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091NOVEMBRE
30NOVEMBRE2010
Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
www.magzine.it
magzine
»» Emiliano Misso,la camorra degli ultras
»» Maurizio Michelucci,l’Italia che crolla a pezzi
»» Domenico Iannaconel’inchiesta è un rosario
»» Libertà di stampa,i problemi di Balcani e Tibet
»» Martina Bacigalupo,la fotografa racconta l’Africa
»» Emiliano Misso,la camorra degli ultras
»» Maurizio Michelucci,l’Italia che crolla a pezzi
»» Domenico Iannaconel’inchiesta è un rosario
»» Libertà di stampa,i problemi di Balcani e Tibet
»» Martina Bacigalupo,la fotografa racconta l’Africa
Fabbr i ch ef u o r i co n t ro l l oFabbr i ch ef u o r i co n t ro l l o
L’esplosione di Paderno Dugnano apre scenari inquietantisugli impianti a rischio di incidente rilevante: difetti normativie verifiche inadeguate mettono in pericolo il lavoro degli operai
L’esplosione di Paderno Dugnano apre scenari inquietantisugli impianti a rischio di incidente rilevante: difetti normativie verifiche inadeguate mettono in pericolo il lavoro degli operai
MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 20102
inchiesta
di Enrico Turcato e Simona Peverelli
In Italia il sistema di controllo degli impianti a rischio si fonda ancora sul meccanismo dell’autocert i fi c a z i o n e.Ma non tutte le aziende sono disposte a dichiara rein un modulo l’elenco dei materiali che hanno tra t t a t o
’E S P L O S I O N E C H E L O S C O R S O 4 N O V E M B R E ha tra-
sformato l’Eureco di Paderno Dugnano in un
rogo ardente ha sollevato seri dubbi sulle
procedure di sicurezza in funzione negli
impianti che trattano materiali pericolosi.
L’azienda chimica di Paderno non era stata
catalogata dal ministero dell’Ambiente nella lista dei 1.104 siti “a
rischio di incidente rilevante” presenti in Italia. Nella sciagura -
l’ultima di una lunga serie - ci sono stati due morti, due feriti gra-
vi e tre ustionati. Sergio Scapolan, 63 anni, e Arun Zeqiri, 44
anni, si sono spenti in ospedale dopo una lunga agonia con il 90
per cento del corpo coperto da ustioni.
«Ho sentito all’improvviso un botto tremendo, mi sono gira-
to e ho visto un collega avvolto dalle fiamme. Allora sono corso ad
aiutarlo, ma mi sono ustionato tutte le mani». Così F e r i d
M e s k h a, operaio albanese di 50 anni, ha ricordato i momenti
più drammatici dopo l’esplosione nella fabbrica dell’hinterland
milanese. Le cause dell’incidente, non ancora accertate al
momento, verranno chiarite in sede di indagine nei prossimi
mesi. Quello che preoccupa gli inquirenti è la serialità. Come si
può evitare che si ripetano altri casi come quelli di Eureco?
«In Lombardia sono 280 le aziende dichiarate a rischio dal
Ministero - spiega l’ingegnere Edoardo Galatola, tra i maggio-
ri esperti italiani di sicurezza ambientale -, ma potrebbero esse-
re molte di più. Il meccanismo di rivelamento è abbastanza defi-
citario. Per capirsi: il decreto legislativo 334/99 dice che gli
impianti a rischio di incidente rilevante sono solamente quel-
li che trattano un quantitativo di materiale superiore a certi
limiti. Quindi la catalogazione viene effettuata in base alla
tipologia dei materiali in uso anziché tenendo conto del
loro effettivo utilizzo. Per esempio, Eureco è una ditta
troppo piccola per essere inserita nella lista nera: consuma una
quantità di sostanze “pericolose” insufficiente per essere consi-
derata a rischio».
Ma a chi si rivolgono le aziende quando devono dichiarare
quanto materiale pericoloso consumano? «Oltre certi limiti,
devono mettersi in comunicazione direttamente con il ministe-
ro dell’Ambiente o con l’autorità regiona-
le predisposta - spiega Paolo Bragatto,
ispettore dell’Istituto superiore per la
prevenzione e la sicurezza sul lavoro
(Ispesl) -. Le aziende sono obbligate a
inviare un rapporto di sicurezza al comi-
tato tecnico regionale, un organismo
composto da Vigili del fuoco, Agenzia
regionale per l’ambiete e Ispesl. Una vol-
ta approvato il rapporto, queste autorità
si occupano del programma di ispezione:
nelle aziende ad alto rischio è annuale, in
quelle a medio-basso rischio biennale.
Ma non sempre le risorse permettono di
eseguire i controlli dovuti».
Quindi, se i servizi di ispezione non
hanno fondi a sufficienza, i controlli non
sono regolari. «Alcune categorie di rifiu-
ti sfuggono alla normativa - aggiunge
Bragatto -. Poi si deve tener conto di un
altro fattore: l’ispezione deve certificare
il sistema di gestione, ma solo le aziende
considerate più a rischio sono obbligate
ad averne uno se non vogliono incorrere
in sanzioni penali».
Oltre che sporadica, l’attività di controllo non è più efficace
come in passato. Prima esisteva l’Unità operativa grandi rischi
- spiega Roberto Bai, membro del Comitato scientifico di
Legambiente Lombardia -, formata da personale prepa-
rato. Ma da qualche anno è stata sciolta. Per esaminare
l’impiantistica di un’industria chimica è indispensabile affidar-
si a esperti, e senza dubbio gli esperti migliori si trovano in azien-
da, direttamente a contatto con le sostanze pericolose. Per questo
bisognerebbe promuovere la partecipazione dei lavoratori alla
difesa della salute».
Fino agli anni Ottanta, i contratti collettivi prevedevano che
i lavoratori del settore chimico redigessero il registro dei dati
L
Fabb r i ch eo polve r i e re ?
ambientali e biostatistici, ovvero la lista di tutte le sostanze peri-
colose presenti inazienda. Da vent’anni non esiste più nessun
obbligo e a compilare la lista sono i datori di lavoro. Secondo
Angelo Cova, di Medicina Democratica, mettere nero su bian-
co tutti i rischi non è l’attività preferita dai titolari: «Hanno tutto
l’interesse a omettere certi dati, oppure a
nascondere le pecche dell’azienda. Sosten-
gono che i pericoli ci sono, ma anche che
esistono le necessarie cautele». Solo chi
maneggia ogni giorno sostanze nocive ne
conosce veramente la pericolosità e sa
come cautelarsi. La formazione degli ope-
rai è un tema decisivo. Solo del personale
preparato può garantire la sicurezza e gesti-
re un registro dei dati ambientali.
Il decreto 81/2008 obbliga le aziende
ad attivare un sistema di gestione della sicu-
rezza, ma non fissa alcuna norma circa
l’abilitazione del personale. La legge si fer-
ma qui, i corsi di formazione costano, inol-
tre spesso e volentieri, non vengono attiva-
ti. Il risultato è che gli operai continuano a
ignorare i rischi che corrono.
Per Giovanni Cippo, s e g r e t a r i o
nazionale Allca-Cub, i controlli degli ispet-
tori sono sempre più rari per mancanza di
risorse: «Il nostro lavoro si riduce a spora-
dici interventi solo in casi di emergenza,
quando ci scappa il morto. E quando i controlli partono, le azien-
de costruiscono un muro di gomma ed evitano la contrapposi-
zione». Essere più scrupolosi significa spendere, e alcuni datori
di lavoro preferiscono nascondere lo sporco sotto il tappeto piut-
tosto che investire in sicurezza.
Insomma, una normativa per tutelare i lavoratori ci sarebbe
anche: i datori di lavoro sono tenuti a segnalare le sostanze peri-
colose presenti nelle loro aziende, i controlli sono previsti. Ma
restano dei buchi neri nella legge , che non riesce a censire con effi-
cacia tutte le aziende. Il sistema di controllo si basa sull’autocer-
tificazione dei datori di lavoro, e quindi sul loro senso di respon-
sabilità. Non c’è da stupirsi se molte aziende dichiarano ciò che
vogliono e riescono a nascondere la polvere sotto il tappeto.
MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 3
Nelle aziende a rischio i controlli sonoannuali, mentre in quelle a rischio mediob a s s o sono biennali. Non sempre peròle risorse permettono verifiche regolari
LA SCHEDA - In Italia gli impianti
catalogati dal ministero dell’Ambiente
come “a rischio di incidente ri l eva n t e ”
sono 1.104. La Lombardia è la re g i o n e
con la maggiore concentrazione (286),
seguita da Veneto (100) ed Emilia (97).
Al Sud, è preoccupante la situazione di
Sicilia (70) e Campania (70).
I N C E N Z O LO M B A R D O h a
lavorato come carrellista
alla Giardini Spa, azienda
chimica di Vigevano, fino al
6 settembre 1990. Da quel
giorno la sua vita e il suo
lavoro sono cambiati: un’esplosione di
materiale infiammabile lo ha sfigurato cau-
sandogli profonde ferite a mani e braccia.
Cosa accadde quel 6 settembre?
Ricordo ancora l’orario: erano le 14.15.
Stavo spostando dei bidoni e urtai una
cisterna contenente mille litri di liquido
infiammabile. Tutto era infiammabile in
quel magazzino, e nulla era a norma. Il rila-
scio del solvente causò il surriscaldamento
dell’ambiente, e quando il solvente raggiun-
se l’impianto elettrico ci fu un’esplosione
violentissima. Riuscii a malapena a scende-
re dal muletto e a scappare verso la portine-
ria. Chiamavo aiuto ma nessuno riusciva a
prestarmi soccorso: mentre correvo la
mia pelle si scioglieva, colava e cadeva a
terra.
Quanto è durata la sua
c o n v a l e s c e n z a ?
Non ho lavorato per due anni e due
mesi e ho dovuto affrontare sette delicati
interventi. Ho perso l’utilizzo delle mani e
per riprenderne l’uso ho dovuto affrontare
moltissime sedute di fisioterapia. Prima di
quel 6 settembre ero un ragazzo felice, poi
tutto si è trasformato in incubo. Non potevo
abbracciare mio figlio, se non con la mente.
Non volevo mai uscire perché avevo il viso
sfigurato e non volevo mettere la maschera.
Ero una mummia che camminava per iner-
zia. Provavo dolori atroci durante la medi-
cazione e ho subìto danni psicologici irre-
v e r s i b i l i .
L’azienda l’ha aiutata dopo l’in -
c i d e n t e ?
Non mi sono venuti incontro...
L’assicurazione mi ha risarcito solo dopo tre
lunghissimi anni di processo. La situazione
si è risolta soltanto tre giorni prima dell’ul-
tima udienza, quando finalmente mi
hanno rimborsato con la cifra che avevo
r i c h i e s t o .
È stato reintegrato?
Adesso faccio il centralinista, ma i
rapporti con i colleghi non sono
semplici. Allora avevo 35 anni, oggi ne ho 55
e aspetto solo che passino due anni per
andare in pensione con quarant’anni di
contribuzione. A sostenermi è stata la fede,
oltre alla famiglia.
«Un botto tremendo,poi solo fiamme e fumo»
Venti anni fa Vi n c e n zo Lombardo è scampato all’esplosione che ha mandato in fumo un’aziendachimica del vigeva n e s e. Dall’incidente è uscito s fi g u ra t o. Oggi lavo ra sempre lì, come centra l i n i s t a
MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 20104
inchiesta
di GIUDITTA AVELLINA
V
e aziende fanno salti
mortali per evitare la tra-
sparenza». G i o v a n n i
C i p p o, sindacalista del
settore chimico della
Confederazione unitaria
di base (Cub), conosce bene la
reticenza delle aziende in mate-
ria di sicurezza. «Ogni volta che
segnaliamo anomalie o avan-
ziamo richieste specifiche per
effuttuare ulteriori controlli, le
imprese si arroccano su posizio-
ni difensive, sostengono che
naturalmente gli impianti sono
a norma e spesso arrivano al
punto di negare un confronto
leale, preferiscono non far par-
lare i numeri».
Con quali altre proble -
matiche vi scontrate?
Anche la legislazione non ci aiu-
ta: il Documento di valutazione
rischi, per esempio, non può
essere portato fuori dall’azienda
e spesso il lavoratore non è in
grado di valutarne il contenuto.
Inoltre, quando le nostre richie-
ste si fanno più insistenti e vin-
colanti, c’è da fare i conti con le
possibili ritorsioni sui dipen-
d e n t i .
Che tipo di ritorsioni?
Le aziende ne approfittano per
sanzionare il lavoratore, arriva-
no addirittura al licenziamento
del rappresentante sindacale
pur non avendone titolo, appi-
gliandosi a questioni formali. Il
reintegro è raro, e quindi i lavo-
ratori, nella maggior parte dei
casi, smettono di rivendicare i
loro diritti. Smettono di lamen-
tarsi, come i cadaveri.
Anche parlare di sicu-
rezza con le aziende
non è facile: la risposta
più comune è il silenzio.
Roberto Peressutti, diretto-
re dei sistemi industriali di A i r
L i q u i d e, è stato l’unico respon-
sabile di un’azienda ad alto
rischio a voler parlare con noi.
L’impianto di Limito, in provin-
cia di Milano, è il più grande
d’Italia. Dentro imponenti
serbatoi a pressione sono
conservati i gas che la
società commercializza e
che sono destinati alle
maggiori imprese side-
rurgiche del Nord-Italia.
«Proprio perché siamo
consapevoli dei rischi – sottoli-
nea Peressutti – il nostro primo
obiettivo è lavorare in piena
sicurezza. Anche per questo
motivo, sei anni fa il gruppo ha
approvato un sistema interno di
gestione in 18 punti, con regole
dettagliate per garantire l’affi-
dabilità e la sicurezza degli
impianti».
Quali sono le principali
misure di prevenzione
che utilizzate?
Innanzitutto i lavoratori sono
tenuti a rispettare minuziosa-
mente ogni norma. La pro-
gettazione degli impianti,
poi, è soggetta a continue
verifiche. Inoltre,
abbiamo scelto di esse-
re più previdenti di quanto ci
impone la legge e obblighiamo
ogni responsabile ad abilitare i
dipendenti a svolgere le man-
sioni più delicate. Gli imprendi-
tori, insomma, devono formal-
mente assumersi delle respon-
s a b i l i t à » .
Oltre ad Air Liquide, la
lista delle imprese
lombarde ad alto
rischio che devono rispettare
vincoli stringenti conta 280
nominativi, mentre altre impre-
se, come l’Eureco di Paderno,
sono invisibili. Per R o b e r t o
P e r e s s u t t iè anche un proble-
ma di“sensibilità”. «Dal nostro
punto di vista, dover sottostare
alle verifiche è un fatto positivo.
Se nel corso di un controllo
emerge che qualcosa potrebbe
essere fatto meglio è un bene.
Rimediare agli errori è necessa-
rio per tutelare chi sta dentro
l’azienda e chi sta fuori».
«I lavoratori hanno pauradelle ritorsioni e rinunciano arivendicare i lorodiritti. Smettono di lamentarsi e se ne stanno zitti,come i cadaveri»
MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 5
inchiesta
ldi C. L o n i gro e G. Ro m e o
Tra aziende e sindacat it rat t at iva sempre ap e rt a
L L O S T A D I O D I NA P O L I c o m a n-
dano i clan della camorra,
parola di Emiliano “Zapa-
ta” Misso, collaboratore di
giustizia e nipote di Giusep-
pe, capo dell’omonimo clan. A fine ottobre
“Zapata” Missoha testimoniato al processo che
vede imputati alcuni ultras per gli scontri scop-
piati alla discarica di Pianura nel 2008 e ha for-
nito una fotografia nitida della curva parteno-
pea, dove ogni gruppo organizzato fa riferimen-
to a un clan. La presenza allo stadio, infatti, è un
simbolo di potere irrinunciabile per chi punta a
comandare e allungare le mani sulla città.
Misso fa nomi e cognomi: della Curva A,
che ha frequentato fino all’arresto del febbraio
2006, traccia perfino la geografia dei compo-
nenti. «I M a s t i f f s sono il gruppo più vecchio,
abbracciano tutto il centro storico e il capo è
figlio di un nostro affiliato. Le Teste Matte e i
Vecchi Lions sono dei Quartieri Spagnoli, la
Masseria Cardone è della zona nord della cit-
tà». «Al suo interno - continua - c’era Ettore
Bosti, figlio di Patrizio del clan Licciardi, nemi-
co dei Misso da trent’anni. Area Nord, poi, è
sorto all’improvviso dopo che gli S p a g n o l i, gli
“scissionisti” di Secondigliano, hanno vinto la
guerra di camorra contro il clan Di Lauro».
“Zapata” Misso guardava le partite con i
ragazzi di Rione Sanità, il gruppo voluto dallo
zio poco dopo la sua scarcerazione. Un diritto,
quello a tifare nella zona centrale della Curva A,
riconosciuto dagli altri gruppi solo grazie alla
mediazione dei M a s t i f f s.
Ovviamente tra clan rivali la tensione è
sempre alta, anche sugli spalti. «I nostri rappor-
ti con la Masseria Cardone – continua Misso –
non sono mai stati buoni. Allo stadio cercava-
mo di evitarci ma bastava una minima miccia
per accendere un casino. Una domenica ero al
San Paolo ed Ettore Bosti si presentò sotto la
Curva A con una bandiera in mano. Mi ricordo
che tutti noi lo insultammo». Il gruppo M a s s e -
ria Cardone, di cui Bosti era componente, è sta-
to poi costretto a lasciare la Curva A e trovare
spazio prima nel settore Distinti e successiva-
mente nella Curva B.
Misso sostiene di non essere mai stato par-
te attiva di Rione Sanità, ma riesce comunque a
descriverne in dettaglio organizzazione e scopi:
ogni settimana, spiega, c’è una riunione per pre-
parare i cori e definire la strategia in caso di taf-
ferugli. Partite come Napoli-Roma sono teatro
frequente di scontri fra tifoserie rivali e nessuno
può farsi trovare impreparato: la mentalità
ultras prevede la rissa con i tifosi delle squadre
avversarie e i gruppi napoletani non si sottrag-
gono certo alla regola. Tra gli ultimi episodi di
questo genere c’è quello della notte tra il 20 e il
21 ottobre scorso, vigilia della partita di Europa
League tra Napoli e Liverpool. Nel capoluogo
campano si è scatenata la “caccia all’inglese”, tre
tifosi del Liverpool sono stati feriti e una decina
di turisti britannici aggrediti dagli ultras azzur-
ri. Per l’episodio la Digos di Napoli ha denun-
ciato una sessantina di appartenenti alle frange
più violente del tifo partenopeo.
A differenza degli hooligans, gli ultras han-
no una strutturazione rigida che lascia poco
spazio all’iniziativa dei singoli. Alcune zone del
San Paolo sono completamente interdette a chi
non fa parte dei gruppi. «Se una brava persona
vuole sedersi tra gli ultras - ha raccontato
“Zapata” Misso - non può farlo, rischia di esse-
re preso e buttato giù dallo stadio. Quelli sono i
loro posti».
Curve pericolose, la camorra tra gli ultras
Secondo Emiliano “ Z a p a t a ” M i s s o, ogni gru p p ou l t ras fa ri f e rimento a un clan. La conferma arrivadallo zio del boss napoletano, che al Rione Sanitàha creato un club di tifosi che gli sono fedelissimi
MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 20106
MAFIE
Di Fabio Forlano
a
Per sap e rne di più
Vincenzo Marra, E . A . M . E s t ranei alla
M a s s a (01 Distri bu t i o n ) ; Elisa Davoglio, O n o re
ai diffidati (Mondadori ) ; Andrea Ferreri, U l t ra s :
I Ribelli del Calcio (Bep re s s ).
Pompei è venuto
giù un restauro
degli anni Settan-
ta in cemento
armato. Ma non è vero che non
è accaduto nulla di grave: il
cemento, crollando, ha trasci-
nato con sé anche la parte anti-
ca con tutte le pitture murali».
Maurizio Michelucci, di for-
mazione archeologo, insegna
Storia e tecnica del restauro
all'Università di Pisa ed è mem-
bro del Consiglio scientifico del-
l'Opificio delle Pietre Dure di
Firenze. Per lui, nel campo dei
beni culturali da 40 anni, le con-
dizioni del patrimonio artistico
italiano non sono mai state tan-
to critiche come in questo
momento.
Nel 2010 solo lo 0,21 per
cento del bilancio dello Stato è
stato destinato ai fondi per i
beni culturali. Una cifra inferio-
re alla media europea e di gran
lunga al di sotto della stima di
spese annuali per manutenzio-
ne e restauri fatta dal Consiglio
superiore dei beni culturali. Ma
i soldi non sono l’unico proble-
ma: dietro i crolli della Casa dei
gladiatori e del portale quattro-
centesco del santuario di Maria
Santissima d'Alemanna di Gela,
c’è una politica d’immagine
dannosa e poco lungimirante.
Che idea si è fatto delle
responsabilità del crol-
lo di Pompei?
Certamente questo intreccio di
competenze tra soprintendenti
e commissari non è chiaro e non
aiuta. I drastici tagli del perso-
nale rendono poi le
soprintendenze inca-
paci di monitorare
con efficacia il terri-
torio. C’è infine il pro-
blema oggettivo dei
tagli economici. Da anni
ormai nel nostro paese non si fa
più manutenzione e questo
comporta danni irreversibili.
Intere aree archeologiche sono
infestate di rovi ed edere che ne
sgretolano la muratura. Pompei
è solo una delle tante realtà di
degrado sparse in tutta Italia.
Quali sono i siti più a
r i s c h i o ?
La situazione è preoccupante
per i beni di fama minore.
Ovviamente i fondi per il Colos-
seo, interessato da piccoli crolli
di modanature, si troveranno
sempre. A Roselle, invece, le
mura etrusche del VI
secolo a.C. stanno crol-
lando e più della metà
dell’area non è accessi-
bile a causa di infiltra-
zioni vegetali. Altri sca-
vi in pericolo sono le for-
naci romane di Orbetello. In
tutti i casi, i danni sono causati
dalla mancanza di ordinaria
manutenzione che sarebbe
costata pochissimo se eseguita
annualmente. Purtroppo si è
scelto di fare altro.
Quindi non è solo un
problema di mancanza
di fondi?
No, si tratta di saperli gestire. I
pochi soldi destinati ai beni cul-
turali dopo i drastici tagli per la
crisi economica potevano esse-
re utilizzati in due modi: per
difendere ciò che già c’era o per
avviare nuove iniziative, come il
restauro del Marte e Venere di
Palazzo Chigi e la promozione
di nuovi scavi. Ma è ragionevole
aprire delle aree archeologiche
se poi non c’è la possibilità di
prendersene cura? I soldi dove-
vano essere utilizzati soprattut-
to per la conservazione; ma,
dato che la manutenzione dà
poco lustro, si preferisce spen-
dere per orrende visite web vir-
tuali o progetti di promozione
senza una progettualità precisa.
L’Italia possiede il più
grande patrimonio
artistico d’Europa. Per-
ché non riusce a valo-
r i z z a r l o ?
Si può valorizzare solo ciò che è
in splendida salute. Le cose
brutte e maltenute non si valo-
rizzano. Dovremmo prenderci
cura dei nostri beni e poi a valo-
rizzarli con iniziative e pubblici-
tà adeguate. Ma le operazioni
d’immagine non sempre reggo-
no nel tempo.
L’Italia cade a pez z i :fondi miseri e spesi male
esteri
MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 7
di Cristina Lonigro
Per sap e rne di più
Salvatore Settis, La tutela
del pat rimonio culturale e pae -
s a ggistico e l’art . 9 Cost. ( J ove n e )
w w w. c a rt a d e l ri s c h i o. i t
w w w. i t a l i a n o s t ra . o rg
w w w. o p i fi c i o d e l l e p i e t re d u re. i t .
A
MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 20108
giornalismo
di Salvo Catalano e Giulia Dedionigi
T R A N O P A R T I R E d a l l a
poesia per arrivare
al giornalismo d’in-
chiesta. Eppure,
per D o m e n i c o
I a n n a c o n e, giornalista R a iper il
programma Presa Diretta, tutto
parte dalla medesima sensibilità.
La sensibilità di fermarsi in un
posto. Di osservare e ascoltare. Di
indagare e poi raccontare. I a n n a-
c o n e si è fermato sei mesi a San
Giuliano di Puglia per capire come
il terremoto avesse “capovolto”
quel piccolo pezzo d’Italia, non
solo negli edifici, ma soprattutto
nell’animo delle persone. «È la
stessa sensibilità che c’è nella poe-
sia e nel cinema».
Cosa c’entra la poesia
col giornalismo d’in-
c h i e s t a ?
L’inquadratura dei video non è
una cosa asettica. Prima di dedi-
carmi al giornalismo ho frequen-
tato il Centro sperimentale di
cinematografia e credo che
anche quella sia una forma di
racconto. Ci vuole la stessa sensi-
bilità per il cinema così come per
l’inchiesta. Io l’ho acquisita attra-
verso la poesia. Spesso vedo i Tg
regionali e noto che in realtà non
si occupano di nulla, trattano
alcuni argomenti solo perché
segnalati alle redazioni dagli uffi-
ci stampa. Ci sarebbe abbastan-
za spazio per scoprire moltissime
cose, invece non si fa altro che
riprendere temi di rilievo nazio-
nale spostandoli sul locale.
Hai iniziato proprio dal-
la tivù locale. Che ricor-
di hai di quel periodo?
È stata un’esperienza bellissima.
Dopo aver iniziato al Q u o t i d i a n o
del Molisesono passato a T e l e r e -
g i o n e, un’emittente locale. Face-
vamo una televisione di qualità.
Ho avuto la fortuna di conoscere
un caporedattore che mi ha ini-
ziato in modo fulminante. Aveva
lavorato con Sergio Zavoli i n
R a i e poi era tornato in Molise.
Quella redazione era molto gio-
vane, divenne un laboratorio e lì
ho messo a punto i ferri del
mestiere: facevamo cronaca,
eventi e conduzione.
Prima l’inchiesta su San
Giuliano di Puglia, poi il
premio Ilaria Alpi con I l
p r o g e t t o. Quando hai
deciso di occuparti di
prevenzione antisismi-
c a ?
Quello su San Giuliano di Puglia
è soprattutto un film documen-
tario. Insieme a un amico che si
occupa di tv abbiamo deciso di
andare sul posto e restare lì per
sei mesi. Volevamo raccontare in
video quello che accadeva, le tra-
sformazioni nell’animo degli
uomini. E ci siamo accorti che
era un Paese spezzato non solo
dal dolore, ma anche dalle
discordie. Era una società capo-
volta: i genitori rimasti
senza figli se la prende-
vano con quelli più for-
tunati. L’ultima in-
chiesta era strutturata
in modo diverso. Nella
redazione di P r e s a
D i r e t t a, dopo il terre-
moto a L’Aquila, R i c-
cardo Iaconap e n s a-
va di realizzare qualco-
sa andando in Abruz-
zo. Io proposi invece di
spostare l’attenzione
su un’altra regione ad
alto rischio sismico per
indagare sui processi
di ricostruzione e sul
sistema degli appalti.
Abbiamo scelto un pic-
colo Comune in pro-
vincia di Reggio Cala-
bria: mi sono finto
ingegnere e ho presen-
tato un progetto falso
che è stato approvato.
Quali sono le differenze
principali tra un’inchie-
sta e un reportage?
Si parla tanto di inchiesta, ma
spesso si spaccia per inchiesta ciò
che non lo è. Nella nostra tra-
smissione convivono anime
diverse: cerchiamo sempre una
mediazione, visto che Riccardo
Iacona tende di più al racconto,
mentre io preferisco indagare.
L’inchiesta è ricerca, bisogna
muoversi verso una direzione e
cercare eventuali anomalie.
Qualche esempio?
L’inchiesta, per me, è come un
rosario: nasce un grano dopo l’al-
tro e, solo a poco a poco, arrivi
alla fine. Nell’inchiesta arrivi
anche a una soluzione. Quando,
lo scorso anno, ho realizzato l’in-
chiesta E v a s o r i, sul lavoro in
nero, mi sono mosso senza che ci
fosse alcun procedimento giudi-
ziario aperto. Solo con gli ele-
menti che ho scoperto sul campo
S
La fo r z adel ra c c o n t o
Pa rt i re dalle piccole cose per re a l i z z a re un’inchiesta.S c ava re dove altri non cerc a n o.Fa re il giornalista per Domenico Iannacone non significa trova re stori ead effetto,ma indagare con la sensibilità di un poeta
e con le fonti di cui mi fidavo
sono riuscito a inseguire una
pista. Dopo che l’inchiesta è sta-
ta pubblicata, un senatore della
Lega ha minacciato querela. Ma
non ha mai sporto denuncia. Per
precauzione avevo conservato
tutto, perfino gli scontrini fiscali.
Quali sono gli errori in
cui è più facile incorrere
durante la stesura di
u n ’ i n c h i e s t a ?
Per fare una buona intervista
bisogna saper porre le domande
giuste. Ma chi lo fa? Vedo molti
colleghi poco preparati a soste-
nere i loro interlocutori. Per
intervistare bene bisogna legge-
re, studiare, capire. E poi avere
anche presenza di spirito, capa-
cità d’intuizione. Infine, un ele-
mento cruciale è il tempo: con
l’esperienza capisci se qualcuno
non ti sta raccontando la verità.
E le difficoltà principa-
l i ?
Bisogna partire dalle piccole
cose, non servono gli scoop.
L’aspetto minimo dei fatti, ti
porta a scoprire eventi di più
ampia portata. Il progetto p a r t i-
va da una piccola idea: realizzare
tre box auto. Invece ha fatto
emergere una realtà molto più
complessa. Un altro elemento
importante è provare ad antici-
pare le cose che succederanno.
Se hai questa sensibilità, hai fat-
to centro. Ad esempio, circa un
anno e mezzo fa ho realizzato un
lungo reportage, Oro buttato, un
viaggio attraverso i beni cultura-
li italiani di cui non parlava nes-
suno. Oggi posso dire che quel
reportage ha anticipato in parte
quanto successo recentemente a
P o m p e i .
In qualche caso il lavoro
giornalistico arriva pri-
ma dell’inchiesta giudi-
z i a r i a ?
Dovrebbe essere una regola.
Spesso si costruiscono inchieste
basandosi solo sugli atti giudi-
ziari, ma è un modo parziale di
raccontare. Un’altra parte del
lavoro deve farla il giornalista.
Fare inchiesta non significa leg-
gere un’ordinanza e su quella
raccontare una vicenda. Quello
è il lavoro del magistrato.
Quanto ti ha agevolato
lavorare per una grande
testata come R a i T r e?
Mi ha aiutato, non dico di no. Ma
ciò che conta, più che avere una
redazione alle spalle, è il nome
che ti fai sul campo. Tra il 2000 e
il 2001, a Scampia, ogni mattina
si faceva il bollettino dei morti
dei Secessionisti o del clan Di
Lauro. In quel periodo lavoravo
a B a l l a r ò. Ho pensato: «Perché
non proviamo a raccontarlo?».
Mi sono ritrovato a Scampia da
solo: non c’era R a i T r e, né la poli-
zia. A quel punto, ciò che conta è
semplicemente raccontare.
Hai mai subìto pressio-
n i ?
Sì, ma se racconti la verità, ti puoi
sempre difendere. Mi è capitato
l’anno scorso su un tema sensibi-
le come quello dell’acqua. L’in-
chiesta si chiamava Acqua ruba -
t a. Avevo scelto di indagare sulle
acque minerali. Sono stato
costretto a scontrarmi con alcuni
dei maggiori investitori pubblici-
tari della R a i. Avrebbero potuto
bloccare il mio lavoro in qualsia-
si momento. Ma se un lavoro è
perfetto, inappuntabile, ben
documentato, nessuno ti potrà
attaccare. A quel punto le pres-
sioni possono anche rimbalzare.
MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 9
Lavorare in Rai aiuta ancora. Peròconta decisamente di più il nomee la fama che ti sei fatto sul campodella redazione che hai alle spalle Per sap e rne di più
w w w. p re s a d i re t t a . ra i . i t
Per Presa Diretta Domenico
I a n n a c o n e , si è occupat o
di prevenzione antisismica,
realizzando la videoinchiesta
“Il Progetto”,con cui ha vinto
il Premio Ilaria Alpi 2010.
libertà di stampa
MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 201010
I C O R A G G I O ne ha da
vendere. Tanto che è
stata premiata. T s e-
ring Woeser è una
blogger e scrittrice di origini
tibetane. Insieme ad altre due
giornaliste ha ricevuto un pre-
mio internazionale per il corag-
gio, il “Courage Awards”, creato
dalla International Women’s
Media Foundation”.
Woeser scrive libri ma, nel
suo Paese, la Cina, sono stati
banditi. Ha aperto molti blog:
chiusi anche quelli. Dal gover-
no. Non può nemmeno lasciar
la Cina: le autorità si rifiutano di
consegnarle il passaporto.
Eppure, nonostante questo,
Tsering continua a essere la
penna più libera, critica e spre-
giudicata del Tibet.
Per il suo amore di verità e
per l’informazione libera è stata
imprigionata ed interrogata e
adesso è costantemente sotto
controllo da parte del governo
cinese. Recentissime le ultime
intimidazioni. La voce libera del
Tibet è stata minacciata a Lha-
sa. E rischia di essere tradotta in
prigione. La notizia è comparsa
sul suo blog, Invisible Tibet.
Questa la dinamica dei fat-
ti. La Woeser si era recata in
visita dalla madre a Lhasa, capi-
tale del Tibet e sua città di nasci-
ta. Qui ha ricevuto la telefonata
di un funzionario della pubbli-
ca sicurezza che le ha intimato
di recarsi all’ufficio di polizia.
Secondo i colleghi di Radio Free
Asia, un portale di libera infor-
mazione con sede negli Stati
Uniti, che ha sempre protetto la
Woeser, la giornalista si sareb-
be rifiutata: «Non ho motivo
per venire con voi», «non ho
fatto nulla». A partire da quel
momento, però, la scrittrice è
stata seguita a vista da un’auto
che staziona davanti alla sua
casa natale e non ha possibilità
di lasciare in alcun modo la
Cina.
Rischia di essere espulsa
dalla regione. Ma non è escluso
che, con gli ultimi accadimenti,
possa ritornare ancora una vol-
ta in carcere. «Sono molto pre-
occupata per questa situazione -
ha rivelato a Radio Free Asia -.
Probabilmente si tratta di una
reazione del governo cinese al
mio riconoscimento internazio-
nale e alla vittoria di Liu Xiaobo,
Premio Nobel per la pace».
Tsering, scrittrice, poetes-
s ae blogger, con la sua penna ha
raccontato al mondo le atrocità
perpetrate dal governo cinese
nei confronti della minoranza
tibetana. Per questo motivo
Pechino non l’ha mai perdona-
ta. Sbattere in prima pagina il
tema della violazione sistemati-
ca dei diritti umani in Cina non
è consentito.
D
Media col bavagl i o,il silenzio dei Balcani
T i b e t ,la bloggerW o e s e rsotto tiro
R E S S I O N I D I E D I T O R I e
inserzionisti, minac-
ce e ricatti da parte
di politici e potenti
locali, pestaggi che
rimangono senza
colpevoli. La mancanza di tute-
le per i giornalisti intralcia la
marcia di avvicinamento dei
paesi balcanici verso l’Unione
Europea. Ogni autunno da
Bruxelles arrivano le pagelle
per gli Stati che bussano alle
porte dell’Unione, e i voti sulla
libertà di stampa sono insuffi-
cienti per Croazia, Serbia,
Bosnia-Erzegovina, Macedonia,
Kosovo e Montenegro.
Tutti questi Paesi sono
classificati come “semi-liberi”
dalla Ong Freedom House, la
stessa valutazione espressa è
identica per tre dei 27 Stati
membri (Italia, Romania e
Bulgaria). Ma se questi ultimi
non rischiano sanzioni, le paro-
le del commissario Ue
all'Allargamento, Stefan Füle,
(«le porte dell’Europa sono
aperte solo ai Paesi che rispetta-
no tutti i parametri richiesti»),
suonano come una bocciatura
verso gli Stati che ambiscono a
diventarne parte. Difficile dire
chi se la passi peggio tra i gior-
nalisti della ex-Jugoslavia.
Luka Zanoni segue le alterne
fortune dei cronisti slavi per
l’Osservatorio Balcani e
Caucaso: «Da ognuno di questi
Stati arrivano notizie allarmanti
– spiega –. In Bosnia ogni orga-
no di stampa risponde ad un
partito e gli articoli di politica si
occupano principalmente di
denigrare gli avversari dell’edi-
tore. In Montenegro e Serbia i
cronisti che cercano di mettere
il naso negli affari dei potenti
vengono minacciati e, a volte,
aggrediti: è accaduto a un gior-
nalista del quotidiano V i j e s t i
che è stato pestato dal sindaco
di Podgorica in persona».
In Kosovo, infine, chi criti-
ca il governo è additato come
traditore. Pochi mesi fa fuori
dalla casa del fondatore del
canale indipendente K o h a
Vision Tv, Veton Surroi,
sono apparse scritte che lo
accusavano di essere un agente
della U d b a, la polizia segreta
serba: Koha Vision aveva appe-
na trasmesso un’inchiesta sui
numerosi casi di corruzione che
hanno coinvolto il governo
kosovaro. «Una recente ricerca
condotta dall’Università di
Sarajevo ha messo in luce come
tutti gli organi d’informazione
vengano utilizzati come un
megafono da parte dei politici e
degli imprenditori che li dirigo-
no – continua Zanoni -. Invece,
chi vuole esercitare questa pro-
fessione con una certa indipen-
denza è costretto a rischiare in
prima persona. È ottimistico
definire “semi-libero” un siste-
ma mediatico che funziona in
questi termini».
In Montenegroe Serbia i cronistiche cercanodi mettere il naso negli affari deipotenti vegonominacciati eaggrediti, mentrein Kosovo chi osacriticare il governopassa per traditore
di Valeria Castellano
di Andrea Legni
p
Per sap e rne di più
w w w. i s f re e d o m . o rg
N C O N D O M I N I O dove ogni appar-
tamento è situato in una diversa
parte del mondo. Finestre virtua-
li in cui si passa dall’intimità di
una famiglia di Johannesburg a
quella di una di San Paolo o di Istanbul. E poi
ancora Praga, Chicago, Beirut, Amsterdam,
Tainan, Toronto, Havana, Bangalore, Phnom
Penh, Montreal. L’idea è quella di una regista
canadese, Katerina Cizek, e il risultato è O u t
my window, uno tra i primi documentari a 360°
multimediali e interattivi mai realizzati.
Lo scopo è raccontare attraverso i media la
vita delle persone che abitano nei palazzi, negli
edifici più diffusi dell’ultimo secolo, isole verti-
cali che dominano il paesaggio urbano. Dal-
l’esterno sono tutti uguali, ma dentro le persone
si costituiscno in comunità per nulla virtuali.
«Quando avevo cinque anni, vivevamo
proprio al confine della Boulevard Peripherique
con il turbine del traffico della metropolitana
semisotterranea - ha raccontato la regista al
Vancouver Sun-. Eravamo i primi e gli unici
residenti del nuovo complesso a dodici piani, ad
eccezione della coppia con il gatto del secondo
piano. Mi vengono ancora i brividi quando
ricordo il vento che soffiava attraverso il condot-
to dell’ascensore. Le periferie urbane sono posti
traboccanti di umanità, ma sono spesso invisi-
bili all’occhio di chi passa velocemente e alle per-
sone con una mentalità chiusa».
Novanta minuti di documentario fruibili
sul web per un insieme di 49 storie in 13 diver-
se città del mondo, tradotte in 33 lingue. Basta
un click su una finestra per entrare in una del-
le abitazioni ed esplorarla a 360° grazie a una
nuova tecnologia video prodotta da Y e l l o w -
b i r d, un sistema a sei lenti simile a quello uti-
lizzato daGoogle Streetviewche registra ver-
so tutte le possibili direzioni di visualizzazio-
ne. Inoltre un sistema di microfoni consente
di registrare i suoni con una qualità altissima.
La sensazione è quella di essere presenti in
un determinato luogo o di partecipare a un
evento. Click and drug in all directions i n s o m-
ma: nel documentario la telecamera si muove
soggettivamente alla scoperta di persone,ogget-
ti e ambienti che custodiscono racconti. Si può
poi cliccare sulle immagini per sentire rumori,
musica, ascoltare interviste, scorrere fotografie.
Ogni storia familiare è anche uno sguardo
al di fuori della finestra sul mondo globalizzato,
sulle problematiche sociali, come l’immigrazio-
ne, la povertà, l’ambiente.
Al documentario, sponsorizzato dal N a t i o -
nal Film Board of Canada, hanno lavorato
oltre 100 persone tra giornalisti, fotografi, archi-
tetti, sociologi, attivisti, ricercatori ed esperti
digitali divisi nelle varie città. Il coordinamento
dei lavori avveniva tramite e-mail, Skype e Face-
book: in qualsiasi città si trovassero, i documen-
taristi potevano così tenersi in contatto con la
regista, ospite quest’anno dell’I d f a di Amster-
dam dove è stata realizzata un’installazione del
documentario.
Out of my window, la cui intuizione è sca-
turita da Thousandth tower, un progetto prece-
dente della C i z e k sulla periferia di Toronto, è
solo una parte di un progetto cross mediale più
ampio, H i g h r i s e, che vuole esplorare, con inno-
vazione prima di tutto, l’esperienza umana, dal
locale al globale, nei sobborghi di tutto il mondo.
a t t, R o b, K r i s, tre
ragazzi americani e
D a v e, irlandese, si
scambiano vignette su
un forum. Sangue, mutilazioni, malat-
tie, incidenti e morti sono i loro sogget-
ti. Le storie e i personaggi di C y a n i d e
And Happinessnascono così. Cyanide
And Happiness si definisce “webdaily
comic”: una striscia quotidiana di
humor nerissimo a base di gag, splatter
e cinismo. Da gennaio 2005 sono ospi-
tati su w w w . e x p l o s m . i t. Fenomeno da
10 milioni di clic al giorno, 360 mila solo
in Italia, la pagina su Facebook di C y a -
nide And Happiness, a oggi, ha più di
320.000 fan. Ma si può seguire anche
sul canale Youtube e su Twitter. Ice Cre -
am And Happiness, in vendita su Ama-
zon, è il loro secondo libro, con le
vignette migliori. Sul sito, un’acida
vignetta quotidiana dà il buongiorno
agli utenti. Su www.explosm.it c ’ è
anche una produzione video (tutti
disponibili su Youtube) non meno dis-
sacrante e un forum frequentatissimo.
Ancora, uno spazio dove postare le pro-
prie vignette e una sezione store: in ven-
dita pupazzetti, poster e t-shirt. Da poco
è stato introdotto anche un sistema più
veloce di consegna degli acquisti per i
fan stranieri. Non manca, ovviamente,
un’applicazione per iPhone. Non c’è un
solo strumento 2.0 non sfruttato: e non
potrebbe essere altrimenti, per un feno-
meno che ha fatto saltare il banco grazie
al passaparola su internet.
Out my window, film a tutto tondo
Dentro i grattacieli dei sobborghi del mondoc’è un universo di storie da scoprire. Una registacanadese li racconta in un documentario a 360°
multimedia
Un risvegl i oal cianu ro
MAGZINE 8 | 15 novembre - 30 novembre 2010 11
di Carlotta Garancini
di A m b ra Notari
Per sap e rne di più
www.highrise.nfb.ca
m
U
A R T I N A BA C I G A L U P O
è una giovane foto-
grafa genovese. Lo
scorso settembre
ha ricevuto il
Canon Female Photojournalist
A w a r d al Festival di fotogiornali-
smo di Perpignan per il suo lavo-
ro su Francine, donna del
Burundi mutilata dal cognato
dopo la morte del marito.
Come ha conosciuto
Francine?
Vivevo in Burundi da un anno,
me ne aveva parlato un’amica
che lavora in una Ong sudafrica-
n a . Così sono andata a conoscerla
e, alla fine, le ho chiesto se aveva
voglia di raccontare la sua storia.
Perché ha scelto proprio
lei per il servizio fotogra-
f i c o ?
Quando l’ho conosciuta ho pen-
sato che la sua storia fosse simbo-
lica, che potesse raccontare quel-
la di tutte le donne che quotidia-
namente sono vittime di violenze
inenarrabili e vivono in una pro-
fonda solitudine.
In molti scatti si avverte
l’affetto materno di
Francine per la figlia
Bella. Come è riuscita a
non essere troppo inva-
d e n t e ?
Se c’è un rapporto non si è mai
invadenti: l’altro non è tollerato,
ma accolto. Con Bella giocavamo
spesso e lei si divertiva, mentre
con Francine ci siamo abituate
l’una all’altra. Ora, quando pren-
do la macchina fotografica,
Francine non ci fa più caso.
Qual è la fotografia che
illustra più compiuta-
mente l’amore che lega
Francine a Bella?
Quella in cui Bella si aggrappa al
collo della madre. È un gesto di
affetto naturale, quasi non si vede
che Francine non ha le braccia.
Sembra che lei stia sorreggendo
sua figlia, ma solo in un secondo
momento si capisce che non è
cosi. L’handicap diventa secon-
dario, e questo è un punto impor-
tante del lavoro: mostrare la vio-
lenza ma al tempo stesso la “nor-
malità”.
Qual è il segreto dietro
alla naturalezza e alla
spontaneità dei suoi
s c a t t i ?
Bisogna trovare la giusta distanza
dal soggetto, per rispettarne l’in-
timità e non interferire nello svol-
gersi dei fatti. È uno spazio dato
dal tempo: più tempo si trascorre
con il soggetto, più si sviluppa
quella naturalezza. Lo scatto non
è altro che una piccola frazione di
questo tempo trascorso insieme.
Come stanno adesso
Francine e Bella?
Bella vive ancora nel Sud del
Paese, dove sta studiando.
Francine, da quando è tornata
dall’Italia con le protesi, sta svi-
luppando una piccola attività
commerciale a Bujumbura, la
capitale del Burundi. Sono molto
curiosa di vedere cosa farà.
Due donne del Burundi profondamente segnate dal dolore della violenza, sono protagoniste degli scattidi Martina Bacigalupo. La fotografa spiega perc h éha deciso di ra c c o n t a re la loro storia di spera n z a
Periodico realizzatodal Master in Giornalismodell’Università Cattolica - Almed© 2009 - Università Cattolicadel Sacro Cuore
d i r e t t o r eMatteo Scanni
c o o r d i n a t o r iLaura Silvia Battaglia, Ornella Sinigaglia
r e d a z i o n eFabrizio Aurilia, GiudittaAvellina, Chiara Avesani,Lorenzo Bagnoli, ValerioBassan, Matteo Battistella,Marco Billeci, Valeria CastellanoSalvo Catalano, Daina Chiara,Giulia Dedionigi, GiuliaDestefanis, Michele D’Onofrio,Fabio Forlano, Giacomo Galanti,Carlotta Garancini, GiulianaGrimaldi, Cosimo Lanzo,Andrea Legni, Cristina Lonigro,Paolo Massa, AlessandroMassini Innocenti, AntonioNasso, Ambra Notari, TancrediPalmeri, Simona Peverelli, RosaRicchiuti, Denis Rizzoli,Gregorio Romeo, GabrieleRusso, Stefania Saltalamacchia,Giacomo Segantini, BiancaSenatore, Luigi Serenelli,Francesca Sironi, Matteo Sivori,Alessandro Socini, EnricoTurcato, Gianluca Veneziania m m i n i s t r a z i o n eUniversità Cattolica del Sacro Cuorelargo Gemelli, 120123 - Milanotel. 0272342802fax 0272342881m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m
progetto graficoMatteo Scanni
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Autorizzazione del Tribunale
di Milano n. 81 del 20 febbraio
2 0 0 9
fotogiornalismo
di Paolo Massa
MAGZINE 9 | 15 novembre - 30 novembre 201012
M
Francine e Bella
Per sap e rne di più
Photo Mart i n a
Bacigalupo /VU.
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