentazione; oppure con ASSUNZIONE DI INFORMAZIONI che è un
colloquio documentato fondato su domande del difensore; o con RICEZIONE
DI INFORMAZIONI che consiste nel riprodurre in un atto scritto ,
autenticato dal difensore, quanto dichiarato dal soggetto.
Tale potere del difensore incontra però due limiti : 1) nel caso in cui la
persona dovesse cominciare a fare dichiarazione da cui emergono a suo cari
indizi il difensore è tenuto ad interrompere l’attività cognitiva con
82
conseguente inutilizzabilità a carico del dichiarante di quanto reso fino al quel
momento; ciò perché il difensore deve trovare elementi favorevoli al suo
assistito e non a carico di terzi; 2) non può interpellare coloro che già sono
stati sentiti dagli investigatori pubblici sulle domande formulate da questi o
sulle risposte da loro date a queste domande.
Circa la documentazione delle dichiarazione ed informazione da lui ricevute,
il difensore può procedere in due modi: o mediante dichiarazione scritta
realizzata direttamente dall’informatore e da lui firmata oppure con verbale
redatto da lui stesso o da un suo sostituto.
ACCESSO AI LUOGHI
Il difensore ha anche la possibilità di accedere in luoghi privati o non aperti al
pubblico, per accertare tracce del reato etc. etc.
Nel caso vi sia un rifiuto a tale accesso da parte della persona nella cui
disponibilità è il luogo in questione, allora il difensore ha la possibilità di
ottenere dal giudice un decreto motivato con il quale viene autorizzato l’accesso.
Se in tale luogo bisogna compiere atti irripetibili è necessaria anche la presenza
del p.m. il quale ha il diritto di assistere a tali operazioni.
RICHIESTA DI DOCUMENTI ALLA P.A.
Il difensore ha la possibilità, anche grazie alla legge 241/90, di chiedere alla p.a.
di estrarre copia di un determinato documento ovvero di prenderne visione.
83
Ove la p.a. rifiuti tale accesso, il difensore ha la possibilità di recarsi dal p.m. per
chiedere il sequestro del documento, se il p.m. rifiuta tale sequestro, rimette
questa richiesta, corredata del proprio parere negativo, al gip il quale a sua volta
decide su di essa.
ACCERTAMENTO TECNICO NON RIPETIBILE
Tali accertamenti sono di natura conservativa, ossia allorché cioè avviene la
rappresentazione di una persona di un luogo soggetti a modificazione.
Prima di compiere tale accertamento il difensore deve informare il p.m. il quale
può formulare la riserva di incidente probatorio; il difensore quindi dispone il
differimento dell’accertamento sempre che esso risulti indifferibile.
Nel caso in cui non sussiste la necessità di compiere l’accertamento prima
dell’incidente probatorio, e nonostante ciò il difensore procede lo stesso a tale
accertamento, allora i risultati di quest’ultimo sono inutilizzabili in dibattimento.
CONSULENZA TECNICA
Esistono due tipi di consulenza:
1. La prima è quella redatta da consulenti tecnici nel caso in cui non è stata
disposta perizia. In tale caso il difensore può nominare consulenti in
numero non superiore a due; tali consulenti hanno la possibilità di vedere,
previa autorizzazione del p.m., le cose sequestrate nel luogo ove tali cose
si trovano, di presentare memorie etc. etc. Nel caso in cui il p.m. non
autorizzi tale visione allora il difensore ha la possibilità di opporsi al gip .
84
Nel caso in cui sia iniziata l’azione penale la richiesta di visionare la cose
sequestrate va fatta direttamente al giudice che procede.
2. Nel caso in cui è disposta perizia allora il difensore può nominare propri
consulenti in un numero pari a quello dei periti; tali consulenti hanno la
possibilità di affiancare i periti nell’espletamento delle attività peritali
proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e
riserve.
Infine i risultati delle indagini difensive sono inseriti nel fascicolo per il
dibattimento (ovviamente solamente i verbali degli atti irripetibili che il
difensore abbia presentato al p.m. o al gip durante le indagini preliminari).
Il difensore inoltre forma il cd. fascicolo DEL DIFENSORE in cui inserisce tutti
gli atti di indagine da lui compiuti; tale fascicolo è conservato presso l’ufficio del
GIP, il PM ha diritto di accedere agli atti ivi contenuti. E’ previsto che il
fascicolo del difensore venga inserito all’esito delle indagini nel fascicolo del
PM.
Per quanto riguarda le indagini preliminari esse sono sottoposte a TERMINI scaduti i
quali il p.m. o chiede l’archiviazione ovvero esercita l’azione penale.
I termini normalmente sono 6 mesi prorogabili più volte per un tempo comunque non
superiore a 18 mesi.
85
Quando invece ci si trova nell’ipotesi di cui all’art. 407 2°comma c.p.p. (es. si
indaga su un reato di associazione di stampo mafioso) allora la durata è di 1 anno
prorogabile anche più di una volta per un tempo comunque non superiore a 2 anni.
La proroga del termine delle indagini è previsto dall’art. 406 cpp che prevede la
possibilità per il PM di chiedere la prima proroga al gip per giusta causa; la genericità
dell’espressione usata dal legislatore lascia presumere che la prima proroga possa
essere concessa con maggiore facilità. La possibilità di concedere proroghe
successive alla prima è collegata a presupposti più rigorosi: la particolare
complessità delle indagini; l’oggettiva impossibilità di concludere le indagini nel
termine prorogato.
La richiesta di proroga viene indirizzata dal PM al GIP e prevede la possibilità per
l’indagato e la persona offesa nonché per i difensori la possibilità di partecipare
tramite la presentazione di memorie o altri scritti.
Se il GIP ritiene fondata la richiesta di proroga, dispone direttamente la proroga in
camera di consiglio, senza l’intervento del PM o dei difensori.
Se, invece, il GIP non ritiene possibile decidere soltanto sulla base del carteggio
presentato dalle parti, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio cui
parteciperanno le parti. Al termine dell’udienza il GIP emette il provvedimento che
ha per contenuto l’autorizzazione della proroga o il suo diniego.
In caso di diniego il PM , entro il termine fissato dal GIP, dovrà decidere se esercitare
l’azione penale o archiviare.
86
Tale procedimento non si segue per le indagini relative ai reati di cui all’art. 407
c.p.p., in tali casi il giudice decide entro 10 giorni dalla richiesta.
Nel momento in cui il pubblico ministero non ritiene di poter esercitare l’azione
penale (es. perché il fatto non è previsto come reato dalla legge, ovvero perché non
sono emersi elementi di prova a carico della persona sottoposta alle indagini etc. etc.)
allora lo stesso chiederà al gip l’archiviazione.
L’ ARCHIVIANZIONE
Quando il pubblico ministero non esercita l’azione penale perché ritiene che la
notizia criminis sia infondata allora richiede al giudice per le indagini preliminari di
emettere decreto (decreto di archiviazione) con il quale viene archiviato il
procedimento.
Il PM presenta al giudice richiesta di archiviazione non solo quando la notitia
criminis è infondata, ma anche quando ritiene che gli elementi acquisiti dalle indagini
preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio, quindi quando le fonti di
prova appaiono insufficienti o contraddittorie.
In definitiva il PM chiede al GIP l’archiviazione quando:
1) è infondata la notizia di reato ( nel senso che il PM non ha a disposizione elementi
di prova idonei a sostenere l’accusa in giudizio );
2) manca una condizione di procedibilità,
3) il reato è estinto;
87
4) il fatto non è previsto dalla legge come reato;
5) è rimasto ignoto l’autore del reato.
Come si coniuga il 125 disp att e il 112 cost?L’art 125 disp. att (stabilisce che il PM presenta al giudice richiesta di archiviazione quando ritiene infondata la notizia di reato perché gli elementi acquisiti durante le indagini non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio )è compatibile con il l’art. 112 Cost. ( che stabilisce che il PM ha l’obbligo di esercitare l’azione penale ). In passato prima del codice del 1988, vi era una obbligatorietà in senso astratto che comportava l’esercizio dell’azione penale senza valutazione della fondatezza dei risultati di indagine. Infatti nel codice del 1930 era previsto che la pg, appresa la notizia di reato e svolte le indagini, depositava presso il PM “ rapporto conclusivo delle investigazioni” cui seguiva immediatamente la cd comunicazione giudiziaria che era connessa all’esercizio dell’azione . Invece nel codice del 1988 è prevista una obbligatorietà dell’azione in senso concreto, cioè tanto il PM esercita l’azione, quando ne abbia verificato la fondatezza e il possibile esito positivo.In caso di mancata verifica della fondatezza il rischio è quello che venga emessa una sentenza assolutoria e per il principio del ne bis in idem, rispetto allo stesso fatto non vi potrà essere una seconda valutazione. L’azione in relazione a quel fatto sarà stata malamente esercitata dunque non sarà osservato il principio di obbligatorietà.Applicando invece il 125 il PM in futuro qualora emergano altri elementi, potrà richiedere la riapertura delle indagini mediante la revoca dell’archiviazione.In questo modo preserva l’esercizio dell’azione che potrà svolgere in seguito in modo fondato.
Sulla richiesta del PM il Gip può concordare, e se la persona offesa non si è opposta
alla richiesta di archiviazione, allora emette decreto motivato di archiviazione e
restituisce gli atti al PM. Questo tipo di archiviazione non è soggetto ad alcuna forma
di archiviazione, restando escluso anche il ricorso per Cassazione. Infatti dal
principio della tassatività dei mezzi di impugnazione si desume che il provvedimento
di archiviazione è ricorribile soltanto se è stata attivata la procedura dell’art. 409
c.p.p. riservata ai casi di opposizione della persona offesa o di non immediato
accoglimento della richiesta da parte del GIP.
88
Il giudice però può anche ritenere che allo stato degli atti non vi siano i presupposti
per archiviare il caso, per cui egli fissa un’udienza in camera di consiglio dandone
avviso al pubblico ministero, alla persona offesa, alla persona sottoposta alle indagini
ed al procuratore generale presso la Corte di Appello, nel caso voglia quest’ultimo
esercitare il diritto di avocazione.
All’esito dell’udienza il gip pronuncia un’ordinanza con la quale:
1. Può invitare il pubblico ministero a compiere altre indagini, ritenendo
incomplete le indagini preliminari fino a quel momento realizzate,
indicando quali egli ritiene opportune e fissando un termine per il
compimento di tali indagini. All’esito delle quali il p.m. potrà poi decidere
se chiedere nuovamente l’archiviazione oppure esercitare l’azione penale.
2. Può ritenere convincenti le ragioni del PM ed , eventualmente delle altre
parti privati intervenute , ed accogliere, con ordinanza, la richiesta di
archiviazione del pubblico ministero. Quest’ordinanza è ricorribile per
Cassazione soltanto per le nullità attinenti la convocazione e la
partecipazione delle parti all’udienza in camera di consiglio.
3. Può ritenere anche senza ulteriori indagini che la richiesta di archiviazione
non sia accoglibile, ed in tal caso dispone, con ordinanza, che il PM formuli
entro dieci giorni, l’imputazione ( cd. imputazione coatta ). Entro 2 giorni
dalla imputazione formulata il giudice fissa l’udienza preliminare.
Può capitare che la persona offesa abbia chiesto al pubblico ministero di essere
informata dell’eventuale richiesta di archiviazione, in tal modo essa ha 10 giorni,
89
che decorrono dal momento in cui il pubblico ministero gli ha notificato la
richiesta di archiviazione, per proporre OPPOSIZIONE al gip (art. 410 c.p.p.).
Tale opposizione va presentata nella cancelleria del pubblico ministero, il quale
nei successivi 10 giorni trasmette l’intero fascicolo corredato anche dalla richiesta
di archiviazione al gip. L’atto di opposizione deve contenere non solo
l’opposizione, ma anche l’indicazione specifica delle circostanze che debbono
formare oggetto di ulteriori indagini; l’indicazioni delle fonti di prova ( testi,
documenti etc. ). La mancanza di tali indicazioni determina l’inammissibilità
dell’opposizione; cioè in altri termini la persona offesa non può limitarsi ad una
generica protesta contro la richiesta di archiviazione, ma al contrario deve
formulare in maniera completa una precisa ipotesi accusatoria. Se l’opposizione è
inammissibile il GIP dispone l’archiviazione degli atti con decreto motivato e li
restituisce al PM; se invece è ammissibile il GIP fissa udienza in camera di
consiglio per poi procedere nelle forme dell’art. 409 c.p.p. che abbiamo appena
visto.
Nel caso in cui resti ignoto l’autore del reato, il pubblico ministero, entro 6 mesi
dal giorno dell’iscrizione della notizia nel registro delle notizie di reato, deve
chiedere al gip o l’autorizzazione a proseguire le indagini ovvero deve presentare
la richiesta di archiviazione; il gip o autorizza il p.m. a proseguire le indagini
ovvero può emettere anche il decreto di archiviazione.
Ma il giudice può anche ritenere che la persona alla quale attribuire il reato sia già
individuata, per cui egli ordina l’iscrizione del nome di questa nel registro delle
90
notizie di reato, e da quel momento decorrono i normali tempi per l’espletamento
delle indagini.
Anche in questo caso vi è la possibilità di proporre, da parte della persona offesa,
opposizione alla richiesta di archiviazione fatta dal pubblico ministero; in tale caso
il gip fisserà l’udienza all’esito della quale o emetterà ordinanza di archiviazione,
accogliendo la richiesta del pubblico ministero; o ordinerà l’iscrizione nel registro
delle persone indagate del soggetto che ritiene responsabile del fatto; ovvero
ordinerà il compimento di ulteriori indagini.
Prima della riforma della legge CAROTTI ( legge 479/99 ) dopo il decreto di
archiviazione contro ignoti il PM poteva riaprire le indagini senza alcuna
autorizzazione da parte del giudice; dopo tale riforma, invece è necessaria
l’autorizzazione del giudice.
L’ordinanza di archiviazione è ricorribile in Cassazione solamente nei casi di
nullità previsti dall’art. 127 5° comma c.p.p., ossia per mancato avviso
dell’udienza, per mancato rinvio dell’udienza allorchè la persona sottoposta
all’indagine, detenuta presso lo stesso luogo in cui il giudice ha la propria sede,
sia impossibilitata a comparire.
E’ inoltre ricorribile per Cassazione se adottata violando il diritto di informativa e
di intervento della persona offesa.
Al termine delle indagini il pubblico ministero deve avvertire, appunto di tale
conclusione, la persona sottoposta alle indagini ed il suo difensore, ciò avviene
91
attraverso la notifica dell’AVVISO DI CONCLUSIONE DELLE INDAGINI ex
art. 415 bis c.p.p.( novità della legge CAROTTI ).
In tale atto il pubblico ministero informa la persona indagata del fatto per cui è
indagata, delle norme di legge che si ritengono violate, del fatto che è possibile
visionare la documentazione delle indagini. L’avviso deve inoltre contenere anche
l’avvertimento che l’indagato può presentare memorie difensive, può richiedere
l’espletamento di nuove indagini, ma soprattutto che può chiedere di essere
sottoposto ad interrogatorio da parte del pubblico ministero.
La richiesta di interrogatorio è l’unica che vincola il p.m. nel senso che il
rappresentante della pubblica accusa non può rifiutarsi di interrogare la persona
indagata.
Mentre per quanto riguarda la richiesta di nuove indagini, il p.m. decide
discrezionalmente se compierle o meno.
Una volta concluse le indagini preliminari, e inviato all’indagato l’avviso ex art.
415 bis, il pubblico ministero effettua la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416
c.p.p..
Se manca l’avviso dell’art. 415 bis la successiva richiesta di rinvio a giudizio è
nulla.
RATIO:il 415 bis serve a garantire il diritto di difesa; infatti se la richiesta di rinvio a giudizio non viene preceduta da questo avviso, è nulla. Ciò si evince dalla lettura dell’articolo 416 co 1.E’ altresì nulla se la richiesta non viene preceduta dall’invito a presentarsi per rendere interrogatorio ex art 375 co 3 qualora l’indagato ne abbia fatto richiesta entro il termine.Quindi l’avviso è obbligatorio nel caso di rinvio a giudizio.
92
E’ altresì obbligatorio nel caso della citazione diretta a giudizio; questo si evince dalla lettura del 550 co 1.Ma nelle altre forme di esercizio dell’azione penale, l’avviso è obbligatorio?AA: dalla lettura dell’articolo 415 sembrerebbe di no poiché esso richiama solo il 405 ( rinvio a giudizio) e questo sembrerebbe escludere l’avviso nelle altre forme di esercizio dell’azione.Di ciò vi è riscontro anche nel 416: la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall’avviso di cui al 415.Inoltre nella citazione diretta a giudizio vi è un’estensione del 415 bis prevista dal 550. Il fatto che in tale caso il richiamo all’obbligo sia esplicito dimostra quindi che il 415 non ha portata generale.AA: l’avviso è necessario anche nei riti perché:
- garantisce il diritto di difesa;- il mancato avviso comporta una disparità di trattamento;- viola il diritto all’ascolto;AA: tale avviso non è necessario solo nell’immediato, perché l’esigenza rappresentata dal 415 bis è già soddisfatta dall’interrogatorio che è presupposto del g.i.Ma nell’imputazione coatta l’avviso è necessario?NO, poiché essendo il 415 bis estrinsecazione del diritto di difesa, non c’è bisogno dell’avviso dato che tale diritto già è stato esercitato in sede di udienza fissata dal gip in contraddittorio tra le parti, all’esito della quale è stata disposta l’imputazione coatta.
Il 415 bis tende secondo RICCIO a garantire quella che è la fase dell’ascolto.Sappiamo infatti che si può distinguere l’iter procedimentale processuale penalistico
in tre fasi:
accesso: ascolto; decisione.Proprio nel codice del 1988, in quanto codice accusatorio, è stato inserito questo secondo momento che come noto caratterizza l’accusatorietà. Ed è in tale fase dell’ascolto che si collocano il 415 bis nonché il contraddittorio per la formazione della prova.
93
Tale richiesta ( che è uno dei modi con cui il PM esercita l’azione penale ) viene
depositata nella cancelleria del gup (giudice per l’udienza preliminare) e deve
contenere:
1. Generalità imputato
2. Imputazione, cioè enunciazione in forma chiara è precisa del fatto
costituente reato
3. Fonti di prova
4. Domanda di emissione del decreto che dispone il giudizio.
Il p.m. deve depositare anche il fascicolo delle indagini, ossia l’intera
documentazione raccolta nel corso delle indagini. Tali atti sono tutti utilizzati dal
gup per vedere quale decisione adottare: cioè se rinviare a giudizio oppure
pronunciare sentenza di non luogo a procedere ). Per il PM vi è l’obbligo di
trasmettere al gup tutti gli atti contenuti nel fascicolo di indagine; l’inosservanza
di tale obbligo è sanzionata con l’inutilizzabilità degli atti non trasmessi. Gli atti
contenuti nel fascicolo del PM non sono utilizzabili in dibattimento, salve le
dovute eccezioni previste dal codice ( es. contestazioni ).
Una volta presentata la richiesta è irrevocabile.
94
L’UDIENZA PRELIMINARE
Una volta concluse le indagini preliminari il pubblico ministero, se non decide di
archiviare il procedimento, esercita l’azione penale chiedendo al gup il rinvio a
giudizio dell’imputato.
La funzione dell’udienza preliminare è quella di filtro tra la fase delle indagini
preliminari e quella del dibattimento, infatti in tale udienza viene esercitato, da
parte del gup, un controllo sulla fondatezza dell’azione penale.
Attualmente dopo le modifiche apportate a tale udienza da parte della legge n.
479/1999 (la c.d. legge Carotti) è possibile sostenere che questo controllo è
sensibilmente aumentato.
In tal senso vi è da dire che la legge suddetta ha sensibilmente accresciuto il ruolo
del giudice, egli infatti ha la possibilità sia di ordinare al pubblico ministero il
compimento di ulteriori indagini (art. 421 bis c.p.p.) sia la possibilità di
assumere nuove prove delle quali risulta evidente la decisività al fine di emettere
la sentenza di non luogo a procedere (art. 422 c.p.p.).
Al fine di dare luogo all’udienza preliminare è necessario che vi sia da parte del
pubblico ministero la RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO , tale richiesta
rappresenta il presupposto dell’udienza preliminare, ossia attraverso tale richiesta
si ha l’esercizio dell’azione penale da parte del rappresentante della pubblica
accusa.
95
Tale richiesta deve contenere: le generalità dell’imputato (nel momento in cui si
esercita l’azione penale la persona, che fino a quel momento era indagata, diviene
formalmente imputata), l’indicazione delle fonti di prova acquisite, la richiesta di
emissione del decreto che dispone il giudizio, l’enunciazione del fatto e delle
eventuali circostanze aggravanti che lo accompagnano in forma chiara e precisa.
Una volta intervenuta la richiesta il giudice entro 5 giorni dalla stessa fissa con
decreto l’udienza preliminare. Il termine di 5 giorni ha natura ordinatoria, nel
senso che la violazione non comporta alcuna sanzione di carattere processuale.
Tra la data di deposito della richiesta e la data fissata per l’udienza non può
intercorrere un termine superiore a 30 giorni.
L’udienza preliminare si svolge in camera di consiglio con la partecipazione
necessaria del pubblico ministero e del difensore dell’imputato, il giudice quindi
fa notificare all’imputato ed alla persona offesa l’avviso dell’udienza almeno 10
giorni prima dell’udienza stessa ( tale termine ha natura dilatoria ). Per costituire
un valido rapporto processuale è necessario che all’imputato ed alla persona
offesa oltre l’avviso di udienza , sia notificata anche la richiesta di rinvio a
giudizio.
L’omissione della citazione dell’imputato genera una nullità assoluta insanabile;
l’omesso avviso alla persona offesa produca, invece, una nullità relativa,
eccepibile soltanto da questa. L’omessso avviso al difensore detrmina una nullità
assoluta ed insanabile. Il primo atto dell’udienza è quello che riguarda
l’accertamento delle parti.
96
A tal fine bisogna distinguere:
1. Il rinnovo dell’avviso dell’udienza, disposto anche di ufficio dal giudice,
quando è provato o appare probabile che l’imputato non abbia avuto
conoscenza dell’avviso, sempre che tale non conoscenza non sia dovuta a
sua colpa (art. 420 bis c.p.p.).
2. L’imputato, o il suo difensore, non è comparso all’udienza per
legittimo impedimento, in tal caso il giudice rinvia l’udienza (art. 420 ter
c.p.p.).
Nel momento in cui l’imputato non compare all’udienza senza che ricorrano le
condizioni su indicate, allora il giudice dichiara la contumacia dell’imputato,
l’ordinanza che dichiara la contumacia dell’imputato è nulla se risulta che
l’assenza dell’imputato è dovuta a causa a lui non imputabile (es. l’imputato
prova che non è venuto a conoscenza dell’avviso, ovvero che l’impedimento è
dovuto a una causa di forza maggiore) (art. 420 quater).
La CONTUMACIA è la situazione processuale dell’imputato il quale, benchè
ritualmente citato, non compare all’udienza, senza che sussista un legittimo
impedimento.
Si parlerà, invece di assenza e non di contumacia, quando sarà l’imputato a
chiedere che l’udienza si celebri senza la sua presenza.
Una volta concluso l’accertamento delle parti, il giudice dichiara aperta la
discussione e dà la parola al p.m: il quale espone i risultati delle indagini e degli
elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio; al termine di
97
tale esposizione l’imputato o ha la possibilità di rendere dichiarazioni spontanee
ovvero può chiedere di essere interrogato.
Dopo l’esposizione dei fatti da parte del p.m., e dopo le eventuali dichiarazioni
spontanee ovvero l’interrogatorio dell’imputato, la parola passa alle parti private,
ovviamente tramite i rispettivi difensori, (parte civile, responsabile civile, persona
civilmente obbligata) ed infine all’imputato, sempre ovviamente tramite il proprio
difensore.
Una volta concluse le discussioni il giudice deve decidere sostanzialmente se
rinviare a giudizio, emettendo il decreto che dispone il giudizio, o meno
l’imputato; qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli la
legge Carotti, come già detto, attribuisce allo stesso due possibili vie:
1. Compimento di ulteriori indagini, il giudice quando ritiene che le
indagini preliminari sono incomplete emette ordinanza attraverso la quale
impone al p.m. il compimento di ulteriori indagini fissando il termine entro
il quale tale indagini devono essere compiute e fissando
contemporaneamente la data della nuova udienza (art. 421 bis c.p.p.).
Il gup nel momento in cui emette tale ordinanza muove al PM una censura,
nel senso che gli muove il rilievo che le indagini sono incomplete, e quindi
vi è la possibilità per il Procuratore Generale presso la Corte di Appello
avocare a se le ulteriori indagini da espletare.
Però tale ordinanza non comporta la regressione del processo alla fase del
procedimento perché il giudice fissa subito la data della nuova udienza
98
preliminare ed inoltre il PM all’esito delle indagini non deve fare una
nuova richiesta di rinvio a giudizio.
2. Integrazione probatoria da parte del giudice, il giudice dell’udienza
preliminare ha anche la possibilità di disporre d’ufficio, anche su
sollecitazione delle parti, l’assunzione delle prove delle quali appare
evidente la necessità al fine di pronunciare sentenza di non luogo a
procedere. Tale articolo è stato sostituito dalla legge CAROTTI, perché
prima delle riforma il giudice aveva un potere di assunzione probatoria
limitato all’indicazione dei temi di prova nuovi o incompleti. Per effetto
della nuova legge il GUP può pronunciare sentenza di non luogo a
procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti,
contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio
secondo la regola dell’art. 125 disp. att.
Nel caso non sia possibile procedere immediatamente all’assunzione della
prova il giudice rinvia ad un udienza successiva citando contestualmente il, o
i, testimoni ovvero i periti etc., dei quali sia stato ammesso l’audizione o
l’interrogatorio. Comunque in ogni caso l’imputato, dopo l’escussione delle
prove può comunque chiedere di essere interrogato (art. 422 c.p.p.);
quest’ultima regola affermata nell’ultimo comma dell’art. 422 c.p.p. è un’altra
novità della CAROTTI : le parti possono chiedere che l’interrogatorio
dell’imputato sia reso nelle forme previste per il dibattimento e cioè nelle
forme dell’esame e del controesame.
99
V’è da dire inoltre che le parti hanno la possibilità di chiedere durante l’udienza
preliminare l’incidente probatorio (che come sappiamo è un’attività che si
realizza durante le indagini preliminari) al fine di anticipare la formazione della
prova in un momento precedente al dibattimento.
MODIFICA DELL’IMPUTAZIONE
Durante l’udienza preliminare può ben darsi che il fatto risulti diverso rispetto a
quello prescritto dal p.m. nell’imputazione ovvero risulti un reato in concorso
formale o un reato continuato ovvero risulta una circostanza aggravante.
In tal caso è fatto obbligo al p.m. di modificare l’imputazione e di contestarla
all’imputato presente ovvero, se assente, al suo difensore, in modo da consentire
loro di effettuare le scelte che l’udienza propone (es. chiedere di essere giudicato
con il rito abbreviato, richiesta di patteggiamento). La modifica dell’imputazione
non legittima il difensore a chiedere termini a difesa.
Può anche capitare che l’imputazione sia ampliata o totalmente modificata in
quanto risulta a carico dell’imputato un fatto nuovo per il quale debba procedersi
di ufficio; in primo luogo diciamo che per fatto nuovo si intende un fatto – reato
diverso ed ulteriore rispetto a quello per cui si procede e non legato ad esso dal
vincolo del concorso formale o della continuazione ( per esempio nel corso di un
processo per rapina l’imputato confessa di aver sottoposto a violenza carnale la
vittima ). In tal caso il pubblico ministero dovrebbe esercitare una nuova azione
penale, ma se non è necessario esperire ulteriori indagini, il PM può contestare
100
l’imputazione all’imputato presente in udienza alle seguenti condizioni: con il
consenso dell’imputato e che il gup autorizzi la contestazione, valutando che essa
non incida sulla speditezza del processo; se ciò non avviene, se cioè il giudice
non autorizza la contestazione ovvero l’imputato non presta il proprio consenso,
gli atti sono restituiti al pubblico ministero affinché eserciti la nuova azione
penale, cioè procede separatamente per il nuovo reato emerso in udienza
preliminare (art. 423 c.p.p.).
Subito dopo che è stata dichiarata chiusa la discussione il giudice provvede alla
deliberazione pronunciando o sentenza di non luogo a procedere oppure decreto
che dispone il giudizio.
1) La sentenza di non luogo a procedere è quel provvedimento giurisdizionale
che chiude in modo definitivo e favorevole all’imputato l’udienza preliminare. La
sentenza ex art. 425 c.p.p. non ha idoneità a divenire definitiva a differenza delle altre
sentenze di proscioglimento emanate in sede dibattimentale o di giudizio abbreviato.
I casi in cui il GUP può pronunciare sentenza di non luogo a procedere sono
tassativamente indicati dall’art. 425 c.p.p., inoltre a seguito della Carotti il gup nel
pronunciare sentenza di non luogo a procedere può valutare anche le circostanze
attenuanti; questa è una vera e propria novità perché si tratta di un potere prima
attribuito solo al giudice del dibattimento.
Inoltre il gup pronuncia sentenza ex art. 425 c.p.p. anche quando ritiene che gli
elementi probatori raccolti dal pubblico ministero siano insufficienti, contraddittori o
comunque non siano tali da sostenere l’accusa in giudizio nei confronti dell’imputato;
101
questa è un’altra novità della Carotti, mentre prima il previgente art. 425 c.p.p.
imponeva il rinvio a giudizio lasciando così al giudice del dibattimento il compito di
valutare la sufficienza della prova.
Con la sentenza di non luogo a procedere il gup non si pronuncia sulla colpevolezza
dell’imputato, bensì sull’idoneità degli elementi raccolti dal PM per sostenere
l’accusa in giudizio, ed è in tal senso che si parla di sentenza processuale. Inoltre
l’ambito di operatività dell’art. 425 c.p.p. è diverso da quello di cui all’art. 129 c.p.p.,
rispondendo ad esigenze diverse; infatti se il gup sulla richiesta del PM ravvisa un’
evidente sussistenza di una causa di non punibilità prevista dal codice può adottare la
formula dell’art. 129 c.p.p.; se invece manca un’evidente causa di non punibilità e
quindi si rende necessario un approfondimento dell’indagine, ovvero se la causa non
si è ancora verificata al momento della fissazione dell’udienza preliminare il giudice
pronuncia sentenza di non luogo a procedere.
Contro le sentenze di non luogo a procedere possono proporre appello il procuratore
della Repubblica ed il procuratore Generale , nonché l’imputato purché con la
sentenza non si sia dichiarato che il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha
commesso dal momento che sono le uniche formule più favorevoli all’imputato.
La persona offesa in caso di mancata notifica dell’avviso dell’udienza preliminare
non può proporre appello, per il principio della tassatività; mentre può ricorrere per
Cassazione.
2) Se non pronuncia sentenza di non luogo a procedere il gup emette decreto
che dispone il giudizio; tale decreto deve contenere a pena di nullità: le
102
generalità dell’imputato, l’indicazione della persona offesa, l’enunciazione
chiara e precisa del fatto, l’enunciazione delle fonti di prova raccolte,
l’indicazione del giudice competente, l’indicazione del giorno del luogo e
dell’ora della comparizione, la data e la sottoscrizione del giudice.
Una volta emesso il decreto che dispone il giudizio, il PM ed il difensore
possono compiere attività integrativa di indagine , fatta eccezione per gli atti
per i quali è prevista la partecipazione del difensore o dell’imputato. Tale attività
integrativa di indagine va espletata dopo la celebrazione dell’udienza
preliminare, e va quindi tenuta distinta dalle ulteriori indagini che sono quelle
che il PM compie dopo la richiesta di rinvio a giudizio e prima dell’udienza
preliminare. Subito dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio il
giudice provvede nel contraddittorio alla formazione del fascicolo per il
dibattimento, che è quel fascicolo formato dal gup in contraddittorio con le
parti, in tale fascicolo saranno inseriti tutti gli atti che dovrà poi conoscere il
giudice del dibattimento. Questa modalità di formazione del fascicolo è una
novità introdotta dalla legge CAROTTI; infatti prima della riforma il fascicolo in
questione veniva formato dalla cancelleria del giudice del dibattimento.
Appare quindi logico che in tale fascicolo andranno inseriti non tutti gli atti
compiuti dal pubblico ministero durante la fase delle indagini, ma semplicemente
gli atti irripetibili (es. verbale di sequestro, verbale di incidente probatorio,
verbale di ispezione etc. etc.), ciò in quanto il giudice dibattimentale non deve
essere affatto condizionato nel suo giudizio dall’attività di indagine compiuta dal
103
p.m. Inoltre su accordo delle parti nel fascicolo possono confluire anche atti delle
indagini del PM nonché documentazione relativa alle indagini difensive.
Alla formazione del fascicolo si procede o durante la stessa udienza nella quale il
gup ha emesso il decreto che dispone il giudizio, ovvero, se vi è richiesta di una
parte, in una successiva udienza fissata, dal gup, a distanza di 15 giorni.
La sentenza di non luogo a procedere non è idonea a passare in giudicato e
quindi può anche essere revocata a richiesta del p.m. quando vi siano nuove
fonti di prova le quali da sole o unitamente a quelle già acquisite possano
determinare il rinvio a giudizio dell’imputato. Competente a pronunciarsi sulla
richiesta del PM è il GIP e non il GUP.
A tal punto bisogna vedere se le nuove fonti di prova sono già state acquisite
( per esempio le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia assunte in altro
processo ) allora il PM chiede oltre alla revoca della sentenza, il rinvio a
giudizio; se le nuove fonti di prova non sono state ancora acquisite allora il PM,
oltre alla richiesta di revoca, deve avanzare istanza di riapertura delle indagini.
Se il GIP non deve dichiarare inammissibile la richiesta fissa la data della nuova
udienza preliminare (ciò allorquando le nuove fonti di prova siano già acquisite),
ovvero dispone la riapertura delle indagini preliminari (al fine di acquisire le
nuove fonti di prova) le quali debbono esaurirsi in un tempo non superiore a 6
mesi non prorogabile.
104
Contro l’ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di revoca il
PM può proporre ricorso per Cassazione solo per i motivi indicati nell’art. 606
comma 1 lettere b,d,e. c.p.p.
105
I PRINCIPI DEL PROCESSO PENALE
I principi guida del processo sono quei principi ai quali le parti devono attenersi
al fine di avere un processo giusto nel quale si sia in grado di accertare la
eventuale responsabilità penale dell’imputato.
Analiticamente considerati questi principi sono:
1. Principio della contestazione tale principio vuole che l’imputato sia
messo a conoscenza di cosa esso sia accusato, infatti non è ammissibile
che si processi alcuno senza che questi sappia il motivo per cui vi è
processo. Tale principio lo si ritrova nell’ambito degli artt. 516- 517- 518
c.p.p. (di cui successivamente si dirà più diffusamente) nel caso cioè in cui
all’imputato debba essere contestato un fatto diverso o diversamente
circostanziato ovvero un fatto nuovo. La contestazione deve essere
puntualmente descritta dal p.m. all’atto dell’esercizio dell’azione penale.
2. Principio del contraddittorio tale principio indica che le decisioni
del ,giudice in un processo devono avvenire sempre audita altera parte.
Ciò significa che nel processo penale è fondamentale avere un dibattito tra
l’accusa e la difesa. Costituzionalmente tale principio è sancito dall’art.
111 cost. dal quale innanzitutto si evince che il processo si svolge nel
contraddittorio delle parti (p.m. e imputato) innanzi ad un giudice terzo ed
imparziale; da ciò se ne desume che per quanto riguarda l’imputato egli ha
il diritto di difesa esercitatile in ogni grado del processo mediante il diritto
106
alla prova. Per quanto riguarda il diritto alla prova tale norma
costituzionale è di fondamentale importanza in quanto il 3° comma di tale
norma stabilisce che per quanto riguarda la formazione della prova essa
avviene nel contraddittorio delle parti. Tale norma, allo stesso tempo,
prevede però una serie di deroghe a tale principio: innanzitutto si
prescinde dal contraddittorio allorquando l’imputato presta il proprio
consenso accettando che la decisione sia adottata sulla base di elementi di
prova formatisi in assenza di contraddittorio. La seconda deroga si
riferisce ai casi in cui vi sia un impossibilità di natura oggettiva alla
formazione della prova in contraddittorio, la terza deroga si ha
allorquando l’impossibilità di formare la, prova in contraddittorio dipende
da condotta illecita.
3. Principio della difesa l’art. 24 cost. sancisce il diritto di difesa come
diritto inviolabile di ciascuno, ciò significa che chiunque ha diritto di
difendersi; tale diritto di difesa si esplica innanzitutto attraverso la
presenza in ogni fase del giudizio dell’imputato, fermo restando che
all’imputato è anche consentito di assentarsi nel corso del giudizio o
addirittura di non presentarsi mai (in tal caso egli sarà giudicato in
contumacia). Inoltre l’imputato ha l’ “ultima parola” nel senso che il
proprio difensore prenderà la parola per ultimo (dopo cioè il,p.m. e le altre
parti private).Sempre in applicazione di tale principio l’imputato ha la
107
possibilità di scegliere di celebrare il processo attraverso dei riti
alternativi.
4. Principio dell’immediatezza il giudice deve venire a conoscenza delle
prove in maniera diretta ossia nel momento stesso in cui essa si forma o
viene assunta.
5. Principio del libero convincimento del giudice il giudice deve valutare
gli elementi di prova acquisiti in totale libertà senza che vi siano elementi
che possano vincolare il proprio convincimento.
6. Principio dell’oralità le prove devono formarsi oralmente anche se poi
tutti gli atti probatori vengono trasfusi in verbali (verbali di udienza)
7. Principio della pubblicità il processo penale è essenzialmente pubblico
nel senso che vi è la libera partecipazione del pubblico alle udienze, salvo
casi in cui si tratta di udienze in camera di consiglio.
8. Principio di concentrazione in base al quale il processo dovrebbe
concludersi nello stesso giorno nel quale ha inizio o perlomeno avere una
ragionevole durata (art. 111 2° comma Cost.); ovviamente ciò nella
maggior parte dei processi è impossibile per cui il giudice ha la possibilità
di suddividere ilprocesso in più udienze.
9. Principio di economia e di speditezza processuale tale principio è
collegato al principio di concentrazione, ovviamente tale principio deve
però essere bilanciato dalle concrete esigenze delle parti.
108
LE PROVE
Per affermare la responsabilità penale di qualcuno è necessario che essa sia
provata; ossia nessuno può essere ritenuto colpevole di un qualcosa se la sua
responsabilità non è provata.
Per questo nel processo penale assumono una funzione vitale le prove che
vengono assunte o formate nel corso del processo.
Per parlare compiutamente del mondo probatorio bisogna preliminarmente
chiarirsi alcuni termini:
MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA
Sono attività di natura investigativa che si compiono per reperire mezzi di prova
o elementi di rilevanza probatoria; sono cioè strumentali all’individuazione degli
elementi di prova.
Essi sono:
1. Ispezione che è un attività tesa a ricercare tracce del reato, viene compiuta
dall’autorità giudiziaria che la dispone con decreto; essa può avere luogo
su persone, in tal caso avremo un’ispezione personale, ovvero su luoghi,
in tal caso avremo un’ispezione locale. Per quanto riguarda la prima essa
deve essere compiuta su persone sulle quali si ritiene possano essere
rilevate tracce del reato essa deve essere compiuta nel rispetto della dignità
personale della persona ispezionata la quale può farsi assistere da persona
109
di sua fiducia. E’ inoltre possibile che ad eseguire l’ispezione sia persona
dello stesso sesso di quella ispezionata. Per quanto riguarda quella locale
essa avviene in luoghi nei quali si presume che vi siano tracce del reato e
deve essere preceduta dalla consegna, all’indagato o all’imputato, del
decreto di sequestro.
2. Perquisizione è un’attività tesa a ricercare il corpo del, reato o tracce
pertinenti al reato o anche dell’evaso o della persona sottoposta alle
indagini. Anch’essa così come l’ispezione può essere personale o locale e
valgono per entrambi le stesse regole valide per le ispezioni.
3. Sequestro probatorio il quale consiste nel sequestrare o il corpo del reato
ovvero delle cose pertinenti al reato. Tale tipo di sequestro si differenzia
dal sequestro conservativo e preventivo in quanto qui si tratta di un atto
d’indagine e non di una misura cautelare. Tale sequestro è compiuto
dall’autorità giudiziaria tramite decreto, avverso tale sequestro è ammesso
ricorso al tribunale del riesame. Può capitare che ad eseguire tale sequestro
sia la polizia giudiziaria la quale allorquando vi è un’urgenza procede a
sequestrare il corpo del reato fermo restando che in tal caso è comunque
necessaria la convalida da parte del p.m. entro 48 ore dal compiuto
sequestro art. 355 c.p.p.
4. Intercettazioni telefoniche ed ambientali ossia quando vengono captate
le conversazioni telefoniche ed ambientali dell’indagato o imputato. Tali
intercettazioni sono disposte con decreto motivato da parte del gip. previa
110
richiesta autorizzativa del p.m. Affinché si possa procedere ad
intercettazioni il legislatore all’art. 266 c.p.p. ha previsto che debba
trattarsi di reati non colposi puniti con la pena dell’ergastolo o con quella
della reclusione superiore nel massimo a 5 anni, ovvero una serie di reati
elencati analiticamente da tale norma. Occorre poi che l’intercettazione sia
assolutamente indispensabile al fine della prosecuzione dell’indagine e
sussitano gravi indizi di reato. Il gip con il decreto indica anche la durata
di tali intercettazioni (15 giorni prorogabili più di una volta). Nel caso in
cui vi sia un’urgenza è il p.m a disporle con decreto motivato che entro 24
ore va comunicato al gip affinché decida se convalidare o meno tale
decreto entro le successive 48 ore.
MEZZI DI PROVA
Per quanto riguarda i mezzi di prova essi non sono altro che lo strumento
processuale attraverso il quale è possibile produrre un elemento di conoscenza
che occorre al giudice per la formazione del suo convincimento e quindi per la
decisione del processo.
Tali mezzi sono:
LA TESTIMONIANZA
La testimonianza è certamente il mezzo di prova maggiormente adoperato nei
processi penali, tale prova si forma nel processo (ciò in quanto la dichiarazione
del testimone non preesiste al processo). La testimonianza è un mezzo di prova
dichiarativo che consente di approfondire circostanze utili per il processo,
111
testimone non può mai essere una parte processuale (es. testimone non può mai
essere il p.m. ovvero l’imputato), unica eccezione a questa regola è la parte civile
la quale nonostante sia parte processuale può comunque assumere l’ufficio di
testimone.Per quanto riguarda il contenuto della testimonianza l’art. 194 c.p.p.
ci informa che essa deve avere ad oggetto solo i fatti da provare, per cui il
testimone deve riferire semplicemente sui fatti descritti nel capo di imputazione;
inoltre la testimonianza non può avere ad oggetto voci correnti nel pubblico per
cui essa deve vertere esclusivamente su fatti specifici (art. 194 2° comma
c.p.p.). E’assolutamente fatto divieto al testimone di esprimere propri
apprezzamenti personali circa i fatti di causa o la personalità dell’imputato.Una
forma particolare di testimonianza è la testimonianza indiretta (o de relato)
essa la si ha quando un testimone dichiara di aver appreso il fatto da altra fonte .
Per cui l’art. 195 c.p.p. afferma che in questo caso le parti possono chiedere al
giudice che sia chiamata a deporre la fonte dalla quale il teste ha appresola
notizia.
Nel caso in cui il testimone non riferisca le generalità della fonte, in poche parole
si rifiuti di indicare chi è la persona dalla quale ha appreso questa informazioni,
allora la sua dichiarazione sarà totalmente inutilizzabile.
Tale dichiarazione sarà invece utilizzabile allorquando le parti non chiedono che
la fonte di riferimento sia escussa (sia cioè chiamata a testimoniare), ciò non
toglie che il giudice, di ufficio, possa chiamare a deporre questa fonte di
riferimento.
112
Vi sono due eccezioni nelle quali la testimonianza indiretta è esclusa, tali
eccezioni sono: quella prevista nell’art. 62 c.p.p. che vuole che le dichiarazioni
rese nel corso del procedimento dall’indagato non possono formare oggetto di
testimonianza, la seconda è prevista dal 4° comma art. 195 c.p.p. che vieta agli
agenti ed agli ufficiali di p.g. di riferire su dichiarazioni ricevute nel corso delle
indagini preliminari dall’indagato o da persone che possono assumere la veste di
testimoni.
Per quanto riguarda la capacità a testimoniare il legislatore ha ritenuto nell’art.
197 c.p.p. che ognuno ha la capacità a testimoniare, per cui sarà poi il giudice
che caso per caso deciderà se effettivamente il soggetto sarà o meno in grado di
testimoniare.
Un discorso a parte merita quello sulle incompatibilità a fungere da testimoni,
l’art. 197 c.p.p. indica una serie di ipotesi in cui si realizza tale incompatibilità,
precisamente:
1. La lettera a) di tale articolo indica che non possono assumere la veste di
testimoni soggetti che rivestono la qualità di coimputati o imputati in un
procedimento connesso a norma dell’art. 12 lett a) c.p.p. salvo che nei
loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di
proscioglimento, di condanna, o di patteggiamento.
2. La lettera b) di tale articolo fa riferimento alle persone imputate in un
procedimento connesso a norma dell’art. 12 lett c) c.p.p. ovvero in un
reato collegato ex art. 371 c.p.p. salvo che nei loro confronti sia stata
113
pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna, o di
patteggiamento.
3. La lettera c) di tale norma riguarda il responsabile civile e la persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria
4. La lettera d) riguarda chi nel medesimo processo ha svolto la funzione di
giudice , di p.m. etc. etc.
Significativo è quanto disposto dall’art. 197 bis c.p.p., la cd. testimonianza
assistita, il quale articolo prevede delle eccezioni circa l’incapacità a essere
testimoni, tali eccezioni riguardano le ipotesi considerate nella lett. b) dell’art.
197 c.p.p. (imputato in procedimento connesso ex art. 12 lett. c) ovvero imputato
in un reato collegato) in quanto questi soggetti non sono incompatibili con
l’ufficio di testimone, quando nei loro confronti è stata pronunciata sentenza
irrevocabile di proscioglimento ovvero di condanna ovvero di patteggiamento,
quando hanno reso, in sede durante le indagini preliminari, dichiarazioni che
riguardano l’altrui responsabilità ex art. 64 3° comma c.p.p.
In questi casi il testimone è assistito da un difensore, ecco perché si parla di
testimonianza assistita perché nella normalità dei casi il testimone non ha diritto
al difensore.
Inoltre il testimone non può essere obbligato a rispondere su fatti che concernono
la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto, se
nel procedimento aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso
114
alcuna dichiarazione. La ratio della regola è semplice : nessuno è tenuto a
danneggiarsi.
Il comma 5 dell’art. 197 bis prevede una regola importante: l’
INUTILIZZABILITA’ SOGGETTIVA, cioè ogni dichiarazione del teste su temi
su cui aveva diritto di tacere è inutilizzabile, mentre tutto ciò che ha liberamente
dichiarato sarà valutabile in chiave probatoria nei riguardi di altri soggetti, ma
inutilizzabile nei suoi confronti.
Infine per quanto riguarda gli obblighi del testimone egli deve sempre dire la
verità, inoltre, nel caso in cui non si presenti in udienza nel giorno prestabilito,
deve addurre una causa di giustificazione altrimenti il giudice può condannarlo al
pagamento di una sanzione pecuniaria e può talvolta anche ordinarne
l’accompagnamento coattivo.
Deve sempre dire la verità ed inoltre il teste non può essere obbligato a deporre
su fatti dai quali potrebbe emergere la sua responsabilità penale.
I parenti ed i prossimi congiunti dell’imputato hanno la facoltà di astenersi
dall’obbligo di testimoniare, ma tale facoltà non sussiste ove i parenti o i
prossimi congiunti dell’imputato abbiano presentato denuncia, querela o istanza (
art. 199 c.p.p. ).
Per alcuni testimoni che rivestono particolari qualifiche (avvocati, preti, medici ,
farmacisti etc.etc.) l’art. 200 c.p.p. concede la facoltà di non rispondere a
determinate domande quando attraverso la risposta si possa violare il segreto
professionale. Il giudice se dubita dell’esistenza del segreto può disporre
115
accertamenti in tema; se poi l’opposizione del segreto dovesse risultare
infondata, il giudice ordinerebbe al testimone di deporre.
Lo stesso vale per il segreto di ufficio: che è uno dei doveri fondamentali del
pubblico ufficiale, del pubblico impiegato e dell’incaricato di un pubblico
servizio.
Diversa è la disciplina per il segreto di Stato che è più complessa, data la natura
degli interessi coinvolti; ove il testimone opponga l’esistenza di un segreto di
stato il giudice ne dà immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei
Ministri, chiedendo a lui conferma dell’esistenza del segreto. Qualora entro 60
giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio dei Ministri
non dia conferma, il giudice ordina che il testimone deponga; se al contrario
viene confermata l’esistenza del segreto e la prova sia essenziale ai fini del
processo, il giudice dichiara di non doversi procedere per l’esistenza di un
segreto di Stato.
ESAME DELLE PARTI
Per quanto riguarda questo mezzo di prova esso riguarda specificamente le parti
(imputato, parte civile, responsabile civile etc. etc.), tale mezzo di prova
differisce dalla testimonianza in quanto le parti possono essere esaminate se ne
fanno richiesta o se acconsento alla richiesta formulata dalla controparte (p.m.),
inoltre esse non hanno l’obbligo di dire la verità e possono anche tacere del tutto.
Mentre come abbiamo visto per la testimonianza, essa è un’attività doverosa ed
inoltre vi è l’obbligo di dire la verità.
116
ESAME DI PERSONA IMPUTATA IN PROCEDIMENTO CONNESSO
Tale mezzo di prova ci è indicato dall’art. 210 c.p.p. tali persone sono indicate
nel 1° comma di tale articolo e sono gli imputati in un procedimento connesso
ex art. 12 lett a) c.p.p. nei confronti dei quali si procede o si è proceduto
separatamente e che non possono assumere l’ufficio di testimone.
Tali persone sono esaminate a richiesta di parte devono essere assistite da un
difensore di fiducia; hanno l’obbligo di presentarsi al giudice il quale ha anche la
facoltà di predisporre l’accompagnamento coattivo; ed inoltre tali persone hanno
anche la facoltà di non rispondere.
CONFRONTO
Tale mezzo di prova consiste nel confrontare due persone le quali abbiano reso
in precedenza dichiarazioni contrastanti su fatti fondamentali per il tema
probandum, il confronto può anche riguardare più persone e le fonti di prova
possono essere sia testimoni, sia imputati, sia imputati in un procedimento
connesso.
RICOGNIZIONE
E’ un mezzo di prova per consentire il riconoscimento di persone, suoni, cose.
Per cui avremo ricognizione personale, ricognizione reale e ricognizione
sensoriale.
117
La ricognizione avviene nell’aula di udienza senza particolari accorgimenti salvo
che vi possa essere pericolo per il ricognitore ed in tal caso saranno adottate
misure idonee a tutelare il ricognitore.
La ricognizione avviene in questo modo: accanto alla persona o alla cosa da
riconoscere il giudice, fatto allontanare il ricognitore, dispone che siano poste
due persone o cose il più possibile somiglianti a quella da riconoscere,
reintrodotto il ricognitore in udienza egli deve poi eseguire la ricognizione.
L’ESPERIMENTO GIUDIZIALE
Tale mezzo di prova consiste invece nella possibilità di accertare se un fatto sia o
possa essere avvenuto in un certo modo; consiste quindi nel controllo
sperimentale di un certo accadimento, attraverso la riproduzione della situazione
di fatto e la ripetizione delle sue modalità di svolgimento. tutte le operazioni
sono dirette dal giudice.
PERIZIA
Questo mezzo di prova è necessario allorquando l’accertamento dei fatti
presuppone particolari conoscenze tecnico – scientifiche per cui è necessario
affidarsi a colui il quale possiede tali caratteristiche.
La nomina del perito avviene in udienza, nella quale il giudice affida, nel
contraddittorio delle parti, l’incarico formulando nel contempo anche i requisiti
ai quali la perizia dovrà dare risposta. In quanto ausiliario del giudice il perito
deve avere una posizione di terzietà e quindi di imparzialità, analoga a quella del
giudice. Così come per il giudice anche il perito quando ricorre una causa di
118
incompatibilità, ha l’obbligo di astenersi; le cause sono di astensione sono quelle
indicate nell’art. 222 c.p.p. , a queste vanno aggiunte anche le cause di astensione
del giudice ai sensi dell’art. 36 c.p.p. Se in presenza di una causa di
incompatibilità non si astiene, egli può essere ricusato dalle parti, tranne che per
il motivo di cui all’art. 36 lett. H. Dopo le formalità di conferimento
dell’incarico, il perito procede immediatamente agli accertamenti; se per la
complessità dei quesiti non può dare risposta immediata può chiedere un termine
al giudice. Se il giudice ritiene di non poter accogliere la richiesta provvederà a
sostituirlo; altrimenti fissa la data, non oltre 90 giorni, nella quale il perito deve
depositare la risposta ai quesiti. Quando gli accertamenti sono abbastanza
complessi il termine può essere prorogato dalgiudice anche più volte per periodi
non superiori a 30 giorni; in ogni caso il termine anche se prorogato non può
superare i 6 mesi.
All’esito della perizia il perito esporrà in udienza i risultati ai quali è giunto, ed
esso verrà esaminato secondo le modalità previste per l’esame dei testimoni.
LA CONSULENZA TECNICA
Tale mezzo di prova si avvicina sensibilmente alla perizia in quanto altro non è
se non la possibilità data alle parti (p.m., imputato, parte civile etc. etc.) di
nominare propri consulenti da affiancare ai periti, laddove essi siano nominati.
Bisogna distinguere se il consulente sia nominato a seguito di una perizia
disposta dal giudice o sia nominato dalle parti.
119
Nel primo caso le parti hanno facoltà di nominare consulenti in numero non
superiore a quello dei periti, tali consulenti possono affiancare i periti durante il
corso delle operazioni peritali, nel caso in cui il consulente sia nominato
successivamente all’assegnazione dell’incarico peritale egli non potrà chiedere la
ripetizione delle attività già compiute dal perito ma potrà solamente osservare il
luogo o l’oggetto della perizia previa autorizzazione del giudice.
Nel secondo caso anche nel corso delle indagini preliminari le parti possono
nominare propri consulenti, in numero non superiore a due, e l’attività del
consulente si svolge in maniera autonoma.
PROVA DOCUMENTALE
La prova documentale 234Nel processo penale la regola generale è che le prove si formino in dibattimento nel contraddittorio tra le parti.Tuttavia esistono prove che per loro natura non sono suscettibili di formazione in dibattimento essendo precostituite.Deve trattarsi di documenti formatisi fuori dal processo e che in questo entrano con
finalità probatorie.
Art 234: è consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose, mediante fotografia o qualsiasi altro mezzo.E’ vietata l’acquisizione di documenti riguardanti informazioni sulle voci correnti nel pubblico.il documento per assurgere a mezzo di prova deve avere requisiti di certezza in ordine alla paternità o provenienza; pertanto è vietata l’acquisizione di documenti anonimi, apocrifi di quelli che hanno contenuto inattendibile.Il documento è mezzo di prova poiché attraverso di esso il giudice può ritenere
provato il fatto rappresentativo; ci sono dei limiti all’ammissibilità:
- il documento deve essere sempre acquisto in originale;- è vietata l’acquisizione di voci correnti nel pubblico;- è vietata l’acquisizione di documenti di cui si ignori l’autore;In ogni caso vanno sempre acquisiti i documenti che costituiscono il corpo del reato.
120
Rientrano tra i documenti, anche le sentenze pronunciate in altri procedimenti sia civili che penali che amministrativi che siano divenuti irrevocabili.
VERBALI DI PROVE DI ALTRI PROCEDIMENTI
Tale mezzo di prova consente di assumere come prova i verbali di altri
procedimenti (art. 238 c.p.p.).
Per quanto riguarda le prove assunte in un giudizio civile i relativi verbali
possono essere acquisiti se il processo civile al quale si riferiscono tale prove è
stato definito con sentenza definitiva.
Per quanto invece riguarda i verbali di prova assunti in altro procedimento
penale essi possono essere acquisiti allorquando siano stati formati nel pieno
rispetto del contraddittorio tra le parti.
Tali verbali possono essere adoperati contro l’imputato allorquando il proprio
difensore abbia materialmente partecipato all’assunzione della prova; per quanto
riguarda i verbali di dichiarazioni rese in altro procedimento ed in sedi nelle
quali non è garantito il contraddittorio, allora possono essere acquisiti solamente
se vi è il consenso dell’imputato.
Le parti possono sempre e comunque chiedere l’esame della persona che abbia
reso le dichiarazioni acquisite.
Una volta eseguita la distinzione tra mezzi di ricerca della prova e mezzi di
prova, bisogna brevemente distinguere tra:
1. Fonte di prova ossia la cosa, il documento, la persona che possa offrire
spunti conoscitivi al giudice al giudice.
121
2. Elemento di prova ossia il dato obbiettivo offerto dalla fonte di prova
3. Risultato probatorio la situazione di fatto ricostruita attraverso il mezzo
di prova.
Nel corso del dibattimento è il giudice che, previa richiesta delle parti, decide,
tramite ordinanza, se ammettere o meno le prove richieste. Al fine di decidere il
giudice deve avere ben presenti i parametri indicati dall’art. 190 c.p.p. ossia la
prova richiesta per essere ammessa deve essere non vietata, non superflua e
rilevante. Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge il giudice
può assumerla se essa risulta idonea ad accertare i fatti e non pregiudica la libertà
morale della persona.
La fase dell’assunzione si atteggia in maniera duplice: infatti si parla di
acquisizione quando si tratta di una prova precostituita (es. documento), si parla
di formazione quando si tratta di una prova dichiarativa (es. testimonianza).
Come detto il giudice decide con ordinanza se ammettere o meno al prova, egli
deve decidere immediatamente e soprattutto, ed è forse la nota più importante, il
giudice ha la possibilità rivedere la precedente decisione di ufficio o su
sollecitazione della parte, egli cioè può ammettere una prova prima esclusa, o
può escludere una prova prima ammessa.
Una volta che la richiesta della parte è stata ammessa la stessa non ha più la
possibilità di revocarla unilateralmente, cioè se la parte rinuncia ad una prova
tale rinuncia ha effetto solamente se vi è il consenso della controparte.
122
Un discorso a parte meritano gli indizi recita infatti l’art. 192 c.p.p. che
l’esistenza di un fato non può essere desunta da indizi a meno che questi siano
gravi, precisi e concordanti; l’indizio in sé per sé è un fatto che da solo non è
sufficiente a dimostrare il tema probandum, per cui affinché tali indizi assurgano
a prova è necessario che essi siano innanzitutto più di uno, inoltre è necessario
che siano gravi quando la convinzione logica da esso si ricava è cosi forte da
resistere alle eventuali obbiezioni (es. dopo un omicidio si rinvengono le
impronte digitali di A, ciò non togli però che B, il vero autore dell’omicidio,
abbia avuto cura di eliminare le sue impronte lasciate sul posto al momento
dell’omicidio).
L’indizio deve essere inoltre preciso riprendendo l’esempio fatto in precedenza
la precisione si ha allorquando è possibile affermare senza ombra di smentita che
tali impronte sono dell’imputato; cioè l’indizio deve garantire la certezza della
circostanza rappresentata.
Infine gli indizi devono essere concordanti devono cioè condurre verso un’unica
soluzione e non devono contrastare tra loro.
Allorquando si tratti di dichiarazioni rese da un coimputato nel medesimo reato
ovvero da una persona imputata in un procedimento connesso nel valutare
dichiarazioni il giudice deve preliminarmente valutare l’attendibilità del
dichiarante, attendibilità sia intrinseca ossia il giudice valuta se il dichiarante ha
qualche motivi di contrasto con l’imputato, valuta la personalità del dichiarante
123
etc. etc.; sia estrinseca ossia il giudice valuta se la dichiarazione del coimputato
o del imputato connesso rispecchiano i fatti come si sono realmente svolti.
Inutilizzabilità della prova
La inutilizzabilità rientra nel novero delle invalidità degli atti, ed è la sanzione tipica
prevista dalla legge per gli atti di contenuto probatorio.
Essa incide sul libero convincimento del giudice sottraendogli un elemento da valutare per l’accertamento dei fatti.La dottrina ha distinto tra:- inutilizzabilità patologica: gli elementi di prova sono assunti in violazione di un
espresso divieto probatorio;- inutilizzabilità fisiologica: gli elementi pur non presentando nessun vizio
intrinseco non possono comunque essere valutati dal giudice del dibattimento perché formate senza il rispetto del contraddittorio.
Ma se facciamo riferimento al 111 co 4: la sanzione dell’inutilizzabilità è soggetta alle deroghe espressamente stabilite:- quando vi sia il consenso dell’imputato;- quando la prova non può essere assunta in contraddittorio per accertata
impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita;- nelle ipotesi del 512.
Nel nostro sistema vi è una previsione GENERALE dell’istituto ex 191 e poi una serie di previsioni di inutilizzabilità cd. SPECIALI, riferiti a singoli atti.ART 191 co 1: le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate.L’inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.Il vizio che abbia reso inutilizzabile l’atto non si sana con il passaggio in giudicato
della sentenza: quindi seppure il vizio non viene rilevato nel processo in cui l’atto è
compiuto, ciò non toglie che potrà comunque essere rilevato successivamente al
passaggio in giudicato della sentenza, in un procedimento in cui si voglia utilizzarlo.
124
IL DIBATTIMENTO
Una volta emesso il decreto che dispone il giudizio, con il quale il gup rinvia a
giudizio l’imputato, si entra nella fase del dibattimento vera e propria.
Prima però che formalmente si apra il dibattimento vi sono due fase che
precedono tale apertura esse sono: quella degli atti preliminari al dibattimento, e
quella degli atti introduttivi.
ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTO
ANTICIPAZIONE E DIFFERIMENTO DELL’UDIENZA
Il primo di questi atti è indicato nell’art. 465 c.p.p. in base al quale il presidente
del collegio giudicante può ( Tribunale o Corte di Assise) può, per giustificati
motivi e per una sole volta, anticipare o differire la data dell’udienza indicata nel
decreto che dispone il giudizio. Tale decisione avviene con decreto il quale deve
essere comunicato, nel caso di anticipazione dell’udienza, alle parti almeno 7
giorni prima dell’udienza.
ACQUISIZIONI PROBATORIE URGENTI
In tal caso l’art. 467 prevede la possibilità che il presidente del collegio
giudicante a richiesta di parte, nei casi indicati dall’art. 392 c.p.p., dispone
l’assunzione anticipata delle prove non rinviabili. Quanto descritto rappresenta
una forma atipica di incidente probatorio ciò in quanto oltre a necessitare dei
requisiti richiesti dall’art. 392 è anche necessario che l’assunzione anticipata sia
imputabile alla particolare urgenza che non consente affatto di attendere che tale
prova sia formata in dibattimento.
125
Tale procedimento comunque si differenzia dall’incidente probatorio per il fato
che comunque attiene alla fase dibattimentale.
DEPOSITO DELLA LISTA TESTIMONIALE
L’art. 468 c.p.p. stabilisce la possibilità per la parte che voglia chiedere l’esame
di testimoni o di periti ovvero di consulenti tecnici o delle persone indicate
nell’art. 210, di depositare la lista testimoniale nella cancelleria del giudice
procedente almeno 7 giorni prima dell’udienza; tale termine è previsto a pena di
inammissibilità.
Insieme alla lista deve, eventualmente essere presentata anche la richiesta di
ammissione di verbali di prova di altro procedimento penale.
La lista deve indicare oltre ovviamente le persone che saranno chiamate a
testimoniare anche su quali fatti verterà la testimonianza.
Il presidente del collegio giudicante, una volta verificata l’insussistenza di
impedimenti legislativi che possono riguardare il singolo mezzo di prova ovvero
la manifesta sovrabbondanza delle richieste, autorizza con decreto la citazione
delle persone indicate nella lista per l’udienza fissata o per un udienza
successiva.
L’autorizzazione del presidente è un qualcosa di diverso dall’ammissione delle
prove, regolata dall’art. 495 di cui si dirà dopo, in quanto quest’ultima è decisa
in udienza dall’intero collegio dopo aver effettuato una valutazione più
penetrante sul merito della prova stessa.
126
Inoltre il controllo esercitato dal presidente riguarda solamente la prova
testimoniale non anche la citazione dei periti o dei consulenti etc. etc.
Inoltre la funzione di tale lista è anche quella di consentire alla controparte di
presentare prove a proprio discarico.
LA SENTENZA ANTICIPATA DI PROSCIOGLIMENTO
L’art. 469 c.p.p. prescrive la possibilità di pronunciare sentenza di non doversi
procedere prima del dibattimento quando: l’azione penale non doveva essere
iniziata o non proseguita ovvero quando il reato è estinto.
Tale norma prevede l’emissione di tale sentenza quando l’accertamento di tali
cause non necessita il dibattimento.
Il giudice però prima di decidere in camera di consiglio deve comunque sentire
le parti le quali possono comunque opporsi; solamente se non vi è opposizione il
giudice può pronunziare la sentenza di non doversi procedere la quale è
inappellabile; ma è ammissibile ricorso in Cassazione per violazione di legge.
Tale sentenza si differenzia dalla sentenza di non luogo a procedere emessa
all’esito dell’udienza preliminare in quanto essa è comunque una sentenza che,
pur incidendo sul rito, investe anche il merito, mentre quella emessa dal gup è
meramente processuale in quanto essa riguarda solamente l’azione penale
esercitata dal p.m.; poi perché la sentenza di cui si tratta è inappellabile mentre
quella emessa dal gup può sempre essere revocata.
Ovviamente se però dagli atti risulta che il fatto non sussiste o che l’imputato
non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato allora sarà applicato la
127
norma prevista nell’art. 129 2° comma c.p.p. che comunque prevede la
possibilità di assolvere nel merito l’imputato.
ATTI INTRODUTTIVI AL DIBATTIMENTO
COSTITUZIONE DELLE PARTI
E’ il primo atto introduttivo del dibattimento, con esso il giudice verifica che le
parti siano state regolarmente avvisate della data, del giorno, del luogo e dell’ora
dell’udienza. Viene cioè verificata la vocativo in iudicium dell’imputato art. 484
c.p.p.
QUESTIONI INCIDENTALI E PREGIUDIZIALI
L’478 c.p.p. prevede la possibilità per il giudice di decidere le questioni
incidentali proposte dalle parti tali questioni attengono solamente al rito e non al
merito del processo.
L’art. 479 c.p.p. prevede la possibilità per il giudice di sospendere, con
ordinanza, il dibattimento allorquando l’esistenza del reato dipenda
dall’accertamento di una questione civile o amministrativa di particolare
complessità e sia già in corso un procedimento presso il giudice competente.
Ovviamente il processo non può rimanere sospeso in eterno per cui il 3 ° cooma
di questo articolo prevede che se la questione, civile o amministrativa, non sia
definita entro un anno il giudice può revocare l’ordinanza di sospensione.
Molto importante sono anche le questioni costituzionali che si hanno
allorquando sorge una questione circa l’eventuale incostituzionalità di una norma
penale; in tal caso il giudice verifica prima se tale questione non è
128
manifestamente infondata e poi successivamente sospende il dibattimento per
rimettere la questione innanzi la Corte Costituzionale.
QUESTIONI PRELIMINARI
Tali questioni sono indicate nell’art. 491 c.p.p. esse riguardano la competenza
per materia, in eccesso, per territorio, per connessione, le nullità relative, la
costituzione di parte civile etc. etc. Le quali possono essere eccepite non oltre
tale fase.
Il 2° comma riguarda questioni che possono però essere eccepite anche nel corso
del dibattimento, allorquando mese sorgano nel corso di questo, e riguardano il
fascicolo per il dibattimento, la riunione e la separazione dei processi.
Tali questioni sono decise dal giudice immediatamente con ordinanza previo
contraddittorio tra le parti. Tali questioni possono comunque anche essere
rilevate ex officio dal giudice.
Una volta terminata tale fase il giudice dichiara aperto il dibattimento.
L’ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE
L’istruzione dibattimentale si apre con la RICHIESTA DI PROVE presentata
dalle parti (p.m. e parti private) al giudice il quale decide immediatamente con
ordinanza revocabile anche nel corso del processo art. 493 c.p.p. (è importante
sottolineare che le parti possono anche chiedere l’ammissione di prove non
comprese nella lista testimoniale quando dimostrano di non averle potute
indicare tempestivamente 2° comma art. 493 c.p.p.)
129
E’ importante sottolineare che le parti possono anche accordarsi per acquisire al
fascicolo del dibattimento atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o
anche atti che si riferiscono alla fase investigativa, inoltre le parti possono anche
chiedere l’ammissione di prove non comprese nella lista quando le stesse
dimostrino di non averle potute indicare tempestivamente.
L’art. 494 c.p.p. prevede che il giudice, una volta esaurite le richieste probatorie
e prima di decidere sull’ammissione delle stesse, avverte l’imputato che egli ha
la possibilità di rendere sempre in ogni stato e grado del processo dichiarazioni
spontanee sempre che esse si riferiscano all’oggetto del processo.
L’art. 495 c.p.p. prevede che il giudice decide con ordinanza circa l’ammissione
delle prove, il criterio da seguire nella valutazione di tali richieste è quello
indicato nell’art. 190 c.p.p., infatti il giudice deve ammettere tutte quelle prove
che non siano contrarie alla legge, manifestamente irrilevanti e superflue.
Una particolare disposizione è indicata dall’art. 190 bis c.p.p. il quale prevede
che per taluni categorie di delitti gravi (associazione camorristica , associazione
finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti etc. etc.) quando è richiesto
l’esame di persone indicate dall’art. 210 c.p.p., se queste persone hanno già reso
dichiarazioni nel corso dell’incidente probatorio o nel dibattimento in
contraddittorio con l’imputato, il giudice ammette l’esame di queste persone solo
se esso concerne fatti differenti da quelli precedentemente dichiarati.
Il 2° comma dell’articolo in questione ammette la possibilità per le parti di
vedersi ammesse prove a discarico sui fatti oggetto delle prove a carico.
130
Infine una volta ammessa la prova, la parte nel cui interesse tale prova è stata
ammessa non può rinunciare a tale prova senza il consenso della controparte.
Come detto in precedenza la prova si forma nel processo, bisogna a questo punto
verificare in che modo la prova viene formata. L’art. 496 c.p.p. prevede un
ordine di assunzione della prova, in primis vengono assunte le prove richieste dal
p.m. successivamente vengono assunte le prove richieste dalla parte civile, dal
responsabile civile, dalla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria ed
infine dall’imputato.
ESAME TESTIMONIALE
L’esame testimoniale (art. 498 c.p.p.) consente, alla parte che ha chiesto
l’assunzione di tale prova, di interrogare il testimone, il testimone dovrà
osservare gli obblighi imposti dalla legge.
Nel moderno processo penale la prova testimoniale si forma attraverso l’esame
incrociato dei testimoni, ossia nella possibilità di interrogare e contro
interrogare il teste; il procedimento è il seguente:
1. Esame del teste a carico della parte che ne ha chiesto l’escussione, le
domande formulate dalla parte non possono essere suggestive, non
possono cioè suggerire la risposta (es. una cosa è chiedere “Sig. Tizio
dove si trovava la sera del 20 Aprile ?”, altra cosa è chiedere “E’ vero che
lei la sera del 20 Aprile non si trovava sul luogo dell’omicidio?”
quest’ultima domanda è una domanda suggestiva). Inoltre in sede di esame
il giudice può intervenire per assicurare le pertinenza delle domande con il
131
tema probandum, e la genuinità delle risposte. L’esame è un mezzo di
prova orientato, nel senso che la parte lo finalizza alla dimostrazione della
propria tesi.
2. Controesame del teste è a carico della controparte la quale ha il diritto a
controesaminare il teste per cercare eventualmente delle contraddizioni
con quanto dichiarato durante l’esame. In tale fase è possibile anche porre
domande suggestive, in modo da saggiare la sincerità del testimone.
Anche questo è un atto finalizzato, ma a scopi opposti. Il riequilibrio tra le
situazioni è ristabilito con il riesame, ossia con la facoltà concessa a chi ha
chiesto l’esame di formulare ulteriori domande all’esito del controesame.
3. Riesame da parte di chi ha effettuato l’esame in modo da completare
l’esame recuperando l’originaria sequenza dei fatti.
Tale meccanismo è detto della cross examination.
Fondamentale nel nostro sistema processuale è la norma che prevede la
possibilità di effettuare CONTESTAZIONI all’esame testimoniale (art. 500
c.p.p.).
Si ha contestazione allorché la parte che esamina, o quella che controesamina,
contestano quanto precedentemente dichiarato dal teste e contenuto nel fascicolo
del p.m.
La contestazione presuppone quindi che vi sia stata una discordanza tra quanto
dichiarato dal teste in dibattimento e quanto dichiarato dalla stessa persona nel
corso delle indagini preliminari.
132
Nel caso in cui il teste rifiuta di sottoporsi all’esame di una parte ovvero rifiuta di
rispondere al controesame di una parte allora le sue dichiarazioni non possono
essere adoperate nei confronti di tale parte senza il consenso di quest’ultima (art.
500 comma 3°). Questa è una modificazione apportata dalla legge sul giusto
processo in ossequio al canone del contraddittorio; infatti tale comma prevede
l’inutilizzabilità soggettivamente orientata che spiega i suoi effetti soltanto nei
confronti della parte che si è vista negare il diritto al contraddittorio a meno che
questa non presti il consenso all'utilizzazione.
Gli atti che sono utilizzati per le contestazioni non possono acquisire il valore di
prova ma possono essere utilizzati solamente ai fini di verificare la credibilità del
teste; se però nel corso del dibattimento emerge che il teste sia stato sottoposto a
violenza, stato minacciato ovvero corrotto, allora le dichiarazioni utilizzate per le
contestazioni vengono acquisite al fascicolo del dibattimento e possono valere
come prova, ed inoltre possono anche essere utilizzate, anche senza consenso,
nei confronti della parte prevista nel 3° comma di questo articolo (art. 500
comma 4°). Si tratta di una deroga al principio dell’inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese nelle indagini; attraverso tale previsione si concretizza
l’eccezione alla regola del contraddittorio prevista dal comma 5 dell’art. 111
Cost. Il giudice infatti acquisisce le dichiarazioni contenute nel fascicolo del PM
e può valutarle come prova.
Le parti possono comunque accordarsi affinché siano acquisite al fascicolo per il
dibattimento le dichiarazione utilizzate per le contestazioni.
133
Va considerata l’evoluzione dell’articolo 500 scandita nelle seguenti fasi: l’originaria formulazione che rifletteva lo sbarramento di fasi del sistema
inquisitorio, cioè tra fase investigativa quella dibattimentale. Infatti non era consentito il transito del materiale utilizzato per le contestazioni, dal fascicolo del PM a quello del dibattimento con un’unica eccezione: se la dichiarazione resa nella fase investigativa fosse stata assunta nel corso delle perquisizioni o sul luogo e nell’immediatezza del fatto in una irripetibilità del contesto storico ambientale. Al di fuori di questa eccezione, la dichiarazione resa al PM o alla pg, poteva essere utilizzata solo per verificare la credibilità del teste.
su questa formulazione è intervenuta la corte nel 1992 che lo ha dichiarato costituzionalmente illegittima perché violava il principio di “ non dispersione delle prove” che era ritenuto il cardine del sistema processuale penale italiano;
Il legislatore intervenne sempre nel 1992 novellando l’articolo 500 per adeguarlo alla sentenza della corte: venne stabilito che la dichiarazione utilizzata per le contestazioni poteva essere acquisita al fascicolo del dibattimento ed essere valutata come prova , ma solo se la sua attendibilità fosse confermata da altri elementi.
dopo 5 anni nel 1997 è intervenuta la novella che ha modificato l’art 513 e che pur avendo riguardo al solo esame dell’imputato e delle persone ex 210, aveva comunque ad oggetto l’ontologia della prova dichiarativa: le dichiarazioni rese al PM o alla pg non potevano valere come prova dei fatti ivi affermati se l’imputato non rendeva l’esame perché si rifiutava o restava assente o contumace, o si avvaleva della facoltà di non rispondere.
Su quest’ultimo intervento del legislatore del 97, è intervenuta la corte costituzionale nel 1998, ribadendo il principio di non dispersione della prova, con una declaratoria di legittimità costituzionale.
Ma la modifica più rilevante che ha inciso sull’acquisizione probatoria ed in particolare sul regime delle contestazioni è stata quella apportata dal legislatore del 1999 all’articolo 111 della costituzione. in seguito a questa modifica, l’art 500 ha assunto la formulazione attuale secondo cui:
1) presupposto della contestazione è l’esistenza di un contrasto tra le dichiarazioni rese dal teste in dibattimento e le dichiarazioni rese dallo stesso nella fase delle indagini ( es se ha reso interrogatorio ex 294, oppure nell’udienza di convalida ex 391);
2) lo svolgimento si realizza mediante lettura delle precedenti dichiarazioni e deposizioni del teste;
- la regola base è stabilita dal comma 2 cui seguono le eccezioni alla stessa nei commi successivi che si ricollegano alle deroghe previste dall’articolo 111. Regola base è la valutazione degli atti utilizzati per le contestazioni ai soli fini della credibilità del teste ed è quindi esclusa la loro utilizzabilità come prova. Le eccezioni sono previste dai commi 3 4 6 7.
134
ESAME DELLE PARTI PRIVATE
L’art. 503 c.p.p. disciplina compiutamente l’esame delle parti private che ne
abbiano fatto richiesta (ricordiamo che tale mezzo di prova presuppone, affinché
possa avvenire, il consenso della parte interessata).
L’esame delle parti private (parte civile, responsabile civile, persona civilmente
obbligata per la pena pecuniaria, imputato; in rigoroso ordine) ha le stesse regole
che abbiamo visto applicate all’esame del testimone (esame, controesame,
riesame); è inoltre anche possibile contestare alle parte le dichiarazioni rese nel
dibattimento utilizzando le dichiarazioni dalla stessa rese e contenute nel
fascicolo del p.m.
Vi è una differenza fondamentale rispetto alle contestazioni effettuate al
testimone, in questo caso il penultimo comma dell’art. 503 c.p.p. prevede che i
verbali delle dichiarazioni, rese al p.m. o alla polizia giudiziaria su delega del
p.m., adoperate per le contestazioni possono essere acquisiti al fascicolo del
dibattimento quando si tratta di dichiarazioni alle quali il difensore aveva il
diritto di assistere; ciò in quanto essendo dichiarazioni alle quali era assicurata la
presenza del difensore certamente è assicurata la massima trasparenza e garanzia
per la parte.
ESAME DEI PERITI E DEI CONSULENTI TECNICI
Tale esame è disciplinato dall’art. 501 c.p.p. il quale si richiama alle norma
applicabili all’esame testimoniale, l’unica differenza consiste nel fatto che il teste
deve riferire su argomenti di cui è a conoscenza diretta. Mentre il perito, o il
135
consulente, deve riferire su argomenti tecnici o scientifici che condizionano la
sua conoscenza.
Poteri probatori del giudice
I poteri di ingerenza del giudice nel procedimento probatorio, devono essere poteri
residuali, integrativi, sostitutivi, ma MAI SURROGATORI.
Infatti accanto all’iniziativa probatoria delle parti, essendo il processo accusatorio su
impulso di parte, si pongono poteri del giudice che possono essere:
DI CONTROLLO ex 495 co 4: che consiste nella possibilità di revoca delle
ordinanze non ammissive dei mezzi di prova ove la richiesta originaria della parte
risulti fondata, secondo quanto emerso in istruzione dibattimentale;
DI IMPULSO ex 506: che consiste nella indicazione alle parti di temi di prova
utili per la completezza dell’esame;
DIINTEGRAZIONE ex 506 co 2 e 507 ( così come il gup nell’udienza
preliminare poteva esercitare i poteri di integrazione ex 422) .
L’art 506 co 2 attribuisce al presidente la possibilità di rivolgere domande al teste
perito, consulente tecnico e persone indicate nel 210, esaurite le attività di esame e
controesame. Naturalmente la regola in ordine a ciascun mezzo di prova è che
comincia a porre domande e quindi a fare l’esame la parte che ha chiesto di escutere
quel mezzo di prova, poi vi è il controesame della controparte e l’eventuale riesame
della parte che ha chiesto di escutere il mezzo istruttorio.
136
Quando si sono esauriti questi tre momenti, il giudice interviene a fare le domande; il
legislatore ha previsto la possibilità per le parti di fare nuove domande, a seguito
delle domande del giudice inerentemente al tema introdotto dal giudice.
Ovviamente non è possibile opporsi dinanzi alle domande dell’organo giudicante.
Occorre cioè che le parti abbiano esaurito le loro richieste probatorie e che il
presidente ritenga che il materiale raccolto abbia bisogno di approfondimenti. La
norma in esame accenna a temi di prova nuovi o più ampi, utili per la
completezza dell’esame, si tratta cioè di una sollecitazione del potere delle parti,
cui compete in concreto di dover provvedere; se viceversa si palesa la assoluta
necessità di assumere prove nuove il giudice procederà ex art 507 c.p.p.
L’art 507 sostiene che “ il giudice, al termine dell’istruttoria dibattimentale se appare
assolutamente necessario” dispone l’assunzione di nuovi mezzi di prova; quindi fa
emergere dei criteri guida del potere ex officio del giudice di ammissione di nuove
prove:
- terminata l’acquisizione probatoria: il giudice può intervenire solo dopo;
- se risulta assolutamente necessario: qui c’è la valutazione discrezionale del
giudice ( per RICCIO);assoluta necessità viene valutata rispetto alla decisione, nel
senso che il giudice non può decidere senza l’acquisizione di quella prova ;
- può disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prove: non per avvalorare una propria
tesi, ma per arrivare ad una decisione. Per novità si intende:
AA: il mezzo di prova deve essere nuovo;
AA: l’elemento di prova deve essere nuovo.
137
In realtà, più che alla novità, sarebbe necessario ancorare il potere di disporre
l’ammissione di nuove prove, alla decidibilità, essendo la novità di non univoca
interpretazione
AA: ritiene che nel 507 vi sia un rigurgito inquisitorio perché lo scopo della norma è
il raggiungimento della verità sui fatti a tutti i costi ( inquisitorio);
Per far fronte alle esigenze probatorie del 507, il giudice può ai sensi del 509
sospendere il dibattimento per il tempo necessario, fissando la data della nuova
udienza.
Infine l’articolo 523, secondo le modalità del 507 prevede la possibilità di
interrompere la discussione finale delle parti per l’acquisizione di nuove prove in
caso di assoluta necessità ed in via eccezionale.
LE LETTURE
Per quanto riguarda il sistema delle letture processuali esso è regolato dagli artt.
511-512-513 c.p.p..
Per quanto riguarda il 1° comma dell’art. 511c.p.p. stabilisce che il giudice
dispone anche di ufficio sia data lettura totale o parziale degli atti contenuti nel
fascicolo del dibattimento. Il 5° comma di tale articolo prevede la possibilità, da
parte del giudice, di sostituire la lettura indicando specificamente gli atti che
saranno utilizzati ai fini della decisione, ciò in quanto tale indicazione equivale
alla loro lettura; fermo restando però che se una parte ne fa richiesta il giudice
138
deve sempre comunque disporre la lettura, integrale o parziale, di verbali di
dichiarazioni. Se invece si tratta di atti diversi dalle dichiarazioni il giudice
dispone la lettura solamente quando vi è un disaccordo sul loro contenuto.
La lettura deve comunque avvenire dopo che è avvenuto l’esame della persona
che le ha rese.
Il fine del processo penale, accertamento della verità, impone qualche deroga al
principio dell’oralità, nel senso che non appare possibile e legittimo rinunciare ad
una serie di conoscenze, purtroppo acquisibili solo mediante atti scritti. Il
legislatore perciò ha previsto una serie di norme relative alle letture e che
costituiscono il veicolo attraverso cui il giudice apprende fatti che non sono stati
ricostruiti direttamente alla sua presenza.
L’art. 511 bis c.p.p. prevede la possibilità che il giudice anche di ufficio deve
dare lettura dei verbali di prove di altri procedimenti acquisiti ai sensi dell’art.
238 c.p.p. anche in questo caso la lettura deve comunque avvenire dopo l’esame
della persona che le ha rese.
Molto importante è anche l’art. 512 c.p.p. il quale prevede la possibilità che il
giudice, a richiesta di parte, disponga la lettura degli atti assunti dalla polizia
giudiziaria, o dal p.m., o dal difensore ovvero dal giudice nel corso dell’udienza
preliminare quando di tali atti, per fatti o circostanze imprevedibili, ne sia
divenuta impossibile la ripetizione. In parole più semplici quando per circostanze
sopravvenute imprevedibili non sia possibile sentire in dibattimento la parte che
ha reso le dichiarazioni in questione allora si può chiedere che tali atti siano letti
139
in dibattimento (es. si pensi al caso di un testimone il quale ha, nel corso delle
indagini preliminari, reso delle dichiarazioni, ma poi prima del dibattimento ha
avuto un gravissimo incidente che ne ha compromesso la memoria.).
Le circostanze che non consentono la ripetizione di un atto devono essere
assolutamente imprevedibili, ossia non conosciute o assolutamente non
conoscibili nel momento in cui la dichiarazione è stata resa. La valutazione
dell’imprevedibilità demandata al giudice di merito consiste nel verificare se la
situazione concreta esistente a tale momento era tale da rendere probabile,
secondo l’id quod plerumque accidit, cioè secondo il corso ordinario degli eventi
l’intervento di fattori incidenti sulla ripetibilità dell’atto stesso.
Per quanto invece riguarda l’art. 512 bis c.p.p. esso prevede la possibilità che
sia data lettura, a richiesta di parte, di dichiarazioni rese da persona residente
all’estero della quale non sia assolutamente possibile l’esame dibattimentale.
Molto importante è anche l’art. 513 c.p.p. il quale considera la possibilità che in
sede dibattimentale sia data lettura, previa richiesta di parte, delle dichiarazioni
rese, in sede di indagini, dall’imputato quando lo stesso si sia rifiutato di
sottoporsi all’esame delle parti. In tal caso però tali dichiarazioni possono valere
solamente nei confronti della persona che le ha rese e non possono essere
utilizzate nei confronti di altri soggetti senza il loro consenso, salvo che non
ricorrano i presupposti di cui all’art. 500 4° comma c.p.p..
La norma dell’art. 513 c.p.p. è stata oggetto di vari interventi : nel 1992 la Corte
Costituzionale ne dichiarò l’illegittimità nella parte in cui non prevedeva che il
140
giudice, sentite le parti, disponeva la lettura dei verbali delle dichiarazioni rese
dalle persone indicate nell’art. 210 c.p.p., qualora si fossero avvalse della facoltà
di non rispondere. L’intervento della Corte era stato determinato dalla esigenza
di non perdere i dati probatori forniti dall’imputato durante la fase delle indagini,
in conseguenza del suo silenzio dibattimentale.
In seguito alle modifiche apportate dalla legge sul giusto processo si assiste
all’innesto nell’ultima parte del comma delle parole salvo che ricorrano i
presupposti dell’art. 500 comma 4 c.p.p. In seguito a tale emendamento la lettura
delle dichiarazioni rese dall’imputato al PM o alla PG diviene valida erga omnes
e non solo nei confronti dei coimputati che prestino il consenso, nel caso in cui
emergano elementi concreti da cui desumere che il coimputato sia stato
sottoposto a violenza, minaccia o offerta di denaro al fine di non rendere
l’esame.
Infine bisogna citare l’art. 514 c.p.p. il quale indica che al di fuori delle norme
appena analizzate, le quali consentono le letture dibattimentali, è assolutamente
vietato dare lettura in udienza dei verbali di dichiarazioni rese da qualsivoglia
soggetto processuale durante la fase delle indagini preliminari.
NUOVE CONTESTAZIONI.
Può darsi che l’istruzione dibattimentale faccia emergere che il fatto commesso
dall’imputato è diverso da quello contestatogli o che vi è connesso altro reato o
circostanza aggravante che non erano stati indicati nel decreto di rinvio a
giudizio.
141
Si tratta di ipotesi previste dagli artt. 516 – 518 c.p.p.
L’art. 516 c.p.p. prevede l’ipotesi che nel corso dell’istruzione dibattimentale
emerga un fatto DIVERSO da come descritto nel decreto che dispone il giudizio.
In tal caso il PM modifica l’imputazione e procede alla relativa contestazione; se
a seguito di modifica il reato risulta attribuito alla cognizione del tribunale
collegiale anziché monocratico, l’inosservanza viene eccepita o rilevata, a pena
di decadenza, dopo la nuova contestazione oppure alla nuova udienza se le parti
hanno chiesto un termine a difesa oppure nel caso che l’imputato sia assente o
contumace.
L’art. 517 c.p.p. prevede l’ipotesi in cui nel corso dell’istruttoria dibattimentale
emerga un reato connesso a norma dell’art. 12 comma 1 lettera b ovvero una
circostanza aggravante e non ve ne sia menzione nel decreto che dispone il
giudizio; in tale ipotesi il PM contesta all’imputato il reato o la circostanza,
purchè la cognizione non appartenga alla competenza di un giudice superiore.
L’art. 518 c.p.p. prevede infine l’ipotesi del FATTO NUOVO, cioè di un fatto
costituente reato, emergente dall’istruttoria dibattimentale, non ricollegabile al
fatto originariamente contestato. In tal caso la disciplina è diversa da quella
prevista dagli articoli 516 e 517 c.p.p., infatti il PM procede nelle forme
ordinarie in ordine a tale fatto, cioè occorre una nuova contestazione per la quale
si deve procedere in separata sede a meno che su autorizzazione del giudice e su
consenso dell’imputato presente, se non ne deriva pregiudizio alla speditezza dei
142
procedimenti, fa immediatamente la contestazione del fatto nuovo nell’ambito
del procedimento in corso.
Inoltre, mentre nel caso di modifica all’udienza preliminare ex art. 423 non vi
sarà alcuna sospensione ai fini della notifica dell’estratto perché la modifica è
comunicata direttamente al difensore; in dibattimento al contrario si ha la
sospensione dello stesso per la notifica all’imputato contumace o assente.Nei
casi indicati dagli artt. 516, 517 e 518 c.p.p. la legge impone al presidente
l’obbligo di avvisare l’imputato del diritto di chiedere il termine a difesa, e la sua
omissione è sanzionata con la nullità ex art. 522 comma 1 c.p.p.
Il termine a difesa non può essere inferiore al termine di venti giorni ( perentorio,
nel senso che non può essere ridotto altrimenti si avrebbe violazione del diritto di
difesa ) e massimo di 40 giorni ( ordinatorio ).
L’art. 520 c.p.p. consente le nuove contestazioni alnche al contumace o
all’assente ma solo nei casi disciplinati dagli artt. 516 – 517, mentre nell’ipotesi
dell’art. 518 c.p.p. deve procedersi nelle forme ordinarie.
Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da
quella enunciata nell’imputazione a condizione che il fatto non ecceda la sua
competenza ( altrimenti dovrà pronunciare sentenza ex art. 23 c.p.p., salvo che il
reato sia di competenza di giudice inferiore : art. 23 comma 2 ) e che si resti
nell’ambito del medesimo fatto, cui viene semplicemente attribuito un diverso
nomen iuris.
L’inosservanza di tali disposizioni comporta la nullità della sentenza.
143
DECISIONE
Una volta conclusa l’istruzione dibattimentale si arriva alla decisione del giudice di
merito. Ovviamente la decisione deve corrispondere all’imputazione formulata dal
p.m. al momento dell’esercizio dell’azione penale in base al principio della
correlazione tra accusa e sentenza. nel momento in cui il fatto è differente rispetto a
quello indicato dal p.m. il giudice deve restituire gli atti mal p.m. affinché procede
nelle forme ordinarie, cioè riformuli nuovamente l’azione penale in relazione al fatto
diverso.
Una volta terminate le discussioni finali delle parti il giudice è pronto per emettere la
sentenza che conclude la fase dibattimentale del processo. Appena terminate le
discussioni il giudice si ritira in camera di consiglio per valutare le prove
legittimamente acquisite, la camera di consiglio si svolge senza soluzione di
continuità e non può mai essere interrotta se non per casi eccezionali ma previa
ordinanza del presidente.
La sentenza si compone di due parti che sono: il dispositivo nel quale sono indicate
le norme di legge, penali e civili, che vengono applicate esso è sottoscritto dal
presidente, e dello stesso ne viene data lettura immediata in udienza; la motivazione
nella quale il giudice indica compiutamente i motivi della sua decisone ed il perché
ha valutato le prove in quella determinata maniera.
Per quanto riguarda la motivazione essa può:
1. Essere redatta unitamente al dispositivo e quindi letta in udienza
144
2. Essere redatta successivamente al dispositivo dal presidente, o da un
componente del collegio appositamente delegato dal presidente, e
depositata nei 15 giorni successivi alla lettura del dispositivo
3. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa il
giudice può indicare nel dispositivo un termine maggiore non superiore a
90 giorni
Se la motivazione non è depositata nei termini appena richiamati allora deve
essere notificato alle parti l’avviso di deposito della motivazione. L’art. 546
c.p.p. indica i requisiti della sentenza previsti a pena di nullità.
Infine vi è da dire che il giudice penale decide anche sull’eventuale azione civile
per cui egli può anche condannare l’imputato al risarcimento del danno, fermo
restando che poi sarà il giudice civile a decidere il quantum, e solo il quantum, a
favore della parte civile. La parte civile può comunque chiedere al giudice che lo
stesso condanni l’imputato al pagamento di una provvisionale nei limiti
dell’ammontare del danno per il quale è raggiunta la prova.
Mentre la condanna al risarcimento del danno è esecutiva solamente con il passaggio in giudicato della sentenza, la condanna alla provvisionale è esecutiva
immediatamente.
145
LE SENTENZE
Il giudice nell’impostare qualsiasi decisione deve tenere presenti tre principi
fondamentali:
la regola del 526 co 1: il giudice può utilizzare solo le prove formate nel dibattimento;
nella valutazione, deve poter valutare senza vincoli; è obbligato a motivare: la motivazione deve :- esporre in modo coinciso i motivi di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda;- indicare le prove poste a base della decisione;- enunciare le ragioni per cui si ritengono non attendibili le prove contrarie.Inoltre la colpevolezza dell’imputato non potrà essere provata sulla base di dichiarazioni di chi per libera scelta si è sempre sottratto volontariamente all’esame dell’imputato o del difensore.
La sentenza si compone di due parti essenziali ex 543 co 1:- dispositivo: contiene l’enunciazione di tutte le situaio0ni penali e civili deliberate
e l’indicazione delle norme applicate; esso è redatto e sottoscritto dal presidente;- motivazione: essa può essere redatta contestualmente al dispositivo o anche successivamente ( entro il 15° giorno da quello della pronuncia; per le questioni particolarmente complesse anche dopo 90 giorni)dal presidente o da uno dei giudici; viene letta al collegio ed infine depositata in cancelleria. La motivazione
146
letta contestualmente al dispositivo vale come pubblicazione; negli altri casi la motivazione deve essere depositata in cancelleria. Ad essere depositata è l’intera sentenza.
La sentenza è nulla se manca:- motivazione 125 co 3;- incompletezza del dispositivo;- manca la sottoscrizione del giudice.
A questo punto dobbiamo distinguere le varie sentenze che possono intervenire nel corso del processo a seconda della fase e dei presupposti.SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE : ART 425
Essa interviene all’esito dell’udienza preliminare ed è emessa dal gup.
ART 425: Il GUP EMETTE S.D.N.L.A.P. quando:
- il fatto non sussiste: manca un elemento del reato;- il fatto non è previsto dalla legge come reato: fatto depenalizzato;- il fatto non costituisce reato: manca l’elemento soggettivo ( dolo o colpa);- il reato è estinto: morte del reo prima della condanna; l’azione penale non doveva
essere esercitata: difetto di querela;- l’azione penale non doveva essere proseguita: remissione della querela;- l’imputato non l’ha commesso: il reato è stato commesso da qualche altro- si tratta di persona non punibile: es. c’è legittima difesa.- Il giudice emette sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi
acquisiti risultano INSUFFICIENTI, CONTRADDITTORI O COMUNQUE NONIDONEI A SOTENERE L’ACCUSA IN GIUDIZIO.
-Questa sentenza ha natura meramente processuale; essa non è idonea a divenire cosa giudicata ed è revocabile.Essa si fonda solo sull’esame degli atti raccolti nella fase delle indagini preliminari
dal PM e dal difensore; tuttavia qualora il giudice non può decidere sulla sola base
degli elementi prodotti dalle parti, egli nel corso dell’udienza preliminare può
ordinare al PM una integrazione probatoria, sempre però ai fini della sentenza di non
luogo a procedere.
RICCIO, il fatto che la sentenza di non luogo a procedere possa essere emessa anche
quando il reato si sia prescritto per un bilanciamento tra circostanze aggravanti ed
147
attenuanti, consente di ribadire che la sentenza di non luogo a procedere abbia natura
meramente processuale: idea confermata anche dal fatto che essa è soggetta ad un
giudicato debole visto che può essere revocata.
SENTENZA ANTICIPATA DI PROSCIOGLIMENTO.ART 469: rappresenta l’occasione per non celebrare il dibattimento inutile. Salvo
quanto previsto dal 129 co 2:
- se l’azione penale non doveva essere iniziata;- non doveva essere proseguita;- ovvero se il reato si è estinto e per accertarlo non è necessario il dibattimento,il giudice in camera di consiglio, sentiti il PM e l’imputato se questi non si oppongono pronuncia sentenza INAPPELLABILE di non doversi procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.Nella fase dibattimentale il proscioglimento è possibile solo per improcedibilità dell’azione e non anche per ragioni di merito ( es il fatto non sussiste).La riserva di cui al 129 co 2 sta a significare che il proscioglimento prima dal dibattimento è possibile solo quando non “ risulti evidente che il fatto non sussiste, l’imputato non l’ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.Per il proscioglimento anticipato è comunque necessaria l’instaurazione del contraddittorio tra PM ed imputato e la mancata opposizione di entrambi alla conclusione predibattimentale.Se però viene pronunciata sentenza nonostante l’opposizione, la decisione è inficiata da nullità ex 178 lettera b) o c).Questa sentenza è inappellabile proprio perché emessa a seguito di non opposizionetuttavia si può ricorrere in cassazione per violazione di legge.La sentenza ex 469 così come la sentenza ex 129 è una sentenza assolutoria di merito; tuttavia se ricorrono i presupposti per applicare il 129 e il 469, il giudice dovrà emettere una sentenza ai sensi del 129 poiché più favorevole all’imputato.Infatti dire che il reato è prescritto è peggio che dire che il soggetto non ha commesso il fatto.
DIFFERENZE TRA 425 E 469:- 425: sentenza meramente processuale;- 469: sentenza di merito;
- 425: è emessa all’esito dell’udienza preliminare;- 469: è emessa all’esito della fase dibattimentale.
148
- 425: non è idonea a divenire cosa giudicata ed è revocabile;- 469: è idonea a passare in giudicato ed è inappellabile.
- 425: l’esame per l’emissione della sentenza è compiuto sulla base degli atti compiuti nelle indagini;
- 469: l’esame è compiuto sulla base degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento in possesso del giudice.
SENTENZA DI PROSCIOGLIMENTO - ASSOLUZIONELa categoria del proscioglimento racchiude sia la sentenza di non doversi procedere,
sia la sentenza di assoluzione.
SENTENZA DI NON DOVERSI PROCEDERE: si applica per le ipotesi in cui all’esito del dibattimento il giudice accerta che ex ART 529:- l’azione penale non doveva essere iniziata o non doveva essere proseguita;- doveva essere dichiarata l’estinzione del reato, anche se si tratta di un semplice
dubbio sulla esistenza della causa di estinzione del reato;- manca una condizione di procedibilità o è contraddittoria.Nel dispositivo deve essere indicata la formula di proscioglimento.La regola enunciata dagli ultimi due casi, costituisce la diretta applicazione del principio in dubio pro reo.Dobbiamo partire come sempre dalla costituzione ed in modo particolare dal 27 co 2: principio di non colpevolezza.In questa ipotesi però il 27 opera come regola di giudizio dato che ha la funzione di equiparare al mancanza assoluta di elementi probatori alla insufficienza e contraddittorietà degli elementi stessi.La conferma di ciò si rinviene nell’art 530.ART 530:
- se il fatto non sussiste ( manca uno degli elementi costitutivi della fattispecie);- se l’imputato non l’ha commesso (manca ogni rapporto tra l’attività dell’imputato
e l’evento criminoso);- se il fatto non costituisce reato ( il fatto pur esistendo nella sua storicità, non riesce
ad integrare la fattispecie criminosa astratta);- non è previsto dalla legge come reato ( evoca il principio di legalità nella doppia
componente della tassatività e della tipicità ex art 25 co 2;- se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile; il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.
149
Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.Se vi è il dubbio circa una causa di giustificazione o personale di non punibilità ovvero vi è il dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione.
A questo punto dobbiamo rapportare queste sentenze con l’articolo 129: obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.In ogni stato e grado del processo, il giudice che riconosce che il fatto non sussiste, l’imputato non l’ha commesso, il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato, ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara d’ufficio con sentenza.Quando poi sussiste una causa di estinzione del reato, ma dagli atti risulta evidente che l’imputato non l’ha commesso o che il fatto non costituisce reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta.
SENTENZA DI CONDANNA ART 533Se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli, il giudice pronuncia sentenza di condanna applicando la pena e l’eventuale misura di sicurezza.La sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali relative ai reati cui la condanna si riferisce.
IL PROCEDIMENTO INNANZI AL GIUDICE MONOCRTATICO
150
La legge 479/99 più nota come legge Carotti ha introdotto nel sistema
processuale la figura del giudice monocratico la quale ha sostituito la figura del
pretore.
Il procedimento innanzi questo giudice presenta delle sue peculiarità rispetto al
procedimento ordinario; per indicarle bisogna però distinguere se tale
procedimento è preceduto o meno dall’udienza preliminare.
Nel caso in cui vi è l’udienza preliminare non si riscontrano differenza
apprezzabili tra il procedimento ordinario è quello innanzi al giudice
monocratico in quanto in questo caso le norme applicabili sono quelle previste
per il dibattimento vero e proprio.
Ben diversa è la situazione nel caso in cui non sia prevista l’udienza
preliminare, in tal caso è direttamente il p.m., attraverso decreto di citazione
diretta, che dispone direttamente il giudizio innanzi al giudice. L’art. 550 c.p.p.
individua i reati per i quali è possibile la citazione diretta, tali reati sono sia
indicati specificamente (violenza e minaccia la pubblico ufficiale, rissa
aggravata, furto aggravato etc. etc.), sia in riferimento alla pena prevista (pena
non superiore nel massimo a 4 anni).
I requisiti del decreto di citazione sono indicati dall’art. 552 c.p.p. tra i quali
sono previsti a pena di nullità: le generalità dell’imputato, l’enunciazione del
fatto in forma chiara e precisa, l’indicazione del giudice competente del giorno
del luogo e dell’ora nel quale comparire, l’avviso della facoltà di nominare un
difensore di fiducia, l’avviso della possibilità di chiedere il giudizio abbreviato o
151
l’applicazione della pena su richiesta della parte ovvero presentare domanda di
oblazione.
Il decreto di citazione deve essere notificato all’imputato almeno 60 giorni prima
dell’udienza fissata (termine che può essere ridotto a 45 giorni per motivi di
urgenza).
Dopo aver emesso il decreto il p.m. deve provvedere a formare il fascicolo per il
dibattimento.
Infine per quanto riguarda la prima udienza la differenza con il procedimento
ordinario consiste nel fatto che in tale udienza vi è la possibilità per l’imputato di
chiedere l’applicazione di un procedimento speciale, ed inoltre nel caso in cui si
tratti di un reato perseguibile a querela di parte il giudice deve effettuare una
sorta di tentativo di conciliazione tra le parti stesse.
La lista testimoniale deve, anche in questo caso, essere presentata entro sette
giorni con la differenza però che non occorre indicare le circostanze sulle quali
deve vertere l’esame dei testimoni.
Nel caso in cui vi sia un concorso tra reati per i quali è prevista l’azione diretta e
reati per i quali è prevista l’udienza preliminare allora il p.m. per tutti dovrà
chiedere il rinvio a giudizio.
Se per errore il pubblico ministero esercita l’azione penale attraverso la citazione
diretta laddove è invece necessaria l’azione penale, allora l’eccezione deve
essere fatta valere entro il termine di cui all’art. 491 1° comma e se il giudice
accoglie la richiesta trasmette gli atti al p.m.
152
I PROCEDIMENTI SPECIALI.
153
I procedimenti speciali ( cd. alternativi ) hanno il compito di semplificare lo
svolgimento del processo.
I riti speciali si distinguono in tre categorie :
1) procedimenti che tendono ad evitare la fase dibattimentale : essi sono il
giudizio abbreviato e l’applicazione di pena su richiesta delle parti; i quali
basandosi sul principio dispositivo delle parti, permettono di anticipare il
giudizio ad una fase pre – dibattimentale;
2) procedimenti tendenti ad accelerare l’ingresso nel dibattimento: essi sono il
giudizio direttissimo ed il giudizio immediato. Tali riti in sostanza
consentono di eliminare l’udienza preliminare sulla base di una presunzione
di inutilità e di antieconomicità della sua funzione di garanzia e di filtro;
3) procedimenti tendenti ad omettere sia l’udienza preliminare che il
dibattimento : è il caso del decreto penale di condanna che consente, in caso
di mancata opposizione, di pervenire immediatamente all’irrogazione della
sanzione penale in assenza di contraddittorio.
Il ricorso ad alcuni riti è agevolato dal legislatore con misure premiali per
stimolare l’imputato a richiederle. Alcuni riti speciali sono alternativi tra di loro( per
es. il patteggiamento e l’abbreviato ), oltre che con il rito ordinario.
I L GIUDIZIO ABBREVIATO
154
Il giudizio abbreviato (art. 438 e segg. c.p.p.) presuppone la richiesta di rinvio a
giudizio presentata dal PM e la fissazione dell’udienza preliminare; con tale rito
vengono utilizzate come prove gli atti di indagini contenuti nel fascicolo del PM,
infatti il giudizio abbreviato viene, nel gergo processualistico, definito come il
processo allo stato degli atti cioè in base agli atti contenuti nel fascicolo del p.m.
che il giudice di conseguenza deve acquisire. I requisiti previsti dal codice per
l’instaurazione del giudizio abbreviato sono :
1) la richiesta dell’imputato al giudice dell’udienza preliminare affinché lo
giudichi allo stato degli atti o previa integrazione probatoria; e tale richiesta
deve intervenire almeno 5 giorni prima dell’udienza preliminare o nel corso
della stessa fino alla precisazione delle conclusioni ex art. 421 comma 3
c.p.p. oppure successivamente all’attività di integrazione probatoria prevista
dall’art. 422 c.p.p..
2) Prima della riforma introdotta dalla legge 479/99 affinchè potesse darsi luogo
al giudizio abbreviato era necessario, oltre alla richiesta dell’imputato, il
consenso da parte del p.m., attualmente tale consenso non è più richiesto
essendo necessaria solamente la richiesta dell’imputato.
3) Inoltre attualmente nemmeno vi sono dei limiti di pena per poter chiedere tale
procedimento, nel senso che anche per quei reati puniti con la pena
dell’ergastolo è possibile chiedere il giudizio abbreviato.
Il giudizio abbreviato ha natura premiale; la premialità consiste nella riduzione
della pena da irrogare in concreto, in misura fissa di un terzo rispetto a quella
155
che sarebbe applicabile se il processo fosse svolto secondo il rito ordinario. La
riduzione è giustificata solo dal risparmio dei tempi processuali del dibattimento
derivante dall’utilizzabilità come prova degli atti di indagine.
L’art. 438 comma 1 prevede il cd. abbreviato allo stato degli atti, in tal caso il
giudice è obbligato a disporre il rito; diversa è l’ipotesi prevista dall’art. 438 5°
comma c.p.p. ossia il c.d. abbreviato condizionato, cioè quando l’imputato
subordina la sua richiesta di abbreviato ad un integrazione probatoria necessaria
ai fini della decisione ; tale forma di giudizio è stato introdotto dalla legge
CAROTTI ed in tal caso è il giudice che deve decidere se accogliere la richiesta
di integrazione probatoria, e quindi di conseguenza dare luogo al giudizio
abbreviato o meno. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza.
Il giudice accoglie la richiesta quando l’integrazione è necessaria ai fini della
decisione e compatibile con esigenza di economia processuale; quindi in caso di
accoglimento il p.m. ha la possibilità di chiedere l’ammissione della prova
contraria.
Al contrario in caso di rigetto della richiesta di abbreviato condizionato
l’imputato ha la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato allo stato degli atti.
Per quanto riguarda la richiesta essa, ai sensi dei commi 1° e 2° dell’art. 438
c.p.p., solamente nell’udienza preliminare, oralmente o per iscritto,
Il giudizio si svolge di regola in camera di consiglio con la partecipazione
necessaria del p.m., dell’imputato e del suo difensore.
156
L’ art. 441 c.p.p. stabilisce che le regole previste per l’udienza di giudizio
abbreviato sono quelle tipiche previste per l’udienza preliminare fatta eccezione
per quelle previste dagli artt. 422 e 423 c.p.p..
La parte civile ha solo la facoltà di non accettare il rito speciale dal momento che
non è titolare della facoltà di opporsi al provvedimento di ammissione del
giudizio abbreviato, né può impugnare l’atto in questione facendone valere
l’eventuale illegittimità. Se la parte civile non accetta tale giudizio allora ella
potrà comunque regolarmente agire in sede civile senza subire la sospensione del
procedimento.
Fondamentale risulta la novità introdotta dalla legge CAROTTI con il 5°
comma dell’art. 441 c.p.p. in base al quale se il giudice ritiene di non poter
decidere allo stato degli atti egli può anche di ufficio assumere gli elementi
necessari ai fini della decisione; le forme di integrazione probatorie sono quelle
tipiche dell’udienza preliminare per cui l’audizione dei testi, periti, consulenti
tecnici e l’interrogatorio di imputati di procedimenti connessi sono esaminati
direttamente dal giudice.
Ciò significa che attualmente si è in un certo senso svilita la definizione di
giudizio allo stato degli atti che ha, fino alla legge Carotti, accompagnato il
giudizio abbreviato. Ciò anche in considerazione del fatto che comunque è anche
possibile modificare l’imputazione ai sensi dell’art. 423 c.p.p.: infatti tale
articolo stabilisce che nei casi dell’art 438 comma 5 ( abbreviato condizionato ) e
nei casi dell’art. 441 comma 5 ( integrazione probatoria ex officio del giudice ) il
157
PM procede alle contestazioni nelle forme dell’art. 423 comma 1 c.p.p. e
l’imputato può chiedere di procedere nelle forme ordinarie. Il giudice su richiesta
dell’imputato o del difensore assegna un termine non superiore a dieci giorni per
decidere se continuare con il rito ordinario oppure con le forme dell’ abbreviato e
quindi integra la difesa. Se l’imputato decide di continuare con le forme
ordinarie il giudice revoca l’ordinanza con cui era disposto l’abbreviato e fissa
l’udienza preliminare o la sua prosecuzione; al contrario se decide di continuare
con le forme dell’abbreviato può chiedere l’ammissione di nuove prove ed il PM
può chiedere la prova contraria.
Terminata la discussione il giudice decide : può assolvere o condannare ; in caso
di condanna la pena inflitta è ridotta di un terzo.
Infine l’art. 443 c.p.p. stabilisce che l’imputato ed il p.m. non possono proporre
appello avverso le sentenze di proscioglimento quando l’appello tende ad ottenere
una formula differente.
Il p.m. non può proporre appello avverso le sentenze di condanna salvo che si
tratti di sentenza che modifica il titolo del reato. E’ comunque sempre
proponibile ricorso in Cassazione.
L’APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI
158
Applicazione della pena su richiesta: istituto già noto al nostro ordinamento
(cfr. l. 689/81), anche se applicato su scala assai limitata, mentre nel nuovo
codice di procedura penale ottiene un ampio riconoscimento. In forza di esso,
imputato e P.M. si accordano su di una sanzione sostitutiva o pecuniaria o su di
una pena detentiva fino a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria (cd.
patteggiamento tradizionale). Accanto a questo meccanismo procedurale è stato
introdotto (l. 134/2003) il cd. patteggiamento allargato, caratterizzato dal fatto
che l'imputato ed il P.M. possono accordarsi su di una sanzione da due anni e un
giorno fino a cinque anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria.
Qualora, invece, si proceda per gravi delitti (indicati dall'art. 51 c. 3bis e
3quater), ovvero contro soggetti che siano stati dichiarati delinquenti abituali,
professionali o per tendenza, o recidivi, per poter accedere al rito in esame è
necessario che la pena di cui si richiede l'applicazione non superi i due anni soli
o congiunti a pena pecuniaria.
Questo procedimento speciale è regolato dall’art. 444 c.p.p. e seguenti , esso
prevede come presupposto di ammissibilità l’accordo tra le parti, ossia tra il
PM e l’imputato. Tale accordo attiene non solo alla scelta del rito ma anche alla
pena da irrogare.
Una volto raggiunto l’accordo tra le parti è sempre il giudice che deve
controllare tale richiesta.
Al giudice è affidato:
159
A) un controllo di merito sulla richiesta di applicazione della pena concordata
B) deve controllare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, che
siano configurabili le circostanze prospettate dalle parti,
C)che sia effettuato validamente il giudizio di comparazione delle stesse
D) che la pena rientri nei limiti edittali e sia congrua.
Sicchè il giudice ha sempre la facoltà di rigettare la richiesta qualora ritenga che
l’accordo tra le parti contenga errori di qualificazione giuridica oppure che
la pena pattuita sia inadeguata cioè non congrua, o perché troppo bassa ovvero
perché ritiene che l’imputato vada assolto, e quindi rigettare tale richiesta.
Infatti ai sensi dell’art. 444 comma 2 il giudice pronuncia sentenza di
patteggiamento dopo aver valutato che non debba essere pronunciata sentenza
“Obbligo dell’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità” ex
art. 129 c.p.p.
Il giudice cioè deve sempre verificare prima di emettere qualsivoglia sentenza di
condanna, seppur a seguito di richiesta delle parti, la sussistenza o meno delle
condizioni per il proscioglimento dell’imputato (es. nel caso in cui all’esito
dell’udienza preliminare il giudice accerta che gli elementi probatori raccolti a carico
dell’imputato non sono idonei a sostenere il giudizio l’accusa, allora in base al
combinato disposto degli artt. 425-129 c.p.p. deve pronunciare sentenza di non
luogo a procedere nonostante l’eventuale richiesta di patteggiamento avanzata dallo
stesso imputato.)
160
La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l’efficacia alla
concessione della sospensione condizionale della pena*. In questo
caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale [c.p. 163] non
può essere concessa, rigetta la richiesta.
*Sospensione condizionale della pena: è una causa di estinzione del reato, a struttura complessa. Consiste
nell’ordine del giudice, contenuto nella sentenza di condanna a determinati reati non superiori a un certo limite
edittale (di regola, due anni di pena detentiva), di sospendere l’esecuzione della pena inflitta per un certo periodo
di tempo predeterminato per legge (cinque anni per i delitti, due anni per le contravvenzioni), decorso il quale, se
il condannato non ha commesso delitti (oppure contravvenzioni della stessa indole) e ha adempiuto gli obblighi
imposti, il reato è estinto. In caso contrario, verrà scontata la pena
Affinché possa darsi luogo al c.d. patteggiamento è necessario che la pena detentiva
che in concreto sarebbe applicabile a quel caso, da sola o congiunta alla pena
pecuniaria, non sia superiore ai due anni; per essere maggiormente precisi bisogna
dire che per determinare la pena, che alle parti pare congrua in quel caso, occorre
procedere ad un complesso calcolo nel quale va considerata: la pena edittale prevista
per il caso concreto, a tale pena vanno aggiunte le eventuali circostanze aggravanti ed
attenuanti, vi è poi l’eventuale aumento dovuto alla continuazione ed infine la pena
così ottenuta va diminuita fino ad un terzo a titolo di premio per la scelta del rito
collaborativi.
Inoltre la richiesta di pena non costituisce affatto alcun tipo di ammissione da
parte dell’imputato circa la sua responsabilità penale, per cui può ben darsi che in
caso di rigetto della richiesta da parte del giudice ovvero in caso di mancato
accordo con il p.m. egli possa poi essere assolto nel dibattimento.
161
Bisogna a questo punto domandarsi quando e a chi la richiesta può essere
presentata; l’art. 446 c.p.p. stabilisce che la richiesta dell’imputato deve essere
presentata in un momento successivo a quello nel quale lo stesso è venuto a
conoscenza dell’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., per cui si
distinguerà il momento della richiesta in questo modo:
1. Se l’azione penale è esercitata nelle forma ordinaria il termine ultimo
per la presentazione della richiesta di patteggiamento è rappresentato dalla
presentazione delle conclusioni delle parti nell’udienza preliminare,
ossia immediatamente prima che il gup decide.
2. Nel caso in cui si procede con il giudizio direttissimo (del quale se ne
dirà in seguito) oppure con citazione diretta a giudizio, allora il
momento ultimo per presentare coincide con l’apertura del dibattimento
di primo grado
3. Se è stato emesso decreto di giudizio immediato (del quale anche si dirà
in seguito) il termine ultimo è rappresentato dallo scadere del 15° giorno
successivo alla notifica all’imputato del decreto stesso
4. Se invece è stato emesso decreto penale di condanna il termine è di 15
giorni dalla notifica del decreto stesso.
Ai sensi dell’art. 446 ultimo comma il PM in caso di dissenso sulla richiesta
di patteggiamento dell’imputato deve enunciare le ragioni; nel caso in cui il
giudice le ritenga ingiustificate, non potrà accogliere la richiesta
dell’imputato, se non all’esito del processo di primo grado.
162
La richiesta di patteggiamento è ripetibile fino alla dichiarazione di
apertura del dibattimento di primo grado, come si desume dal combinato
del primo comma dell’art. 448 con il quarto comma dell’art. 446 c.p.p. che
consente la prestazione del consenso, che in precedenza era stato negato, fino
alla presentazione delle conclusioni nell’udienza preliminare. Qualora
nonostante il dissenso del PM il giudice applichi la pena richiesta
dall’imputato ai sensi dell’art 448 comma 2 il PM può fare appello contro la
sentenza di patteggiamento, questa è un’eccezione alla regola che stabilisce
che le sentenze di patteggiamento sono solo ricorribili in Cassazione.
L’art. 447 c.p.p. considera l’ipotesi nella quale la richiesta di patteggiamento
venga avanzata nel corso delle indagini preliminari, in tal caso la richiesta
può essere avanzata da entrambe le parti ovvero da una sola di esse.
In tale ultima ipotesi il gip fissa con decreto un termine entro il quale la parte
deve decidere se dare o meno il suo consenso.
Ipotesi particolare è quella nel quale la richiesta è effettuata solamente dal
p.m. in tale caso si ritiene che se l’imputato non acconsente oppure il gip
rigetta la richiesta, al p.m. (secondo la dottrina maggioritaria) non sarebbe
preclusa la possibilità comunque di esercitare l’azione penale.
Comunque il gip che riceva la richiesta di patteggiamento congiuntamente da
parte del p.m. e dell’indagato deve fissare l’udienza in camera di consiglio
all’esito della quale dovrà poi decidere se accogliere o meno la richiesta di
patteggiamento.
163
Almeno tre giorni prima dell’udienza il p.m. dovrà depositare presso la
cancelleria del gip il fascicolo che contenga gli atti compiuti durante le
indagini preliminari, ciò al fine di consentire al giudice di avere contezza,
prima di decidere, dell’attività di indagine svolta.
L’art. 448 c.p.p. stabilisce che nel caso in cui il giudice (nell’ipotesi di cui
all’art. 447 c.p.p., ovvero nel corso dell’udienza preliminare ovvero nel corso
del giudizio direttissimo o nel corso del giudizio immediato) accolga
immediatamente la richiesta, pronuncia la sentenza con la quale applica la pena
richiesta dalle parti.
L’art. 448 c.p.p. prevede anche la possibilità che in caso di dissenso da parte
del p.m. ovvero di rigetto della richiesta da parte del gip, l’imputato, prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado possa rinnovare
questa richiesta al giudice del dibattimento, il quale se la ritiene fondata, previa
acquisizione del fascicolo del p.m., pronuncia immediatamente sentenza. Per
quanto riguarda la rinnovazione v’è da dire che tale termine va inteso in senso
estensivo nel senso che l’imputato ha la possibilità di modificare la proposta
precedentemente presentata.
Inoltre il giudice deve comunque sempre motivare la sentenza ed inoltre lo stesso
non decide in ordine alle richieste della parte civile proprio per favorire lo
snellimento della procedura.
Per quanto riguarda gli effetti della sentenza l’art. 445 c.p.p. prevede che la
sentenza di patteggiamento non comporta la condanna alle spese processuali né
164
tanto meno l’applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza fatta
eccezione per la confisca nei casi indicati dall’art. 240 c.p.p..
Inoltre il reato è estinto se nel termine di 5 anni, nel caso in cui si tratta di
delitto, oppure nel termine di 2 anni, se si tratta di contravvenzione, l’imputato
non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole.
Ulteriore effetto è che non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi.
Infine, una sentenza di condanna emessa a seguito di patteggiamento non è
appellabile ma solamente ricorribile per Cassazione per violazione della
legge penale sostanziale art. 606 lett.b) c.p.p., si ammette anche la possibilità di
ricorrere per illogicità della motivazione art. 606 lett. e) c.p.p. allorquando il
giudice non motiva logicamente in ordine alla possibilità di prosciogliere
l’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p..
Nel caso di accoglimento del ricorso la Suprema Corte di Cassazione
emetterà una sentenza di annullamento la quale sarà:
1. Senza rinvio nel caso in cui si accolga il ricorso dell’imputato, in quanto
sarà al stessa a declamare le eventuali cause di non punibilità.
2. Con rinvio quando accolga il ricorso del p.m. circa l’entità della pena
irrogata, ciò in quanto spetta al giudice di merito, che ha emesso sentenza
irrogare la giusta pena.
IL GIUDIZIO IMMEDIATO
165
Altro tipo di procedimento speciale è il giudizio immediato il quale è disciplinato
dall’art. 453 c.p.p. e seguenti.
La caratteristica è che tale tipo di giudizio salta l’udienza preliminare e quindi
dopo le indagini si perviene direttamente al dibattimento.
Il giudizio immediato può essere chiesto dal p.m. ovvero dall’imputato, ed a
seconda di chi sia il soggetto che richiede tale giudizio il procedimento si
atteggerà in maniera differente.
Iniziamo con l’ipotesi in cui sia il p.m. a chiedere il giudizio immediato, affinché
tale richiesta possa dal gip essere accolta è necessario che sussisto alcuni
presupposti:
1. Evidenza della prova, cioè la prova deve essere talmente evidente che
può convincere il giudice da giustificare il passaggio direttamente alla fase
dibattimentale saltando quella dell’udienza dibattimentale, nel senso che il
giudice deve escludere che possa pronunciare sentenza di non luogo a
procedere.
2. Interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, sui fatti dai quali
emerge l’evidenza della prova, ovvero che la stessa sia stata invitata a
presentarsi ai sensi dell’art. 375 c.p.p. e la stessa non si sia presentata
senza addurre un legittimo impedimento. L’interrogatorio deve riguardare
i fatti dai quali scaturisce l’evidenza della prova, mentre l’invito a
presentarsi deve contenere l’indicazione degli elementi e delle fonti di
prova.
166
3. La richiesta deve essere presentata entro 90 giorni dalla iscrizione della
notizia di reato nel registro delle notizie di reato al gip. La richiesta deve
essere accompagnata dal fascicolo degli atti compiuti durante la fase delle
indagini preliminari.
Il gip una volta ricevuta la richiesta del p.m. entro 5 giorni decide se emettere o
meno il decreto di giudizio immediato, se non accoglie la richiesta il giudice
restituisce gli atti al p.m.
Nel caso sia emesso il decreto ai sensi dell’art. 456 c.p.p. tale decreto sarà
comunicato al p.m. e notificato all’imputato ed alla persona offesa, con l’avviso
che l’imputato avrà 15 giorni di tempo per chiedere il giudizio abbreviato ovvero
l’applicazione della pena su richiesta delle parti4.
Nel caso in cui siano mancanti i presupposti indicati ma il gip erroneamente
abbia emesso il decreto allora tale atto sarà nullo è la nullità sarà di generale a
regime intermedio.
Per quanto riguarda infine il contenuto del decreto che dispone il giudizio
immediato, esso è indicato nell’art. 429 c.p.p. (la quale norma riguarda il
decreto che dispone il giudizio) per cui vi deve anche essere tra l’altro contenuta
anche l’indicazione del giudice competente.
Per quanto riguarda il giudizio immediato richiesto dall’imputato, definito anche
giudizio immediato atipico, esso è disciplinato dall’art. 419 comma 5° c.p.p., e
4 Circa il giudice competente la soluzione non è pacifica in giurisprudenza anche se si ritiene che sia comunque il giudice del dibattimento, dato che con il decreto il gip si spoglia del processo.
167
si caratterizza anch’esso per la rinuncia da parte dell’imputato dell’udienza
preliminare.
L’unico presupposto è la dichiarazione di volontà dell’imputato.
L’imputato almeno tre giorni prima dell’udienza preliminare, personalmente o a
mezzo di procuratore speciale, presenta la richiesta di giudizio immediato presso
la cancelleria del giudice la richiesta di rinuncia all’udienza preliminare e la
relativa richiesta di giudizio immediato; tali richieste sono notificate al p.m. ed
alla persona offesa.
A seguito di tale rinuncia il giudice emetterà decreto di giudizio immediato, ma
ometterà di indicare l’avviso di poter usufruire del giudizio abbreviato ovvero
del patteggiamento, dato che, in questo caso, la volontà dell’imputato è già stata
pienamente espressa rinunciando all’udienza preliminare.
Di seguito il giudice formerà il fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 431
c.p.p. e trasmetterà il tutto al giudice competente ai sensi dell’art. 457 c.p.p.
Bisogna precisare che se vi è un concorso di persone e/o di reati allora se uno
solo dei più imputati chiede il giudizio abbreviato ovvero uno solo chiede il
giudizio normale il, giudice non è obbligato a disporre il giudizio immediato.
IL GIUDIZIO DIRETTISSIMO
Il giudizio direttissimo disciplinato ai sensi dell’art. 449 c.p.p. presuppone la
flagranza del reato, cioè è possibile procedere a giudizio direttissimo solamente
quando risulta la flagranza del reato.
168
L’arresto in flagranza consente due diversi modelli processuali di giudizio
direttissimo: il primo è quello indicato nell’art. 449 1° comma nel quale entro
48 ore dall’arresto il p.m. presenta direttamente in udienza l’imputato affinché
nel corso dell’udienza si proceda prima alla convalida dell’arresto e
successivamente al giudizio per direttissima; nel caso in cui il giudice non
convalidi l’arresto allora dispone la restituzione degli atti al p.m., in questo caso
l’art. 449 comma 2° prevede la possibilità che l’imputato e il pubblico ministero
possano comunque chiedere che si celebri il giudizio direttissimo.
Il secondo è quello indicato dall’art. 449 4° comma in base al quale il p.m. può
optare di procedere con giudizio direttissimo anche quando l’arresto sia stato già
convalidato a condizione che l’arrestato venga presentato in udienza non oltre il
15° giorno dall’arresto. Questo modello processuale può realizzarsi quando
sussistono determinate necessità investigative che non consentono la immediata
realizzazione del processo (es. si pensi ad un arresto in flagranza per detenzione
e spaccio di sostanza stupefacente, in questo caso è comunque necessario prime
di celebrare il processo accertarsi, tramite una consulenza tecnica, che
effettivamente la sostanza sequestrata è stupefacente); ovviamente deve trattarsi
di necessità investigative che possono essere soddisfatte in brevissimo tempo,
non oltre 15 giorni dall’arresto.
In tale ultimo caso l’arresto viene convalidato direttamente innanzi al gip.
L’art. 449 c.p.p. 5° comma prevede un’ulteriore ipotesi di giudizio direttissimo
ossia la possibilità, da parte del p.m. di procedere a questo giudizio nei confronti
169
della persona che nel corso dell’interrogatorio ha reso confessione; in tal caso il
p.m. deve citare l’imputato libero ovvero presentare direttamente la persona in
stato di custodia cautelare ad un’udienza non successiva al 15° giorno
dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato.
Ovviamente affinché la confessione possa valere è necessaria che essa sia
attendibile e soprattutto che la stessa non lasci adito a dubbi circa la
responsabilità dell’imputato.
Per quanto riguarda le modalità con le quali si instaura il giudizio, vi sono due
meccanismi utilizzabili: la citazione e la presentazione diretta in udienza.
Per quanto riguarda la citazione è utilizzabile unicamente per l’imputato che ha
reso confessione, l’art. 450 c.p.p. 3° comma indica gli elementi che tale
citazione deve contenere e tale citazione è nulla se l’imputato non è identificato
in modo certo.
Il 2° comma di tale articolo, prevede che la citazione deve essere notificata
almeno 3 giorni prima dell’udienza.
Per quanto invece riguarda la presentazione diretta all’udienza essa
rappresenta la modalità di gran lunga maggiormente adoperata per
l’instaurazione del giudizio direttissimo; essa presuppone lo stato di detenzione
del soggetto.
La presentazione fisica dell’imputato in udienza è fondamentale in quanto l’art.
451 c.p.p. 4° comma prevede che fuori dei casi di citazione, indicati dall’art.
450 c.p.p., il p.m. contesta l’imputazione direttamente all’imputato presente; nel
170
caso in cui l’imputato in vinculis si rifiuti di presentarsi in udienza non vi è
alcuna possibilità di instaurare il giudizio direttissimo.
IL PROCEDIMENTO
Nel giudizio direttissimo non si applicano gli artt. 465-469 che disciplinano gli
atti preliminari al dibattimento; il p.m. forma il fascicolo per il dibattimento
mentre per quanto riguarda.
Il procedimento inizia con la presentazione dell’imputato all’udienza ovvero con
la citazione dell’imputato libero che ha reso confessione; il difensore deve essere
avvertito anche se il codice non prevede un termine entro il quale avvertire il
difensore.
Le persone offese ed i testimoni possono essere citati oralmente da un ufficiale
giudiziario o da un agente di polizia giudiziaria, inoltre il p.m. l’imputato e la
persona offesa hanno la possibilità di presentare i testi direttamente al
dibattimento.
Il giudizio vero è proprio ha inizio con la contestazione ai sensi dell’ art. 451
c.p.p. 4° comma, sempre che non vi sia stata confessione nel qual caso la
contestazione è contenuta nella notifica; nel caso in cui la convalida avvenga in
udienza la contestazione deve avvenire al momento della convalida.
Una volta effettuata la contestazione, il presidente deve avvertire l’imputato della
facoltà di chiedere il giudizio abbreviato ovvero l’applicazione della pena su
171
richiesta; contemporaneamente il presidente avvisa anche della possibilità per
l’imputato di chiedere un termine a difesa non superiore a 10 giorni, in tale
termine il dibattimento è sospeso fino all’udienza immediatamente successiva
(art. 451 6° comma c.p.p.)
Una volta terminata tale fasi il processo si sviluppa secondo le forme ordinarie.
L’eventuale richiesta da parte dell’imputato di chiedere il giudizio abbreviato o il
patteggiamento deve avvenire prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento.
Nel caso in cui venga chiesta, da parte dell’imputato, il patteggiamento se il
p.m. esprime parere positivo a tale richiesta il giudice acquisito il fascicolo
relativo alle indagini preliminari, valuterà per prima cosa l’applicazione dell’art.
129 c.p.p. poi valuterà la corretta qualificazione del fatto e delle circostanze ed
infine la quantificazione della pena.
L’imputato ha anche la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato in tal caso
il giudice dispone con ordinanza la prosecuzione del giudizio osservando, in
quanto compatibili, le norme che regolano il giudizio abbreviato.
Nel caso in cui il giudizio direttissimo sia promosso fuori dei casi di cui all’art.
449 c.p.p. allora il giudice restituisce gli atti al p.m., il quale avrà poi la
possibilità di continuare le indagini.
PROCEDIMENTO INNANZI AL GIUDICE MONOCRATICO
172
Il giudizio direttissimo innanzi al giudice monocratico ricalca quello previsto
innanzi al giudice collegiale e precedentemente esaminato.
Vi sono però delle peculiarità: innanzitutto una prima peculiarità riguarda
l’arresto in flagranza quando il p.m. non ordina che l’arrestato sia posto a sua
disposizione, in tal caso la p.g. che ha proceduto all’arresto di tale soggetto
conduce direttamente in udienza, innanzi al giudice, per il dibattimento; se in
quel giorno il giudice non tiene udienza allora la p.g. che ha proceduto all’arresto
ne da immediata notizia al giudice il quale fissa l’udienza entro 48 ore
dall’arresto.
In questa ipotesi non si applica l’art. 386 c.p.p. 4° comma il quale impone alla
p.g. di mettere a disposizione del p.m. l’arrestato mediante conduzione alla casa
circondariale del luogo ove l’arresto è stato compiuto.
La p.g. cita oralmente la persona offesa ovvero i testimoni.
Il giudice innanzi al quale è presentato il soggetto autorizza l’ufficiale o l’agente
che ha eseguito l’arresto a relazionare oralmente sulle ragioni dell’arresto, poi
sente l’arrestato e provvede alla convalida ed al successivo eventuale
dibattimento.
Altra peculiarità consiste nel fatto che i termini a difesa sono di 5 giorni anziché
essere di 10 giorni.
IL DECRETO PENALE DI CONDANNA
173
Lo scopo di tale procedimento speciale è quello di evitare sia l’udienza
preliminare sia il dibattimento.
Questo procedimento si applica per reati comunque di lieve entità, sia
perseguibili d’ufficio che a querela, se la querela è stata presentata ed il
querelante non ha fatto opposizione; in tal caso è il p.m. se ritiene che possa
irrogarsi una pena pecuniaria, sia pure in sostituzione di una pena detentiva, può
esercitare l’azione penale chiedendo al gip l’emissione di un decreto penale di
condanna. Tale richiesta deve essere presentata entro 6 mesi dall’iscrizione del
nome dell’indagato nel registro delle notizie di reato.
La richiesta proposta, dal PM per cui la decisione si fonda su elementi raccolti
dalla pubblica accusa, deve essere trasmessa, unitamente al fascicolo, al gip, il
quale decide senza sentire al difesa.
La richiesta di decreto penale può anche essere rigettata nel caso in cui il giudice
ritenga che non sussistano i presupposti oppure perché la pena risulta eccessiva o
inadeguata, ovvero in quanto è possibile applicare l’ipotesi di cui all’art. 129
c.p.p.
Contro il decreto, il quale deve essere motivato, il condannato, così come la
persona civilmente obbligata, ha la possibilità di proporre opposizione la quale
va presentata entro 15 giorni dalla notificazione del decreto.Attraverso la
proposizione dell’opposizione si può anche chiedere il giudizio abbreviato
ovvero il patteggiamento o ancora contestualmente all’opposizione può essere
presentata domanda di oblazione, o il giudizio immediato. Nel caso in cui
174
manchi una specifica richiesta l’imputato è citato per il dibattimento tramite
l’istituto del giudizio immediato (art. 464 comma 2° c.p.p.).
Il codice prevede una serie di “agevolazioni”al fine di indurre l’imputato ad
accettare la condanna ed a non proporre opposizione, infatti l’art. 459 comma 2°
c.p.p. stabilisce che il p.m. può chiedere al giudice l’applicazione di una pena
ridotta sino alla metà del minimo edittale previsto; inoltre il gip può concedere la
sospensione condizionale della pena.
La legge Carotti ha altresì previsto che non possono essere applicate pene
accessorie, ed inoltre tale decreto non comporta il pagamento delle spese del
procedimento ed il reato è estinto se nel termine di 5 anni, se si tratta di delitto,
ovvero nel termine di 2 anni se si tratta di contravvenzione l’imputato si astiene
dal compiere un delitto o una contravvenzione della stessa indole.
La natura giuridica dell’opposizione è quella di mezzo di impugnazione; però
mentre i mezzi di impugnazione richiedono l’indicazione dei motivi, nel caso di
opposizione non è necessaria l’indicazione dei motivi, per cui l’opposizione può
anche consistere nella mera richiesta di una nuova valutazione.
175
LE IMPUGNAZIONI
DISPOSIZIONI GENERALI
Una volta emessa la sentenza di primo grado le parti hanno la possibilità di
impugnare tale provvedimento, hanno cioè la possibilità di rivolgersi ad un
giudice superiore affinché rivaluti la questione di fatto e di diritto valutata dal
giudice di grado inferiore.
L’art.568 c.p.p. ci informa che la legge stabilisce quali sono i casi nei quali i
provvedimenti dei giudici sono soggetti ad impugnazione ( principio di
tassatività dei mezzi di impugnazione ), inoltre sempre tale norma ci indica che
sono sempre soggetti a ricorso per Cassazione, quando non sono diversamente
impugnabili, i provvedimenti in ordine alla libertà personale e le sentenze; inoltre
è la legge stessa che stabilisce a chi spetta il diritto ad impugnare.
Per quanto riguarda i soggetti legittimati ad impugnare abbiano innanzitutto il
rappresentante dell’ufficio del pubblico ministero che ha presentato le
conclusioni; l’art. 570 c.p.p. prevede la possibilità per il p.m. che ha presentato
le conclusioni, il quale ne faccia richiesta nell’atto di appello, di poter partecipare
176
al successivo giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la Corte di
Appello.
Inoltre il p. m. può proporre appello anche quando tale atto gli sia richiesto,
tramite richiesta motivata, dalla parte civile, dalla persona offesa, anche se non
costituita parte civile; il p.m. che non intenda proporre impugnazione deve
provvedere con decreto motivando spiegando il perché del suo rifiuto, e deve poi
notificare tale decreto alle parti interessate.
Inoltre l’art. 589 commi 1-4 c.p.p. individua i momenti entro i quali il
rappresentante della pubblica accusa presso il giudice che ha emesso il
provvedimento impugnato può rinunciare alla propria impugnazione: prima
dell’udienza, in caso di gravame trattato e deciso in camera di consiglio; mentre
negli altri casi fino all’apertura del dibattimento. Una volta trascorsi tali termini
allora a rinunciare deve essere il rappresentante della pubblica accusa presso il
giudice deputato a decidere l’impugnazione prima della discussione.
Per quanto riguarda l’imputato, v’è subito da dire che l’imputato può impugnare
personalmente ovvero tramite il proprio difensore ovvero tramite un procuratore
speciale. Inoltre l’imputato con la rinunzia ha la possibilità di togliere effetto
all’impugnazione del difensore.
Per quanto riguarda l’impugnazione della parte civile essa in linea di massima
ha la possibilità di proporre impugnazione solamente agli effetti civili, ciò
significa che la parte civile ha la possibilità di impugnare solamente quella parte
della sentenza che decide in ordine al risarcimento dei danni causati
177
dall’imputato ed alle restituzioni. Il codice precisa inoltre all’art. 573 c.p.p. che
per quanto riguarda le impugnazioni per i soli interessi civili esse sono proposte
e trattate con le forme ordinarie del processo penale.
Vi è un solo caso nel quale la parte civile ha la possibilità di impugnare una
sentenza anche agli effetti penali allorquando si tratti del reato di ingiurie e del
reato di diffamazione.
Per quanto riguarda le ordinanze pre-dibattimentali (es. ordinanza che decide
sulla competenza per territorio) e quelle dibattimentali (es. ordinanza con la
quale il giudice ammette le prove richieste dalle parti) possono essere impugnate
solamente con la sentenza, mentre per quanto le ordinanze in materia di libertà
personale (es. si pensi alle ordinanze con le quali si dispongono le misure
cautelari) l’art. 586 comma 3° c.p.p. ci informa che esse sono impugnabili
immediatamente indipendentemente dalla successiva sentenza.
Il 5° comma dell’art. 586 c.p.p. stabilisce che è irrilevante il nome che le parti
danno al mezzo di impugnazione nel senso cioè che il gravame è ammissibile
indipendentemente dalla qualificazione giuridica data dalle parti, in quanto il
giudice incompetente non dovrà fare altro che trasmettere l’atto al giudice
competente, fermo restando che tale atto di impugnazione dovrà possedere tutti i
requisiti previsti dalla legge (es. si pensi al caso in cui per errore si identifichi
come appello un ricorso per Cassazione, in tale caso il giudice di appello, che
erroneamente avrà ricevuto tale atto dovrà trasferirlo presso la Corte di
Cassazione).
178
Molto importante è anche l’ipotesi contemplata dall’art. 569 c.p.p. il quale
prende in considerazione il c.d. ricorso per saltum il quale lo si ha allorquando
si impugna direttamente con ricorso in Cassazione anche nei confronti delle
sentenze appellabili, saltando appunto il giudizio di appello.
Ovviamente tale tipo di ricorso avrà dei limiti: innanzitutto non è possibile
dedurre in tale ricorso né la mancata assunzione di una prova decisiva, né tanto
meno la illogicità della motivazione ai sensi dell’ art. 606 lett. d-e) c.p.p.
Inoltre allorquando vi siano una pluralità di imputati alcuni dei quali abbiano
proposto ricorso per saltum ed altri abbiano appellato regolarmente allora in
questo caso scatta un meccanismo particolare: entro 15 giorni dalla notificazione
del ricorso le parti che hanno proposto appello possono dichiarare di rinunciare
all’appello per proporre direttamente ricorso, in tale caso l’appello si converte in
ricorso per Cassazione. Entro i successivi 15 giorni, dalla dichiarazione suddetta,
le parti devono presentare nuovi motivi se l’appello precedentemente proposto
non ha i requisiti di validità per proporre ricorso per Cassazione.
Per quanto riguarda le modalità di presentazione dell’impugnazione v’è da dire
che essa si propone con atto scritto nel quale vanno indicati: il provvedimento
impugnato, la data, il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato; inoltre
sono enunciati i capi e i punti del provvedimento impugnato e sono anche
indicate le richieste ed i motivi dell’atto impugnato.
Per quanto riguarda i termini per impugnare abbiamo l’art. 585 c.p.p. che elenca
i diversi termini per proporre impugnazione:
179
1. 15 giorni se la motivazione della sentenza impugnata è stata letta
contestualmente al dispositivi in udienza.
2. 30 giorni nel caso in cui la motivazione sia stata depositata trascorsi 15
giorni dalla lettura del dispositivo.
3. 45 giorni qualora la motivazione del provvedimento impugnato sia stata
depositata entro un termine maggiore di quello precedente comunque non
superiore a 90 giorni.
Tale termine decorre o dalla lettura del provvedimento in udienza ovvero dalla
scadenza del termine fissato dalla legge o dal giudice per il deposito della
sentenza.
Termini differenti sono previsti per quanto riguarda i provvedimenti emessi in
camera di consiglio per i quali il termine per impugnare è di 15 giorni decorrenti
sempre dalla notificazione del provvedimento; inoltre per quanto riguarda il
contumace ovvero il procuratore generale presso la corte di Appello per i quali il
termine per impugnare decorre dalla notifica o comunicazione dell’avviso di
deposito con l’estratto del provvedimento.
Inoltre ai sensi dell’art. 585 4° comma è possibile fino a 15 giorni prima
dell’udienza fissata presentare, presso la cancelleria del giudice
dell’impugnazione, nuovi motivi.
Una volta presentata l’impugnazione il giudice ad quem verifica l’ammissibilità
o meno dell’impugnazione, tramite ordinanza emessa in camera di consiglio,
180
ferma restando comunque la possibilità di dichiararla in ogni stato e grado del
processo.
I motivi di inammissibilità sono individuati dall’art. 591 c.p.p. essi
specificamente riguardano: il difetto di legittimazione, mancanza di interesse ad
impugnare, inoppugnabilità del provvedimento etc. etc.
Le parti possono anche rinunciare all’impugnazione ed il termine è fissato prima
dell’inizio della discussione.
Infine è importante anche sottolineare il c.d. effetto estensivo
dell’impugnazione attraverso il quale l’impugnazione si estenderà, per quanto
riguarda gli effetti favorevoli, anche agli imputati non appellanti, per essere
maggiormente precisi l’art. 587 c.p.p. specificamente prevede l’effetto estensivo
nei seguenti casi:
1. Concorso di persone nel reato quando l’impugnazione non riguarda motivi
esclusivamente personali (es. è ammesso l’effetto estensivo quando il
gravame riguarda l’insussistenza del fatto)
2. Riunione di procedimenti per reati differenti qualora i motivi
dell’impugnazione riguardino violazioni della legge processuale e non si
tratti di motivo esclusivamente personale (es. nel gravame si deduce
l’irregolarità della costituzione del collegio giudicante)
3. Impugnazione del responsabile civile e del civilmente obbligato a favore
dell’ imputato quando l’impugnazione non sia fondata su motivi personali
181
4. Impugnazione dell’imputato a favore del responsabile civile e del
civilmente obbligato.
In ultima analisi v’è da dire che l’esecuzione del provvedimento impugnato è
sospesa dal momento della sua pronuncia fino all’esito del ,giudizio di
impugnazione ( effetto sospensivo ), tranne per i provvedimenti concernenti
misure cautelari.
IL GIUDIZIO D’APPELLO
Il giudizio di appello rappresenta il secondo grado di giurisdizione successivo al
dibattimento, è un mezzo di impugnazione ordinario esperibile contro le
sentenze dei giudici di primo grado.
È uno stadio eventuale, non costituzionalmente indefettibile, dal momento che
non tutte le sentenze sono appellabili. Infatti in linea di principio il p.m. e
l’imputato possono proporre appello avverso tutte le sentenze di condanna e di
proscioglimento; l’imputato non ha però la possibilità di impugnare le sentenze
di proscioglimento perché il fatto non sussiste ovvero quelle per non aver
commesso il fatto.
Per quanto l’appello del p.m. egli può appellare tutte le sentenze di condanna e di
proscioglimento eccettuate quelle indicate dagli artt. 443 (giudizio abbreviato)
448 comma 2° (patteggiamento), 469 (proscioglimento preibattimentale)
c.p.p., inoltre sono inappellabili le sentenze di condanna relative a reati per i
182
quali è applicata la sola pena pecuniaria e le sentenze di proscioglimento o di non
luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria.
Legittimati ad impugnare sono il procuratore della Repubblica presso il
Tribunale ed il procuratore generale presso la Corte di Appello.
Per quanto riguarda l’appello a seguito di giudizio abbreviato esso si svolgerà
secondo il rito della camera di consiglio.
Bisogna a questo punto soffermarsi sull’appello incidentale regolato dall’art.
595 c.p.p.; per ciascuna parte che non ha proposto impugnazione è prevista la
facoltà di proporre appello incidentale, che altro non è se non un appello
presentato successivamente, entro 15 giorni dalla notifica o dalla comunicazione
dell’appello principale, dalla parte che non ha appellato il provvedimento
impugnato.
Tale appello segue la sorte dell’appello principale, per cui se viene meno, per
una qualsiasi causa, l’appello principale verrà meno conseguentemente anche
l’appello incidentale.
Inoltre l’appello incidentale del p.m. non ha effetti estensivi nei confronti del
coimputato non appellante che non ha partecipato al giudizio di appello;
legittimati a proporre appello incidentale sono i soggetti legittimati a proporre
appello principale.
L’appello incidentale annulla quella che è la regola del divieto di reformatio in
peius della decisione del giudice di primo grado.
Bisogna chiedersi se sia necessaria un’identità tra motivi di appello proposti in via principale ed in via incidentale. Nel silenzio della legge, si sono sviluppate due teorie:
183
AA abbracciano una teoria estensiva, ritenendo che sarebbe illogico che il legislatore, nel dare la possibilità di impugnare in via incidentale, abbia poi voluto limitarla;
AA sostengono una teoria restrittiva (preferibile), perché osservano che altrimenti, nel caso che ad impugnare in via incidentale sia il PM, cadrebbe il divieto di reformatio in peius.
Una procedura particolare è quella in camera di consiglio ai sensi dell’art. 599
c.p.p.:
1. Il 1° comma di tale norma prevede la possibilità di procedere in camera di
consiglio quando l’appello ha esclusivamente per oggetto la specie, la
misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione delle
circostanze, ovvero la sospensione condizionale della pena, l’applicabilità
delle sanzioni sostitutive etc. etc. In tal caso la Corte provvede ai sensi
dell’art. 127 c.p.p. per cui non è necessaria la presenza delle parti.
2. Il 3° comma di tale norma prevede il procedimento in camera di consiglio,
questa volta è però necessaria la partecipazione delle parti, quando occorra
procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, il giudice
assume le prove in camera di consiglio.
3. Il 4° comma di tale norma prevede il rito camerale allorquando le parti
rinunciano all’impugnazione dichiarando di concordare in tutto o in parte
sull’accoglimento dei motivi di appello, indicando al giudice la pena sulla
quale esse hanno raggiunto un accordo (questo è il caso del c.d.
patteggiamento in appello). Il giudice in questo caso non è vincolato, ciò
in quanto se ritiene di non poter accogliere tale richiesta dispone la
citazione per il dibattimento.
184
Al di fuori delle ipotesi sopracitate il giudizio di appello si svolge in pubblica
udienza, per cui vi sarà una fase predibattimentale nella quale, superato il
momento in cui si accerta l’ammissibilità dell’appello, sarà citato l’appellante
ovvero, in caso di appello del p.m. o di effetto estensivo dell’appello
dell’imputato, anche l’imputato non appellante; il decreto di citazione dovrà
essere notificato, all’imputato ed al suo difensore, 20 giorni prima del giorno
fissato per l’udienza.
Per quanto riguarda la fase dibattimentale essa si apre con la relazione della
causa fatta dal presidente, ovvero da un consigliere dallo stesso delegato, inoltre
in questa fase ai sensi dell’art 599 5° comma vi è la possibilità di riproporre la
richiesta di patteggiamento precedentemente rigettata.
Successivamente, eventualmente letti gli atti del giudizio di primo grado, si
procederà alla discussione finale secondo lo schema delineato dall’art. 523
c.p.p. (a discutere sarà prima il procuratore generale, poi di seguito il difensore
della parte civile, del responsabile civile del civilmente obbligato per la pena
pecuniaria ed infine del difensore).
Per quanto riguarda i poteri cognitivi del giudice bisogna sottolineare che in base
al brocardo latino tantum devolutum quantum appellatum il giudice ha la
possibilità di giudicare esclusivamente in riferimento ai capi ed ai punti della
sentenza di primo grado impugnati dalle parti. Il giudice ha comunque la
possibilità di valutare ex officio talune questioni in quanto è la legge che ne
impone l’accertamento in ogni stato e grado; in tal senso ci informa l’art. 597
185
comma 5° c.p.p. che il giudice di appello ha la possibilità di applicare, con la
sentenza, anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non
menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, una o più
circostanze attenuanti; fermo restando la possibilità per il giudice comunque di
rilevare, sempre ex officio, il difetto di giurisdizione l’incompetenza per materia
etc. etc.
Allorquando l’appello è proposto dal solo imputato il giudice il giudice si trova
vincolato al divieto della reformatio in peius della sentenza di primo grado, per
cui il giudice di appello non ha la possibilità di aumentare la pena , né tantomeno
potrà revocare i benefici, e invece ammessa l’applicazione delle pene accessorie
obbligatorie e la modifica del grado della colpa.
Differente è la situazione allorquando l’appello viene proposto dal p.m. in
quanto, in tal caso, non vige il divieto di reformatio, infatti l’art. 597 2° comma
c.p.p. stabilisce che nel caso di riforma di una sentenza di condanna il giudice
può dare al fatto una diversa qualificazione giuridica anche più grave, può
modificare o aumentare la quantità della pena, revocare benefici e applicare le
misure di sicurezza. Così anche allorquando il p.m. appella una sentenza di
proscioglimento il giudice può emettere una sentenza di condanna.
L’art. 603 c.p.p. regola la possibilità di rinnovare l’istruzione dibattimentale, per
la precisione:
1. Il 1° comma di tale norma prevede la possibilità di rinnovare il
dibattimento quando una parte nell’atto di appello, ovvero nei motivi
186
nuovi presentati a norma dell’art. 585 5° comma c.p.p., fa richiesta di
riassumere prove già acquisite in primo grado ovvero l’assunzione di
nuove prove ed il giudice non sia in grado di decidere allo stato degli atti,
per cui riassume o assume le prove richieste dalle parti.
2. Il 2° comma di tale norma prevede la possibilità di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale allorquando vi siano prove nove o scoperte
dopo il giudizio di primo grado
3. Il 3° comma di tale norma prevede la possibilità per il giudice di
rinnovare ex officio l’istruzione dibattimentale quando egli ritiene tale
possibilità assolutamente necessaria.
4. Il 4° comma di tale norma prevede la possibilità di dare luogo ala
rinnovazione dibattimentale in presenza di un imputato contumace quando
la sua mancata comparizione, nel corso del giudizio di primo grado, sia
dovuta a caso fortuito a forza maggiore ovvero ad un non colpevole difetto
di conoscenza del decreto di citazione.
Per quanto riguarda il tipo di sentenza che può essere emesso dalla Corte di
Appello essa può essere di tre tipi:
1. Annullamento 1) quando si è verificata una nullità assoluta da cui sia
derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della
sentenza di primo grado; 2) quando si è verificata una nullità a regime
intermedio, la quale non sia sanata e da cui sia derivata la nullità del
provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado; 3)
187
non sono rispettate le disposizioni dettate in tema di nuove contestazioni;
4) non sono rispettate le regole sulla competenza dei giudici. Nei primi
due casi il giudice di appello, dopo che ha dichiarato con sentenza la
nullità rinvia gli atti al giudice procedente quando la nullità si è verificata.
Nel ipotesi di cui al num 3 il giudice di appello non procede al totale
annullamento del provvedimento impugnato ma può limitarsi ad annullare
la parte della sentenza affetta da nullità, quella cioè riguardante la
contestazione irrituale; in tale caso se il giudice accerta che vi è stata
condanna per un fatto diverso dichiara nulla l’intera sentenza e trasmette
gli atti al giudice procedente; se accerta che vi è stata condanna per un
reato concorrente o per un fatto nuovo dichiara nullo solo il relativo capo
della sentenza impugnata e trasmette gli atti al p.m. per le sue
determinazioni; se infine accerta che vi è stata condanna per una
circostanza aggravante non contestata o mal contestata il giudice la
esclude e ridetermina la pena. Per quanto riguarda infine l’ipotesi di cui al
num 4 l’annullamento è disposto quando è riconosciuta l’incompetenza
materiale per difetto del giudice che ha emesso al sentenza, ed in tal caso è
ordinata la trasmissione degli atti al p.m. presso il giudice di primo grado
ritenuto competente; ovvero nel caso di incompetenza territoriale o per
connessione del giudice che ha emesso la sentenza, ed in tal caso gli atti
vengono trasmessi al di primo grado ritenuto competente (art. 604 c.p.p.).
188
2. Conferma quando appunto conferma la sentenza di primo grado (art. 605
c.p.p.).
3. Riforma quando accoglie i motivi di appello ritenendoli fondati (art. 605
c.p.p.).
In definitiva l’appello può essere è un mezzo d’impugnazione ordinario,
estensivo, parzialmente o totalmente devolutivo e sospensivo.
RICORSO PER CASSAZIONE
Il ricorso per Cassazione è un mezzo d’impugnazione anch’esso ordinario
estensivo a devoluzione vincolata con il quale si chiede l’annullamento di una
decisione emessa nei gradi precedenti da un giudice di merito. I motivi deducibili
con il ricorso sono tassativamente indicati dall’art. 606 c.p.p.
Sono ricorribili sia le sentenze pronunciate in grado di appello che quelle
inappellabili; oltre che dall’imputato, il quale può ricorrere avverso avverso le
sentenze di condanna o di proscioglimento ovvero contro le sentenze
inappellabili di non luogo a procedere, il ricorso è proponibile dal Procuratore
generale presso la Corte di Appello, ciò per quanto riguarda le decisioni dei
giudici di appello, dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale, ciò nei
riguardi delle sentenze emesse dal Tribunale dalla Corte di Assise e dal Gip.
Molto importante è l’art. 606 c.p.p. il quale elenca quali sono i motivi per i quali
è esperibile il ricorso in cassazione (ciò spiega perché il ricorso è a devoluzione
vincolata), tali motivi sono:
189
1. Esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge ad organi
legislativi (es. si pensi al caso in cui il giudice crei una norma
incriminatrice) ovvero amministrativi (es. si pensi al caso in cui il giudice
annulli un atto amministrativo ritenuto non conforme alla legge), ovvero
ancora non consentita ai pubblici poteri (es. si pensi al caso in cui il
giudice decide su una questione sottratta alla competenza del giudice
italiano)
2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale (es. si pensi al caso
in cui il giudice abbia definito rapina un’ipotesi da qualificarsi come furto)
o di altre norme dell’ordinamento.
3. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità,
inutilizzabilità, inammissibilità, decadenza.
4. Mancata assunzione di una prova decisiva quando ,la parte ne abbia fatto
richiesta ai sensi dell’art. 495 c.p.p.
5. Mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
Una volta presentato il ricorso il presidente della Corte di Cassazione
allorquando rileva una causa di inammissibilità lo assegna ad una sezione
specializzata, il presidente di tale sezione fissa la data della camera di consiglio e
ne fa dare comunicazione, 30 giorni prima, ai difensori. Nel caso in cui il
presidente della corte non rilevi alcuna causa di inammissibilità del ricorso,
ovvero nel caso che la sezione a seguito della camera di consiglio ritenga il
ricorso ammissibile, assegna tale ricorso ad una sezione salvo l’ipotesi in cui il
190
ricorso non debba essere assegnato alle sezioni unite, tale assegnazione avviene
su richiesta delle parti ovvero del procuratore generale quando le questioni
proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti
tra le decisioni delle singole sezioni; successivamente deve essere inviato
l’avviso dell’udienza 30 giorni prima tale avviso deve altresì indicare se il
ricorso sarà deciso in udienza o in camera di consiglio.
Innanzi la corte non possono presentarsi le parti private ma solamente i loro
difensori.
L’art. 611 c.p.p. disciplina il procedimento in camera di consiglio, innanzitutto
la corte decide in camera di consiglio oltre che nei casi previsti dalla legge, nei
riguardi dei provvedimenti non emessi in dibattimento; ma la maggiore
peculiarità di tale procedura consiste nel non intervento dei difensori innanzi la
corte, fermo restando la possibilità per le parti di presentare fino a 15 giorni
prima dell’udienza motivi nuovi e memorie.
Per quanto riguarda il dibattimento, fermo restando quanto già detto in ordine
agli avvisi, le regole per il dibattimento ricalcano quelle previste per i giudizi di
primo e secondo grado; la sentenza deve essere depositata non oltre il
trentesimo giorno dalla deliberazione della stessa.
Per quanto riguarda le sentenze esse sono:
1. Annullamento senza rinvio allorquando la corte ritiene che il fatto non
sussiste, che non è preveduto dalla legge come reato, annulla inoltre senza
rinvio allorquando ritiene lo ritiene superfluo ex art. 620 lett. L c.p.p. nei
191
casi in cui l’imputato non l’ha commesso o che il fatto non sussiste. La
corte annulla inoltre senza rinvio quando si tratta di applicare leggi più
favorevoli all’imputato.
2. Annullamento con rinvio in tal caso la corte annulla la sentenza
impugnata e la rinvia ad un giudice diverso; per la precisione nel caso in
cui vi sia l’annullamento di una sentenze emessa da un giudice collegiale
(Corte di Assise, Tribunale collegiale, Corte di Appello) allora il rinvio
sarà operato ad un’altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale.
Nel caso in cui sarà annullata una sentenza di un giudice monocratico
(Tribunale in composizione monocratica, Gip) il processo è rimesso allo
stesso tribunale con la sostituzione del giudice che ha pronunziato la
sentenza impugnata. Inoltre nel caso in cui vi sarà annullamento, ai sensi
dell’art. 604 c.p.p., di una sentenza di condanna il processo sarà rinviato
al giudice di primo grado.
Per quanto poi riguarda l’annullamento esso può essere parziale o totale, sarà
parziale quando il giudice di rinvio dovrà giudicare solamente le disposizioni
annullate, sarà totale quando la cognizione del giudice di rinvio riguarderà
l’intero procedimento. Il giudice di rinvio è obbligato ad uniformarsi alle
decisioni della corte di Cassazione relativamente alle questioni di diritto; per cui
la decisione della Cassazione potrà vincolare il giudizio di rinvio sulla
qualificazione giuridica del fatto etc. etc.
192
Per quanto riguarda i poteri del giudice di rinvio sono quelli previsti per la fase
processuale alla quale tale giudice appartiene, nel giudizio di rinvio non sono
ammesse questioni sulla competenza attribuita dalla Corte di Cassazione nella
sentenza di rinvio, sempre che nel giudizio non risultino circostanze o fatti nuovi.
Per quanto riguarda il procedimento di rinvio esso riprenderà secondo le norme
della fase e del grado nel quale il processo è rinviato.
Per quanto riguarda l’impugnazione della sentenza del giudice di rinvio, se si
tratta di un giudizio di appello allora il rimedio sarà il ricorso per cassazione, se
si tratta di giudizio di primo grado allora il rimedio sarà l’appello salvo il caso in
cui si tratti di sentenza inappellabile.
Vi può anche essere la possibilità di ricorrere in via straordinaria alla corte di
Cassazione per la correzione di un errore di fatto o di un errore materiale: si parla
di errore di fatto che si ha quando vi sia una falsa percezione di ciò che emerge
dagli atti in maniera incontroversa ed incontrovertibile che abbia condotto ad
affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo che in realtà è
incontestabilmente escluso, l’errore materiale riguarda per porre alcuni esempi
l’errore circa le generalità dell’imputato, la quantificazione della pena etc. etc.
Disciplinato dall’art. 625 bis si caratterizza per il fatto che è una norma speciale
rispetto all’art. 130 c.p.p. che disciplina in via generale il procedimento do
correzione degli errori materiali; qui invece è un mezzo straordinario in quanto
ha ad oggetto provvedimenti della Corte di Cassazione che per loro natura hanno
efficacia di giudicato. Il ricorso è ammesso a favore del condannato e la richiesta
193
è proposta dal procuratore Generale o dal condannato, la presentazione del
ricorso non sospende gli effetti del provvedimento. Solo nei casi di particolare
gravità la corte sospende il provvedimento, con ordinanza.
REVISIONE
La revisione è un mezzo di impugnazione straordinario ed eccezionale esperibile
senza limiti di tempo avverso provvedimenti di condanna divenuti irrevocabili.
Presupposti indispensabili sono :
1) che si tratti di sentenza o decreto penale di condanna;
2) che la decisione sia divenuta irrevocabile.
La revisione può essere richiesta nei casi indicati dall’art. 630 c.p.p, ed in particolare
quando :
1) i fatti posti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non
possono conciliarsi con quelli contenuti in altra sentenza penale irrevocabile;
2) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del
reato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo,
successivamente revocata, che abbia deciso una questione pregiudiziale ex art 3 e
479 c.p.p. ;
3) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o
unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto;
194
4) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti
o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.
I soggetti legittimati alla richiesta sono il condannato o un suo prossimo congiunto ed
il procuratore generale presso la corte di Appello. Quando la richiesta è presentata al
di fuori delle ipotesi indicate dagli artt. 629 e 630 c.p.p. o quando risulta
manifestamente infondata, la corte con ordinanza dichiara l’inammissibilità; contro
tale ordinanza è ammissibile il ricorso per Cassazione. In caso di accoglimento il
giudizio di revisione è rimesso ad altra sezione della corte di Appello.
Se il presidente invece ritiene ammissibile la richiesta di revisione allora si celebra il
giudizio nel contraddittorio delle parti, al termine la sentenza sarà di accoglimento
della richiesta ed allora il giudice revoca la sentenza di condanna o il decreto penale
di condanna e pronuncia proscioglimento; oppure di rigetto della richiesta ed allora il
giudice condanna la parte privata che l’ha proposto al pagamento delle spese
processuali e riprende l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza.
195
GIUDICE DI PACE
La disciplina sul giudice di pace è prevista dal decreto legislativo del 2000 n.
274.
Innanzi al giudice di pace si applicano in quanto compatibili le norme contenute
nel codice di procedura penale ad eccezione di quelle relative all’incidente
probatorio, all’arresto in flagranza ed al fermo di indiziato di reato, alle misure
cautelari personali, alla proroga del termine delle indagini preliminari,
all’udienza preliminare, nonché i procedimenti speciali.
Il giudice di pace è competente per materia di quei reati di minore allarme
sociale e che solitamente coinvolgono interessi privati come l’ingiuria , la
minaccia semplice ecc.
La competenza per territorio è quella prevista nel codice di procedura penale,
ossia è competente il giudice del locus commissi delicti.
Particolare è invece la competenza per connessione che è di due tipi :
ETEROGENEA ed OMOGENEA. La connessione si dice ETEROGENEA
quando tra procedimenti pendenti dinanzi al giudice di pace e procedimenti
196
pendenti dinanzi ad altro giudice si ha connessione solo nel caso di persona
imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione. Se alcuni dei
procedimenti connessi appartengono alla competenza del giudice di pace ed altri
a quella della corte di assise o del tribunale è competente per tutti il giudice
superiore. La connessione non opera se non è possibile la riunione dei processi,
né tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di
competenza di un giudice speciale.
Si dice OMOGENEA quando si ha connessione di procedimenti relativi al
concorso di persone di reato o di cooperazione colposa oppure di concorso di
reati.
Le indagini preliminari si differenziano da quelle che si svolgono dinanzi al
tribunale: infatti una volta acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria
compie di propria iniziativa tutti gli atti di indagine necessari per la ricostruzione
del fatto e per l’individuazione del colpevole e ne riferisce al PM entro il termine
di 4 mesi. Se la notizia di reato appare fondata la polizia giudiziaria enuncia il
fatto in forma chiara e precisa con l’indicazione degli articoli di legge che si
assumono violati.
Se il PM riceve direttamente la notizia ha di fronte a sé varie strade:
- o archivia;
- o se la riceve direttamente ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali la
trasmette alla polizia giudiziaria perché svolga indagini, impartendo loro
direttive;
197
- o se non ritiene necessari ulteriori atti di indagine formula l’imputazione ed
autorizza direttamente la polizia giudiziaria alla citazione a giudizio
dell’imputato.
La polizia giudiziaria può chiedere al PM l’autorizzazione al compimento di
accertamenti tecnici non ripetibili ovvero di interrogatori o confronti cui
partecipi la persona sottoposta ad indagini.
Le indagini hanno una durata di 4 mesi decorrente dall’iscrizione della notizia di
reato ; in casi di particolare complessità il PM dispone, con provvedimento
motivato, la prosecuzione delle indagini per un tempo non superiore a 2 mesi. Il
provvedimento è comunicato subito al giudice di pace che se non ritiene
sussistenti la ragioni indicate dal PM, entro 5 giorni, dichiara chiuse le indagini.
Al termine delle indagini il PM può chiedere l’archiviazione ed il giudice di pace
se la accoglie pronuncia decreto, altrimenti restituisce con ordinanza gli atti al
PM indicando le ulteriori indagini ovvero disponendo che il PM nel termine di
dieci giorni formuli l’imputazione.
Altrimenti se non richiede l’archiviazione esercita l’azione penale: infatti la
polizia giudiziaria sulla base dell’imputazione formulata dal PM cita l’imputato
dinanzi al giudice di pace; per i reati procedibili a querela è ammessa la citazione
a giudizio mediante ricorso immediato dinanzi al giudice di pace. Il ricorso è
comunicato al PM ed è presentato direttamente dal richiedente nella cancelleria
del giudice di pace. Entro 10 giorni dalla comunicazione il PM presenta le sue
richieste nella cancelleria: se ritiene infondato il ricorso o dinanzi al giudice di
198
pace incompetente per territorio, il PM esprime parere contrario alla citazione
altrimenti formula l’imputazione confermando o modificando l’addebito
contenuto nel ricorso.
A questo punto il giudice di pace se ritiene inammissibile o manifestamente
infondato il ricorso trasmette gli atti al giudice di pace per l’ulteriore corso del
procedimento. Se riconosce la propria incompetenza per territorio il giudice di
pace la riconosce con ordinanza e restituisce gli atti al ricorrente; se
l’incompetenza è per materia allora trasmette gli atti al PM con ordinanza.
In caso di dibattimento almeno 7 giorni prima si depositano le liste testimoniali,
ed alla prima udienza il giudice di pace deve tentare la conciliazione tra le parti.
Il processo può definirsi anche in forme alternative, ed in particolare: o con
l’esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto; o con estinzione
del reato conseguente a condotte riparatorie.
Particolare è il regime sanzionatorio nel procedimento innanzi al giudice di pace,
infatti questi può applicare la sanzione dell’obbligo della permanenza
domiciliare o del lavoro di pubblica utilità o della conversione della pena
pecuniaria; in caso di violazione degli obblighi il condannato è punito con la
reclusione, ma in tal caso la competenza all’applicazione della sanzione è del
tribunale monocratico.
199
ARTICOLO 371C.P.P. : tale art. fa riferimento ai rapporti tra i diversi uffici del P.M.
infatti anche al di fuori dei casi di vera e propria connessione, che possono
determinare spostamenti di competenza, può stabilirsi tra indagini preliminari diverse
una forma di rapporto giuridicamente rilevante. Per garantire il coordinamento tra i
vari uffici nella fase delle indagini preliminari ed evitare che su fatti collegati si
indaghi da parte di più magistrati, l’uno all’insaputa dell’altro, la norma in esame ha
stabilito tre strumenti fondamentali: scambio di atti ed informazioni ( es: verbali di
interrogatori ); comunicazioni delle istruzioni impartite alla p.g.; compimento
congiunto di singoli atti di indagine. Questo coordinamento investigativo non incide
sulla competenza che resta nell’ufficio indicato ex art. 8 c.p.p.
Così pur avendo compiuto atti di indagine congiunti, ciascuna procura eserciterà
l’azione penale per i reati di rispettiva competenza che saranno giudicati da
tribunali diversi. Il mancato esperimento del collegamento investigativo può
essere causa di avocazione delle indagini.
ARTICOLO 371 BIS C.P.P. tale articolo è stato introdotto da una legge del 1992
con il quale si stabilisce che per i reati di criminalità organizzata, per realizzare
una più efficace lotta contro gli stessi, il Procuratore Nazionale Antimafia può
coordinare le indagini avvalendosi a tal fine delle Direzioni Investigative
Antimafia e dei servizi centrali ed interprovinciali delle forze di polizia,
200
impartendo loro delle direttive, individuando temi di indagine. Il Procuratore
Nazionale Antimafia provvede all’avocazione dopo aver assunto sul luogo le
necessarie informazioni personalmente o tramite un magistrato della Direzione
nazionale antimafia all’uopo designato.
201
Domande di esame:
competenza del giudice;
incompatibilità del giudice e suoi rimedi;
avocazione;
giurisdizione penale;
nullità degli atti ;
misure cautelari;
differenza tra riesame ed appello;
art. 350 c.p.p.;
intercettazione di comunicazioni e conversazioni telefoniche;
arresto e convalida;
incidente probatorio;
differenza tra incidente probatorio ed accertamento tecnico non ripetibile;
art. 360 c.p.p. ;
archiviazione;
indagini difensive;
art. 415 bis ;
udienza preliminare;
sentenza di non luogo a procedere;
integrazione probatoria di ufficio;
202
art. 468 c.p.p.;
sentenza anticipata di proscioglimento;
art. 500 c.p.p.;
art. 507 c.p.p. ;
nuove contestazioni e differenza con l’udienza preliminare;
inutilizzabilità;
testimonianza indiretta;
testimonianza assistita;
procedimenti speciali;
appello incidentale;
casi di ricorso per Cassazione;
sentenze della Corte di Cassazione
203
top related