pubblicoefuturo - num. 1- 16 aprile 2013
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1
SCIOPERO GENERALE in Piemonte il 18 aprile
Il prossimo 18 aprile scenderanno in piazza le
persone che non ne possono più.
Sono lavoratrici e lavoratori, sono pensionate e
pensionati, sono giovani studenti, disoccupati,
esodati, precari, insomma tutti coloro che
vogliono urlare la loro riprovazione nei confronti
di un’Amministrazione della Regione Piemonte
ormai in stato preagonico.
Il numero di disoccupati nella nostra
Regione ha già oltrepassato il confine
delle più pessimistiche previsioni e la
condizione delle persone è peggiorata
ormai in modo intollerabile.
Abbiamo bisogno di un Governo che sappia
correggere le ingiustizie fin qui prodotte.
Abbiamo bisogno di un’iniziativa politica che
sappia porre rimedio alle tante iniquità
originate in questi ultimi anni.
L’aumento dell’età di accesso alla pensione
(che tra l’altro ha provocato il fenomeno degli
esodati), la mancata rivalutazione delle
pensioni, il blocco degli stipendi per molte
categorie di lavoratori, la tassa sulla casa,
sono tutti provvedimenti che hanno
contribuito a contrarre i consumi, a favorire la
recessione e a impoverire il tessuto sociale
del nostro Paese.
In Piemonte la giunta Cota ha scelto di
tagliare in modo indiscriminato i servizi alle
persone, ha deciso di chiudere alcuni
ospedali, di ridurre in modo energico la spesa
per i trasporti pubblici, di praticare la desueta
e ormai sperimentata politica dei due tempi:
prima si taglia e poi, se ci saranno le
condizioni, si valuterà il da farsi.
Contro questo modo iniquo di gestire il bene pubblico, CGIL, CISL e UIL
hanno organizzato la manifestazione e lo sciopero del 18 aprile
Questo modo di progettare gli interventi della
Pubblica Amministrazione ha prodotto, negli anni
solo risultati disastrosi che hanno contribuito a
peggiorare le condizioni di vita delle persone.
Anziché cercare soluzioni per difendere i più
deboli, invece di programmare interventi in
progetti di formazione, di aggiornamento, di
riqualificazione del personale, la giunta Cota
sprofonda nel tradizionale ricorso ai sistemi di
vallettiana memoria: i tagli, i licenziamenti, le
razionalizzazioni indiscriminate.
Il Piemonte è al collasso: molti cittadini sono al
limite della sopravvivenza, la disoccupazione,
soprattutto quella giovanile, ha raggiunto livelli
da record, il ricorso alla cassa integrazione
guadagni ha riguardato, in modo
preponderante, quasi tutti i settori produttivi, la
dispersione scolastica è aumentata in maniera
esponenziale e l’Amministrazione Cota pensa di
uscire da questa situazione di crisi con i soliti
tagli indiscriminati e con l’aumento delle tasse e
delle tariffe.
Contro questo modo approssimato e iniquo di
gestire il bene pubblico, Cgil, Cisl e Uil hanno
deciso di organizzare uno sciopero e una
manifestazione a Torino per il prossimo 18 aprile.
I lavoratori, i pensionati e i cittadini,
testimonieranno con la loro presenza il disagio,
la sofferenza e le difficoltà a condurre una vita
dignitosa e chiederanno all’Amministrazione
Cota di cambiare strategia oppure di ridare ai
cittadini la possibilità di scegliere, con il voto,
una nuova amministrazione regionale.
La circostanza dello sciopero e della
manifestazione offre anche una nuova
possibilità per rinsaldare i rapporti fra Cgil, Cisl
e Uil e fra i lavoratori programmando
assemblee e momenti di confronto in tutti i
luoghi di lavoro.
ALBERTO TOMASSO
Segretario Generale CGIL PIEMONTE
2
N. 1 – aprile 2013 In attesa di autorizzazione richiesta al Tribunale di Torino in data 29/1/2013
Il secondo numero di PubblicoeFuturo è nato dai pensieri e dalle penne di:
DANILA BOTTA Segretaria Generale Cuneo
GUIDO CATOGGIO Segretario Generale Novara - VCO
ROBERTO GALASSO Segreteria Reg.le
MARIELLA LA TERRA Segreteria Vercelli
DEBORAH LUGLI Redattore
SERENA MORIONDO Segretaria Generale Asti
MARIO PAONESSA Segretario Generale Biella
ITALO PEDACI Apparato Reg.le
LUCA QUAGLIOTTI Segreteria Reg.le/Segretario Generale Vercelli
ALBERTO TOMASSO Segretario Generale CGIL Piemonte
ENRICA VALFRÈ Segretaria Generale Torino
ALVARO VENTURINO Segreteria Alessandria
Le fotografie sono prodotte dalle compagne e dai compagni della categoria
Tutte le altre immagini sono prelevate dal web nel rispetto delle normative vigenti
Grafica e impaginazione Deborah Lugli Prodotto in proprio Funzione Pubblica CGIL PIEMONTE 10152 Torino, Via Pedrotti, 5 Chiuso il 16 aprile 2013
SOMMARIO
• SCIOPERO GENERALE IN PIEMONTE IL 18 APRILE Alberto Tomasso
• LO SGUARDO DI ROSSANA a cura di Deborah Lugli 3
• FUTURO INCERTO PER GLI ENTI LOCALI Luca Quagliotti 4
• È CAMBIATO L’ASSESSORE ALLA SANITÀ. ORA DEVONO CAMBIARE LE SCELTE Enrica Valfrè 6
• LAVORATORI PUBBLICI E PRIVATI INSIEME PER IL LAVORO E PER I CITTADINI PIÙ DEBOLI Guido Catoggio 9
• IL DISSESTO DEL COMUNE DI ALESSANDRIA Alvaro Venturino 11
• L’ASILO “VEGETARIANO” (PER FORZA) Danila Botta 14
• LAVORO PUBBLICO: UN BENE COMUNE PER I DIRITTI DI CITTADINANZA Serena Moriondo 16
• TIRA UNA BRUTTA ARIA PER I SERVIZI PUBBLICI BIELLESI Mario Paonessa 19
• PERFORMANCE, OBIETTIVI, MISSION, GOVERNANCE... Mariella La Terra 21
• ALDO DICE 26 X 1 Roberto Galasso 24
• SU, VENITE IN FITTA SCHIERA... Deborah Lugli 25
• TORTURA, CARCERI, DROGHE: UNA CAMPAGNA PER
TRE LEGGI DI CIVILTÀ Italo Pedaci 27
• Taccuino 28
• Pubblico in rete 29
3
Lo sguardo di Rossana
Apriamo con lo “sguardo” di Rossana Dettori, Segretaria Generale Nazionale FP CGIL, a mo’ di finestra aperta sul mondo del lavoro, della politica, dell’economia e della società che nelle prossime pagine verrà osservato dal punto di vista delle compagne e dei compagni che operano sul territorio regionale lavorando fiduciosi per un possibile cambiamento.
Samanta ha 38 anni, ed è un’educatrice d’infanzia, precaria da vent’anni. Vanessa di anni ne ha 34, precaria anche lei, infermiera. Lorena, anni 52, da anni alle prese con ragazze e ragazzi grandi invalidi, è precaria del Centro di educazione motoria della Croce Rossa Italiana. Insieme a loro, 150000 persone rischiano di diventare esodati senza risposte, cassaintegrati senza tutela o di rimanere giovani disoccupati, o disoccupati cinquantenni ai quali un futuro lavorativo appare inesistente. Nel mare tempestoso della loro infinita precarietà, dei loro licenziamenti, delle loro domande a cui nessuno ancora si prende la responsabilità di rispondere, lo “tsunami” di coloro che da mesi ci impongono con veemenza la facile affermazione che in politica “sian tutti uguali” sollevandosi così da una responsabilità che definiscono “altrui”, probabilmente non dà alcuna risposta. Bollando i problemi come “altri”, le responsabilità “altrove”, tentano, nelle loro frasi ridondanti e ripetute all’infinito, di definire un tratto distintivo che li distacchi dalla politica che vorrebbero “mandare a casa”, ma non hanno affatto ridotto né modificato la distanza che continua a esserci tra un Paese reale fatto di quei medici, maestri d’asilo, operatori socio-sanitari, fisioterapisti e vigili del fuoco che restano invischiati nella loro condizione precaria, rischiando il proprio futuro ogni giorno, futuro che riguarda loro come lavoratrici e lavoratori, e noi tutti come cittadini nella fruizione delle prestazioni pubbliche. La presa di distanza da “tutti” rischia di travolgere, in caso di fallimento della legislatura, anche chi quotidianamente la
invoca, poiché a quel tutti si deve opporre un
“nessuno”: a nessuno è dato di sottrarsi alle proprie responsabilità, a nessuno è permesso dire “non lo sapevo”. La Funzione Pubblica della Cgil intende
impedirlo, a tutti, in questo caso, sì,
manifestando la protesta di coloro che
continuano a subire i drammatici effetti di una
politica che deve finalmente esprimersi e
realizzarsi in un preciso atto di responsabilità
da parte di ogni singolo componente il
Parlamento.
http://senza-pubblico-sei-solo.com.unita.it/economia/2013/03/28/sono-
troll-perche-parlo-di-precari-e-servizi-ai-cittadini-2/
4
Futuro incerto per gli Enti strumentali e gli Enti locali piemontesi Nessuna sicurezza per i salari dei dipendenti regionali e dei dipendenti delle Autonomie locali. A rischio migliaia di posti di lavoro in tutto il Piemonte. Questo è il quadro della crisi che riguarda gli Enti locali della nostra regione
Il “piano” di riduzione dei costi della Regione
Piemonte non lascia intendere equivoci.
Ridurre di circa 2800 unità i posti di lavoro: tra
quelli diretti − ovvero tra i dipendenti dell’Ente
Regione − e quelli indiretti – ovvero tra i
dipendenti degli Enti strumentali e delle
Società partecipate. Un piano (è bene
precisarlo, elaborato da un consulente, ex
dirigente FIAT), basato sull’abbassamento dei
costi del personale, che non si pone l’obiettivo
di “salvaguardare” i servizi destinati ai cittadini.
Eppure l’incidenza complessiva dei costi del
personale sul bilancio regionale è ridicola:
appena l’1,61% del bilancio complessivo. Roba
che, se lo sapesse Marchionne, assumerebbe
subito i dirigenti regionali per abbassare i costi
del lavoro in FIAT. Non si comprende, quindi,
quale sia il reale scopo del piano partorito da
questo consulente d’oro – strapagato 100mila
euro l’anno – se non quello di giustificare il
proprio onorario.
Sgombriamo il campo da ulteriori equivoci. Una
riorganizzazione dell’Ente Regione Piemonte e
degli Enti a esso collegati è
necessaria. Il Sindacato,
unitariamente, lo chiede da
almeno tre anni. La differenza sta
nelle modalità con cui affrontare
questa riorganizzazione. Per il Sindacato la riorganizzazione deve partire dalla tutela del personale e dalla necessità di migliorare i servizi, passando attraverso un processo di riqualificazione professionale del personale e attraverso un ricambio generazionale assolutamente necessario. Come? Ad esempio utilizzando incentivi alla pensione per il personale dipendente più anziano
– facendo ricorso alle regole ante Fornero o alla
risoluzione anticipata, ecc. su base volontaria
– e, non appena sarà possibile, attraverso la
stabilizzazione del personale assunto a tempo
determinato. Si tratta di 198 dipendenti che,
dopo aver vinto un regolare concorso pubblico
ed essere stato formato per anni
dall’Amministrazione regionale, rischia di
perdere il lavoro a causa delle mutate leggi
nazionali - dapprima inseriti all’interno di un
percorso di stabilizzazione possibile dopo 3
anni di contratto a tempo determinato, poi
modificato dal mai abbastanza rimpianto
ministro Brunetta - ma anche a causa della
mutata politica regionale in tema di
personale. È evidente che il Sindacato ritenga
necessaria, con i percorsi consentiti dalla
legge, anche la stabilizzazione dei precari
degli enti strumentali.
Le ipotesi dell’Amministrazione regionale
sembrerebbero però orientate a riorganizzare
esclusivamente attraverso la riduzione dei
costi del personale. Due posizioni – quella
sindacale e quella della controparte – che
risultano oggi inconciliabili. La nomina del
nuovo assessore regionale, Gian Luca Vignale,
con delega al personale, alle Comunità
Montane e alle Aree protette, ovvero ai tre
grossi “capitoli” su cui vorrebbe intervenire il
“super” consulente Luppi, porterà con sè un
nuovo modo di intendere la cosa pubblica?
La nostra Organizzazione, in passato, ha espresso forti critiche sulle posizioni assunte, dall’ex consigliere Vignale. Ma siamo abituati a discutere nel merito, abbandonando ogni pregiudizio. I primi incontri avvenuti tra OO.SS. e neo-assessore sembrerebbero aver aperto la strada per un confronto. Se la discussione porterà a un accordo “lo scopriremo solo vivendo”.
Le Amministrazioni sembrerebbero orientate a riorganizzare attraverso la riduzione dei costi del
personale. Due posizioni −−−− quella sindacale e quella della controparte −−−− oggi inconciliabili
5
Ma è noto che i migliori accordi sono stati
sempre accompagnati dalla forte pressione dei
lavoratori. Una prima occasione sarà lo
sciopero del prossimo 18 aprile, organizzato
anche contro le politiche della Giunta Cota in
materia di personale.
Ai problemi occupazionali appena descritti si
aggiunge poi l’insicurezza sull’erogazione dei
salari. La Regione Piemonte, come è noto, ha
grossi problemi di liquidità finanziaria e per
questo è in forte ritardo nei trasferimenti sia ai
propri Enti strumentali – Enti parco su tutti ma
non stanno meglio gli altri Enti (ARPEA, IRES,
APL, EDISU) – sia agli Enti che svolgono
funzioni in nome e per conto della Regione:
Province, Comuni, Consorzi socio-assistenziali,
Comunità Montane. In molti di questi Enti, gli
stipendi sono garantiti attraverso anticipazioni
di cassa. Ma il continuo ricorso alle
anticipazioni di cassa fa sì che aumentino gli
interessi passivi nei confronti degli istituti di
credito diminuendo, così, la capacità di spesa
degli Enti stessi. Un circolo vizioso da cui è
bene uscire, e in fretta. Inoltre, in molti Enti, si
è ormai superato il limite massimo previsto per
le anticipazioni di cassa, oltre il quale non è
possibile andare: la diretta conseguenza è la
difficoltà a garantire il pagamento degli
stipendi dei dipendenti.
Per ovviare al problema dei mancati
trasferimenti, nel corso del 2011 e del 2012,
alcuni Enti hanno potuto utilizzare i “residui” di
cassa sia per la corresponsione degli stipendi
sia per il pagamento delle utenze e di altre
spese obbligatorie, ma i “residui” sono finiti.
Alla situazione già di per sé preoccupante in
cui versa la nostra Regione si aggiungono i
numerosi problemi degli altri enti locali. Le
Province piemontesi sono in una situazione di
pre-dissesto a causa dei forti tagli del Governo
centrale e anche a causa del ritardo dei
trasferimenti da parte della Regione.
L’esempio più clamoroso è quello dei
trasporti. Tutte le Province piemontesi stanno
garantendo il trasporto pubblico utilizzando
proprie risorse economiche. Una situazione
non più sostenibile e, tra maggio e giugno
prossimi, i servizi di trasporto locale, adesso
garantiti dalle Province, rischiano la
soppressione. È evidente che il dover
destinare proprie risorse economiche al
trasporto pubblico locale mette a rischio gli
stipendi dei dipendenti delle Province.
A questa difficile situazione si aggiunge il
futuro incerto di questi Enti. Le Province
dovrebbero essere “riordinate” dal 2014, ma
oggi non è ancora dato di sapere chi, come e
con quali risorse, dovrà gestire i servizi e le
funzioni attualmente attribuite alle Province,
né il destino di chi vi lavora.
Altrettanti buoni motivi - per tutti i dipendenti
del settore Autonomie locali - per scioperare e
aderire alla manifestazione del prossimo 18
aprile contro le politiche regionali della Giunta
Cota.
LUCA QUAGLIOTTI
6
Si è deciso consapevolmente di smantellare un sistema di integrazione socio-sanitaria avanzato e di capillare diffusione sul territorio di presidi sanitari
È cambiato l'Assessore alla Sanità. Ora devono cambiare le scelte. Torino e la sua provincia sono state pesantemente
colpite dalle scelte della giunta regionale; con la
riduzione delle risorse (ai tagli nazionali si sono
sommati quelli regionali) si è deciso
consapevolmente di smantellare un sistema di
integrazione socio-sanitaria avanzato e di capillare
diffusione sul territorio di presidi sanitari.
Per questo la risposta di mobilitazione è stata
ed è diffusa e forte, ha coinvolto non solo le
organizzazioni sindacali (confederali ed
autonome), ma anche sindaci, associazioni,
cittadini: lo sciopero del 18 aprile ne
rappresenta lo sbocco naturale ed è
un'ulteriore tappa per ottenere il cambiamento
delle politiche socio-sanitarie regionali.
Cosa sta succedendo nelle aziende sanitarie?
− riduzione del personale: più del 70% dei
lavoratori precari (soprattutto interinali)
sono stati lasciati a casa; il personale
andato in pensione non è stato rimpiazzato
nemmeno nei limiti previsti dalle
disposizioni regionali (il bilancio delle
aziende non lo consente); non solo
aumentano i carichi di lavoro, ma viene meno
anche il minimo rispetto per i pazienti e i loro
parenti, quando si è costretti, per esempio, per
non lasciar scoperto il reparto, a ritardare
anche di molte ore lo spostamento in camera
mortuaria dei pazienti deceduti;
− taglio dei posti letto: la riduzione dei posti letto
prevista dal riordino della rete ospedaliera è
stata anticipata da accorpamenti di reparti
senza alcuna logica, per rispondere alla
carenza di personale; nulla a che vedere con la
riorganizzazione per intensità di cura!
Uomini e donne vengono ricoverati nelle stesse
camere; aumentano le barelle nei pronto
soccorso, nessuna privacy per i pazienti;
− chiusura dei piccoli ospedali (che nel piano
sanitario venivano indicati come “da
riconvertire”) e fondo sanitario immobiliare:
la chiusura del Valdese, oltre ad aver
causato l'interruzione di un percorso
terapeutico virtuoso e consolidato per
quanto riguarda la patologia oncologica
della mammella, ha avuto tre (imprevisti?)
effetti collaterali: gli oculisti privati che
garantivano le prestazioni dentro una
struttura pubblica con regole e tariffe
pubbliche, hanno aperto un ambulatorio
poco distante che offre le stesse
prestazioni, in regime totalmente privato e
con tariffe concorrenziali; l'edificio
dell'Ospedale Valdese, su cui sono ancora in
corso lavori di ristrutturazione che
“non si possono interrompere”
(infatti l'ASL pagherebbe una
penale, mentre i fondi dell'art.20
sono nazionali e transitano solo dal
bilancio dell'ASL), non viene più utilizzato,
mentre si dovrà pagare una maxi rata di 1,5
mln di euro per il riscatto finale di un edificio
dove sono state trasferite le attività; il
personale da ricollocare è stato assorbito
quasi interamente dai presidi ospedalieri, i
servizi territoriali non sono stati presi in
considerazione;
7
− federazioni sanitarie: il passaggio di
competenze ha prodotto una notevole
confusione: non si sa chi deve fare cosa;
così non si fanno più acquisti (altro effetto
collaterale indesiderato?). Vengono sospese le
prenotazioni (per esempio di pap-test e
colposcopie) perchè non vengono acquistati
gli speculum; non vengono aggiustate le
apparecchiature. Tutte le sedi delle
federazioni sono nella città di Torino; si
chiudono i piccoli ospedali, si accentrano le
funzioni, ma anche i servizi e l'occupazione,
impoverendo le aree più lontane dalla città, e
congestionando l'area urbana;
− il buco di bilancio: i conti continuano a non
essere chiari; il debito fuori bilancio
quantificato in 900 mln di euro, è frutto del
mancato inserimento degli ammortamenti,
per un “tacito accordo” di tutte le regioni
con il ministero dell'economia, non è vero
quindi che non fosse conosciuto; la non
chiarezza sulla reale situazione finanziaria
permette di minacciare pesanti
ristrutturazioni e mancati pagamenti di
stipendi. Il commissariamento è stato
scongiurato, ma di sicuro si profilano altri
tagli: 150 mln per effetto della riduzione del
fondo sanitario nazionale, circa 900 milioni
(da spalmare non si sa ancora in quanto
tempo) per recuperare il disavanzo
pregresso. Sembra che i tagli
interesseranno di nuovo il personale e i
beni e servizi: ma sono ancora comprimibili
senza far saltare il sistema? Nel frattempo
al Mauriziano la Regione ha finanziato con
1 mln di euro un progetto di
riorganizzazione delle attività sanitarie per
intensità di cura; ai sindaci del territorio
lanzese (dove è stato riconvertito
l'ospedale) è stato promesso l'acquisto di
una TAC con risorse regionali... Come
vengono prese queste decisioni? La
ripartizione dei fondi alle aziende sanitarie
per quota capitaria pesata, seppure
imperfetta, è ormai un ricordo...
Gli effetti concreti rendono chiari gli obiettivi:
impoverimento di risorse e riduzione
dell'efficienza del sistema. Spostamento di
risorse sul privato e costruzione delle
condizioni per l'apertura al mercato
assicurativo. Affari, in campo sanitario ed in
campo immobiliare. La tutela della salute ed il
riconoscimento del lavoro degli operatori che
la garantiscono non sono contemplati.
In questi mesi abbiamo spiegato ai lavoratori
e ai cittadini che cosa sta succedendo e che
cosa sta per succedere.
Abbiamo provato ad aprire un confronto con
l'assessore regionale, perché siamo
consapevoli che le risorse si sono ridotte e
che occorrono dei cambiamenti e abbiamo
proposte da mettere in campo:
− in accordo con il governo centrale
riprogrammare i finanziamenti sull'edilizia
sanitaria dell'art.20;
− garantire un maggior controllo sulle false
autocertificazioni, con il supporto delle
altre pubbliche amministrazioni;
− intervenire sull'iper-prescrizione di farmaci
e sull'appropriatezza;
− rivedere la convenzione con le Università;
− ridurre le consulenze;
− chiudere le federazioni e organizzare
acquisti di beni e servizi attribuendo la
responsabilità ad aziende capofila;
− organizzare l'attività sanitaria per intensità
di cura e riaprire le assunzioni di personale
sanitario;
8
− utilizzare il personale amministrativo a
supporto delle funzioni sanitarie;
− utilizzare i medici di base in sinergia con
i pronto soccorso per governare gli
accessi impropri;
− costruire in modo negoziato un piano di
riordino complessivo della rete dei
presidi sanitari, a partire da cosa c'è e
non da numeri astratti, che garantisca i
servizi territoriali, l'integrazione socio-
sanitaria, la presenza capillare sul
territorio...
Il confronto fino ad oggi ci è stato negato, da
un assessore tecnico che ha occupato
un'istituzione e una carica pubblica in modo
autoritario e prepotente; assessore che
sicuramente non rimpiangeremo e che le
nostre mobilitazioni hanno contribuito a far
dimettere.
Lo sciopero del 18 aprile ha anche questo
obiettivo: riconquistare la democrazia in
Piemonte, per tirare fuori dal baratro la sanità
piemontese e continuare a garantire la tutela
della salute come diritto di tutti i cittadini.
ENRICA VALFRÈ
Cacciata dei mercanti dal Tempio (part.) Francesco Gessi
1648
9
Lavoratori pubblici e privati insieme per il lavoro e per i cittadini più deboli
Anche nel Novarese e nel Verbano-Cusio-
Ossola, come in tutto il Piemonte, si avvertono
pesantemente le ricadute della situazione
politica ed economica generale.
Nel vano tentativo di far fronte alla gravità della
situazione, le amministrazioni tendono a
privilegiare politiche di tagli che mettono
seriamente in pericolo il mantenimento dei
principali settori del welfare, dalla casa ai
trasporti, dalla formazione alla sanità, anziché
cercare altre soluzioni possibili.
La riduzione dei trasferimenti regionali ai
comuni e ai consorzi socio-assistenziali, che
non riescono più a far fronte ai bisogni di
assistenza, produce per i cittadini, non solo
l’aumento della spesa per prestazioni a cui si
avrebbero diritto e, in molti casi, una privazione
dei servizi.
Ad esempio: nel 2012 i trasferimenti della
Regione al CISS Ossola sono stati pari a
1.890.000 euro, ovvero il 25% in meno di
quelli operati nel 2011 che, a loro volta,
erano inferiori di 350.000 euro rispetto agli
stanziamenti del 2010. Tutto ciò ha
comportato la riduzione nei servizi di
assistenza domiciliare (50 utenti in meno),
tagli al servizio di educativa territoriale, alle
ludoteche per i bambini figli di genitori con
situazioni problematiche (sono 5 in tutta
l’Ossola e si presume la chiusura nel 2013),
tagli ai progetti specifici per persone
disabili.
La situazione non è migliore nei servizi socio-
assistenziali del novarese.
Nella primavera del 2012 il Cisa 24 e la
convenzione di Ghemme hanno ridotto del
50% il servizio di assistenza domiciliare a
fronte di un minor trasferimento da parte della
Regione del 18%.
La cooperativa che gestiva il servizio del Cisa
24 ha impugnato di fronte al Tar la decisione
e due sentenze hanno dato mandato alla
prefettura di individuare un commissario ad
acta per ripristinare il servizio. Allo stato
attuale il servizio non è stato ripristinato. La
cooperativa ha chiuso la cassa integrazione in
deroga ad aprile.
Sul versante pubblico, nelle province, come
ha avuto modo di dire recentemente anche
Saitta, se verrà confermato il taglio di 1,2
miliardi di euro, saranno a rischio la sicurezza
di decine di migliaia di km di strade provinciali
e di migliaia di edifici scolastici, con una seria
messa in discussione dei servizi pubblici,
tenuta delle imprese e occupazione.
Sul versante della formazione, molte agenzie
sono in crisi e alcune sono già fallite.
Nella Provincia del VCO, se non si riuscirà a
porre rimedio alla situazione, quello che si
teme è il dissesto finanziario.
Situazione analoga per la provincia di Novara.
Negli enti locali, la progressiva diminuzione
delle risorse e l’impossibilità di sostituire il
personale genera una situazione
per cui le amministrazioni trovano
sempre maggiore difficoltà a
garantire i servizi e cercano altre
soluzioni, talvolta senza indagare
Le amministrazioni tendono a privilegiare politiche di tagli che mettono in pericolo il mantenimento del welfare, dalla casa ai trasporti, dalla formazione alla sanità, anziché cercare altre soluzioni possibili.
10
compiutamente le ricadute in termini di servizi
erogati e di tutela dei lavoratori.
Esemplificativo è il caso del comune di Trecate,
in provincia di Novara, che sta valutando la
possibilità di cedere in concessione al privato il
proprio asilo nido, semplicemente per motivi di
natura economica.
Questo contesto, così grave, si ripercuote
direttamente sia sui lavoratori pubblici sia su
quelli del settore privato impiegati nella
pubblica amministrazione che non solo vedono
peggiorare progressivamente le proprie
condizioni di lavoro ma, sempre più spesso,
vedono mettere in discussione anche il proprio
posto di lavoro.
Questi lavoratori sono accomunati dal fatto
che, seppure tra mille difficoltà, continuano a
cercare di svolgere coerentemente il proprio
lavoro, con la consapevolezza di quanto questo
possa essere importante, soprattutto nei confronti dei cittadini più deboli e, quindi, più
bisognosi di tutela.
Nel territorio del novarese e del Verbano-
Cusio-Ossola, le segreterie di FP CGIL, CISL FP
e UIL FPL hanno deciso unitariamente di
estendere lo sciopero del 18 aprile anche ai
lavoratori pubblici di enti gestori, Ipab
pubbliche e private proprio per sottolineare
questo principio: lavoratori pubblici e privati
che si mobilitano insieme non solo a tutela del
proprio lavoro, ma anche per dar voce ai
cittadini più deboli in difesa di tanti diritti
negati, delle tante identità ignorate, dei tanti
bisogni taciuti.
GUIDO CATOGGIO
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Il dissesto del Comune di Alessandria Lo scorso 27 giugno la Corte dei Conti del
Piemonte, al termine di un lungo percorso
istruttorio sugli atti dei Bilanci comunali della
giunta di centrodestra che ha governato la
città, ha sentenziato lo stato di dissesto del
Comune di Alessandria, obbligando il
Consiglio Comunale a dichiararlo. In caso
contrario, sarebbe stato decretato lo
scioglimento del Consiglio stesso.
In altri termini: i magistrati
contabili hanno certificato che
il comune di Alessandria è
coperto di debiti (200 milioni
secondo il Bilancio riequilibrato
approvato nel dicembre 2012),
e non riesce a pagarli.
Se si fosse trattato di un’impresa privata, il
giudice avrebbe dichiarato il fallimento.
L’analisi della Corte dei Conti è impietosa. Il
Rendiconto del Bilancio 2011 non è stato
approvato dal Consiglio Comunale e, secondo
le analisi dei magistrati, si tratta di un passivo
di almeno 37 milioni di Euro.
È stato inoltre verificata l’esistenza di debiti
fuori bilancio per ulteriori 27 milioni di Euro;
esistono inoltre residui passivi (debiti da anni
precedenti) nei confronti delle aziende
partecipate per oltre 52 milioni di Euro.
Negli ultimi anni le società partecipate sono
state utilizzate come bancomat: il Comune
incassava i soldi per i servizi e non li trasferiva
alle aziende.
Ad esempio, il Comune ha incassato dai
cittadini i soldi della Tariffa Rifiuti, ma non li
ha girati alle società che gestiscono raccolta e
smaltimento.
Questo ha creato una forte difficoltà per le
due aziende, messe in crisi e costrette a
chiedere aiuto alle banche per poter
continuare a erogare i servizi.
E ancora: per cinque anni il Comune non ha
versato le quote di propria competenza per
quanto riguarda il settore socio-assistenziale.
È stato così accumulato un debito di circa 8
milioni di euro e creata una situazione di forte
criticità in tutto il settore, che ha coinvolto
anche le cooperative che forniscono i servizi
alle persone più bisognose.
A tutto questo si aggiunge una versione
alessandrina di finanza creativa: sono state
create due società per la cartolarizzazione
degli immobili comunali. In tal modo il
Comune si è assicurato finanziamenti da parte
di istituti bancari ma i fondi sono stati spesi e gli
immobili non sono stati venduti, creando un
debito crescente per il pagamento di interessi.
Quali sono le conseguenze del dissesto?
La legge impone che un Comune dissestato
debba applicare il valore massimo alle
imposte e alle tariffe comunali.
Facciamo qualche esempio:
− IMU: l’aliquota base passa dal 7/00 al
10,6/00, quella sulla prima casa dal 4/00 al
6/00, per i fabbricati rurali al 4/00, per i
fabbricati commerciali al massimo del
consentito.
− L’addizionale IRPEF comunale passa dal
5/00 al 8/00).
− La TIA passa dal 93% al 100% di copertura
del servizio (in attesa di verificare
l’incidenza reale della TARSU). Rette per
gli asili e scuole dell’infanzia: gravoso
aumento per le famiglie (ad esempio: retta
mensile asilo fino a € 500,00).
− Occupazione suolo pubblico, passi carrai,
ingressi (palestre, campo atletica, musei,
biblioteche), parcheggi pubblici, trasporto
Il dissesto genera gravi ripercussioni sui lavoratori pubblici del Comune di Alessandria,
delle società partecipate e delle Cooperative che tutti i giorni garantiscono con il loro lavoro
i servizi ai cittadini.
12
pubblico: aumenti che in alcuni casi
raggiungono il 100% del valore
precedente.
È del tutto evidente che chi pagherà i costi
della gestione della giunta Fabbio saranno i
cittadini di Alessandria.
Imprese, artigiani, fornitori, professionisti che
in questi anni hanno lavorato per il Comune
senza essere pagati, hanno visto i loro crediti
inseriti nella massa debitoria del Comune,
subendo, come conseguenza immediata, un
allungamento dei tempi per il pagamenti loro
dovuti la cui entità non è prevedibile.
Ciò comporterà inevitabilmente pesanti
ricadute sulla tenuta stessa del tessuto
produttivo alessandrino.
Il dissesto genera gravi ripercussioni sui
lavoratori pubblici dipendenti del Comune di
Alessandria, delle società partecipate del
Comune e delle Cooperative che tutti i giorni
garantiscono con il loro lavoro i servizi ai cittadini.
Non sono stati rinnovati alcuni appalti a
cooperative sociali che, conseguentemente, a
loro volta, non hanno rinnovato i contratti a
termine dei loro dipendenti e sono ricorsi alla
cassa integrazione.
I dipendenti delle società partecipate vengono
pagati con gravi ritardi, hanno visto
“rateizzata” la quattordicesima mensilità. Il
taglio dei costi sulla manutenzione degli
automezzi, su quello relativo
all’approvvigionamento di carburante, oltre
che a mettere a rischio la sicurezza dei
lavoratori, stanno provocando il decadimento
della qualità dei servizi pubblici di trasporto e
di raccolta dei rifiuti.
Ai dipendenti comunali non è stato corrisposto
il salario accessorio per il 2011 e il 2012 e
hanno subito ritardi notevoli sul pagamento
dei buoni pasto e del lavoro straordinario.
Le prospettive per il prossimo anni non sono
più rosee. Il comune dovrà approvare un
bilancio triennale “stabilmente riequilibrato”.
Ovviamente è prevista una forte politica di
tagli ai servizi e al personale.
− Per quanto riguarda i dipendenti delle
cooperative si prevedono ulteriori tagli dei
trasferimenti con conseguente mancato
pagamento che cronicizzerà sempre più la
condizione precaria dei lavoratori.
− Per i dipendenti delle società partecipate è
prevedibile la presentazione da parte del
Comune di Piani industriali che prevedono
esuberi di personale e cessioni di ramo
d’azienda senza tutele per i lavoratori
coinvolti, nello specifico: la messa in
liquidazione di ASPAL Srl − partecipata che
si occupa tra l’altro di servizi all’infanzia
tramite la ludoteca e ai giovani con l’ufficio
Informagiovani, ma anche di mediatori
culturali e servizi informatici, riscossione e
affissione − dovuta alla mancanza, sul
2013, di 1.300.000 euro rispetto al 2012.
Salvo cessioni di ramo d’azienda ancora
oggi da verificare, si prevedono
nell’immediato 40 esuberi su 76 occupati.
− Amiu Srl: abbiamo appreso dai giornali la
messa in liquidazione dell’azienda.
L’amministrazione comunale ha intenzione
di affidare solo parte dei servizi svolti da
AMIU (spezzamento e raccolta e non i
servizi cimiteriali, di vigilanza, disinfestazione
e aree verdi) a un privato, tramite procedura
prevista dall’art. 57.2 D. Lgs 162/2006,
non prevedendo nel bando le clausole
sociali di salvaguardia di tutta la forza
lavoro tramite inserimento dell’accordo
13
2010 tra Amministrazione Comunale e OO.SS.
Anche qui si prevedono decine di esuberi.
− ATM: trasporto pubblico, volontà di cedere
il 46% dell’azienda, ancora di proprietà del
Comune di Alessandria, si ipotizzano 100
esuberi.
− Azienda Speciale Costruire Insieme:
azienda creata per dare continuità ai
servizi educativi da 0 a 6 anni, sulla quale
pende anche la questione della legittimità,
con rischio occupazionale per circa 70
lavoratrici a tempo determinato.
− Per i dipendenti del Comune blocco del
salario accessorio. Con atto unilaterale,
senza rispettare il dettato del contratto
nazionale, l’amministrazione ha
soppresso i buoni pasto, non ha pagato
varie indennità e gli straordinari (che
possono essere fatti solo a recupero).
Nel Bilancio triennale 2012-2014 sono
stati previsti tagli sulle spese di personale
(dipendenti del Comune) pari a €
6.000.000,00 nel 2014 con conseguente
e chiara volontà di mettere in mobilità
circa 200 dipendenti.
Data questa situazione, dopo 8 mesi
dall’insediamento di questa Giunta, il bilancio
delle relazione sindacali e deludente e
preoccupante. I tavoli di confronto sono stati
tanti ma inconcludenti e non per volontà del
sindacato, che è sempre stato propositivo,
individuando risparmi e razionalizzazioni.
Mentre le conseguenze del dissesto entrano
nel vivo, con atti unilaterali e sbagliati
l’Amministrazione sceglie di colpire prima di
tutto i più deboli.
Nelle cooperative, dove già a decine sono
senza lavoro e in Comune, dove la riduzione
del salario dei dipendenti e la previsione dei
tagli sul bilancio 2014 per spese di personale
lasciano presupporre la messa in mobilità,
con salario ridotto all’80% della retribuzione
tabellare, di almeno 200 lavoratori.
Ancora, nelle partecipate, dove si
prospettano licenziamenti di massa e infine
nel TRA (teatro comunale, 15 dipendenti)
lasciato andare a un tragico epilogo.
I cittadini saranno costretti a pagare imposte e
tariffe al massimo previsto dalla legge
ricevendo in cambio non servizi ma disservizi
imputabili a un sistema malato che
l’Amministrazione non è stata ancora in grado
di modificare.
Al contrario di ciò che l’Amministrazione in
otto mesi avrebbe dovuto fare, sono
continuati gli sprechi dovuti a colpevoli
mancate riorganizzazioni.
Sugli stipendi dei Dirigenti, anche delle
partecipate, sono stati fatti grandi proclami,
ma in concreto nessuna riduzione.
Per questi i motivi le OO.SS hanno indetto una
campagna di mobilitazione che ci ha visto
giungere fino a Roma.
Vogliamo che l’Amministrazione fermi le
procedure intraprese nei confronti delle
partecipate, e che ci faccia conoscere il piano
industriale dal quale dipende il futuro di
ciascuna azienda. E vogliamo discuterlo con
l’Amministrazione comunale, perché sua è la
responsabilità politica di quello che potrà
succedere ai lavoratori e ai servizi.
ALVARO VENTURINO
14
L'asilo “vegetariano” (per forza) Da circa una settimana i bambini di un asilo
comunale della Provincia di Cuneo non
mangiano più carne a pranzo: il macellaio ha
sospeso la fornitura, perché il Comune non lo
paga da dodici mesi.
Questo episodio ritengo rappresenti in modo
emblematico la situazione generale dello
stato sociale in provincia di Cuneo, in regione
e nell'intero Paese.
L'aspetto più paradossale della vicenda sta nel
fatto che il Comune avrebbe le risorse per
procedere al pagamento almeno parziale dei
fornitori: non può farlo grazie alle norme
assurde contenute nel Patto di Stabilità,
diventando così il responsabile diretto del
disagio sia dei cittadini, sia dei fornitori.
Nei Consorzi Socio-Assistenziali, ormai
completamente privi di risorse economiche
per rispondere alle richieste sempre più
numerose delle fasce di cittadini più disagiati,
aumentano in modo esponenziale le aggressioni
nei confronti degli assistenti
sociali e degli educatori che
operano nel front office.
Le aggressioni verbali
sono di una violenza tale
da costringere le operatrici di alcuni servizi
a chiedere di essere affiancate da altri
colleghi, perché temono fortemente per la
propria incolumità fisica.
E pensare che la Provincia di Cuneo è
internazionalmente nota per essere popolata
da cittadini generalmente piuttosto
sonnacchiosi!
La carenza di risorse per il socio- assistenziale
morde fortemente anche nelle strutture
residenziali per anziani o disabili provinciali,
dove sempre più frequente è il ricorso alla
cassa in deroga da parte di cooperative che
non riescono più a far fronte al mancato
pagamento delle loro spettanze.
Anche i dipendenti che ancora non hanno
perso il posto di lavoro vedono peggiorare di
giorno in giorno la qualità della loro vita
lavorativa: la politica dell'abbattimento dei
costi, infatti, vede le aziende (sia pubbliche, sia
private) impegnate a evitare accuratamente la
sostituzione del personale mancante,
costringendo le operatrici in servizio a ritmi e
carichi di lavoro ormai non più sostenibili.
Ovviamente la contrazione esasperata del
tempo di cura “concessa” all'utenza genera il
malcontento sia dei diretti interessati sia delle
loro famiglie. Le loro lamentele producono,
purtroppo, quale unico risultato, una pioggia
continua di contestazioni disciplinari alle
lavoratrici da parte dei loro dirigenti che, lungi
da ogni assunzione di responsabilità, trovano
molto più semplice scaricare su queste le loro
carenze organizzative.
Sempre in questa Provincia, una cooperativa,
dopo aver accettato dall'ente appaltante un
abbattimento economico dell'offerta d'appalto,
ha ribaltato il contenimento dei costi
direttamente sulle operatrici, firmando un
accordo con la UIL FPL che prevede la
decurtazione della paga oraria di un euro
all'ora. Insomma, un quadro desolante, dal
quale si evince in particolare un dato: negli
ultimi dieci−quindici anni in questo Paese si è
Il Comune avrebbe le risorse per il pagamento parziale dei fornitori, ma grazie al Patto di Stabilità
non può procedere, diventando così responsabile diretto del disagio di cittadini
15
propagata e diffusa, come una letale metastasi,
l'idea che lavoratori e sindacati “troppo”
esigenti in materia di diritti e di salario
abbiano minato le fondamenta stesse del
sistema produttivo della nazione.
La denigrazione continua dei pubblici
dipendenti e il metodo Marchionne instaurato
nel settore privato sono stati presentati (e
purtroppo largamente accettati) come unica soluzione salvifica di tutti i problemi
dell'economia italiana; insomma, si è
scaricata sulle spalle dei lavoratori tutta la
responsabilità sociale dello stato fallimentare
e l'onere di riparare al danno è stato
concentrato esclusivamente sulle buste paga
dei lavoratori dipendenti.
In conclusione: l'unico vero decentramento
avvenuto in Italia dopo la riforma del Titolo V
della Costituzione è stato, purtroppo, quello
che ha visto trasferire ai cittadini l'impegno di
risanare il Paese da parte di quelli che lo
hanno portato allo sfascio.
Cambiare si può e, soprattutto, si deve.
DANILA BOTTA
Operai del 1926 Kuz’ma Petrov-Vodkin
16
Lavoro pubblico: un bene comune per i diritti di cittadinanza. In contrasto con le dilaganti tendenze verso
l’individualismo e il liberismo economico come
uniche soluzioni alla crisi persistente, e a
fronte delle evidenti diseguaglianze che ne
derivano, l’idea che esistano alcuni beni
essenziali che debbano sfuggire alla logica
della proprietà privata e del mercato e vadano
comunque tutelati dalla legge come beni
collettivamente controllati e potenzialmente
disponibili per tutti, di interesse di tutti, siano
cioè beni comuni, secondo quanto indicato
dalla nostra Costituzione, è la linea che ha
finora contraddistinto la nostra azione
rivendicativa, nella maggioranza dei casi
condotta, sin qui, con intese unitarie non
sempre riuscendo, però, ad arginarne gli effetti.
SANITÀSANITÀSANITÀSANITÀ
La complessità dei determinanti che entrano in
gioco, interagendo tra loro, nel prodursi di ogni
tipo di patologie (fattori oggettivi e soggettivi) in
cui intervengono pesantemente condizioni e
dinamiche sociali allarga di molto, e ben al di là
dei servizi e delle professioni strettamente
sanitarie, l’ambito in cui va promossa e costruita
giorno per giorno, sia sul piano amministrativo, sia
su quello politico e sindacale, in una prospettiva di
medio e lungo periodo, la difesa e la promozione
della salute.
Per questo abbiamo operato, nel nostro
territorio, su due livelli:
� il primo, attiene a una sfera individuale,
riguardante l'educazione al benessere, la
diffusione della prevenzione, alla garanzia
di un percorso assistenziale secondo un
modello integrato e multidisciplinare di
presa in carico del paziente. Varie sono
state le occasioni pubbliche in cui, come
categoria, abbiamo promosso momenti di
confronto con i cittadini, con i lavoratori e
con i Sindaci (consultori, pronto soccorso,
distretti, CRI) per diffondere la
consapevolezza della necessità di
garantire a tutto questo un futuro;
� il secondo, attiene la sfera pubblica. La
risposta al bisogno di tutela della salute è
sempre più, a nostro avviso, in
larghissima misura, di carattere sociale.
E la qualità della risposta del nostro
sistema sanitario regionale appare
manifestamente limitata da tagli sempre
più consistenti alle risorse pubbliche da
destinare ai territori. Tagli che, in parte,
ne hanno già compromesso l'universalità,
la gratuità e l 'accesso, a fronte di un
crescente numero di
diseguaglianze sociali di vario
ordine che pesano fortemente
sia in relazione ai fattori di
rischio sia in relazione
all’accesso e ai benefici.
Le numerose occasioni che hanno visto
protagonista la FP nel territorio − sia sul piano
contrattuale sia per le iniziative pubbliche che
hanno coinvolto la direzione dell'Asl, le
associazioni dei familiari, l'ordine
professionale degli infermieri, gli operatori
socio-sanitari, i medici − ci delineano un
quadro di tenuta generale molto critica del
sistema locale, sfibrato dalla riforma del SSR
voluta dalla Giunta Cota e da oltre 9 milioni di
euro di riduzione di trasferimenti.
Le conseguenze sono facilmente constatabili
da un “effetto domino” che sta coinvolgendo
tutte le strutture socio-sanitarie locali:
� il principale problema riguarda gli esuberi del
personale (per lo più di livello amministrativo)
Per raggiungere la più ampia rappresentazione degli interessi dei cittadini è indispensabile che la P.A. eserciti la programmazione con le risorse umane ed economiche necessarie e che si pratichi la negoziazione con le parti sociali.
17
nelle funzioni di tipo associato
(Federazione – Asl At – Als Al e ASO). Per
non dichiarare gli esuberi l'Asl
reinternalizza funzioni date in gestione ad
Amos (società nata per la fornitura di
servizi complementari e di supporto
all'attività ospedaliera e territoriale e
successivamente aperta a nuove
sperimentazioni connesse alle proprie
competenze). Amos, a sua volta, per
evitare licenziamenti rileva le attività
affidate alla cooperazione la quale è
costretta, nel migliore dei casi, a
ricollocare il proprio personale;
� in secondo luogo, la perdita salariale causata
non solo dal blocco del rinnovo del contratto
ma anche dai trasferimenti/pendolarismo (ad
esempio, il personale del 118 di Asti, lavoratori
che nella riorganizzazione dipenderanno
funzionalmente da Alessandria);
� non ultime le questioni riguardanti il
personale assegnato alle sedi locali della
C.R.I.: anche in questo caso, in previsione
della riduzione dell'organico del personale
militare e alla conseguente riduzione
dell'organico del personale civile attuale a
tempo indeterminato, è atteso che il personale
civile in esubero a tempo indeterminato possa
trovare ricollocazione a livello locale al posto
degli attuali tempi determinati e interinali a
cui non saranno riconfermati gli incarichi.
Vi sono poi gli ulteriori tagli previsti nel 2013
senza margini di economie rilevanti (ad Asti
non vi saranno riduzioni né di posti letto né
di ospedali, essendo entrambi all'interno
dei parametri previsti dalla Regione) e la
“sottrazione” di risorse derivanti da “risparmi” del part-time per incentivare la mobilità.
Senza dimenticare le ricadute in termini di
minori risorse per l'indotto produttivo e commerciale astigiano derivanti dal processo
avviato dalle Federazioni in termini di
mancate commesse a imprese locali e di
riduzioni di beni di consumo (esercizi commerciali, ristorazione, bar,ecc.)
conseguenti al trasferimento/pendolarismo di
personale.
SOCIALESOCIALESOCIALESOCIALE
In un Paese, come il nostro, in cui non vi è l’ombra di una strategia occupazionale di fronte alla perdita di milioni di posti di lavoro, neppure l'assistenza e cura alla persona o quei lavori che richiedono il “Face to Face”, cioè di relazione, dove la domanda è in aumento, hanno avuto sorte migliore.
Gli organici pubblici non hanno registrato un incremento ma una diminuzione (mancate sostituzioni e cessazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato) e le retribuzioni sono ferme al 2010. Ma le lavoratrici e i lavoratori che subiscono le maggiori conseguenze sono senza dubbio quelli della cooperazione, manodopera diffusamente utilizzata dagli enti locali nei servizi socio-sanitari-educativi. Le cooperative hanno iniziato a ritardare o sospendere i pagamenti delle retribuzioni e a far uso della cassa integrazione in deroga, dato che i Comuni e l'ASL hanno ridotto le ore di servizio di assistenza. Quest’ultimo aspetto risulta, a nostro avviso, uno dei punti di maggiore criticità nella nostra provincia, sia per le ricadute occupazionali e salariali, sia per i beneficiari dei servizi sempre meno in grado di sopperire all'assenza degli interventi pubblici attraverso la rete di sostegno familiare.
Nella provincia di Asti, la situazione dei pagamenti da parte dei Comuni e dell'Asl per opere e servizi verso consorzi socio-assistenziali, imprese e Cooperative, è quella
18
che, finora, ha garantito minori tempi medi di
attesa.
Ma con la riduzione o, addirittura il blocco, dei
trasferimenti da parte della Regione e dallo
Stato i tempi sono destinati ad allungarsi.
ISTITUZIONIISTITUZIONIISTITUZIONIISTITUZIONI
La diffusa indeterminatezza dei rapporti di
lavoro nella cooperazione; il ricorso a un
utilizzo “spregiudicato” della sussidiarietà
tramite associazioni, per lo più non
qualificate, a dare risposte appropriate oltre
che esternalizzazioni e/o privatizzazioni di
settori essenziali (es. servizi all'infanzia); la
riallocazione di attività all'interno delle
amministrazioni pubbliche in modo non
congruo alle reali dotazioni organiche, ai
carichi di lavoro già esistenti e ai profili
professionali disponibili − processi per lo più
indotti e favoriti dalla necessità di rispettare i
limiti di spesa imposti dal patto di stabilità e
dai tagli alle risorse finanziarie − stanno
facendo emergere una realtà istituzionale che
arretra dalle proprie funzioni.
Tra gli enti più grandi, il Comune capoluogo
(-8,5 ml) e la Provincia (-7 ml) sono quelli che
presentano più sofferenza a causa dei
provvedimenti sulla revisione della spesa e i
vincoli sul personale.
Nella stragrande maggioranza dei Comuni il
tentativo è quello di diminuire le risorse
aggiuntive non obbligatorie, con il
conseguente azzeramento delle somme
destinate alla produttività.
Un paio di comuni stanno valutando, come la
Provincia che ha sospeso il pagamento della
produttività oltre che dei buoni pasto, di
attivare le procedure di pre-dissesto. Le due
aziende di SPL hanno aperto il confronto sulla
riduzione dei fondi per i contratti decentrati,
incapaci di rideterminare i propri piani
industriali in assenza di certezze sui tempi e
le quantità delle risorse disponibili. In
sostanza, in un momento in cui sarebbe
indispensabile un ampio confronto su materie
riguardanti l'organizzazione del lavoro (orari,
consistenza organici, carichi di lavoro,
mobilità) e su processi molto complessi di
unificazione di funzioni, Comuni e Unioni in
molti casi non garantiscono neppure, al
sindacato, il rispetto dell’informazione
preventiva.
Concludendo, se l'intento è quello di
raggiungere nella programmazione la più
ampia rappresentazione degli interessi dei
cittadini e di condividere le modalità di
risposta a questi bisogni è indispensabile che
la pubblica amministrazione sia messa nelle
condizioni di esercitare la programmazione
con le risorse umane ed economiche
necessarie e che si pratichi la negoziazione
con le parti sociali.
Tutto quello che sta avvenendo sta
intervenendo pesantemente sulla possibilità
di sostenere queste scelte. Per questo il
nostro compito è difenderle in piazza,
insieme, il 18 aprile.
SERENA MORIONDO
19
Tira una brutta aria per i
servizi pubblici biellesi
Tira una brutta aria per tutto ciò che sa di
pubblico o di sociale, in Europa, in Italia e
anche nelle province (non si sa fino a quando
tali) più piccole. È il caso di Biella, poco meno
di 190.000 abitanti, attraversata da una crisi
che investe fin dal 2001 il suo
monocomparto: l'industria tessile.
Negli ultimi tempi le fibrillazioni investono
anche altri settori tradizionalmente più
“protetti”. Questo perché a livello nazionale è
finora passata l'idea che occorre ridurre il
perimetro dello Stato. Il messaggio fuorviante
che viene veicolato ai cittadini è che occorre
diminuire la spesa pubblica per poter
abbassare le tasse, nonostante ciò voglia dire
meno servizi pubblici e maggiori prestazioni
a pagamento che si “mangiano” con gli
interessi la prevista diminuzione della
tassazione.
L’obiettivo della riduzione del
perimetro dello Stato ha
comportato la destrutturazione
del sistema delle Autonomie
Locali innanzitutto con il “totem”
dell'abolizione delle Province. In Italia vige il
meccanismo dell'individuazione di un capro
espiatorio, colpito il quale gran parte dei
problemi (in questo caso la spesa pubblica) si
risolvono. Infatti nei programmi di tutti i Partiti
o Movimenti è prevista l’abolizione delle
province: peccato che in essi non si faccia
esplicitamente cenno al fatto che comunque
occorre un ente intermedio fra Regione e
Comune e soprattutto non si fa menzione
della sorte degli oltre sessantamila dipendenti
provinciali.
Non parliamo poi del caos generato
dall'obbligo della gestione delle funzioni
associate per i piccoli Comuni.
Già si fa fatica ad associarne tre, figuriamoci
quando, entro fine anno, scatterà l'obbligo di
associare tutte le altre.
Per quanto riguarda la Sanità il nostro
territorio ha una potenzialità che si chiama
Nuovo Ospedale. Se il cronoprogramma sarà
rispettato, a dicembre entrerà in funzione
questa nuova struttura oggi sovradimensionata
rispetto ai tempi della progettazione e che
rischia di iniziare a scartamento ridotto per il
drammatico problema delle risorse. Infatti la
Regione ha diminuito nel corso degli anni i
trasferimenti alla nostra Asl ed è oggettivo che
se non si inverte il trend il nuovo Presidio
partirà azzoppato e costituirà uno spreco
enorme di potenzialità.
Collegata alla questione sanità vi è la
situazione assistenziale e segnatamente
quella delle Case di Riposo. Il Biellese è una
provincia con una rete diffusa di strutture per
anziani. Dal 2011 assistiamo alla diminuzione
dei posti convenzionati che stanno
provocando una perdita dei posti di lavoro
nelle fasce più deboli (ad esempio, i lavoratori
delle pulizie) e con aumento dei carichi di lavoro
del personale legato all'assistenza e
conseguentemente un peggioramento della
qualità del servizio. Il rischio è la completa
privatizzazione delle strutture o la loro
chiusura. Collegato alla questione sanità vi è
la situazione assistenziale e segnatamente
quella delle Case di Riposo. Il Biellese è una
provincia con una rete diffusa di strutture per
anziani. Dal 2011 assistiamo alla diminuzione
dei posti convenzionati che stanno provocando
una perdita dei posti di lavoro nelle fasce più
deboli (es. i lavoratori delle pulizie) e con
aumento dei carichi di lavoro del personale
legato all'assistenza e conseguentemente un
peggioramento della qualità del servizio.
Il messaggio fuorviante che viene veicolato ai cittadini è che occorre diminuire la spesa
pubblica per poter abbassare le tasse. Peccato che ciò voglia dire meno servizi pubblici.
20
MARIO PAONESSA
Per non parlare delle
liste di attesa che si
sono allungate a
dismisura.
Su tutta la situazione
pesa come un
macigno la riduzione
del 5% della spesa per beni e servizi decisa
dalla cosiddetta spending review e il ritardo
nel pagamento da parte della Pubblica
Amministrazione dei fornitori di beni e servizi.
E qui si innesta soprattutto il mondo delle
cooperative sociali.
In provincia di Biella il settore occupa circa
2500 persone. Per avere un termine di
paragone nella Pubblica Amministrazione il
dato è di circa 3500 unità. Quindi il peso dei
soci lavoratori nel panorama occupazionale è
sicuramente importante. Nel corso degli ultimi
anni la cooperazione sociale è stata la valvola
di sfogo per la rioccupazione di manodopera
espulsa dall'industria.
A tutt'oggi non vi sono licenziamenti ma una
diminuzione delle ore dei soci lavoratori con la
conseguente riduzione di retribuzioni già ai
limiti del minimo vitale.
Tuttavia cominciamo ad avere alcuni segnali
di peggioramento della situazione con
Cooperative a rischio chiusura.
I dati forniti dalla Camera di Commercio
indicano che nel 2° semestre del 2012 vi è
stato un calo del giro d'affari del 20% e le
previsioni per il 1° semestre 2013 sono di
un'ulteriore diminuzione.
La considerazione conclusiva è che sulla
questione perimetro dello Stato e welfare si
tratta innanzitutto di volontà politica.
Chi governa deve scegliere quale società
vuole e quindi conseguentemente reperire e
distribuire le risorse. Perché è vero che l'Italia
ha il problema del debito pubblico ma è anche
vero che è un Paese fra i più diseguali al
mondo. Basti pensare che la sanità “costa”
100 miliardi e abbiamo un'evasione fiscale
annua di 120 miliardi.
E questo è solo un esempio.
Quindi, se si vuole, si può.
21
Performance, obiettivi, mission, governance ... ...sono le note che si continuano a suonare nelle ASR. Gli orchestrali però non sono i poveri eroi del Titanic bensì direttori-federatori che guidano le danze
Mentre dalla Regione si rincorrono notizie,
documenti, lettere in cui si propongono tagli al
Sistema Sanitario Regionale, l'ASL VC dopo
mesi di lavoro, prima Azienda in Piemonte, ha
il suo Piano della Performance e ne canta le
lodi sul proprio sito.
Il Piano per la verità è necessario per legge e
pertanto il motivetto non sarà solo
canticchiato nell'ASL VC, presto ci sarà un
coro polifonico nelle restanti ASR (Aziende
Sanitare Regionali).
Intanto però la prua del TITANIC comincia a
incrinarsi…
Il 14 marzo 2013 è stata approvata la
delibera di riordino della rete ospedaliera che
ha previsto un taglio di posti letto e di
strutture complesse, mai così consistente,
superiore anche alle indicazioni nazionali, a
cui si aggiunge la chiusura di diversi presidi
ospedalieri piemontesi.
L’ASLVC per la verità, non é la prima volta che
subisce tagli e chiusure. Nel giro di un
ventennio, infatti, l’ASL Vercellese ha già visto
la chiusura di 3 ospedali (Santhià-Gattinara-
Varallo), con una riduzione dei posti letto e la
chiusura di servizi e uffici.
Le recenti disposizioni non faranno che ridurre
ulteriormente i servizi che la sanità vercellese
offre ai propri cittadini con conseguente
riduzione anche di posti di lavoro.
Le ultime tabelle di riordino prevederebbero
il taglio di 41 P.L. per pazienti acuti, con
la chiusura di sei Strutture Complesse
(Lungodegenza/RRF ed Endocrinologia
dell’Ospedale di Vercelli cui si aggiungono:
Cardiologia, Medicina, Urologia e Ginecologia
dell’Ospedale di Borgosesia).
Di fatto si certifica la trasformazione
dell'ospedale di Borgosesia in ospedale
Territoriale con il taglio di un numero
relativamente modesto di posti letto per acuti
(n.5) ma con la perdita di 5 strutture
complesse. È in previsione anche la chiusura
del Punto Nascita di Borgosesia, che sarebbe
sotto osservazione...
Le Strutture complesse, infine,
sarebbero uniche e integrate
tra Vercelli-Borgosesia.
Ma il colpo maggiore sarà inferto
sui letti di post-acuzie, i cui
numeri sono aggregati per federazione, dove
tutto fa supporre che il Presidio Polifunzionale
di Gattinara subirà un forte
ridimensionamento se non la chiusura.
L'emorragia di posti letto, pur riguardando
maggiormente (secondo le indicazioni
nazionali) i presidi pubblici , interesserà anche
le strutture private accreditate. In 3 anni nella
Federazione 4 (NO-VC-BI-VCO) si avrà una
pesante riduzione di posti letto per post-
acuzie tra pubblico e privato. Un taglio che
non farà che ridurre, peggiorandone le
condizioni già difficili, l'assistenza agli anziani
(si rilevi che la Provincia di Vercelli è quella
maggiormente “vecchia”), con conseguenti
esuberi di personale sia pubblici che privati.
A questo si aggiunga il riordino del Settore del
118 che ha visto la recente chiusura della C.O
(Centrale Operativa) di Borgosesia.
Le recenti disposizioni non faranno che ridurre ulteriormente i servizi che la sanità vercellese offre ai propri cittadini con conseguente riduzione anche di posti di lavoro.
Il vagone di Terza Classe Honoré Daumier 1862
22
Le centrali operative di VC-VCO-BI sono state
chiuse e le attività accentrate presso la C.O.
dell' A.O.U. di Novara. Si prevede poi il
passaggio di tutto il personale del Settore del
118 della FS4 (Federazione Sanitaria 4)
all'AOU di Novara. Scelta che, allo stato
attuale, ha peggiorato il servizio ai cittadini e
le condizioni di lavoro dei dipendenti
interessati che opereranno, oltre che nella
propria attuale sede, su un più ampio
perimetro territoriale con rischio di risposte
meno rapide ed efficaci. Per contro la neo-
organizzazione del Settore 118 non dà
ancora soluzioni ai trasferimenti secondari
urgenti che in una logica di ospedali in rete
hanno una importanza strategica.
Nonostante la gerarchizzazione degli ospedali,
infatti, il trasporto di pazienti critici è affidato
ancora a una organizzazione disomogenea
tra i territori. Pazienti da sottoporre a
interventi urgenti (v. es: aneurismi) spesso
sono in balia di un sistema di trasporti
affidata più alla buona volontà degli
operatori che a un'organizzazione
efficiente/efficace.
Infine, alcune considerazioni sull'attività delle
inutili e costose Federazioni Sanitarie
istituite oltre un anno fa e operative da otto
mesi. Per il settore beni e servizi le famose
gare che avrebbero dovuto confluire in
federazione sono solo quelle di 'neo indizione',
le gare in essere da sottoporre 'a proroga'
sono rimaste in capo alle Aziende con il
risultato che si è creato poco o niente
risparmio e tanta confusione con il rischio
concreto di non rifornire adeguatamente gli
ospedali del materiale necessario al loro
quotidiano funzionamento, oltre a ridurre il
personale amministrativo in carico alle ASL
aumentandone i carichi di lavoro. Ecco il bel
risultato dell'Attività delle Federazioni: spreco
di risorse pubbliche (sei nuovi Amministratori
Unici lautamente retribuiti) e nessun
risparmio.
Era auspicabile che a fronte della riduzione
dei posti letto e di conseguenza dei ricoveri, in
particolar modo degli anziani, avrebbe dovuto
poi corrispondere un potenziamento dei
servizi del territorio offerto alla popolazione
vercellese.
Al contrario si riduce sul personale ADI
(Assistenza Domiciliare Integrata) e si
riducono tragicamente i giorni di ricovero in
regime di continuità assistenziale sul Distretto
SUD vercellese (7 giorni).
Alle note poco allegre, elencate in
precedenza, aggiungiamo la notizia, di questi
giorni, della volontà di esternalizzare i servizi
di laboratorio analisi e radiologie a cui,
probabilmente, verranno aggiunti altri servizi.
Come interpretare, infatti, un semplice “ecc.”
contenuto nella lettera del Direttore Generale
Regione Piemonte se non con la volontà di
lasciare aperta la strada dell'esternalizzazione
di servizi a chissà cos'altro (magari assistenza
domiciliare, dialisi, CUP, ecc..).
Tale processo sarebbe avviato per la prima
volta a livello centrale regionale attraverso un
mandato a una Società S.c.r.l chiamata
A.M.OS .
A.M.OS è una società a totale capitale
pubblico che applica i contratti privatistici con
condizioni economiche peggiorative rispetto al
CCNL pubblico e che già opera in alcune ASL e
ASO del Piemonte, soprattutto a Cuneo, ma da
qualche anno ha esteso le proprie attività
anche ad Asti.
23
È evidente lo scopo che si nasconde dietro il
paravento della necessità di garantire i servizi
pubblici. Si abbassano i diritti contrattuali dei
lavoratori, si peggiorano le condizioni di lavoro
e si diminuisce, inevitabilmente, la qualità dei
servizi.
Ci si domanda come sia
possibile che le Aziende
Sanitarie Regionali non
possano assumere
attraverso concorsi pubblici
per il blocco del turnover,
mentre sia possibile
assumere attraverso AMOS,
altra società pubblica,
anche se di diritto privato,
a chiamata diretta e quindi
senza alcuna trasparenza.
Ma noi temiamo che tutto ciò
sia solo la punta dell'ICEBERG in cui si è
incagliata la nave della sanità piemontese.
Che dire... non ci resta che augurarci un gran
bel Piano delle Performance per lo sciopero
regionale del 18 aprile.
MARIELLA LA TERRA
24
Aldo dice 26 x 1 Il primo maggio del 1945, mentre da
Grugliasco a Collegno fino a Montanaro le
divisioni partigiane continuavano a
combattere per la liberazione del Paese dalle
truppe nazi-fasciste, che rispondevano con la
rappresaglia e l’uccisione di partigiani e
popolazione civile, Torino festeggiava, dopo
decenni, la festa del lavoro vincendo le ultime
sacche di resistenza fascista.
È questo il filo che lega due date simbolo nella
storia del movimento operaio e democratico,
un filo che il Piemonte
aveva cominciato a
riannodare a partire
dalle agitazioni operaie
dell’agosto del 1942 e
gli scioperi del marzo e
dell’agosto 1943. La
protesta per migliori
condizioni di vita e
contro la guerra si
sarebbe trasformata
ben presto in una solida
organizzazione resistenziale che, a partire
dalle SAP e dai GAP, avrebbe portato
migliaia di donne e uomini a imbracciare le
armi per liberare il paese dall’occupazione
nazi-fascista.
Per chi, come me, è arrivato a Torino sulla
scorta della lettura di un libro come “Senza
tregua”, forse poco conosciuto dalle giovani
generazioni, il ritrovare i luoghi fisici che
hanno segnato la vita di tante persone e
costruito la democrazia ha dato il senso di
una città che è stata capace di mettere in
prima fila i bisogni e le aspirazioni generali
anteponendoli, spessissimo, a quelli individuali.
Storie come quella di Dante Di Nanni che,
diciannovenne figlio di immigrati e
combattente gappista, tiene testa per ore
alle brigate nere prima di suicidarsi per non
essere catturato dai fascisti, danno il senso
concreto del sacrificio compiuto da migliaia di
combattenti affinché l’Italia potesse, anche in
prima persona, riconquistare la libertà e, con
questa, la possibilità di ricostruire libere
istituzioni e associazioni democratiche.
Senza il sacrificio, l’impegno e, forse,
l’utopia di generazioni che non avevano
conosciuto il significato di vita
democratica, non sarebbe stato possibile,
quel primo maggio del 1945, rioccupare le
piazze per festeggiare la ritrovata libertà e
rivendicare la centralità della conquista di
migliori condizioni di vita per i lavoratori.
E non sarebbe stato
nemmeno possibile
conquistare i principi
di uguaglianza a
fondamento della nostra
Carta Costituzionale. Certo
quelle conquiste sono
state messe in discussione
di continuo, anche
disattese, e il rischio di un
ritorno alla dittatura in
questo Paese è stato
concreto, ma anche grazie alla presenza di
Organizzazioni Sindacali forti e radicate i
tentativi di riportare indietro la storia sono falliti.
Il Venticinque Aprile e il Primo Maggio del
2013 ci devono ricordare che quel periodo
ha posto le basi per la nostra rinascita, che
quel sacrificio di vite umane ha permesso alle
generazioni successive di avere una vita
migliore, anche più agiata, e che gli spazi
democratici vanno quotidianamente praticati
e difesi. C’è purtroppo sempre, in questo
Paese, la tendenza ad affidarsi ai salvatori
della patria che farebbero volentieri a meno di
istituzioni e corpi intermedi.
Esattamente quanto non volevano le
centinaia di migliaia di combattenti per la
libertà.
ROBERTO GALASSO
25
“Su, venite in fitta schiera...”
Una lavoratrice fortunata.
Licenziamento senza preavviso, giustificato
motivo, anni 38.
Ha cominciato a lavorare a 19, sa il lavoro
cosa dia, cosa prenda. Annichilita dal girone
dantesco di appuntamenti formativi ai centri
per l'impiego, di strisce lunghissime di
francobolli e di mail tutte uguali per inviare
un curriculum che, troppo articolato, diventa
certificazione di inesperienza, dai "no grazie,
troppo vecchia", "no grazie, le faremo sapere",
"no grazie, troppo donna", è stupefatta dal
vuoto dentro e fuori che il lavoro,
scomparendo, ha lasciato.
Ma ha fortuna.
C'è chi la supporta e sopporta, perché non si
arrenda. Qualche piccolo lavoretto per salvare
dignità e uno sprazzo di autonomia. Poi un
paio di combinazioni favorevoli e il lavoro
ritorna. Giusto, protetto, retribuito, in regola.
Anni 41.
Un miracolo.
Tra pochi giorni tornerà in piazza con i suoi
compagni, la famiglia, gli amici, a festeggiare
il Primo Maggio.
Le bandiere rosse, la banda, le coccarde, la
gente, tutta quella gente, nella sua città, come
in tutte le altre, sono una festa, il momento
felice di un'unione sociale che le hanno
insegnato a rispettare e celebrare.
Negli incroci di sguardi, nei cori in una sol
voce, la storia di generazioni di lavoratori
prima della sua, nei pugni alzati e nei canti di
lavoro, la cultura di famiglia e un leggero
batticuore, che non è quello dell'amore, né
quello indotto dal fenomeno collettivo.
È altro, è oltre: un richiamo originario e
naturale al legame tra fratelli, tra compagni.
Un istintivo sapere che racchiude il sudore, il
dolore, l'orgoglio di chi è venuto prima, del
nostro e di chi verrà.
Otto ore di lavoro.
Così è cominciata la Festa.
Poi l'hanno controllata, vietata, repressa
nel sangue.
Ma tra meno di quindici giorni, dietro a uno
striscione, sventolando una bandiera, cantando
in coro, festeggeremo ancora il nostro lavoro,
noi stessi, i compagni al nostro fianco.
Al Primo Maggio ci sono sempre stata, da
ragazza, da giovane lavoratrice, da
disoccupata.
E dato che quella lavoratrice fortunata sono
proprio io, il Primo Maggio 2013 almeno una
domanda dovrò farmela.
"Un giorno di riposo diventa naturalmente un
giorno di festa, l'interruzione volontaria del lavoro
cerca la sua corrispondenza in una festa de' sensi; e
un'accolta di gente, chiamata ad acquistare la
coscienza delle proprie forze, a gioire delle
prospettive dell'avvenire, naturalmente è portata a
quell'esuberanza di sentimento e a quel bisogno di
gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una
festa". A me oggi tutto questo è concesso.
Non sarà così per troppi giovani, più
giovani di me.
A prescindere dal disagio immediato e
quotidiano che tocca loro vivere, dalla
precarizzazione e dalla dequalificazione
26
delle occupazioni, l'assenza di innovazione
industriale, piani formativi fittizi o scadenti,
l'impossibilità di accedere agli studi superiori
troppo onerosi, il mancato ricambio con le
generazioni "anziane" li costringono
all'ingresso ritardato nella vita sociale attiva e
alla forzata dipendenza economica dal
sostegno familiare.
Il limite della disoccupazione o
dell'occupazione di scarsa qualità, nel quale
sono costretti, ne decreta la futura bassa
professionalità, l'impossibilità di progettazione
privata e personale, un oggi e un domani
anch'essi precari e irregolari.
Cosa può muovere in loro quel "desiderio di
gioire per l'avvenire", come risvegliare in essi
la "coscienza delle proprie forze"?
Quali strumenti offrire loro per motivarne la
fiducia, quali nuove prospettive lavorative
immaginare o creare per accompagnarli non
solo all'autonomia, ma all'innegabile
nobilitazione data dal lavoro?
Non più le otto ore, l'obiettivo.
Forse i disoccupati ne sognano
anche solo qualcuna, retribuita
il giusto.
Forse non interessa loro neppure un contratto
indeterminato, purché professionalizzante e
riconosciuto. Nessun riconoscimento formale,
titoli o targhette sulla porta: forse basterebbe
loro non essere più definiti "troppo giovani",
"troppo vecchi", "troppo inesperti" che,
tradotto, significa poco interessanti, poco utili,
poco convenienti, poco "mobili".
"Lavoratori, ricordatevi il 1 maggio di far festa. In
quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei
loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai
padroni che, malgrado la distanza e la differenza di
nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono
tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e
conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto
a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva
l'Internazionale!"
L'ingresso, l'uscita, la permanenza nel mondo
del lavoro diventano solo parole, davanti a
porte sbattute o a risposte standardizzate.
Quale effetto potranno sortire, allora, parole
come "internazionale", "lotta", "avvenire"?
"Avanti, avanti, la vittoria è nostra
e nostro è l'avvenir;
più civile e giusta, la storia
un'altra era sta per aprir.
Su, lottiam! L’ideale nostro alfine sarà
l’Internazionale futura umanità"
Non posso non domandarmi cosa tanti giovani
senza lavoro possano ritrovare di se stessi nel
valore fondamentale che noi possiamo
permetterci di dare e dobbiamo dare a questa
“Festa”.
Quanto possano sentirsi partecipi se a loro è
negata la base per accedervi con pieno
diritto, se non ci guardino, mentre sfiliamo
nel nostro corteo colorato e vitale, con invidia
e antipatia, noi che il lavoro ancora l’abbiamo
o che, comunque, possiamo lottare per
conservarlo, mentre essi forse non lo cercano
nemmeno più.
Quanti di loro, nei nostri canti e nei nostri
slogan, riusciranno a trovare anche solo un
piccolo appiglio al quale ancorare la speranza
di un cambiamento reale, di un’opportunità, di
un progetto di futuro.
Sarà che sono un'emotiva e mi commuovo
ogni volta, ma sarà anche che ci credo, e quei
giovani compagni li vorrei in corteo,
quest'anno, il prossimo e i futuri, a festeggiare
finalmente il loro, di avvenire, senza il quale
anche il mio perde il proprio senso.
Un richiamo originario e naturale al legame tra fratelli, tra compagni. Un istintivo sapere che
racchiude il sudore, il dolore, l'orgoglio di chi è venuto prima, del nostro e di chi verrà.
DEBORAH LUGLI
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Tortura, carceri, droghe: una campagna per tre leggi di civiltà In un recente studio sulle cause dei suicidi in
carcere, l’Osservatorio permanente sulle morti
in carcere ha affermato che “In Italia la
condizione di “legalità” delle carceri è venuta
meno”.
Secondo i dati del Ministero della Giustizia
aggiornati al 31 marzo del 2013 i detenuti
nelle carceri Italiane sono 65.831 (di cui
12.231 in attesa del primo grado di giudizio) a
fronte di una “Capienza regolamentare” di
47.045 posti.
In una situazione come questa appare
evidente che il “Regolamento di Igiene Edilizia
delle Strutture ad uso collettivo” del 1947
(avete letto bene: millenovecentoquarantasette) è
carta straccia, visto che le “celle singole”, la
cui misura è prevista in “8mq + 4 di bagno
annesso” sono spesso occupate da due o tre
persone.
Non è quindi un caso che la Corte Europea per i
Diritti Umani abbia condannato l’Italia, all’inizio
dell’anno, per trattamenti disumani e
degradanti, in relazione allo stato delle carceri.
Il lavoro nelle carceri, previsto come
obbligatorio dall’art. 20 della legge 354/75
sull’Ordinamento Penitenziario, si è
trasformato da diritto a “privilegio”
riconosciuto a poche migliaia dei 39.697
detenuti per condanna definitiva.
“Con questo quadro – conclude lo studio
dell’Osservatorio - è facile concludere che i
detenuti si uccidono a centinaia (e tentano di
uccidersi a migliaia) in primo luogo perché
percepiscono di non essere più portatori di
alcun diritto: privati della dignità e della
decenza, trascorrono la propria pena immersi
in un “nulla” senza fine”.
E infatti, dal 2000 al 2013, 766 detenuti non
ce l’hanno fatta e si sono uccisi.
E ancora: nel corso del 2012 sono entrati in
carcere circa 28.000 persone consumatori o
piccoli spacciatori di droghe; sono circa
15.000 i tossicodipendenti reclusi: assieme
formano il 50% della popolazione carceraria.
È assolutamente evidente che, per estendere
alla situazione carceraria lo stato di diritto, è
necessario affrontare il problema del
sovraffollamento e, per farlo, è necessario
intervenire sulla legislazione che criminalizza
l’uso individuale di sostanze stupefacenti.
Sono queste le motivazioni per le quali la FP
CGIL ha promosso, assieme a molte altre
organizzazioni che vanno dal Gruppo Abele ad
Antigone, la raccolta di firme su due proposte
di legge di iniziativa popolare sul
sovraffollamento delle carceri e sulla
depenalizzazione del consumo di droghe e
sulla riduzione del suo impatto penale.
Vi è poi una terza proposta di legge di
iniziativa popolare: l’introduzione del reato di
tortura nel codice penale.
La Costituzione ha bandito dal nostro Paese la
tortura. Purtroppo però il Codice Penale non
prevede il reato di tortura. Del resto, come
avrebbe potuto farlo visto che il nostro codice
penale risale al 1930 ed è stato promulgato a
firma dell’allora capo del Governo, cav. Benito
Mussolini?
I pubblici ministeri del processo per i fatti
avvenuti a Bolzaneto all’epoca del G8 di
Genova scrissero che nella caserma erano
state “…inflitte alle persone fermate almeno
quattro delle cinque tecniche di interrogatorio
che, secondo la Corte Europea sui diritti
dell'uomo, chiamata a pronunciarsi sulla
repressione dei tumulti in Irlanda negli Anni
Settanta, configurano 'trattamenti inumani e
degradanti’”.
I giudici nelle motivazioni delle sentenze di
condanna commentarono anche il fatto che
l'assenza di uno specifico reato
di tortura nell'ordinamento italiano ha
costretto i pubblici ministeri a riferirsi al reato
28
Taccuino
ROMA – 16 APRILE 2013
CGIL, CISL, UIL in piazza per gli ammortizzatori sociali
TORINO – 18 APRILE 2013
SCIOPERO E MANIFESTAZIONE REGIONALE CGIL CISL UIL
Porta Susa, ore 9.30 - P.zza Castello, ore 11.00
TORINO - 24 APRILE 2013
68° ANNIVERSARIO LIBERAZIONE
FIACCOLATA P.zza Arbarello, ore 20.30
PROVINCE DEL PIEMONTE
1 MAGGIO 2013
FESTA DEI LAVORATORI
di abuso di ufficio, non adeguato alle condotte
degli accusati ritenuti colpevoli, pur essendo
le loro azioni "pienamente provate" e potendo
esse "ricomprendersi nella nozione di ‘tortura’
adottata nelle convenzioni internazionali".
E il reato di abuso d’ufficio era prescritto
all’epoca della sentenza di secondo grado,
intervenuta solo nel 2010.
Credo non serva altro per sostenere come
introdurre il reato di tortura nel nostro
ordinamento penale sia segno di progresso e
civiltà democratica.
Lo scorso 9 aprile di fronte alle sedi dei
Tribunali di tutta Italia sono state raccolte le
firme sulle tre leggi.
In una sola mattina sono state raccolte circa
35.000 firme a livello nazionale.
A Torino, di fronte al Palagiustizia, 600 elettori
(non uso il termine cittadini perché
ultimamente è abusato), per la maggior parte
giovani mobilitati da un tam-tam sui social
network, hanno pazientemente aspettato in
coda per firmare le tre proposte di legge.
Credo sia un ulteriore riprova del fatto che nel
nostro Paese c’è voglia di buona politica: al
nuovo Parlamento il compito di non deludere
queste aspettative.
ITALO PEDACI
29
Il blog di Rossana Dettori http://senza-pubblico-sei-solo.com.unita.it/
Il sito web della Funzione Pubblica Piemonte http://www.piemonte.fp.cgil.it/in-evidenza.asp
Il Sito della CGIL nazionale.... http://www.cgil.it/
...e quello della Funzione Pubblica nazionale http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1
Polizze Responsabilità civile per colpa grave http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22439
Corsi formazione ECM FAD http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/24531
Ai seguenti link è possibile scaricare slides informative
sui fondi previdenziali Perseo e Sirio http://www.piemonte.fp.cgil.it/upload/piemonte/SIRIO-pensioni-Completo%20new.pdf
http://www.piemonte.fp.cgil.it/upload/piemonte/PERSEO-pensioni%20-CompletoNew.pdf
Dichiarazione di sostegno alla proposta d'iniziativa dei cittadini europei. http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22740
DIGNITÀ E DIRITTI UMANI
Sostegno alla Campagna per tre leggi di civiltà: Tortura, Carcere, Droghe http://www.3leggi.it/dove-firmare-3/
Pubblico in Rete
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