giuseppe casalinuovo

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GIUSEPPE CASALINUOVO

DALLOMBRA a DÀ LA aunma? pa

TORINO

Società TrpoGRAFICO-EDITRICE NAZIONALE

(già Roux E VIARENGO)

1907

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AD UNA MORTA AD UNA VIVA #

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Questo libro è fatto per le creature in-

felici. Esso è un vivo documento di vita

vissuta, e potrebbe dirsi scritto in un

campo santo, tanto è triste. Nelle sue pa-

gine sta chiuso, come in un sepolcreto

semplice, tutto un periodo della mia vita,

dal primo sogno infantilmente tenue del-

l'adolescenza, all'ultimo dolore insanabile

della giovinezza, finita precocemente, a

venti anne.

I suoi versi li ho raccolti, dolorando,

palpito per palpito e lacrima per lacrima,

in ogni attimo. Son nati e son vissuti con

me, soli soli, nell'ombra; e adesso escono

dall’ombra dove sono nati per passare

nell'ombra dove morranno.

Basta una sola ora di luce perchè 1

fiori d'ombra s'avvizziscano per sempre.

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Le IRENE: DI "a MAT vw rta

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LE INTIME

AMORE.

Amami. Nel tuo amore io sento come

rinnovellarsi l’anima e la vita:

un’ebbrezza di sogno indefinita

ha l’intrico per me delle tue chiome.

Lascia che affondi le mie pure mani

nei folti cirri dei capelli tuoi,

e baciami. Così, dimmi se vuoi,

vorrei addormirmi sui dolori umani.

I tuoi capelli son d’una finezza

come la seta che non si lavora:

passa nelle tue tempie e m’accalora

le palme, il sangue della giovinezza.

E sulle palme io sento scivolare

il brivido dei tuoi pensieri ignoti;

vorrei poterti i sogni più remoti

negli occhioni profondi ritrovare.

Ma la pupilla è mesta, così mesta,

è tanto desolata, tanto triste,

che ho male nel guardarti. Non esiste

una pupilla triste come questa.

Non so quali ricordi tu richiami, non so quali tristezze tu rivedi.

Guardami, e non piangere se credi

all’avvenire dolce per cui m’ami.

Non piangere. Nessuna piaga sana

la lacrima; la lacrima non lava

nessuna cosa. Quètati: più grava,

se si ricorda, la sventura umana.

Quètati. Abbiamo assieme pianto tanto, - perduto abbiamo assieme tante cose,

sfrondarsi abbiamo visto tante rose,

abbiamo assieme morti al campo santo. Î

Assieme! e pure io taccio, e pure io forte

chiudo nel cor lo strazio e non lo mostro:

ha bisogno di pace, questo nostro

sogno, per non temer manco la morte.

Guardami, a lungo, a fondo. Tutta voglio trasfonderti la mia anima grande, e farti d’essa un fascio di ghirlande

tenaci, come d’edera in rigoglio.

— 15 —

DEDIZIONE.

Io son tutto di te. Nulla più resta

all'anima che non sia tuo. Mi pare

d’essere un nudo implume in mezzo al mare:

nessuna Cosa all’anima più resta.

T'ho dato tutto; della giovinezza i più bei fiori t'ho gettato ai piedi;

t'ho eretto un trono d’arte, su cui siedi,

di tutti i sogni della giovinezza.

Ho chiuso tutti i raggi del pensiero

nello scrigno degli occhi tuoi profondi:

io trovo in essi sconosciuti mondi,

immensi e forti come il mio pensiero.

I palpiti che battono entro il petto

sono l’eco di quelli del tuo core:

cantano, come i tuoi, cose d’amore,

come i palpiti eterni del tuo petto.

— 16 —

Tutta la forza che nel sangue sento

mi viene dalla luce dei tuoi occhi;

m’eleva sui potenti e sugli sciocchi,

questa forza, ed intrepido mi sento.

La bontà che nell'anima pervade

dal buono e mite riso tuo mi viene ;

mi fa guardare e piangere le pene

umane, la bontà che mi pervade.

La vita si sprigiona dal tuo amore,

amo la vita sol perchè tu m’ami,

l'avvenire ha per me dolci richiami

solo perchè m’avvinci del tuo amore.

Io non ho nulla. Ho solo te nel mondo,

tu sei luce per me, speranza e vita,

ed è il tuo sogno solo che m'’incita

a combattere e a vincere nel mondo.

— 17 —

PASSIONE.

Io t'amo per le tue lacrime oscure,

per i tuoi pianti che son pianti miei,

per tutto il tuo dolore, perchè sei

più infelice di tutte le creature.

E pel delirio tuo, t'amo, che viene

da tanto lungi a intenerirmi il core,

per il tuo affanno e per il tuo pallore,

per tutti i tuoi sospiri e le tue pene.

E perchè all’alba quando t’alzi, stanca,

corri a guardar le chiome dei cipressi,

e ti fai cupa come se vedessi chiome di furie dentro il ciel che imbianca.

Perchè alla sera, quando l’ombra scende, temi la notte e l’ombre che ti porta, e il buio ti dispera e ti sconforta pel diserto che intorno ti si stende.

2 — CASALINUOVO,

— I8—-

Perchè non hai chi ti sorrida, nè

chi ti parli e ti stia sempre d’accanto;

non hai una mano che t’asciughi il pianto,

e chi vegli i tuoi sogni e pensi a te.

T'amo, perchè non hai, perchè non hai

nessuno, e perchè sei orfana e sola:

non ha l’orfano manco una parola

che lo conforti, una parola, mai!

Io t'amo, perchè voglio aprirti il passo

nel mondo, perchè voglio andare avanti

per farti largo, \con coraggio, avanti,

per levarti una spina ed ogni sasso;

perchè voglio con te salir le alture

di tutti quanti gl’ideali miei,

salire in alto, e voglio dir che sei

più felice di tutte le creature!

— 19 —

I BACI.

Io sulle gote ancòr- sento salire

il fuoco che salì pel primo bacio,

ed or, che sei lontana e non ti bacio,

mi sento ogni dì più come sfinire,

Per me i tuoi baci avevano un licore

in cui fremea l’essenza della vita;

ora pare, senza essi, la mia vita,

un immenso rovaio senza un fiore.

Niente sazia la sete che saziava,

come una pura fonte, la tua bocca:

nessun bacio può dar nessuna bocca

dolce come la tua me lo donava.

Il mio sangue ristagna nelle vene,

quasi un fiume di lava che s’è spento, ed il mio cuore è un gran vulcano spento, . perchè manca l’incendio del tuo bene,

—. 20 —

Nella vita, non arde più la fiamma

- dei sogni, che accendevano i tuoi baci...

Ora non ho più alcuno che mi baci:

mi manca pure il bacio della Mamma.

LA VISITA.

Oggi che son venuto fatti core,

io vengo da lontano, da lontano;

non piangere così, dammi la mano,

e asciugati un po’ gli occhi e fatti core.

Non piangere così. L’anima crede

che al pianto non ci sia veleno uguale:

il pianto tu non sai come fa male

agli occhi di chi piange e di chi vede.

Ti trovo tanto pallida e sconvolta

che se ti guardo a lungo mi fai pena.

Hai gli occhi rossi che rivedo appena

le limpide pupille d’una volta.

Vieni un po’ qua, vicino. Voglio, come

una bimba, tenerti sui ginocchi,

e vo’ coi baci raddolcirti gli occhi

e affondarti le mani nelle chiome.

— dei —

Vieni più qua, con me vicino, e sii

buona com’eri in un lontano giorno,

e, come allora, passami d’intorno

il tuo braccio bianchissimo, così...

Sulle tue gote piove la rugiada,

fa che l’asciughi e non mi scontentare :

io sono stanco chè ho dovuto fare

tanto lungo cammino e tanta strada.

Fa che t’asciughi e tienimi contento,

perchè tutte le gioie oggi ti porto;

oggi, con questa visita, è risorto

tutto un passato che sembrava spento.

Ti porto nuovi fremiti pel core,

nuove messi pei sogni oggi ti reco,

ti farò nei miei baci udire l’eco

delle lontane voluttà d’amore.

nei baci si trasfonde e si sa dire;

sentiremo nei baci rivenire

un mondo che parevaci distrutto.

Baciamoci, e sta forte e fatti core,

per poco ancòra ti starò lontano;

non piangere così, dammi la mano,

e asciugati un po’ gli occhi e fatti core.

|

Non piangere e baciamoci, chè tutto

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Lu

ai

— 23 —

LETTURA.

È un libro di novelle quello ch’hai

tra le piccole mani aftusolate;

tu leggi sempre, e non ti stanchi mai,

storie d'amore e favole di fate.

Io pure leggo, ma il mio libro è strano,

è tanto strano che lo leggo io solo:

nel fascino del suo linguaggio arcano

solo io fremo, m’inebbrio e mi consolo.

_Io pure leggo, e non lo sa nessuno,

ed a nessuno il libro mio lo mostro:

voglio leggere io solo, ad uno ad uno,

tutti i secreti dell'amore nostro.

E il mio libro l’hai tu; l’hai chiuso ne lo

splendido mar dell’occhio tuo profondo:

si specchia in esso tutto quanto un cielo,

palpita in esso tutto quanto un mondo.

Aprimi gli occhi, perchè io legga, prono le lontane memorie, a mille, a mille... 7 } son tanto dolci le parole, sono come gli sguardi delle tue pupille.

— 25 —

CAPELLO BIANCO.

Dalla foresta dei capelli biondi

mi cade un cirro sulla fronte, stanco;

se guardi bene, c'è un capello bianco,

triste pensiero tra pensier giocondi.

Guarda: lo vedi? È come un fil d’argento

tra l’oro grezzo e cupo dei capelli:

nel mar degli altri, giovani e ribelli,

somiglia un vinto che si regge a stento.

Cerca: così. La mano tua mi fa

passare un filtro in fondo del cervello.

Cerca... Hai trovato in fine il mio capello,

il mio capello ch’è appassito già.

Ha la sua storia il mio capello bianco,

ed io so perchè è morto il mio capello;

esso è un sogno caduto in sul più bello,

povero sogno troppo presto stanco!

aida fa pino

Era nato nel cuore ed era ardito,

crebbe in un’alba e fu nell’alba audace,

s'aderse e cadde, tristamente. Pace,

o mio sogno di gloria seppellito!

Oh, lascia, non lo svellere. Mi fu

caro e m'è cara la sua tomba. Quello

è il suo sepolcro: in quello, in quel capello

sta chiuso un sogno della gioventù.

— 27 —

RICAMO.

Tu mi sembri una bianca d’oriente

così china al tuo bianco ricamo,

e guardandoti fremo, io che t'amo,

o mia bella pensosa d’oriente.

La tua mano più bianca del lino

e più morbida assai della seta,

una rosa di maggio completa

sopra il diafano sfondo del lino.

Io la guardo, la piccola mano,

che trapunge correndo e che crea,

ed imagino un tatto di dea

sotto sotto la lieve tua mano.

Oh ricama, ricama. Così

quando volgi su me gli occhi neri,

mi ricami a migliaia i pensieri

dentro il nudo cervello così...

PE toa

Tu così mi ricami agilmente

l'avvenire, così mi ricami,

quando dolce ripeti che m’ami,

o mia bianca pensosa d’oriente!

— 29 —

CONFIDENZE.

Fatti più a fianco e guardami. Lo sguardo

è come un sol che illumina e feconda;

nell’anima schiantata e moribonda

sento fiorire fiori col tuo sguardo.

Guardami. Come nitidi hai tu gli occhi,

come grandi e profondi e come neri!

Voglio leggere in essi i tuoi pensieri:

si leggon due che s’amano negli occhi.

Fatti più a fianco e ridimi. Il sorriso

è un raggio che riscalda e che rischiara:

io vedo la dimane assai più chiara

per la luce ch’emana dal tuo riso.

Ridimi. Sulle labbra tue dischiuse

vedo alitare l’anima. La bocca

è il suo specchio più nitido. Trabocca

il cuore sulle labbra tue dischiuse.

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— 30 —

Fatti più a fianco e porgimi la mano,

la pura e fine mano tua di neve;

ecco la mia un po’ rude che riceve

fremiti, appena tocca la tua mano.

Mano in mano così non sarei solo

nel mondo, e mai mi stancherei d’andare.

Restiamoci così; non mi lasciare

la mano, se non vuoi lasciarmi solo.

Fatti più a fianco e gittami sul collo

le braccia, per trasfondermi il tuo fuoco:

l’anima che si scalda a poco a poco

fa che incendii in un attimo. Sul collo

gittami le tue braccia. Io sono l’olmo

giovine e tu sei l’edera: mi suggi

tutta la vita, e in fine ti distruggi

su di me, come l’edera sull’olmo.

Fatti più a fianco e donami le labbra,

le rosse labbra tue di melo grano.

Ecco le mie assetate: mano in mano

restiamoci, ed uniamo labbra e labbra.

Baciami e fammi ubbriaco dei tuoi baci,

tutta la vita in essi tu mi dài;

baciami sempre, non stancarti mai:

io vivo tutto il mondo nei tuoi baci.

L'ULTIMA VOLTA.

Quando venni da te l’ultima volta,

rimasi poco, un attimo, all’impiedi.

Ancòr (tu sei lontana e non mi vedi)

ho sul viso il pallor di quella volta.

Ci restava un minuto e non parlammo,

restammo muti, immobili, di pietra:

quella scena ho scolpita ancòra, tetra,

come allora, d’innanzi. Non parlammo,

nè piangemmo una lacrima. Silenzio.

Le pupille parevano cristalli.

Al di fuori il nitrito dei cavalli

s'alzava, minacciando, nel silenzio.

Noi non parlammo. C'era nelle vene un freddo e lesto scivolìio di gelo : tremavi tutta tu, come uno stelo

esile; avevi freddo nelle vene.

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— 32 —

Tacemmo, ma alle nostre anime tristi

quel silenzio parlò parole amare:

noi sentimmo sul capo alto passare

la minaccia di giorni assai più tristi.

E così ci lasciammo quella. volta,

senza un saluto e senza una parola;

io son lontano e tu sei sempre sola

sì come ti lasciai l’ultima volta.

DUE NOVEMBRE.

Alzati, è tardi. Già fin dentro l’orto

è giunto il sole e suona la campana,

come un’eco di cose assai lontana,

suona da un pezzo, tristamente, a morto.

Ho raccolto assai fiori, guarda. Ancòra

‘ le corolle son cariche di brina,

li ho raccolti per tempo, stamattina,

prima del sole e prima dell’aurora.

Prendi i tuoi fiori: questi, questi... e questi

sono per me. I tuoi ceri, ecco, e i miei ceri;

ora tu va di là pei tuoi sentieri,

io piglio a manca i miei sentieri mesti.

Oggi è il sol giorno che si fa due strade,

e si va soli, ognun per la sua via,

perchè la mèta tua non è la mia:

abbiamo due sepolcri in due contrade.

3 — CASALINUOVO.

Baciamoci, e ricorda il crocivio: noi qua ci rivedremo verso sera, dopo che avremo detto la preghiera

pei nostri morti. Un altro bacio, e addio.

FEDE.

Son passati molti anni, ormai, da quando noi c'incontrammo per la prima volta: d’allora su di noi, ripensa, molta ira di cose sogghignò, passando.

Fu una sera d’autunno, se rammenti, in una festa fu che c’incontrammo: da quella sera noi quanto ci amammo in battaglia col mondo e con gli eventi!

Eri bambina ed ero anch’io bambino, tanto ch’entrambi ancòr si andava a scola, a sillabar d’allora la parola che c’insegnava un unico destino.

Ora tanti anni son passati, tanti autunni dopo quello son venuti, e noi, se pensi, siamo assai cresciuti, e nella vita siamo andati avanti.

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— 36 —

Avanti sì, ma come a stento, come

siamo mutati e come siam diversi,

come l’amore lieto che t’offersi

s'è contraffatto tristamente, come!

Però non siamo ancòra vinti: abbiamo

ancòra forza a compiere il cammino,

perchè correndo a un unico destino

più ci sentiamo forti e più ci amiamo!

I SONETTI

PREGHIERA.

Oggi mi prostro e prego sotto il sole

che avvolge tutto in un incendio il mondo.

Prego: — Sole che fulgi alto e giocondo

sui campi brulli che non han parole;

sole, che nell’estate il grano biondo

maturi e nell’inverno le viole

alimenti di te; sole, che il fondo

della vita rischiari; oh sole, sole,

tu illumina il sentiero in cui cammino

penosamente verso la mia mèta,

illumina, e tu mostrami la cima

dell’ultimo ed eterno mio destino.

Oh sole, tu rischiara quella mèta,

e circonda di luce quella cima!

— 40 —

EDERA.

L’anima, che nei sogni suoi calpesta

l’alloro che al mercato oggi si dona,

e, forte di se stessa, corre buona

verso la morte, \come ad una festa;

l’anima, che d’un tratto cade prona

all’odio del destino che s’appresta,

vuole che mani pie sulla modesta

bara mettano solo una corona.

E la corona intreccino le mani

dell’edera che il fido albero mai

sciolse, e tenace nella sfida intese

il sole dell’agosto e gli uragani.

Come l’edera, eterna ove s’appese,

io cadrò sulla fede che abbracciai.

— 4I —

PROMESSA.

Io verrò per rapirti un giorno, quando

alla vita sarò parato e forte,

quando, sulle rovine d’una sorte

infame, m’alzerò fiero, cantando.

Allor verrò, allor che l’ire, insorte

contro di me, calpesterò passando,

e verrò per rapirti, allora, quando

per inimica avrò solo la morte.

E ti trarrò con me dentro la balda

lotta che mi prepara l’avvenire

per un santo ideale e una bandiera ;

con me, fin quando tutta questa salda

vita cadrà; per vivere e morire

con me, in eterno, con me solo! Spera.

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— 42 —

AUTUNNALE.

Allo stormir che fecero le foglie

noi taciti guardammo nel frascame.

Fremendo ancòra, dentro le sue brame

il cuore pel ricordo si raccoglie.

Noi guardammo. Da mezzo delle rame

cadevan roteando delle foglie.

Oh come a un tratto delle nostre voglie

stringemmo forte le già strette trame.

E le foglie stanchissime al terreno

caddero come cadon cose morte.

Vennero allora agli occhi in un baleno

l’anime che un timore aveva assorte,

e nello sguardo lucido e sereno

la vita lampeggiò stretta alla morte.

ANNIVERSARIO.

Ti direi tante cose in ginocchioni,

oggi che sei più orfana e più sola,

la mollezza di tutti gli abbandoni

avrei nella magìa della parola.

Ti parlerei di mille seduzioni

in cui dall’oggi l’anima s’invola :

lacrime non avresti negli occhioni

ed il singhiozzo ti morrebbe in gola.

Se fossi oggi con te farei di tutto

per darti core ed asciugarti il pianto:

più non rinasce ciò che s'è distrutto.

Oggi fa un anno da che piangi tanto

e vivi sola nella casa in lutto... Dormono sempre i morti al campo santo.

DISPERAZIONE.

O Mamma, ai nuovi studii sono intento

che mi dovranno procurare il pane,

che spinger mi dovranno alla dimane

pieno di forza e\ pieno d’ardimento.

Tu sognavi nell’albe tue lontane

vittorioso seguirmi nel cimento, ma i tuoi bei sogni l’ha portati il vento nel gran sepolcro delle cose umane.

Mamma, la Mamma dalla casa in pena più non mi pensa e più non mi protegge, più non mi segue e più non benedice;

la vita nei suoi vortici mi mena, mi sbatte, mi travolge, mi sommerge: io sono, o Mamma, l’ultimo infelice!

RITORNO.

Qui, dove suona dolcemente ancòra

l’eco soave delle tue parole,

e vanno a torno, taciturne e sole,

fantasime d’un tempo che m’accora,

oggi ritorno, mentre si scolora

sull’eccelse montagne il nostro sole,

e l’acque eterne nelle chiuse gole

piangono la natura che dolora.

Ecco, di tra le acacie scheletrite,

la vecchia casa nostra, oscura e muta,

come la fossa tua, povera Morta.

Quante cose là dentro, quale acuta

agonia di dolcezze già vanite

chiude nel pianto quella chiusa porta!

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— 46 —

II.

O casa vecchia, o casa di dolori, che ti rispecchi dentro l’acque pure,

io vengo dalle lotte alle tue cure

per bisogno d’affetti e di ristori.

Ma su di te non trovo fioriture

ed alle gronde tue nidi canori;

tu curva, senza trilli e senza fiori,

stai sotto il peso delle tue sventure.

Sul tuo desco non fuma la minestra,

non accende il tuo ceppo al focolare,

nessuna donna attende alla finestra.

La porta resta chiusa ora che appare

il primo figlio per la via maestra:

niuna Madre lo viene ad abbracciare,

DELIRIO.

L’anima mia stamane è tormentata

da un dubbio che la punge e che l’assale,

mentre van lente nella mattinata

le stanche note d’una pastorale.

Fremo e non indovino di che male

questa povera anima è malata;

forse saranno i sogni di natale,

poveri sogni d’un’età passata! -

E piango, e piango, e mi circonda un nimbo

di cose morte, seppellite e care...

Oh se potessi, a un tratto, queste forti,

audaci fantasie tutte spezzare,

spezzarle tutte per tornare bimbo

nel bacio dei miei vivi e dei miei morti!

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UL:

Così la Mamma, come un giorno ancòra, mi cullerebbe sopra i suoi ginocchi ; oh lo sguardo soave di quegli occhi quante lusinghe mi donava allora!

Ancòra non saprei quanto m’accora la lotta con i perfidi e gli sciocchi, ed i miei sogni non sariano tòcchi dalla bufera umana che li sfiora.

Che fole, che chimere nella vana vita in cui solo mi sorridi tu, e voglio solo te, bianca lontana!

Dove la Morta mia? dove la stanca parola che diceva di Gesù? dove te, dove te, lontana bianca?...

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SI 49

SONETTI TRISTI.

È un’alba fredda, senza sol, stamane,

come son ora l’albe del mio core;

ripete il fiume tra le nude piane

l’eco continua dell’uman dolore.

Stanotte, sulle cime più lontane

della montagna nostra (che candore!)

è caduta la neve. Le campane,

come un mortorio al tempo, suonan l’ore.

Quando più tardi sarà grande il giorno,

(dormono tutti e forse i bimbi ancòra

sognan nell’innocenza il tuo ritorno)

andrò pei campi, ricordando. Dove?

Io non lo so: pei campi, a veder nuove

fantasime che crea l’alma ed adora.

4 — CASALINUOVO,

— 50 —

II.

Corro nelle campagne moribonde, come sospinto da una forza ignota; un vento freddo, mulinando; ruota in mezzo all’aria le pagliuzze bionde.

Dai solchi vedo sorgere e dall’onde tutte le larve d’un'età remota: S'erge nel cielo, scuramente immota, la selva ossuta a dimandar le fronde.

Ora seguo il sentiero che conduce a un nostro campo e tu mi fai da guida, e la tua bocca par che mi sorrida

quel dolce tuo soavissimo sorriso. Ecco la Madonnina della luce... Perchè tu muti strada e cangi viso?

— 51 —

III.

All’ombra, qua, di questi vecchi ulivi, Mamma, sostammo assieme in un’aurora fatta di sole. Lo scrosciar dei rivi quei dolci sogni mi ripete ancòra.

Erano, ti ricordi? erano allora

tanti fiori qua su; tanto giulivi cantavano gli uccelli, Mamma, ed ora,

qui dove sempre nel ricordo vivi,

non c’è un fil d’erba, non ci son viole, margheritine non ci sono e canta rauco di tra le rame solo il vento.

Oggi nel cielo non sorride il sole, una tenebra scura tutto ammanta:

io corro solo senza sentimento,

— 52 —

LA MIA PENNA.

Questa povera penna ha atteso tanto,

senza parole, triste e inoperosa,

che la ruggine quasi l’ha corrosa,

come il mio cuore l’ha corroso il pianto.

Mentre oggi cerco inutilmente accanto

la stretta d’una pia mano pietosa,

o Mamma, io la riprendo, come cosa

sacra al tuo estremo e desolato canto.

Ma essa è, o Mamma, come inaridita,

è come un osso che non ha midollo,

come un liuto che non ha più accento.

E la premo, la stringo, la tormento,

quasi dovessi, soffocando un collo,

strappar l’ultima essenza della vita!

II.

Questa povera penna irrugginita

mi serve, o Mamma, per cantare ancòra:

deve la giovinezza che si sfiora

cantar l’ultimo canto della vita,

Deve cantare il canto in cui dolora

tutto il dolore della casa avìta,

dove ci pare, o Mamma seppellita,

che tu ogni giorno nuovamente muora!

E quando questa penna tutti quanti

avrà fiorito i fior di primavera

per fiorirti il sentier che non ha mèta;

allora, o Mamma, forte e senza pianti,

sulla tua fossa desolata e nera,

spezzerò la mia penna di poeta!

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Ero venuto, o Mamma, per portarti

la prima messe della giovinezza,

mietuta sopra i campi della vita

con la lucida falce del pensiero.

Dalla marina alla montagna nostra

tutta la strada avevo fatto a piedi,

solo ed a piedi, come un pellegrino,

nella notte lunare di dicembre.

O Mamma, o Mamma,. come camminai,

come fui forte per non mi stancare!

ebbi a compagni i lumi delle stelle,

ebbi per mèta il nostro tetto in sonno.

La tua materna attesa fu pel core

il securo bordone del viandante,

onde io, vicino all’umile villaggio,

mi misi in corsa ed arrivai più presto.

— 58 —

II

Era la casa, quando giunsi, sotto

la bianchissima alcòva della luna,

la canzone del fiume sonnolento

le cantava una dolce ninna nanna.

(Oh quante volte, a quella ninna nanna

m’ero addormito sulle tue ginocchia,

con le tue mani nei miei cirri biondi,

ed i miei occhi nel tuo cuor di madre!)

Un silenzio mutissimo gravava

sopra ogni cosa, come dentro un tempio:

ogni cosa, per l’ombra e pel silenzio,

ingigantiva e mi pareva sacra.

Il palpito del mio cuore anelante

riempì d’un tratto il cuore della notte;

bussai col cuore all’uscio addormentato,

e tu sentisti il battito del cuore.

In un minuto fui tra le tue braccia,

in un minuto fu la casa in festa;

il primo figlio ritornava al fine

in grembo della sua Madre adorata.

Sie

III.

Alla dimane sulla terra nuda

sorrise il sole d’un sorriso d’oro:

tu sorridevi come fatta bimba

al sorriso soave dei figlioli.

Era la casa un grande cuore in festa,

pieno di sogni e pieno di canzoni;

i piccoli dall’una all’altra stanza

s’incorrevano come due capriole.

Babbo sentiva l’anima riempirsi

di giovinezza, e sulle nostre teste

passava le sue mani rudi, come

una lieve carezza di fanciullo.

La prima bionda ci parea più bella

chè aveva aperto l’anima all’amore,

e dentro gli occhi suoi fatti di cielo

passava un sogno di felicità.

RE gn

IV.

Il giorno dopo fu come quel giorno

pieno di sole e pieno di sorrisi,

ma verso sera s’addensò nel cielo

da ponente una larga nuvolaglia.

O Mamma, o Mamma, come sopra il cuore

ci gravò quella larga nuvolaglia!

Bastò un minuto ad oscurarsi il cielo,

bastò un minuto ad oscurarsi il cuore.

Non ricordo più nulla di preciso.

Ti sedevo da poco a fianco; gli altri

erano tutti a torno; solo babbo

col piccolo indugiavano di là.

La fiammata s’alzava alla soffitta

come un rogo aspettante un sacrifizio ;

e a quella fiamma vidi farti bianca,

bianca, più bianca, bianca come neve;

602 —

e mentre io stavo per gridarti: Mamma!

tu cadesti riversa, o Mamma mia...

Tutti i figlioli in coro disperato

ti gridammo piangendo: Mamma, Mamma!

Il sacrifizio tuo non si può dire,

per raccontarlo non ci son parole.

Il cielo scatenò la sua tempesta, tutta in tempesta fu la nostra casa.

Ti trascinammo sopra il letto a stento,

dura e pesante, senza più parola;

dai denti chiusi a quando a quando davi

un gemito d’angoscia sconosciuta.

Suonò tutta la via dei nostri pianti,

tutti i vicini accorsero al tuo letto:

nelle stanze fu un lungo andirivieni

ed un lamento non udito mai.

Ci trassero lontani, ad uno, ad uno,

a forza, a forza, senza compassione;

a torno a te, per discacciar la morte, |

non lasciarono i tuoi sette figlioli.

Na

— 64 —

VI.

Per molto tempo noi sentimmo andare

lungo la casa l’urlo del tuo affanno;

chi sa quante parole in quell’affanno,

o Mamma nostra, ci volesti dire!

Stavamo assieme, i tuoi figlioli, avvinti,

senza coraggio di guardarci in faccia:

c'era paura di vedere scritta

negli occhi l’assai dura verità,

Le sorelle dicevano in lamenti

i ricordi dell’ultima vigilia,

e quei ricordi ci tagliavan l’anima

come coltelli non usati ancòra.

Io stavo tra di loro, umile e muto,

chiusa la testa tra le palme rudi,

vivendo in quegl’istanti di dolore

il dolore di cento mila vite.

4

ch gn ee

O Mamma, o Mamma, quel gran quadro oscuro

nessun pennello l’ha dipinto ancòra:

esso rimane agli occhi del pensiero

come la tua più sacra eredità.

5 — CASALINUOVO,

aaa

VII.

A quando a quando ti venivo a fianco,

a passo lento, lieve, umilemente,

come per non turbar la ninna nanna

che non sentita ti facea la morte.

Era il tuo letto dentro la penombra

simigliante a un altare di martirio,

e tu sopra l’altare eri la martire

che donavi la vita in olocausto.

Giacevi lunga, immobile, supina,

socchiusi gli occhi, esangue, senza vita.

Io t'ho chiamato cento volte: Mamma!

tu cento volte non mi rispondesti.

— 67 —

VIII

Il giorno dopo fu santa Lucia.

Tutte le figlie tue caddero a terra,

piangendo e supplicando: « O santa nostra,

santissima Lucia, se ce la salvi,

noi ti faremo una veste di seta,

ti adorneremo la nicchia di fiori,

ti accenderemo due candele al giorno.

Sarai regina delle nostre preci,

sarai patrona della nostra casa,

sarai la santa della nostra vita,

santissima Lucia, salvala tu! ».

Così dicendo si straziavan l’anima,

così dicendo ci straziavan l’anima.

« Ti diamo le pupille in sacrifizio,

ti diamo tutto, ma vogliam la Mamma.

Salva la Mamma e toglici la vista,

a Lei la luce e a noi l’oscurità.

Toglici gli occhi e lasciaci la Mamma,

santissima Lucia, salvala tu! ».

FERGRUAL

Una lampa fu accesa in ogni canto

ed ogni bocca disse una preghiera;

le vicine raccolte al focolare

intona-ono lunghe litanie ;

parve la casa un oratorio immenso...

Mater divinae gratiae, ora pro ea.

— 69 —

IX.

Babbo non stava fermo. Era il suo passo

pesante e cupo come su sepolcri;

andava solo, taciturno, curvo,

quasi gravato da una mano grave.

Ad ogni grido dei figlioli avea

come un sussulto, come una ferita

nuova, aperta nel cuore suo ferito.

Egli era l’ombra della morte in giro.

Noi figlioli eravamo il suo più grande i

martirio, che ingrandiva la disgrazia

fino al pensiero della distruzione.

Sette figlioli e tutti ancòr fanciulli.

L’ultimo (che puoi mai tu ricordare, i fratello, delle sue cure materne?) i

l’ultimo ancòra tanto tenerello

che non sanea addormirsi senza Mamma!

ii ii in erat

Io quei due giorni m’intesi infelice,

senza un altare per inginocchiarmi,

senza una fede per sperar la grazia.

Fîìro i miei santi i medici anelanti,

furon per loro tutte le preghiere.

« Salvatemela voi, voi che sapete

il male che la strugge, e che potete

con gli occhi della scienza investigare

nel suo corpo invecchiato senza età.

Io non so nulla. Vedo, ma non so

comprendere; sì, vedo, ma non altro

vedo che Mamma mia mi sta morendo.

Salvatemela voi. Di voi so tanti

miracoli; deh fatene uno ancòra

per questa Mamma che non ha peccati,

per nostro padre e per i suoi figlioli

che son senza peccati come Lei!

Salvatemela voi, voi che potete... ».

— 71 —

Non mi rispose alcuno. Niuno d’essi

mì disse: spera! niuno d’essi, mai.

Erano muti, cupi, come chiusi

in un mistero, e dentro quel mistero

io lessi la sentenza della morte.

A tuo fratello, più degli altri cupo,

(giunto la prima notte del tuo male

sopra un puledro a briglia sciolta in corsa)

dissi piangendo, dissi bestemmiando :

« Dimmi che te ne fai della tua scienza,

quando lasci morire tua sorella,

quando non sai scaldare il sangue tuo

che gela nelle vene di mia Madre?... ».

Egli rimase immobile, più cupo,

perduti gli occhi dentro un mar di pianto,

l’anima vinta dalla sua impotenza.

Veniva dalle stanze più vicine

il pianto delle mie sorelle bionde.

— 72 —

XI.

Mamma, perdona. Quando dentro il cuore si fece certo il triste tuo destino, e fui costretto a togliere dal cuore con le mie mani l’ultima speranza;

quando, Mamma, mi fecero sentire la tua fine imminente, e per la casa vidi un più lesto andirivieni, e intesi più forte salmodiare le preghiere;

quando, Mamma, ti vidi più ansimante come chi corre in fine della corsa, e più bianca ti vidi, e più t’intesi soffrire; quando braccia rudi e forti

mi strapparono a forza dal tuo fianco s Mamma, desiderai che fossi morta, morta all’istante, morta in sul minuto, perchè fosse finito il tuo martirio.

XII.

Mamma, il martirio tuo durò due giorni,

al terzo giorno non vivevi più.

Parvero quei due giorni pel tuo male lunghi quanto due secoli son lunghi.

In quei due giorni tu moristi sempre, sempre e poi sempre, cento volte all’ora;

dopo due giorni di continua morte, al terzo giorno non moristi più.

LE MINIME

>3BIBSSI: SESECLE

PAURA.

Tu ancòra fai ritorno,

quando più l’ombra è cupa,

come una vecchia lupa

che non conosca il giorno;

torni e m’agghiacci il sangue,

paura della vita,

e con le negre dita

macchi la fronte esangue.

Delle tue scure forme

l'oscurità s'adombra:

vedo nell'ombra l’ombra

che tu disegni informe.

Sto senza dir parola,

sta senza moto il cuore:

nessuno sa il dolore

di questa vita sola,

Domani a quale porta

potrò bussare io mai,

ora che tra i rosai

dorme mia Madre morta?

Chi mi darà domani,

dopo la giovinezza,

la morbida carezza

delle sue bianche mani ?

Fratelli, che venite

sulla gran via del mondo,

ricurvi sotto il pondo

di cento mila vite,

date le mani rudi

alla mia mano, forte,

copritemi alla morte

coi vostri petti nudi.

Strette le mani, e avanti

la turba dei ribelli...

Chi sa se noi, fratelli,

non passeremo avanti!

VIOLE.

Io nell’alba di marzo gioconda

raccolgo sui margini viole,

sorridenti al sorriso del sole,

tesoro dei margini.

La mia mano convulsa s’affonda

nei capricci soavi dell’erba,

in cui l'ombra gentile mi serba

pupille di vergini.

Son tutti coperti di viole,

quasi d’occhi cilestri, i sentieri:

essi sembran sui fossi velieri

azzurri che migrano.

Le corolle susurran parole,

quasi fossero bocche infantili,

e nei loro profumi sottili

s’inebbria lo spirito.

ei te nt nnt dn muti :

0

Io per te le raccolgo, e già di

viole ho tutte ripiene le mani,

sorridenti con grandi occhi umani,

tesoro dell’anima.

E vorrei, come viole, così,

còrre i fior del tuo labbro vorrei,

come i fior che ti mando ove sei,

i tuoi baci cogliere.

— 81 —

MATTINATA.

Vieni, mi disse. Saliranno rapidi

i raggi d’oro su pei cieli azzurri,

e noi nei baci sentiremo l’estasi

di tutta la matura che si sveglia.

Vieni. Lontano, sopra i mari limpidi,

inneggeranno le nereidi all’alba,

e noi nel canto del risveglio placido

l’anime unite doneremo ai sogni.

Vieni! mi disse, ed io nell’alba lucida

andai pei campi e lei mi venne in contro,

fiore fuggente sul terreno morbido

dentro la gloria delle nuove cose.

Avea negli occhi i luminosi e fulgidi

raggi che il sole non avea pei cieli,

e sulla bocca la freschezza tenera

che primavera non donava ai campi.

6 — CASALINUOVO.

nr —_—————T tati

| _ RMm—-—---., VT'YV»*. C_o©P©P.,8t —

ERO e

Oh che dolcezze! Furon baci e fremiti, furon delirii di sospiri e baci; noi ci abbracciammo per unire i palpiti, mentre che il sole benedìa dall’alto.

— 83 —

NOTTURNO.

Io veglio, mentre avvolta dentro l’ombra,

stanca per l’operata opra diurna,

dorme la terra, immensa e taciturna,

in mezzo all’ombra.

Io veglio e son nei campi. La città,

come un immane mostro addormentato,

s’allunga sotto il cielo ricamato,

queta città.

E sospiro, guardando: « O loggia bianca,

a cui l’edera lieve s’attorciglia, e spii da mezzo il verde che pispiglia,

o, loggia bianca!

«I dolci sogni, tu li senti, tu,

quelli che sogna la pensosa fronte,

sogni perlati come sol su fonte,

li senti tu!

« L’alito lieve e il placido respiro,

lo sai che dice, tu che dice sai:

— sogni d’amor, non mi lasciate mai! —

lieve respiro.

« Oh, ch’io sentissi tutto, come te,

quello che sogna per il suo venire,

e poi tra i fiori e l’edera morire,

loggia, su te! ».

i

MUSICA.

Tu suoni, e le armoniche corde

hanno fremiti al tocco tuo lieve,

mentre io leggo una pagina barbara

dell’italico Enotrio Romano.

Van le note nel caldo salotto

come voci di vergini in coro,

e pel triste mio cor la tua musica

è una blanda carezza d’amore.

Leggo e sento, Pel ruvido verso

qualche cosa nel sangue si scalda,

e il tuo suono fiorisce nell’anima

molti poveri fiori avvizziti !

Suona: io sento. Le cose lontane

tornan tutte sull’onda del suono,

e nel triste mio cuore di naufrago

nuovamente s’accende la vita.

sido i

Suona, oh suona! prolungami ancòra questa postuma ora di gioia...

Io consacro una pagina barbara

al ricordo dell’ora che va.

i

— 87 —

IL PERDONO.

A NicoLA LOMBARDI,

Alzati: non ti stare così prono

sulle ginocchia. Vieni, io ti perdono,

e ti bacio la fronte bianca come

la neve quando cade, e nelle chiome

ti passo, per calmarle, la mia mano,

nelle chiome in tempesta, piano, piano.

Alzati, non hai torto. L’uomo mai

ha torto del suo torto. Quieto. Guai

a chi nell'uomo non condanna il mondo!

Noi trasciniamo sulle spalle un pondo

che non è nostro e che non è d’alcuno,

pondo di tutti e pondo di nessuno.

Tu nella vita passi come ognuno,

e tu non puoi, come non può nessuno,

sottrarti al suo dominio. Ciò che fai

non lo fai tu; lo fa chi tu non sai,

chi di sè non veduto ti recinge,

il tuo dio, il tuo demòne, la tua sfinge.

Ra

Vieni, io ti bacio. Il male nostro è nella

nostra materia. Fa l’artista della

creta una statua a suo talento, ma

non così ci può, nè così ci sa

mai modellare l’utero materno.

In noi c'è il paradiso e c’è l’inferno.

È il nostro sangue infetto, ed è la carne

malsana. Ma chi mai, dimmi, può farne,

chi mai del sangue e della carne a meno?

L’essere nostro è un mare tutto pieno

di male, e questo mal l’ereditiamo

da tutta quanta\la genìa d’Adamo.

Ora son calma, vedi? Prima fu

la gelosia che m’infuriò. Non più

ora ti sgrido e più non piango. Sono

calma e ti bacio, calma e ti perdono.

Non impara ad alzarsi chi non cade,

nè il mondo ha tutte piane le sue strade.

Vieni, io ti bacio; vieni, io ti perdono,

dimani sii più retto e sii più buono,

e l’oggi t'ammonisca e ti redima.

Ciò che oggi sai non lo sapevi prima.

Alzati, vieni, e baciami chè sono

sicura del tuo amore e ti perdono.

PIOPPO SOLO:

Fianco fianco alla via solitaria,

vecchio pioppo, tu solo t’innalzi,

sei tu solo a svettare nell’aria,

solo tu che nel fiume ti scalzi.

Tu non vedi altro pioppo vicino,

tu non scorgi altro pioppo lontano;

t'alzi solo sul bianco cammino,

solo t'ergi sul verde del piano.

Quando parli non ci è chi ti senta,

quando chiami non c’è chi risponda,

sia di qua che di là della sponda

cresce solo la bassa sementa.

Quando il vento ti torce e ti squassa

sei tu solo allo strazio e alle lotte,

sempre solo nel giorno che passa,

sempre solo nel cuor della notte.

Vecchio pioppo, tu forse ti lagni

che stai solo a svettare nell’aria,

che tu solo nel fiume ti bagni

fianco fianco alla via solitaria.

Pioppo, senti: la mano che a fondo

ti scavò il primo solco e ti mise,

sapea troppo la storia del mondo

e dal mondo perciò ti divise.

—=(9I —

L’ARBORELLO.

Arborello, che un giorno lontano

nella terra feconda io qua misi,

e più volte inaffiai e ti recisi

l’erbe al piè con la stessa mia mano;

che più volte d’inverno ho voluto

ricoprire alla pioggia ed al gelo;

arborello, oramai sei cresciuto

e ti spazii fecondo nel cielo.

La gramigna ora striscia umilmente,

senza offesa al tuo piede ch'è forte,

e tu sfidi, arborello, la sorte,

e non temi, arborello, più niente.

Con le lunghe radici ora bevi

l’acqua in fondo alla terra e ti sazii,

ed ogni anno più in alto t’elevi,

e nel cielo ti spazii, ti spazii.

— 92 —

Son passati molti anni d’un salto,

ed io pure mi sono cresciuto,

ma io non sono, arborello, veduto,

ed ogni anno non vado più in alto.

Nè più vive la mano materna

a raccorre i miei frutti (ma quando?...).

I tuoi frutti, stamane, cercando,

l’ho raccolti con mano paterna.

NATALE.

O Mamma, da presso al tuo letto,

che stendesi come un altare,

ti veglio nell’ora suprema

del giorno invernale che muore.

Tu hai chiusi gli occhioni, contratte

le labbra sapienti nei baci,

e gravi si stendon le chiome

sui candidi lini. Tu dormi.

Lontano, discende sul monte

(mi pinge il pensiero una pioggia

di petali bianchi, cadenti

da un’alta corolla) la neve.

Il fiume, qui sotto, racconta

sospiri d’un tempo, memorie,

speranze vanite con gli anni,

o Mamma, racconta, passando.

Non senti? Tu dormi ed io veglio.

Il piffero dice di fuori

stranezze di rustiche cose;

la festa s’eleva: è Natale!

Natale! oh il ricordo dei sogni

lontani, che io schiusi al tuo fianco,

cercando con gli occhi di bimbo

misteri nei tizzi fumosi;

dei dolci miei sogni perduti,

cui tesi con fede le mani,

le povere mani anelanti,

e caddi nel vuoto di morte...

Natale! oh discenda la pace

sul tetto ove pesa il dolore,

discenda, e fiorisca di nuovo,

o Mamma, la dolce tua vita!

PASQUA.

O piccolo dolce fratello,

non stare con noi a lamentatti;

c'è il sole di fuori che brilla,

e i bimbi che cantano a festa.

Quand’ero io bambino, mi stavo

di fuori, nel sole e tra i bimbi;

le acacie li sanno i ricordi

di tutti quegli anni lontani.

In casa c’è troppo dolore:

le imposte son tutte socchiuse;

ci manca financo la luce

da quando ci manca la Mamma.

Non stare con noi a disperarti,

o piccolo dolce fratello :

i teneri steli, se guardi,

si spezzano al vento d’aprile.

Di fuori c’è il sole, oh che sole!

di fuori s’inseguono i bimbi... oh ancòra tornare tra i bimbi,

nel grande trionfo del sole!

Qua dentro c’è troppo dolore,

non stare con noi ad ammalarti:

io t'apro le porte, o fratello,

ai canti, ai trastulli ed al sole!

Oh senti che squille di gloria

si spazian squillando nel cielo...

È Pasqua, la Pasqua, o fratello;

io t'apro le porte alla pace.

Non piangere e lasciaci soli;

noi abbiamo goduto altri tempi.

Io t'apro le porte: è il tuo tempo:

è Pasqua ed io t'apro le porte!

NOZZE.

Tu piangi. Oh non piangere; autunno

è ancòra lontano lontano ;

tu ancòra rimani con noi

per farci da Mamma, o sorella.

Il giorno del tuo sposalizio

sarà una giornata di pianto.

Io curo ed inaffio le piante

pel tuo sposalizio, o sorella,

Non piangere. Mamma non vuole

che piangano gli occhi tuoi belli :

tu devi godere le nozze

nel sacro ricordo di Mamma.

La benedizione sua santa

l'hai avuta per te e pel tuo amore:

‘sta calma, perchè nell’amore

potran rifiorire le rose.

7 — CASALINUOVO.

intra, Non piangere. Ancòra starai,

per farci da mamma, tra noi;

ancòra ti avremo con noi,

mia piccola piccola mamma.

Sta calma e facciamoci core,

chè ognuno ha un diverso destino.

La quercia ad autunno le foglie

disperde in diverse contrade.

Sta calma e carezza i tuoi sogni,

i sogni d’amore son belli;

io curo ed inaffio le piante

per poi ricoprirti di fiori.

Sta calma e non piangere. Mamma

non vuole che tu ti disperi:

tu devi godere le nozze

nel sacro ricordo di Mamma!

PORTA CHIUSA.

Io batto alla povera porta

nel triste meriggio invernale,

un dubbio improvviso m’assale

e penso che tu non sia morta.

Nessuna parola d’amore

mi vien dalla chiusa tua porta,

mi par di chiamare una morta

che ha chiuso per sempre il suo cuore.

Ricordo. Salimmo le scale,

spingemmo la povera porta,

s’aprì sopra i cardini accorta,

e poi tornò a chiudersi uguale.

Nel breve silenzio dell’ore

pulsò la mia vita risorta:

per tanto la povera porta

mi vide tornare all’amore.

7# — CASALINUOVO.

oo

E ancòra mi vede, la porta, tremante salire le scale, ma il vecchio tuo nido ospitale mi sembra una casa di morta. E batto col povero cuore, e batto alla povera porta, che come una cassa di motta Sta chiusa al richiamo d'amore!

LO

LA CASA.

Le tue piccole mani

ordineranno tutto, poi, domani.

Mancano molte cose,

sì, lo so: le rose

sul camino,

e qua vicino

ci vuole un ninnolo, ci vuole

qua dentro un po’ di viole...

Sì, domani,

ordineranno tutto le tue mani.

Io non ho fatto nulla,

proprio nulla;

tutto è arruffato, sì,

tutto è così.

Ma non è mia la casa, come sai:

la casa è dell’amore.

Domani,

con le tue piccole mani,

farai ciò che vorrai,

perchè, come tu sai,

tu sei l’amore!

— 102 —

To voglio solo, senti: voglio che ti rammenti, (quando sarai di là nel mio studiolo, dove per te lavoro solo solo) d’essere un poco accorta; voglio che tu mi lasci, come ho fatto, tra le carte ed i libri, il tuo ritratto vicino a quello di mia Madre morta.

IL. .BOSCO.

Ecco il bosco, il mio nativo

bosco nero.

Tutto è ancòra come quando

non venivo solo solo,

e c'è ancòra il rosignolo

che fa vivo,

poetando,

questo gran silenzio nero.

Mi cullavi sui ginocchi,

mi narravi: c’era, c’era...

Non vedevano i miei occhi

che la tua pupilla nera.

Mi dicevi, ti dicevo :

torneremo un giorno ancòra,

soli soli,

dentro il lume dell’aurora,

a sentire i rosignoli...

Sorridevi e sorridevo.

Tr

PA tt n tin ai e rn _ n

— 104 —

Ora torno solo solo nel nativo bosco nero, e mi sembra, il nostro bosco, un gran chiosco di mistero.

Canta ancòra il rosignolo dentro il gran silenzio nero, e mi dice: Tu sei ‘solo,

Ella dorme al cimitero!

— 105 —

ULTIMO SOGNO.

Mamma, il tuo primo figlio, il primo frutto

del tuo grembo fecondo e del tuo amore,

che ti crebbe lontano — come un fiore

che si stacca dal gambo ancòr bocciuolo

e germoglia nell'acqua — Mamma, è solo,

dove tutto odia e sprezza, e dove tutto

lo sprezza e l’odia, il primo tuo figliolo.

Egli non ha nessuno; egli non ha

chi lo sorregga e chi gli porga aiuto;

va nella vita come uno sperduto,

senza faro nè porto. Da lontano

non vede il segno d’una bianca mano,

e nell'oceano dell’immensità

lo porta l’onda come un suo rifiuto.

IO

Egli non sogna molto ; egli non culla troppe speranze per la gioventù, chè non ingordo l’educasti tu il tuo primo figliolo. Vuol soltanto che il suo sepolcro sia nel campo santo dove tu dormi, e v’accomuni il nulla. Questa sarà la gloria e nulla più.

N \ \}J y \ © î A À A AN

Anima mia invecchiata, povera anima mia, balza fuor dall’ombrìa cupa dove sei nata.

Alzati e canta. È l’ora in cui trionfa il sole: vengon tenui parole sull’ale dell’aurora.

Nessuna nube adombra il cielo trasparente : è l’ora finalmente di balzar fuor dall’ombra.

Tu che domandi? Nulla. Che cosa cerchi? Zero. La vita è dentro il nero occhio d’una fanciulla,

— II10 —

Anima, avanti. È tutto fiorito oggi il cammino, Ancòra il tuo destino forse non s'è distrutto,

Andiamo, andiamo. Accorta chè appare il campo santo; intona il più bel canto per nostra Mamma morta.

Dici con me: — Per sempre, - Mamma, sarai con noi, con i figlioli tuoi, Mamma, sarai per sempre! —

E adesso anima, avanti, risana i tuoi dolori: la mano colga fiori, la bocca intoni canti.

Noi non saremo soli a far la strada intera:

| adesso, in primavera, cantano i rosignoli,

Cammina, e non guardare se il volgo ti deride ; il volgo mai non vide le oscurità del mare.

I

==. IIlI —

Anima, avanti, avanti, corri lontan dall’ombra, dalla mia mente ingombra Strappa i più belli canti.

Domanda ancòra inganni, sogni e speranze al cuore, domanda ancòr l’amore ai forti tuoi venti anni!

Prefazione .

LE INTIME.

Amore ,

Dedizione .

Passione

I baci

La visita

Lettura .

Capello bianco Ricamo .

Confidenze

L’ultima volta

Due novembre

Fede .

I SONETTI.

Preghiera. . Edera

Promessa .

INDICE

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13 I5 17 19 2I

23 25 27 29 3I

33 35

39 40 4I

nt Autunnale , Anniversario . Disperazione . Ritorno.

Delirio .

Sonetti tristi .

La mia penna

MATER.

Lig

I. TIre.

IV Vero NI

Wie: VII . IK.

XxX. RIN XII .

LE MINIME,

Paura

Viole

Mattinata

Notturno

Musica .

Il perdono. .

Pioppo solo . L’arborello

Natale . Pasqua .

Nozze

— II4 —

42

43 44 45

47

49 $2

57

60

6I

63 64 66

67

70 72.

73

POCA A SA RI I e 00 LA CASALI PAU AN ROIO DL SITO TIEDOSCO UR IO gita ES e NOLI

UNO SO sO RR RN URI OO,

IL sALUTO

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