ddl delega sul contrasto della povertà. audizione franco pesaresi
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Camera dei Deputati: commissioni riunite: Lavoro (XI) e Affari sociali (XII)
Delega recante norme relative al
contrasto della povertà… audizione
Franco Pesaresi Direttore Asp “Ambito 9” Jesi (AN)
Comitato scientifico «Alleanza contro la povertà»
Roma, 11 aprile 2016
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L’importanza del DDL C. 3594
La presentazione del DDL 3594 è un evento politico di grande importanza per il welfare italiano.
I suoi contenuti, in generale, sono apprezzabili, pur in presenza di risorse non adeguate.
Spero in una sollecita approvazione da parte del Parlamento ed in una oculata attuazione da parte del Governo.
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Riprende il percorso riformatore
Dopo 16 anni (dalla L. 328/2000) riprende il percorso riformatore dei servizi sociali che sono deboli e straordinariamente disomogenei. Si tratta di un’ottima notizia.
Nel merito si condividono i contenuti del DDL che restituisce al Ministero un ruolo necessario di coordinamento, di stimolo e di verifica (ed oggi poco
presente stante anche la normativa vigente) delle politiche sociali.
Omogeneità territoriale e linee guida (contrarietà regionale ingiustificata ). Era tempo.
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Verifica LEPS
Necessaria la previsione di attribuire al Ministero le competenze sulle verifiche e il monitoraggio dei LEPS.
Non ha significato avere i LEPS se poi non ci sono organismi preposti alla verifica che essi vengano rispettati.
Il modello di riferimento potrebbe essere quello messo in piedi dal Ministero della Salute per i LEA: sistema informativo, commissione nazionale, rapporto nazionale, sanzioni e premialità.
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Gestione associata
L’implementazione della misura nazionale di contrasto della povertà (e non solo) ha bisogno di una organizzazione locale adeguata e solida e che garantisca omogeneità di trattamento.
Stante la dimensione degli 8.000 comuni italiani (5.575 con meno di 5.000 ab. pari al 70%; solo 137 comuni con +50.000 ab ) questo è possibile nei comuni più grandi e, negli altri casi, solo con la gestione associata. Bene dunque il DDL.
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Le ragioni per la gestione associata
• Garantire una distribuzione uniforme dei servizi in tutto il territorio.
• Garantire una unica gestione al piano di zona.
• Garantisce i LEPS anche nei piccoli comuni
• Sviluppare economie di scala.
• Innalzamento qualità organizzativa.
• Migliorare i servizi sociali nel territorio.
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La spesa sociale associata è in aumento?
• La spesa sociale 2012 era gestita per il 24,4% (era il 24,3% nel 2003) da forme associative (Ambito sociale, Comunità
montana, consorzio, Unione dei comuni, ASL, altro).
• Nel 2012 varie forme di gestione associata gestivano 1.709 milioni di euro (erano 1.262 milioni di euro nel 2003)
• % più alte: Trentino-AA 86%, Valle d’Aosta 63%, Friuli VG 54%, Piemonte 39%, Abruzzo 38%, Campania 36%, Toscana 34%, Veneto 32%.
• % più basse: Lazio 5%, Sardegna 6%, Marche 8%, Sicilia 9%, Calabria 10%, Lombardia 14%).
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Chi gestisce la spesa associata? (2012)
• Ambito/distretto/zona sociale 8,0%
• Consorzio 6,0%
• Azienda sanitaria 4,3%
• Altra associazione di comuni 3,6%
• Unione di comuni 1,5%
• Comunità montane 1,0%
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Tendenze gestione associata
• Negli ultimi 10 anni la gestione associata dei servizi sociali è cresciuta in termini assoluti (+447 milioni) in linea con la crescita della spesa sociale ma senza modificare le percentuali di spesa che rimane del 24%. Come 10 anni fa.
• La modificazione principale si registra nella gestione delegata alle ASL che si riduce gradualmente e costantemente passando dal 7,5% al 4,3%.
• Questo ha permesso una crescita delle altre forme di gestione associata intercomunale: soprattutto gli Ambiti sociali (+1,8%), i Consorzi (+1,6%), le Unioni dei comuni (+1,1%). Ridotta di un terzo la quota delle comunità montane.
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La dimensione ottimale
• La gestione associata ottimale dei servizi sociali si realizza a livello dell’intero Ambito Territoriale sociale. Altrimenti vengono meno parte di quei vantaggi appena descritti.
• Per questo è importante anche la definizione dei principi generali per l’individuazione degli ambiti medesimi. Nella definizione della dimensione degli ambiti occorre tener presenti gli obiettivi da perseguire. Non troppo piccoli da non avere la massa critica per operare né troppo grandi da risultare troppo lontani dai comuni per cui si lavora. Ipotesi…
Dimensione degli ambiti sociali (2016)
Regione Popolazione x ambito
Regione Popolazione x ambito
Emilia Romagna 115.200 Marche 67.200
Toscana 108.600 Friuli VG 64.300
Lazio 101.000 Basilicata 64.000
Lombardia 99.900 Bolzano 63.700
Sicilia 90.900 Calabria 55.900
Puglia 90.000 Molise 44.800
Veneto 87.200 Trento 40.800
Campania 86.100 Abruzzo 37.500
Piemonte 74.100 Valle d’Aosta 32.000
Umbria 73.900 Liguria 22.700
Sardegna 71.300 Media 78.100 12
Distretti sanitari e ambiti sociali
Regione n. distretti n. ambiti Regione n. distretti n. ambiti
Basilicata 9 9 Puglia 49 45
Umbria 12 12 Lazio 48 55
Valle d’Aosta 4 4 Marche 13 23
Toscana 34 34 Veneto 26 56
E. Romagna 38 38 Trento 4 13
Molise 7 7 Lombardia 27 98
Sicilia 55 55 Calabria 18 34
Friuli V.G. 20 19 Liguria 19 69
Sardegna 22 23 Bolzano 20 8
Campania 65 67 Abruzzo 23 35
Piemonte 52 59 Totale 565 763
Distretti sanitari, ambiti sociali e CpI (14/4/16)
Regioni Centri per l’impiego Distretti sanitari Ambiti sociali Piemonte 31 52 59 Valle d’Aosta 3 4 4 Lombardia 65 27 98 P.a. di Bolzano 7 20 8 P.a. di Trento 12 4 13 Veneto 45 26 56 Friuli Venezia Giulia 18 20 19 Liguria 14 19 69 Emilia Romagna 41 38 38 Toscana 43 34 34 Umbria 5 12 12 Marche 13 13 23 Lazio 35 48 55 Abruzzo 15 23 35 Molise 3 7 7 Campania 46 65 67 Puglia 44 49 45 Basilicata 8 9 9 Calabria 15 18 34 Sicilia 65 55 55 Sardegna 28 22 23 Italia 556 565 763
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Offerta integrata di servizi e promozione accordi (comma 4 lett e)
• L’offerta integrata di servizi che diventa LEPS ha bisogno di una serie di elementi predisponenti che rendano possibile ed efficace l’integrazione dei servizi.
• Per questo occorre rilanciare la coincidenza territoriale fra ambiti sociali e distretti sanitari – che non è mai decollata – per sviluppare l’integrazione sociosanitaria.
• La nuova frontiera è che ci sia coincidenza anche con i centri per l’impiego.
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Quali forme di gestione?
• Indicazioni regionali diverse
• Esperienze comunali ancora più diverse
• Ampie possibilità di scelta per gli enti locali
• Quali sono le caratteristiche delle varie modalità gestionali?
• Per quale motivo scegliere l’una o l’altra modalità gestionale?
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Caratteristiche delle forme di gestione Convenzione
intercomunale Unione dei
comuni ASP Consorzio Azienda
speciale consortile
Fondazione SPA o SRL
Partecipazione di + comuni
Si Si Si Si Si Si Si
Partecipazione della ASL
No No Teoricamente possibile
Si Si Si Si
Partecipazione dei privati
No No Si No No Si Si
Idoneità per la gestione di tutti i servizi sociali
Forte Forte Forte Forte Forte Media Debole
Idoneità per la gestione di sole strutture residenziali
Debole Media Forte Forte Forte Forte Forte
Rappresentanza istituzionale degli enti locali soci
Media Forte Forte Forte Media Debole Debole
Flessibilità di gestione
Debole Debole Forte Media Media Forte Forte
Specializzazione professionale
Debole Debole Forte Forte Forte Forte Forte
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CRITERI PER LA SCELTA GESTIONALE
• La forma gestionale ottimale e valida per ogni realtà non esiste. Esistono necessità, obiettivi, caratteristiche particolari di cui occorre, localmente, tener conto.
• Contano gli obiettivi posti, i soci che debbono partecipare (pubbl. e privati) e i servizi da gestire e la dimensione del bilancio da gestire. – Servono enti diversi per la gestione solo di una residenza protetta o per la gestione di
tutti i servizi sociali, così come per un bilancio di un milioni di euro o di 10 milioni di euro, o se si coinvolge l’ASL.
• Servono: Partecipazione, consenso, gradualità e un forte indirizzo politico.
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Come promuovere la gestione associata?
1. Siano i comuni a scegliere in autonomia la forma gestionale associata più adatta che coinvolga tutti i comuni dell’ambito;
2. La forma gestionale prescelta deve mantenere in capo ai comuni il potere di indirizzo politico e di controllo diretto.
3. Un quadro normativo nazionale adeguato. Risolvere alcuni problemi (piccoli comuni, consorzi, rappresentanza politica). Deve essere chiaro e definito quali sono le forme gestionali che si possono scegliere.
4. Promuovere o incentivare gli Ambiti sociali che realizzano la gestione associata.
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Gestione associata obbligatoria o incentivata?
Alcune regioni hanno previsto la gestione associata obbligatoria ed hanno anche esercitato i poteri sostitutivi. Si può fare. L’alternativa è quella di disincentivare finanziariamente in modo significativo chi non fa gestione associata. Su questo non devono esserci dubbi etici (penalizziamo gli assistiti?). Già oggi ci sono territori che spendono 30 euro a persona per il sociale mentre la media italiana è quattro volte tanto. Non sono i finanziamenti statali a determinare le differenze. Cambiamo le regole. Più efficace l’obbligatorietà. Gli incentivi finanziari sono troppo esposti alla variabilità regionale.
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Grandi riforme del welfare sociale
Povertà ed emarginazione
sociale
Non autosufficienza
Prima infanzia
Germania (1961, 2003) Austria (1993) Francia (1970, 1975)
Austria (1970-1975) Germania (1995) Spagna (2005, 2008)
Francia (1998, 2006-2008) Francia (1997, 2001, 2007) Germania (2008)
Portogallo (1996) Spagna (2006) Portogallo (2006)
Spagna (1995-2000) Portogallo (1999, 2006)
Italia - Italia - Italia -
Grecia – Fonte: C. Gori
Grecia - Grecia -
La povertà assoluta in Italia (Istat)
Anno
% Persone
(Milioni)
2007
3,1%
(1,8 milioni)
2014
6,8%
(4,1 milioni)
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Introduzione di una misura nazionale contro la povertà assoluta, EU 15
PAESE CON LEGGE PAESE SENZA LEGGE
Regno Unito Italia
Svezia Grecia
Germania
Paesi Bassi
Finlandia
Austria
Belgio
Danimarca
Irlanda
Lussemburgo
Francia
Portogallo
Spagna
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Quale priorità di intervento?
La gradualità e la progressione dell’intervento può essere una necessità dell’attuale contesto economico ma poi occorrerà dare attuazione a questa progressione. Garanzie?
Priorità corrette? Nuclei familiari con figli minorenni è una buona scelta. Si investe sul futuro per ridurre le possibilità che si diventi adulti senza gli strumenti per uscire dalla povertà. E’ il tipo di intervento anche preventivo che massimizza l’efficacia dell’intervento, in prospettiva futura.
Per questo forse è migliore di coloro che hanno in assoluto i redditi più bassi.
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Quale priorità di intervento?/2
Qualche perplessità invece per la priorità successiva (i soggetti con maggiore
difficoltà di inserimento e di ricollocazione nel mercato del lavoro). Chi sono?
Coloro che stanno in povertà assoluta hanno tutti grandissima difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro. Quelli che ne hanno maggiore sono i disabili, gli adulti in età avanzata ed altri. Per alcuni di questi però esistono delle misure.
Sono persone in straordinario bisogno ma in questo caso non so se abbiamo argomenti per privilegiarli rispetto a coloro che hanno i più bassi redditi in assoluto.
ELEMENTO POSITIVO: prevedere una «successiva» priorità significa che ci sarà una successiva fase di sviluppo della misura con ulteriori finanziamenti.
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Finanziare l’organizzazione locale
Condivido quanto indicato per i principi generalizzati per la presa in carico (comma 2, lett e)) ma per garantirne la realizzazione occorre garantire il finanziamento anche delle risorse per gli enti locali (gli Ambiti sociali ) per i percorsi di inserimento sociale e lavorativo e per la struttura organizzativa che se ne deve occupare.
Comuni ed Ambiti sociali hanno una organizzazione ma che è inadeguata per un programma di questo tipo. Dare la possibilità di assunzioni a tempo indeterminato per un programma non episodico.
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Inclusione e Welfare generativo • I percorsi di inclusione non lavorativa devono essere ispirati ai principi del
welfare generativo.
• Il welfare generativo è quello che mette in condizione la persona aiutata di contribuire con le proprie capacità ad accrescere la socialità, la solidarietà e la ricchezza della comunità a cui appartiene. Si tratta di trasformare l’aiuto ricevuto (spesso aiuto economico) in ore di impegno che il beneficiario dell’aiuto offre in attività utili per la comunità e per sé stesso.
• Non è un percorso di inclusione lavorativa. Tali attività possono essere le più varie: attività con i soggetti del terzo settore e con gli enti pubblici. Ma anche le forme possono essere le più varie.
• Queste esperienze trasformano radicalmente la posizione della persona aiutata che salvaguarda la propria dignità senza essere ridotto a semplice assistito “guadagnandosi” l’aiuto ricevuto restituendo alla comunità con il suo impegno ciò che ha ricevuto e realizzando un percorso di accrescimento personale.
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La razionalizzazione delle prestazioni
L’ipotesi di razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale secondo criteri unificati di valutazione della condizione economica (ISEE) è condivisa.
Oggi ci sono grandi ed ingiustificate differenze nei trattamenti categoriali e nei sistemi di valutazione dei redditi (per singolo o per famiglia con patrimonio o senza, con ISEE e senza ISEE). Il sistema è iniquo e produce aberrazioni. Ci sono risorse assistenza che vanno ai decili più alti.
La scelta da fare non può basarsi su ciò che è più conveniente per il cittadino. Occorre una scelta equa in un ottica di Stato.
Scelta fra opzione corporativa ed opzione equitativa.
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Prestazioni assistenziali e previdenziali (sottoposte alla prova dei mezzi)
Preliminarmente occorrerebbe definire normativamente cosa è assistenza e cosa è previdenza. Purtroppo non esiste una definizione univoca e condivisa dei termini . Ci sono spazi grigi.
L’Istat assegna al settore “assistenza” tutte le prestazioni non assegnate ai settori “sanità” e “previdenza” e quindi in qualche modo residuali. E con qualche decisione che può essere discutibile dal punto di vista logico.
Infatti, gli studiosi collocano tra gli istituti assistenziali anche l’assegno per il nucleo familiare e l’integrazione al trattamento minimo delle pensioni in quanto non sottostanno ad una logica assicurativa e presentano, anche nostro avviso, finalità di assistenza sociale mentre l’Istat, invece, considera queste misure nella voce previdenziale.
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Riordinare anche le prestazioni previdenziali (sottoposte alla prova dei mezzi)?
Il DDL tratta le prestazioni previdenziali sottoposte alla prova dei mezzi. La domanda da porsi non è se tali prestazioni vanno toccate oppure no.
La domanda da porsi è: la revisione della prova dei mezzi per renderle più eque ed uguali per tutti (per esempio ISEE) lede i diritti acquisiti oppure no? Ci sono già stati diversi casi in questo senso (modifica delle condizioni di accesso o di determinazione dell’importo della prestazione).
Non mettere in discussione il mantenimento della prestazione previdenziale ma rendere la prestazione più equa.
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Contatti
e-mail: franco.pesaresi@gmail.com
Blog: francopesaresi.blogspot.com/
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