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DOTTORATO DI RICERCA IN FISIOPATOLOGIA CHIRURGICA ED EPATO-GASTROENTEROLOGICA
SPERIMENTALE E CLINICA
XXVI CICLO
Coordinatore Ch.mo Prof Eugenio GAUDIO
“Valutazione della stiffness epato-splenica mediante
Acoustic Radiation Force Impulse (ARFI) nella
stadiazione delle epatopatie croniche”
Tutor Dottoranda
Prof Adriano DE SANTIS D.ssa Chiara BASSANELLI
___________________________ ___________________________
___________________________________________________________
Anno accademico 2013-2014
1
INDICE
1. Background: Sistemi di valutazione della fibrosi epatica……………………...…..» 5
1.1 Invasivi: Biopsia Epatica …………………...………………............….…..» 6
1.1.1 Scores Istologici…………………………..……….………...………» 12
1.2 Metodi Non invasivi…………….……………………………………..............» 24
1.3 Markers sierologici diretti ed indiretti…………………………………............» 26
1.4 Ecografia Epatica………………………………………………....….………..» 34
2. Elastografia epatica: basi teoriche…………………………………………………» 37
2.1 Strain Elastography (o elastografia qualitativa)………………….……………..» 38
2.2 Shear Wave Elastography(o elastografia quantitativa)………………….……….» 40
3. Fibroscan (Elastografia Transiente Unidimensionale)…………….........................» 42
3.1 Limiti della metodica………………………………..…………………………...» 46
3.2 Fibroscan nei diversi settings clinici: cutt-off …………………………...........…» 49
4. Acoustic Radiation Force Impulse (ARFI)…………………………………………» 56
4.1 Valori di riferimento sani e nei pazienti affetti da malattia epatica cronica...........» 58
5. Valore prognostico dell’elastometrica epatica: Complicanze della cirrosi ed
Ipertensione Portale.
5.1 Fibroscan…………………………………………………………………...........» 61
5.2 ARFI…………………………………………………………………….………..» 63
6. Scopo dello Studio…………………………………………..…………....….….» 65
7. Materiali e Metodi……………………………………………………….…,…...» 65
8. Risultati………………………………………………………..….…………,…...» 67
9. Discussione ……………………………………………………..………….........» 89
10. Bibliografia…………………………………………………..……..…….......…» 97
2
3
1. SISTEMI DI VALUTAZIONE DELLA FIBROSI EPATICA
Nei pazienti affetti da epatopatia cronica la stadiazione della malattia è un
elemento cruciale nel guidare gli atteggiamenti terapeutici e di monitoraggio
clinico. Per lungo tempo il dato istologico, e quindi l’esecuzione della biopsia
epatica, è stato ritenuto un elemento imprescindibile per un corretto
inquadramento dell’evoluzione della malattia epatica cronica. Tuttavia negli
anni sono stati messi in luce diversi limiti dell’esame bioptico, di cui il più
importante è sicuramente costituito dalla possibilità di un errore di
campionamento e, quindi, di una sovra o sottostima della fibrosi epatica.
Le principali alternative alla biopsia epatica sviluppate negli ultimi anni sono
basate su due concetti molto differenti: markers serici, costruiti a partire da
esami ematochimici che rispecchiano direttamente (es. componenti della matrice
extracellulare) o indirettamente (PLT, INR, etc) la presenza di fibrosi epatica, e
la misurazione della “rigidità” (stiffness) epatic
4
1.1 Metodi Invasivi: la Biopsia Epatica
La biopsia percutanea, con o senza assistenza e/o guida ecografica, è la tecnica più
utilizzata per il campionamento di lesioni epatiche diffuse e focali e per il grading
e lo staging delle epatiti virali croniche. Soltanto in circostanze particolari (legate
alla sede della lesione o alla difficile visualizzazione ecografica della stessa) è
necessario ricorrere alla guida TC. Il Grading viene utilizzato per descrivere
l’intensità dell’attività necroinfiammatoria. Lo Staging, d’altro canto, è una misura
della fibrosi e delle alterazioni architetturali del parenchima epatico. La finalità di
usare staging e grading è quella di registrare quelle caratteristiche istologiche che
si pensa siano correlate alla severità e alla progressione delle epatopatie croniche.
L’uso della agobiopsia a cielo aperto o in laparoscopia è oggi ristretto al
campionamento di lesioni focali occasionalmente identificate in corso di intervento
chirurgico.
Preliminari all'esecuzione della biopsia sono il consenso informato del paziente ed
il controllo del suo stato emocoagulativo attraverso il dosaggio di PT , PTT e una
conta delle piastrine.
Sono considerati permissivi per l'esecuzione della biopsia valori di PT >50%,
piastrine >50.000/mm3, PTT non superiore al 10% del limite massimo normale e
valori di fibrinogeno superiori ai 100 mg%. È necessario sospendere eventuali
trattamenti anticoagulanti o antiaggreganti con un anticipo sufficiente a ripristinare
i normali parametri emocoagulativi. Controindicazione all'esecuzione della biopsia
percutanea è la presenza di versamento ascitico in sede periepatica.
5
Figura 1 Esecuzione in sequenza (1-9) di una biopsia epatica percutanea eco-guidata.
Attualmente sono in uso due tipi di aghi per effettuare la biopsia percutanea:
tranciante (tipo Tru-cut) o a suzione (tipo Menghini). Gli aghi trancianti producono
in generale biopsie non frammentate ma il loro uso è stato associato ad un più alto
rischio di complicanze. Con la tecnica di suzione, invece, è tradizionalmente
segnalato un rischio maggiore di frammentazione del campione, anche se la pratica
clinica attuale sembra suggerire che questo rischio sia molto basso con l’utilizzo di
aghi tipo Menghini di più recente concezione. La grandezza del campione bioptico
dipende da calibro e lunghezza dell’ago. Il campionamento con ago sottile (<21G)
è unanimemente consigliato nella diagnostica “tumorale” mentre il suo uso nelle
patologie diffuse è ancora controverso (1).La biopsia epatica comporta un rischio,
6
4
1 2
34
5
6
78
sre minimo, di complicanze che è stato correlato alle condizioni cliniche del
paziente, all’esperienza dell’operatore, al tipo di ago e al numero dei passaggi.
Le complicanze possibili connesse a una biopsia epatica sono dovute a
manifestazioni emorragiche (emoperitoneo, emotorace, ematoma intraepatico), a
puntura di organi differenti dal parenchima epatico (peritonite biliare,
pneumotorace, pleurite) o a intenso dolore riferito dal paziente. Lo sviluppo di
complicanze emorragiche è ovviamente più frequente nei pazienti cirrotici
soprattutto in correlazione allo stato coagulativo correlandosi in maniera inversa
con il numero di piastrine e con l’aumentare del Tempo di Quick. E’ altresì
intuitivo che la frequenza di complicanze è maggiore quando l’esame è condotto
da operatori non esperti e quando è necessario eseguire più prelievi bioptici mentre
la guida ecografica limita fortemente le possibilità di causare una peritonite biliare
e di pungere organi diversi dal fegato. La mortalità comunque in differenti
casistiche non supera lo 0,01% (2-6).
Le complicanze si definiscono maggiori quando diviene necessario ricoverare il
paziente o prolungarne il ricovero già in atto. Le casistiche a disposizione sono
numerose e tutte costituite da popolazioni piuttosto estese. A partire da un
pioneristico articolo del 1954 di Terry si descriveva un’incidenza di complicanze
dello 0,32% con mortalità parti allo 0,17% dovute soprattutto a emorragie o allo
svilupparsi di una peritonite biliare su circa 7500 biopsie (7). Nel 1997 uno studio
multicentrico francese ha riportato uno sviluppo di complicanze severe in assenza
di decessi nello 0,58% dei casi descrivendo aumento della frequenza quando la
biopsia viene e eguita da operatori inesperti o quando si rendono necessari più
tentativi di prelievo e con diminuzione della frequenza sotto guida ecografica e con
operatore esperto. Uno studio americano condotto da Firpi e collaboratori ha
riportato un’incidenza di complicanze pari allo 0,9% su circa 3800 biopsie (8). Un
ulteriore studio sviluppato in due unità di epatologia a Taiwan nel 2005 ha
7
descritto un’incidenza di emorragie pari allo 0,32% su un totale di circa 3900
pazienti.
Oltre alle possibili complicanze connesse alla natura invasiva della manovra, negli
ultimi anni si è posto l’accento sulla correttezza di stadiare un’epatopatia diffusa
tramite lo studio di una porzione assai piccola di parenchima come quella prelevata
in corso di biopsia epatica. Un modello ideale di studio, finalizzato alla
valutazione della rappresentatività di un campione agobioptico in una patologia di
tipo diffuso, dovrebbe prevedere la possibilità di confrontare le lesioni istologiche
rilevate nel campione con quelle dell’intero organo. Per ovvie ragioni, un tale
modello non è costruibile in vivo. L’accuratezza diagnostica della agobiopsia
epatica è stata oggetto di indagini cliniche già negli anni ’50, nelle fasi iniziali di
adozione del test.
Indipendentemente dalla specifica finalità dell’indagine istologica, è stato
tradizionalmente definito “adeguato” un campione agobioptico di fegato della
lunghezza di cm. 1,5 e/o contenente un numero minimo di 4-6 spazi portali (9).
Questo standard di adeguatezza è stato introdotto in epoca antecedente
l’utilizzazione dei sistemi di score per il grading e lo staging delle epatiti croniche.
Per comprendere il rischio di un campionamento inadeguato basti pensare che
un’agobiopsia epatica rimuove 1/50000 del totale dell’organo e quindi
potenzialmente l’errore nel campionamento è piuttosto probabile.
Sono qui di seguito analizzati gli studi che hanno espressamente avuto come
finalità quella di valutare l’accuratezza diagnostica in relazione alle dimensioni del
campione bioptico.
Lo studio pionieristico del 1980 di Holund e collaboratori ha dimostrato che la
diagnosi di epatite acuta può essere accuratamente formulata anche in frammenti
bioptici di lunghezza pari a cm. 0,5 (10), mentre la accuratezza nella diagnosi di
cirrosi si incrementa con l’aumentare della lunghezza del campione bioptico. In
questo studio, nel quale 100 agobiopsie venivano rivalutate in sessioni differenti in
8
cui la lunghezza era modificata mascherando parte del campione, il gold standard
era rappresentato dal campione intero, la cui lunghezza minima era pari a 2,5 cm.
Lo stesso gruppo di autori ha successivamente valutato, con metodologia analoga
alla precedente, l’accuratezza nella diagnosi di epatite cronica attiva (basata,
secondo i criteri tradizionali, sul rilievo di piecemeal necrosis). Questo studio ha
dimostrato che l’accuratezza della diagnosi di ECA aumenta con l’aumentare della
lunghezza del campione: 1,5 cm rappresenta la minima lunghezza adeguata per la
diagnosi di ECA. È importante sottolineare che nello stesso studio la stessa
lunghezza non risultava idonea per la diagnosi di cirrosi. Lo studio di Vargas-
Tanked (11) e il successivo di Colombo (12), hanno riportato che campioni
ottenuti con ago tranciante consentono maggiore accuratezza nella diagnosi di
cirrosi rispetto a campioni ottenuti con ago tipo Menghini. Tuttavia il diametro
degli aghi trancianti utilizzati nello studio di Colombo era differente da quello
degli aghi di Meneghini.
Per ciò che concerne più specificamente i rapporti tra grading, staging e campione
bioptico, è stato recentemente suggerito che un campione ottenuto con ago sottile è
adeguato ai fini del grading e staging della epatite cronica C. Questo studio
presenta limiti metodologici che non ne rendono pienamente condivisibili le
conclusioni. In particolare, i due tipi di campione agobioptico valutati non sono
stati testati verso un comune gold standard e sono stati ottenuti in soggetti diversi.
Poiché lo studio è retrospettivo, la scelta del tipo di ago da utilizzare è stata
verosimilmente condizionata dal contesto clinico. In uno studio più recente di
Brunetti e collaboratori, eseguito con adeguata metodologia, si dimostra che
l’utilizzo di ago sottile nella epatite cronica C comporta una costante sottostima del
grado e dello stadio della malattia
Nello studio di Colloredo e collaboratori una serie consecutiva di 160 biopsie (tutte
di lunghezza superiore a cm 3 e di diametro pari a cm 1.4) ottenute da soggetti con
epatite cronica B o C, è stata rivalutata per il grading e lo staging in sessioni
9
multiple nelle quali le dimensioni del campione venivano ridotte sia in lunghezza
che in spessore. Il gold standard era rappresentato dell’intero campione bioptico.
Lo studio ha dimostrato che campioni più corti e più sottili contengono un numero
di spazi portali “completi” significativamente inferiore a quello rilevato nell’intero
campione. Lo studio identifica in 11 il numero di spazi portali completi al di sotto
del quale la entità del danno epatico è significativamente sottostimata, sia in
termini di grado che di stadio. Tale numero minimo è contenuto nel 94% dei
campioni di lunghezza pari a cm 2 (12).
Uno studio recente, che sostanzialmente confermato i risultati dello studio di
Colloredo e collaboratori, ha valutato lo stadio della fibrosi nell’epatite cronica C,
attraverso l’analisi di immagine, in un gran numero di biopsie “virtuali” di
differente grandezza. In questo studio, è dimostrato che nel 65% delle biopsie di
lunghezza pari a cm 1,5 lo stadio è in accordo con quello ottenuto sul campione
chirurgico che costituisce il gold standard. L’accuratezza raggiunge il 75% in
campioni di cm 2,5 e questa dimensione viene suggerita come la minima
indispensabile per una più accurata stadiazione dell’epatite C. È importante
segnalare che, al contrario dello studio di Colloredo precedentemente citato nel
quale lo spessore dei campioni è di 1,4 mm, lo studio francese utilizza campioni
virtuali analoghi a quelli ottenibili con un ago da 18G e quindi di diametro di 1,2
mm circa. È verosimile che questa differenza renda ragione della differente
lunghezza “minima” considerata adeguata dai due studi (13-14). La revisione
critica dei dati di letteratura dimostra che, in corso di patologia epatica diffusa, le
lesioni morfologiche osservate in campioni agobioptici sono “qualitativamente”
rappresentative del processo patologico dell’intero organo. In termini pratici, ciò
significa che l’agobiopsia epatica rappresenta un accertamento diagnostico
affidabile per la diagnosi di lesioni epatiche diffuse in generale e di epatite cronica
in particolare, anche con campioni della lunghezza di 0.5 cm. Per ciò che concerne
la valutazione “quantitativa” delle lesioni necro-infiammatorie e della fibrosi, tanto
10
gli studi di vecchia data, così come i più recenti, confermano il principio generale
bigger is better, principio che deve ovviamente essere limitato dall’assai più
importante principio di non nuocere in alcun modo al paziente (15-16). L’analisi
della letteratura dimostra che molti studi (in particolare quelli eseguiti in epoca
precedente all’introduzione dei sistemi di score semiquantitativi) contengono
problemi metodologici tali da sollevare perplessità sui risultati. In particolare la
nozione di adeguatezza riferita a campioni della lunghezza di cm 1.5 e/o contenenti
4-6 spazi portali non può essere applicata al grading e staging delle epatiti
croniche virali. Tutti gli studi che hanno utilizzato questi standard dimostrano
risultati inconsistenti e quelli che hanno confrontato campioni di lunghezza
differente, dimostrano che la minore lunghezza si associa ad una sottostima del
danno.
1.1.1 Scores Istologici
Nella seconda metà del novecento l’uso della biopsia epatica è cresciuto per
svariati motivi: conferma di una diagnosi clinica, valutazione della severità della
necroinfiammazione e della fibrosi, valutazione di eventuali processi patologici
concomitanti e della necessità di interventi terapeutici.
Un sistema di grading e staging accettabile dovrebbe avere alcune caratteristiche:
in prima istanza dovrebbe tener conto di elementi rilevanti, produrre cioè
informazioni utili, essere facile da usare e essere riproducibile nel limite del
possibile. Ciò spesso richiede un compromesso tra accuratezza dell’esame e
riproducibilità. Inoltre l’utilizzo di una numerazione correlabile ai vari gradi di
severità dei parametri osservati ne permette una valutazione semiquantitati.
11
La prima classificazione istologica, proposta da Gentilini, fu pubblicata nel 1968 e
codificò la terminologia di epatite cronica persistente e cronica aggressiva (17).
Entrambe le condizioni prevedono la presenza di infiammazione portale ma si
distinguono per la severità della necrosi da interfaccia, dell’infiammazione e per
l’importanza del rimodellamento architetturale. L’indice di attività infiammatoria
era valutato come moderato o severo ma non erano forniti criteri più specifici. Il
sistema di classificazione aveva inoltre in sé un valore prognostico: infatti si
riteneva che l’epatite cronica persistente avesse per lo più un decorso benigno e la
cronica aggressiva potesse evolvere più facilmente in cirrosi.
Negli ultimi anni l’aumento delle conoscenze sulle epatiti virali e non virali ha
portato gli anatomopatologi a mettere in discussione la nomenclatura
convenzionale di epatite cronica persistente e di epatite cronica aggressiva (o
attiva).
Questa rivoluzione di pensiero nacque dall’osservazione di una sostanziale
discordanza tra istologia e progressione della malattia: un aspetto morfologico di
lieve attività di malattia si associava perciò a un’epatopatia che invece progrediva
12
in maniera significativa. Questo problema si pose soprattutto con lo studio
dell’epatite C che molto spesso non permetteva una classificazione in una delle
due categorie previste. Inoltre l’assenza di importante necrosi da interfaccia e la
presenza invece di importante necrosi lobulare conduceva spesso gli
anatomopatologi a fare diagnosi di epatite cronica persistente suggerendone quindi
un decorso benigno. Ciò condusse a dare importanza non solo al quadro
morfologico osservato ma anche all’eziologia di malattia, per la crescenti
osservazioni che suggerivano un’importanza aggiuntiva di quest’ultima, oltre a
quella della stadiazione istologica, nel predire il decorso dell’epatopatia. Scheuer, a
cui si deve una successiva classificazione istologica della cirrosi biliare primitiva,
suggerì che a fronte di tutte queste osservazioni non era più reputabile etico fornire
diagnosi di epatite persistente o attiva caricandola di significato prognostico (18).
Nel 1981 Knodell e collaboratori proposero un sistema di valutazione riproducibile
e semiquantitativo: l’Indice di attività istologica (HAI – Histological Activity
Index) (19). Lo scopo di proporre un sistema di score come questo era duplice:
prima di tutto introdurre un approccio sistematico e universalizzato attraverso i
numeri in sostituzione della valutazione qualitativa allora esistente e poi di
permettere la valutazione di biopsie di pazienti affetti da Epatite Cronica
asintomatica. Nello studio di Knodell furono presi in considerazione 14 pazienti di
cui 10 affetti da epatite B e 4 da quella che ai tempi veniva definita epatite non A
non B. L’HAI include in sé una valutazione sia dell’attività necroinfiammatoria
che della fibrosi con punti differenti a seconda della severità osservata in ciascuna
categoria. Più estesamente la quattro categorie sono: necrosi periportale e a ponte,
degenerazione intralobulare e necrosi focale, infiammazione portale e quindi
fibrosi. La prima tra queste prevede sette livelli crescenti di severità mentre le
restanti tre solo quattro: ciò conferisce ovviamente un maggior peso alla necrosi
periportale e a ponte che in effetti è considerata il più importante elemento al fine
di valutare la velocità di progressione dell’epatopatia in cirrosi. Un altro
13
interessante elemento del sistema HAI è l’uso di scale numeriche discontinue in
tutte e quattro le categorie: per esempio nella prima i valori possono andare dallo 0
al 10 ma non sono previsti il 2, il 7 e il 9 (Tab. 1). Questo sembra essere, secondo
molti autori, un elemento che fornisce maggiore accuratezza al’indice di Knodell.
La principale critica che viene mossa nei confronti di questo sistema sta nel non
distinguere nel punteggio finale l’attività necroinfiamamtoria dalla fibrosi cioè
nell’unire scoring e grading. Di fatto nell’articolo originale gli autori invitano ad
usare i quattro parametri esaminati anche separatamente al fine di valutarne il
rispettivo peso sul punteggio finale (20).
Figura 2 CXlassificazione HAI (Knodell et al Hepatology 1981)
Scheuer propose nel 1991 un nuovo sistema di classificazione che, così come
quello di Knodell, pur essendo stato creato per le epatiti virali, venne in seguito
usato anche per le epatiti ad eziologia differente (Fig 2). Risulta essere meno
complesso rispetto a HAI e conferisce a
14
lla componente infiammatoria lobulare e portale un uguale peso al fine di valutare
la severità di malattia e unisce le lesioni portali e periportali in una sola categoria
(Fig 3) (21).
Figura 3 Classificazione di Scheuer (E.M. Brunt Hepatology Gennaio 2000)
Nel 1994 Ishak ripropose una versione del sistema di Knodell modificata (22). Le
tre differenze fondamentali sono: utilizzo di scale numeriche continue, divisione
del punteggio di fibrosi (scoring) e di attività necroinfiammatoria (grading) e, in
quest’ultimo, valutazione separata della presenza e della severità della necrosi
periportale e della necrosi a ponte. Da ciò ne è esitato un sistema di grading basato
sull’osservazione di quattro elementi: epatite da interfaccia (intesa come
infiammazione e necrosi che non superano la lamina limitante degli epatociti),
necrosi
15
confluente (a ponte), necrosi focale e infiammazione portale. Il punteggio massimo
previsto è pari a 18 (Fig 4).
Figura 4 Sistema di Grading secondo la classificazione di Ishak (E.M. Brunt Hepatology Gennaio 2000)
Lo score prevede invece un punteggio massimo pari a 6 e, oltre a tener conto del
tipo di fibrosi osservata (espansione tratti portali, setti e ponti fibrosi), fornisce
un’importanza centrale al numero delle aree portale interessate adeguandosi alla
non uniforme diffusione delle lesioni in tutto il parenchima (Fig 5).
16
Figura 5 Sistema di Scoring secondo la classificazione di Ishak (E.M. Brunt Hepatology Gennaio 2000)
Il maggior limite del sistema HAI modificato, detto anche sistema Ishak, sta nella
non facile riproducibilità dovuta sia all’utilizzo di un obiettivo x10 per valutare la
presenza di foci necroinfiammatori che alla variabilità tra vari patologi nel definire
un focus di linfociti aggregati, epatociti apoptotici o di necrosi confluente (22).
Se un sistema di conversione può essere difficilmente proposto tra i sistemi di
grading secondo Ishak e Knodell, a causa dell’approccio completamente differente,
invece i sistemi di staging possono essere facilmente paragonati poiché il sistema
Ishak è stato creato dagli stessi autori e a partire del sistema di Knodell. In
particolare Ishak pone maggiore attenzione nel classificare lo stadio di fibrosi
intermedia e cioè lo stadio di formazione di fibrosi a ponte, classificandola non
17
solo come porto-portale o porto-centrale ma anche in base all’estensione osservata.
Nella tabella che segue è riportato un tentativo di correlare i valori di staging
previsti dall’indice HAI e dell’indice di Ishak (Fig 6).
Knodell 1981 (punteggio massimo 4) Ishak 1994 (punteggio massimo 6)
0 - Fibrosi assente 0 - Fibrosi assente
1- Espansione portale fibrosa 1- Espansione fibrosa di alcuni
tratti portali con o senza
formazione di setti fibrosi
2- Espansione fibrosi della
maggior parte dei tratti protali con
o senza formazione di setti fibrosi
3- Fibrosi a ponte (porto portale o
porto centrale)
3- Espansione fibrosi della
maggior parte dei tratti portali con
riscontro occasionale di setti porto
portali
4- Espansione fibrosa della
maggior parte dei tratti portali con
risconto importante di fibrosi e
ponte (sia di tipo porto portale che
di tipo porto-centrale)
5- Fibrosi a ponte importante
(sia di tipo porto portale che di
tipo porto-centrale) e presenza di
18
noduli di rigenerazione
4- Cirrosi (definita come scomparsa
della normale architettura lobulare
con setti fibrosi che separano e
delimitano i noduli di rigenerazione)
6- Cirrosi certa o probabile
Figura 6 Correlazione tra Staging secondo Ishak e Knodell
Di fatto sia per il sistema Knodell che per il sistema Ishak studi successivi hanno
dimostrato che la riproducibilità è buona per quello che riguarda la valutazione
della fibrosi mentre risulta piuttosto scarsa per quello che riguarda la valutazione
dell’attività necroinfiammatoria.
Il sistema METAVIR, costruito da un gruppo di autorevoli anatomopatologi
francesi, mantiene la divisione tra staging e grading introdotta dal sistema Ishak,
ma la valutazione finale è espressa secondo un codice alfanumerico (23). La lettera
A riguarda l’attività necroinfiammatoria, mentre la lettera F indica la
classificazione istologica. La valutazione dello Staging prevede un punteggio
finale massimo di 3 che nasce dall’osservazione sia della necrosi da interfaccia che
della necrosi lobulare, fornendo maggiore importanza alla prima. La valutazione di
livelli di attività ingravescenti è classificata come assente, lieve, moderata e severa.
La classificazione della fibrosi, che invece prevede un punteggio massimo pari a 4,
descrive come stadi successivi la presenza di allargamento degli spazi portali, la
formazione di setti fibrosi e la loro estensione (Fig 7).
19
Figura 7 Sistema di Grading e Staging METAVIR (E.M. Brunt Hepatology Gennaio 2000)
L’esclusione dell’infiammazione portale dall’indice di attività necroinfiammatoria,
come specificato dagli autori stessi, è dovuta al fatto che la presenza di
quest’ultima è il prerequisito necessario per definire un’epatite cronica e inoltre
molto spesso la severità di quest’ultima è correlabile con quella della necrosi da
interfaccia. La scelta inoltre di utilizzare come criterio principale la necrosi da
interfaccia viene giustificata dal fatto che in numerosi studi è stato segnalato il
valore prognostico della sua presenza e della sua severità. Nell’epatite C, in cui
questo tipo di lesione tende ad essere mediamente meno severa rispetto all’epatite
B, si è invece riscontrata una presenza molto spesso importante della necrosi
lobulare conferendole, in questa epatopatia, un valore prognostico che in altri casi
non ha. La somma di questi due parametri sembra permettere la più corretta
classificazione delle epatiti virali (24).
Esiste uno studio pubblicato nel 2001 che paragona l’accuratezza della diagnosi
istologica tramite sistema di Knodell, Scheuer e Ishak nel predire la risposta alla
terapia antivirale in pazienti affetti da epatite C (25). In tale studio si evidenzia
una sostanziale differenza nel valore di severità medio di necrosi da interfaccia
rilevato, prescindendo dal sistema di classificazione utilizzato, tra coloro che
20
hanno risposto in maniera completa o solo parziale e coloro che non hanno risposto
affatto alla terapia. D’altro canto nell’utilizzo della biopsia come elemento
predittivo, il sistema Knodell appare meno adeguato poiché valuta unitamente la
necrosi da interfaccia e la presenza di necrosi a ponte. Infatti è stato dimostrato che
la presenza di necrosi a ponte ha di per sé un significato prognostico e risulta
pertanto inappropriato valutarla insiene alla necrosi da interfaccia (26-27).
Di seguito, in considerazione della differenza nella modalità di progressione della
fibrosi a seconda delle differenti cause eziologiche, si riportano i due sistemi
classificativi maggiormente utilizzati nella valutazione della steatoepatite non
alcolica (NASH) e della Cirrosi Biliare primitiva.
21
Ad oggi il più importante sistema di classificazione istologica per la Cirrosi Biliare
Primitiva è quello proposto da Rubin e collaboratori nel 1965 (28). Di fatto non si
tratta di un sistema semiquantitativo, ma è semplicemente una classificazione in
quattro stadi successivi secondo gravità di malattia. Come sottolineato da Scheuer,
il nome colangite non suppurativa destruente coniato da Rubin ha il pregio di
descrivere in maniera più accurata la lesione di base e ha inoltre il merito di evitare
il fuorviante utilizzo della parola cirrosi (29). Tale termine infatti è fuorviante in
quanto la cirrosi nodulare si sviluppa unicamente in una piccola porzione di
pazienti e esclusivamente negli stadi terminali di malattia. Quattro sono gli
elementi di cui la classificazione di Rubin tiene conto: livello di proliferazione
duttulare, attività infiammatoria, estensione delle cicatrici fibrose parenchimali e
formazione di cirrosi nodulare. Lo stadio 1 è lo stadio in cui sono presenti floride
lesioni dei dotti interlobulari intorno ai quali si riscontrano densi aggregati
linfocitari e di plasmacellule talvolta organizzati in centri germinativi veri e propri.
La colestasi è assente e in un paziente itterico questa evidenza permette di
escludere la diagnosi di Cirrosi Biliare Primitiva. L’aumento della bilirubina serica
infatti sembra essere attribuibile al rigurgito della bile attraverso i dotti danneggiati
piuttosto che a un aumento della pressione all’interno dell’albero biliare. Negli
spazi portali non vi è uno specifico infiltrato infiammatorio.
Lo stadio 2 è caratterizzato dalla proliferazione duttulare. Gli spazi portali sono a
questo punto interessati completamente e si osserva espansione fibrosa degli stessi.
I dotti biliari sono di diametro ridotto ed è presente un infiltrato infiammatorio
costituito sia da cellule mononucleate che da neutrofili oltre che da aggregati
linfoidi. Segni di colestasi cominciano ad essere presenti e le strutture lobulari
risultano intatte.
Lo stadio 3 vede la formazione dei primi setti fibrosi. L’infiammazione già
descritta nel precedente stadio aumenta lasciando cicatrici. Sono assenti veri e
propri noduli di rigenerazione e l’architettura lobulare è conservata. I dotti hanno
22
diametro sempre più esiguo e lo spazio che occupavano in precedenza è delimitato
ora da linfociti. L’obliterazione dell’albero biliare intraepatico conduce a un
aumento della colestasi, soprattutto in vicinanza delle strutture biliari occluse.
Lo stadio 4, quindi, è quello della cirrosi nodulare, assimilabile a quello descritto
per le epatopatie ad eziologia non biliare
E’ ovvio che nella patologie epatiche a eziologia biliare la valutazione dello stadio
istologico di malattia non si basa sul danno epatocitario né sull’infiammazione ma
piuttosto sull’estensione delle lesioni ai dotti biliari, sulla conseguente
proliferazione biliare e quindi sulla deposizione di tessuto fibroso associata alla
distruzione e alla perdita dei dotti biliari colpiti dalla malattia.
Gli elementi caratterizzanti la steatoepatite sono: la steatosi, l’infiammazione
soprattutto lobulare, la presenza di leucociti polimorfonucleati sparsi e la fibrosi
perisinusoidale nella zona 3 dell’acino epatico. Tali caratteristiche sono talmente
specifiche da giustificare l’utilizzo di un sistema di classificazione dedicato. Il
sistema ad oggi più accreditato è quello proposto da Brunt e collaboratori
pubblicato nel 1994 dall’American Journal of Hepatology e che prevede una
differenziata classificazione di staging e grading (30).
Per ciò che riguarda l’attività necroinfiammatoria, si distinguono tre livelli
successivi di gravità: lieve, moderata, severa. Nello stadio lieve l’infiammazione
intracinare è caratteristicamente rappresentata da scarsi e sparsi leucociti e più
raramente da linfociti. Nonostante la steatosi riguardi solitamente meno del 33%
degli epatociti in questo stadio, può accadere di avere steatosi in più del 66% degli
epatociti ma di avere comunque un infiltrato infiammatorio lieve.
Il secondo stadio si caratterizza per una steatosi che interessa più del 66% degli
epatociti. Il danno epatocitario si evidenzia soprattutto nella zona 3 dell’acino
epatico come rigonfiamento degli epatociti e come perdita dell’organizzazione
strutturale epatocitaria.. Sono presenti Microgranulomi e lipogranulomi.
23
L’infiammazione portale è lieve e può essere rintracciata una moderata necrosi da
interfaccia.
Il terzo stadio si caratterizza per steatosi panacinare, rigonfiamento e
disorganizzazione degli epatociti con infiammazione lobulare e portale.
Per ciò che riguarda la Fibrosi vengono riconosciuti quattro successivi livelli di
gravità a partire dalla fibrosi perisinusoidale, passando per l’estensione agli spazi
periportali fino alla formazione di ponti fibrosi e quindi alla rigenerazione nodulare
tipica della cirrosi.
1.2 Metodi non invasivi
Idealmente, un marker non invasivo di fibrosi epatica dovrebbe essere organo-
specifico, semplice, affidabile e non costoso. Inoltre dovrebbe essere accurato non
solo nella identificazione di fibrosi significativa ma anche nel monitoraggio della
progressione della malattia e nella valutazione dell’efficacia delle terapia messe in
atto.
La validità di ogni metodo è di solito studiata calcolando l’area sotto la curva ROC
(AUROC), utilizzando come paragone la metodica che costituisce il gold standard
che, nel caso della fibrosi epatica, risulta essere la biopsia. In questa impostazione,
l’area sotto la curva ROC rappresenta la probabilità che un nuovo metodo
classifichi correttamente due pazienti scelti casualmente, uno con una biopsia
epatica considerata normale ed un altro con un quadro istologico francamente
patologico. Quindi i valori di AUROC rappresentano l’intera gamma di valori di
sensibilità e specificità di un metodo (15).
Poiché la biopsia epatica non può essere considerata un gold standard ma solo il
miglior metodo disponibile, un nuovo metodo ad esso paragonato, anche se
perfetto, non può raggiungere il valore massimo di 1. Considerando l’accuratezza
della biopsia epatica e la prevalenza di quadri importanti di malattia (che
24
influenzano la AUROC), Metha e collaboratori hanno dimostrato che nel migliore
dei casi essa risulterà uguale a 0,9 nella valutazione dei quadri istologici più
avanzati (31). Questa osservazione è cruciale per numerose ragioni Molti studi
hanno mostrato che questi valori massimi di AUROC sono stati raggiunti dalle
nuove metodiche, specialmente quando si vuole discriminare la cirrosi dall’epatite,
suggerendo che esse possono essere ritenute valide esattamente come la biopsia
nella diagnosi di cirrosi.
Le principali alternative alla biopsia epatica sviluppate in questi ultimi dieci anni
sono basate su due concetti molto differenti: esami biochimici e rigidità epatica. La
rigidità epatica (stiffness), valutata attraverso ultrasuoni (Fibroscan, ARFI) o
recentemente attraverso l’applicazione di campi magnetici (RMN), è un parametro
fisico del tessuto epatico che è correlato con la sua elasticità e perciò alla fibrosi
accumulatasi. Una recente metanalisi ha mostrato che l’area sotto la curva ROC di
tale metodica ha raggiunto il valore ottimale di 0,9 nella diagnosi di Cirrosi con il
Fibroscan (esattamente come per la biopsia epatica). D’altro canto è importante
sottolineare come, estendendo il concetto di fegato malato fino a livelli istologici
di fibrosi inferiori a quelli attribuibili alla cirrosi, l’area sotto la curva va
progressivamente diminuendo. Ciò dimostra che questo tipo di esame sia piuttosto
valido nella diagnosi di cirrosi ma meno accurato negli stadi intermedi di malattia
che invece costituiscono una fase molto importante da individuare nel follow up di
un paziente affetto da epatopatia cronica.
I Markers serici derivano invece da combinazioni di differenti parametri
ematochimici che sono ottimizzati per rispecchiare lo stadio dell’epatopatia
epatica. Nonostante il numero consistente di combinazioni proposte, tutte sono
create nello stesso modo e cioè ottimizzando la scelta dei parametri ematochimici e
massimizzando l’algoritmo per identificare gli stadi istologici stabiliti dalla biopsia
epatica.
25
Questo è un elemento di differenza fondamentale rispetto al Fibroscan: mentre
infatti quest’ultimo valuta una caratteristica specifica e dedicata del tessuto epatico,
i markers serici sono costruiti a partire dai risultati bioptici e quindi sono del tutto
dipendenti dall’accuratezza delle biopsia come metodica (32-33).
1.3 Markers sierologici diretti ed indiretti
Negli ultimi dieci anni sono stati sviluppati numerosi markers serici di fibrosi che
nascono da due approcci differenti. Il primo si basa sulla ricerca di marcatori
“diretti” di fibrogenesi, ossia parametri biochimici determinabili nel sangue
periferico come espressione diretta della deposizione e/o degradazione della ECM
a livello epatico. Il secondo approccio, più empirico, si basa sull’identificazione di
combinazioni di test biochimici ed ematologici espressi come un punteggio capace
di riflettere lo stadio della patologia epatica. I marcatori biochimici diretti, come
già accennato, sono sostanze correlate alla fisiopatologia della fibrosi epatica ed in
particolare alle alterazioni della secrezione degradazione di componenti della
ECM. La concentrazione di queste sostanze, determinata su vari liquidi biologici
ma soprattutto su sangue periferico, dovrebbe riflettere l’attività del processo di
fibrogenesi/fibrolisi epatica e, in ultima analisi, del rimodellamento dell’ECM. Lo
studio di questa classi di marcatori è quindi stimolato da conoscenze
fisiopatologiche e solitamente si basa sulla determinazione costosa di esami
biochimici che non rientrano fra gli esami eseguiti nella routine clinica. La lista di
tali marcatori è ampia e può essere suddivisa in grandi categorie biochimiche:
enzimi, collagene e frammenti del collagene, glicoproteine ed inibitori delle
metalloproteinasi, glucosaminoglicani, mediatori molecolari Le determinazioni
enzimatiche sono state abbandonate nel tempo per svariati motivi: l’attività di
questi enzimi nel siero sembra infatti correlata maggiormente con la necrosi
cellulare piuttosto che con la fibrogenesi, i metodi per la loro determinazione sono
26
generalmente molto laboriosi e molto costosi ed inoltre i loro livelli possono essere
aumentati a causa di comorbidità extraepatiche come, ad esempio, la presenza di
malattia reumatica, pancreatite cronica, sclerodermia, fibrosi polmonare.
Comunque, tra i parametri diretti che hanno dimostrato maggiore accuratezza
diagnostica sicuramente lo ialuronato è il marcatore che presenta miglior
sensibilità (86-100%) e specificità clinica. Va soprattutto evidenziato l’elevato
valore predittivo negativo (98-100%) del test per la cirrosi epatica usando come
valore di cut-off di 60 g/L. Questo che consente una buona diagnosi di esclusione
mentre il valore predittivo positivo (61%) è molto inferiore e limita l’utilità clinica
del test.
In conclusione tali biomarcatori diretti non sono mai stati introdotti nella pratica
clinica, benché estesamente studiati, per insufficiente accuratezza diagnostica, per
complessità nell’esecuzione delle metodiche di determinazione e per i costi (33).
I marcatori indiretti sono invece sviluppati a partire da test di laboratorio semplici
ed usualmente eseguiti nei pazienti affetti da epatopatia cronica e consentono di
calcolare degli indici correlati con gli stadi di fibrosi. In generale, i parametri
inclusi negli oltre venti indici di fibrosi finora sviluppati, sono indicatori di
citonecrosi, test coagulativi, conta piastrinica ed alcuni componenti della matrice
extracellulare. Il vantaggio principale dell’utilizzo di questi test sta nel fatto che si
basano su esami ematochimici eseguiti di routine e che pertanto sono facilmente
ottenibili in termini di tempo e costi. I limiti più importanti dei markers diretti sono
due: il fatto che i test sono correlati solo parzialmente e comunque indirettamente
con la fibrogenesi e che gli esami biochimici utilizzati tendono ad alterarsi
piuttosto tardivamente nel corso della malattia epatica (INR, bilirubinemia,
albumine mia, etc.). Tra i markers indiretti ricordiamo: l’indice nato dal rapporto
tra GPT e conta piastrinica che è stata dimostrato avere un valore di area sotto la
curva ROC di 0.88 e 0.94 rispettivamente nel predire fibrosi importante (>3
secondo Ishak) e cirrosi (tra 5 e 6 secondo Ishak). L’indice di Forns che nasce
27
invece dalla combinazione di età e tre diversi parametri biochimici (colesterolemia,
GGT e conta piastrinica) e si associa a un’area sotto la curva ROC di 0.81
nell’identificare pazienti con fibrosi significativa (>2 secondo Scheuer). L’indice
di Forns inoltre è stato validato in altre corti di pazienti e sembra essere uno
strumento predittivo della risposta antivirale nei pazienti affetti da epatite C.
D’altro canto questo test, pur essendo in grado di differenziare l’assenza di fibrosi
o la presenza di fibrosi minima dalla fibrosi significativa nell’epatopatia da virus
C, non dà alcuna informazione sull’eventuale cirrosi. Il rapporto AST/ALT
(AAR), conosciuto anche come Indice di De Ritis, ha una sensibilità pari all’81% e
una specificità del 55% nell’identificare pazienti con una cirrosi avanzata. Il
Fibroindex, sviluppato da Koda e collaboratori,. utilizzando conta piastrinica, AST
e IgG seriche, ha un valore di AUROC nella valutazione di fibrosi significativa (F2
secondo Ishak) e di cirrosi (F3-f4 secondo Ishak) pari a 0.82 e 0.48, paragonabile
cioè a quelle attenute con l’indice di Fons. L’APRI è un indice che utilizza la
misurazione della concentrazione serica delle AST e la conta piastrinica e
dimostra accuratezza assimilabile a quella del Fibrotest (cioè intorno al valore di
0.84). L’APRI è è stato valutato in numerosi studi dimostrando buone
performance e riproducibilità diagnostica, specialmente nel caso di Cirrosi (AUC
compresa fra 0.77 e 0.94). Il FIB-40, originariamente sviluppato per essere
utilizzato in pazienti coinfetti HIV e HCV, utilizza la conta piastrinica e la
transaminasi permettendo di discriminare con una sensibilità del 70% e una
specificità del 97% tra pazienti con una valore di Ishak inferiore o uguale a 3 da
quelli con valori superiori a 4. Questo modello è stato quindi validato anche in
pazienti monoinfetti e ne è risultato un valore di AUROC pari a 0.85 per
l’identificazione di fibrosi severa e pari 0.91 nel porre diagnosi di cirrosi (Fig 8).
L’accuratezza diagnostica dell’elastografia epatica appare pertanto equivalente ai
migliori scores biochimici per pazienti con fibrosi maggiore o uguale a 2 e
migliore nei pazienti con fibrosi >3.
28
Figura 8 Markers sierici indiretti di fibrosi epatica (Pinzani M et al Nature Clinical Practice Gastroenterology & Hepatology 2008)
D’altro canto sarebbe necessaria una comparazione tra misurazione della rigidità
epatica e indici ematochimici su una stessa popolazione al fine di confrontare in
maniera più affidabile queste due metodiche. Prescindendo dai numeri, di certo
l’elastometria epatica, se paragonata con i markers di fibrosi diretti e gli indici
biochimici, ha il pregio notevole di valutare un parametro fisico quantitativo
proprio del parenchima epatico e quindi assolutamente specifico.
Limitazioni importanti all’utilizzo clinico dei markers diretti di fibrosi sono la non
eseguibilità nella routine ospedaliera di tali test e la loro mancanza di
epatospecificità potendo essere interessati da quadri patologici coesistenti e
misconosciuti. Anche i markers diretti ovviamente hanno dei limiti: alcuni
29
intrinseci, come il fatto che i parametri biochimici utilizzati tendono ad assumere
valori alterati solo nelle fasi avanzate di malattia e come il fatto che vi sia una
correlazione esclusivamente indiretta con la deposizione di matrice extracellulare
ed altri estrinseci e connessi con la scarsa riproducibilità tra laboratori di esami
biochimici come le transaminasi, la fosfatasi alcalina ed altri (34).
Attualmente esistono cinque indici protetti da copyright e messi in commercio:
Fibrotest, Fibrosure, Fibrometers, Fibrospect II, Hepatoscore. Tra di essi il
Fibrotest, proposto nel 2001 da Imbert-Bismut e colleghi, è stato quello
maggiormente studiato non solo nei pazienti affetti da infezione cronica da virus
dell’epatite C ma anche i pazienti con epatopatia HBV correlata e nei soggetti
coinfetti HIV-HCV. Il Fibrotest si basa sulla determinazione di cinque parametri
di laboratorio (Gamma-GT, bilirubina totale, aptoglobina, apolipoproteina A1,
2microglobulina) più l’età e il sesso del pazienti. I risultati dei cinque test di
laboratorio e i dati riguardanti sesso ed età vengono successivamente elaborati con
un algoritmo matematico, ad oggi brevettato e perciò sconosciuto, ed espressi
come stadio di fibrosi secondo la classificazione METAVIR o Ishak. Dei parametri
che compongono il Fibrotest, tre aumentano nel siero con il progredire della fibrosi
epatica e due diminuiscono. .I motivi che portano ad aumento di bilirubina e
Gamma-GT sono ben noti, mentre meno immediato è il nesso con l’-2-
microglobulina. Questa proteina infiammatoria viene prodotta dal fegato e la sua
sintesi e la sua secrezione aumentano con l’attivazione delle cellule stellate
epatiche in corso di fibrogenesi. Gli altri due parametri che invece diminuiscono
nel siero sono: l’aptogolobina e l’apoliproproteina A1, proteina implicata nel
trasporto del colesterolo, entrambe prodotte dal fegato e pertanto le concentrazioni
di entrambe diminuiscono con la progressiva insufficienza funzionale di tale
organo. Il Fibrotest rappresenta sicuramente il test diretto che è stato oggetto di più
approfondita valutazione e validazione clinica. Una metanalisi recente, riguardante
complessivamente 5000 casi di epatopatia cronica, prevalentemente pazienti affetti
30
da Epatite C, ha dimostrato valori di accuratezza diagnostica, espressa come AUC,
compresa fra 0.7 e 0.87. Gli errori nella capacità di classificazione con il Fibrotest,
sono risultati associati a sindrome di Gilbert, emolisi ed infiammazione acuta per
aumento nei primi due casi della bilirubinemia e nell’ultimo della
2microglobulina. Altri indici come il Fibrometers, l’Hepatoscore, il Forns Index,
il Fib-40 e l’Apri sono stati paragonati e validati in popolazioni di soggetti affetti
da epatopatia virale. Tra essi i primi tre dimostrano accuratezza similare nella
diagnosi di cirrosi rispetto agli ultimi tre che tuttavia hanno il pregio di essere sono
molto più facili da calcolare e usufruibili perciò in qualunque centro e da
qualunque medico. Sono stati recentemente proposti, al fine di aumentare
l’accuratezza diagnostica, nuovi algoritmi nati da combinazioni di differenti indici
nella valutazione dell’evoluzione malattie croniche HCV e HBV (34).
L’accuratezza della maggior parte dei metodi non invasivi per la determinazione
della fibrosi epatica ha dimostrato una significativa variabilità ed è ancora
considerata inadeguata per sostituire del tutto la biopsia epatica e per l’utilizzo dei
markers biochimici nella routine clinica. Alcuni studi preliminari hanno suggerito
che l’accuratezza dei metodi non invasivi di fibrosi epatica possa migliorare
quando tali metodi vengano combinati in algoritmi diagnostici. Lo scopo degli
algoritmi sequenziali sviluppati è quello di migliorare l’accuratezza diagnostica del
singolo metodo non invasivo e ridurre al minimo il numero di biopsie epatiche
necessarie a stadiare l’epatopatia. L’approccio sequenziale prevede che la biopsia
epatica sia utilizzata solo in quei casi in cui i metodi non invasivi abbiano
dimostrato accuratezza inadeguata. Questo approccio è stato applicato nello
sviluppo da parte di Sebastiani e collaboratori del SAFE biopsy (Sequential
Algorithms for Fibrosis Evaluation): in tale algoritmo come test di prima linea è
utilizzato il test APRI, in quanto semplice ed economico, mentre il Fibrotest è
utilizzato come test di seconda linea in quanto più costoso e più complesso, mentre
la biopsia epatica è utilizzata solo come test di terza linea per i casi non
31
classificabili con le due precedenti metodiche. I due algoritmi SAFE (per la
diagnosi di fibrosi significativa e per la diagnosi di cirrosi) sono stati validati nella
pratica clinica sia nell’epatite cronica C che in quella B, con accuratezza
diagnostica sovrapponibile. Dall’applicazione di tale algoritmo si possono avete
quattro diversi responsi: diagnosi di fibrosi significativa, diagnosi di cirrosi
epatica, assenza di cirrosi epatica e necessità di eseguire una biopsia epatica per
una corretta stadiazione delle fibrosi (35). Di seguito si riportano i due algoritmi
SAFE: il primo per la diagnosi di fibrosi epatica significativa (Fig.9A) e il secondo
per la diagnosi di Cirrosi epatica (Fig. 9B).
Figura 9 Algboritmo SAFE per la Diagnosi di Fibrosi Epatica Significativa (a) e di Cirrosi (B).
32
A
In conclusione, i metodi non invasivi sono in grado di ridurre del 50-80% il
numero di biopsie epatiche necessarie a stadiare correttamente la fibrosi epatica, in
particolare quando combinati in algoritmi come quello sovraesposto. Tuttavia la
biopsia epatica non può essere completamente abolita nella pratica clinica ma deve
essere riservata a quei casi in cui i metodi non invasivi abbiamo dimostrato
accuratezza non adeguata. Studi preliminari suggeriscono che i metodi non
invasivi più validati potrebbero essere utilizzati per il monitoraggio seriale della
fibrosi epatica a lungo termine, in particolare in relazione alla risposta istologica
alla terapia antivirale in corso di epatite cronica B e C, cosa che risulterebbe non
fattibile con l’impiego della sola biopsia epatica (36).
1.4 Ecografia Epatica
L’ecografia epatica è universalmente la metodica utilizzata nel follow up delle
epatiti croniche e nella prevenzione secondaria di carcinoma epatocellulare. Il
limite maggiore della metodica consiste ovviamente nella riproducibilità che
risulta essere fortemente variabile e strettamente dipendente dell’esperienza
dell’operatore. Eccezione fatta per questa considerazione, la buona accessibilità, il
33
B
basso costo e l’assenza di controindicazioni hanno permesso che divenisse la
metodica di riferimento di primo livello per lo studio delle malattia epatiche.
L’implementazione della metodica Doppler all’ecografia tradizionale ha inoltre
permesso la valutazione della velocità media e delle caratteristiche del flusso
ematico all’interno dei vasi epatici. Per comprenderne l’importanza in ambito
epatologico basta ricordare che in corso di evoluzione cirrotica delle epatopatie si
assiste ad una progressiva alterazione della normale emodinamica a causa
dell’aumento della pressione portale.
La scarsa riproducibilità dell’esame rende peraltro difficile stabilire dei criteri
oggettivi di diagnosi di cirrosi necessari per comprendere la reale accuratezza della
metodica nel monitorare l’evoluzione cirrotica delle epatopatie. Numerosi studi
sono stati condotti in merito e la maggior parte hanno tentato di creare dei sistemi
semiquantitativi di scoring a partire da parametri sia qualitativi che quantitativi.
Uno studio che ha costituito un riferimento importante è stato condotto nel 1997 da
Gaiani e collaboratori e proponeva un punteggio calcolato a partire dai seguenti
parametri: diametro longitudinale epatico, morfologia epatica (data dal rapporto tra
diametro del lobo caudato ed epatico), omogeneità del parenchima, aspetto della
superficie, diametro vena porta, velocità di flusso nella vena porta, diametro milza
(37). Di fatto tali parametri risultano essere anche nella pratica clinica i principali
elementi che si considerano nella lettura critica di un referto ecografico al fine di
confermare o meno l’idea che ci si è fatti del paziente a partire dall’esame obiettivo
e dagli esami ematochimici. In tale studio la sensibilità e la specificità del sistema
di valutazione semiquantitativo, basato sui parametri ecografici suddetti, rispetto
all’istopatologia sono risultate essere rispettivamente del 78.9 e dell’80,1%. Vi è
poi una percentuale di pazienti in cui i due metodi sono risultati discordi e che può
essere spiegata in due modi: nel caso della biopsia, da un’inadeguatezza del
campione prelevato in termini di rappresentatività del parenchima, essendo le
epatopatie croniche delle malattie diffuse ma non omogeneamente distribuite da un
34
punto di vista istologico, mentre dall’altra parte l’esame ecografico può risultare
meno fedele soprattutto nei casi di fibrosi intermedia. Uno studio del 2008 di
Chen-Hua e collaboratori si pone invece piuttosto in controtendenza: in questo
caso la valutazione ecografica si è basata esclusivamente su ecogenicità e
omogenità del parenchima epatico e regolarità della superficie. Le conclusioni
tratte conferiscono scarsissima accuratezza diagnostica alla metodica ecografica,
soprattutto nei soggetti con fibrosi intermedia e in relazione alla sola valutazione
dell’aspetto del parenchima (38).
Piuttosto interessante risulta invece riuscire a comprendere come i seguenti
parametri ecografici di ipertensione portale possano essere realmente predittivi di
cirrosi: diametro vena porta, velocità flusso ematico nella vena porta, profilo del
flusso ematico allo studio Doppler delle vene sovraepatiche e diametro della
milza.. Un primo studio, condotto nel 2002 da O’Donohue e collaboratori, ha preso
proprio in considerazione tali parametri concludendo che il diametro splenico,
quando superiore ai 15 cm, è predittivo di cirrosi in pazienti con epatopatia cronica
con una sensibilità del 57% e un valore predittivo positivo superiore al 90%. Il
profilo del flusso ematico all’interno delle vene sovraepatiche si è dimostrato
anormale nel 77% dei pazienti con diagnosi istologica di cirrosi. Di contro, la
misurazione della velocità media del flusso ematico all’interno della vena porta ed
il diametro della vena porta non sono risultati essere in grado di identificare i
pazienti cirrotici con sufficiente sensibilità. L’unico parametro reso inattendibile
dalla scarsa riproducibilità interoperatore è la misurazione della velocità media del
flusso nella vena porta. Un ulteriore studio, condotto su una popolazione senza
segni di cirrosi clinici o biochimici, ha evidenziato che la velocità media del flusso
ematico nella vena porta, pur mostrando una progressiva riduzione con il
progredire istologico dell’epatopatia, non è correlata in modo statisticamente
significativo con la fibrosi valutata istologicamente (40).
35
Esiste un solo studio pubblicato nel 2009 che si è posto lo scopo di comprendere
come i risultati ottenuti con il Fibroscan debbano essere interpretati quando
affiancati alla metodica maggiormente utilizzata nei pazienti epatopatici, cioè
all’ecografia. In tale studio Jing-Houng e collaboratori concludono che la
misurazione della rigidità epatica con l’elastografia unidimensionale (FibroScan) è
superiore nel diagnosticare una fibrosi iniziale e una cirrosi correlata a infezione da
virus dell’epatite C rispetto alla metodica ecografica ed inoltre suggeriscono che la
combinazione delle due metodiche non è superiore in alcun caso all’utilizzo del
solo Fibroscan. L’utilizzo del Fibroscan è in grado di migliorare l’accuratezza
diagnostica nei pazienti con epatite C, probabilmente perché tale infezione si
correla più spesso con la presenza di micronoduli di rigenerazione che possono
rendere più tardiva e difficile l’identificazione di disomogeneità parenchimale e di
irregolarità della superficie. Ne deriva che l’elastografia risulta essere una
metodica con accuratezza diagnostica sufficiente nel quantificare la fibrosi epatica
e che l’ecografia epatica non aggiunge nulla nel valutare questo stesso parametro
(39).
2. ELASTOGRAFIA – Basi Teoriche
L’elasticità è la proprietà fisica di un materiale di tornare alla sua forma originale
dopo aver rimosso la forza che ne causa una deformazione. Il concetto di Stiffness
è complementare a quello di elasticità, facendo riferimento alla resistenza opposta
da un materiale elastico ad una forza deformante.
In base a come lo stress meccanico viene applicato e a come viene misurata la
deformazione, differenti moduli di elasticità possono essere definiti.
- Modulo di Young (E): descrive il rapporto tra deformazione e tensione
applicata da una forza diretta lungo un’unica direzione.
36
- Modulo Shear: descrive la tendenza di un oggetto a cambiare forma
mantenendo il suo volume quando uno stress meccanico è formato da due forze
con direzione opposta localizzate su piani paralleli
- Modulo Bulk: descrive la capacità di un oggetto di deformarsi lungo ogni
direzione se sottoposto ad uno stress meccanico in tutte le direzioni. Il suo inverso
è la compressibilità. Può essere considerato come un modulo di Young applicato
sulle tre dimensioni.
Il modulo di Young (E può essere calcolato a partire dalla velocità con cui si
muovono le onde di taglio (V) che deformano il materiale e dalla densità del
materiale stesso ():
E= 3V2 (A)
La valutazione qualitativa e quantitativa dell’elasticità del tessuto può avvenire in
due modi:
- Valutando lo spostamento relativo causato da una compressione statica o
dinamica;
- Misurando la velocità di propagazione delle onde di taglio e determinando
così in modo indiretto il modulo elastico E (A).
Il primo approccio costituisce la base teorica della Strain Elastography o della
Shear Wave Imaging (valutazione qualitativa), il secondo della Shear Wave
Elastography (valutazione quantitativa) (41).
2.1 Strain Elastography (o Elastografia qualitativa)
Quando un mezzo elastico viene compresso da una pressione costante orientata
lungo un unico asse tutti i suoi punti subiranno una deformazione longitudinale,
37
per lo più lungo l’orientamento dell’asse di compressione. Se uno o più tessuti con
differente stiffness compongono il mezzo elastico la loro deformazione sarà
diversa cioè minore dove si trova il tessuto più duro (Fig 10).
Figura 10 Il tessuto insonato prima e dopo una compressione uniforme. Nei tessuti più Duri (in questo esempio la lesione) gli echi di ritorno saranno meno distorti rispetto a quelli del tyessuto circostante (41
La deformazione longitudinale stimata dall’analisi dei segnali ultrasonori viene
ottenuta utilizzando dei normali apparati ecografici, seppur di ultima generazione,
secondo la seguente sequenza:
- La regione di interesse (ROI) viene esplorata e l’immagine viene
ottimizzata,
- Una compressione viene esercitata in modo da produrre una piccola
deformazione nella ROI,
- La ROI viene esplorata di nuovo e un nuovo set di echi viene acquisito, in
accordo con la compressione ottenuta
In base a quanto detto è ovvio che la valutazione dell’elasticità di un tessuto
richiede prima di tutto una compressione dello stesso. La compressione, nelle
tecniche di strain elastography, può essere effettuata esternamente dall’operatore
38
oppure possono essere sfruttate forze compressive fisiologiche quali il ciclo
cardiaco o le fasi respiratorie.
Gli echi di ritorno vengono riportati lungo un asse temporale a livello di tutta
l’immagine. In ogni punto e in ogni direzione viene calcolata la differenza tra i
tempi di propagazione delle onde ultrasonore creando l’immagine finale.
La misurazione quantitativa della deformazione permette di generare un’immagine,
generalmente a colori, che esprime la valutazione della stiffness nelle varie
porzioni del tessuto studiato (Fig 11)
39
Figura 11 Shear Wave, valutazione qualitativa su scala colorimetrica (immagini tratte da casistica personale, Prof Adriano De Santis).
2.2 Shear Wave Elastography (o elastografia quantitativa)
L’elastografia quantitativa si basa sulla produzione e la rilevazione di shear waves.
I tessuti biologici permettono la produzione di due tipi di onde: longitudinali e di
taglio. Nel primo caso la direzione in cui oscillano le particelle investite dall’onda
è parallela all’onda stessa, nel secondo caso invece l’oscillazione avviene in modo
perpendicolare alla direzione di propagazione. In accordo con l’equazione (A) il
modulo elastico nei tessuti biologici coincide con la velocità con cui le onde si
propagano.
La valutazione del modulo di Young nella shear wave elastography avviene nel
seguente modo:
- Induzione delle shear wave
- Monitoraggio della propagazione delle onde nel tessuto
- Calcolo del modulo di Young
Da punto di vista tecnico le metodiche quantitative si dividono in due gruppi in
accordo con la modalità con cui le onde ultrasonore vengono generate (da
vibrazioni meccaniche o usando acustic radiation force) e dal tipo di frequenza
utilizzata (armonica o transiente).
L’elastografia transiente utilizza uno strumento esterno in grado di produrre
vibrazioni a bassa frequenza (50-500 Hz). Un esempio di questa metodica è il
Fibroscan (Echosens, France) che combina su un’unica sonda l’elemento
trasduttore e la fonte di ultrasuoni il cui fascio viene focalizzato dall’asse vibrante
della sonda. Il Fibroscan permette l’acquisizione di dati lungo una sola direzione,
dando per assodato che in un mezzo omogeneo la dislocazione avviene lungo il
40
solo asse longitudinale, e non prevede pertanto l’elaborazione di un’immagine B-
mode Real Time.
L’ARFI utilizza la trasmissione di un fascio ultrasonoro ad intensità comunemente
usate a scopo diagnostico, cosi da ottenere un segnale di base utile al confronto in
un secondo momento. Un impulso acustico di alta intensità e breve durata (burst)
viene trasmesso dalla sonda ed è seguito da una serie di impulsi a intensità
diagnostica utilizzati per monitorizzare lo spostamento del tessuto causato dal
primo impulso inviato. Lo spostamento creato dal burst, dell’entità di pochi
micron, viene misurato dopo un dato tempo dal termine del burst stesso. La
risposta viene valutata utilizzando una comune immagine B.mode e può essere
espressa quantitativamente (come shear wave velocity in m/s) o qualitativamente
(su una scala cromatica codificata). La velocità calcolata è di fatto la velocità
media dell’onda di taglio tra i due punti che sono delimitati dalla ROI che può
essere localizzata sino a 8 cm di profondità. Anche se la selezione della ROI venga
effettuata su un’immagine ecografica in Bmode, lo spostamento indotto dal burst
non viene rappresentato graficamente. (41).
3. FIBROSCAN (Elastografia transiente unidimensionale)
L’elastografia transiente unidimensionale (Fibroscan) prodotta dall’Echosens-
France è stata la prima metodica elastometrica ad essere implementata nella pratica
clinica, ed una ricca letteratura è fiorita in seguito al suo utilizzo. Costituisce,
secondo quanto spiegato in precedenza, un’elastografia quantitativa ad impulso
transiente unidimensionale (Fig 12)
3.1 Aspetti tecnici e metodologici
Nella procedura standard di esecuzione del Fibroscan le misurazioni sono
effettuate a livello del lobo destro del fegato attraverso gli spazi intercostali e il
41
paziente viene fatto posizionare supino con il braccio destro in massima
abduzione. La sonda deve essere mantenuta in direzione perpendicolare rispetto
alla superficie cutanea. La regione di interesse (ROI), cioè la porzione di
parenchima epatico studiata, è situata tra i 25 e i 65 mm al di sotto della cute e
rappresenta 1/500 del parenchima epatico (contro l’estensione pari a 1/50000 del
parenchima prelevato da una biopsia epatica). La forza applicata dall’operatore è
visualizzata sul monitor e l’acquisizione dei risultati è possibile solo per forze
comprese tra i 4 e gli 8 N (42).
Dieci misurazioni valide devono essere acquisite in ogni paziente , e la mediana tra
i valori ottenuti costituisce il valore di stiffness risultante. L’esame richiede dai 2 ai
5 minuti di esecuzione e il risultato si ottiene in maniera estemporanea. In maniera
sempre estemporanea il sistema operativo del Fibroscan ci fornisce altri due dati: il
valore di interquartile (IQR), definibile come la discordanza tra i valori ottenuti
nelle dieci misurazioni, e il Success Rate (SR), ovvero la percentuale di
misurazioni valide sul totale delle misurazioni effettuate.
Figura 12 Fibroscan: schermo e unità di controllo (a destra) particolare della sonda (a sinistra)
42
A
B
Figura 13 Schermata del Fibroscan nel corso dell'esame.
La Figura 13 Schermata tipo visualizzata nel corso dell’esame con Fibroscan. In
basso a sinistra è riportato il valore mediano delle misurazioni effettuato (in verde),
l’IQR (in rosso a sinistra) e il valore dell’ultima misurazione effettuata (in rosso a
destra). Centralmente compare l’immagine in B mode, il grafico che mostra la
pressione esercitata dall’operatore e più a destra il grafico di correlazione tra
velocità e spazio percorso dalla shear wave (tanto più ripida è la retta disegnata
tanto maggiore sarà la velocità risultante). In basso è presente il conto delle
misurazioni totali e valide effettuate.
L’affidabilità della misurazione ottenuta, in accordo anche con i produttori del
Fibroscan stessi, è dipendente dai valori di Success Rate superiori al 60% (su un
massimo di 16 misurazioni consecutive effettuate) e da valori di interquartile pari
al 30% massimo della mediana risultante. L’utilizzo di questi parametri per
valutare l’accuratezza degli esami eseguiti è stato consigliato da numerosi studi
pubblicati negli ultimi anni. Una recente metanalisi condotta da Lucidarme e
collaboratori (43) in parte smentisce ed in parte conferma queste osservazioni. Tale
metanalisi include i tre maggiori lavori in materia degli ultimi anni (44-46) e si
pone lo scopo di valutare l’influenza di SR e IQR sull’affidabilità dei risultati
ottenuti nella diagnosi di fibrosi, specificamente in pazienti HCV positivi in cui il
43
referto istologico e il risultato del Fibroscan risultavano discordanti di almeno due
livelli di fibrosi secondo lo score METAVIR. Questo studio conclude che il
rapporto tra IQR e Valore mediano di stiffness (M) costituisce realmente un fattore
di affidabilità dell’esame in quei pazienti il cui la fibrosi è inquadrabile tra valori di
F2-F3. Volendo essere più precisi, perché questo rapporto non influenzi
negativamente la qualità dell’esame è necessario che sia al di sotto di 0,21 cioè è
necessario che il valore di IQR sia al massimo pari a 1/5 del valore della Stiffness
misurata (47). Assolutamente indipendente dal rapporto tra IQR e Stiffness invece
risulta l’accuratezza diagnostica in quei pazienti in cui la malattia è classificabile
come F4 o F0 secondo METAVIR. Altrettanto importante risulta il fatto che il
valore del rapporto tra IQR e M influenza la riproducibilità interoperatore: per
valori che superano progressivamente il risultato di 0,3 l’esame perde infatti di
riproducibilità.
Nell’immagine posta di seguito, tratta dal Lavoro di Castera del 2010 (Hepatology)
è descritto l’algoritmo atto ad identificare gli esami affidabili. In basso è riportata
la casistica personale del nostro centro raccolta sui primi 400 pazienti sottoposti a
Fibroscan. In letteratura la percentuale di esami validi è di 81.6 % (Castera et al,
Hepatology), affine all’86.6%riscontrato nella nostra casistica (figura 14).
44
Figura 14 In alto i criteri di affidabilità dell'esame elastometrico con Fibroscan ed in basso i dati relativi alla nostra casistica.
3.1. Limiti della metodica
Nel 2008 è stato pubblicato su Journal of Hepatology un interessante studio di
Marcellin e collaboratori condotto su una popolazione effettiva di 935 pazienti al
fine di identificare le caratteristiche connesse all’operatore, al paziente e allo stadio
dell’epatopatia in grado di influenzare il success rate e quindi l’eseguibilità e
l’affidabilità dell’esame (47) ed un lavoro simile ma su un numero di esami molto
più ampio è stato pubblicato nel 2010 su Hepatology da Castera L et al (48). Per
quello che riguarda l’operatore che esegue l’esame si è visto che, come facilmente
prevedibile, l’esperienza, intesa come numero di esami eseguiti, costituisce l’unico
fattore realmente influenzante la percentuale di successo (SR). Più interessante
risulta il fatto che SR è significativamente più bassa nei pazienti con indice di
massa corporea (IMC) elevato e soprattutto viene riportata una percentuale di
esami non eseguibili pari al 5%. Tale percentuale è quasi completamente
attribuibile a condizione di obesità del paziente. Lo studio suggerisce inoltre che
non sia tanto l’aumento dell’indice di massa corporea quanto l’adipe a livello
toracico ad influenzare l’eseguibilità dell’esame. Per quello che riguarda lo stadio
45
403 Pazien
ti(HCV
ed HBV)
21 Pazien
ti(5,2 %)
382 Pazien
ti
13 Pazien
ti(3,4 %)
369 Pazie
nti
12 Pazien
ti(3,2 %)
357 Pazie
nti
di malattia, come già descritto in precedenza, l’area sotto la curva ROC dell’esame
raggiunge lo 0,9 nella diagnosi di cirrosi e di epatite cronica classificabile come
F0-F1 secondo METAVIR mentre raggiunge valori inferiori nelle situazioni di
fibrosi intermedia.
Un precedente studio condotto da Foucher nel 2006 su una popolazione di circa
2100 pazienti ha confermato che l’unica variabile legata al paziente che realmente
è in grado di influenzare l’eseguibilità della metodica è l’IMC (48). Nel 2008 un
ulteriore studio (49) mirato ad indagare la correlazione tra “rigidità” epatica e
sindrome metabolica in soggetti sani ha rimarcato questa evidenza fornendo inoltre
le percentuali di insuccesso per ciascuna classe di IMC: per IMC inferiori a 25
Kg/m intorno al 4,6% per IMC compresi tra i 25 e i 30 kg/m2 intorno al 25%, IMC
compreso tra 30 e 40 kg/m2 del 41% fino a raggiungere l’88% in soggetti con IMC
al di sopra di 40 kg/m2. Nel lavoro pubblicato nel 2010 da Castera et al la presenza
di un quadro di sindorme metabolica e la circonferenza vita sono due dei fattori
che diminuiscono la fattibilità dell’esame con Fibroscan.
I numerosi studi fatti al fine di validare la metodica del Fibroscan hanno suggerito
che la misurazione della rigidità epatica è influenzata non solo dalla fibrosi ma
anche dall’attività necroinfiammatoria. Da questa intuizione diversi studi sono stati
portati avanti: alcuni su popolazioni di pazienti variegate, altri specificamente su
pazienti affetti da epatite acuta indipendentemente dall’eziologia.
Inequivocabilmente tutti hanno dimostrato un’assoluta correlazione tra
l’andamento degli indici biochimici di citolisi epatica (transaminasi glutammico-
ossalacetica e glutammico-piruvica) e i valori di Stiffness: il Fibroscan in questi
pazienti sovrastima la fibrosi (da F4 a F1) dimostrandosi pertanto un esame
inutilizzabile in questa fase di malattia. Nei pazienti affetti da epatopatia cronica
sono stati invece confrontati pazienti con attività biochimica di malattia stabile,
definita comunque per valori di transaminasi glutammico-piruvica inferiore o
uguale a 2 volte i valori normali, e pazienti con picchi (flares) nei valori
46
transaminasi. Mentre nel primo gruppo la valutazione con Fibroscan è
sufficientemente affidabile, nel secondo gruppo, soprattutto in concomitanza dei
picchi dei valori degli indici di citolisi, la misurazione della stiffness sembra
sovrastimare il valore della fibrosi reale soprattutto nei pazienti con diagnosi
istologica di epatite piuttosto che in quelli con diagnosi di cirrosi (50-53).
Se è già stato dimostrato che IMC e attività necroinfiammatoria sono in grado di
influenzare la misurazione della rigidità epatica, ci sono ulteriori fattori che
necessitano di indagini più approfondite. In prima istanza la steatosi epatica che,
così come anche suggerito da Marcellin, sembra influenzare i valori di interquartile
e quindi la qualità dell’esame (54). Di certo ad oggi si stanno pensando nuove
sonde dedicate a questo tipo di pazienti, forse in considerazione della differente
progressione del danno epatico nelle steatoepatiti dal punto di vista istologico
rispetto alle epatiti virali o forse in considerazione del fatto che la steatosi si
correla molto spesso all’obesità. In questo studio, condotto su oltre 300 pazienti, la
fibrosi, l’attività necroinfiammatoria e la steatosi sono in grado di spiegare circa il
62% della variabilità della misurazione della rigidità epatica. Ziol e collaboratori,
pur confermando che i valori di stiffness epatica sono positivamente correlati con
la quantità di fibrosi, di steatosi e di attività necroinfiammatoria, hanno concluso,
attraverso analisi multivariata, che, essendo la fibrosi strettamente connessa con
l’attività necroinfiammatoria e con la diffusione della steatosi, risulta essere di
fatto l’unico elemento istologico influenzante la misurazione della rigidità epatica.
Un ulteriore fattore la cui presenza andrebbe valutata, data la sua diffusione in
alcune categorie di pazienti epatopatici, è il sovraccarico marziale sia esso dovuto a
emosiderosi nei politrasfusi piuttosto che ad iperassorbimento primitivo come nelle
emocromatosi ereditarie. In merito alla capacità di questi due elementi di
influenzare i valori di stiffness epatica esiste un unico studio che ha lo scopo di
evidenziare come diversi quadri rilevati dalla biopsia epatica possano influenzare i
valori di rigidità epatica misurati con il Fibroscan (55). Pubblicato nel 2008 da
47
Lupsor e collaboratori, tale studio suggerisce che nei pazienti HCV la misurazione
della stiffness epatica sembra non essere influenzata della deposizione di ferro,
intesa come emosiderosi e non come emocromatosi. Ciò, deducono gli autori,
potrebbe essere attribuito al fatto che i depositi di ferro sono localizzati
prevalentemente in sede intracellulare e la matrice cellulare, oggetto della
valutazione con elastografia transiente, non è interessata dall’accumulo di tale
metallo.
3.2 Fibroscan nei diversi settings clinici
I primi e più importanti studi condotti al fine di validare l’elastografia epatica come
metodo di valutazione del grado fibrosi sono stati eseguiti su popolazioni di
pazienti affetti da infezione cronica da virus dell’epatite C. Lo studio di Ziol, primo
e forse più rilevante studio presente in letteratura, pubblicato nel 2005 (44), è stato
condotto su una popolazione di circa 320 pazienti con epatite cronica correlata
all’infezione da virus C. In tale studio, oltre ad essere confermata una correlazione
tra stiffness epatica e fibrosi, è stata calcolata un’area sotto la curva ROC pari
rispettivamente 0.97 e 0.91 per identificare stadi di fibrosi significativa ,
concludendo che l’elastometria epatica costituisce un metodo valido per la
diagnosi di cirrosi e di fibrosi estesa. L’identificazione in modo rapido e non
invasivo del grado di fibrosi in questi pazienti ha un’importanza clinica cruciale
perché cresce parallelamente al crescere del rischio di sviluppare complicanze
dell’ipertensione portale e epatocarcinoma e perché può fornire un’indicazione
ulteriore nel delicato processo di valutazione della eleggibilità del paziente a un
trattamento antivirale.
48
I maggiori studi hanno identificato dei valori limite di stiffness epatica al di sopra e
al di sotto dei quali fibrosi istologica (classificata secondo lo score METAVIR) e
misurazione della rigidità epatica possono essere correlati. In tutti gli studi presenti
in letteratura di fatto la misurazione della stiffness risulta univocamente sempre
diagnostica per grado di fibrosi maggiore di 4 secondo lo score Metavir mentre
meno netto è risultato il limite tra valori di stiffness correlabili a fibrosi compresa
tra F3-F4 e ancora di più tra F1-F2. In conclusione sono stati ritenuti ottimali quei
valori di cut-off in cui, osservando l’area sotto la curva ROC, la somma tra valore
di sensibilità e specificità risulta più elevata (Tab 1) (44-45).
Studi
condotti su popolazioni di soggetti affetti da epatite cronica HBV correlata hanno
mostrato che il Fibroscan risulta essere un valido metodo di valutazione della
fibrosi epatica così come lo è per l’epatopatia HCV correlata. La misurazione della
rigidità epatica è risultata infatti essere ben correlata con gli scores istologici
METAVIR e Ishak e discriminante in maniera fedele tra pazienti F0-F1 e pazienti
F2-F4 secondo METAVIR (AUROC 0.81, 0.73-0.86) e ancora di più tra pazienti
F0-F2 e pazienti F3-F4 (AUROC 0.93, 0.82-0.98). Nella pratica clinica questi
valori assumono una certa rilevanza, soprattutto per escludere una diagnosi di
cirrosi in pazienti con epatite cronica B: quei pochi casi di falsi negativi nella
diagnosi di cirrosi possono essere forse attribuiti al fatto che in corso di epatite
cronica B l’aspetto macronodulare risulta molto più presente rispetto a quanto
49
Tabella 1 Correlazione tra valori di Stiffness epatica e grado di fibrosi secondo lo score METAVIR in pazienti affetti da epatopatia HCV-correlata (44-45).
Authors F0-F1
(Metavir)
F ≥ 2
(Metavir)
F ≥ 3
(Metavir)
F = 4
(Metavir)
Ziol et al. * < 8.8 KPa ≥ 8.8 KPa ≥ 9.6 KPa ≥ 14.6 KPa
Castera et al. < 7.1 KPa ≥ 7.1 KPa ≥ 9.5 KPa ≥ 12.5 KPa
descritto nell’epatite cronica C. Infatti, mentre la quantità di tessuto fibroso risulta
essere solitamente elevata in caso di cirrosi micronodulare e pertanto correttamente
identificata dall’elastografia epatica, questa tecnica potrebbe non risultare
altrettanto accurata nel riconoscere anormalità architetturali nel parenchima epatico
con una quantità limitata di fibrosi così come nei pazienti naive con cirrosi
macronodulare e presenza istologica di scarsi setti fibrosi. Discrepanze simili sono
stata descritte, tra l’altro, in pazienti F3-F4 affetti da epatite cronica C che hanno
risposto al trattamento antivirale con interferone e Ribavirina, fatto che di per sé
contribuisce alla diminuzione della fibrosi epatica.
≥ F2 ≥F3 ≥ F4
7,2 Kpa 8,1 Kpa 11 Kpa
Tabella 2 Correlazione tra Stiffness epatica e grado di fibrosi secondo lo score METAVIR in pazienti affetti da epatopatia HBV correlata.
Confrontando i valori di cut-off con i valori limite identificati nei pazienti affetti
da epatopatia HCV correlata, si nota come nei pazienti HBV risultino più bassi 4
soprattutto negli stadi F3 e F4. Ciò potrebbe suggerire che la quantità di fibrosi
risulta minore dei pazienti affetti da epatite B elemento che si va ad unire alla più
frequente osservazioni di cirrosi macronodulare in quest’ultimi. Questi valori sono
tuttavia ancora da validare poiché condotti su un’unica coorte di circa 200 pazienti,
numero esiguo per rendere tali risultati indiscutibilmente validi.
Vi sono alcuni fattori che sono indipendentemente associati con la valutazione
della stiffness epatica come lo stato di portatore inattivo, la carica virale e le
transaminasi. Nei portatori inattivi infatti il valore medio si avvicina a quello
riscontrato nei soggetti non affetti da epatopatie e varia dai 4,6 ai 4,9 KPa nei vari
studi pubblicati. Di fatto quindi un valore di stiffness maggiore in questi pazienti
dovrebbe suggerire la presenza di un cofattore di danno epatico in aggiunta al virus
dell’epatite B. Oltre alla fase di infezione solo altri due parametri, carica virale e
dosaggio della transaminasi glutammico-piruvica, sono indipendentemente
50
associati con il valore di stiffness epatica. Tutto ciò risulta ovvio se si pensa che
nella pratica clinica si è già osservato che tanto più questi parametri risultano
elevati tanto più l’epatopatia progredisce velocemente verso una cirrosi. Non a
caso, a meno di pazienti già cirrotici, è proprio il monitoraggio di carica virale e
transaminasi che ci guida nel predire le potenzialità evolutive della malattia e nel
quindi decidere se e quando trattare un paziente affetto da epatite B cronica (58-
59).
La letteratura risulta ancora povera di studi di correlazione tra misurazione della
rigidità epatica e fibrosi epatica in pazienti affetti da malattia colestatiche (Cirrosi
Biliare Primitiva e Colangite Sclerosante). I pochi dati che esistono sono tra l’altro
relativi a una esigua popolazione costituita sia da pazienti affetti da cirrosi biliare
primitiva che da pazienti affetti da colangite sclerosante. L’unico studio a cui si fa
riferimento è stato pubblicato da Coperchot e collaboratori nel 2005 e descrive una
correlazione significativa tra rigidità epatica misurata tramite Fibroscan e fibrosi
epatica valutata con esame istologico su biopsia epatica paragonabile ai risultati
con ottenuti nei pazienti HCV positivi. Le aree sotto la curva ROC risultano pari a
0.92 per F≤2, 0.95 per≥F3 e 0.96 per ≥F4. I valori ottimali di stiffness sembrano
predire accuratamente lo stadio della fibrosi nel 72,3% dei pazienti secondo quanto
descritto in questo studio.
I valori di cut-off riportati nella tabella che segue sono considerati a partire da una
correlazione con la classificazione istologica secondo Ludwig e la determinazione
della fibrosi secondo lo score METAVIR (60-61)
Stage istologico≥ II Stage Istologico ≥ III Stage istologico = IV
7,1 Kpa 11,1 Kpa 17,3 Kpa
Tabella 3 Correlazione tra Stiffness epatica e grado di fibrosi secondo lo score di Ludwig in pazienti affetti da Colangite Sclerosante
51
F ≥2 F ≥3 F=4
7,3 Kpa 9,8 Kpa 17,3 Kpa
Tabella 4 Correlazione tra Stiffness epatica e grado di fibrosi secondo lo score METAVIR in pazienti affetti da Cirrosi Biliare Primitiva
Di recente un lavoro del gruppo di Coperchot, ha confermato il valore prognostico
della misurazione elastometrica anche nei pazienti affetti Cirrosi Biliare Primitiva
(62). Lo stesso gruppo ha pubblicato dati affini a quelli relativi ai pazienti affetti da
colangite sclerosante nel 2012 su Hepatology (63) riportando i dati di follow up a 5
anni in 100 pazienti affetti da Cirrosi Biliare Primitiva: nel gruppo di pazienti non
cirrotici i dati di liver stiffness sono risultati per lo più sovrapponibili nel follow up
mentre nei pazienti cirrotici è risultata frequente l’osservazione di cambiamenti di
tale parametro in senso peggiorativo con una valenza anche in termini di prognosi.
Discriminare tra NASH (Non alcoholic steatohepatitis) e semplice steatosi è
praticamente impossibile senza avvalersi dell’uso della biopsia epatica. Questa
osservazione non è trascurabile se si pensa al fatto che, con l’aumento della
sedentarietà, delle cattive abitudini alimentari e quindi dell’obesità, questo quadro
patologico costituisce il maggior responsabile di alterazioni delle transaminasi, se
si escludono i fattori virali. Esiste di fatto anche in questo caso un unico studio,
condotto da Yoneda e collaboratori nel 2008 su una popolazione di soggetti in
sovrappeso (71) in cui sono state escluse le più diffuse cause di epatopatia
condotto che ha confermato la validità del Fibroscan anche in questo tipo di
pazienti. Ciò apre scenari futuri piuttosto interessanti nell’identificare pazienti
affetti da NASH e nell’inserirli in programmi di controllo per identificare lo
sviluppo di complicanze l’ipertensione portale e l’epatocarcinoma così come viene
fatto per i pazienti affetti da epatopatia virale. Inoltre la NAFLD riguarda sempre
più soggetti di interesse pediatrico nei quali l’utilizzo di tecniche invasive e, in
52
quanto tali potenzialmente dolorose e gravate da effetti collaterali, dovrebbero
essere evitati quando possibile.
I valori di cut off migliori identificati in questo studio sono riportati nella tabella
seguente: le aree sotto la curva ROC sono per grado di fibrosi epatica uguale o
maggiore di F1, F2, F3, F4 secondo Metavir rispettivamente 0.927, 0.865, 0.904 e
0.991. Questi valori confermano quanto detto nell’analisi delle epatopatie
sovraesposte: il fibroscan risulta avere un’eccellente accuratezza diagnostica tanto
più per porre la diagnosi di fibrosi severa o di cirrosi piuttosto che nell’identificare
gli stadi intermedi di malattia.
=F0 ≥F1 ≥F2 ≥F3 =F4
<5,9 Kpa <6,6 Kpa <9,8 Kpa <17,5 Kpa ≥17,5 Kpa
Tabella 5 Correlazione tra Stiffness epatica e grado di fibrosi secondo lo score METAVIR in pazienti affetti
NAFLD (71).
Il limite maggiore che questa metodica incontrerà nella suo utilizzo per pazienti
affetti con NAFLD e NASH sta nel fatto che tra questi vi è una significativa
presenza di soggetti sovrappeso o francamente obesi e, come abbiamo
precedentemente illustrato, il BMI è la principale causa di non eseguibilità di
questo esame (48-49, 72). Esistono tuttavia sonde XL, capaci di aumentare il
numero di esami fattibili (94-95).
La ricorrenza del virus dell’epatite C è la principale causa di perdita d’organo dopo
trapianto epatico e, conseguentemente, spesso la sopravvivenza di pazienti in cui
ciò avviene è drasticamente ridotta rispetto agli altri. Infatti il danno istologico
precoce dopo trapianto epatico si correla con un elevato rischio di rigetto. Inoltre,
una valutazione semplice ed accurata della fibrosi epatica potrebbe essere molto
53
importante nel predire la prognosi e nel decidere se e quando iniziare la terapia
antivirale. La biopsia epatica costituisce anche in questo gruppo di pazienti la
metodica di riferimento nel valutare la fibrosi: d’altro canto la natura invasiva di
tale procedura non la rende nemmeno in questa condizione adatta al follow up.
Altra limitazione della biopsia consiste nella variabilità del campionamento che
può divenire un elemento ancor più cruciale in pazienti trapiantati in cui la malattia
si caratterizza per una progressione più rapida.
Gli studi presenti in letteratura, di cui i due più rappresentativi sono quelli di
Carrion e collaboratori (67) e di Harada e collaboratori (68) , hanno tutti
rintracciato una stretta correlazione tra rigidità epatica e fibrosi epatica valutata
istologicamente.
Nello studio di Harada e collaboratori. le aree sotto la curva ROC per la diagnosi di
fibrosi F1, F2, F3 e F4 risultano pari rispettivamente a 0.82 0.92 0.96 e 0.99,
mostrando che la capacità diagnostica dell’elastografia transiente epatica risulta
eccellente in questi pazienti.
Nello studio di Carrion e collaboratori i valori di stiffness ottenuti sono stati
paragonati non solo alla stadiazione istologica della malattia ma anche ai valori di
HVPG. Il valore di stiffness ottimale per la diagnosi di ipertensione portale (HVPG
≥ 6 mmHG) si è dimostrato essere pari a 8.74 KPa con sensibilità e specificità pari
rispettivamente al 90% e all’81%. Nonostante vi sia una significativa correlazione
positiva tra grado di fibrosi classificato nelle biopsie epatiche e HVPG, in alcuni
pazienti con diagnosi istologica deponente per scarsa o nulla fibrosi si è riscontrato
HVPG> di 6 mmHg. Come già detto, l’errore di campionamento e la particolare
modalità di deposizione della fibrosi nei soggetti trapiantati con ricorrenza di
infezione da virus dell’epatite C potrebbero spiegare in alcuni casi tale
discrepanza. Molto più interessante risulta il fatto che, nella maggior parte di
questi casi, la misurazione della rigidità epatica aveva segnalato valori superiori a
quelli del cut off identificando correttamente tali pazienti (69-70).
54
Di seguito riportiamo i valori limite riportati da Harada e Carrion sottolineando che
in entrambi i casi i valori selezionati massimizzano la sensibilità e la specificità e
quindi il valore dell’area sotto la curva ROC
Authors F0-F1 F ≥ 2 F ≥ 3 F = 4
Carrion JA et al. < 8.5 KPa ≥ 8.74 KPa ≥ 12.5 KPa ≥ 14.5 KPa
Harada N et al. < 8.8 KPa ≥ 9.9 KPa ≥ 15.4 KPa ≥ 26.5 KPa
Tabella 6 Correlazione tra Stiffness epatica e grado di fibrosi secondo lo score METAVIR in pazienti trapiantati con ricorrenza dell'infezione da Virus dell'epatite C.
Un recentissimo studio di Carrion e collaboratori (73) ha riscontrato una
correlazione significativa tra modalità di progressione della malattia epatica in
pazienti con ricorrenza da Virus dell’Epatite C dopo il trapianto e incremento della
Stiffness tra misurazioni condotte nel primo anno. Tale studio conclude che, a
partire da parametri serici, quale la bilirubina, dall’età del donatore di fegato e
dalla progressione nel valore di Stiffness è possibile prevedere una lenta o una
rapida progressione della fibrosi epatica nel post-trapianto.
4. ACOUSTIC RADIATION FORCE IMPULSE (ARFI)
L’ARFI è una metodica elastometrica che fornisce una valutazione quantitativa
della Stiffness epatica. Il Software prodotto e stato distribuito originariamente
dalla Siemens ma è stato proposto di recente anche dalla Philips. Come già
spiegato in precedenza tale metodica va ad implementare le funzioni degli ecografi
di ultima generazione, permettendo la scelta della regione di interesse (ROI) su
un’immagine Bmode real time. Questo rende possibile non solo evitare strutture
vascolari ma anche selezionare aree di particolare interesse quali le lesioni focali.
55
Il paziente è posto in decubito supino con il braccio destro in massima abduzione e
viene richiesto di effettuare una pausa a fine espirazione. Per quanto concerne la
respirazione infatti i dati in letteratura suggeriscono un aumento della Stiffness
misurata nei pazienti che effettuano manovra di Valsalva. Allo stesso modo viene
raccomandato il digiuno così come per il Fibroscan: di recente su Hepatology
Arena U. et al (74) hanno pubblicato un lavoro che dimostra un aumento
significativo della Stiffness epatica nei pazienti che effettuano un pasto, aumento
tanto più significativo quanto maggiore è la Stiffness reale. E’ pertanto
raccomandato un digiuno di almeno 120 minuti.
Per quello che riguarda la selezione della ROI l’esame si effettua comunemente a
carico dei segmenti di destra, per lo più ponendo la sonda in posizione intercostale.
I dati in letteratura suggeriscono valori di Stiffness lievemente ma
significativamente più elevati a carico dei segmenti di sinistra. Lo studio di Jaffer
et al (75) ha dimostrato una scarsa ripetibilità inter e intra-operatore delle
misurazioni ottenute sul terzo segmento epatico e suggerisce inoltre di effettuare la
misurazione a maggiore distanza possibile dalla capsula epatica.
Nella comune pratica, osservando quanto riportato in letteratura, in analogia con il
Fibroscan vengono di norma effettuate fino a dieci misurazioni. Per quanto
riguarda l’ottenimento di un risultato accurato alcuni studi hanno confrontato
l’elastometria mediante ARFI con il dato istologico; i dati ottenuti mostrano che il
fattore cruciale è il valore di interquartile che deve essere > 30% del valore di
Stiffness risultante mentre il Success Rate, cioè il numero di misurazioni valide sul
totale delle misurazioni effettuate, non è un dato significativo. Da segnalare che il
Software fornisce automaticamente la stima della deviazione standard ma non
dell’IQR e non registra i tentativi falliti di misurazione. Un recente studio di
confronto tra dato istologico e biopsia epatica ha confermato che valori di
deviazione standard superiore allo 0.3 sono significativi di una ridotta accuratezza
diagnostica della misurazione ottenuta (100).
56
Il confronto con la biopsia epatica ha reso inoltre possibile l’identificazione dei
parametri biochimici e istologici in grado di influenzare la Stiffness:
contrariamente a quanto visto per il Fibroscan la steatosi epatica non influenza la
misurazione. D’altro canto l’attività di malattia, espressa dal rialzo
dell’alaninoaminotransferasi e da un grading istologico secondo Ishak > A2,
aumenta il dato risultante; va segnalato tuttavia che i dati presenti in letteratura
sono spesso contrastanti tra di loro (72-73). Uno studio recente ha mostrato come
la presenza di ittero ostruttivo influenzi la misurazione ottenuta, in analogia con
quanto riportato in letteratura per il Fibroscan (101).
Per quanto riguarda le caratteristiche del paziente valori elevati di BMI
influenzano negativamente la fattibilità e l’accuratezza della misurazione
elastometrica seppur in modo meno importante di quanto visto per il Fibroscan.
Nello studio multicentrico di Sporea et al. condotto su una popolazione di circa
1000 pazienti L’ARFI risulta fattibile nel 99,6% dei casi.
4.1 L’ARFI nella popolazione sana e nei soggetti affetti da malattia epatica
cronica
Numerosi studi hanno indagato il valore di Stiffness epatica misuranti con ARFI
riferibili alla popolazione “sana”. Nella tabella 7 sono riportati i risultati degli
studi più significativi.
Autore Numero pazienti Stiffness media e range
Horster S et al76 68 1.19 (0.77 – 1.63)
Goertz et al77 30 1.09 (0.79 – 1.32)
Kim et al78 133 1.08 (1.06 – 1.11)
Karlas et al79 50 1.28 + 0.19
Chang et al80 42 1.07 (1.04 – 1.09)
57
Tabella 7 Valore di Liver Velocity riscontrata su soggetti sani in differenti studi
Per quello che riguarda invece la stadiazione della malattie epatiche croniche gli
unici dati presenti in letteratura riguardano i soggetti affetti da malattia HCV-
correlata.
Il primo studio pubblicato nel 2009 (107) fu condotto su una popolazione di circa
90 soggetti affetti da epatopatia virale cronica HCV e HBV correlata, confrontando
ARFI con Fibroscan e markers sierici. In prima istanza le performance delle due
metodiche elastometriche risultavano per lo più sovrapponibili. Il valore di cut-off
proposto per la diagnosi di cirrosi fu 1.75 m/s (Sensibilità 0.9, Specificità 0.79) e di
1.45m/s per la presenza di fibrosi severa (< F3, Sensibilità 0.83, Specificità 0.86),
1.55 m/s per la presenza di fibrosi severa se considerati i soli pazienti HCV.
Lo studio più numeroso è stato condotto da Sporea et al (81) ed ha interessato oltre
1000 pazienti. Tuttavia il reclutamento dei pazienti e la lettura delle biopsie
epatiche è stata effettuata in centri differenti e nella popolazione coesistono
soggetti di etnia caucasica con soggetti asiatici. Nel dettaglio proprio in relazione
all’etnia sono stati riscontrati valori molto più elevati nei soggetti asiatici per
ciascun stage di fibrosi. L’area sotto la curva ROC per i valori di cut off proposti
varia dallo 0.8 nell’identificazione dei paziente con fibrosi significativa (F>2
secondo METAVIR) allo 0.85 nei pazienti cirrotici. Considerando i bias legati
alla popolazione oggetto di studio e alla valutazione istologica è più utile fare
riferimento ad un altro lavoro condotto dallo stesso gruppo su 112 pazienti affetti
da HCV: i cut-off riscontrati, come mostrato nella tabella 8 sono più omogenei a
quelli di altre casistiche.
Studio molto interessante è quello pubblicato nel 2011 da Rizzo L. et al (82)
condotto su 146 pazienti: in questo caso l’AUROC varia dallo 0.86 nel
riconoscere una fibrosi significativa fino allo 0.9 nell’identificare la presenza di
58
fibrosi. Di seguito riportiamo i valori di cut off proposti dai due studi suddetti e le
rispettive AUROC.
Sporea et al81 Rizzo et al82
F> 2
Cut - off
AUC
1.34 m/s
0.86
1.3 m/s
0.86
F > 3
Cut - off
AUC
1.61 m/s
0.94
1.7 m/s
0.84F=4
Cut-off
AUC
2 m/s
0.9
2 m/s
0.89
Tabella 8 Cut-off per stadi di fibrosi progressivi secondo lo score METAVIR identificati nello studio di Lupsor et al (81) e di Rizzo et al (82).
Nel 2013 Friedrich-Rust et al (83) hanno pubblicato un lavoro condotto su una
popolazione di 130 pazienti affetti da HBV. Una parte di questi è stata sottoposta a
Fibroscan e tutti a valutazione istologica. I dati dimostrano una buona accuratezza
nell’identificare una fibrosi significativa, F> 2 secondo lo score METAVIR,
59
(AUROC 0.97) utilizzando tuttavia un cut-off pari 1.03 m/s, valore basso
considerando i valori di riferimento della popolazione normale mostrati nella
tabella 7 e che di conseguenza ha un’alta specificità (90%) ma una sensibilità
insoddisfacente (50%).
Non esistono in letteratura lavori sulla valutazione di pazienti sottoposti a trapianto
epatico, se si eccettua un’esigua casistica pediatrica di recente pubblicazione (84).
5. VALORE PROGNOSTICO DELL’ELASTOMETRIA EPATICA:
COMPLICANZE DELLA CIRROSI ED IPERTENSIONE PORTALE
5.1 Fibroscan
La possibilità di utilizzare il dato elastomerico oltre il mero dato di correlazione
con la fibrosi istologica, ma anche come dato di rilevanza clinica e quindi come
fattore prognostico di evoluzione di malattia e di insorgenza delle sue complicanze
costituisce di certo l’aspetto più interessante per il clinico.
Vergniol et al hanno di recente pubblicato uno studio, condotto su una popolazione
di 1457 pazienti, che ha dimostrato come la Stiffness epatica sia un fattore
predittivo di sopravvivenza a 5 anni più forte del dato istologico (96).
Per quello che riguarda invece il rischio di sviluppare un’epatocarcinoma esistono
in letteratura due studi prospettici, uno condotto su una popolazione HCV (97) ed
uno su una popolazione HBV (98). In entrambi, come atteso, il rischio di
sviluppare epatocarcinoma aumenta progressivamente all’aumentare della
Stiffness Epatica non solo nei pazienti cirrotici vs i non cirrotici, ma identificando
classi di rischio progressive all’interno del dei soli cirrotici.
La correlazione tra rigidità epatica e ipertensione portale, valutata attraverso la
misurazione del gradiente pressorio porto-epatico (HVPG), metodica di
60
riferimento nella diagnosi e nella stadiazione dell’ipertensione portale, è stata
oggetto di studio di alcuni lavori. Il primo è quello di Vizzuti e collaboratori i
quali hanno riscontrato una buona correlazione tra HVPG e Stiffness epatica per
valori pressori tra 10 e 12 mmHg, cioè nel range di valori che definiscono la
presenza di ipertensione portale. All’aumentare però della HVPG sopra i 12 mmHg
l’analisi di regressione lineare ha mostrato una correlazione scarsa, risultando
quindi non affidabile nel definire il rischio di complicanze secondarie alla severità
del quadro di ipertensione portale. Tale risultato suggerisce che, nonostante
l’elastografia epatica transiente rifletta un progressivo aumento della fibrosi che
correla ovviamente con l’aumento dell’ipertensione portale non può ritenersi
valido nel descrivere il complesso insieme di cambiamenti emodinamici
caratteristici dell’ipertensione portale (85). Di conseguenza non risulta
sorprendente che ulteriori studi, pur avendo suggerito ruolo predittivo della
presenza di varici esofagee per valori di stiffness compresi tra 13,5 KPa e 21,5 KPa
(AUROC tra 0.76 e 0.85) , hanno concluso che l’elastometria epatica non permette
di identificare la presenza di varici a rischio di sanguinamento. E’ inoltre
interessante notare che il Fibroscan ha un’accuratezza nel predire la presenza di
varici esofagee non superiore a quello si alcuni markers serici come il tempo di
protrombina e la conta piastrinica. Se ne conclude che il Fibroscan è attualmente
inadeguato per predire in modo affidabile la presenza e la severità dell’ipertensione
portale e che ad oggi l’endoscopia rimane l’unico metodo per escludere con
certezza o evidenziare la presenza e la severità delle varici esofagee (86 -88).
Infine un recente lavoro, pubblicato da Berzigotti et al a Gennaio 2013 su
Hepatology, ha correlato la liver stiffness epatica misurata mediante Fibroscan con
la misurazione dell’HVPG e con la valutazione endoscopica della presenza e
grandezza delle varici esofagee. In tale studio la Liver Stiffness è risultato essere il
miglior metodo per predire la presenza di ipertensione portale significativa ed
anche di varici esofagee, confrontato con parametri comunemente usati nella
61
valutazione dei pazienti cirrotici quali la conta piastrinica, il diametro longitudinale
della milza e il rapporto tra questi due. Dalla combinazione della Stiffness, del
diametro longitudinale della milza e della conta piastrinica hanno elaborato e
proposto un modello matematico, consultabile all’url
www.ciberehd.org/platformsand-services/calculator?set_language_en, che
identifica la presenza di varici esofagee con un’AUROC pari circa a 0.9 (66).
5.2 ARFI
In letteratura esistono pochi lavori che studiano la correlazione tra ARFI e
ipertensione portale e tutti correlano il dato elastomerico con la presenza di segni
endoscopici di ipertensione portale, mai con la misurazione dell’HVPG che è
ritenuto, come detto, il gold standard nella diagnosi e definizione di ipertensione
portale. Se ciò da una parte permette di dare un’immediata utilità clinica ai dati
elaborati, dall’altra parte fornisce un bias notevole che forse è alla base dei dati
contrastanti che sono stati ricavati e che sono riportati di seguito.
Tra i primi studi c’è quello del gruppo rumeno di Bota S. et al (89) condotto su 57
pazienti affetti da cirrosi epatica: in questi caso gli autori hanno effettuato la
valutazione della stiffness non solo a livello epatico ma anche a livello splenico. I
dati riportati mostrano che nessuna delle due misurazioni è in grado di predire in
maniera accurata né la presenza né la severità delle varici esofagee (AUROC 0.76
per LS e 0.73 per splenic stiffness; non riportati i valori di sensibilità e specificità).
Un successivo lavoro dello stesso gruppo, ha riscontrato valori di splenic stiffness
significativamente più alto in pazienti con varici esofagee grandi (F2-F3) se
confrontati con cirrotici con varici esofagee piccole o assenti (102). Tuttavia il cut-
off di 2.55 m/s identificato in questa casistica per predire la presenza di varici
esofagee grandi appare francamente basso ed in effetti pur avendo una buona
62
sensibilità (96.7%) ha una specificità assolutamente insoddisfacente (47.6%). Il
secondo studio (90) presenta i dati relativi 260 pazienti affetti da epatite cronica
HBV-correlata, di cui oltre la metà cirrotici: in questa casistica la valutazione della
Stiffness Splenica identifica con buona accuratezza la presenza di varici esofagee
(AUROC 0.83 per cut-off 3.16 m/s) ma non discrimina tra varici esofagee di
grandi e piccole dimensioni, pur esistendo un trend di valori crescenti nei diversi
stadi di varici esofagee.
Rust et al nel 2012 hanno confrontato Fibroscan ed ARFI nella capacità di predire
la presenza di varici esofagee e di varici F3: in tale studio il Fibroscan sembra
avere una maggiore potere predittivo (91).
Un ulteriore lavoro, pubblicato nel 2013 su Gastroenterology (92) e condotto su
317 pazienti asiatici affetti da cirrosi epatica, ed è mirato a studiare la correlazione
tra stiffness splenica misurata mediante ARFI e presenza di varici esofagee: la
conclusione suggerisce un valore predittivo di tale parametro nell’identificare i
pazienti con varici esofagee e quelli con varici esofagee ad alto rischio di
sanguinamento. Nel dettaglio nei pazienti con valori di spleen stiffness al di sotto
di 3.3 m/s sembra potersi escludere la presenza di varici esofagee a rischio di
sanguinamento con una buona accuratezza mentre cut-off di 3.18 m/s è stato
suggerito per l’identificazione di pazienti con varici esofagee (sensibilità:98.5%;
specificità: 60.1%). Una stiffness splenica pari o maggiore di 3.3 m/s permette
l’identificazione di pazienti con varici esofagee ad alto rischio di sanguinamento
(sensibilità: 98.9%; specificità:62.9%).
Il lavoro più recente (103) rileva un cut-off di 3.1 m/s per predire la presenza di
varici esofagee (Se 96.4% Sp 88.5%) ma non riscontra valori crescenti
all’aumentare di dimensioni delle varici esofagee. Questo lavoro propone inoltre
un metodo standardizzato di misurazione che prevede valutazioni a carico di tutte
le porzioni della milza e conferma una buona ripetibilità della misurazione.
63
Un ultimo studio ha valutato la variazione della stiffness epatica e splenica a in 10
pazienti sottoposti a posizionamento di shunt porto-sistemico intraepatico (TIPS)
osservando una correlazione della rigidità splenica con il cambiamento della
pressione portale. Questo studio suggerisce pertanto la presenza di una
correlazione diretta tra pressione osservata in vena porta e elastometria splenica
mediante ARFI (93).
6. SCOPI DELLO STUDIO
a – Definizione dei valori di riferimento dell’ARFI per diversi stadi di epatopatia a
diversa eziologia. Confronto con la biopsia epatica.
b – Confronto ARFI vs Fibroscan in diverse situazioni cliniche: epatopatie
croniche di diversa eziologia e gravità.
c – Valore prognostico dell’ARFI in pazienti affetti da epatopatia cronica di
diversa eziologia e gravità
d – Valutazione mediante ARFI della stiffness splenica e correlazione con il grado
di ipertensione portale
7. METODI
Lo studio è di tipo prospettico L’ARFI ed il Fibroscan sono stati effettuati presso il
Servizio di Ecografia della divisione di Gastroenterologia del Dipartimento di
MeTdicina Clinica, Policlinico Umberto I.
L’elastometria unidimensionale transiente è stata effettuata con Fibroscan
(ECHOSENS France 153 avenue d’Italie FR-75013 PARIS). Tutti i pazienti sono
64
stati esaminati dopo un digiuno di almeno sei ore, in posizione supina con il
braccio destro iperabdotto e in respirazione corrente. Sono stati accettati solo esami
con caratteristiche di buona accuratezza quale il numero massimo di 16
misurazioni con un success rate del 60% e un Intervallo in interquartile non
superiore a 0.3. . La sonda, come da indicazioni della casa produttrice, è stata posta
lungo uno spazio intercostale destro, e le misurazioni sono state effettuate tutte a
livello dei segmenti epatici di destra.
L’elastometria bidimensionale mediante ARFI è stata eseguita con un ecografo
Sonoline S2000 (Siemens Medical Solutions USA, Inc.Ultrasound Division1230
Shorebird Way P.O. Box 7393 Mountain View, CA 94039-7393 USA) presso il
Servizio di Ecografia del Policlinico Umberto I, diretto dal Prof Adriano De Santis.
Gli esami ecografici e le valutazioni elastometriche sono state eseguite da
personale addestrato. I pazienti esaminati avevano tutti osservato una periodo di
digiuno di almeno sei ore e la misurazione è stata effettuata bloccando il respiro
alla fine della fase di espirazione.. La misurazione delle Stiffness epatica è stata
effettuata nell’area più facilmente esplorabile e per lo più sui segmenti del lobo
destro epatico. Nel dettaglio solo il 3% circa delle misurazioni è stata effettuata sul
lobo sinistro (sul terzo o sul quarto segmento) mentre il restante 97% è stato
acquisito sul lobo destro (62% segmento ottavo, 33% quinto segmento e il 2% a
livello di settimo e sesto segmento). La misurazione della Stiffness splenica,
anch’essa effettuata a fine fase espiratoria, è stata eseguita sul polo inferiore della
milza, a maggiore distanza possibile dalle strutture vascolari dell’ilo splenico.
I dati anamnestici, clinici e gli esami ematochimici sono stati ricavati dall’analisi
delle cartelle ambulatoriali dei pazienti afferenti al nostro ambulatorio di
Epatologia.
Le biopsie epatiche sono state eseguite su indicazione clinica e l’arruolamento del
paziente nello studio è avvenuto al momento dell’esecuzione della manovra. Sono
65
state tutte effettuate presso il Dipartimento di Medicina Clinica, con il Prof
Adriano De Santis come primo operatore.
I dati sono stati gestiti mediante archivi elettronici in formato Excel e
l’elaborazione effettuata mediante il software statistico SPSS.
8. RISULTATI
a – Definizione di valori di riferimento dell’ARFI per diversi stadi di
epatopatia a diversa eziologia. Confronto con la biopsia epatica.
Cinquantanove pazienti senza patologia epatica nota sono stati sottoposti a
misurazione elastometrica con ARFI e considerati controlli sani. La Liver velocity
media risultante in questa popolazione è pari a 1.06 + 0.12 m/s (0.83 – 1.34), in
valore paragonabile alle casistiche riportate in letteratura (Tab 7). Non sono state
riscontrate differenze statisticamente significative suddividendo la popolazione per
fasce d’età, sesso e classi di IMC (Fig 15)
p=ns
66
Figura 15 Valori di Liver velocity (m/s) in soggetti sani in relazione all'età (in alto a sinistra), al sesso
(in alto a destra) e all'IMC (in basso).
Sessantuno pazienti sottoposti a biopsia epatica per indicazione clinica e per lo più
riferibili a pazienti con un rialzo degli indici di citolisi e colestasi da cause non
precisate, sono stati sottoposti a valutazione elastometria mediante ARFI subito
prima dell’esecuzione della biopsia. Il dato istologico è stato classificato secondo
lo score di METAVIR. I valori di Liver Velocity mediani e il range riscontrati in
ciascuna classe METAVIR nella nostra popolazione sono: F0 – F1 pari a 1.17 +
0.22 m/s (range 0.65 – 1.6), per F2 1.69 + 0.7 m/s (range 0.77 – 2.86), F3 2.03+
0.75 m/s (range 0.84 –3.07) e F4 2.78 + 0.8 m/s (1.45 – 4.32) (Fig 16).
67
Figura 16 Confronto con la biopsia epatica: valori di liver velocity in ciascuna classe METAVIR. I box definiscono il primo ed il terzo quartile, la linea nel orizzontale i valori mediani e le linee verticali il range di valori.
Abbiamo quindi indagato la capacità diagnostica dell’ARFI nell’identificare la
presenza di fibrosi significativa (F>2 secondo lo score METAVIR) e di fibrosi
severa (F>2 secondo lo score METAVIR). I valori di cut-off che forniscono la
migliore performance diagnostica sono: 1.41 m/s per l’identificazione di fibrosi
significativa (sensibilià pari a 0.85 e specificità 0.86) e 1.66 m/s per
l’identificazione di fibrosi severa (Sensibilità 0.82, specificità 0.92).
b – Confronto ARFI vs Fibroscan in diverse situazioni cliniche: epatopatie
croniche di diversa eziologia e gravità
68
METAVIR F1 F2 F3 F4 n° paz (27) (7) (11) (16)
0,50
1,50
2,50
3,50
4,50
1 2 3 4
P
Live
r Vel
ocity
(m/s
)P<0.01
Centoquindici pazienti affetti da malattia epatica cronica virus-correlata (94 HCV,
18 HBV e 3 HCV/HIV) afferenti agli ambulatori di Epatologia del Dipartimento di
Medicina Clinica sono stati sottoposti a valutazione elastometrica epatica sia con
il Fibroscan che con l’ARFI ad una distanza di tempo non superiore ai sei mesi. In
questa tipologia di pazienti c’è una forte correlazione tra il dato fornito dal
Fibroscan e quello fornito dall’ARFI come mostrato nella Figura 17.
Figura 17 Correlazione lineare tra elastometria epatica effettuata mediante Fibroscan ed ARFI in un gruppo di pazienti affetti da malattia epatica cronica virus correlata.
Considerando i cut-off riportati da Castera et al (cfr Tab 1) per il Fibroscan il
disaccordo tra le due metodiche c’è stato nel 31.2 % dei pazienti (Fig 18/A). Nel
dettaglio nel 60.5% di questi il disaccordo è quantificabile in un grado di fibrosi, in
due nel 31.6% , di tre nel 7.9% (Fig 18/B).
69
0,0
26,7
53,3
80,0
0,0 1,5 3,0 4,5ARFI (m/s)
FIB
RO
SC
AN
(kP
a)
r= 0.83p><0.001
Figura 18 Percentuale di concordanza nella stadiazione di malattia tra ARFI e Fibroscan nella nostra popolazione di pazienti (A) e grado di disaccordo (B). I cut-off considerati sono quelli proposti da Castera et al nel 2005 (cfr tab 1).
La figura 19 mostra il disaccordo nella popolazione dei pazienti HCV sottoposti a
Fibroscan ed ARFI: l’accordo è più elevato nell’individuare la fibrosi assente e
severa (F0/1 e F4 secondo METAVIR), mentre è più debole negli stadi di fibrosi
F2-F3. Le quattro aree sono disegnate considerando il valore di cut-off proposto da
Castera per il Fibroscan per identificare una fibrosi maggiore di F3 (9.5 kPa): le
aree in verde sono le aree di accordo viceversa le rosse quelle di disaccordo più
importante, come atteso, per la fibrosi intermedia (F1-F2).
70
Figura 19 L'area del grafico di correlazione è divisa in quattro riquadri disegnati a partire dal cut-off di 9.5 kPa proposto da Castera et al nel 2005 per identificare la presenza di una fibrosi inferiore o uguale ad F3. In rosso le aree di disaccordo, in verde di accordo. I risultati dell’ARFI sono stati convertiti in kPa applicando il modulo di
Young.
La tabella 9 mostra le caratteristiche principali del gruppo di pazienti in cui le
metodiche concordano confrontato con il gruppo in cui c’è disaccordo. Dalla
tabella non si evincono sostanziali differenze tra i due gruppi se si eccettuano i
valori di Fosfatasi Alcalina e il Diametro Longitudinale della Milza, entrambi ai
limiti della significatività.
71
(kPa)
Tabella 9 Principali variabili ematochimiche, antropometriche, ecografiche ed eziologiche nei pazienti in cui le due metodiche concordano o meno.
Abbiamo valutato 49 pazienti sottoposti a trapianto ortotopico di fegato, tutti
sottoposti ad esame ecografico e a valutazione della Stiffness epatica mediante
Fibroscan in + 4 mesi dall’esecuzione dell ARFI. In un sottogruppo di pazienti
abbiamo acquisito anche il dato istologico, nell’arco di tre mesi dalla valutazione
elastometrica
Come atteso, esiste una correlazione diretta statisticamente significativa (r=0.69; p
<0.0001) tra le due metodiche elastometriche nella valutazione dei pazienti
sottoposti a trapianto epatico (Fig 20)
72
0,0
20,0
40,0
60,0
80,0
0,5 1,4 2,3 3,1 4,0ARFI (m/s)
FIB
RO
SC
AN
(kP
a)
Figura 20 Correlazione tra misurazione della Stiffnes Epatica mediante ARFI e Fibroscan in una popolazione di 49 pazienti sottoposti a trapianto ortotopico di fegato (r=0.69; p<0.0001)
In un sottogruppo di pazienti, affetti da malattia epatica HCV-correlata, era
disponibile lo staging secondo lo score di Ishak e la valutazione elastometrica con
Fibroscan (n 20) e con ARFI (n 23). Dall’analisi dei dati se ne evince che entrambe
le metodiche sono in grado di identificare tutti i pazienti con uno staging superiore
a 4 nella nostra popolazione (Fig 21): nel dettaglio il cut-off per il Fibroscan è
risultato pari a 14.1 kPA per l’ARFI 2.08 m/s.
Figura 21 Valori di Liver Stiffness e Stage secondo Ishak, misurati con ARFI (a sinistra) e con Fibroscan (a destra) nel trapianto epatico. Le linee orizzontali rappresentano il valore di cut off per stage secondo Ishak > 4.
73
c – Valutazione valore prognostico dell’ARFI in pazienti affetti da epatopatia
cronica di diversa eziologia e gravità
Abbiamo arruolato pazienti afferenti affetti da malattie epatica cronica a diversa
eziologia e severità al fine di indagare il valore prognostico dell’elastometria
epatica, correlando il dato elastometrico all’arruolamento con l’incidenza delle
complicanze più significative legate alla malattia epatica cronica quali lo
scompenso ascitico, l’encefalopatia epatica e l’insorgenza di epatocarcinoma.
Abbiamo inoltre considerato la sopravvivenza dei pazienti in relazione alla liver
velocity misurata all’arruolamento.
Le caratteristiche della popolazione sono presentate nella tabella sottostante:
Popolazione (n=202)
Sesso M/F 126/76
Età (media + ds) 58.8 + 11
Cirrosi SI/NO 132/83
Child Pugh score (media + ds) 6.1 + 1.5
Liver Velocity (media + ds) 2.14 + 0.86
Eziologia (n -%)
HCV
HBV
EtOH
Altro
106 – 53.8%
23 – 11.7%
25 – 12.7%
48 – 21.8 %
Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad esame ecografico dell’addome superiore
completo nella stessa data in cui sono stati sottoposti alla valutazione elastometrica
mediante ARFI.
74
Di seguito riportiamo la correlazione tra elastometria e le principali caratteristiche
ecografiche associate con la presenza e la severità della malattia epatica cronica.
Il primo dato considerato è quello del diametro splenico, parametro
imprescindibile nella valutazione ecografico di un paziente con malattia epatica
cronica, considerato un predittore forte della presenza e della severità di
ipertensione portale cioè il diametro longitudinale della milza: la correlazione è
direttamente lineare con r=0.46 (p <0.0001) (Fig 22).
5,0
11,3
17,5
23,8
30,0
0,0 15,0 30,0 45,0 60,0Liver Stiffness (m/s)
Dia
met
ro L
ongi
tudi
nale
Milz
a (c
m)
Figura 22 Correlazione lineare tra Valore di Liver Velocity e diametro longitudinale splenico
Come atteso non esiste una correlazione significativa tra diametro longitudinale del
lobo destro del fegato e Liver Stiffness.
Abbiamo quindi valutato la correlazione tra Stiffness Epatica e diametro della vena
porta, della vena splenica e mesenterica: per tutti e tre questi parametri esiste una
correlazione diretta, significativa da un punto di vista statistico per vena porta e
mesenterica. Abbiamo inoltre riscontrato una correlazione inversamente
75
proporzionale, debole ma statisticamente significativa (p=0.01) tra velocità media
del flusso in vena porta (considerata la media della velocità medie registrate) e
dato elastomerico (Fig 23). La correlazione con il diametro della vena splenica è
risultata essere pressoché nulla (r=0.13) mentre quella della vena mesenterica è
risultata assimilabile con quella riscontrata per la vena porta (r=0.37).
Figura 23 Correlazione tra Liver Stiffness e Diametro della Vena Porta (a sinistra, p<0.001) e Velocità
media del flusso in Vena Porta (a destra, p=0.01).
Nella Figura 24 i box rappresentano il valore mediano e il range di Liver Velocity
nei pazienti con riscontro ecografico di ecostruttura epatica disomogenea vs
omogenea (2.4 + 0.81 vs 1.71 +0.75) e con superficie irregolare vs liscia.( 2.41 +
0.68 vs 1,64 + 0.68) (p<0.0001).
76
Figura 24 Liver velocity in relazione all’aspetto ecografico del parenchima e della superficie epatica. I box definiscono il primo ed il terzo quartile, la linea nel orizzontale i valori mediani e le linee verticali il range di valori.
Abbiamo quindi diviso la popolazione in tre gruppi a seconda dei valori di liver
velocity, espressi in kPa, all’arruolamento: G1 < 10 kPa (n 79), G2 >10 < 20 kPa
(n 62) e G3 > 20 kPa (n 61). Di seguito riportiamo le caratteristiche dei gruppi così
identificati.
G1
< 10 kPa
G2
> 10 < 20 kPa
G3
> 20 kPa
P
GOT (x vn) 1.08 + 0.6 2.1 + 1.9 1.8 + 2.7 < 0.01 G1 vs G2/3
GPT (x vn) 1 + 0.7 1.6 + 1.5 1.3 + 1.8 ns
PLT (x103 mm3) 176 + 88 115 + 62 93 + 45 < 0.01 G1 vs G2/3
< 0.05 G2 vs G3
INR 1.16 + 0.25 1.16 + 0.25 1.3 + 0.28 <0.01 G3 vs G1/2
Bilirubina Totale (mg/dl) 0.85 + 0.6 1.5 + 1.5 1.9 + 1.8 < 0.01 G1 vs G2/3
Albumina (gr/dl) 4.1 + 0.5 3.8 + 0.5 3.6 + 0.7 < 0.01 G1 vs G2/3
Eziologia
HCV/HBV/EtOH/Altro 49/11/9/10 33/8/13/8 24/4/13/20 < 0.05
77
Per ciò che riguarda lo scompenso ascitico abbiamo escluso dall’analisi statistica
tutti i pazienti con una storia di ascite nota (n=48) ed i pazienti con diagnosi
pregressa o incidente di epatocarcinoma (n=28).. L’incidenza Cumulativa nel
gruppo G3 vs G2 vs G1 a 365 e 730 giorni di follow up è risultata rispettivamente
pari a: 17.2% vs 0% vs 1.4% e 20.7% vs 11.1% vs 1.4% (LogRank test <0.05).
Nella Figura 25 sono rappresentate le curve di Kaplan-Meier. La media +
deviazione standard del follow up è pari a 535 + 279 giorni,. Il numero di pazienti
con riscontro del primo episodio di scompenso ascitico è 12 pari al 9.5% della
popolazione considerata.
Figura 25 Curve di incidenza del primo episodio di scompenso ascitico nella popolazione stratificando la popolazione per il valore di Liver Velocity all'arruolamento (G1 < 10 kPa; G2 > 10 < 20 kPa; G3 > 20 kPa).
Abbiamo quindi considerato l’incidenza nella stessa popolazione del primo
episodio di encefalopatia epatica maggiore, escludendo i pazienti sottoposti a
posizionamento di stent porto-sistemico (TIPS) (n=20). Dopo due anni di follow
78
G1
G2
G3
up nel Gruppo 1 (LV < 10 kPa) nessun paziente è andato incontro al primo
episodio di encefalopatia epatica, mentre nel gruppo 2 (LV > 10 < 20 kPa)
l’incidenza e del 7.6% (4 pazienti) e nel gruppo 3 (> 20 kPa) del 6.1% (3 pazienti)
(LogRank test <0.01).
La Figura 26 mostra l’incidenza del primo episodio di scompenso, sia esso ascite
o encefalopatia epatica, nella popolazione selezionata (LogRank test <0.01):
l’incidenza a due anni di follow up è risultata in G3 vs G2 vs G1 pari a 14% vs
11.1 % vs 2.6%. La media + deviazione standard del follow up è pari a 535 + 279
giorni.
Figura 26 Curve di incidenza del primo episodio di scompenso (ascite e/o encefalopatia epatica) stratificando la popolazione a seconda del valore di Liver Velocity all'arruolamento (G1 < 10 kPa; G2 > 10 < 20 kPa; G3 > 20 kPa).
Abbiamo quindi elaborato i dati relativi l’incidenza all’epatocarcinoma nella
popolazione selezionata, escludendo i pazienti con pregressa diagnosi di
79
epatocarcinoma (n 19) e i pazienti con diagnosi di epatocarcinoma nei primi 180
giorni di follow up ( n 2). Abbiamo quindi diviso la restante popolazione in due
gruppi utilizzando il valore mediano di liver velocity (15.4 kPa) come cut-off:
pertanto nel Gruppo 1 sono inclusi pazienti con valori < 15.4 kPa e nel gruppo 2 i
restanti e nella tabella che segue sono elencate le caratteristiche biochimiche ed
eziologiche nei due gruppi. In questo caso abbiamo scelto di dividere la
popolazione in due gruppi visto l’esiguo numero di “casi” osservati, in accordo con
l’incidenza annua dell’epatocarcinoma stimata intorno al 3% nei pazienti cirrotici.
G1 (n=93)
< 15.4 kPa
G2 (=88)
> 15.4 kPa
p
GOT (x vn) 1.37 + 1.2 1.9 + 2.4 ns
GPT (x vn) 1.3 + 1.3 1.3 + 1.5 ns
PLT (x103 mm3) 168 + 85 98 + 55 < 0.01
INR 1.15 + 0.22 1.28 + 0.28 <0.01
Bilirubina Totale (mg/dl) 1.05 + 1.2 1.7 + 1.5 < 0.01
Albumina (gr/dl) 4.1 + 0.5 3.7 + 0.6 < 0.01
Eziologia
HCV/HBV/EtOH/Altro 58/14/4/17 38/6/20/24 < 0.001
I casi di epatocarcinoma nel perodo di follow up sono stati 11(5.5%) ma abbiamo
escluso quelli con un riscontro di epatocarcinoma nei primi 180 giorni di follow up
(n 2 pazienti). L’incidenza a due anni nel gruppo 1 è del 2.2% (4 pazienti) mentre
nel gruppo 2 è del 4.6% (5 pazienti) (Log Rank Test=0.01) (Fig 27). La media +
deviazione standard del follow up è pari a 535 + 279 giorni.
80
Figura 27 Curve di incidenza dell’Epatocarcinoma stratificando la popolazione per il valore di Liver Velocity mediano (G1<15.4 kPa; G2>15.4 Kpa).
Dei 202 pazienti arruolati 22 sono deceduti nel corso del follow up (media + dev.ss
535 + 279): 15 sono deceduti per la malattia epatica (7.5%), 7 per altre cause.
Nell’analisi statistica che segue oltre ad escludere i pazienti con causa del decesso
diversa dalla malattia epatica abbiamo escluso un paziente che è stato sopposto a
trapianto orto topico di fegato. Nella Figura 28 sono riportate le curve di Kaplan
Meier, stratificando la popolazione in tre gruppi come riportato in precedenza.
In G3 vs G2 vs G1 a 365 e 730 giorni di follow up la sopravvivenza cumulativa è
pari a 89.3% vs 98.3% vs 98.7% e 82.2% vs 94.7 vs 98.7% rispettivamente.
81
Figura 28 Sopravvivenza nella popolazione stratificata a seconda del valore di Liver Velocity all'arruolamento (G1 < 10 kPa; G2 > 10 < 20 kPa; G3 > 20 kPa).
d – Valutazione mediante ARFI della stiffness splenica e correlazione con il
grado di ipertensione portale
Abbiamo valutato le variazioni della Stiffness Splenica e della Stiffness epatica in
un gruppo di 22 pazienti sottoposti a posizionamento di shunt intraepatico porto-
sistemico (TIPS). Il TIPS è stato posizionato presso il Dipartimento di Scienze
Radiologiche del Policlinico Umberto I, dall’equipe del Prof Carlo Maria
Salvatori. La valutazione elastometrica epatica e splenica è stata effettuata prima
del posizionamento della TIPS e una settimana dopo; nei primi tre pazienti
abbiamo raccolto i dati relativi anche al giorno 3 ma abbiamo escluso questa
valutazione intermedia rendendoci conto del fatto che i valori a livello
splenico,decrescono progressivamente fino alla settima giornata. Le misurazioni
pressorie sono state eseguite contestualmente al posizionamento del TIPS. Nella
tabella 9 sono riportate le principali caratteristiche della popolazione selezionata.
82
Età (anni) 50.1 + 12Genere (maschio/femmina) 15/7
Cirrosi (si/no) 21/1Eziologia della cirrosi epatica (n) HCV HCV + Alcohol Alcohol Budd-Chiari syndrome Autoimmune NASH CriptogeniticaSchistodomiasi
6362211
CP Score 7.6 + 1.9CP classe A/B/C (n) 6/ 13/ 2MELD score 10.8 + 4.8Indicazione TIPS (n)- Sanguinamento da varici- Ascite refrattaria
1210
Tabella 9 Caratteristiche clinica, anamnestiche e stadiazione della popolazione di pazienti sottoposti a posizionamento TIPS.
Come mostrato nella Figura 29, la Splenic Stiffness decresce parallelamente al
gradiente porto-sistemico mentre la liver velocity non risente, come atteso, dei
cambiamenti pressori portali.. In tabella 10 sono riportate le modificazioni
pressorie, elastometriche, ecografiche e doppler dopo il posizionamento del TIPS.
83
Figura 29 Nel grafico sono mostrati i valori medi di Liver Velocity (LV), Splenic Velocity (SV), Pressione Portale (PP) e Gradiente pressorio Porto-Sistemico (PPG) prima e dopo il posizionamento del TIPS. Le barre verticali indicano l’errore percentuale per ciascuna variabile.
Pre TIPS
(n=22)
Post TIPS
(n=22)
p
Gradiente porto-sistemico (mmHg) 19.8 + 5.3 6.8 + 2.9 < 0.001
Splenic Velocity (m/s) 3.68 + 0.42 2.92 + 0.6 < 0.001
Liver Velocity (m/s) 2.64 + 0.6 2.48 + 0.66 ns
Diametro Longitudinale Milza (cm) 16.9 + 4.5 17 + 3.5 ns
Diametro Lobo epatico destro (cm) 14.2 + 2.7 13.9 + 2.7 ns
Diametro Vena Splenica (cm) (n=21) 11.3 + 2.9 11.2 + 2.8 ns
Diametro Vena Porta(mm) 15.4 + 2.9 14.5 + 3.3 ns
Diametro Vena Mesenterica (mm) 11.2 + 2.7 10.8 + 2.4 ns
Velocità media Vena porta (cm/s) (n=17)
(media delle velocità medie calcolate)
12 + 3.4 28.5 + 11.5 < 0.001
Tabella 10 Parametri ecografici, doppler, pressori ed elastometrici prima e dopo il posizionamento del TIPS.
84
Analizzando singolarmente i pazienti (Fig 30/B) possiamo notare che in tre dei 22
pazienti la stiffness splenica non decresce dopo il posizionamento del TIPS. Dalla
revisione dei casi siamo riusciti a recuperare i dati del follow up di un solo
paziente in cui la valutazione elastometrica splenica scende a valori inferiori al
preTIPS dopo un mese dal posizionamento dello stesso. Nel dettaglio in questo
paziente i valori di Stiffness splenica prima del posizionamento dello stent, una
settimana dopo e un mese dopo sono risultati essere pari a: 3.23 + 0.31 vs 3.37 +
0.17 vs 2.58 + 0.14 rispettivamente. Gli altri due casi non hanno eseguito la
valutazione ecografica routinariamente prevista ad un mese: in un caso infatti la
paziente è deceduta e continuava ad avere un intake alcoolico, nell’altro caso il
paziente è stato perso al follow up.
Come evidente (fig 30/C) il dato maggiormente disperso è quello relativo alla
Liver Velocity che non segue un andamento unico: analizzando i singoli casi
abbiamo visto che la liver velocity diminuisce in modo significativamente
maggiore nei pazienti affetti da Sindrome di Budd Chiari rispetto ai pazienti affetti
da cirrosi virali e agli altri (-42% vs -9% vs +2%), come se tale dato rispecchiasse
non solo la fibrosi epatica ma anche la congestione vascolare dell’organo propria
della malattia di base.
Figura 30 Valori di PPG (A), Splenic Velocity (B) e Liver velocity (C) nei singoli pazienti pre e post posizionemaneto TIPS.
85
B
m/sm/s
A
mmHg
C
Il grafico di correlazione di seguito mostrato conferma la presenza di una
correlazione direttamente proporzionale e statisticamente significativa tra valori di
stiffness splenica e valori di gradiente porto-sistemico.
Figura 31 Correlazione tra Splenic Stiffness e Gradiente porto-sistemico (r=0.55; p<0.01)
Infine di seguito riportiamo il monitoraggio della splenic stiffness e del gradiente
porto sistemico in due pazienti sottoposti a revisione dello stent. Il paziente 1 è
andato incontro a ripetuti episodi di encefalopatia epatica non responsivi alla
terapia medica per cui, dopo 8 mesi dal posizionamento dello stent, è stata posta
indicazione ad effettuare riduzione dello stesso. Il secondo paziente è andato
incontro alla stessa complicanza dopo un mese dal posizionamento dello stent per
cui è stato dapprima sottoposto ad una riduzione quindi, per ricomparsa di ascite
intrattabile e di varici a rischio di sanguinamento è stata posta indicazione ad una
ridilatazione. Il gradiente porto-sistemico è stato misurato immediatamente dopo la
revisione dello stent mentre la misurazione elastometrica è stata effettuata una
settimana dopo la manovra. Dalla Figura 32 si evince chiaramente come la splenic
velocity scenda in maniera parallela e consensuale al calo del gradiente pressorio,
a rinforzare il dato già osservato nella casistica dei pazienti sottoposti a TIPS.
86
Figura 32 Variazioni del Gradiente porto-sistemico (in nero) e della splenic velocity (in grigio) in due pazienti sottoposti a revisione dello stent.
In conclusione, similmente a quanto appena riportato, nella Figura 33 è riportato
mostrato l’andamento della stiffness splenica in un paziente con trombosi acuta
dell’asse spleno-,mesenteric-portale sottoposti a diverso trattamenti. Anche in
questo caso la spleen velocità varia in modo consensuale alle modificazioni della
trombosi e, di conseguenza, ai cambiamenti di pressione portale attesi
87
Figura 33 Splenic Stiffness in un paziente con trombosi portale acuta sottoposta a diversi trattamenti. In basso le immagini stilizzate riportano le modificazioni, monitorate ecograficamente, della trombosi.
9. Discussione
Nei pazienti affetti da epatopatia cronica la stadiazione della malattia è un
elemento cruciale nel guidare gli atteggiamenti terapeutici e di monitoraggio
clinico. Per lungo tempo il dato istologico, e quindi l’esecuzione della biopsia
epatica, è stato ritenuto un elemento imprescindibile per un corretto inquadramento
88
dell’evoluzione della malattia. Tuttavia negli anni sono stati messi in luce diversi
limiti dell’esame bioptico, di cui il più importante è sicuramente costituito dalla
possibilità di un errore di campionamento e, quindi, di una sovra o sottostima della
fibrosi epatica (13-16) nonché la soggettività nell’interpretazione del pezzo
istologico legata all’esperienza e alla valutazione dell’anatomo patologo. Non va
dimenticato inoltre che la biopsia epatica costituisce una manovra invasiva, non
solo mal accettata dai pazienti ma potenzialmente connessa a rischi. A tal
proposito nella casistica del nostro centro, gentilmanete fornita dal Prof Adriano
De Santis, su una popolazione di 545 pazienti sottoposti a biopsia epatica in 5 anni
l’incidenza di complicanze è stata dello 0.3% (4 pazienti) e di cui solo due di fatto
riferibili alla manovra (emoperitoneo ed emobilia) ed entrambe effettuate su
lesione focale. Una recente metanalisi pubblicata da Rockey et al su Hepatology
2009 ha mostrato una mortalità complessiva su oltre 92000 biopsie dello 0.03%.
Le principali alternative alla biopsia epatica sviluppate negli ultimi anni sono
basate su due concetti molto differenti: markers serici, costruiti a partire da esami
ematochimici che rispecchiano direttamente (es. componenti della matrice
extracellulare) o indirettamente (PLT, INR, etc) la presenza di fibrosi epatica e la
misurazione della “rigidità” (stiffness) epatica.
Sia il Fibroscan che l’ARFI, e più in generale tutte le metodiche elastometriche,
ma anche la biopsia epatica, trovano il loro limite nell’inquadramento delle forme
di epatopatia in fase di evoluzione, riconoscendo invece molto bene i due estremi
di malattia. E’ evidente come la necessità del clinico invece si concentri proprio in
questa fascia di pazienti, difficili da definire con l’ausilio di esami ematochimici,
dell’ esame ecografico e dell’esame obiettivo. D’altro canto la non invasività delle
metodica e la ripetibilità di Fibroscan ed ARFI rendono possibile l’esecuzione
seirtata nel tempo della valutazione della Stiffness epatica, dando al clinico
informazioni non solo puntuali, con i limiti di accuratezza suddetti, ma anche in
89
termini di potenziale evolutivo della malattia. La via maggiormente auspicabile
sembra essere quella della combinazione delle metodiche di valutazione della
fibrosi epatica in maniera del tutto simile a quanto proposto da Sebastiani G et al
con l’algoritmo SAFE Biopsy (35) per i markers serici.
L’elastometria epatica è divenuta parte integrante della gestione clinica dei pazienti
affetti da malattia epatica cronica virus correlata sin dai primi lavori pubblicati sul
Fibroscan (44 – 45) . Già nel 2011 le linee guide per la gestione dell’infezione
cronica da HCV dell’European Association for the Study of the Liver (EASL)
ammettevano l’utilizzo del Fibroscan nell’ambito degli accertamenti volti a
valutare l’avanzamento di malattia, pur rimanendo la biopsia epatica la metodica di
riferimento (104). La necessità di una stadiazione puntuale della malattia epatica
ha acquisito di recente maggiore importanza nella valutazione dei pazienti HCV
positivi, in considerazione dell’uscita dei primi farmaci antivirali diretti (DAA) e
nell’ottica di tutte le molecole in fase di sperimentazione. In questi pazienti diviene
cruciale inquadrare correttamente l’evoluzione della malattia epatica al fine di
porre indicazione a terapie antivirali sub ottimali, come quelle attualmente sul
mercato, o di attendere farmaci antivirali a bassissimi effetti collaterali ed alta
efficacia. Infatti le ultime linee guida EASL, pubblicate ad Aprile 2014,
ribadiscono la possibilità di utilizzare il Fibroscan nel porre indicazione al
trattamento antivirale, sottolineando la necessità di considerare eventuali elementi
di confondimento, quali la transaminasemia, pur ricordando l’insostituibilità della
biopsia nel descrivere l’attività di malattia (grading) (105). Stesso discorso ha
valore nei pazienti HBV nei quali l’indicazione al trattamento antivirale viene
posta valutando l’attività citolitica ma anche la stadiazione della fibrosi: in questi
pazienti l’indicazione, anche nelle linee guide EASL di Aprile 2012, all’utilizzo
del Fibroscan è ancora piuttosto cauta vista la variabilità dei cut-off proposti in
letteratura (106).
90
All’inizio del progetto di ricerca i dati circa l’utilizzo nella pratica clinica
dell’Acoustic Radiation Force Impulse erano decisamente scarsi. Per tale motivo i
primi scopi che ci siamo prefissati e che abbiamo sviluppato hanno riguardato la
correlazione tra liver shear wave velocity e il dato istologico nei pazienti affetti da
malattia epatica cronica nonché la definizione dei valori di normalità.
Nella popolazione dei soggetti “sani”, afferiti al nostro servizio di ecografia,
abbiamo riscontrato una liver velocity media pari a 1.06 + 0.12, ai limiti bassi dello
spettro di valori riportato in letteratura presentati nella tabella 7. Nella nostra
casistica, seppur non estesa numericamente, non abbiamo osservato differenze
dividendo la popolazione per fasce d’età, sesso e BMI. Abbiamo quindi riportato i
dati di pazienti sottoposti a biopsia epatica su indicazione clinica, per lo più per
rialzo degli indici di citolisi e colestasi senza eziologia nota. Nell’identificare la
presenza di una fibrosi significativa (F<2) e severa (F>3) l’ARFI ha nella nostra
casistica una buona accuratezza: i cut-off i 1.41 e 1.66 m/s li identificano con un
sensibilità di 0.85 e 0.82 e una specificità di 0.86 e 0.92 rispettivamente.
Ovviamente su tali valori pesa il bias dell’eterogeneità della popolazione su cui
sono stati ricavati, essendo noto che l’eziologia di malattia influenza
l’interpretazione del dato elastometrico. Tuttavia se confrontati con i dati presenti
in letteratura per pazienti HCV (81-82), si evidenzia una sostanziale
sovrapposizione per ciò che riguarda l’individuazione della presenza di una fibrosi
severa (1.66 m/s vs 1.6 e 1.7 m/s), mentre il valore riscontrato nella nostra casistica
per identificare la fibrosi significativa è leggermente più elevato (1.41 vs 1.34 e 1.2
m/s). La letteratura è ancora piuttosto carente nel definire la correlazione tra
Stiffness misurata mediante ARFI e classi progressive di fibrosi nei vari settings
clinici.
Abbiamo quindi proceduto a sottoporre i pazienti affetti da malattia virale cronica
sia a Fibroscan che ad ARFI, correlando i risultati ottenuti e considerando come
91
metodica il riferimento il Fibroscan stesso. In questi dati sarebbe stato cruciale
l’ottenimento dell’informazione istologica, tuttavia l’indicazione alla biopsia
sarebbe stata nella maggior parte dei casi eticamente discutibile..
Dall’osservazione del grafico di correlazione appare evidente che se da un lato le
due metodiche sono piuttosto concordi, soprattutto nell’identificazione della cirrosi
epatica, dall’altro il risultato numerico delle due metodiche nel singolo paziente si
discosta significativamente ed è quindi auspicabile non fare un confronto diretto.
Le ultime linee guida SIUMB proprio su questo raccomandano di non confrontare
le metodiche elastometriche direttamente. Anche nel gruppo di pazienti sottoposti
a trapianto epatico si è confermata una correlazione tra le due metodiche e, in un
sottogruppo, abbiamo acquisito anche il dato istologico. Nel dettaglio sia Fibroscan
che ARFI permettono di identificare correttamente tutti i pazienti con cirrosi
epatica e il range di valori riscontrati nei vari stages istologici secondo lo score
METAVIR mostra una sovrapposizione di valori più importante nei pazienti con
fibrosi inferiore o uguale a 2 secondo lo score METAVIR. Ovviamente, pur
apparendo ancora assolutamente imprescindibile nel paziente trapiantato
l’esecuzione della biopsia epatica, la proposta di Carrion et al di un modello atto a
predire la progressione della fibrosi nel post-trapianto a partire da stiffness epatica
e parametri biochimici ha aperto uno scenario interessante sulla possibile
applicazione clinica dell’elastometria anche in questi pazienti (73).
Il concetto di Stiffness si è con il tempo distaccato dal mero concetto di fibrosi
epatica, da cui di fatto dipende solo in parte. La Stiffness di per sé è una
caratteristica fisica del parenchima che può essere influenzata da molti fattori di
cui il maggiore ma non l’unico è rappresentato dalla fibrosi epatica: ciò da ragione
del fatto che per esempio la presenza di steatosi epatica o l’infiammazione ne
influenzano il valore (48 – 55). La Stiffness inoltre può essere utilizzata non solo
nella descrizione puntuale della stadi azione di una malattia epatica cronica, ma
92
anche nel follow up di questi pazienti. L’esecuzione seriata della valutazione
elastometrica nel paziente epatopatico può fornire al clinico informazioni in
termini di evolutività della malattia, superando anche il limite delle metodiche
elastometriche in generale di non riconoscere con precisione la presenza di una
fibrosi intermedia. A questo proposito il lavoro di Vergniol et al pubblicato su
Hepatology nel 2014 dimostra il valore prognostico della liver stiffness misurata
mediante Fibroscan di per sé e a seconda delle modificazioni di misurazioni
ripetute nel tempo (57). Questo lavoro suggerisce una delle applicazioni più
interessanti dell’elastometria epatica, cioè il tentativo di attribuirle un significato
clinico e prognostico oltre che di stadiazione. Dal follow up di due anni della
nostra popolazione, costituita da 202 pazienti affetti da malattia epatica cronica,
abbiamo ricavato i dati relativi alla capacità prognostica dell’ARFI per ciò che
concerne il primo episodio di scompenso della malattia epatica e il rischio di
insorgenza dell’epatocarcinoma Sia per quanto riguarda lo scompenso ascitico che
l’insorgenza di encefalopatia epatica abbiamo riscontrato valori di incidenza
cumulativa significativamente crescenti al crescere della liver velocity. Allo stesso
modo l’incidenza di epatocarcinoma è risultata doppia nei soggetti con valori di
liver velocity superiori alla mediana della popolazione (15.4 Kpa) rispetto a quelli
con valori al di sotto: 4.5 vs 2.1% (Long Rank<0.05) In letteratura sono stati
presentati dati simili ma solo relativamente al Fibroscan (97-98). In una casistica
del nostro gruppo non presentata in questo lavoro e costituita da pazienti con prima
diagnosi di epatocarcinoma, abbiamo correlato il dato elastometrico epatico con il
rischio di scompenso post trattamento (chirurgico e radiologico) evidenziando un
maggior rischio nei pazienti con liver stiffness più elevata.
Abbiamo infine presentato i dati relativi all’utilizzo della Stiffness splenica
misurata mediante ARFI nell’identificare e monitorare l’ipertensione portale. I
risultati qui presenti sono senza dubbio preliminari e necessitano di conferme e
maggiore definizione, tuttavia sono suggestivi della possibilità di utilizzare
93
l’elastometria splenica come sfigmomanometro dell’ipertensione portale. L’idea di
base sta nel considerare la milza come il vero specchio della presenza di
ipertensione portale. Abbiamo quindi considerato un modello artificiale ma
assolutamente paradigmatico, quello dei pazienti sottoposti a posizionamento di
shunt porto-sistemico intraepatico. In questi soggetti lo scopo è quello di ridurre
rapidamente la pressione portale. Abbiamo quindi effettuato la misurazione della
siffness epatica e splenica mediante ARFI nei giorni precedenti all’apertura dello
shunt e una settimana dopo. In 22 dei 25 pazienti la stiffness splenica decresce in
modo parallelo allo HVPG mentre il valore di liver velocity risulta piuttosto
disperso. A questo proposito è interessante ribadire che nei due pazienti affetti da
malattia di Budd-Chiari la liver stiffness decresce bruscamente dopo il
posizionamento dello stent. Pur considerando questo dato convincente è evidente
che in tale modello la pressione portale si modifica in modo sostanziale ed in
tempo brevissimo, sarebbe pertanto interessante indagare se la stiffness splenica è
così sensibile da essere solidale anche con cambiamenti più piccoli quali quelli
indotti per esempio dalle terapie con betabloccanti nella profilassi del
sanguinamento da varici esofagee.
Infine abbiamo presentato il caso di tre pazienti: due sottoposti a revisione dello
stent ed uno con trombosi acuta dell’asse spleno-mesenterico-portale. Come già
mostrato nei risultati è interessante notare come la variazioni della stiffness
splencia seguano fedelmente quelle attese della pressione portale.
Lo scopo del progetto qui presentato è stato prevalentemente quello di indagare le
possibilità di utilizzo clinico del dato elastometrico. I dati possono essere
sicuramente arricchiti ampliando prima di tutto la casistica. Gli scenari che ci
sembrano più interessanti e innovativi sono quelli relativi al potere predittivo
dell’elastometria e alla possibilità di utilizzare la misurazione della stiffness
splenica come uno sfigmomanometro dell’ipertensione portale snellendo
94
notevolmente la gestione del paziente affetto da epatopatia cronica e soprattutto del
paziente cirrotico.
Dato per assunto che Fibroscan ed ARFI hanno dimostrato in letteratura e nella
nostra casistica un’accuratezza diagnostica paragonabile, è lecito pensare che tale
metodica sia destinata a soppiantare la prima. Questo per motivi essenzialmente di
ordine pratico legati alla comodità di effettuare la valutazione elastometrica
contestualmente all’esame ecografico, di per sé insostituibile strumento di
screening dell’epatocarcinoma cui tutti i pazienti epatopatici vengono sottoposti
con cadenza semestrale o annuale. In seconda istanza l’elastometria con ARFI,
essendo effettuata a partire da un immagine B mode in real time, permette non solo
una selezione migliore della ROI, esente da grandi strutture vascolari o da lesioni
focali, ma inoltre rende possibile studiare zone determinate. Nella nostra casistica,
non riportata in questo ambito, l’elastometria delle lesioni focali permette di
confermare la diagnosi di iperplasia focale nodulare mostrando un valore di
stiffness decisamente superiore a livello del nodulo rispetto al parenchima
circostante. Inoltre l’utilizzo dell’immagine B mode in real time e la possibilità di
scegliere la regione di interesse fino ad un profondità di 8 cm, rende la valutazione
elastometrica con ARFI fattibile in praticamente tutti i tipi di pazienti, dagli obesi,
ai trapiantati fino ai pazienti in fase di scompensi ascitico. D’altra parte invece il
Fibroscan, secondo dati riportati in letteratura, non fornisce un risultato accurato
in circa il 16 % della popolazione selezionata (72).
Anche da un punto di vista economico il ricorso all’ARFI è conveniente: il
Fibroscan ha un costo medio di 80000 euro in Italia, il software ARFI di circa
20000 euro, senza considerare gli alti costi di manutenzioni del primo. Ovviamente
l’ARFI richiede l’acquisto di un ecografo di ultima generazione ma d’altro canto
nei centri dedicati all’epatologia dovrebbe esserci comunque un macchinario
d’avanguardia vista la complessità dello studio del parenchima epatico.
95
In conclusione riteniamo che l’Acoustic Radiation Force Impulse sia uno
strumento utile nella valutazione della malattia epatica le cui possibili applicazioni
sono ancora oggetto di indagine ma spaziano dalla stadiazione della malattia, alla
predizione prognostica fino alla valutazione dell’ipertensione portale.
E’ d’obbligo concludere che l’elastometria non può e non deve sostituire la
valutazione clinica globale del paziente che il clinico elabora a partire da tutte le
informazioni che ha, ma può aiutare ad oggettivare un’impressione clinica e fornire
ulteriori informazioni utili nella gestione del paziente epatopatico.
10. Bibliografia
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