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LA RELAZIONE CON I GENITORI. RAPPRESENTAZIONI ED EMOZIONI IN GIOCO NELLA RELAZIONE SCUOLA-FAMIGLIA: QUALI E PERCHÉ?
Strategie di gestione del colloquio e dei rapporti con le famiglie.
Giulia Cavalli - giulia.cavalli@unicatt.it
Ist. Compr. Rodano-Settala
03/09/2009A scuola di relazioni
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OBIETTIVI DELL’INCONTRO
Fornire alcuni spunti di riflessione, per divenire più consapevoli di ciò che accade nella relazione con i genitori (e in se stessi)
Conoscere un nuovo punto di vista teorico sulla relazione genitori-educatori, intesa come sistema dinamico, in cui ciascun Soggetto è attivo e flessile, e analizzare le conseguenze operative di tale approccio
Mettere a fuoco le strategie relazionali e comunicative utili nell’incontro con i genitori
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LA RELAZIONE POSSIBILE TRA INSEGNANTI E GENITORI
• RELAZIONE- cos’è? ( rete relazionale)- come funziona? ( regolazione auto e mutua)
• POSSIBILE - cosa vuole dire “possibilità”? ( anche
impossibile?)- quali elementi permettono questa “possibilità”?
• INSEGNANTI e GENITORI- chi sono? ( immagine di sé come insegnante e
del genitore influenza sull’immagine di bambino-ragazzo e sulla relazione con il genitore)- perché insegnanti e genitori devono/possono
entrare in relazione?- quali “regole” (esplicite e implicite) la scuola dà
per regolare la relazione genitori-educatori?- perché ci interessa questa relazione?
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Consideriamo che:• ognuno fa quel che riesce in quel momento della sua
vita, per come è fatto• ognuno esprime se stesso in quella relazione, in quel
preciso contesto spazio-temporale• ognuno è diverso dall’altro (non è sempre così ovvio!
spesso al genitore è richiesto di pensare con la testa dell’insegnante e viceversa…)
Ogni relazione ci parla di noi! E noi parliamo attraverso la relazione. L’altro ci parla di noi (quando ci arrabbiamo/proviamo
fastidio…) La relazione è sempre tra più persone, ognuno
contribuisce all’esito: ci siamo dentro anche noi (non solo quando le cose vanno bene, ma anche quando vanno male; inoltre un genitore può essere diverso con più insegnanti e un insegnante può essere diverso con più genitori)
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Come ogni narrazione (= dar senso/ interpretare/ rappresentarsi nella testa)…
CHI – COSA – COME – DOVE – QUANDO – PERCHE’
• Tra chi?• Cosa succede?• In che modo?• In quali momenti? E dove?• Perché?
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Perché l’incontro di insegnanti e genitori?Perché gli adulti si comportano così tra loro?
Perché è considerato un “bene” creare un rapporto scuola-famiglia?
Da questo discende anche il “come” della relazione
PERCHÈPERCHÈ3
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Insegnanti e genitori si scambiano informazioni sul bambino-ragazzo (non è un rapporto uni-direzionale)
I genitori si informano di cosa succede a scuola e gli insegnanti si informano di…
Ma anche…
Ciascun adulto cerca di mostrare il proprio “valore” nel campo dell’educazione , di chiarire il proprio “ruolo”
“Io mi fido di te”/“non mi fido” Il genitore ignora/iper-coinvolge l’insegnante (e
anche viceversa) Ciascuno cerca di trovare un canale comunicativo
adeguato per parlare con l’altro e regolare se stesso in relazione all’altro
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• Il “come” è innanzitutto una disposizione interiore e si manifesta soprattutto attraverso la componente non verbale della comunicazione
• Posso dare del “tu” o del “lei”, posso abbracciare o rimanere distante, posso parlare o ascoltare, posso creare incontri di tante ore o posso fare incontri di 5 minuti, tutto è lecito! L’importante è dirsi onestamente qual è l’obiettivo (il perché)
Per mettere a mio agio l’altro o per sentirmi io a mio agio? Per darmi un “tono”, per dimostrare il mio ruolo o per capire cosa
sta accadendo al bambino? Perché credo che il genitore abbia bisogno di essere educato o
per la crescita migliore del bambino? Per spronare il genitore a interessarsi del figlio o per sfogarmi di
quello che il bambino mi ha fatto patire in classe? ….
Non è detto che ci siano degli “o” ma degli “e” (più motivazioni).
COMECOME3
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Solo genitore-insegnante? Oppure coinvolgere anche il bambino-
ragazzo? In fondo è lui/lei il soggetto di cui si parla e di cui siamo interessanti (sia genitori sia insegnanti). Se siamo un unico sistema, non è sempre necessario e utile dividerci in “diadi” (genitore-insegnante; genitore-figlio; insegnante-studente)
CHICHI3
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LA RELAZIONE CON I GENITORI
RISORSE PROBLEMI
Pensieri Emozioni
Comportamenti
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LA TEORIA DEI SISTEMI DINAMICI NON LINEARI: PRINCIPI BASE DI
FUNZIONAMENTO
SISTEMA = totalità di parti interconnesse, che si influenzano a vicenda; è una totalità organizzata al fine di promuovere l’adattamento e la sopravvivenzaEs.: bambino, insegnante, scuola, genitore (sistemi Soggetto attivi), diadi, classe
DINAMICO NON LINEARE= sempre in processo, può progredire in maniera non deterministica verso forme più complesse di organizzazione (mai statico e immutabile)L’accento è posto tanto sulla singola soggettualità quanto sull’ambiente
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APERTURA: il sistema è aperto, ovvero in continuo interscambio con l’ambiente (lo influenza e ne è influenzato)
ORGANIZZAZIONE: il sistema è organizzato, cioè è in grado di regolarsi, per mantenere l’equilibrio dinamico (ovvero NON RIGIDO)
REGOLAZIONE: il sistema mette in atto processi attivi di auto e mutua-regolazione, i due processi si influenzano
ADATTAMENTO: processo in cui più sistemi si armonizzano tra loro, si coordinano (non è un sistema che si adatta all’altro, ma l’adattamento è sempre RELAZIONALE)
CRESCITA: il sistema raggiunge nuovi livelli di complessità, interagisce in maniera diversa e deve quindi giungere a nuovi livelli di adattamento
LA TEORIA DEI SISTEMI DINAMICI NON LINEARI: PRINCIPI BASE DI FUNZIONAMENTO
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• Tutto è co-costruito• Le parti infuenzano il tutto e viceversa• La flessibilità (vs rigidità)
Il sistema diadico insegnante-genitore: una riflessione
Quale equilibrio dinamico/adattamento il sistema raggiunge?
E’ flessibile o rigido?Che sistemi di regolazione auto e mutua adotta?
LA TEORIA DEI SISTEMI DINAMICI NON LINEARI: PRINCIPI BASE DI FUNZIONAMENTO: CONSEGUENZE OPERATIVE
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FLESSIBILITÀ
Possibilità di scegliere liberamente (e non per reazione al comportamento dell’altro) di usare una strategia per
entrare in quella specifica relazione e non rigidamente sempre la stessa strategia in tutte le relazioni, in ogni
contesto
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Il rapporto con le famiglie è un compito non facile, richiede la condivisione tra colleghi rispetto alle modalità e finalità di lavoro.
Tener presente non solo il livello scolastico, ma lo studente nella sua totalità
Limitare nei genitori le eccessive aspettative di successo (questo dipende anche da come impostiamo il colloquio, se è solo centrato sui voti e sul “potrebbe dare di più” si favorisce l’idea che ciò che conta è prendere bei voti)
Invitarli ad avvicinarsi alla scuola durante tutto il corso dell’anno e non soltanto alla fine del quadrimestre
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RAPPORTO SCUOLA-FAMIGLIA
IL COLLOQUIO
Pensa ai colloqui che fai… chi comincia a parlare per primo? cosa dici? (fai una domanda,
un’affermazione…); che espressione del viso hai?; che tono usi?; quanto ti avvicini?; come tieni il corpo (busto) e le mani?; provi emozioni particolari o ti vengono in
mente dei pensieri?
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Attenzione alla mimica del volto e al tono Non mettersi sulle difensive o all’attacco Cominciare lasciando spazio al genitore (potrebbe
essere utile una domanda aperta, generica)
COMINCIARE IL COLLOQUIO3
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Interessarsi del punto di vista del genitore sul ragazzo: come pensa che si stia vivendo la scuola/materia/studio?
Esporre il proprio punto di vista, da considerare come un’ipotesi e non un’affermazione categorica
Riferire i voti, sempre accompagnati da motivazioni (cosa non sapeva di preciso il bambino-ragazzo? E cosa è riuscito a fare? Meglio evitare il generico “ha fatto troppi errori”, è utile che anche il genitore sappia cosa sia andato bene e cosa no)
Ragionare insieme sulle possibili risoluzioni o sul possibile modo di proseguire far emergere abilità di coping
Se il bambino-ragazzo “non dà problemi”, non liquidare in fretta il genitore, ma confrontarsi, non per forza si deve impostare il colloquio sugli aspetti “che non vanno”, anzi…
DURANTE IL COLLOQUIO3
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Importante riferire non solo l’andamento scolastico, relativamente all’apprendimento (ok dire i voti, unitamente al riferire in quali aspetti il bambino-ragazzo riesce bene e in quali sta facendo più fatica ad apprendere), ma anche gli aspetti emotivi e di comportamento, che il genitore può non osservare a casa propria (perché il contesto è diverso).
Sarebbe meglio non riempire solamente lo spazio comunicativo con “non si concentra, ha preso questo voto…” (dove, alla fine, uno parla e l’altro ascolta). Ad esempio: quando non si concentra? Perché secondo insegnante e genitore non si concentra? Perché non ama quella materia? “Penserò a un modo per interessarlo, se le viene in mente qualche strategia può venire a riferirmelo” (stiamo lavorando insieme!) “Possiamo osservare entrambi, a scuola e a casa, in quali momenti è concentrato e in quali meno e poi confrontarci” (il confronto può avvenire direttamente, ma anche in forma di comunicazione scritta e il bambino-ragazzo deve sapere e vivere la presenza di questo confronto tra gli adulti che si occupano di lui)
Quali conquiste ha fatto in questo periodo il bambino-ragazzo, quali aspetti positivi possono essere sottolineati?
A volte ometto la verità/edulcoro la realtà… Perché?Meglio essere sinceri (a meno che si corra il rischio di violenza per il bambino-ragazzo)
COSA DIRE? E PERCHÉ DIRLO?3
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Importante curare sia l’incipit sia la conclusione del colloquio
Attenzione al tono, al ritmo dell’eloquio, alle pause lasciarsi in maniera tranquilla e positiva, con un’idea di “stiamo collaborando” e non “ti sto accusando/mi stai accusando” o “non sappiamo più cosa fare per risolvere la situazione”
CONCLUSIONE COLLOQUIO3
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GLI ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE
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Contenuto
Tono dellavoce
Gesti
IL COME PREVALE SU CHE COSA
3/9/2009 21Giulia Cavalli
LE “LEGGI” DELLA COMUNICAZIONE
Non si può non comunicare Quello che viene comunicato è quello che l’altro
comprende (che può non corrispondere a ciò che vogliamo realmente comunicare)
L’attività o il non fare, la parole e i silenzi hanno tutti valore di messaggio
Tutti i messaggi (verbali e non verbali) influenzano reciprocamente gli interlocutori
AUTO-REGOLAZIONE
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CON COSA COMUNICHIAMO
Il linguaggio Il paralinguaggio (sbadigli, sussurri, pause, ritmo
dell’eloquio) La mimica del volto (sguardo, espressione) Il tono della voce Comportamento nello spazio (vicinanza, contatto,
postura, orientamento) La gestualità corporea
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LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
Sostiene (o contraddice) la comunicazione verbaleHa una funzione di comunicare qualcosa sulla relazioneE’ più autenticaRegola l’interazione e se stessi
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LE DOMANDE APERTE Permettono all’interlocutore di rispondere con i
suoi tempi, di espandere e chiarire aspetti importanti
Lasciano la possibilità di scegliere il punto di partenza e di narrare in modo personale
Mostrano reale interessamento e ascolto
Come sta Marco?Come si vive la scuola Alice?Cosa potremmo fare per…?
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DOMANDE PERCHÈ
Possono chiarirci le idee e capire le motivazioni di determinati comportamenti
Il tono inquisitorio può porre il genitore sulla difensiva, soprattutto se riferito ad abilità che il bambino-ragazzo non ha ancora acquisito
Perché Sara non ha ancora imparato le tabelline?Perché Gabriele è così lento a mangiare?
In questo periodo Mattia non mi è sembrato molto attento in classe. Per quale motivo?
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DOMANDE INDUTTIVE
Inducono ad una particolare risposta Mettono l’interlocutore “alle strette” Lasciano poche possibilità di essere contraddetti o
di dichiararsi in disaccordo
Non sarebbe ora che Tommaso studiasse?Adesso riesce a leggere meglio, vero?
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DOMANDE MULTIPLE
Confondono, imbarazzano Fanno sentire sotto interrogatorio Le risposte sono poco chiare e spesso confuse
E’ stato malato? Cosa ha avuto? Il raffreddore? Ma adesso si è ripreso?
Non gli piace la matematica? Come mai? Li fa da solo i compiti a casa? A scuola lo vedo sempre
pensare ad altro
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PASSIVO proiettato sull’altro AGGRESSIVO concentrato su sé ASSERTIVO non rinuncia ad esprimersi
ma lo fa nel rispetto dell’altro
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ALCUNI STILI COMUNICATIVI
LO STILE PASSIVO
Desiderio di voler essere accettati/voluti bene sempre e comunque. Riluttanza a entrare in conflitto, per paura di non uscirne vincitore. Si ritiene che comunque sia il proprio intervento non porterà a una
soluzione. Desiderio di voler evitare il senso di colpa conseguente al perdere il
controllo di sé (ad es. alzare la voce) I conflitti servono! (ognuno fa il proprio “mestiere”) l’importante è
affrontarli, senza sentirsi attaccati/sminuiti nel proprio ruolo
E’ controproducente evitare conflitti o demandare ad altri la soluzione.
La strategia migliore è quella di dotarsi delle capacità utili a governarli al meglio.
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LO STILE AGGRESSIVO
Attraverso l’imposizione si ottengono i risultati: alla base di questo convincimento sta l’idea che l’altro (genitore) sia contrario/ostile e che quindi sia necessario essere armati ed attaccare per primi.
Si deve restituire “pan per focaccia”: l’altro non ascolta/non mi stima, allora adesso “vedrà chi sono io” gioco di potere (connesso al ruolo di sé come insegnanti: chi mi sento io nei confronti del genitore?). Non si colgono così le ragioni del genitore (che possono benissimo essere diverse..anzi devono esserlo ogni tanto!).
Se l’altro non capisce la nostra aggressività reagirà o chiudendosi/adeguandosi passivamente (rinunciando alla propria libertà/creatività) o “vendicandosi” con provocazioni.Lo stesso vale per noi: se non capiamo l’ostilità dell’altro o ci adeguiamo o ci vendichiamo.
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Giulia Cavalli
LO STILE ASSERTIVO
Colui che riconosce i diritti propri e quelli altrui è pronto ad ascoltare il punto di vista espresso dal suo interlocutore e ad esprimere il proprio eventuale disaccordo, mantenendo il totale rispetto nei suoi confronti.
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OSSERVARE
Tenere gli occhi aperti su sé e sull’altro è importante per poter apportare piccoli cambiamenti alle strategie e ai comportamenti adottati
Ci sono tanti modi di entrare in relazione, le dinamiche relazionali sono molteplici: nessuna ci deve spaventare o irritare. Più conosciamo (osservando) ciò che accade e ci accade, più abbiamo la possibilità di muoverci flessibilmente all’interno delle varie dinamiche.
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ALCUNE SCALE PER OSSERVARE CIÒ CHE STA ACCADENDO (SCALA DA 0 A 5)
Tra parentesi esempi per assegnare punteggi alti (4/5)
1) FOCALIZZAZIONE SULL’OBIETTIVO DEL COLLOQUIO (completamente attento all’obiettivo, non si sposta su dettagli irrilevanti in quel momento)
2) CHIARI CONFINI (accetta il bambino-ragazzo di cui si parla e l’altro adulto come una persona separata, con delle sue prospettive e vissuti; non si fa sopraffare dalle emozioni del bambino e dell’altro adulto);
3) TOLLERANZA (permette all’altro adulto di esprimersi senza essere difensivo o giudicante);
4) COINVOLGIMENTO E RECIPROCITA’ (mostra un atteggiamento positivo durante l’interazione, è collaborativo con l’altro adulto e ha interesse per ciò che viene detto del bambino-ragazzo)
5) OSTILITA’ (mostra ostilità, rabbia o sminuisce l’altro adulto e il bambino); scala al contrario (p alti = comportamento negativo)
6) ACCETTAZIONE (accetta i suggerimenti)7) COPING (quando si parla di situazioni negative, riesce a trovare vie
di uscita, senza farsi prendere dallo sconforto o dalla rabbia)
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