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Il creatore di un’età politica - Giovanni Giolitti
Indice
Il creatore di un’età politica
Giovanni Giolitti
“Il Governo ha due doveri, quello di mantenere l'ordine pubblico a
qualunque costo ed in qualunque occasione, e quello di garantire nel modo
più assoluto la libertà di lavoro.” (Giovanni Giolitti)
Gabriele Lobina
Il creatore di un’età politica - Giovanni Giolitti
Indice
Le premesse dell’ Età Giolittiana L’esito delle elezioni del 1900 sancì la sconfitta del fronte autoritario e la successiva
elezione a capo del governo di Giuseppe Zanardelli (1901).
Il neo-primo ministro prese le redini del paese durante un periodo di tensione, dovuto
alla presa di coscienza del movimento dei lavoratori, e alla conseguente caduta del vecchio
governo e all’ abbattimento di quella politica repressiva e autoritaria che nulla più poteva
contro l’insorgere dei lavoratori.
Zanardelli, per risolvere la tensione venutasi a creare, decise di risolvere i conflitti sociali
attraverso una politica di riformismo sociale: decise quindi di introdurre i ceti subalterni
nella vita politica della propria nazione.
costituirono una svolta significativa nella storia della politica dell’Italia unita.
Queste premesse e questo tipo di politica riformista introdotta nel nuovo governo furono
alla base dell’ascesa al comando del governo di Giovanni Giolitti, il quale, successore di
Zanardelli nel 1903, diede inizio ad un quindicennio di politica italiana che lo vide
protagonista nella carica di primo ministro: egli iniziò, anzi creò, quindi, la cosiddetta “Età
giolittiana”.
Indice – “La Politica di Giovanni Giolitti: L’Età Giolittiana” Gli inizi della carriera politica… ............................................................................. 1
Il Secondo Governo: una stagione di riformismo sociale ........................................ 2
Le convergenze politiche con il Psi
-Il “Compromesso Giolittiano” .............................................................................. 2
-La scissione interna del partito socialista ............................................................ 3
Le dimissioni di Giolitti del 1905
-La parentesi Fortis ............................................................................................... 4
-Il Governo autoritario di Sidney Sonnino……….….………………………..……………….4
Il ritorno di Giolitti al Governo
-Il Dualismo economico dell’Italia………………………….……………………………….…..…..5
-Il fenomeno crescente dell’emigrazione……….……………………………………..….…….6
-La Politica colonialista e l’impresa di Libia……………………….……….………..…….7
-Le ripercussioni politiche dell’impresa libica…………………………….……….…..7
Il Quarto Governo di Giolitti
-La riforma elettorale: il suffragio universale…………………….…………………………..……8
-Il “Patto Gentiloni”………………………………………………………………………………….9
La fine dell’Età Giolittiana
-Le elezioni del 1913 e le dimissioni di Giovanni Giolitti……………………………………10
-Il Governo Salandra……………………………………………………………………………….11
Gabriele Lobina
Il creatore di un’età politica - Giovanni Giolitti
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Classe 5^F Liceo Scientifico G. Brotzu 20/01/2013
La Politica di Giovanni Giolitti:
L’Età Giolittiana
Gli inizi della carriera politica… Giovanni Giolitti nacque a Mondovì nell’ottobre del
1842. Cresciuto in una famiglia della media borghesia,
egli fu un portatore di idee liberali e fu privo di un
passato impegnato nel Risorgimento. Giolitti iniziò la sua carriera nel 1862, rivestendo il
ruolo di funzionario al ministero di Grazia, Giustizia e
culti, e nel 1869 passò al Ministero delle Finanze,
lavorando al fianco di diversi ministri della Destra
Storica, quali Quintino Sella e Marco Minghetti, al
fine di raggiungere quel famoso pareggio di bilancio del
1875. Nel 1877 fu nominato alla Corte dei Conti e nel
1882 al Consiglio di Stato, ma la sua carriera politica
iniziò esattamente nel 1882 quando venne eletto
come deputato per la Sinistra e, successivamente, nel
1889, nominato come Ministro del Tesoro nel
secondo governo di Francesco Crispi. Egli si dimise
dalla carica assegnatagli da Crispi nel 1890, in seguito
ad un generale disaccordo con il capo del governo
sulla questione coloniale: Giolitti successivamente
abbandonò il gruppo crispino e divenne capo della
Sinistra Costituzionale. Così, nel 1892, in seguito alla disfatta del Governo di
Crispi, e alla successiva caduta del breve governo del
marchese liberal-conservatore Antonio Di Rudinì,
appoggiato dallo stesso Giolitti, il re Umberto I nominò il politico di Mondovì
nuovo Primo Ministro (15 Maggio 1892). Egli poi, fu costretto a dare le sue prime dimissioni il 15 Dicembre 1893, dopo
un anno circa dall’inizio del suo mandato, perché:
Travolto e messo in difficoltà dal famoso “Scandalo della Banca
Romana” , che lo vide protagonista;
Giovanni Giolitti (Mondovì, 27 ottobre 1842 – Cavour, 17 luglio 1928)
Francesco Crispi (Ribera, 4 ottobre 1818 – Napoli, 12 agosto 1901)
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Malvisto dai grandi industriali e dai latifondisti del Sud per il suo
atteggiamento tollerante e non reazionario nei confronti delle
proteste popolari nel Paese (es. Fasci Siciliani);
Sospettato di dover introdurre un’imposta progressiva sul reddito.
Il Secondo Governo: una stagione di riformismo sociale Alla base della politica giolittiana ci fu la tentata conciliazione degli interessi della
borghesia industriale con quelli del proletariato urbano e agricolo, al fine di
diminuire la tensione sociale creatasi e di dimostrare la neutralità del Governo
nei confronti dei conflitti sindacali. Il primo ministro quindi, nel 1903 decise di
associare al governo il socialista riformista Filippo Turati e di intraprendere un
generale atteggiamento tollerante nei confronti degli scioperi dei lavoratori,
esortando fin da subito i prefetti a tollerare gli scioperi dei lavoratori.
Il riformismo sociale intrapreso da Giolitti fu evidenziato dai provvedimenti di
legislazione sociale presi nel 1904: le leggi a tutela del lavoro delle donne e dei
fanciulli, quelle sugli infortuni, sull’invalidità, e sulla vecchiaia; inoltre, per
acquistare consensi tra le file dei socialisti e dei cattolici, vennero creati dei
comitati consultivi per l’emigrazione e per il lavoro, e nelle gare d’appalto bandite
dallo Stato furono ammesse le cooperative di lavoratori cattolici e socialisti.
Le convergenze politiche con il Psi
-Il “Compromesso Giolittiano”
Giolitti intraprese una politica di apertura e di
compromesso (il cosiddetto “Compromesso
Giolittiano”) al fine di acquisire consensi da parte dei
socialisti e dei cattolici, rappresentati dall’aristocrazia
operaia e contadina, quella classe sociale cioè che, per
via del suo reddito, riusciva ad accedere al voto.
L’aristocrazia operaia costituiva la base del movimento
riformista socialista di Filippo Turati, e questa elitè
risultò l’obiettivo principale di Giolitti: conquistata la
sola aristocrazia operaia egli avrebbe avuto i consensi da
parte di tutto il movimento riformista. Questa strategia politica attuata da Giolitti
fece sì che si venne a creare una convergenza politica tra Giolitti e il Psi: di fatto
Filippo Turati (Canzo, 26 novembre 1857 – Parigi, 29 marzo 1932
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Giolitti, tutelando l’elitè operaia e appoggiando i loro soli interessi, acquisì il
massimo risultato con il minimo impegno, tralasciando però l’impegno preso
verso la vera massa di lavoratori che costituivano il movimento e venivano
rappresentati da quella stessa elitè.
-La scissione interna del partito socialista
Questo comportamento di Giolitti portò gli altri settori del proletariato a sentirsi
esclusi dal “compromesso” ed emarginati dall’interesse politico del Governo: i
lavoratori meno agiati, essendo privi del diritto di voto, non venivano tutelati e lo
stesso Giolitti se ne disinteressava.
Si venne così a creare all’interno del “partito” una spaccatura tra due fronti:
Da una parte i cosiddetti “Minimalisti”: quell’elitè di lavoratori privilegiati
guidata da Filippo Turati che si “accontentava” di eseguire il programma
minimo avanzato, quindi il raggiungimento di alcuni
obiettivi parziali quali le riforme concordate con Giolitti;
E dall’altra parte i “Massimalisti”: la vera base del partito
riformista socialista, formata da quei lavoratori disagiati
cappeggiati da Arturo Labriola ed Enrico Ferri, che, in
seguito al minimalismo dei propri rappresentanti al
Governo non videro i propri interessi tutelati e si
sentirono inconsiderati. La loro accusa, mossa all’elitè
operaia del partito, era quella di collaborare troppo col
governo e di aver tutelato solo i propri
interessi, tanto da aver perso di vista il
vero obiettivo del partito: il
raggiungimento del programma massimo, la “Rivoluzione
Sociale”, l’abbattimento cioè della proprietà privata e della
società di classe.
Nel 1904, al congresso di Bologna, ci fu l’esito previsto
della vittoria dei massimalisti, i quali ottennero la
maggioranza nel partito e guidarono il Psi alle elezioni. Il
partito però subì la sconfitta elettorale quello stesso anno
ed il fronte massimalista perse inesorabilmente consensi, a
favore invece di quello riformista.
Arturo Labriola (Napoli, 21 gennaio 1873 – Napoli, 23 giugno 1959)
Enrico Ferri (San Benedetto Po, 25 febbraio 1856 – Roma, 12 aprile 1929)
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Le dimissioni di Giolitti del 1905
-La parentesi Fortis
Le elezioni del 1904 videro sul piano politico
un’avanzata da parte delle tendenze nazionaliste e
cattoliche (tendenze sfavorevoli a Giolitti) e questo
esito fu un segnale d’allarme per il primo ministro. In
quello stesso periodo si venne a formare un opinione
pubblica favorevole alla nazionalizzazione delle
ferrovie, opinione peraltro condivisa dal capo di
Governo. Quando nei primi mesi del 1905 si
verificarono numerose agitazioni sindacali da parte
dei ferrovieri, Giolitti, percependo la tensione che si
stava venendo a creare, ed in seguito a una malattia,
decise di dimettersi dalla Presidenza del Consiglio: la
sua fu una scelta politica strategica, visto che volendo evitare quel clima che si
stava venendo a creare, decise di lasciare il governo a qualcuno di fidato che si
occupasse della situazione critica al posto suo. Così, dimessosi dalla carica di
capo del governo, Giolitti esortò l’amico Alessandro Fortis a creare un governo
che avrebbe avuto il suo appoggio: il governo Fortis rimase così in carica fino
all’inizio del 1906, il tempo necessario cioè per nazionalizzare le ferrovie (22
Aprile 1905), trovare la stabilità monetaria e lasciar sparire quella tensione
pubblica che si era venuta a creare. L’abilità di Giolitti ed il suo comportamento
da stratega risultarono dunque vincenti, in quanto potè far nazionalizzare le
ferrovie, come era suo volere, pur senza esporsi personalmente e senza perdere
consensi.
-Il Governo autoritario di Sidney Sonnino A Fortis succedette un governo, durato solo tre mesi, cappeggiato dal tradizionale
avversario di Giolitti: Sidney Sonnino, capo dell’ala conservatrice del liberalismo
italiano.
In quello stesso periodo, in seguito al grande sviluppo industriale del Paese, si
iniziò a delineare una continua crescita del proletariato di fabbrica, la quale portò
successivamente ad un rafforzamento, sul piano politico, dell’unico partito di
massa del panorama del tempo, il Psi. Questo avvenimento fu il principale
motivo che portò Sonnino a scegliere la stessa linea di governo adoperata da
Alessandro Fortis (Forlì, 15 settembre 1841 – Roma, 4 dicembre 1909)
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Giolitti: abbandonato il pensiero reazionario, Sonnino
adottò una linea riformista durante il suo governo,
proprio come fece il suo avversario politico,
avvicinandosi quindi al popolo e non reprimendolo. La
differenza nei confronti della politica di Giolitti fu il
modo stesso di riformare: Sonnino infatti, a differenza
dell’ex primo ministro monregalese, decise di adottare
un modello simile a quello bismarckiano, secondo il
quale le riforme sociali dovevano essere decise dall’alto,
direttamente dal governo, senza dunque concordarle
prima con le stesse forze sociali interessate: volendo
dunque adottare una politica autoritaria. Il fine politico
di Sonnino era un riformismo di stato in chiave però
antisocialista, e basato su un sistema sociale di conservatorismo.
Il governo di Sonnino cadde per mano di Giolitti, il quale, pur tenendosi fuori
dal governo, operò per farlo cadere con l’intento di succedergli, come
effettivamente avvenne.
Il ritorno di Giolitti al Governo
-Il Dualismo economico dell’Italia
Giolitti adottò una politica riformista limitata,
visto che egli con il suo riformismo non si
rivolgeva a tutta la popolazione e non tutelava
ogni classe sociale del Paese: il primo
ministro decise di far decollare l’industria
italiana concentrandosi soprattutto sul Nord
dell’Italia, industrialmente avanzato rispetto
al Meridione, e tutelò quella classe operaia e
contadina delle industrie e delle campagne
del Settentrione. Il Mezzogiorno, così come
negli anni passati, fu lasciato nella sua arretrata struttura agricola e priva di alcuna
base industriale, senza alcuna speranza di sviluppo economico e senza alcuna
considerazione dello Stato. Ad aggravare la difficile situazione del Sud Italia ci fu
l’introduzione dei dazi doganali che, per difendere le industrie nascenti del Nord,
penalizzò l’esportazione dei prodotti agricoli meridionali nei mercati esteri, e le
Macerie della parte posteriore della Cattedrale di Messina, crollata in seguito al terremoto del 28 Dicembre 1908.
Sidney Costantino Sonnino (Pisa, 11 marzo 1847 – Roma, 24 novembre 1922)
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calamità naturali che colpirono la Campania (eruzione del Vesuvio, 1906) ,la
Sicilia e la Calabria (terremoto e maremoto di Messina e di Reggio Calabria,
1908). Proprio in seguito a questa terribile catastrofe Giolitti dimostrò
considerazione nei confronti del Meridione, attraverso operazioni di soccorso:
“Dopo alcune, inevitabili, carenze, tutto il Paese si prodigò per aiutare la
popolazione siciliana. Da molti storici questo episodio è stato definito come il
primo evento durante il quale l'Italia diede la dimostrazione di un vero spirito
nazionale.” (Giovanni Giolitti-Wikipedia). I provvedimenti presi dal capo del
Governo nei confronti del Mezzogiorno furono davvero pochissimi: degno di
nota solamente alcuna legge speciale per le regioni svantaggiate e l’avvio della
costruzione di un acquedotto in Puglia, ma certamente non avrebbe potuto
rappresentare quel tipo di trasformazione così profonda da poter cambiare
l’economia e la società meridionale, che in realtà necessitava di svolte che
abbattessero le oligarchie latifondiste.
La politica Giolittiana accentuò dunque il divario economico-sociale esistente tra
Nord e Sud, divario, che divenne evidente anche sul piano politico, con la pratica
del primo ministro piemontese della corruzione elettorale, fondata appunto su
gruppi mafiosi e camorristi, al fine di assicurarsi consensi e l’appellativo di
“Ministro della Malavita”. Giolitti è il precursore del cosiddetto “Clientelismo”:
una pratica che, oramai radicata nella politica italiana, da quegli anni in poi si è
sempre più sviluppata.
-Il fenomeno crescente dell’emigrazione
In questa miseria generale si venne a sviluppare
così, in poco tempo, il fenomeno
dell’emigrazione: ingenti flussi migratori
(addirittura milioni di persone) si spostavano
dall’Italia (specialmente dal Veneto e dalle regioni
meridionali) in cerca di lavoro. Il fenomeno
dell’emigrazione fu l’emblema della crisi
economica che stava attraversando il Sud Italia:
l’80% degli emigranti erano provenienti dal
Mezzogiorno, poveri, affamati, e analfabeti. L’emigrazione favorì però,
inaspettatamente, anche ad uno sviluppo economico in patria: in Italia si arrivò
ad un’importante stabilità monetaria, dovuta oltre che ad un’oculata gestione del
Emigranti italiani pronti per imbarcare sul transoceanico verso l’America, destinazione ambita.
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bilancio, anche dai flussi migratori e dalle rimesse che i migranti italiani inviavano
ai propri parenti rimasti in Italia.
-La Politica colonialista e l’impresa di Libia
Giovanni Giolitti, oltre ad aver cambiato la politica
interna del Paese, si occupò anche della politica
estera, dando anche ad essa una svolta. Dopo la
sconfitta di Adua del 1896 (Governo Crispi)
Giolitti capì che l’unico modo di operare nel
territorio africano era quello di guadagnare
l’appoggio delle due potenze coloniali Francia, ed
Inghilterra: vennero firmati dunque una serie di
accordi diplomatici che consentirono all’Italia di
agire liberamente in Tripolitania e Cirenaica,
terre libiche facenti parte dell’impero ottomano.
Iniziata nell’autunno 1911, l’Impresa di Libia fu
sostenuta da diverse componenti sociali:
dall’opposizione di destra, da un’ondata di
nazionalismo e ovviamente dalle pressioni provenienti da gruppi economici che
erano già penetrate in quelle terre attraverso investimenti finanziari.
La battaglia risultò più dura del previsto a causa della resistenza esercitata dalle
tribù berbere e dall’impero ottomano: così, il governo italiano decise di spostare
lo scontro sul mar Egeo. Occupando Rodi e alcune isole, e cercando di
raggiungere Istanbul forzando i Dardanelli.
L’impero ottomano fu costretto a firmare la pace il 18 ottobre 1912, a Losanna,
ed essa sancì: la cessione della Libia all’Italia e la restituzione delle isole
conquistate, Rodi e Dodecaneso (dettato non mantenuto però dall’Italia).
-Le ripercussioni politiche dell’impresa libica
Giolitti grazie al successo dell’impresa di Libia acquisì ampi consensi popolari,
che andavano ad aggiungersi ai sostenitori di quei rami politici che, durante il
periodo del suo mandato, sono passati dall’opposizione al suo schieramento
dalla sua parte:
I radicali e i repubblicani, assorbiti nella maggioranza parlamentare;
Mappa raffigurante la Tripolitania e la Cirenaica, i territori libici occupati dall’Italia.
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I socialisti riformisti, che con la sua azione riuscì anche a indebolire e a
dividere in due fazioni interne, i massimalisti (disposti a concordare
riforme con il capo del Governo) e i minimalisti (restii verso una
collaborazione democratica, e sostenitori del “programma massimo”) .
La scissione interna del Psi fu definitiva durante il periodo della guerra di Libia:
il leader Filippo Turati non riuscì a mantenere una mediazione tra i due fronti
del partito, e nel 1912, al congresso di Reggio Emilia, il gruppo riformista di
destra, cappeggiato da Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi e Angelo Cabrini, e
sostenitore dell’impresa di Libia, venne espulso dal Partito
Socialista e creò un nuovo partito, ispirato agli ideali fondamentali
del socialismo riformista.
L’estrema sinistra massimalista e qualunquista invece, cappeggiata
da Benito Mussolini, acquisita la maggioranza del partito, accusò i
sostenitori fedeli a Turati di collaborare con Giolitti, e orientò il
partito verso un ideale rivoluzionario ed
antigiolittiano: da quel momento il capo del
Governo perse la collaborazione con il partito
riformista.
La crisi politica coinvolse anche la destra, divenuta
di stampo nazionalista (e riunitasi attorno alla rivista
“Il Regno”, fondata nel 1903 da Enrico Corradini), la quale, in
seguito all’impresa libica, utilizzò gli strumenti di propaganda a
propria disposizione per dare nuovo slancio alle proprie
aspirazioni espansionistiche, militaristiche e antiliberali, e fu
sostenuta dalla borghesia industriale che sfruttava le commesse
militari, portate avanti dalla prosecuzione della politica coloniale.
Il Quarto Governo di Giolitti
-La riforma elettorale: il suffragio universale
Le elezioni del 1909 decretarono l’ulteriore vincita da parte della fazione guidata
da Giolitti, il quale, con una sua tipica mossa strategica, lasciò che fosse nominato
Sidney Sonnino alla Presidenza del Consiglio: egli, basando il suo Governo su un
movimento conservatore idealmente instabile, dovette dimettersi dopo soli 3
mesi, lasciando il Governo nelle mani del giolittiano Luigi Luzzatti. Nel
Enrico Corradini (San Miniatello, 20 luglio 1865 – Roma, 10 dicembre 1931)
Benito Amilcare Andrea Mussolini (Dovia di Predappio, 29 luglio 1883 – Giulino di Mezzegra, 28 aprile 1945)
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frattempo, il dibattito politico italiano si incentrò sul tema
del suffragio universale: qui, Giovanni Giolitti mostrò la
sua abilità da stratega e si dichiarò a favore di tale riforma,
con l’intento di far cadere il Ministero e di conquistare
definitivamente la collaborazione da parte dello
schieramento socialista massimalista. Giolitti, al suo quarto mandato, si apprestò dunque a
creare una linea di Governo che coinvolgesse il Partito
Socialista, invece tipicamente restio alla collaborazione.
Il Psi, nonostante la sua recente scissione interna,
continuava ad acquisire sempre più potere e sembrava
delinearsi come importante avversario sul piano
elettorale.
Il Partito Socialista, inoltre, vide aumentare i propri consensi in seguito, proprio,
alla riforma elettorale del 1912, che diede potere al partito di massa grazie
all’introduzione del suffragio universale maschile: diritto di voto esteso a tutti i
cittadini maschi 30+ (dai 30 anni di età in su) senza alcuna limitazione censitaria,
e ai cittadini maschi 21+ che sapevano leggere e scrivere o che avessero prestato
servizio militare. La riforma elettorale fu, assieme alla nazionalizzazione delle
assicurazioni sulla vita, alla base del programma del Governo Giolitti, e
rappresentò un progetto di considerevole valenza sociale.
L’elettorato nazionale passò così da 3 a 8 milioni di cittadini, e questo fece
pensare ad una probabile vittoria del fronte socialista, rappresentante di un’ampia
fetta della popolazione italiana.
-Il “Patto Gentiloni”
A fronte di una probabile sconfitta, Giolitti decise di prendersi
delle sicurezze chiamando in causa i cattolici: il fronte dei
cattolici conservatori, era costituito da quei fedeli che,
nonostante il “non expedit” del papa del 1871, si riunirono
nell’Unione elettorale cattolica. A capo di questo movimento
cattolico c’era Vincenzo Gentiloni, il quale, strinse insieme a
Giolitti un patto che garantiva l’impegno del suo fronte politico
a sostenere il primo ministro piemontese e a votare i suoi
Luigi Luzzatti (Venezia, 1º marzo 1841 – Roma, 29 marzo 1927)
Romolo Murri (Monte San Pietrangeli, 27 agosto 1870 – Roma, 12 marzo 1944)
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candidati: chiamato “Patto Gentiloni”, esso decretò l’entrata dei
cattolici nella scena politica.
A dar spazio all’azione cattolica, nel 1891 ci fu anche l’enciclica
papale “Rerum Novarum”, la quale risultò significativa per
attenuare il pensiero della chiesa rispetto alla partecipazione
politica dei cattolici.
Nel 1901 il sacerdote Romolo Murri fondò il primo vero partito
che riunisse i cattolici come forza politica nazionale, e questo
partito, di stampo democratico, fu chiamato “Democrazia
Cristiana”.
L’idea del partito cattolico venne poi sviluppata anche dal
sacerdote siciliano Luigi Sturzo, il quale sognava un partito cattolico, laico, e
apertamente democratico.
La fine dell’Età Giolittiana
-Le elezioni del 1913 e le dimissioni di Giovanni Giolitti
L’esito delle elezioni del 26 ottobre 1913 vide delinearsi uno scenario
inaspettato per il primo ministro: se da una parte la maggioranza governativa vide
una drastica riduzione, dall’altra si vide protagonista l’avanzata elettorale dei
socialisti, dei radicali, e quella inaspettata dei candidati cattolici del Partito
liberale. Si venne a creare però una situazione di stallo: dovuta all’assenza di un
disegno politico da parte delle forze popolari, e all’impossibilità di governare da
parte dei liberali.
Grazie al “Patto Gentiloni” il presidente del Consiglio poté disporre del sostegno
di 300 parlamentari, grazie alla fila di rappresentanti cattolici appena entrati nella
sua fazione: questo però, andò a confluire in quella che era una crescente
disunità interna del partito, data inoltre dalla crescita dello schieramento
conservatore al suo interno. Lo schieramento giolittiano infatti, accrebbe di
numero, grazie all’entrata di uomini politici provenienti dal cattolicesimo
conservatore e dalla destra del liberalismo, uomini cioè sostenitori di quell’ideale
nazionalistico e autoritario che si stava facendo largo in Europa.
La fazione di Giolitti, al suo interno, non risultò più idealmente unita e fondata
sul pensiero riformista, ma divenne un gruppo disunito e formato da diversi
ideali politici: si venne a delineare un’involuzione politica ed un ritorno
all’autoritarismo, e le stesse forze politiche con cui Giolitti si era alleato (i
Don Luigi Sturzo (Caltagirone, 26 novembre 1871 – Roma, 8 agosto 1959)
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conservatori) per affrontare i socialisti, si ritorsero contro di lui. Giolitti, così,
decise nuovamente di allontanarsi dalla guida del Governo, quindi di dimettersi,
e di aspettare che la tensione politica si abbassasse prima di poter tornare a
governare.
-Il Governo Salandra
Così, in seguito al 7 marzo, giorno in cui i radicali decisero di
uscire dalla maggioranza, Giolitti decise di dimettersi e, il
governo passò nelle mani del liberale conservatore Antonio
Salandra, nominato dal sovrano dietro raccomandazione dello
stesso Giolitti. L’ex primo ministro monregalese pensò di poter
controllare a distanza il Governo, attraverso Salandra, il quale
invece si volle mostrare indipendente dall’influenza di Giolitti, e
lo dimostrò concretamente quando, in seguito, decise
autonomamente di impegnare il Paese nella Prima Guerra
Mondiale: egli infatti non consultò né il Parlamento, né i
membri del Governo e della maggioranza, e prese la decisione solamente
insieme al Ministro degli Esteri Sonnino, con il Patto di Londra.
Qualche mese dopo la nomina di Salandra, esattamente durante la cosiddetta
“settimana rossa” (7-14 Giugno 1914), vennero fuori le tendenze più reazionarie
del nuovo Governo: questi giorni di tensione sociale, furono scatenati dalla
manifestazione antimilitarista e anarchica, per il giorno dello statuto, ad Ancona,
dove, in seguito a degli scontri, morirono 3 manifestanti. Il conseguente sciopero
di 48 ore indetto dalla Confederazione generale del lavoro sfociò in violenti moti
nelle piazze marchigiane e romagnole, moti che,
sostenuti da anarchici, socialisti, sindacalisti e
repubblicani, sapevano di pre-insurrezionali. In
seguito a questi moti si mostrò la linea reazionaria
del Governo, il quale, decise di impiegare 100000
soldati e di reprimere duramente le sommosse
popolari.
Soltanto un mese dopo, l’attentato di Sarajevo
diede il via alla Prima Guerra Mondiale, e Giovanni
Giolitti perse qualunque speranza di poter tornare a capo del Governo: la
situazione politica e sociale, aggravata dalla guerra, fu talmente complicata da non
permettere più all’ex primo ministro di riprendere in mano le redini.
Antonio Salandra (Troia, 13 agosto 1853 – Roma, 9 dicembre 1931)
Il municipio di Alfonsine (Ravenna) dopo l'incendio appiccato dagli insorti.
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