“il funzionamento premorboso come marker … · tra la fine del xix e l’inizio del xx secolo,...
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia
TESI DI LAUREA
“IL FUNZIONAMENTO PREMORBOSO
COME MARKER FENOTIPICO SPECIFICO ALL'INTERNO DELLA
DIMENSIONE PSICOTICA Confronto in un campione di soggetti bipolari e
dello spettro schizofrenico”.
RELATORE Chiar.ma Prof. Liliana DELL’OSSO
Candidata Gioia Baggiani
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
2
"Tutti siamo nati matti. Qualcuno lo rimane" (Samuel Beckett).
“L’uomo non può avere esempi umani per essere sé stesso” (Alda Merini).
“...sistema telepatico mi sono arrivate che vi paiono strane ma sono vere
[...] io sono un astronautico ingegnere minerario nel sistema mentale.
Questa è la mia chiave mineraria” (Oreste Fernando Nannetti)
Fotografia : Pier Nello Manoni
3
INDICE SOMMARIO …………………………………………………… pag. 6
ABBREVIAZIONI …………………………………………….. pag. 8
LISTA DELLE FIGURE E TABELLE …………………………….. pag. 10
1. LA SCHIZOFRENIA 1.1 IL CONCETTO DI SCHIZOFRENIA NELLA STORIA ………. pag. 11
1.2 LA TEORIA DI SPETTRO NEI DISTURBI PSICOTICI ………pag. 21
1.3 SCHIZOFRENIA AD ESORDIO PRECOCE
…..(UHR/ARMS) ……………………………………………………...…pag. 25
1.4 EZIOPATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO ……………….. pag. 27
1.4.1 I fattori genetici e la familiarità …………………………..…….… pag. 29
1.4.2 Neuroimaging ………………………………..…………………..… pag. 31
1.4.3 Fattori ambientali …………………………………………...……… pag. 34
1.4.3.1 L’urbanizzazione ………………………………………...……….. pag. 34
1.4.3.2 Le migrazioni ……………………………………………………. pag. 35
1.4.3.3 L’uso di sostanze d’abuso ………………………………….……. pag. 37
1.4.3.4 Lo status socio-economico ………………………………….……. pag. 38
1.4.3.5 Traumi – stress …………………………………………………… pag. 40
1.4.3.6 Cause pre & perinatali ………………………………………..….. pag. 41
1.5 L’EPIDEMIOLOGIA DELLA SCHIZOFRENIA ………….......... pag. 43
1.5.1 Prevalenza ………………………………………………………...... pag. 43
1.5.2 Incidenza ………………………………………………...…............. pag. 46
1.6 I SINTOMI PSICOTICI .................................................................... pag. 46
1.6.1 Le allucinazioni (sintomo positivo).................................................... pag. 46
1.6.2 I deliri ................................................................................................. pag. 47
1.6.3 La disorganizzazione .......................................................................... pag. 48
1.6.4 L’alterazione dell’esame di realtà ...................................................... pag. 48
1.6.5 I sintomi negativi ................................................................................ pag. 49
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2. IL DISTURBO BIPOLARE
2.1 LA STORIA DEL DISTURBO BIPOLARE……………….……… pag. 50
2.2 LA TEORIA DI SPETTRO NEI DISTURBI DELL’UMORE ….. pag. 53
2.3 DISTURBO BIPOLARE AD ESORDIO PRECOCE (EO)….…… pag. 55
2.4 EZIOPATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO …….…………... pag. 57
2.5 EPIDEMIOLOGIA DEL DISTURBO BIPOLARE ………….... pag. 61
2.5.1 Prevalenza …………………………...………………………….. pag. 61
2.5.2 Incidenza ……………………………………………………….... pag. 62
2.6 LA SINTOMATOLOGIA PSICOTICA NEL DISTURBO
…..BIPOLARE ………………………………………………………..… pag. 62
3. IL FUNZIONAMENTO PREMORBOSO (FPM)
2.1 INTRODUZIONE ............................................................................... pag. 65
2.2 COME SI MISURA ……………………………………………….... pag. 71
2.3 IL FUNZIONAMENTO PREMORBOSO IN
…..LETTERATURA …………………………………………………… pag. 72
4. MATERIALI E METODI
4.1 DISEGNO DELLO STUDIO ………………….……………...... pag. 77
4.2 RECLUTAMENTO ……………………………………...……….... pag. 77
4.3 VALUTAZIONE ………………………………………………… pag. 78
4.3.1 Analisi statistiche ………………………………………….. pag. 80
5
5. RISULTATI
5.1 CARATTERISTICHE SOCIO-DEMOGRAFICHE E
…..CLINICHE DEL CAMPIONE …………………………….….….... pag. 81
5.2 DIFFERENZE TRA I GRUPPI NEI PUNTEGGI PAS ……….… pag. 82
5.2.1 Punteggi PAS durante l’infanzia ……………………………..…….. pag. 82 5.2.2 Punteggi PAS durante la prima adolescenza ……………………...... pag. 84
5.2.3 Variazioni dei punteggi PAS dall’infanzia alla
…….prima adolescenza ………………………………………………….. pag. 86
5.3 OSSERVAZIONI …………………………...……………………..... pag. 87
6. DISCUSSIONE (pag. 87)
7. BIBLIOGRAFIA (pag. 89)
Siti utili (pag. 103)
8. APPENDICI (pag. 104)
9. RINGRAZIAMENTI (pag. 106)
10. ALLEGATO (pag. 108)
Questionario PAS
6
SOMMARIO
La psicosi, come dimensione trans-nosografica, accomuna
molte patologie psichiatriche al momento ancora distinte in categorie discrete
secondo le classificazioni categoriali internazionali (DSM-5, ICD-10).
L'evidenza clinica conferma frequenti overlap sintomatologici soprattutto tra le
due grandi categorie diagnostiche: i disturbi dell'umore ed i disturbi dello spettro
schizofrenico.
MATERIALI E METODI: Abbiamo reclutato 123 soggetti, di cui 53 affetti da
disturbi dello spettro schizofrenico (SZ), 28 affetti da disturbo bipolare (DB), e
42 controlli sani (CS), formulando la diagnosi con la versione italiana della
SCID-I secondo i criteri del DSM-IV-TR. Sono state inoltre raccolte
informazioni clinico-anamnestiche sul paziente e sui familiari di 1° grado.
L’adattamento premorboso nell’infanzia (fino a 11 anni) e nella prima
adolescenza (12-16 anni) sono stati valutati retrospettivamente con la scala per
l’adattamento premorboso (PAS).
Abbiamo studiato le differenze tra i punteggi ottenuti dai tre gruppi nella PAS
globale, nei singoli elementi della PAS (socievolezza e ritiro, relazioni con i
coetanei, rendimento scolastico, adattamento scolastico, e relazioni socio-
sessuali) e nelle sotto-scale di età e di domini funzionali (sociale e scolastico)
tramite un’analisi della covarianza (ANCOVA), usando la scolarità, il titolo di
studio e lo status socio-economico (SES) come covariate. Abbiamo inoltre
determinato le caratteristiche longitudinali dell’adattamento premorboso,
confrontando tramite ANCOVA i cambiamenti nei punteggi PAS tra l’infanzia e
7
l’adolescenza. Per i confronti post-hoc è stata utilizzata la correzione di
Bonferroni.
OBIETTIVI: verificare se il funzionamento premorboso (FPB) può essere
considerato un fenotipo distintivo tra soggetti bipolari con sintomi psicotici e
soggetti appartenenti allo spettro schizofrenico.
RISULTATI: Sia durante l’infanzia che durante la prima adolescenza, i pazienti
schizofrenici mostrano un adattamento premorboso peggiore dei pazienti bipolari
(p<0.01) e dei controlli sani (p<0.01), sia globalmente che nei singoli domini. Al
contrario, i pazienti bipolari non sono significativamente differenti per
adattamento premorboso dai controlli sani. Dall'infanzia all'adolescenza il gruppo
di controllo mostra un lieve miglioramento nell'adattamento globale, ed in
particolare in quello sociale e scolastico, al contrario dei pazienti SZ i quali vanno
incontro ad un declino negli stessi domini. Per entrambi i gruppi non sono emerse
differenze statisticamente significative rispetto ai pazienti DB nelle caratteristiche
longitudinali.
DISCUSSIONE: I risultati suggeriscono che, in accordo con l’ipotesi della
schizofrenia come malattia del neurosviluppo, l’adattamento premorboso sia un
tratto che distingue i pazienti schizofrenici dai pazienti affetti da disturbo bipolare
con sintomi psicotici. Inoltre, il fatto che pazienti DB ed i controlli riportino
punteggi PAS sovrapponibili, corrobora l’ipotesi che la schizofrenia ed il disturbo
bipolare, pur condividendo alcune dimensioni sintomatologiche, siano il risultato
di percorsi eziopatogenetici distinti.
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ABBREVIAZIONI
DSM V = Diagnostic and Statistical Manual (Manuale Diagnostico e Statistico) ICD-10 = International Classification of Diseases (Classificazione Internazionale delle Malattie) BD = disturbo bipolare SZ = schizofrenia CS = controlli sani FPM = funzionamento premorboso PAS = scala del funzionamento premorboso PAS-I = PAS-Infanzia (fino ad 11 anni) PAS-IA = PAS-Inizio-Adolescenza (dai 12 ai 15 anni) PAS-TA = PAS-Tarda Adolescenza dai 16 ai 19 anni PAS-A = PAS-Adulti (dopo i 19 anni) SCID = Interviste Cliniche Strutturate per il DSM (Structured Clinical Iterview for DSM Disorders) ANCOVA = analisi della covarianza SES = status socio-economico APS = Sindrome psicotica attenuata (Attenuated Psychotic Syndrome) SCI – PSY = strumento per la valutazione dello spettro dei disturbi schizofrenici USA = United States of America UHR = rischio ultra alto (Ultra-High Risk) ARMS = stato mentale a rischio (At Risk Mental State) DUP = durata di psicosi non trattata (Duration of Untreated psychosis) MZ = gemelli monozigoti DZ = gemelli dizigoti NRG1 = neuregulina 1 DAOA = attivatore della d-amminoacido ossidasi G72/G30 = loci genetici di DAOA DISC1 = gene alterato nella schizofrenia t = translocazione COMT = catecol-O-metiltransferasi GWAS studio d’associazione multi-stage SNPs = polimorfismo a singolo nucleotide PARS = schizofrenia correlata con l’età paterna RM/RMN = risonanza magnetica DOC = paziente con disturbo ossessivo compulsivo PET /PET(Left) = Tomografia ad emissione di positroni/ (particolare metodica) DOSMD = determinanti di outcome in caso di grave malattia DA = dopamina 5HT2 = recettori serotoninergici PCP = fenciclidina NMDA = glutammato N-metil-D-aspartato WHO = World Health Organization (Organizzazione Mondiale della Sanità) kJ = kilojoule TC = Tomografia computerizzata SANS = scala diagnostica per la valutazione dei sintomi negativi d.C. = dopo Cristo
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MOODS = strumento per la valutazione dello spettro dei disturbi dell’umore EO = Disturbo bipolare ad insorgenza precoce (Early Onset) BPAD = disturbo affettivo bipolare AAO = età d’esordio (Age At Onset) DPS = disturbo di personalità schizotipico CMG = condizione medica generale 5-HTT = trasportatore della serotonina SLC6A3 = trasportatore della dopamina SLC6A4 = gene trasportatore della serotonina bp = paio-basi PR = regione polimorfica VNTR = ripetizioni in tandem EOS = Schizofrenia ad esordio precoce ANOVA = analisi della varianza SPSS = Strumento statistico per l’analisi dei dati (Statistical Package for Social Science) SD = deviazioni standard o scarto quadratico medio N = numero di soggetti del campione χ2 = test del chi-quadro F-test o F = Risultati dell’ANOVA (one-way). ADHD = Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività HapMap = progetto genetico hapmap
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LISTA DELLE FIGURE E TABELLE Figura 1 Spettro dei disturbi schizofrenici illustrato lungo un ………..continuum di severità …………………………………………… pag. 18 Figura 2 Raffigurazione grafica dimensionale di tre diversi pazienti ………..che sono stati valutati per le dimensioni di psicosi (blu) ………..e fenomeni connessi nei settori della conoscenza ed ………..affettività (amaranto) …………………………………………… pag. 23 Figura 3 Attivazione del lobo frontale nella schizofrenia mostrato ……….. con la metodica PETLeft …...………………………………...... pag. 33 Figura 4 L’attivazione del lobo frontale nella schizofrenia, nel ……….disturbo ossessivo compulsivo, e nei controlli, mostrati ……….mediante PET……………………………………………………. pag. 33 Figura 5 Modello di predisposizione-stress per lo sviluppo della ………..schizofrenia …………………………………………………….. pag. 42 Figura 6 La rappresentazione grafica del disturbo bipolare a rapida ………...ciclicità per Kraepelin ………………………………………..... pag. 52 Figura 7 Età d’esordio nel disturbo bipolare …………………………….. pag. 57 Figura 8 Grafico riassuntivo su FPM deficitario ………………………… pag. 74 Tabella 1 Differenze tra il DSM-5 e DSM IV …………………………... pag. 15 Tabella 2 Differenze tra il DSM-5 e DSM IV ………………………….. pag. 16 Tabella 3 Classificazione dei disturbi dello spettro psicotico nel ………....DSM-5 ………………………………………………………... pag. 104 Tabella 4 Un approccio dimensionale nell’eziologia della ………....schizofrenia ………………………………………………….... pag. 28 Tabella 5 Riepilogo sull’eziopatogenesi e fattori di rischio psicotici …... pag. 105 Tabella 6 Confronto delle caratteristiche socio-demografiche tra …………pazienti schizofrenici, bipolari e controlli ……………………. pag. 82 Tabella 7 Confronto dei punteggi PAS dell’infanzia tra pazienti …………schizofrenici, bipolari e controlli ……………………………... pag. 83 Tabella 8 Confronto dei punteggi PAS dell’adolescenza tra pazienti …………schizofrenici, bipolari e controlli ………………………….….. pag. 85 Tabella 9 Variazione dei punteggi PAS tra l’infanzia (5-11 anni) e la …………fase iniziale dell’adolescenza (12-16 anni) ………………….... pag. 86
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1. LA SCHIZOFRENIA
1.1 IL CONCETTO DI SCHIZOFRENIA NELLA STORIA
Nel suo lavoro del 1860, Traité des Maladies Mentales (Morel
1860), Morel aveva già usato il termine “démence-précoce” per riferirsi a uno
stato di deterioramento precoce con comportamento bizzarro e funzione mentale
anormale; la sua idea di degenerazione psichica con episodi acuti di “follia” sarà
riportata in tutti i resoconti successivi (Tsoi D. T-Y. 2008).
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, Emil Kraepelin identificò
nell'ambito della psicosi due grandi categorie diagnostiche: la “psicosi maniaco
depressiva” da una parte e la dementia praecox dall’altra.
Kraepelin unificò due condizioni, inizialmente ritenute distinte: la dementia
praecox e la catatonia (Kraepelin 1896) - il cui termine fu coniato da Kahlbaum
nel 1874 (Tsoi D. T-Y. 2008) - considerandole come un’unica espressione di uno
stesso disturbo.
Kraepelin, nel suo manoscritto "Lehrbuch der Psychiatrie (1893) Dementia
Praecox and Pathophysiology" (1919) (Adityanjee, Aderibigbe et al. 1999)
definisce la dementia praecox. una patologia “dell’intelletto, delle emozioni e
della volontà (…) con l’annichilazione della coordinazione intrapsichica”,
progressiva ed a prognosi infausta. Eugene Bleuler per primo utilizzò la diagnosi
di “schizofrenia”, nel 1908, durante una lezione tenuta a Berlino; descrisse in
Dementa Praecox, oder Gruppe der Schizophrenien (1911) (Berrios 2011) la
“schizofrenia” come il risultato di una “separazione (e dissociazione) della
mente”, in particolare tra le funzioni emozionali ed intellettive.
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Egli, in definitiva, si allontanò dalla concezione terminologica precedente,
essenzialmente descrittiva, a favore di elementi fenomenologici ed
eziopatogenetici precisi (Tsoi D. T-Y. 2008).
Infatti Bleuler focalizzò la sua attenzione sui deficit associativi anziché sul
decorso della patologia. Egli descrisse la schizofrenia come un disturbo del
pensiero, delle emozioni e del comportamento (Berrios 2011) individuando
quattro sintomi caratteristici, le “4 A”: “Autismo”, “Ambivalenza”, “Affettività
anomala”, ed “Allentamento dei nessi associativi” (Schneider 1959).
Diversamente da come generalmente interpretato, la “separazione della mente”
intesa da Bleuler non implicava una suddivisione in due parti; quanto, piuttosto,
una frantumazione della psiche in modo che le sue funzioni cessassero di essere
coerenti e coordinate. Quest’ultima è la derivazione storicamente corretta di
“schizofrenia”; l’uso popolare di “schizofrenico”, invece, fa riferimento ad una
“personalità divisa” o un disturbo di personalità multipla. Una tale descrizione
della schizofrenia risulta non solo storicamente scorretta ma anche fortemente
stigmatizzante (Tsoi D. T-Y. 2008).
Hughlings-Jackson (1931) fu uno dei primi ad utilizzare ad usare la terminologia
"sintomi positivi e negativi". Egli, difatti, riteneva che i primi, detti anche
produttivi, fossero dovuti ad un’eccessiva funzione rispetto alla norma; mentre
quelli deficitari o negativi fossero determinati da una pura perdita di funzione
(Andreasen 1997).
Nei primi anni del XX secolo Kurt Schneider (Schneider 1959) propose come
sintomi patognomonici della schizofrenia: l’eco del pensiero, le allucinazioni
uditive in forma di voci commentanti, le allucinazioni somatiche, i deliri di
controllo e/o influenzamento; questi presero il nome di sintomi di primo rango.
13
Ad essi affiancò quelli di secondo rango od accessori, ossia altri tipi di
allucinazioni, perplessità, appiattimento affettivo, variazioni dell’umore (Cassano
2006). Anche se era evidente da tempo la sostanziale mancanza di specificità dei
sintomi di primo rango, l'influenza schneideriana sui criteri diagnostici della
schizofrenia è stata confinata solo con l'uscita dell'attuale versione del DSM-5;
per cui è stato rimosso il criterio secondo cui bastavano voci commentanti o deliri
bizzarri per poter soddisfare il criterio A per la schizofrenia (Bhati 2013).
Come riportato da Bhati, l’introduzione del DSM-I nel 1952, ha fornito agli
epidemiologi lo strumento per studiare in modo più accurato quei soggetti che
soddisfacevano i criteri per la diagnosi di schizofrenia (Bhati 2013).
Il DSM-I descrive una condizione chiamata “Reazione Schizofrenica” sotto
“Disordini di Origine Psicogena”. Ci sono nove sottotipi inclusi: semplice,
ebefrenico, catatonico, paranoide, acuto indifferenziato, cronico indifferenziato,
infantile e residuo.
Nel DSM-II le “reazioni schizofreniche” furono rinominate “Schizofrenia”;
inoltre quest’ultima fu meglio caratterizzata e distinta dalle psicosi affettive e
furono apportati dei cambiamenti nei sottogruppi.
Significative modifiche, nelle diagnosi psichiatriche, si verificarono durante la
terza edizione del manuale diagnostico e statistico (DSM-III), nel 1980. La
“schizofrenia” fu modificata in “Disordini Schizofrenici”; i disordini
schizoaffettivi furono riconosciuti, per la prima volta, come disturbi degni
d’identità nosografica autonoma (senza, tuttavia, fornire i loro criteri diagnostici);
il sottotipo ebefrenico della schizofrenia fu rinominato disorganizzato.
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Con il DSM-III-R, nel 1987, fu eliminato il criterio che prevedeva un esordio
antecedente ai 45 anni (presente nel DSM-III) ed, in più, i “Disturbi
Schizofrenici” furono rinominati “Schizofrenia”.
Pochi cambiamenti furono attuati per la diagnosi di schizofrenia con il DSM-IV:
la durata dei criteri A per i sintomi psicotici fu estesa ad un minimo di un mese
(rispetto ad un’unica settimana stabilita nel DSM-III-R) ed i sintomi negativi
furono aggiunti al criterio A della sintomatologia.
CRITERI DSM-5 PER LA SCHIZOFRENIA (Tandon, Gaebel et al. 2013)
I criteri del DSM-5 per la diagnosi di schizofrenia prevedono la presenza di
almeno due sintomi psicotici che devono essere presenti per almeno 6 mesi con 1
mese di sintomi attivi.
A differenza del DSM-IV, la diagnosi di schizofrenia non prevede più come
unico criterio sufficiente un delirio bizzarro od un’allucinazione uditiva con due
voci commentati.
Nel DSM-5, inoltre, sono presenti specifici criteri descrittivi sia per la durata che
per la severità di un nuovo episodio sintomatologico schizofrenico: episodi
multipli o continui, acuti o cronici, remissione parziale o totale.
La seguente tabella riporta i cambiamenti tra il DSM-IV ed il DSM-5
relativamente al criterio A (Sintomi caratteristici):
15
Tabella 1. Differenze tra il DSM-5 e DSM IV (Tandon, Gaebel et al. 2013).
DSM-IV Criterio DSM-5
A) Criterio A: sintomi caratteristici
Due (o più) dei seguenti sintomi, ciascuno presente per una porzione significativa
di tempo durante un periodo di 1 mese (o meno se trattati con successo)
1) deliri
2) allucinazioni
3) eloquio disorganizzato
4) comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico
5) I sintomi negativi (anaffettività, alogia od abulia)
Nota: un solo criterio sintomatologico è necessario se:
- i deliri sono bizzarri
- le allucinazioni consistono di una voce che
commenta il comportamento o le azioni oppure i
pensieri del paziente mentre sono svolti oppure
formulati.
- sussistono due o più voci che conversano tra di
loro nell’allucinazione.
Almeno uno dei
sintomi da 1 a 3
dovrebbe essere
incluso.
Si è posta particolare attenzione a due dei sintomi negativi: l’appiattimento
affettivo e l’abulia come entità nosologiche e cliniche degne di particolare
attenzione medica; il loro substrato neurale si sta infatti delineando con sempre
maggior chiarezza negli ultimi anni (Blanchard and Cohen 2006; Foussias and
16
Remington 2010; Messinger, Tremeau et al. 2011; Strauss, Frank et al. 2011;
Der-Avakian and Markou 2012; Kring, Gur et al. 2013).
La successiva tabella riporta i cambiamenti tra il DSM-IV ed il DSM-5
relativamente al criterio F (chiarificazione sul confine con i disturbi dello
sviluppo):
Tabella 2. Differenze tra il DSM-5 e DSM IV (Tandon, Gaebel et al. 2013)
DSM-IV DSM-5
F) Criterio F: rapporto con ritardo dello sviluppo globale o disturbo dello
spettro autistico
Se c'è una storia di disturbo dello
spettro autistico, la diagnosi
addizionale di schizofrenia viene
effettuata solo se i deliri o le
allucinazioni sono presenti anche
per almeno 1 mese (o meno se
trattati con successo).
Se c'è una storia di disturbo dello spettro
autistico od altri disturbi della
comunicazione di esordio infantile, la
diagnosi addizionale di schizofrenia viene
effettuata solo se deliri o le allucinazioni
sono presenti anche per almeno 1 mese (o
meno se trattati con successo).
Il DSM-5 contiene modifiche nella definizione del disturbo schizoaffettivo
(Malaspina, Owen et al. 2013). Infatti significativi sintomi dell'umore devono
adesso essere presenti per la maggior parte della durata della malattia psicotica
affinché si possa far diagnosi di disturbo schizoaffettivo piuttosto che di
schizofrenia (Carpenter and Tandon 2013).
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B) Criterio B: disfunzione sociale/professionale per una parte significativa del
tempo da quando vi è stata l'insorgenza del disturbo, in una o più aree principali
del funzionamento come il lavoro, le relazioni interpersonali o la cura di sé
oppure se sono marcatamente al di sotto dei livelli raggiunti in precedenza o
rispetto a quelli prevedibili in funzione dell’età del paziente.
Se bambini o adolescenti si manifesta l’incapacità di raggiungere il livello di
funzionamento interpersonale, scolastico od occupazionale prevedibile.
C) Criterio C: durata. Persistono segni continuativi del disturbo per almeno sei
mesi di cui almeno un mese di sintomi (o meno, se il soggetto risponde al
trattamento) che soddisfano il criterio A e può includere periodi di sintomi
prodromici o residui.
Durante questi periodi prodromici o residui, i segni del disturbo possono esser
manifestati soltanto da sintomi negativi o da due o più sintomi elencati al criterio
A presenti in forma attenuata.
D) Criterio D: la schizofrenia NON può essere diagnosticata in presenza di
sintomi di disturbo dell'umore (con manifestazioni psicotiche) o
schizoaffettivo.
E) Criterio E: i sintomi non sono il risultato diretto di una condizione medica
generale o di una sostanza, come l'abuso di droga o farmaci.
Una differenza fondamentale tra la schizofrenia e gli altri disturbi psicotici -
compresi quello schizofreniforme e schizoaffettivo - è una diminuzione del grado
di funzionamento al di sotto del livello raggiunto prima dell'insorgenza della
psicosi: criterio B per la schizofrenia (Heckers, Barch et al. 2013) .
18
Recentemente, la dicotomia kraepeliniana tra schizofrenia (dementia praecox) e
disturbo bipolare (psicosi maniaco-depressiva) è stata contestata, sulla base di
studi di genetica epidemiologica e biomolecolare, che hanno dimostrato
l’aggregazione familiare e l’esistenza di comuni polimorfismi alla base della
suscettibilità ad entrambi i disturbi (Craddock and Owen 2005; Crow 2008).
Il DSM-5 ha accolto, almeno parzialmente, tali scoperte affiancando
all’approccio strettamente categorico, quello dimensionale (Adam 2013; Kupfer,
Kuhl et al. 2013) ma conclude che, al momento non ci sono sufficienti elementi
per definire con certezza l’eziopatogenesi.
Figura 1. Spettro dei disturbi schizofrenici illustrato lungo un continuum di
severità (Bhati 2013).
Per adesso, la personalità schizotipica è classificata come disordine di personalità
nel DSM-5 ma è riconosciuta come spettro del disturbo schizofrenico; in linea
con la diagnosi del disturbo schizotipico secondo l’ICD-10 (Handest and Parnas
2005). Utilizzando la scala di Bonn per valutare i pazienti schizotipici e
riferendosi ai criteri dell’ICD-10 lo studio di Handest P. e colleghi (Handest and
Parnas 2005) ha concluso che quest’ultimi sembrano rappresentare una variante
più lieve della schizofrenia considerando che non sussiste una divisione netta tra i
due disturbi. Sia nei pazienti schizotipici che in quelli psicotici, inoltre, è stata
riscontrata una storia familiare positiva per schizofrenia.
19
Il Disturbo di personalità schizotipico è parte dello spettro schizofrenico (Siever
and Davis 2004); tuttavia i deliri, le anomalie di esperienza percettiva ed affettiva
sono al di sotto della soglia per la diagnosi di disturbo psicotico (Heckers, Barch
et al. 2013).
Il DSM-5, in aggiunta, elimina anche i sottotipi schizofrenici e cioè il tipo
paranoide, disorganizzato, indifferenziato, residuo e catatonico. La validità di
quest’ultimi è stata messa in discussione in quanto entità clinicamente poco
valide e difficilmente individuabili in forma discreta. (Tsuang, Stone et al. 2000;
Regier, Narrow et al. 2013); (vedi tabella 3).
Altri cambiamenti nella classificazione diagnostica dei disturbi psicotici nel
DSM-5 includono l’eliminazione del disturbo da psicosi condivisa (folie à deux)
e del disturbo psicotico non altrimenti specificato (Handest and Parnas 2005).
La struttura del DSM-IV creava l'impressione che i domini psicotici fossero
definiti dalla schizofrenia e che tutti i pazienti che presentavano i segni e sintomi
di psicosi dovessero essere valutati, prima, in funzione della schizofrenia.
All’interno del sistema classificativo stabilito dal DSM-5 ci proponiamo, invece,
d’identificare anche la sottostante struttura dimensionale di psicosi.
Secondo Heckers (Heckers 2008) infatti, la diagnosi categoriale della
schizofrenia ed altri disturbi psicotici contribuisce ad una mancanza di progresso
in ambito medico. Le diagnosi attuali, a causa dei criteri proposti (fino al DSM-
IV) infatti, non sembrano cogliere con precisione la notevole variabilità del
profilo sintomatologico, terapeutico, e, soprattutto, funzionale sia sociale che
globale (Heckers, Barch et al. 2013).
Come riportato da Bhati (Bhati 2013), il DSM-5 tenta di evidenziare l’evoluzione
del concetto di psicosi, intesa non più soltanto come una manifestazione clinica
20
schizofrenica ma come un disturbo riscontrabile in diverse altre patologie
psichiatriche (Tsuang, Van Os et al. 2013). La psicosi vista, cioè, in una
dimensione trans-nosografica (Cassano, Pini et al. 1998): non si manifesta infatti
solo nei disturbi dell’umore, dello spettro schizofrenico (Dell'Osso, Akiskal et al.
1993; Pini, de Queiroz et al. 2004) e da uso di sostanze (Rugani, Bacciardi et al.
2012) ma anche nei disturbi d’ansia (Cassano, Pini et al. 1999; Ciapparelli,
Paggini et al. 2007; Fusar-Poli, Nelson et al. 2012), della condotta alimentare
(Ramacciotti, Paoli et al. 2004), dello spettro ossessivo compulsivo; (Cassano,
Pini et al. 1999; Ciapparelli, Paggini et al. 2007) e nelle patologie
neuropsichiatriche in stretta correlazione con il concetto di insight (Pini, Cassano
et al. 2001).
Inoltre il DSM-5 focalizza la sua attenzione sull’importanza di una diagnosi
precoce per prevenire, per quanto possibile, l’eventuale evoluzione verso una
patologia conclamata e fortemente debilitante quale la schizofrenia. L’attuale
rivisitazione del DSM, infatti, comprende la necessità di un intervento tempestivo
sin dalle manifestazioni più lievi e subcliniche: per questo ha assunto sempre più
rilevanza l’introduzione del concetto di sindrome psicotica attenuata (APS)
(Tsuang, Van Os et al. 2013).
L’APS non ha ancora una sua autonomia nosografica, ma è stata proposta come
elemento nosologico che - seppur richiedente ulteriori approfondimenti – si
colloca nel continuum psicopatologico della schizofrenia (Bhati 2013).
E’ in quest’ottica che va interpretato il capitolo del DSM-5 dedicato alla psicosi:
“Schizophrenia Spectrum and Other Psychotic Disorders” (Bhati 2013).
21
La relazione sussistente tra la sindrome psicotica attenuata (APS), il disturbo di
personalità schizotipico ed altre condizioni psichiatriche di spettro più lieve resta
invece poco chiara (Tsuang, Van Os et al. 2013).
Secondo recenti studi di genetica sui familiari di pazienti affetti, la schizofrenia
ed i disturbi bipolari condividono alcuni fattori di suscettibilità. Il disturbo di
personalità schizotipico (DPS) potrebbe essere, pertanto, un fenotipo intermedio:
comune sia alla schizofrenia che ai disturbi bipolari (Schurhoff, Laguerre et al.
2005; Lichtenstein, Yip et al. 2009).
1.2 LA TEORIA DI SPETTRO NEI DISTURBI PSICOTICI
Il modello categoriale proposto dal DSM - pur avendo il
vantaggio di creare un linguaggio comune che consenta il confronto e la
riproducibilità degli studi e delle indagini di tipo epidemiologico - ha mostrato
alcuni importanti limiti poiché non consente di identificare l’intero continuum
delle manifestazioni cliniche associate con ciascun disturbo, comprese quelle
subcliniche ed atipiche (Cassano 2006).
Lo SCI - PSY (Sbrana, Dell'Osso et al. 2005) è il questionario elaborato
nell’ambito del “Progetto Spettro” che ha coinvolto l’Università di Pisa,
l’Università di Pittsburgh, la Columbia University (New York) e l’Università
della California, San Diego (USA) per indagare lo spettro psicotico. E’
organizzato in tre domini:
- STILI COGNITIVI, UMORE, AFFETTIVITA’ con i seguenti
sottodomini: autostima, schizoidia, autismo, indifferenza, apatia, abulia,
distacco affettivo; schizotimia; rigidità di pensiero; superstizione,
fatalismo, religiosità, pensiero magico; sensitività interpersonale,
22
insicurezza, vergogna; fanatismo, querulomania; percezione del rapporto
con gli altri; autoriferimento; interpretatività; ipervigilanza, diffidenza,
sospettosità, gelosia, rabbia, ira, aggressività; contenuti di pensiero insoliti
o bizzarri.
- DISPERCEZIONI: illusioni corporee, depersonalizzazione e
derealizzazione;
- DELIRI, ALLUCINAZIONI, SINTOMI CATATONICI.
Alla luce del DSM-5, è stata proposta una valutazione in otto dimensioni per un
paziente che presenti segni e sintomi di psicosi: i cinque domini (deliri,
allucinazioni, eloquio disorganizzato, anormale comportamento psicomotorio e
sintomi negativi) che definiscono i disturbi dello spettro schizofrenico; oltre a
cognizione, depressione e mania (Barch, Bustillo et al. 2013). Ogni dimensione
deve essere valutata su una scala di cinque punti che va da 0 (assente) a 4
(presente e grave) (Heckers, Barch et al. 2013).
23
Figura 2, A. Raffigurazione grafica dimensionale di tre diversi pazienti che sono
stati valutati per le dimensioni di psicosi (blu) e fenomeni connessi nei settori
della conoscenza ed affettività (amaranto) (Heckers, Barch et al. 2013).
A) Paziente con schizofrenia: mostra allucinazioni gravi, deliri moderato-severi,
disorganizzazione dell’eloquio ma non anomalie del comportamento psicomotorio o sintomi
negativi; il paziente presenta, inoltre, lieve decadimento cognitivo in comorbilità con il disturbo
bipolare I.
24
Figura 2, B.
B) Paziente con disturbo schizoaffettivo: mostra allucinazioni severe, delirio medio-grave,
disorganizzazione dell’eloquio ma non anomalie del comportamento psicomotorio o sintomi
negativi. Il paziente, inoltre, ha una limitata insufficienza cognitiva unita ad un quadro depressivo
e di lieve mania.
Figura 2, C.
C) Paziente con sindrome APS: mostra lievi allucinazioni, delirio e disorganizzazione del
discorso moderati, gravi sintomi negativi ma non si riscontrano anomalie del comportamento
psicomotorio. Il paziente presenta un grave deterioramento cognitivo in comorbilità con una lieve
depressione.
25
1.3 SCHIZOFRENIA AD ESORDIO PRECOCE (UHR/ARMS)
La schizofrenia ed i disturbi dello spettro schizofrenico hanno
spesso decorso cronico, esordio precoce e mostrano un’alta morbilità e mortalità
(McGrath, Saha et al. 2008).
La fase prodromica è caratterizzata da sintomi aspecifici come umore depresso od
ansia; così come sintomi psicotici sottosoglia od attenuati (Dragt, Nieman et al.
2011).
I soggetti suscettibili vengono indicati come Ultra High Risk (UHR) od ARMS
(Takeshi, Yamaguchi et al. 2013) con un rischio di sviluppare una psicosi dopo
un anno del 12-50% (Yung, Yuen et al. 2007; Dragt, Nieman et al. 2011).
Individuare questa particolare quota di popolazione, con algoritmi diagnostici,
appare quindi un potente strumento per l'intervento precoce e per la messa in atto
di strategie terapeutiche preventive, che influenzano significativamente il futuro
decorso clinico del paziente nonché l'outcome funzionale (Mojtabai, Malaspina et
al. 2003; Keshavan, DeLisi et al. 2011; Tsuang, Van Os et al. 2013).
Il progetto di Buckingham e TIPS ha dimostrato che accorciando il DUP (cioè la
durata della psicosi non trattata) si ottiene una riduzione anche del tasso di
insorgenza di schizofrenia. L’ intervento precoce, per i pazienti con Stato
Mentale A Rischio (ARMS), può prevenire o ritardare l'esordio della
schizofrenia. Inoltre, cure intensive nel periodo critico possono anche indurre
migliori risultati clinici, sociali e funzionali nei pazienti che abbiano già avuto
una diagnosi di schizofrenia (Takeshi, Yamaguchi et al. 2013).
Una minore durata della psicosi non trattata è indice di una buona prognosi per la
schizofrenia; al contrario, il tempo che trascorre prima che si inizi un adeguato
trattamento farmacologico è spesso relativamente lungo: il ritardo nell’intervento
26
medico, quantificabile in circa 18-24 mesi dalla diagnosi, è frequentemente
dovuto ad esordio insidioso di patologia ed alla mancanza di strumenti
diagnostici efficaci per rilevare la sintomatologia sottosoglia (Cassano 2006).
Per questo, la fase precoce della schizofrenia, incluso il DUP (Primavera, Carta et
al. 2013), sono considerati periodi critici in cui l'esito a lungo termine è ancora
fortemente influenzabile. Oltre a migliorare l’outcome l’altro obiettivo
fondamentale è prevenire le ricadute con interventi farmacologici e psicologici
mirati. Nonostante i progressi nei trattamenti, tuttavia, la schizofrenia rimane un
disturbo dalla prognosi spesso infausta anche se, come dimostrato da recenti
studi, i tassi di recovery sono significativamente maggiori rispetto a quanto
ipotizzabile fino a qualche anno fa (Furuhashi and Iwata 2013; Tsuang, Van Os
et al. 2013): la difficoltà maggiore riguarda la gestione della sintomatologia
negativa e la compromissione del funzionamento socio-lavorativo (Tsuang, Van
Os et al. 2013).
L’attenzione si è quindi spostata verso il tentativo di individuare precocemente
persone a rischio di sindrome psicotica e valutare i trattamenti che possano
prevenire la transizione verso la psicosi conclamata; questo risulterebbe utile
soprattutto nei gruppi di ultra - alto rischio (UHR). La sindrome psicotica
attenuata (APS) descrive una condizione clinica attualmente rilevante e la sua
introduzione nella pratica clinica ha riscontrato un’utilità maggiore rispetto ai
sistemi di classificazione per i disturbi psicotici attuali (Woods, Addington et al.
2009; Carpenter and van Os 2011; Tandon and Carpenter 2012).
L’APS si riferisce alla presenza di sintomi psicotici in forma attenuata (ad
esempio: idee deliranti, anomalie percettive, eloquio disorganizzato di livello
lieve-medio), che tuttavia si verificano in presenza di un’ esame di realtà
27
relativamente intatto ma con severità e/o con frequenza sufficiente da giustificare
attenzione clinica (Tandon and Carpenter 2012; Tsuang, Van Os et al. 2013).
Fino ad oggi, gli studi sono stati orientati verso il concetto di APS come
prodromo schizofrenico ed i risultati supportano l’APS in quanto disturbo
appartenente allo spettro schizofrenico (Tsuang, Van Os et al. 2013).
Criteri clinici proposti per l' APS (Tsuang, Van Os et al. 2013)
A. Almeno uno dei seguenti sintomi è presente in forma attenuata con severità
sufficiente e/o con frequenza tale da giustificare attenzione clinica:
1. manie / idee deliranti
2. allucinazioni / anomalie percettive
3. eloquio disorganizzato.
B. i sintomi del Criterio A devono essere presenti almeno una volta a settimana
nel mese precedente.
C. i sintomi del Criterio A devono esser iniziati o peggiorati nel corso dell'anno
precedente.
D. i sintomi del Criterio A sono sufficientemente invalidante per l'individuo.
E. i sintomi del Criterio A non sono meglio spiegati da qualsiasi altro disturbo del
DSM-5.
F. Non sono mai stati soddisfatti i criteri clinici per un disturbo psicotico
(McGlashan T.H. 2010).
1.4 EZIOPATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO
Il termine “dementia praecox” di per sé conteneva una visione
molto pessimistica dell’andamento del disturbo; sia Kraepelin che Bleuer hanno
28
comunque assunto che alla base della patologia schizofrenica ci fosse qualche
alterazione neurobiologica (Cassano 2006).
Come riportato da Mura, l’attuale ricerca sperimentale conferma l’eziologia
organica della psicosi, validata dalla sua nota ereditarietà unita ad alterazioni
patologiche e funzionali del sistema nervoso centrale. Ferma restando che
sussiste un deficit cognitivo nel disturbo schizofrenico, si tratta di comprendere se
questo sia la conseguenza clinica di alterazioni riscontrate durante il periodo di
sviluppo cerebrale o se derivi da processi neurodegenerativi che, una volta
innescati, procedono inesorabili (Mura, Petretto et al. 2012).
Il modello psicotico di propensione-persistenza-menomazione potrebbe
racchiudere in sé sia i fattori genetici che ambientali (van Os, Linscott et al.
2009): l’espressione della psicosi durante lo sviluppo deriva dalla predisposizione
ereditaria (circa l’80%) su cui agiscono cofattori ambientali (Weinberger 1995;
Cannon, van Erp et al. 2003; Matheson, Shepherd et al. 2011).
L’esposizione continua del soggetto alla loro azione favorisce l’instaurarsi ed il
perpetrarsi della malattia fino alla cronicizzazione.
Tabella 4. Un approccio dimensionale nell’eziologia della schizofrenia (Tsoi D. T-Y. 2008).
FATTORI PREDISPONENTI
FATTORI PRECIPITANTI
FATTORI PERPETRANTI
Biologici
Rischio genetico
Uso di sostanze d’abuso: cannabis, anfetamine
Assenza di compliance verso i
trattamenti farmacologici
Psicologici
Personalità schizotipica
Alta sensibilità interpersonale
Bassa consapevolezza di malattia (insight)
Sociali
Urbanizzazione Migrazione (?)
Stress Eventi di vita
traumatici
Basso stato
economico e sociale
29
1.4.1 FATTORI GENETICI E LA FAMILIARITA’
La schizofrenia è un disturbo mentale con un substrato genetico
alterato ereditabile e con un sostanziale impatto sulla salute pubblica (Ripke,
O'Dushlaine et al. 2013).
Studi familiari hanno dimostrato che i parenti di primo grado di soggetti affetti da
schizofrenia hanno un rischio aumentato del 2-9% di sviluppare tale patologia, se
confrontati con i parenti dei controlli sani. I gemelli monozigoti hanno un tasso di
concordanza maggiore rispetto ai dizigoti (DZ): rispettivamente il 41-79% contro
lo 0-17%. Parenti biologici dei MZ con schizofrenia hanno un più alto rischio di
malattia rispetto ai familiari adottivi (la cui suscettibilità è analoga a quello della
popolazione generale) (Shih, Belmonte et al. 2004). Possiamo, pertanto,
affermare che sussiste una compartecipazione eziologica tra i fattori genetici ed
ambientali.
Recentemente, le associazioni tra la schizofrenia e specifici geni sono state
dimostrate e replicate anche mediante studi di associazione e linkage*1 (Harrison
and Owen 2003; Ross, Margolis et al. 2006; Owen, Craddock et al. 2007): i geni
più implicati risultano essere la neuregulina-1, la disbindina, la catecol-O-
metiltransferasi (COMT), la DAOA (G72/G30) e DISC1*2.
*1 Gli studi di linkage si propongono di comprendere i geni coinvolti nella trasmissione ereditaria
di una certa patologia. *2 DISC1: questo gene è oggetto di una translocazione t(1;11)(q42.1;q14.3). E’stato associato allo
spettro dei disturbi schizofrenici.
30
Questi geni contribuiscono ad una svariata gamma di effetti patogeni,
coinvolgendo persino la trasduzione del segnale, lo sviluppo e la plasticità
neuronale. La neuregulina è presente nelle vescicole sinaptiche glutammatergiche
ed è coinvolta nell’espressione dei recettori del glutammato; DISC1 svolge un
ruolo particolare nello sviluppo neuronale corticale in quanto implicato nella
crescita dei neuriti, nella migrazione e nella maturazione neuronale (Ross,
Margolis et al. 2006).
Uno studio d’associazione multi-stage (GWAS) fu intrapreso su un iniziale
campione svedese seguito da meta-analisi e replicazione di SNPs* di 168 regioni
genomiche in campioni indipendenti. Per la schizofrenia sono stati identificati 22
loci associati all’intero genoma; 13 di questi sono nuovi ed uno era stato
precedentemente implicato nell’ambito del disturbo bipolare (Ripke, O'Dushlaine
et al. 2013).
Attuali studi di coorte affermano che un’età paterna avanzata sia correlata ad un
maggior rischio di schizofrenia (PARS); ma questo risulta effettivamente
appurato solo in coloro che abbiano pure una certa ereditarietà familiare positiva.
Suddetti casi, comunque, differiscono ampiamente, a livello fenotipico dagli altri
pazienti sia nelle capacità verbali sia cognitive, se maschi; per l’età d’esordio se
di genere femminile (Lee, Malaspina et al. 2011).
* Un polimorfismo a singolo nucleotide (spesso definito in inglese Single Nucleotide
Polymorphism o SNP, pronunciato snip) è un polimorfismo, cioè una variazione, del materiale
genico a carico di un unico nucleotide, tale per cui l'allele polimorfico risulta presente nella
popolazione in una proporzione superiore all'1%. Al di sotto di tale soglia si è soliti parlare di
mutazione.
31
Anche se in questo ambito le scoperte biologiche non sono ancora complete, le
evidenze scientifiche sottolineano fortemente l’esistenza di un fattore biologico,
ereditariamente trasmesso, agente sullo sviluppo del sistema nervoso embrionale
(Mura, Petretto et al. 2012).
I meccanismi genetici che potrebbero esser implicati nell’eziopatogenesi
includono l’espansione di triplette di nucleotidi, mutazioni de novo nelle cellule
germinali paterne ed alterazioni dell’imprinting genetico per uno o più geni
coinvolti nel neurosviluppo (Malaspina, Harlap et al. 2001; Sipos, Rasmussen et
al. 2004; Perrin, Brown et al. 2007).
1.4.2 NEUROIMAGING
Come riportato da Ross, Margolis et al. (2006), l’applicazione
delle tecniche di imaging nella schizofrenia evidenziano sottili anomalie cito-
architetturali della sostanza grigia entorinale ed in altre aree corticolimbiche, così
come un’anormale elevata frequenza di neuroni aberranti nella materia bianca
sottostante la corteccia prefrontale, temporale, e paraippocampale. Vi è anche
evidenza di una riduzione del volume corticale del neuropilo* in assenza di una
paragonabile perdita neuronale.
* Neuropilo: In neuroanatomia il neuropilo è la regione compresa tra i vari corpi cellulari
(pirenofori) dei neuroni della sostanza grigia dell'encefalo e del midollo spinale (ovvero del
sistema nervoso centrale). Consiste di un denso intreccio di terminali assonici, dendriti e processi
delle cellule gliali (astrociti e oligodendrociti); comprende anche le connessioni sinaptiche tra le
ramificazioni assoniche e i dendriti. (Purves D. 2008)
32
Alla risonanza magnetica (RM), si evidenzia un ridotto volume della sostanza
bianca e grigia nella regione temporo-limbica che si manifesta come una
diminuzione complessiva del lobo temporale; inoltre si può notare uno
slargamento ventricolare.
Il volume cerebrale (compreso quello della materia grigia) è pure ridotto: poiché
lo sono anche il lobo frontale (prefrontale ed orbitofrontale), quello parietale ed il
corpo calloso. Oltre a ciò si ritiene che l’asimmetria del lobo temporale nella
schizofrenia possa esser collegata con alterazioni nello sviluppo del linguaggio.
Inoltre l’integrità della trasmissione nervosa tra la corteccia frontale e temporale è
stato messa in discussione (Tsoi D. T-Y. 2008).
A livello cellulare, si riscontra una riduzione delle dimensioni, del numero e del
grado di organizzazione neuronale a livello dei lobi temporali mediali. (Ross,
Margolis et al. 2006).
La risonanza magnetica funzionale ha dimostrato che le anomalie anatomiche
hanno spesso un correlato funzionale; queste possono, ad esempio, divenire
manifeste attraverso i sintomi psicotici (allucinazioni uditive) od un’alterata
prestazione neuropsicologica: ipofrontalità (Tsoi D. T-Y. 2008).
33
Figura 3. Attivazione del lobo frontale nella schizofrenia mostrato con la
metodica PETLeft. in un controllo sano osserviamo la maggiore attivazione del lobo frontale
(indicata dal colore rosso). A destra, invece, possiamo notare una minor attivazione, soprattutto
nella corteccia frontale, oltre all'allargamento ventricolare, in un paziente schizofrenico.
(Riprodotto con l'autorizzazione di Monte S Buchsbaum, Mount Sinai School of Medicine)
(Mueser and McGurk 2004).
Figura 4. L’attivazione del lobo frontale nella schizofrenia, nel disturbo ossessivo
compulsivo, e nei controlli, mostrati mediante PET. Il paziente con disturbo ossessivo
compulsivo (DOC) ha una maggiore attivazione del lobo frontale (indicato dal colore rosso)
rispetto al controllo sano, mentre il cervello del paziente con schizofrenia è caratterizzata da una
minore attivazione del lobo frontale. (Riprodotto con l'autorizzazione di Monte S Buchsbaum,
Mount Sinai School of Medicine). (Mueser and McGurk 2004).
34
1.4.3 FATTORI AMBIENTALI
L’ambiente potrebbe svolgere un ruolo nelle modificazioni
dello sviluppo cerebrale. Tali fattori potrebbero includere l’esposizione a fattori
infettivi, autoimmuni, tossici od, ancora, insulti traumatici e stress durante la
gestazione e/o l’infanzia (Cassano 2004).
I dati scientifici suggeriscono che l’incidenza di schizofrenia è correlata
(McGrath, Saha et al. 2008) al genere (Aleman, Kahn et al.), all' urbanizzazione
(Mortensen, Pedersen et al. 1999; Pedersen and Mortensen 2001; Pedersen and
Mortensen 2006; Dragt, Nieman et al. 2011) ed allo status di migrante (Cantor-
Graae and Selten 2005).
Reviews sistematiche sulla stagione di nascita (Davies, Ahmad et al. 2000)
suggeriscono che la schizofrenia sia maggiormente frequente a latitudini più alte
(Saha, Chant et al. 2006).
1.4.3.1 L’urbanizzazione
Farris e Dunham in uno studio del 1930 (Farris R-E. 1939)
hanno dimostrato che, mentre i pazienti ricoverati per psicosi maniaco depressiva
erano distribuiti in modo più o meno casuale, provenienti da tutta Chicago; le
ammissioni nel reparto di psichiatria per schizofrenia tendevano a derivare tutte
dal centro della città - con tassi decrescenti, appena ci si inoltrava verso zone più
periferiche – e da famiglie operaie.
Studi successivi svolti in Europa forniscono prove convincenti che il rischio di
sviluppare schizofrenia aumenti con la nascita in luoghi urbani, soprattutto tra i
maschi. Come riscontrato da recenti studi, l’urbanizzazione esercita la sua
influenza solo durante l'infanzia e l'adolescenza, cioè nel periodo precedente
35
l’esordio della patologia; non in età adulta. E’ tuttavia necessaria una lunga
esposizione, continua o ripetuta (Marcelis, Navarro-Mateu et al. 1998; Marcelis,
Takei et al. 1999; Haukka, Suvisaari et al. 2001; Pedersen and Mortensen 2001;
Dragt, Nieman et al. 2011).
Il meccanismo di associazione non è chiaro, ma può essere correlato a fattori
biologici, sociali/ambientale od ad entrambi (van Os, Pedersen et al. 2004).
Confrontando questi dati con la review pubblicata da van Os e colleghi (van Os,
Linscott et al. 2009) e con lo studio riconducibile a Dragt e colleghi (Dragt,
Nieman et al. 2011) si può affermare che il 30% dell’incidenza della schizofrenia
può esser correlato all’urbanizzazione; ovvero all’esser cresciuto in un ambiente
ad alta densità demografica (è stato arbitrariamente definita come soglia quella di
100.000 abitanti). Seppur tra i potenziali candidati siano inclusi anche
l’inquinamento e l’esclusione sociale, le ipotesi addotte in merito sembrano
spiegare questa maggiore incidenza come la conseguenza del forte stress che
un’ambiente così ampiamente popolato causi sul soggetto.
1.4.3.2 Le migrazioni
Alcuni dati epidemiologici hanno consentito, inoltre, di
analizzare la migrazione come fattore di rischio per la schizofrenia: il tasso di
incidenza nelle persone Afro-Caraibiche immigrante nel Regno Unito è 2,5 - 14,6
volte maggiore rispetto alle persone native (Murray RM; Hafner 1999).
Alti tassi di incidenza (in base ai ricoveri ospedalieri) sono stati riportati anche
per persone provenienti dal Suriname, evidenziando che gli immigrati hanno un
aumento del rischio di sviluppare gravi disturbi schizofrenici (Selten, Laan et al.
2012).
36
Sembra, pertanto, sussistere una correlazione tra il rischio di schizofrenia ed
etnia: la popolazione del Suriname e marocchina emigrata nei Paesi Bassi (Selten,
Cantor-Graae et al. 2007) e tutti gli immigrati in Danimarca (Selten, Slaets et al.
1997) ne sono un ulteriore esempio (Selten JP 2003).
Il picco di incidenza compare 10-12 anni dopo la migrazione ed il tasso di
schizofrenia è elevato anche nella seconda generazione di migranti (Cooper
2005).
In uno dei primi studi longitudinali, Hjern e colleghi. (Hjern, Wicks et al. 2004),
prima; successivamente Malmo (Zolkowska, Cantor-Graae et al. 2001) hanno
confermato che i migranti avevano un rischio aumentato di schizofrenia rispetto
ai nativi; tanto più se provenienti dall'Africa orientale.
Varie ipotesi sono state formulate per spiegare il ruolo della migrazione nello
sviluppo della malattia ma attualmente non ci sono dati certi a favore di una
teoria specifica. Si è creduto che il tasso di schizofrenia fosse alto nei paesi
d’origine dei migranti. Tuttavia, dopo il 1950, le Determinanti di Outcome in
caso di grave malattia (DOSMD) dimostrarono che il tasso di schizofrenia nei
paesi di provenienza era inferiore rispetto a quello della popolazione emigrata.
La vulnerabilità biologica agli stress non era sufficiente a spiegare l’alto tasso di
schizofrenia in questi gruppi sociali (Bourque, van der Ven et al. 2011) in quanto
non è difficile confutare l'ipotesi che un singolo fattore biologico possa spiegare
adeguatamente l’aumentato rischio di schizofrenia nei migranti.
In pratica, la migrazione stessa e lo stress conseguente possono essere difficile da
tollerare in individuo se geneticamente suscettibile allo sviluppo della
schizofrenia (Pedersen, Mortensen et al. 2011).
37
Elementi socio-ambientali, che agiscono di concerto con i fattori genetici,
possono contribuire a spiegare il particolare contributo delle popolazioni migranti
allo sviluppo della malattia (van Os and McGuffin 2003).
E’ stato, infatti, dimostrato che il rischio di sviluppare la schizofrenia aumenta
quando la dimensione dei migranti, nel paese oggetto di migrazione, è piccolo;
mentre il rischio è minore in grandi comunità di migranti appartenenti allo stesso
paese (Boydell, van Os et al. 2001).
Questi dati rafforzano l'ipotesi che l'isolamento e la mancanza di sostegno sociale
siano fattori determinanti nella patogenesi della schizofrenia (Selten, Cantor-
Graae et al. 2007).
Si può ipotizzare, tuttavia, che i migranti abbiano una suscettibilità genetica a
fattori ambientali presenti nei paesi della migrazione (come l'inquinamento,
agenti patogeni, allergeni, ecc), assenti o rare nei paesi d’origine. Questa ipotesi
coniuga la teoria genetica ed il ruolo ambientale dei fattori di stress (Fatemi and
Folsom 2009).
1.4.3.3 L’uso di sostanze d’abuso
Per Tsoi e colleghi (Tsoi D. T-Y. 2008) l’associazione più
accreditata tra la sintomatologia schizofrenica e la neurochimica coinvolge la
dopamina. La cosiddetta “ipotesi della dopamina” trova riscontri anche in alcuni
modelli sperimentale in cui, a seguito di un’intossicazione con le anfetamine ed al
conseguente rilascio massivo di DA, si assiste ad una manifestazione
sintomatologica psicotica simile alla schizofrenia.
Su tale principio si basa l’efficacia clinica dei farmaci antipsicotici che, infatti,
antagonizzano la dopamina; non a caso la loro potenza d’azione a livello dei
38
recettori dopaminergici è ampiamente correlata con il loro effetto clinico (Tsoi D.
T-Y. 2008).
Si ritiene che i sintomi psicotici positivi - ovvero deliri e le allucinazioni - siano
il risultato di un’iperfunzione dopaminergica nel sistema limbico (Abi-Dargham
and Moore 2003); i sintomi schizofrenici negativi ed i deficit cognitivi sembrano,
invece, derivare da un’insufficiente quota di dopamina a livello frontale
(Andreasen 1999); gli antipsicotici, pertanto, hanno scarso effetto sui sintomi
negativi.
Secondo Tsoi e colleghi (Tsoi D. T-Y. 2008) alcuni farmaci antipsicotici "atipici"
(ad esempio, il risperidone) hanno un significativo effetto antagonista sui
recettori serotoninergici (specificamente 5-HT2a) ma, a differenza dell’ipotesi
dopaminergica, questa scoperta non ha fornito altrettanti risultati pratici
correlabili con l'efficacia clinica. È stato, però, suggerito che la serotonina possa
avere un effetto modulatorio sulla trasmissione dopaminergica nella patologia
schizofrenica.
Dopo aver osservato che sia la fenciclidina (PCP) che la ketamina - entrambi
antagonisti del recettore NMDA - erano responsabili dell’insorgenza di
sintomatologia (positiva e negativa) simil-schizofrenica, gli studi si sono
concentrati sull’ ipofunzione recettoriale del glutammato N-metil-D-aspartato
(NMDA). Quest’ultimi hanno ipotizzato che un’alterata attività recettoriale
subcorticale dell’NMDA possa indurre un aumento dei livelli di glutammato
corticali e, quindi, causare un danno da iper-eccitazione neuronale.
1.4.3.4 Lo status socio-economico
Hollingshead and Redlich (Pols 2007) hanno studiato
l’incidenza epidemiologica delle patologie nella popolazione - stratificata in
39
funzione della classe sociale di appartenenza - ed hanno, quindi, analizzato
l’adeguatezza della risposta clinica fornita dalle strutture sanitarie, sempre in
funzione dello status socio-economico.
E’ ormai appurato, di fatto, che la schizofrenia abbia un migliore decorso ed esito
nei paesi in via di sviluppo (Patel, Cohen et al. 2006; Isaac, Chand et al. 2007;
Mueser and McGurk 2004) ed a sostegno di questa convinzione - già ampiamente
condivisa dalla psichiatria internazionale - vi sono svariati studi di ricerca cross-
nazionali (Murphy and Raman 1971).
Fu dimostrata (Dohrenwend, Levav et al. 1992; Pols 2007) l’esistenza di una
significativa correlazione tra la classe sociale, il tipo e lo stadio di malattia: forme
gravi, persistenti e debilitanti erano frequentemente riscontrate nei ceti
economicamente più disagiati. Non vi è, tuttavia, ancora un accordo sulle cause
alla base di suddetto fenomeno.
Si evince, comunque, come sia la natura che la qualità del trattamento (se e
quando) disponibile, per i pazienti con minore SES (stato socio-economico), non
fossero assolutamente adeguate.
Spesso, infatti, gli individui appartenenti a classi sociali molto disagiate, ad
esempio persone senza fissa dimora, non ricevono proprio alcun trattamento.
(Bassuk, Rubin et al. 1984; Ran, Chan et al. 2006).
E’ chiaro, quindi, come l’assenza di diagnosi, di cure e di un supporto medico
possano influenzare sia il risultato clinico (Jablensky, Sartorius et al. 1992) che la
mortalità (Cohen, Patel et al. 2008): la patologia, infatti, progredisce e giunge a
livelli molto severi con forte impatto sulla vita e sulle capacità funzionali del
soggetto.
40
Sembra, pertanto, che, almeno in questo ambito, il confronto tra nazioni
economicamente sviluppate versus paesi in via di sviluppo si capovolga: ci
riferiamo allo Studio Pilota Internazionale sulla Schizofrenia (WHO 1979; Lin
and Kleinman 1988; Jablensky, Sartorius et al. 1992; Harrison, Hopper et al.
2001).
1.4.3.5 Traumi e stress
La schizofrenia è associata ad un notevole declino
neuropsicologico, inclusa la riduzione dell'attenzione. È stato proposto che
un’alterata capacita attentiva, non selettiva agli stimoli salienti presenti
nell'ambiente, potrebbe portare ad un “sovraccarico” del sensorio e che le
allucinazioni potrebbero derivare da un disperato tentativo di formare legami tra
la realtà e la massiva quantità di informazioni. Anomalie supplementari sono state
osservate nella funzionalità esecutiva e nella memoria dichiarativa (sistema
frontotemporale). Tali alterazioni potrebbero portare a vivere alcuni processi
cognitivi come esterni od estranei; come accade, di fatto, nella psicopatologia
schizofrenica. Sebbene i sintomi positivi e negativi della schizofrenia possano
fluttuare durante il corso della malattia, il deterioramento cognitivo, invece,
appare relativamente stabile ed è già evidente sin dal primo episodio (Ross,
Margolis et al. 2006).
Bambini che, in seguito, svilupperanno schizofrenia presentano precocemente
una varietà di problemi comportamentali infantili e di sviluppo nell’ambito
relazionale, motorio e scolastico. E’ molto probabile che adulti affetti da
schizofrenia abbiano avuto tratti di personalità premorbosa schizoide e
schizotipica: queste problematiche potrebbero rappresentare l'espressione precoce
41
della malattia stessa piuttosto che esserne un fattore predisponente (Tsoi D. T-Y.
2008).
1.4.3.5 Cause pre & perinatali
I rischi ambientali per la schizofrenia comprendono fattori
biologici e psicosociali. Il rischio di sviluppo di schizofrenia aumenta in presenza
di eventi critici pre & perinatali: tra cui l'influenza materna, la rosolia, la
malnutrizione, il diabete mellito, il fumo durante la gravidanza e le complicanze
ostetriche (Mueser and McGurk 2004).
Per quanto riguarda la malnutrizione, da studi condotti subito dopo la seconda
guerra mondiale, emerge che coorti di nascita esposte a grave privazione di cibo
(una razione giornaliera media sotto 4200 kJ fornita alla madre), nel primo
trimestre di gravidanza, mostrano un sostanziale aumento di schizofrenia e di
ricoveri ospedalieri. Questo incremento di rischio relativo per le donne variava in
un range compreso tra il 2,17 - 2,56. Non si riscontra negli uomini, nonostante
l’esposizione allo stesso range alimentare, un aumento delle ammissioni con
diagnosi di patologia schizofrenica.
Privazione di cibo moderate durante il primo trimestre (razione giornaliera media
inferiore ai 6300 kJ) non sono associate ad una maggiore frequenza di
schizofrenia. (Susser and Lin 1992).
Complicanze ostetriche associate a ipossia prenatale e perinatale sono
particolarmente legate ad un aumento del rischio, che potrebbe essere mediato
dagli effetti eccitotossici della ridotta ossigenazione sul sistema nervoso fetale
(Cannon, Jones et al. 2002).
42
Dal momento che la maggior parte dei casi di complicanze ostetriche non portano
alla schizofrenia, i casi con peggior outcome potrebbero interagire su una pre-
esistente vulnerabilità genetica (Cannon, Rosso et al. 2000).
Probabilmente l'alta frequenza di complicanze ostetriche nella schizofrenia è il
risultato dello sviluppo cerebrale anormale, associato alla suscettibilità genetica,
uniti ad uno o più fattori ambientale additivi.
Il decorso della schizofrenia può essere compreso con il modello di stress-
vulnerabilità. (Nuechterlein and Dawson 1984) .
Figura 5. Modello di predisposizione-stress per lo sviluppo della schizofrenia
(Tsoi D. T-Y. 2008).
Tabella riassuntiva sull’eziopatogenesi e fattori di rischio (vedi tabella 5).
FATTORI - Interventi psico-sociali (-) - Appropriate capacità d’adattamento (-) - Buon supporto sociale (-)
Stress - Eventi di vita traumatici - Alta sensibilità interpersonale
FATTORI - Abuso di droga (+) - Uso di farmaci (-)
Vulnerabilità biologica - rischio genetico - Precoce azione negativa dei fattori ambientale (traumi perinatali).
Schizofrenia
- inizio - regressione - Outcome
(-) = minor rischio (+) = maggior rischio
43
1.5 L’EPIDEMIOLOGIA DELLA SCHIZOFRENIA 1.5.1 PREVALENZA
Studi recentissimi affermano che la schizofrenia colpisce circa
25 milioni di persone in tutto il mondo, definendola come la più comune forma di
psicosi (Stafford, Jackson et al. 2013).
Il disturbo psicotico ha un tasso di prevalenza mondiale dell’1%. (Muggia 2001;
Tsoi D. T-Y. 2008).
Van Os, J. e colleghi sottolineano che la differenza sussistente tra i tassi di
prevalenza (5%) ed incidenza (3%), assieme con i dati derivanti dagli studi di
follow-up, indicano che, approssimativamente, il 75-90% delle psicosi, durante
l’epoca dello sviluppo, sono temporanee e scompaiono nel tempo (Collip,
Wigman et al. 2013).
Durante la crescita la psicosi può manifestarsi con sintomatologia minima ed in
modo transitorio; nella maggioranza dei casi sussiste la possibilità di remissione
completa, senza ulteriori future manifestazioni (Tsoi D. T-Y. 2008).
In un certo campione di soggetti, tali prime esperienze psicotiche, seppur
transitorie, possono – successivamente – ripresentarsi ed acquisire una durata
sempre maggiore fino a divenire persistenti (croniche) ed, in seguito, ad esser
clinicamente rilevanti (van Os, Linscott et al. 2009; Collip, Wigman et al. 2013):
questo in funzione dei livelli di stress cui l’individuo non solo è sottoposto ma
anche in base alla sua responsività personale.
Una recente revisione (Mura, Petretto et al. 2012) ha vagliato le nuove scoperte in
campo epidemiologico per comprendere come queste possano esser interpretate,
alla luce delle nuove teorie riabilitative, per molti applicabili nel contesto dei
disturbi schizofrenici.
44
Fino ad oggi si è sempre ritenuto che la schizofrenia mostrasse una certa stabilità
epidemiologia. Da svariate fonti: (Bland and Orn 1978; Babigian H. Kaplan H
1980; Kramer, von Korff et al. 1980; Burd and Kerbeshian 1987; Cochrane and
Bal 1989; Bijl, Ravelli et al. 1998; McGrath, Saha et al. 2004; Cantor-Graae and
Selten 2005; Saha, Chant et al. 2005) emerge, invece, una forte variazione del
tasso d’incidenza della schizofrenia tra i diversi paesi.
Recentemente è stata, confermata una prevalenza di 4/1000 persone ed un tasso
d’incidenza di 4,5/1000 (Saha, Chant et al. 2005).
Considerando pubblicazioni posteriori al 1985, i più bassi tassi sono stati
riscontrati a Vancouver ed in Oxfordshire (Gran Bretagna): meno di 0,1 su 1000
persone; i più alti, invece, sono stati accertati a Madras (India), con 0.58 su 1000,
ed in Bavaria (Germania) con 0.48 su 1000 (Jablensky, Sartorius et al. 1992).
Un altro fattore è il genere: il rapporto uomo a donna è di 3:2. Molti testi
psichiatrici continuano a riportare una distribuzione costante sia nell’uomo che
nella donna; recenti meta-analisi, tuttavia, hanno smentito questa convinzione che
trovava la sua motivazione nell’ipotesi datata (ed ormai inverosimile) di differenti
tassi di rischio, tra il genere maschile e quello femminile, per l’insorgenza,
rispettivamente, di disturbo schizofrenico (rapporto uomo/donna per la ritenuto
1/1) e psicosi maniaco-depressive (2/1 il rapporto maschio/femmina citato). Dati
recenti sottolineano frequenze uomo/donna di 1,2/1 anche nei disturbi bipolari
(Aleman, Kahn et al. 2003; McGrath, Saha et al. 2004).
45
In base ai tassi di mortalità standardizzati, le persone con schizofrenia hanno un
rischio due o tre volte più elevato (2,6%) questa percentuale è aumentata
notevolmente negli ultimi decenni (McGrath, Saha et al. 2008).
Le stime epidemiologiche di incidenza e prevalenza sono utili nella valutazione
generale delle patologie, anche per comprendere al meglio la loro distribuzione
ed evoluzione. Suddetti valori, ad ogni modo, si basano su un preciso campione
che, tuttavia, non è immutabile: pertanto i tassi di mortalità e remissione/recupero
sono altrettanto importanti per fornire modelli di malattia più accurati
(Kruijshaar, Barendregt et al. 2002; Kruijshaar, Barendregt et al. 2003).
Essendo la schizofrenia un disturbo cronico non possiamo descrive il suo
andamento mediante le misure categoriali (ad esempio, guarigione versus
malattia persistente) poiché non ci forniscono informazioni sullo stato clinico del
paziente.
Non possiamo valutare l’andamento della schizofrenia in base alle sue
manifestazioni sintomatologiche di tipo dimensionale (ad esempio, sintomi
positivi o negativi) nel periodo precedente l’esordio della patologia né con misure
di alterato funzionamento premorboso (ad esempio, l'occupazione, il
funzionamento sociale) poiché essi possono subire fluttuazioni nel corso del
tempo ed esprimersi in modo variabile pure nel singolo paziente (H. Hafner 2003;
Andreasen, Carpenter et al. 2005).
Nell’ambito delle patologie dello spettro schizofrenico, la
prevalenza del disturbo schizoaffettivo varia molto. Le donne, nelle casistiche
cliniche, sono, in genere, più colpite degli uomini. L’età media di esordio della
sindrome è tra i 24 e 27 anni (Cassano 2004).
46
1.5.2 INCIDENZA
Le psicosi hanno un'incidenza tra i 15 e i 54 anni di 1/100
persone secondo l’OMS (WHO 1992).
Contrariamente alle interpretazioni precedenti, l’incidenza della schizofrenia
dimostra ampie variazioni tra i diversi luoghi. Quella media è di 15.2/100000
persone; circa l’80% di questa stima varia in un range di 5 volte superiore: 7.7–
43.0/100000 (McGrath, Saha et al. 2008).
Altri studi riportano un’incidenza mondiale del 0,16 - 0,42 per
1000/persone/anno; inoltre il 5 – 8% della popolazione sana indica una forma
attenuata di personalità schizoide e di sintomi analoghi alla schizofrenia, come il
delirio paranoide ed allucinazioni uditive (Chien and Yip 2013).
Relativamente al disturbo schizoaffettivo è riportata
un’oscillazione tra lo 0,3 ed il 5,7 per 100000 per anno (Cassano 2004).
1.6 I SINTOMI PSICOTICI 1.6.1 LE ALLUCINAZIONI (SINTOMO POSITIVO)
Il termine deriva dal latino hallucinere o allucinere, che
significa “vagare nella mente” ed ha, nella sua radice, la particella "lux" (luce-
illuminazione-percezione). Alternativamente si può far risalire al greco ἁλύσκειν,
(haluskein), che significa “scappare”, "evitare" riferendosi all'interpretazione
diffusa dell'allucinazione come fuga dalla realtà.
Le allucinazioni sono classicamente definite “percezioni senza oggetto”: il
paziente ode, vede, sente cose (localizzate nello spazio esterno) che, in realtà, non
esistono (Cassano 2004).
47
Diversamente dalle illusioni, non si tratta di un’alterata interpretazione di una
percezione reale ma di una percezione del tutto immaginaria; rispetto
all’immaginazione sono dotate di concretezza percettiva e non sono influenzabili
dalla volontà; differentemente dai sogni, le allucinazioni si verificano in
concomitanza di percezioni reali (Cassano 2004).
Le allucinazioni più frequenti sono quelle uditive; quelle visive sono meno
comuni; le olfattive, gustative e tattili sono rare (Cassano 2004).
1.6.2 I DELIRI
Il delirio è stato sempre considerato l’essenza della follia
(Cassano 2004).
I deliri “hanno impronta insensata, stravagante.. il loro contenuto viene cambiato
più o meno rapidamente.. se si cerca di persuaderli (i pazienti) si lasciano forse
anche andare ad inventare qualche altra idea delirante” (Kraepelin) (Cassano
2004).
Jaspers ne indica i tre aspetti fondamentali:
- convinzione con assoluto senso di certezza,
- non influenzabili dal ragionamento,
- manifesta assurdità del contenuto.
Nessuna delle tre condizioni è assoluta (Cassano 2004).
I deliri sono disturbi del contenuto del pensiero. Quelli più frequenti sono di tipo
persecutorio. Non usuali ma tipicamente schizofrenici sono i deliri di controllo e
le esperienze di passività (associate alla convinzione che la propria volontà, i
propri sentimenti e perfino le proprie azioni siano controllati dall’esterno), come
il furto, la trasmissione o l’inserzione di pensiero (Cassano 2004).
48
1.6.3 LA DISORGANIZZAZIONE
Il paziente psicotico può presentare uno stato di eccitamento
incontrollato, agitato ed afinalistico oppure apparire rallentato fino all’arresto
psicomotorio. Le alterazioni funzionali della motricità sono diverse:
l’opposizione attiva ai tentativi di movimento (catatonia); l’assunzione passiva
(flessibilità cerea) od il mantenimento della stessa postura a lungo (catalessia).
Comuni sono i movimenti rapidi ed involontari (tic motori), l’imitazione dei gesti
del suo interlocutore (ecoprassia) oppure di sue parole o frasi (ecolalia); i
manierismi: movimenti involontari abituali, strani e caricaturali o le stereotipie:
movimenti ripetitivi volontari e privi di scopo, messi in atto secondo uno schema
fisso (Cassano 2004).
“Non mi sforzavo di inventarle [le parole]; venivano spontaneamente e non
significavano nulla per conto loro; erano il tono, il ritmo e la pronuncia che
possedevano un senso” (Sechehaye 2000).
L’eloquio non è fluente e fornisce scarse informazioni; i discorsi sono vaghi e
spesso persistenti, oltre il contesto da cui sono stati innescati (Cassano 2006).
Il pensiero è rallentato e povero di contenuti; fino ad esser bloccato, inibito
oppure può esser disorganicamente “produttivo” con incoerenza, deragliamento,
tangenzialità, illogicità (Cassano 2006).
1.6.4 L’ALTERAZIONE DELL’ESAME DI REALTÀ
L’impoverimento ideativo si accompagna alla difficoltà di
simbolizzare, di astrarre ed andare oltre il significato letterale di un concetto o di
una frase (Cassano 2004).
49
Il comportamento può essere bizzarro e disorganizzato a sua volta e rendersi,
infine, clinicamente evidente con deficit cognitivi ed alterazioni neurologiche
(dilatazione ventricolare riscontrabile alla TC ed RMN) (Cassano 2004).
Sussistono, inoltre, alterazioni della coscienza del proprio corpo: esso può esser
vissuto come estraneo (depersonalizzazione), come alienato ed influenzato
dall’esterno (esperienza di passività somatica) (Cassano 2004).
Vi possono essere, inoltre, esperienze di perdita dei confini dell’io (Cassano
2004).
1.6.5 I SINTOMI NEGATIVI
Si utilizza una precisa scala diagnostica per la determinazione
dei sintomi negativi: SANS (Torres, O'Leary et al. 2004), messa a punto da
Nancy Andreasen in USA. Si valutano:
- l’impoverimento delle capacità verbali, la perseverazione (alogia) e la
difficoltà nel mantenere l’attenzione;
- l'appiattimento affettivo: caratterizzato dall’ espressione immutabile del
volto, dalla mancanza di inflessioni vocali, e da scarsa reattività emotiva
(anaffettività), asocialità (mancanza di interesse nelle relazioni umane) ed
anedonia (diminuzione della capacità di provare piacere);
- l’abulia e l’apatia: mancanza di energia.
Viene generalmente ritenuto che nel 50% dei casi non siano riscontrabili tratti di
personalità distintivi nei soggetti che svilupperanno il disturbo; nel 25% sono –
invece – evidenziabili tratti aspecifici quali elevata sensibilità, instabilità,
difficoltà a stare con gli altri. Solo nel restante 25% sembrano soddisfatti i criteri
50
per il disturbo schizoide e schizotipico di personalità: nel primo prevarrebbe una
“modalità pervasiva di indifferenza per le relazioni sociali ed una gamma ristretta
di esperienze e di sensazioni emotive”; nel secondo, invece, predominerebbero
“distorsioni cognitive o percettive ed eccentricità di comportamento” unite a
relazioni interpersonali deficitarie (Cassano 2004).
2. IL DISTURBO BIPOLARE
2.1 LA STORIA DEL DISTURBO BIPOLARE « La Malinconia non è che inizio e parte della mania e [...] lo sviluppo della
mania rappresenta un peggioramento della malinconia piuttosto che il passaggio
ad una patologia differente. »
Areteo di Cappadocia (Areteo)
Già nell’antica Grecia si parlava di disturbo bipolare (Angst and
Marneros 2001). Ippocrate fu il primo medico della storia; egli fu anche il primo
ad opporsi alla concezione magica dei disturbi dell’umore, di cui il disturbo
bipolare fa parte. Egli considerava la “mania” e la “depressione” come due
disturbi cronici ma isolati causati da un eccesso di bile: rispettivamente gialla e
nera (Cassano 2004).
Il primo ad ipotizzare uno stretto legame tra le due manifestazioni, seppur
opposte della sintomatologia, fu Areteo di Cappadocia, nel I secolo d.C.; egli
osservò, infatti, che dopo un periodo di depressione i pazienti sviluppavano un
episodio maniacale; ovvero intuì fossero due aspetti di un unico disturbo e ne
sottolineò l’andamento ciclico. (Areteo; Cassano 2004).
51
Galeno (131-201 d.C.) confermò il carattere ricorrente e cronico del disturbo;
inoltre fu il primo a ricondurre l’eziopatogenesi dello stesso ad un’alterazione
primaria del cervello. Fino al medioevo, tuttavia, si continuò a credere che il
disturbo bipolare fosse, per lo più, un problema umorale come definito da
Ippocrate (Cassano 2004).
Solo nel 1854 ed indipendentemente l’uno dall’altro, J-P. Falret, nominandola “la
folie circulaire” (Falret 1851) e J. Baillarger con “la folie a double forme”
(Baillarger 1854), si ritornò ad una concezione unitaria del disturbo bipolare; ove
la mania e la depressione costituivano due aspetti di uno stesso disturbo; essi,
inoltre, evidenziarono la principale caratteristica del DB, ovvero la sua alternanza,
continua e regolare, tra i due differenti stati emotivi (Cassano 2004).
L’attuale inquadramento dei disturbi dell’umore si deve a Kraepelin che, a partire
dall’edizione del 1896 del suo trattato di psichiatria (Lehrbuch der Psychiatrie,
1883) (Kraepelin 1896), individuò due grandi categorie diagnostiche per i
disturbi mentali: l’odierna schizofrenia (dementia praecox) e gli attuali disturbi
bipolari (all’epoca le “psicosi maniaco depressive”). Kraepelin incluse
immediatamente in quest’ultima categoria, oltre alla mania ed alla depressione,
come si evince nome, pure la follia circolare e periodica; nel 1904 introdusse
anche gli stati misti ed, infine, nel 1913 pure la depressione “involutiva”. Per la
sua classificazione si basò sull’età, sull’insorgenza, sulla familiarità, sul decorso
clinico e sugli esiti (Cassano 2004).
52
Figura 6. La rappresentazione grafica del disturbo bipolare a rapida ciclicità per
Kraepelin (Zivanovic and Nedic 2012) “Unregelmässiges, fast das ganze Leben
ausfϋllendes zirkuläres Irresein” (Kraepelin 1920).
Fu solo con K. Leonhard (1957) prima, quindi con J. Angst e C. Perris (1966),
che si ebbe la distinzione tra le forme unipolari depressive (un continuo
susseguirsi di episodi depressivi) e quelle bipolari (in cui si ha un’alternanza di
episodi depressivi, maniacali/ipomaniacali o misti). Anche G. Winokur , negli
anni Sessanta, ha contribuito alla rinascita del concetto distintivo tra le forme
monopolari e bipolari. In tutto questo svolse un ruolo anche la scuola di
Wernicke-Kleist-Leonhard. (Cassano 2004).
Nel corso degli ultimi trent’anni l’attenzione si è rivolta verso gli stati misti di
Kraepelin e Kahlbaum, la ciclotimia di Hecker, i temperamenti affettivi correlati,
53
il concetto di spettro bipolare attenuato di Akiskal ed, infine, la distinzione di
disturbo schizoaffettivo in forme unipolari e bipolari (Angst and Marneros 2001).
Ad oggi l’approccio ai disturbi dell’umore è nuovamente unitario, sostenuto da
una visione di spettro basata su un continuum psicopatologico: di fatto sono
compresi in questa entità nosologica sia i disturbi clinicamente gravi che quelli
più lievi fino ai temperamenti premorbosi (ad esempio e rispettivamente, il
disturbo bipolare I, l’ipomania e la ciclotimia) (Cassano 2004); questo approccio
dimensionale, oltre che categoriale, è oggi riscontrabile anche nel DSM-5.
2.2 LA TEORIA DI SPETTRO NEI DISTURBI DELL’UMORE
L'approccio di spettro (Rucci, Frank et al. 2003; Dell'Osso,
Bazzichi et al. 2009) inquadra i disturbi dell’umore secondo un continuum
sintomatologico: dalle forme a piena espressività clinica ai sintomi sottosoglia
(Dell'Osso, Pini et al. 2007; Carlini M December 2009; Carta, Tondo et al. 2011;
Piccinni, Bazzichi et al. 2011) ed aspecifici.
La scuola di Pisa in collaborazione con l’università di Pittsburgh ha elaborato uno
strumento, il MOODS (Dell'Osso, Armani et al. 2002; Manfredini, Bandettini di
Poggio et al. 2004; Bazzichi, Maser et al. 2005; Manfredini, Ciapparelli et al.
2005; Sbrana, Dell'Osso et al. 2005; Piccinni, Maser et al. 2006; Hardoy, Sardu et
al. 2008; Cassano, Benvenuti et al. 2009; Cassano, Mula et al. 2009; Fagiolini A
1999; Dell'Osso, Da Pozzo et al. 2010; Dell'osso, Carmassi et al. 2011; Dell'osso,
Carmassi et al. 2011; Dell'Osso, Carmassi et al. 2012) che include 161 items
organizzati in 3 domini ipomaniacali/maniacale e 3 depressivi che esplorano
l’umore, il livello di energie e la sfera cognitiva più un dominio che indaga i
disturbi della ritmicità e della sfera neurovegetativa. Infine, ci sono 6 domande
54
relative alla suicidalità. (Balestrieri, Rucci et al. 2006; Dell'Osso, Carmassi et al.
2009; Dell'osso, Carmassi et al. 2009; Dell'osso, Casu et al. 2012).
I sintomi sono valutati da gruppi di affermazioni disposte secondo una gravità
crescente. La suicidalità, per esempio, è esplorata chiedendo al soggetto se abbia
mai vissuto periodi di 3-5 giorni o più, in cui lui/lei 1) credeva che la vita non
fosse degna di essere vissuta, 2) sperava di morire, o 3) voleva morire e 4) aveva
mai progettato piani suicidi; quest’ultima analizzata, a sua volta, chiedendo 5) se
lui o lei, in realtà, avessero mai fatto un tentativo di suicidio (Solomon, Keller et
al. 2000) e 6) se fosse stato necessario l’intervento medico dopo tale tentativo
(Ghaemi, Sachs et al. 1999). Al termine di ciascun dominio principale, una
domanda valuta se i sintomi esplorati avessero mai causato una compromissione
significativa.
In termini di validità discriminante i punteggi totali e parziali (per ogni dominio),
dei pazienti con disturbo appartenente allo spettro dell’umore risultano
significativamente più elevati rispetto ai controlli; i pazienti bipolari ottengono
punteggi significativamente più alti nella componente maniacale rispetto ai
pazienti con depressione ricorrente (Cassano, Rucci et al. 2004).
Recentissimi studi (Rovai, Maremmani et al. 2013) - ricollegandosi ad un
dibattito aperto sin dai tempi di Kraepelin e Kretschmer - indagano il ruolo del
temperamento nell’ambito dell’ipotesi di spettro tra patologia affettiva
conclamata ed il comportamento premorboso. Più recentemente Akiskal ha
proposto un ruolo adattativo putativo per quattro temperamenti fondamentali:
quello ipertimico, depressivo, irritabile e ciclotimico.
55
2.3 DISTURBO BIPOLARE AD ESORDIO PRECOCE (EO)
Il primo a notare la patologia maniaco depressiva anche in età
evolutiva fu Kraepelin; tuttavia le sue osservazioni non furono prese in
considerazione sia perché il riscontro riguardava pochi casi clinici sia perché non
c’era ancora la consapevolezza di malattia psichiatrica nell’età dello sviluppo.
Quest’ultima concezione è giunta fino al XX secolo, dato che si riteneva che il
disturbo dipolare insorgesse in età adulta; i pochi casi aneddoticamente osservati
venivano spiegati come atipici: anche perché, ancora negli anni Ottanta, si faceva
riferimento alla sola depressione come disturbo dell’epoca infantile ed
adolescenziale; la mania non rientrava nella psicopatologia al di sotto dei 18 anni
(Duffy 2007).
Fu solo con l’avvento del DSM-III, nel 1987, (con la classificazione dei vari
sottotipi del disturbo affettivo) e delle scoperte in campo farmacologico: i
rivoluzionari Sali di litio - prescritti per la prima volta come cura per il disturbo
bipolare da L. Grinspoon, psichiatra americano - che l’attenzione si rivolse
nuovamente al DB in epoca giovanile.
Campbell (Campbell 1952; Campbell 1955), negli anni Cinquanta, descrisse
oscillazioni dell’umore, seppur prive di sintomatologia psicotica; in seguito
(1960), Stutte evidenziò l’esistenza di alterazioni in ambito scolastico, unite a
malumore, capricciosità ed aggressività in età adolescenziale (Stutte 1963).
Ad oggi, Suominen (Suominen, Mantere et al. 2007) afferma che esista un
disturbo bipolare ad insorgenza precoce (EO), caratterizzato da un più grave
decorso ed unito a maggiore comorbilità: è più frequente nel genere femminile e
caratterizzato da una veloce alternanza dell’umore o rapida ciclicità (Tundo,
56
Calabrese et al. 2013) e da una forte tendenza suicidaria; sembra associato anche
ai disturbi di personalità (Suominen, Mantere et al. 2007).
Il disturbo Bipolare I è più frequente nel genere maschile; il disturbo Bipolare II,
nel genere femminile ma classicamente privo di manifestazioni psicotiche (e per
questo non trattato in questo contesto). L’esordio tipico risale ai 17 anni.
Mick e colleghi hanno riscontrato un’influenza genetica maggiore (analisi di
linkage) nel disturbo bipolare con esordio precoce (Mick, Kim et al. 2008):
sussiste, cioè, un’associazione con i parenti di primo grado.
Secondo Leboyer (Leboyer, Bellivier et al. 1998; Leboyer, Henry et al. 2005),
esaminando il disturbo affettivo bipolare (BPAD) in funzione dell’età d’esordio
(AAO), si possono stratificare i pazienti in sottogruppi omogenei; tale
classificazione è stata confermata anche da studi recenti che hanno dimostrato
l'esistenza di tre classi; (Bellivier, Laplanche et al. 1997; Bellivier, Golmard et al.
2001): precoce, intermedia e tardiva, seguendo i criteri validati di Kendell
(Kendell 2003).
In definitiva sembra esistere una correlazione tra esordio precoce e
manifestazioni cliniche: si riscontra, infatti, una sintomatologia, una prognosi ed
un outcome più grave rispetto all’esordio tardivo.
57
Figura 7. Età d’esordio nel disturbo bipolare. Dati preliminari ottenuti da Kendell
(Kendell 2003) e riportati da altri studi (Leboyer, Henry et al. 2005) suggeriscono che ci sono tre
sottogruppi di disturbo affettivo bipolare in base all'età di esordio.
In conclusione, nel disturbo bipolare ad esordio precoce sussiste una correlazione
tra un maggiore rischio familiare di DB, più alti tassi di comorbilità, prognosi
infausta e scarsa risposta al litio (Strober, Morrell et al. 1988; Schurhoff, Bellivier
et al. 2000; Schulze, Muller et al. 2002).
2.4 EZIOPATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO
Il disturbo bipolare (DB) è una patologia multifattoriale e
complessa, con diverse presentazioni cliniche. L’eterogeneità eziologica può in
parte costituire la base della variabilità fenotipica (Leboyer, Henry et al. 2005).
Per comprendere appieno il meccanismo alla base dell’insorgenza e ricorrenza
della patologia è imprescindibile studiare gli effetti interattivi tra genetica ed altri
58
noti fattori di rischio: biologici, psicologici e sociologici (Duffy, Alda et al.
2007).
Anche se alcuni studi recenti suggeriscono che il disturbo bipolare inizi più
comunemente durante l'infanzia o l'adolescenza, la malattia rimane ancora sotto-
riconosciuta e sotto-diagnosticata in questa fascia d’età (Kochman, Hantouche et
al. 2005).
Studi (Brown, Bifulco et al. 1987; Goodyer, Wright et al. 1990; Goodyer, Herbert
et al. 2000) indicano una correlazione tra eventi di vita stressanti e la successiva
insorgenza di episodi di depressione in adulti ed adolescenti con disturbo
unipolare. L’associazione riscontrata tra gli eventi negativi, accaduti nel mese
precedente l’esordio della patologia (depressiva o bipolare) sussisteva in circa il
60% dei casi (Kendler, Neale et al. 1993; Kendler, Kessler et al. 1995, Kendler
and Karkowski-Shuman 1997). Silberg e colleghi hanno dimostrato una maggiore
associazione con il genere femminile (Silberg, Pickles et al. 1999).
Kochman F-J, infatti, nel uno studio naturalistico-prospettico di due anni,
sottolinea l’insorgenza di disturbo bipolare dopo un esordio depressivo in
presenza di un temperamento ciclotimico. Egli conferma la possibilità di rilevare
suddetti tratti temperamentali già durante l'infanzia; a differenza di sintomi
ipomaniacali o maniacali, spesso difficili da stabilire in giovani pazienti
esaminati in un campione o in base alla letteratura scientifica pre-esistente
(Kochman, Hantouche et al. 2005).
Occorrerebbe, tuttavia, fornire delle linee guida attuali per trattare il DB in questi
pazienti. (Kowatch, Fristad et al. 2005) ovvero sarebbe necessario un maggiore
sforzo per standardizzare la diagnosi ed il trattamento di queste delle depressioni
unipolari ma al contempo anche pre-bipolari.
59
Concludendo, quindi, sarebbe indispensabile scorgere, in pazienti adolescenti,
questo pattern evolutivo: cioè la suscettibilità temperamentale, amplificata, a sua
volta, da eventi di vita spiacevoli cui segue l’episodio depressivo che costituisce,
però, pure l’antecedente premorboso del DB in età giovanile.
In pratica eventi stressanti, riportati da individui nel corso della vita, svolgono un
ruolo determinante per lo sviluppo del DB se uniti ad una vulnerabilità sottostante
espressa fenotipicamente già attraverso specifici tratti di personalità e
caratteristiche di temperamento (Fergusson and Horwood 1987).
Dati provenienti da studi familiari e da studi prospettici di adulti ed adolescenti
convergono su quest’ipotesi (Akiskal 1995; Akiskal and Akiskal 2005; Evans,
Akiskal et al. 2005; Kochman, Hantouche et al. 2005).
Per Caspi e colleghi (Caspi, Sugden et al. 2003), la sensitività ad eventi stressanti
è associata all’ereditarietà di una o due copie di un allele con polimorfismo per il
promotore 5-HTT.
Nel disturbo bipolare la personalità premorbosa sembra suggerisce
un'associazione principalmente con i primi episodi (Post 1992) pertanto la
precoce identificazione di soggetti a rischio ed un intervento tempestivo sono
estremamente importanti (Duffy, Alda et al. 2007).
A sostegno di questo e rifacendoci allo studio di Kendell (Kendell 2003;
Leboyer, Henry et al. 2005) possiamo affermare che i fratelli bipolari sono molto
più propensi ad appartenere alla stesso (teorico) sottogruppo d’età d’insorgenza,
piuttosto che agli altri. Questa scoperta conferma ed estende i risultati di studi
precedenti su coppie di fratelli e di gemelli che mostrano una correlazione
intrafamiliare per l'età d’esordio nel disturbo affettivo bipolare (Kendler, Neale et
60
al. 1992; Nurnberger, Blehar et al. 1994; Leboyer, Bellivier et al. 1998; Bellivier,
Golmard et al. 2001).
L'esistenza di tre sottogruppi in funzione dell’età di insorgenza ed il
raggruppamento di fratelli all’interno dello stesso potrebbe essere attribuibile a
diversi fattori di vulnerabilità genetica e/o allo stesso meccanismo di suscettibilità,
dissimilmente espresso in vari contesti ambientali a seconda del periodo di vita.
Questa teoria concorda pure con i risultati di una recente analisi di segregazione
del disturbo affettivo bipolare ad esordio precoce, che ha dimostrato, per esso,
una forte ereditarietà poligenica; al contrario del DB ad esordio tardivo,
compatibile con un modello multifattoriale (Grigoroiu-Serbanescu, Martinez et al.
2001).
Gli studi più recenti coinvolgono differenti geni: Bellivier (Bellivier, Leroux et al.
2002), riporta due polimorfismi del gene trasportatore della serotonina (SLC6A4)
come associati ai disturbi affettivi bipolari EO. Egli ha, difatti, identificato un
numero variabile di ripetizioni in tandem nel secondo introne* ed
un’inserzione/delezione di 44 bp nel gene del trasportatore della serotonina, nella
regione polimorfica (5-HTTLPR). Dopo aver testato questi due polimorfismi del
gene SLC6A4 in funzione dell’età d’esordio, in un campione di pazienti bipolari
ad esordio precoce, è stata riportata una correlazione con il numero (variabile) di
ripetizioni in tandem (VNTR).
I risultati confermano che i pazienti aventi un’allele VNTR sono caratterizzati da
una più tardiva AAO rispetto ai pazienti che ereditano il genotipo omozigote nei
quali la malattia insorge più precocemente.
*Si definiscono introni le regioni non codificanti di un gene.
61
Per Mick, (Mick, Kim et al. 2008) invece, il gene candidato nel disturbo bipolare
pediatrico sarebbe il trasportatore della dopamina (SLC6A3). Tale interesse è
motivato da 4 ragioni: 1) la correlazione già ipotizzata di questo gene con
l’ADHD; 2) la comorbidità del disturbo bipolare con l'ADHD che è stato
ipotizzata essere un sottotipo familiare eziologicamente distinto (Perugi, Ceraudo
et al. 2013) ; 3) la scoperta che il blocco del trasportatore della dopamina con
psicostimolanti può indurre mania in persone sensibili e 4) lo stesso gene sembra
implicato, da studi precedenti e successivi (Perugi, Ceraudo et al. 2013), nel
disturbo bipolare degli adulti.
Infine in uno studio d’associazione su base familiare di SLC6A3 - in
collaborazione con il progetto HapMap Internazionale (www.hapmap.org) -
l’attenzione si è focalizzata su 28 SNPs target riportando inizialmente
un'associazione positiva per 4 di essi; dopo correzione statistica è stata, però,
confermata soltanto per l’SNPs della regione 3' del gene.
2.5 EPIDEMIOLOGIA DEL DISTURBO BIPOLARE 2.5.1 PREVALENZA
Il disturbo bipolare non ha predilezione di razza, genere od
etnia (WHO 2011)
http://www.who.int/healthinfo/global_burden_disease/2004_report_update/en/).
Il suo tasso di prevalenza è del 4% negli USA (Price and Marzani-Nissen 2012).
Nonostante i disturbi dell’umore possano svilupparsi a qualsiasi età, sono molto
più comuni in persone giovani, con meno di 25 anni. L’età media d’esordio è 18
anni per il disturbo bipolare di tipo I; di 22 per quello di tipo II (Price and
Marzani-Nissen 2012; Merikangas, Akiskal et al. 2007).
62
Per quanto riguarda i disturbi EO, vi è un aperto dibattito nell’ambito della
prevalenza: il fulcro della questione deriva da problemi diagnostici: se valutiamo
lo spettro bipolare la prevalenza aumenta fino al 5%; se consideriamo i dati
classici riportati in letteratura, il range è compreso tra 0,6-1% (Lewinsohn, Klein
et al. 1995).
Il disturbo bipolare colpisce una grandissima quota della popolazione; il suo
esordio precoce, sovrapponendosi al tormentato periodo dell’adolescenza, rende
ancor più necessaria un’attenzione mirata e selettiva verso i giovani pazienti a
rischio; anche per evitare non solo la forte tendenza al suicidio ma anche la
cronicizzazione e le sequele più debilitanti del disturbo (Vos, Flaxman et al.
2012).
2.5.2 INCIDENZA
Nel 2004 il dodicesimo posto della classifica dei più comuni
disturbi disabilitanti, di livello medio - grave, per ogni gruppo d’età, è spettato al
disturbo bipolare (WHO 2011)
(http://www.who.int/healthinfo/global_burden_disease/2004_report_update/en/).
2.6 LA SINTOMATOLOGIA PSICOTICA NEL DISTURBO …....BIPOLARE
Il riconoscimento precoce ed il trattamento definitivo risultano
fondamentali (Jacobowski, Heckers et al. 2013).
Queste osservazioni di sintomatologia psicotica all’interno di un disturbo bipolare
di tipo I (Pini, Dell'Osso et al. 1999) rivoluzionano la visione dicotomica di
Kraepelin; ormai considerata troppo semplicistica (Bellivier, Geoffroy et al.
2013).
63
Bellivier, infatti, sottolinea l’attuale stato della ricerca, dopo che l’overlap tra SZ
e BD è emerso in ambito genetico, neurofisiologico, neurocognitivo e
sintomatologico (Bellivier, Geoffroy et al. 2013).
Nel 1880 Schule afferma che “nulla è durevole in mania se non
la perpetua trasformazione”; di fatto le fluttuazioni dell’umore sono abitualmente
di breve durata rispetto all’episodio depressivo (Cassano 2004).
Secondo Carlson (Carlson and Goodwin 1973) sussistono tre diversi stadi nella
mania che si susseguono con gravità crescente: nel primo si riscontrano
occasionali deragliamenti del pensiero seguiti, poi (fase II), da disorganizzazione
cognitiva e deliri uniti ad aumento della motricità; infine, nel terzo stadio, si
sviluppa una chiara perdita dei nessi associativi, deliri (per lo più di tipo
persecutorio) ed allucinazioni.
Durante l’episodio maniacale possono sussistere caratteristiche alterazioni della
forma e del contenuto del pensiero. I deliri si caratterizzano per esser concentrati
sul paziente stesso e sulle sue capacità: egli si sopravvaluta e si ritiene in grado di
affrontare ogni sforzo, intellettualmente geniale, esteticamente bellissimo, con
grande successo in ogni area (deliri di grandezza o megalomanici) (Pini, de
Queiroz et al. 2004; Benvenuti, Rucci et al. 2005). Relativamente frequenti sono
anche deliri inerenti a tematiche religiose (Cassano 2004).
Il delirio è costituito da di idee scarsamente sistematizzate, continuamente
mutevoli e più spesso congrue rispetto all’umore del paziente; arrivano a
presentarsi fino nel 75% dei soggetti (Cassano 2004).
A seconda del tipo di delirio, possiamo riscontrare anche allucinazioni visive ed
uditive (se il paziente, ad esempio, crede di aver super-poteri o particolari
64
capacità di comunicare con la divinità). A partire da queste situazioni cliniche è
facile l’associazione con altri tipi di delirio, come quello persecutorio o di
nocumento (il paziente crede d’esser controllato o teme d’esser oggetto di
possibili atti lesivi). Tra le varie manifestazioni psicotiche possiamo ritrovare
l’intera serie di sintomi di primo rango di Schneider; nelle forme più gravi
possono comparire sintomi catatonici (Cassano 2004; Benvenuti, Rucci et al.
2005).
Le diverse preoccupazioni (fallimento, colpa, malattia, paura per il futuro),
intorno alle quali ruotano le assillanti ruminazioni del depresso mantengono
abitualmente le caratteristiche di idee prevalenti ma, in alcuni casi (circa il 40%),
possono trasformarsi in veri e propri deliri; per lo più congrui all’umore. Tipici
sono quelli di colpa (per qualche sbaglio commesso), di dannazione (per colpe
imperdonabili), d’indegnità, di povertà o di rovina. Abbastanza frequenti sono
anche i deliri ipocondriaci (il paziente pensa che i suoi organi interni siano
danneggiati o è convinto di essere affetto da una malattia inguaribile). La
sindrome di Cotard si caratterizza per la presenza di delirio nichilistico (il
soggetto è convinto di non possedere più gli organi interni o che siano pietrificati;
fino a poter negare persino d’esistere) e d’immortalità (il soggetto si sente
condannato a vivere in eterno o comunque a soffrire per espiare le proprie colpe).
Più raramente si possono manifestare deliri incongrui alla tonalità dell’umore con
tematiche di persecuzione, riferimento, influenzamento, veneficio, inserzione e/o
trasmissione del pensiero; se associati ad agitazione od aggressività, tuttavia
dovrebbero indirizzarci verso la diagnosi di stato misto (Dell'Osso, Akiskal et al.
1993; Cassano 2004).
65
Nelle forme depressive più gravi possono insorgere anche le allucinazioni:
solitamente visive ed uditive; meno frequentemente gustative ed olfattive
(Cassano 2004).
3. IL FUNZIONAMENTO PREMORBOSO
3.1 INTRODUZIONE “Ci sono anomalie caratteriali precoci che potrebbero essere manifestate in più
della metà degli individui che in seguito diverranno schizofrenici: la tendenza
all’isolamento ed al ritiro, insieme ad un moderato grado di irritabilità”. Così
Bleuler si esprime in merito alla patologia schizofrenica nella Presentazione
della teoria dei sintomi schizofrenici sostenendo che la personalità schizotipica
può predisporre alla schizofrenia ed opponendosi alla concezione condivisa da
Schneider e Jaspers (Schneider 1959; Rodriguez Solano and Gonzalez De Chavez
2000) che ritenevano la schizofrenia indipendente dall’adattamento psicosociale
premorboso.
“Tra tutti i modi di rapportarsi agli altri che sono tipici dei vari disturbi di
personalità, quello dello schizoide mi sembra il più saggio, oltre che il più
dignitoso: mentre, infatti, il dipendente non può fare a meno degli altri, l’evitante
ne ha timore, il narcisista ne desidera l’ammirazione, il paranoide ne diffida
continuamente e l’antisociale non ne ha alcun rispetto, allo schizoide, degli altri,
non importa un bel niente”.
(Giovanni Soriano).
66
Secondo Lieberman, la suscettibilità sottostante al periodo
premorboso è dovuta tanto a fattori genetici quanto organici che psicosociali ed è
ben rappresentata da un modello di “stress-vulnerabilità” (Lieberman 1999).
I fattori genetici sono i maggiori implicati nella suscettibilità per lo sviluppo della
schizofrenia e sono, quindi, maggiormente coinvolti nella predittività
dell’evoluzione patologica. In assenza di altri fattori, tuttavia, potrebbero causare
una misdiagnosi “preschizofrenica” in soggetti soltanto (almeno ancora) a rischio
(Carter, Schulsinger et al. 2002). A sostegno di questa ipotesi sussiste la scarsa
concordanza (alle volte, persino minore del 50%) evidenziata da studi su gemelli
(Fischer, Harvald et al. 1969; Pollin, Allen et al. 1969); possiamo, quindi,
affermare che altri fattori, di tipo ambientale, siano coinvolti: tra essi l’ambiente
familiare sembra esser il più accreditato.
Nel 1962 Meehl (Meehl 1989) identificava questa condizione predisponente
ereditaria come “schizotaxia” e riteneva possibile vari pattern di sviluppo,
parallelamente coesistenti. In pratica sia la personalità schizotipica - tra i più
evidenti fenotipi di alterazione premorbosa - che la schizofrenia avevano come
substrato comune tale schizotaxia (Mata, Sham et al. 2000).
Concludendo, sia l’ereditarietà genetica (geni schizofrenogeni) che le influenze
socio-familiari (fattori ambientali) agiscono sul temperamento di un soggetto
facendo emergere, infine, una personalità preschizofrenica (Carter, Schulsinger et
al. 2002).
Sempre secondo Carter e colleghi, l’ambiente familiare sembra possedere un
ruolo primario nell’influenzare il temperamento antecedente l’esordio
psicopatologico manifesto. In particolare, la disgregazione dei rapporti relazionali
si evidenzia sin dal contesto domestico - con carenze di tipo affettivo-
67
rassicurative, comunicative e formative nell’ambito dell’indipendenza personale -
unite a livelli elevati di conflittualità ed aggressività reciproca, più o meno
manifesta (Sangiovanni L. 2006), tra i genitori (Hirsch and Leff 1971). Non a
caso l’istituzionalizzazione – frequentemente correlata con la sintomatologia
positiva (Mednick, Parnas et al. 1987) - la separazione dei coniugi o la morte di
uno di essi, l’eventuale introduzione di un nuovo membro (figura paterna e/o
materna) e la crescita in un’ ambiente definibile impersonale influenzano lo
sviluppo emotivo e sociale del paziente (Schiffman, LaBrie et al. 2002) potendo
assumere un ruolo svantaggioso per l’outcome di malattia o, comunque, favorire
lo sviluppo di anomalie nel periodo premorboso (Carter, Schulsinger et al. 2002).
I soggetti di sesso maschile sembrano particolarmente influenzabili da suddetto
alterato contesto familiare - tanto più se portatori di una certa ereditarietà verso le
malattie psichiche – come dimostrato da Hien D. e colleghi: il loro studio (Hien,
Haas et al. 1998), infatti, riporta una frequenza significativamente maggiore di
temperamenti antisociali in tali soggetti.
Un buon funzionamento accademico così come un adeguato adattamento sociale
possono esser indirettamente valutati mediante la capacità del soggetto di agire ed
interagire all’interno del contesto scolastico. La classe, infatti, rappresenta un
micro-ambiente utile per la valutazione della capacità interattiva e relazionale del
paziente premorboso; quest’ultime, se alterate, possono esser considerate
indicatori di rischio d’esordio schizofrenico; come emerso da numerosi studi di
follow-back (Pieroni V 1998).
L’istruzione, infatti, è un importante predittore di buon funzionamento sociale
durante il decorso della patologia schizofrenica e nel periodo antecedente
l’esordio sintomatologico conclamato. Pazienti schizofrenici che abbiano
68
raggiunto un maggiore livello d’istruzione, non solo presentano una
sintomatologia più lieve: relativamente all’alogia, ai deliri, al comportamento
disorganizzato ed all’apatia; ma presentano anche una migliore qualità di vita, un
ridotto deterioramento cognitivo ed una minor evidenza di atrofia corticale
(Sangiovanni L. 2006).
La Scala d’Adattamento Premorboso (PAS) attesta anche questo miglior
rendimento: non a caso un più alto grado d’istruzione raggiunto correla con più
bassi, e quindi migliori, punteggi.
In conclusione, cioè, anche nel funzionamento antecedente la malattia
schizofrenica si riportano minori alterazioni temperamentali ed un miglior
adattamento sociale nelle forme meno gravi di psicosi (Swanson, Gur et al. 1998).
La PAS, pertanto, non solo individua alterazioni che ci inducono a sospettare un
evoluzione futura alterata; ma quantifica il grado di disfunzione correlabile con lo
stadio di patologia.
Geddes e colleghi (Geddes, Mercer et al. 1994) confermano che maggiore è il
livello accademico raggiunto, minori sono i ricoveri riportati e sussiste persino un
miglior outcome (McGlashan 1988; Ram, Bromet et al. 1992; DeQuardo, Tandon
et al. 1994) esplicato anche da una riduzione nel tasso di suicidi (Drake, Gates et
al. 1985; Roy 1986, Caldwell and Gottesman 1990).
Nonostante sussista un miglior FPM in alcuni gruppi di pazienti prepsicotici, non
dobbiamo – tuttavia – dimenticare che, se paragonato a quello dei controlli sani,
esso risulta, ad ogni modo, deficitario; pertanto tali pazienti non raggiungeranno
comunque mai un buon livello accademico e ciò influenzerà, in ogni caso, il loro
funzionamento successivo (Sangiovanni L. 2006).
69
Sono state riportate, inoltre, differenze nel rendimento scolastico tra bambini con
alterato FPM e controlli sani (Isohanni and Isohanni 1998), approfondendo
(Isohanni, Jarvelin et al. 1999) anche la valutazione di soggetti UHR.
Per van Os e colleghi (Van Os, Jones et al. 1998), si evidenzia un comportamento
passivo, tendente all’isolamento e con tratti schizoidi di personalità nei bambini
UHR; Harvey (Harvey, Weintraub et al. 1984), invece, descrive i soggetti UHR
come aggressivi, distruttivi, emotivamente instabili e caratterizzati da minore
capacità attentiva. Questi dati apparentemente contrastanti, sono stati interpretati
da Olin e colleghi (Olin, Mednick et al. 1998): nello specifico, il FPM esplica un
differente fenotipo in base al genere: le ragazze preschizofreniche sono più
riservate, tese, fortemente inibite, solitarie ed inclini ai disturbi dell’umore; nei
ragazzi preschizofrenici è descritto, invece, un comportamento maggiormente
conflittuale, bloccato, propenso alla depressione (Watt 1978) distruttivo,
inappropriato, irritabile, distratto ed antisociale (Mednick, Parnas et al. 1987).
Il fenotipo premorboso, pur essendo analogamente deficitario, permetteva anche
di differenziare pazienti con evoluzione schizofrenica da quelli con personalità
schizotipica dato che i primi propendevano verso un minor controllo emotivo
(ovvero necessitavano di un maggiore periodo riequilibrante dopo un evento
stressante che li avesse turbati). Dato che temperamenti schizoidi e schizotipici
sono stati riscontrati in pazienti schizofrenici ed in soggetti non ancora psicotici,
seppur imparentati con malati schizofrenici, è stato proposto da Parnas e colleghi
(Parnas, Schulsinger et al. 1982) un certo approfondimento, nell’ambito degli
studi genetici per la schizofrenia, anche di questi tratti comportamentali. Uno
strutturato difetto neurale integrativo (schizotaxia) - a causa di un schizogene
dominante completamente penetrante, per una aberrazione parametrica nella
70
selettività sinaptica del segnale – causa, sotto ordinari regimi di apprendimento
sociale, schizotipia (personalità che mostra ambivalenza, tendenza all’avversione,
autismo e rallentamento cognitivo).
L’introversione e l'ansia (potenziatori sfavorevoli) e le esperienze negative di vita
(ad esempio, traumi infantili), uniti a suscettibilità genetica, aumentano di circa il
10% la possibilità di sviluppare la schizofrenia. Ad oggi si ritiene, di fatto, che la
schizofrenia sia fondamentalmente un disturbo neurologico (Meehl 1989).
Studi retrospettivi riportano che la ridotta capacità attentiva, i deficit
nell’adattamento sociale ed i problemi comportamentali rappresentano le
caratteristiche fenotipiche quasi patognomoniche del periodo premorboso
(Sangiovanni L. 2006).
Durante suddetto periodo, precedente l’esordio della patologia, i pazienti
schizofrenici tendono a stringere forti legami intrafamiliari e, parallelamente, a
ridurre i contatti interpersonali risultando, quindi, meno indipendenti (Bearden,
Rosso et al. 2000).
L’individuazione del periodo premorboso, pertanto, non solo ci permette di
ipotizzare una diagnosi precoce – data la forte correlazione antecedente l’esordio
della patologia schizofrenica conclamata - ma ci fornisce, persino, una
ragguardevole capacità prognostica sia per quanto riguarda la sintomatologia che
l’outcome nosologico (Farina, Garmezy et al. 1962; Gittelman-Klein and Klein
1969; Goldstein 1978).
I deficit maggiormente evidenti e valutabili, durante il periodo premorboso
riguardano prevalentemente i rapporti socio-relazionali con i coetanei: il soggetto
tende a trascorrere molto tempo da solo, non possiede molti interessi, preferisce
una vita ritirata, non tenta alcun approccio con persone del suo stesso genere né,
71
tanto meno, con quelle dell’opposto; è inibito, passivo, manca di iniziativa e
spesso orientato verso un atteggiamento indifferente nei confronti del mondo che
lo circonda. In altri casi, invece, predomina un’attitudine antisociale ed
aggressiva unita ad un maggiore discontrollo emotivo (Sangiovanni L. 2006).
A questo proposito è stata riscontrata una correlazione tra la schizofrenia ed un’
ambiente familiare precario nel suo equilibrio, comunicativamente carente ed
incapace di consentire uno sviluppo adeguatamente autonomo del paziente:
l’ambiente di vita e di sviluppo, pertanto, assume un ruolo non secondario nel
contesto della patologia.
3.3 COME SI MISURA
In base alle affermazioni precedenti emerge come il
funzionamento premorboso rientri tra i fattori potenzialmente predittivi di
un’evoluzione verso la schizofrenia. Il soggetto in questione è spesso un ragazzo
con scarse amicizie e nessun rapporto con il genere opposto; non condivide i
tipici interessi dei suoi coetanei e non pratica sport. Questi soggetti sono
scarsamente tolleranti verso le frustrazioni, tendenzialmente introversi, non si
lasciano coinvolgere in attività ricreative, sono poco motivati e frequentemente
soffrono di difficoltà d’attenzione (Pancheri 1993).
Negli ultimi anni sono state condotti molti studi nel tentativo di comprendere il
giusto metodo per riuscire a distinguere tra la schizofrenia ed altri disturbi
psichiatrici: un elemento di grande aiuto sembra essere il funzionamento
premorboso (Cannon, Jones et al. 1997; Roff 2001).
Il FPM può essere valutato con una serie di strumenti validati. Nel nostro caso
abbiamo fatto ricorso alla Premorbid Adjustment Scale (PAS) elaborata da
72
Cannon-Spoor (Cannon-Spoor, Potkin et al. 1982); questa indaga i diversi ambiti
di adattamento socio-relazionale e sessuale mediante semplici domande nei
diversi periodi di sviluppo. La nostra attenzione si concentra, nello specifico, fino
ai 16 anni; (sussistono anche epoche successive ma non rientrano nel
funzionamento valutabile in ambito premorboso; costituente, invece, l’oggetto del
nostro studio).
3.4 IL FUNZIONAMENTO PREMORBOSO IN ………..LETTERATURA
Langfeldt (Langfeldt 1956) distingueva, in base al
funzionamento premorboso, due possibili evoluzioni psicopatologiche: un minor
FPM era suscettibile di evoluzione schizofrenica; al contrario un esordio
sintomatologico rapido e improvviso propendeva maggiormente verso un
disturbo schizofreniforme.
Se il FPM risulta sufficientemente buono è possibile ipotizzare un esordio
sintomatologico più tardivo con una miglior risposta terapeutica ai trattamenti
farmacologici (Haas and Sweeney 1992).
Un miglior funzionamento in ambito scolastico e sociale, nonché familiare, sia
nell’infanzia che nell’adolescenza, potrebbe costituire un fattore protettivo verso
la stabilizzazione dei sintomi psicotici (cronicizzazione) e rappresentare un indice
prognostico positivo (minori ricoveri durante la fase conclamata della patologia;
ridotto declino funzionale nonostante l’esordio di malattia). (Sangiovanni L.
2006).
Malgrado la rilevanza di queste osservazioni precliniche, soprattutto come
fenotipo identificativo precoce delle diverse sindromi psicotiche, non è stato
73
ancora precisato se le variazioni nel FPM psicosociale rispecchino sostanziali
differenze nei processi psicopatologici, manifestazioni fenotipiche varie o,
persino, una vera e propria sindrome per eziologia e fisiopatologia.
Il funzionamento in ambito psico-sociale può comunque coadiuvarci nella
stratificazione precoce dei pazienti (in base al rischio): ci permette, cioè, di
suddividerli ulteriormente, sia in base al decorso della malattia che per severità
sintomatologica (consegnandoci uno strumento fruibile per comprendere pure la
terapia più adeguata in dosi efficaci).
Per Sangiovanni e Keefe, un minor FPM si associa ad una maggiore severità
sintomatologica: orientata per lo più verso i sintomi deficitari piuttosto che verso
quelli produttivi; con un esordio psicopatologico più precoce: EOS, precedente i
18 anni d’età (Wyatt 1995); unito ad una peggior prognosi ed outcome (Keefe,
Mohs et al. 1989; Sangiovanni L. 2006). Questo fenotipo evolutivo è stato
rinominato, in seguito a studi retrospettivi UHR/ARMS (Alaghband-Rad,
McKenna et al. 1995; Vourdas, Pipe et al. 2003).
Per quanto riguarda il neuroimaging (TC) in pazienti schizofrenici cronici, sono
state riscontrate anomalie significativamente associate con uno scarso
adattamento premorboso; altri dati riportano una maggiore suscettibilità verso
l’atrofia cerebrale dopo l’esordio di malattia, sempre in soggetti psicotici con
alterato FPM (Weinberger, Cannon-Spoor et al. 1980).
Possiamo affermare che l’attenta valutazione del FPM è uno strumento di grande
importanza per cogliere i prodromi di patologia. Ci permette, cioè, di prevedere -
in funzione dei risultati alla PAS - il preciso pattern evolutivo possibile nel
contesto psicopatologico del paziente.
74
Potremmo esser, quindi, in grado di predire, in presenza di FPM fortemente
alterato, un probabile peggior outcome clinico (Haas and Sweeney 1992;
Apiquian, Ulloa et al. 2002).
Figura 8. Grafico riassuntivo su FPM deficitario.
Studi sistematici sul funzionamento premorboso nell’ambito del
disturbo bipolare sono scarsi; i pochi svolti, confrontando i risultati ottenuti dalla
PAS dei pazienti bipolari con quelli dei controlli sani, si proponevano un duplice
obiettivo: 1) scoprire se i pazienti con disturbo bipolare avessero un peggior FPM
rispetto ai controlli sani e 2) se i livelli di PMA nei pazienti bipolari correlassero
Alterazioni cerebrali
all’imaging (TC)
ARMS/
UHR
DUP
Minore
sintomatologia positiva
Esordio precoce di
schizofrenia
Maggiori
ospedalizzazioni
Esordio insidioso
Sintomatologia
più intensa
Maggior rischio
di cronicizzazione
Maggior rilevanza di
sintomi negativi
FPM
particolarmente deficitario
75
con caratteristiche fenotipiche che potessero delineare sottogruppi significativi
(Rietschel, Georgi et al. 2009; Tarbox, Brown et al. 2012).
Il nostro studio, si inserisce in questo contesto e propone un confronto, in base al
FPM, tra pazienti psicotici BD ed SZ; anche per consentirci di analizzare le
attuali teorie riguardanti similarità e/o differenze tra SZ e BD (Rietschel, Georgi
et al. 2009).
Negli ultimi anni l’interesse si è focalizzato sullo studio del
periodo che precede l’esordio della psicosi, soprattutto per la sua importanza
nell’individuazione precoce di processi patologici.
Il declino premorboso si colloca in questo ambito di ricerca e si propone di
valutare il soggetto durante l’accrescimento; quando la sintomatologia psicotica è
ancora latente (Hollis 1995).
Il funzionamento premorboso definito come il livello di funzionamento
precedente l’esordio della patologia è, non a caso, l’oggetto d’interesse di svariati
altri studi (Addington and Addington 2005 ; Rietschel, Georgi et al. 2009).
Oltre alle difficoltà premorbose a livello sociale e scolastico (Alaghband-Rad,
McKenna et al. 1995; Hollis 1995), gli studi sulla schizofrenia ad esordio precoce
hanno spesso sottolineato la presenza di consistenti anomalie nella strutturazione
del discorso, nel linguaggio e nello sviluppo motorio (Hollis 1995; Watkins,
Asarnow et al. 1988; Nicolson, Lenane et al. 2000).
Un alterato sviluppo (Walker and Lewine 1990) ed un declino del FPM (Larsen,
McGlashan et al. 1996; Malmberg, Lewis et al. 1998; Schmael, Georgi et al.
2007) sono stati comunque descritti anche nella schizofrenia con esordio in età
76
adulta; ulteriori studi comparativi affermano tuttavia che i pazienti con
schizofrenia ad esordio tardivo abbiano un miglior FPM (Vourdas, Pipe et al.
2003; Joa, Johannessen et al. 2009) rispetto ai pazienti con esordio di patologia
antecedente i 18 anni d’età; ciò suggerisce una possibile correlazione tra l’età
d’esordio del disturbo schizofrenico e la gravità del declino premorboso.
Diverse questioni, tuttavia, rimangono irrisolte per quanto riguarda l’alterazione
del FPM nelle psicosi ad esordio precoce. Innanzitutto, non è chiaro se il declino
del FPM sia una caratteristica generale della psicosi o se sia più specifica della
schizofrenia, se comparata con il disturbo bipolare; come nel caso della
popolazione adulta (Rietschel, Georgi et al. 2009). Secondariamente, non è chiaro
se il FPM sia un concetto unitario o se si esprima almeno tramite due domini,
correlati ma distinti: ad esempio, l’ambito accademico e sociale (Allen, Kelley et
al. 2001).
Il nostro studio - così come altri (Paya, Rodriguez-Sanchez et al. 2013) - valuta il
FPM in un campione di 123 pazienti psicotici di cui 28 con disturbo bipolare
(DB) e 53 con patologia riconducibile allo spettro schizofrenico (SZ); comparati
con 42 controlli sani (CS).
La nostra teoria, prendendo origine da studi precedenti svolti nella popolazione
adulta, ipotizza la presenza di ampie alterazioni premorbose nel campione
psicotico; volendo valutare se 1) queste esistano effettivamente, 2) il loro decorso,
3) se sia possibile distinguere all’interno di questo gruppo psicotico dei
sottogruppi in base al FPM, valutato alla PAS.
77
4. MATERIALI E METODI 4.1 DISEGNO DELLO STUDIO
Questo studio si basa su un disegno caso-controllo. I dati sono
stati ottenuti nell’ambito di uno studio di tre anni volto a valutare la psicosi, nelle
sue componenti eziopatogenetiche, cognitive, metacognitive e di funzionamento
nella vita quotidiana. Si tratta di uno studio monocentrico, condotto
nell’Università di Pisa ed approvato dal Comitato Etico locale.
4.2 RECLUTAMENTO
I casi sono stati reclutati da settembre 2010 a settembre 2013 tra
i pazienti afferenti alla Clinica Psichiatrica Universitaria dell’Ospedale Santa
Chiara di Pisa, sia in regime di ospedalizzazione che di Day Hospital/ambulatorio,
alle strutture territoriali, quali Centri Diurni di Pisa e Massa, e ad associazioni di
promozione sociale, come L’Alba di Pisa. I pazienti sono stati adeguatamente
informati ed hanno espresso il proprio consenso tramite firma di un apposito
modulo. Sono stati invitati a partecipare allo studio tutti i pazienti di età compresa
tra i 18 e i 65 anni che manifestavano sintomi psicotici al momento
dell’osservazione (ICD-10 F20, F21, F22, F23, F24, F25, F28, F29, F30.2, F31.2,
F31.5, F32.3, F33.3) (WHO 1978). Sono stati esclusi i casi di psicosi dovuta a
patologia medica generale e indotta da intossicazione e/o astinenza da sostanze
(Di Forti, Morrison et al. 2007). Ai fini della ricerca non rappresentano criteri di
esclusione: la comorbilità con altre patologie psichiatriche; un’anamnesi positiva
per pregresso abuso o dipendenza da sostanze psicoattive (cannabis, cocaina,
eroina, alcool, amfetamine etc); patologie internistiche (diabete, ipertensione etc);
78
lo stato di gravidanza o di allattamento. Non è stata considerata rilevante
l’anamnesi farmacologica dei pazienti.
I controlli sono stati reclutati in maniera random tra gli studenti ed il personale
dell’Università e dell’Ospedale. Alcuni dei controlli sono stati reclutati tra i
donatori di sangue afferenti ai centri di raccolta Avis dell’Ospedale Santa Chiara
di Pisa e di Cisanello. Il campione di controlli è stato selezionato in modo da
essere rappresentativo della popolazione locale per età, genere, gruppo etnico,
livello di istruzione e stato socio-economico. Il reclutamento è avvenuto previa
lettura e firma del consenso informato. Sono stati esclusi soggetti con diagnosi
attuale o passata di disturbi dell’umore e psicotici, o con anamnesi farmacologica
passata o presente positiva per farmaci anti-psicotici. Anche per i controlli non è
stato considerato criterio di esclusione la comorbidità con altri disturbi
psichiatrici, un’anamnesi positiva per patologie internistiche, lo stato di
gravidanza e/o allattamento, l’uso/abuso di alcol o sostanze stupefacenti.
Per l’assessment psicopatologico è stata somministrata l’Intervista Semi-
strutturata SCID-I o Structured Clinical Interview for DSM Disorders (First M.B.
1995) limitatamente alle sezioni relative alla psicosi e ai disturbi dell’umore, da
parte di personale medico specializzato.
Le informazioni così ottenute sono state integrate con i dati desunti dalle cartelle
cliniche.
4.3 VALUTAZIONE
Per ogni partecipante abbiamo raccolto informazioni sull’età, il
genere, il titolo di studio, la scolarità e lo status socio-economico (SES), definito
come professione del padre, tramite interviste socio-demografiche e la validata
79
Medical Research Council Sociodemographic Schedule o MRC (Mallett, Leff et
al. 2002).
Il funzionamento premorboso è stato valutato retrospettivamente mediante la
scala del funzionamento premorboso o PAS (Cannon-Spoor, Potkin et al. 1982).
Questa scala è stata compilata sulla base delle informazioni ricavate sia dal
paziente che dai familiari, quando disponibili. Per evitare potenziali bias derivanti
dallo stato clinico del paziente, nel punteggio finale abbiamo assegnato maggior
peso alle informazioni fornite dai genitori piuttosto che dallo stesso paziente.
La PAS valuta il FPM in quattro differenti range d’età: l’infanzia, (PAS-I, fino ad
11 anni); la fase iniziale dell’adolescenza, (PAS-IA, dai 12 ai 15 anni); la tarda
adolescenza (PAS-TA, 16-18 anni) e l’età adulta (PAS-A, oltre i 19 anni). Nel
nostro studio abbiamo analizzato soltanto i dati sul FPM relativi all’infanzia e alla
prima adolescenza. Durante ciascun periodo della vita, abbiamo considerato
l’adattamento in quattro ambiti di funzionamento, di cui due riferibili al dominio
sociale: socievolezza e ritiro (PAS 1), relazioni con i coetanei (PAS 2) e due a
quello accademico ovvero rendimento scolastico (PAS 3) ed adattamento
scolastico (PAS 4). Inoltre, nel periodo adolescenziale, a questi si aggiunge un
quinto dominio, quello delle relazioni socio-sessuali (PAS 5). I partecipanti
hanno assegnato le risposte ai singoli item su una scala a tipo Likert da 0 a 6, in
cui un punteggio minore riflette un livello migliore di adattamento premorboso.
Abbiamo ricavato il punteggio per l’adattamento premorboso nei domini sociale
ed accademico in ciascuna delle due fasce di età dividendo la somma dei
punteggi ottenuti nei relativi ambiti per il punteggio massimo ottenibile per quel
dominio nella specifica fascia d’età. Infine, abbiamo calcolato il punteggio
80
globale per ciascuna fascia d’età dividendo la somma dei punteggi ottenuti nei
singoli item per il punteggio massimo possibile per quella fascia d’età.
4.3.1 ANALISI STATISTICHE
I dati provenienti dalle interviste sono stati inseriti in un
database realizzato attraverso il programma computerizzato SPSS, e qui studiati,
elaborati ed analizzati. Le elaborazioni sono state realizzate con il software
statistico SPSS 17.0 per windows.
Abbiamo confrontato i tre gruppi (SZ, BD, controlli sani) per il genere con il test
del chi-quadro (χ2). Per valutare le differenze di età, titolo di studio, scolarità, e
SES, abbiamo applicato un’Analisi della Varianza (ANOVA). Abbiamo usato la
correzione di Bonferroni per i confronti multipli post-hoc di queste variabili
continue nei diversi gruppi; quelle variabili che sono risultate significativamente
diverse tra pazienti e controlli sono state utilizzate come covariate. Per la
descrizione delle variabili continue ci siamo avvalsi di media, deviazione
standard (SD) e grandezza campionaria (N); invece, per le variabili discrete
abbiamo utilizzato frequenze assolute e relative, quest’ultime espresse in
percentuale.
Abbiamo applicato un’Analisi della Covarianza (ANCOVA), usando età, titolo di
studio, scolarità, e SES come covariate, allo studio delle differenze tra pazienti e
controlli sani nel punteggio totale della PAS e nei punteggi dei suoi singoli item e
dei suoi due domini, sociale ed accademico, in ciascuna fascia d’età (infanzia e
prima adolescenza).
Infine, abbiamo indagato l’andamento longitudinale del FPM, sottraendo ai
punteggi della prima adolescenza quelli dell’infanzia, per il punteggio PAS totale,
81
nei singoli item e domini. Una differenza positiva indica un declino del FPM nel
passaggio tra le due fasce d’età; al contrario una differenza negativa, è indicativa
di un miglioramento. Le differenze così calcolate per ciascuno dei tre gruppi (SZ,
BD; e controlli) sono state confrontate tramite ANCOVA, con correzione di
Bonferroni per i confronti post-hoc. Tutti i test statistici erano a due code. Un
valore di p<0.05 è stato considerato come statisticamente significativo.
5. RISULTATI
5.1 CARATTERISTICHE SOCIO-DEMOGRAFICHE E
…..CLINICHE DEL CAMPIONE
Il campione è costituito da 123 soggetti, di cui 81 pazienti e 42
controlli sani. Sul totale dei pazienti, 53 sono affetti da disturbi dello spettro
schizofrenico (SZ) e 28 da disturbo bipolare (DB). La tabella 6 riporta le
frequenze assolute e relative per il genere, i valori di media e deviazione standard
per le variabili continue, ed i confronti di tali variabili socio-demografiche tra i
tre gruppi.
La maggior parte dei soggetti è di sesso maschile, in numero complessivo di 65
(52.8%). L’età media è di 38.47 (±12.05). L’ANOVA rivela che esistono
differenze statisticamente significative tra i tre gruppi per l’età, ma non per il
genere. Entrambi i gruppi di pazienti (SZ e BD) hanno frequentato la scuola per
un numero di anni significativamente inferiore rispetto ai controlli. Tuttavia solo i
pazienti SZ raggiungono titoli di studi inferiori ai controlli. Infine il SES del
gruppo di pazienti SZ è risultato inferiore a quello dei controlli. (Vedi Tabella 6).
82
Tabella 6. Confronto delle caratteristiche socio-demografiche tra pazienti
schizofrenici, bipolari e controlli.
SZ=schizofrenia; BD=disturbo bipolare; SES=status socio-economico.
F = Risultati dell’ANOVA one-way; risultati significativi in grassetto.
χ²=Risultati del test chi-quadro; SD=Deviazione standard.
N=campione dello studio; NS=non significativo.
Confronti post-hoc di Bonferroni per dati appaiati.
* p<0.05
**p<0.01
***p<0.001
5.2 DIFFERENZE TRA I GRUPPI NEI PUNTEGGI PAS
5.2.1 PUNTEGGI PAS DURANTE L’INFANZIA
La tabella 7 mostra i punteggi PAS durante l’infanzia per i tre
gruppi ed i risultati dell’ANCOVA e dei confronti multipli post-hoc.
Le analisi della covarianza mostrano differenze statisticamente significative tra i
gruppi nel punteggio globale della PAS ed in tutti gli items ed i domini.
I confronti post-hoc rivelano che durante l’infanzia i pazienti SZ hanno livelli di
adattamento peggiori dei controlli sani in tutti gli items e domini della PAS.
83
Inoltre i pazienti SZ risultano deficitari nel funzionamento premorboso anche
rispetto ai pazienti BD, sia globalmente, che specificamente nell’ambito della
socievolezza e del rendimento scolastico. I pazienti BD, invece, non sono
significativamente diversi dai controlli nel proprio adattamento premorboso
durante l’infanzia. (Vedi tabella 7).
Tabella 7. Confronto dei punteggi PAS dell’infanzia tra pazienti schizofrenici,
bipolari e controlli.
SZ BD Controlli Statistica Confronti χ SD χ SD χ SD F p
PAS-I totale 0.38 0,19 0.17 0.11 0.11 0.07 11.076 <0.001
Controlli < SZ***, BD < SZ***
PAS acad-I 0.40 0.21 0.22 0.14 0.14 0.12 6.34 <0.01 Controlli < SZ**, BD < SZ**
PAS social-I 0.36 0.27 0.13 0.12 0.07 0.11 8.29 =0.001
Controlli < SZ***, BD < SZ**
PAS1-I 2.14 1.90 0.43 0.69 0.50 0.92 7.16 =0.001 Controlli < SZ**, BD < SZ**
PAS2-I 2.29 1.77 1.14 1.04 0.38 0.62 7.36 =0.001 Controlli < SZ***
PAS3-I 3.45 1.60 2.04 1.25 1.48 1.25 5.20 <0.01 Controlli < SZ*, BD < SZ*
PAS4-I 1.32 1.20 0.59 0.89 0.17 0.49 4.24 <0.05 Controlli < SZ*, BD < SZ (NS, p=0.057)
SZ=schizofrenia; BD=disturbo bipolare; SES=status socio-economico.
F = Risultati dell’ANCOVA one-way; risultati significativi in grassetto
χ²=Risultati del test chi-quadro; SD=Deviazione standard.
N=campione dello studio; NS=non significativo.
PAS-I-totale =PAS globale in Infanzia, PAS-I=PAS fino agli 11 anni (Infanzia); PAS acad-I=PAS
accademico in Infanzia; PAS-Social-I=PAS sociale in Infanzia.
In Infanzia (I), PAS1-I=socievolezza e ritiro, PAS2-I=relazioni con i coetanei, PAS3-
I=rendimento scolastico e PAS4-I=adattamento scolastico.
Confronti post-hoc di Bonferroni per dati appaiati.
* p<0.05
**p<0.01
***p<0.001
84
5.2.2 PUNTEGGI PAS DURANTE LA PRIMA ADOLESCENZA
La tabella 8 mostra i punteggi PAS durante la prima
adolescenza per i tre gruppi, i risultati dell’ANCOVA e dei confronti multipli
post-hoc.
Abbiamo dimostrato differenze tra i gruppi in tutti gli items ed i domini della
PAS.
- Dai confronti post-hoc è emerso che le principali deviazioni
dall’adattamento normale nella prima fase adolescenziale sono quelle che
riguardano i pazienti SZ, che presentano punteggi globali e parziali
peggiori, rispetto sia ai pazienti BD che ai controlli sani. Al contrario, le
nostre analisi rivelano che i pazienti BD ed i controlli sono
sostanzialmente equivalenti in termini di funzionamento premorboso,
eccetto che nell’item dei rapporti con i coetanei (PAS2-A), in cui i
pazienti BD sono risultati sensibilmente peggiori. L’abilità di
intraprendere relazioni socio-sessuali (PAS5-A) risulta essere inadeguata
nei pazienti SZ sia rispetto ai controlli sani che ai pazienti BD.
85
Tabella 8. Confronto dei punteggi PAS dell’adolescenza tra pazienti schizofrenici,
bipolari e controlli
SZ BD Controlli Statistica Confronti χ SD χ SD χ SD F p
PAS-A totale
2.53 1.93 0.20 0.12
0.10 0.08
21.52 p<0.001
Controlli < SZ***, BD < SZ***
PAS acad-A
0.48 0.22 0.29 0.19
0.17 0.15
7.93 p=0.001
Controlli < SZ**, BD < SZ**
PAS social-A
0.41 0.26 0.15 0.11
0.06 0.10
21.138 p<0.001
Controlli < SZ***, BD < SZ***
PAS1-A 2.53 1.93 0.61 0.79
0.48 1.04 12.68 p<0.001
Controlli < SZ***, BD < SZ***
PAS2-A 2.40 1.77 1.21 0.96
0.29 0.60 10.94 p<0.001
Controlli < SZ***, BD < SZ*, Controlli<BD*
PAS3-A 3.71 1.52 2.50 1.50
1.79 1.39 3.36 p<0.05
Controlli < SZ (NS, p=0.062)
PAS4-A 2.00 1.51 0.96 1.09
0.29 0.67 10.76 p<0.001
Controlli < SZ***, BD < SZ**
PAS5-A 2.36 1.85 0.85 1.17
0.26 0.70 20.78 p<0.001
Controlli < SZ***, BD < SZ***
SZ=schizofrenia; BD=disturbo bipolare; SES=status socio-economico.
F = Risultati dell’ANCOVA one-way; risultati significativi in grassetto
χ²=Risultati del test chi-quadro; SD=Deviazione standard.
N=campione dello studio; NS=non significativo.
PAS-A-totale=PAS globale in Adolescenza, PAS-A=PAS dai 12 ai 16 anni (Adolescenza); PAS
acad-A=PAS accademico in adolescenza;
PAS-Social-A=PAS sociale in Adolescenza.
In Adolescenza (A), PAS1-A=socievolezza e ritiro, PAS2-A=relazioni con i coetanei, PAS3-
A=rendimento scolastico e PAS4-A=adattamento scolastico, PAS5-A= relazioni socio-sessuali.
Confronti post-hoc di Bonferroni per dati appaiati.
* p<0.05
**p<0.01
***p<0.001
86
5.2.3 VARIAZIONI DEI PUNTEGGI PAS DALL’INFANZIA
…….ALLA PRIMA ADOLESCENZA
La tabella 9 mostra le variazioni longitudinali della PAS dall’infanzia
alla prima adolescenza per i tre gruppi, i risultati delle ANCOVA e dei confronti post-
hoc.
L’ANCOVA ha rivelato differenze tra i tre gruppi nei punteggi PAS globale, sociale, e
dell’adattamento scolastico. In particolare, i confronti post-hoc suggeriscono un
progressivo declino per i pazienti SZ, mentre il gruppo di controllo procede verso
un’evoluzione migliorativa.
Tabella 9. Variazione dei punteggi PAS tra l’infanzia (5-11 anni) e la fase iniziale
dell’adolescenza (12-16 anni)
SZ BD HC Statistic Comparisons� χ SD Χ SD χ SD F� p Change� in total PAS
0,04 0,15 0,03 0,11 -0,00 0,08 4,60 <0,05 Controlli<SZ*
Change in academicPas
0,08 0,14 0,07 0,14 0,36 0,12 1,05 0,356
Change in social PAS
0,04 0,20 0,017 0,12 -0,02 0,10 4,38 <0,05 Controlli<SZ*
Change in PAS1
0,34 1,49 0,18 0,82 -0,02 0,75 1,67 0,195
Change in PAS2
0,11 1,43 0,07 0,90 -0,10 0,66 0,88 0,419
Change in PAS3
0,26 0,80 0,46 1,07 0,31 0,98 0,86 0,417
Change in PAS4
0,64 1,30 0,37 0,84 0,12 0,59 4,37 <0,05 Controlli<SZ*
SZ=schizofrenia; BD=disturbo bipolare; SES=status socio-economico.
F = Risultati dell’ANCOVA one-way; risultati significativi in grassetto.
χ²=Risultati del test chi-quadro; SD=Deviazione standard
N=campione dello studio; NS=non significativo
Change=differenza tra i risultati in Infanzia (I) ed Adolescenza (A); total PAS=PAS globale;
academic PAS =PAS accademica; Social-PAS=PAS sociale; PAS1=socievolezza e ritiro,
PAS2=relazioni con i coetanei, PAS3=rendimento scolastico e PAS4=adattamento scolastico.
Confronti post-hoc di Bonferroni per dati appaiati
* p<0.05
**p<0.01
***p<0.001
87
5.3 OSSERVAZIONI
Osservando questi risultati comprendiamo come lo sviluppo
comporti differenze significative nel funzionamento premorboso dei pazienti SZ
sia rispetto ai CS che ai DB.
In pratica, il paziente schizofrenico subisce un declino palese sia nel
funzionamento globale che in quello sociale e scolastico (quest’ultimo non era
evidenziabile a livello infantile e pertanto riveste un ruolo minore all’interno del
studio) rispetto al DB ed, ancor di più, rispetto ai CS.
6. DISCUSSIONE
Questi dati confermano la nostra ipotesi ovvero una differenza
apprezzabile non solo tra i pazienti SZ ed i controlli sani ma pure tra SZ e DB. I
pazienti SZ hanno infatti un FPM molto più deficitario rispetto ai DB,
permettendoci di affermare che il funzionamento premorboso è un ottimo marker
fenotipico per distinguere queste due dissimili categorie di pazienti seppur
accomunate (overlap) da analoghi sintomi psicotici.
Il funzionamento premorboso, quindi, risulta esser un valido strumento per:
1) individuare in modo precoce i soggetti a rischio di spettro psicotico (ad
esempio, se maggiormente suscettibili in funzione dell’ereditarietà genetica:
UHR), dato che l’esordio della malattia è conseguente ad un periodo premorboso
(prodromi) valutabile mediante PAS;
2) seguirli nel tempo, fondamentale nei casi ancora asintomatici ma ad alto
rischio d’insorgenza; anche per poter agire precocemente all’esordio di patologia;
88
3) stratificare i diversi pazienti psicotici: ovvero quelli in cui si delinea un
cedimento funzionale globale e palese del soggetto (definiti SZ) da quelli che, pur
presentando sintomatologia psicotica, NON hanno un declino funzionale analogo
(classificati DB);
4) quantificare, in un certo senso, il grado di patologia permettendoci di trattare il
paziente in modo mirato, in funzione del suo stato clinico ed a dosi
farmacologiche adeguate: ovvero ad un maggiore rischio d’evoluzione psicotica,
corrisponde un trattamento più intenso ed aggressivo.
Come emerge da questo studio, il FPM può esser considerato come un marker
fenotipico per distinguere due categorie di pazienti all’interno della dimensione
psicotica:
- i soggetti con un declino globale, cognitivo palese e soprattutto sociale
(definiti SZ);
- i soggetti con un funzionamento, comunque, considerevolmente
conservato sia perché superiore a quello degli SZ; sia perché – almeno in
alcuni campi – ancora paragonabile a quello dei controlli sani;
Potremo, pertanto, utilizzare il funzionamento premorboso come strumento
predittivo e preventivo (McNamara, Strawn et al. 2012) mediante l’applicazione
dello strumento PAS.
Questo ci permetterebbe non solo di distinguere il decorso psicopatologico dei
due disturbi ma anche di basarci su di esso nel tentativo di diagnosticare
precocemente la patologia; evitando l’evolversi del disturbo o l’assenza di un
trattamento che causerebbero un outcome ed una prognosi significativamente
peggiori.
89
7. BIBLIOGRAFIA Abi-Dargham, A. and H. Moore (2003). "Prefrontal DA transmission at D1
receptors and the pathology of schizophrenia." Neuroscientist 9(5): 404-416.
Adam, D. (2013). "Mental health: On the spectrum." Nature 496(7446): 416-418. Addington, J. and D. Addington (2005). "Patterns of premorbid functioning in
first episode psychosis: relationship to 2-year outcome." Acta Psychiatr Scand 112(1): 40-46.
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104
8. APPENDICE Tabella 3. Classificazione dei disturbi dello spettro psicotico nel DSM-5 (Bhati
2013), (Association 2013).
DIAGNOSI CARATTERISTICHE ASSOCIATE
Disturbo delirante
Allucinazioni isolate in assenza di altri sintomi psicotici
Disordine psicotico acuto
Psicosi transitoria con risoluzione e ritorno al livello di funzionamento premorboso
Disturbo schizofreniforme
Schizofrenia sub-sindromica con multipli sintomi psicotici della durata maggiore di un mese ma minore di 6 mesi
Schizofrenia Due o più sintomi psicotici per più di 6 mesi
Disturbo schizoaffettivo
Sintomi psicotici per 2 settimane in assenza di sintomi dell’umore e sintomatologia appartenente al disturbo dell’umore (in base ai criteri del DSM) che si protragga per la maggior parte della durata della patologia
Disturbo psicotico indotto da sostanze o da
condizione medica generale (CMG)
Sintomi psicotici indotti come conseguenza diretta dell’uso di sostanze d’abuso o farmaci.
Disturbo psicotico conseguente ad altra
patologia medica
Sintomi psicotici causati direttamente da una patologia medica non psichiatrica
Catatonia (specificare)
Utilizzato per descrivere disturbi psichiatrici ma può esser anche dovuta ad altre patologie mediche ecc.
Altri disturbi dello spettro schizofrenico o del disturbo psicotico
Altri disturbi psicotici che non sono compresi in altre classificazioni
Spettro schizofrenico non specificato da disturbo
psicotico
Disturbo psicotico dovuto a cause sconosciute od indeterminate
Disturbo di personalità schizotipico
Modello pervasivo da ridotta capacità di sviluppare relazioni strette; distorsioni cognitive e percettive
105
Tabella 5. Riepilogo sull’eziopatogenesi e fattori di rischio psicotici. (Tsoi D. T-
Y. 2008)
FATTORI DI
RISCHIO
EVIDENZE SCIENTIFICHE
Incidenza 0,2-0,4 SU 1000 per anno
Prevalenza 1%
Età d’esordio
tipica
Femmine: 15-25 anni
Maschi: 25-35 anni
Etnia
Sono state riportate variazioni nella prevalenza ed
incidenza di schizofrenia nei diversi paesi e gruppi etnici;
si ritiene ciò sia dovuto alle differenze nei criteri diagnostici
utilizzati. Ha dimostrato che l’incidenza di schizofrenia
sembra essere molto
simile in tutto il mondo. (Jablensky, Sartorius et al. 1992)
Migrazione
Maggior incidenza in popolazioni emigrate ed immigrate;
tanto più se isolati dagli altri gruppi etnici autoctoni
Urbanizzazione Maggiore rischio di sviluppare SZ in grandi aree urbane
Classe socio-
economica
Maggior prevalenza in classi sociali povere
Complicanze alla
nascita
Nascita nei mesi invernali
Maggiori complicanze ostetriche
La diagnosi è stata stabilita in accordo con i criteri del DSM-IV American
Psychiatric Association, 1994. L’intervista è strutturata per sondare la
psicopatologia attuale e remota.
106
9. RINGRAZIAMENTI
Ringrazio tutto il Dipartimento di Psichiatria dell’Università di
Pisa, in particolare la Professoressa Liliana dell’Osso e tutto il personale medico
per l’aiuto concessomi, soprattutto Paola e Grazia.
Ringrazio, inoltre, tutta la mia famiglia per il sostegno sempre garantitomi: mia
madre Stefania, mio padre Vincenzo, mia nonna Cosetta e mia cugina Daniela.
Nonno Carlo, purtroppo, non è riuscito a vivere questo giorno con noi ma è
comunque sempre accanto a me.
Ringrazio, ancora, tutte le mie amiche più strette: Ila, Svilzia, Kika, Jeno, Marinz,
Alice, Flavia, Letizia e Madine; il mio gruppo di amici di studio, con cui ho
condiviso ore ed ore in biblioteca: Lorena, Simone, i fratelli Daidone, Michele,
Luis ed Ilaria (solo per citarne alcuni).
Ringrazio Stefano che mi è stato accanto per molti anni e la sua famiglia.
Ringrazio Eleonora, con cui ho condiviso ogni giorno d’università; poi
Gianmarco, Leandro e Diego per avermi fatta sorridere nonostante le
preoccupazioni.
Infine, ringrazio Laurenz per essermi stato vicino ultimamente e, soprattutto, nel
periodo frenetico pre-tesi.
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Scala di valutazione dell’adattamento premorboso Cognome e Nome _____________________________________ Data di nascita __________________ Codice paziente ________________ Valutatore ____________________ Data valutazione___________
Infanzia (fino all’età di 11 anni)
1. Socievolezza e ritiro 0 Nessun ritiro, attivamente e frequentemente alla ricerca di contatti sociali. 1 2 Lieve ritiro, socializza volentieri quando coinvolto, occasionalmente cerca opportunità di
socializzazione. 3 4 Moderatamente ritirato, si lascia andare a sogni ad occhi aperti e ad eccessive fantasticherie,
può lasciarsi coinvolgere passivamente nel contatto con gli altri, ma non lo cerca. 5 6 Assenza di rapporti con gli altri, ritirato ed isolato. Evita i contatti. 2. Relazioni con i coetanei 0 Molti amici, con diversi dei quali ha rapporti stretti. 1 2 Rapporti stretti con pochi amici (uno o due), amicizie casuali con altri. 3 4 Rapporti di amicizia anomali: amichevole solo con bambini più piccoli o più grandi, o solo con i familiari, o solo rapporti
casuali. 5 6 Isolamento sociale, nessun amico, neanche rapporti superficiali. 3. Rendimento scolastico 0 Eccellente. 1 2 Buono. 3 4 Mediocre. 5 6 Respinto a tutte le classi.
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4. Adattamento scolastico 0 Buon adattamento, va a scuola con piacere, problemi disciplinari assenti o rari. Ha amici a
scuola, si trova a suo agio con la maggior parte degli insegnanti. 1 2 Adattamento discreto, occasionali problemi disciplinari, non molto interessato alla scuola, ma
non marina la scuola, o lo fa raramente. Ha amici a scuola, non prende parte frequentemente in attività extrascolastiche.
3 4 Scarso adattamento, avversione per la scuola, frequentemente marina la scuola, frequenti
problemi disciplinari. 5 6 Rifiuta di avere a che fare con la scuola - fenomeni di delinquenza o vandalismo contro la
scuola. Adolescenza (Prima adolescenza, 12-15 anni) 1. Socievolezza e ritiro 0 Nessun ritiro. 1 2 Lieve ritiro, socializza volentieri quando coinvolto, occasionalmente cerca opportunità di
socializzazione. 3 4 Moderatamente ritirato, si lascia andare a sogni ad occhi aperti e ad eccessive fantasticherie,
può lasciarsi coinvolgere passivamente nel contatto con gli altri, ma non lo cerca. 5 6 Assenza di rapporti con gli altri, ritirato ed isolato. Evita i contatti. 2. Relazioni con i coetanei 0 Molti amici, con diversi dei quali ha rapporti stretti. 1 2 Rapporti stretti con pochi amici (uno o due), amicizie casuali con altri. 3 4 Rapporti di amicizia anomali: amichevole solo con bambini più piccoli o più grandi, o solo con i familiari, o solo rapporti
casuali. 5 6 Isolamento sociale, nessun amico, neanche rapporti superficiali.
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3. Rendimento scolastico 0 Eccellente. 1 2 Buono. 3 4 Mediocre. 5 6 Respinto a tutte le classi. 4. Adattamento scolastico 0 Buon adattamento, va a scuola con piacere, problemi disciplinari assenti o rari. Ha amici a
scuola, si trova a suo agio con la maggior parte degli insegnanti. 1 2 Adattamento discreto, occasionali problemi disciplinari, non molto interessato alla scuola, ma
non marina la scuola, o lo fa raramente. Ha amici a scuola, non prende parte frequentemente in attività extrascolastiche.
3 4 Scarso adattamento, avversione per la scuola, frequentemente marina la scuola, frequenti
problemi disciplinari. 5 6 Rifiuta di avere a che fare con la scuola - fenomeni di delinquenza o vandalismo contro la
scuola. 5. Aspetti sociali e sessuali della vita durante la prima adolescenza 0 Ha iniziato a vedersi con qualcuno, ha mostrato un “sano interesse” per il sesso opposto, può
aver intrapreso un rapporto “stabile”, può aver avuto alcune attività sessuali. 1 Affetto ed interesse nei confronti di altri, che possono comprendere persone dello stesso sesso o
un membro di un gruppo; interessato al sesso opposto, sebbene possa non avere rapporti affettivi stretti con nessuno del sesso opposto; “cotte” e flirt.
2 Costante e profondo interesse in rapporti affettivi con persone dello stesso sesso, ridotto o assente interesse nel sesso opposto.
3 Casuali rapporti affettivi con persone dello stesso sesso, con inadeguati tentativi di rapporti con persone del sesso opposto. Casuali contatti con entrambi i sessi.
4 Casuali contatti con persone dello stesso sesso, nessun interesse nel sesso opposto. 5 Un solitario, assenti o rari contatti con ragazzi o ragazze. 6 Antisociale, evita ed è evitato dai coetanei. (Differisce dal precedente nel fatto che è implicato
un evitamento attivo degli altri piuttosto che una chiusura passiva).
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Adolescenza (Tarda adolescenza, 16-18 anni)
1. Socievolezza e ritiro 0 Nessun ritiro. 1 2 Lieve ritiro, socializza volentieri quando coinvolto, occasionalmente cerca opportunità di
socializzazione. 3 4 Moderatamente ritirato, si lascia andare a sogni ad occhi aperti e ad eccessive fantasticherie,
può lasciarsi coinvolgere passivamente nel contatto con gli altri, ma non lo cerca. 5 6 Assenza di rapporti con gli altri, ritirato ed isolato. Evita i contatti. 2. Relazioni con i coetanei 0 Molti amici, con diversi dei quali ha rapporti stretti. 1 2 Rapporti stretti con pochi amici (uno o due), amicizie casuali con altri. 3 4 Rapporti di amicizia anomali: amichevole solo con ragazzi più piccoli o più grandi, o solo con i familiari, o solo rapporti
casuali. 5 6 Isolamento sociale, nessun amico, neanche rapporti superficiali. 3. Rendimento scolastico 0 Eccellente. 1 2 Buono. 3 4 Mediocre. 5 6 Respinto a tutte le classi.
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4. Adattamento scolastico 0 Buon adattamento, va a scuola con piacere, problemi disciplinari assenti o rari. Ha amici a
scuola, si trova a suo agio con la maggior parte degli insegnanti. 1 2 Adattamento discreto, occasionali problemi disciplinari, non molto interessato alla scuola, ma
non marina la scuola, o lo fa raramente. Ha amici a scuola, non prende parte frequentemente in attività extrascolastiche.
3 4 Scarso adattamento, avversione per la scuola, frequentemente marina la scuola, frequenti
problemi disciplinari. 5 6 Rifiuta di avere a che fare con la scuola - fenomeni di delinquenza o vandalismo contro la
scuola. 5. Aspetti sociali della vita sessuale durante l’adolescenza e immediatamente dopo 0 Ha sempre mostrato un “sano interesse” nel sesso opposto; si vedeva con qualcuno; ha avuto
rapporti “stabili”; ha avuto alcune esperienze sessuali (non necessariamente rapporti completi). 1 Frequenti relazioni. Ha avuto solo un amico del sesso opposto con il quale ha avuto un rapporto
“stabile” e duraturo. (Comprende gli aspetti sessuali di una relazione, sebbene non necessariamente rapporti completi; come distinzione dal successivo, implica un rapporto a due).
2 Sempre a stretto contatto con ragazzi e ragazze. (Implica il far parte di un gruppo, interesse e affetto per gli altri, nessun rapporto di coppia).
3 Costante e profondo interessamento in rapporti con persone dello stesso sesso, e ridotto o assente interesse per il sesso opposto.
4 Casuali rapporti con persone dello stesso sesso con inadeguati tentativi di adeguarsi ad uscire con persone di sesso opposto. Casuali contatti con ragazzi e ragazze.
5 Casuali contatti con persone dello stesso sesso con assenza di interesse per il sesso opposto. Contatti occasionali con il sesso opposto.
6 Nessun desiderio di stare con ragazzi e ragazze, mai frequentato il sesso opposto.
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Età adulta (Dai 19 anni in su)
1. Socievolezza e ritiro 0 Nessun ritiro, attivamente e frequentemente alla ricerca di contatti sociali. 1 2 Lieve ritiro, socializza volentieri quando coinvolto, occasionalmente cerca opportunità di
socializzazione. 3 4 Moderatamente ritirato, si lascia andare a sogni ad occhi aperti e ad eccessive fantasticherie,
può lasciarsi coinvolgere passivamente nel contatto con gli altri, ma non lo cerca. 5 6 Assenza di rapporti con gli altri, ritirato ed isolato. Evita i contatti. 2. Relazioni con i coetanei 0 Molti amici, con diversi dei quali ha rapporti stretti. 1 2 Rapporti stretti con pochi amici (uno o due), amicizie casuali con altri. 3 4 Rapporti di amicizia anomali: amichevole solo con ragazzi più piccoli o più grandi, o solo con i familiari, o solo rapporti
casuali. 5 6 Isolamento sociale, nessun amico, neanche rapporti superficiali. 3. Aspetti della vita adulta sociale e sessuale a. Coniugato, al momento o in passato:
0 Coniugato, solo un matrimonio (o ri-coniugato in seguito a morte del coniuge), vive da solo con il coniuge, rapporti sessuali soddisfacenti.
1 Attualmente coniugato con storia di ridotto desiderio sessuale, periodi di difficili rapporti sessuali, o relazioni extraconiugali.
1 Coniugato, più di una volta, attualmente ri-coniugato. Rapporti sessuali soddisfacenti almeno durante un matrimonio.
2 Coniugato, o divorziato e ri-coniugato, con vita sessuale cronicamente insoddisfacente. 2 Coniugato, ma probabilmente separato definitivamente oppure divorziato senza ri-sposarsi, ma
ha convissuto nell’ambito del matrimonio per almeno 3 anni. 3 Come sopra, ma: ha divorziato più di tre anni prima, e, mentre coniugato, ha convissuto per
meno di 3 anni.
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b. Mai coniugato, al di sopra dei 30 anni:
2 E’ stato fidanzato una o più volte o ha avuto una relazione di lunga durata (almeno 2 anni) comprendente rapporti eterosessuali o omosessuali; oppure presenza di un rapporto sentimentale con una persona, ma incapacità di mantenere un impegno di lunga durata come il matrimonio.
3 Relazioni eterosessuali o omosessuali a lungo termine della durata di almeno 6 mesi ma meno di 2 anni.
4 Esperienze brevissime o brevi (eterosessuali o omosessuali) con uno o più partner, ma nessuna esperienza sessuale di lunga durata con un singolo partner.
5 Rapporti sessuali e/o sociali rari o episodici. 6 Minimo interesse sessuale o sociale sia nei confronti del sesso maschile che femminile, isolato. c. Mai coniugato, età 20-29 anni:
0 Ha avuto almeno un’esperienza sentimentale di lunga durata (minimo 6 mesi) o un fidanzamento, anche se motivi religiosi, o altre proibizioni o inibizioni possono avere ostacolato i rapporti sessuali. Può aver convissuto.
1 Ha avuto una vita sentimentale attiva, ha avuto diversi “fidanzati” o “fidanzate”, alcuni rapporti sono durati qualche mese, ma nessuna relazione a lungo termine. I rapporti possono essere stati “seri”, ma un impegno di lunga durata come il matrimonio non è stato considerato come un’eventualità.
3 Brevi esperienze sentimentali con uno o più partner, ma nessuna esperienza sessuale di lunga durata con un singolo partner.
4 Rapporti sessuali o sociali casuali con persone di qualunque sesso senza profondo legame emotivo.
5 Rapporti sessuali e/o sociali rari o episodici. 6 Interesse sessuale o sociale minimo verso entrambi i sessi, isolato.
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Generale 1. Scolarità 0 Laureato. 1 Ha completato le scuole superiori e un corso professionale post-diploma (ad es., per segretaria
o programmatore di computer). 2 Ha completato le scuole superiori. 3 4 Ha completato la scuola media inferiore. 5 6 Non è andato oltre le scuole elementari. 2. Durante un periodo di 3 anni fino a 6 mesi prima della prima ospedalizzazione o
dell’esordio del primo episodio, il paziente ha mantenuto un lavoro retribuito o un rendimento scolastico stabile
0 A tempo pieno. 1 2 Metà del tempo. 3 4 Per poco tempo, circa il 25% del tempo. 5 6 Mai. 3. In un periodo di un anno fino a 6 mesi prima della prima ospedalizzazione o dell’esordio
del primo episodio, il cambiamento nel rendimento scolastico o lavorativo ha avuto luogo 0 Improvvisamente. 1 2 Nel corso di 3 mesi. 3 4 Nel corso di 6 mesi. 5 6 Impercettibilmente, difficile o impossibile determinare l’inizio del deterioramento.
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4. Durante un periodo di 3 anni fino a 6 mesi prima della prima ospedalizzazione o del primo episodio, la frequenza con cui ha cambiato lavoro (se lavoratore) o ha interrotto la regolare presenza a scuola è stata:
0 Ha mantenuto lo stesso lavoro, o ha frequentato regolarmente la scuola. 1 2 Il cambio di lavoro o l’interruzione della frequenza scolastica ha avuto luogo 2 o 3 volte. 3 4 Ha mantenuto lo stesso lavoro per più di 8 mesi ma meno di 1 anno, o ha frequentato
regolarmente la scuola per lo stesso periodo. 5 6 Meno di 2 settimane al lavoro o a scuola. 5. Affermazione della propria indipendenza 0 E’ andato a vivere per conto proprio con successo, finanziariamente indipendente dai genitori. 2 Ha provato senza successo a vivere per conto proprio, vive in casa dei genitori, ma paga ai
genitori vitto e alloggio, per il resto finanziariamente indipendente. 4 Vive in casa dei genitori, dai quali riceve regolarmente una somma che il paziente utilizza per
gli svaghi, l’abbigliamento, etc. 6 Nessun tentativo di lasciare casa o di essere finanziariamente indipendente. 6. Valutazione globale del più alto livello di funzionamento raggiunto nella vita del paziente 0 Ha successo e prova piacere nell’ambito di (1) scuola o lavoro; (2) amicizie; (3) rapporti
sessuali intimi; (4) hobby. E’ felice della propria vita e si sente ben adattato. 2 Ha successo e prova piacere in alcuni aspetti della vita, ma ha una netta assenza di succeso in
almeno un’area. 4 Minimo successo e piacere in 3 aree della vita. 6 Non ha successo e non prova piacere in nessun aspetto della vita.
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7. Adattamento sociale-personale 0 Un leader o personaggio di rilievo in gruppi formalmente organizzati, club, organizzazioni, o
squadre sportive nelle scuole superiori, all’università o nella giovane età adulta. Coinvolto in relazioni strette e confidenziali con gli altri.
1 Ha una partecipazione attiva e interessata, ma non ha ruoli di rilievo in gruppi di amici, club, associazioni e squadre sportive; comunque coinvolto in relazioni strette con gli altri.
2 Pur facendo nominalmente parte di gruppi di amici, club, organizzazioni, ecc., non vi è mai stato effettivamente coinvolto. Ha avuto relazioni strette con qualche amico.
3 Dall’adolescenza alla giovane età adulta ha avuto poche e casuali amicizie. 4 Dall’adolescenza alla giovane età adulta non ha avuto veri e propri amici, solo relazioni
superficiali. 5 Dall’adolescenza alla giovane età adulta (cioè, dopo l’infanzia), è stato silenzioso, appartato, ha
preferito stare per conto proprio, compiendo minimi sforzi per mantenere qualunque contatto con gli altri.
6 Nessun desiderio di essere con i coetanei o con altri. Asociale o antisociale. 8. Grado di interesse nella vita 0 Interesse vivo ed ambizioso in alcune delle seguenti aree: casa, famiglia, amici, lavoro, sport,
arti, animali, giardinaggio, attività sociali, musica e recitazione. 2 Moderato grado di interesse in diverse attività fra le quali incontri sociali, sport, musica e sesso
opposto. 4 Lieve interesse in poche cose quali lavoro, famiglia e incontri sociali non movimentati.
L’interesse è mantenuto con difficoltà. 6 Ritirato e indifferente nei confronti degli interessi dell’individuo medio. Nessun interesse
profondo di alcun genere. 9. Livello di vitalità 0 Forte spirito di iniziativa, interesse vivo, attivo e presente nella vita. Ama la vita, e ha energia
sufficiente per godersela. Esce ed è a suo agio nella vita di relazione. 2 Spirito di iniziativa, energia ed interesse nella vita (così come intesi sopra) moderatamente
adeguati. 4 Livello di energia moderatamente inadeguato. Tendenza a comportamenti passivi e remissivi.
Ha mostrato un certo potenziale nell’affrontare i problemi della vita, ma ha preferito evitarli piuttosto che spendere la necessaria energia.
6 Comportamenti remissivi, inadeguati e passivi. Non affronta la vita con decisione, non si espone ad affrontare i problemi della vita; non partecipa attivamente ma accetta passivamente quello che ha non avendo l’energia per aiutare se stesso.
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