la relazione professionale daiuto con il paziente anziano (dott. alessio pichler - psicologo...
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LA RELAZIONE PROFESSIONALE D’AIUTO
CON IL PAZIENTE ANZIANO(dott. Alessio Pichler - Psicologo Psicoterapeuta)
Prima Parte: counseling e relazione professionale d’aiuto: introduzione
tecnico-teorica
Alcuni interrogativi...
• Che cosa è una relazione professionale d’aiuto?
• In che modo essa si differenzia dalla relazione comune?
• E’ possibile imparare una “tecnica di relazione” o il nostro stile è immutabile?
Principali ostacoli alla relazione professionale d’aiuto
• Irruzione inconsapevole e non successivamente riconosciuta di aspetti legati al proprio carattere, alla propria storia ed ai propri valori
• Presenza di un atteggiamento condizionato dal pregiudizio e soprattutto da giudizi di tipo morale
• Relazione di aiuto significa contatto con la sofferenza: per difendersi da questa sofferenza si tende ad uscire dalla relazione.
Relazione professionale d’aiuto: forma di relazione nella quale gli aspetti di coinvolgimento personale, di reazione emotiva e giudizio morale, pur presenti, vengono almeno in parte riconosciuti dal professionista.
NB: relazione professionale d’aiuto non significa quindi eliminazione della propria soggettività, ma una sua temporanea messa da parte, volta a favorire la piena e libera espressione dei bisogni e dei pensieri del paziente
Differenze tra relazione professionale d’aiuto e colloquio di counseling:
• La relazione professionale d’aiuto rappresenta uno stato, un atteggiamento permanente dell’infermiere nel corso del proprio lavoro
• Il colloquio di counseling counseling rappresenta un momento nel quale il paziente o il famigliare svolgono parte attiva nella raccolta e nell’esame delle informazioni che permettono di arrivare ad una presa di decisione.
Criteri di definizione del counseling (si veda anche Mucchielli, 1987, Cap.1)
Il colloquio d’aiuto…
• non è una conversazione: viene conservata una distinzione di ruoli
• non è una discussione: astensione da ogni forma di giudizio morale
• non è un interrogatorio: in quanto non mira ad una diagnosi
Medicina centrata sulla malattia Vs medicina centrata sul paziente
(si veda anche Moja e Vegni, 2000, Cap.2)
Obiettivi della medicina centrata sulla malattia (disease centred)
• Effettuare una diagnosi della malattia
• Impostare un trattamento terapeutico
Medicina centrata sulla malattia Vs medicina centrata sul paziente (II)
Obiettivi della medicina centrata sul paziente (patient centred)
• Effettuare una diagnosi della malattia
• Impostare un trattamento terapeutico
• Confrontarsi con il vissuto di malattia del paziente
Su cosa si basa il metodo clinico centrato sul paziente ?
Sul concetto di “agenda del paziente”: ciò che il paziente porta con sé e con la sua malattia, ovvero
• Sentimenti del paziente (paure, rabbia)
• Idee e interpretazioni su ciò che non va
• Aspettative e desideri rispetto all’intervento
• Contesto (familiare, sociale)
Sentimenti del paziente: la risposta emotiva di quel paziente alla malattia
• Paura
• Rabbia
• Incertezza
• Disperazione
Idee del paziente: l’interpretazione che quel paziente fa della propria malattia
• Cause della malattia
• Sintomatologia
• Decorso
• Rimedi
Aspettative e desideri del paziente:
• Aspettative: ciò che il paziente si attende dal proprio colloquio con l’infermiere (componente maggiormente razionale)
• Desideri: ciò che il paziente vorrebbe dal colloquio con l’infermiere (componente maggiormente emotiva)
Contesto del paziente: elementi del contesto sociale, famigliare, culturale del paziente che influenzano, originandoli o dando loro forma, i tre elementi dell’agenda appena descritti
Le tecniche base del colloquio centrato sul paziente
(si veda anche Moja e Vegni, 2000, Cap. 4)
Obiettivi specifici del colloquio:• Raccogliere informazioni dal paziente legate alla malattia• Far emergere gli elementi dell’agenda
del paziente• Restituire delle informazioni
La raccolta delle informazioni: tecniche base
• Domanda stimolo aperta (“Come andiamo oggi?”): lascia libertà di espressione al paziente
• Tecnica dell’eco (“All’improvviso mi sono venuti questi disturbi…I: “Disturbi?”): permette il fluire del colloquio senza eccessive intromissioni
L’esplicitazione dell’agenda del paziente
• Verbalizzazione del sentimento (“Dopo questo incidente si sarà sentito anche arrabbiato”): riconoscimento del vissuto emotivo legato alla malattia
• Interventi di legittimazione (“Credo che chiunque si sarebbe sentito spaventato di fronte a quella diagnosi”): dà un senso di legittimità di quanto provato o pensato dal paziente
La restituzione delle informazioni
• Riformulazione: consiste nel ridire, con altre parole, e in maniera più concisa o più chiara, ciò che l’altro ha appena detto, in modo tale che l’operatore ottenga l’accordo da parte di quest’ultimo.
• Chiarificazione: intervento di sintesi che si propone di cogliere e verificare con il paziente dei collegamenti tra le diverse parti del problema
Esempio di riformulazione
P:”anche se i dottori mi hanno detto che mia madre ha … come si dice …l’Alzheimer secondo me tutto è cominciato da quando ha cominciato a prendere delle medicine”
I: “mi sta quindi dicendo che a suo parere la causa dei problemi sono i farmaci…”
Esempio di chiarificazione:
• Famigliare: “ no guardi, il dottore della casa di riposo l’ho già sentito, ma è già successo una volta che a mia madre venissero somministrati dei farmaci che poi l’hanno mandata fuori di sé…”
• Infermiere: “immagino che la paura che qui si ripeta quella circostanza le sta mettendo molta ansia, anche perché forse le sarà piuttosto difficile affidarsi a persone nuove; forse insieme al medico potremmo cominciare vedendo insieme quali sono le caratteristiche della malattia di sua madre…”
CHIARIFICAZIONE: fase maggiormente attiva, nella quale
l’operatore:
• propone al paziente/famigliare dei collegamenti tra le diverse parti del problema
• cerca di cogliere come l’interlocutore si pone rispetto alla situazione nella quale è inserito
• Si comincia ad introdurre il nostro intervento
Fasi del colloquio di counseling:
1. Domanda aperta di avvio
2. Tecnica dell’eco e riformulazioni (raccolta delle informazioni e fiducia del paziente)
3. Verbalizzazione del sentimento e dei vari aspetti dell’agenda
4. Chiarificazione e proposta del nostro intervento
Gli ostacoli alla relazione professionale d’aiuto (si veda anche Mucchielli, 1987, Cap. 2 e 3)
Due tipi di ostacoli:• Ostacoli interni al colloquio: sono rappresentati da
risposte scorrette formulate dall’operatore in sede di colloquio.
• Ostacoli esterni al colloquio: sono rappresentati da stereotipi e reazioni emotive dell’operatore (maggiormente insidiosi, coinvolgono spesso l’équipe o addirittura l’istituzione nel suo complesso).
Gli ostacoli interni al colloquio (Mucchielli, 1987, pag. 60)
• Atteggiamento di valutazione o giudizio morale Esempio: “credo che suo fratello si stia comportando davvero male non venendo a trovare la madre”.
• Atteggiamento interpretativo
Esempio: “credo che il rifiuto di suo padre di alimentarsi esprima un rifiuto a continuare a vivere”.
• Atteggiamento supportivo e/o di sdrammatizzazione:
Esempio: “ Suvvia, crede davvero che questa situazione sia così grave? Cerchi di reagire, queste sono cose che possono accadere.”
• Atteggiamento “soluzione del problema”:
Esempio (ad anziano depresso): “Dato che sappiamo che lei lavorava il legno abbiamo pensato di contattare un falegname che le dedicherà un po’ di tempo. Così avrà modo di distrarsi”.
NB: l’essenza stessa del counseling è un rallentamento dell’agire, se non una temporanea sua sospensione. Relazione significa anche riflettere, condividere; e, nel caso del counseling, aiutare l’altro a riflettere.
• Atteggiamento investigativo:
Esempio: “Mi parli di quando era a casa sua. Forse in questo modo riusciamo a capire da dove venga tutta quest’ansia”.
Effetto: si passa ad un colloquio anamnestico/diagnostico, restringendo il campo delle spiegazioni possibili. Il paziente si sente guidato e il messaggio che recepisce è: quello che mi sta dicendo ora non è importante; le dico ora quello che può essere rilevante.
Gli ostacoli esterni al colloquio (Mucchielli, 1987, Cap. 2)
• Conoscenza del problema maturata al momento della segnalazione: rischio di arrivare al colloquio con un giudizio tecnico ed un’ipotesi di intervento preconfezionati.
NB: considerato elemento disturbante in quanto non favorisce una nuova ristrutturazione del campo del problema.
Domanda da porsi: Che idea mi sono fatto del problema prima di affrontarlo con il diretto interessato?
• Reazioni emotive immediate: la mancata consapevolezza del proprio coinvolgimento emotivo rappresenta l’ostacolo maggiore ad una visione sufficientemente obiettiva del problema.
Interrogativi che l’operatore (e l’équipe!) deve porsi:
- La reazione è dovuta all’appartenenza sociale del paziente?
- La reazione è dovuta al sesso della persona che ci sta di fronte?
- Il paziente attiva in noi particolari fenomeni controtransferali?
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