rachele pusateri ingengeria biomedica
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INDICE
INTRODUZIONE 1
CAPITOLO 1: LOW BACK PAIN
1.1 Definizione ed Epidemiologia 3
1.2 Biomeccanica della colonna vertebrale 9
1.2.1 Postura 14
1.2.2 Cinetica Lombosacrale 17
1.2.3 Flessione 18
1.2.4 Ritorno alla posizione eretta 18
1.2.5 Postura e Dolore 20
1.3 Diagnosi Clinico-Strumentale 21
1.4 Classificazione della lombalgia 26
1.5 Facet Syndrome
1.5.1 Definizione ed epidemiologia 30
1.5.2 Diagnosi 31
1.5.3 Principi di terapia 32
CAPITOLO 2: RADIOFREQUENZA
2.1 Cenni storici 35
2.2 Definizione e proprietà
2.2.1 Classificazione 36
2.2.2 Effetti sanitari e limiti di sicurezza 40
2.3 Tipologie di Radiofrequenza
2.3.1 Radiofrequenza Continua 44
2.3.2 Radiofrequenza Pulsata 46
2.3.3 Radiofrequenza Pulse Dose 48
2.4 Meccanismi d’Azione ed effetti biologici 49
CAPITOLO 3: METODI E MATERIALI
3.1 Introduzione razionale e metodologia 58
3.1.1 Tecnologia A 62
3.1.2 Tecnologia B 64
3.2 Analisi dei Costi 74
3.2.1 Costi tecnologia A1 e A2 75
3.2.2 Costi tecnologia B 76
CAPITOLO 4: RISULTATI
4.1 Valutazione economica 77
4.2 Analisi dei costi
4.2.1 Calcolo dei costi della tecnologia A 78
4.2.2 Calcolo dei costi della tecnologia B 79
4. 3 Break Even Analysis 80
CAPITOLO 5: DISCUSSIONE E CONCLUSIONI 81
BIBLIOGRAFIA 86
1
INTRODUZIONE
Il concetto di dolore è sempre stato motivo di ricerca scientifica e di
discussione filosofica perché legato a componenti emozionali e
socioculturali, tali da renderlo un’esperienza “soggettiva” nella sua
percezione ed espressione. Dall’International Association for the
Study of Pain (IASP) il dolore è definito come “una spiacevole
esperienza sensoriale ed emotiva associata ad un danno tissutale
attuale o potenziale”. Tra i dolori distinguiamo:
il dolore acuto: dolore “utile” finalizzato ad allertare il corpo
sulla presenza di stimoli pericolosi, o potenzialmente tali,
presenti nell’ambiente o nell’organismo stesso.
il dolore cronico: dolore “inutile” che diventa malattia, legato
alla presenza di una patologia nota ma in buona parte non
aggredibile; è un dolore persistente nel tempo anche dopo
l’eliminazione della causa perché instaura un circolo vizioso di
depressione, ansia ed altri disturbi emotivi, con pesante
impatto relazionale e sociale.
Figura 1 : Dolore cronico ed Impatto Sociale
2
Tra tutti i dolori cronici, il dolore lombare è il problema più comune
e importante dal punto di vista clinico, sociale, economico, di salute
pubblica, e riguarda indiscriminatamente tutta la popolazione
mondiale. E’ una patologia con molte possibili eziologie, che si
manifesta in molti gruppi della popolazione (1).
La prevalenza annuale è stimata intorno al 30%, anche se questa
percentuale può aumentare in determinati gruppi della popolazione.
Si è visto inoltre che tale dato è in aumento in rapporto ai fattori di
rischio quali patologie a carico della colonna lombo-sacrale, fattori
psicologici (ansia, depressione, somatizzazione), occupazionali (fisici
e psicologici) e fattori sociali e demografici (obesità, fumo di
sigaretta, basso livello sociale e culturale, età, genere femminile) (2).
Data però la modesta influenza di questi fattori ambientali, alcuni
Autori hanno incominciato ad investigare sull’influenza genetica
della degenerazione discale ed hanno ipotizzato che l’incremento
della prevalenza possa essere dovuto ad un aumento delle conoscenze
da parte della popolazione riguardo al dolore lombare cronico, che
sfocia in un aumento nella richiesta di cure ed assistenza (3,4,5,6).
Come mostrato in Figura 1, il dolore lombare cronico esercita un
forte impatto economico, sociale e sulla salute, perché c’è da mettere
in conto non solo il fronte della spesa pubblica legato alle cure
croniche e alla disabilità, ma anche i costi indiretti dovuti alle perdita
di giornate lavorative e, cioè, di produttività (7).
3
CAPITOLO 1 – LOW BACK PAIN
1.1 Definizione ed Epidemiologia
Il dolore lombare è un sintomo molto diffuso nella popolazione
adulta dei paesi industrializzati. Numerosi sono gli studi
epidemiologici condotti in questi anni con stime variabili per quanto
riguarda la frequenza e l’impatto di questa patologia. La difficoltà nel
determinare dati precisi è legata alle diverse fonti d’informazione,
alla definizione stessa di dolore lombare, al diverso comportamento
dei malati secondo i sistemi assicurativi ed, infine, alle diverse
terapie adottate nei vari paesi. Ciò nonostante anche ad una prima
esamina della mole dei dati epidemiologici non può non risultare
chiaro ed evidente il ruolo di primo piano nel panorama delle cause
responsabili dell’inabilità temporanea del low back pain. Giova
all’inquadramento della portata del fenomeno il riporto della
prevalenza della patologia, specie in ambito lavorativo, ed il
conseguente impatto economico che ne consegue: in Gran Bretagna,
per esempio, il 46% di un campione randomizzato della popolazione
generale ha riferito di aver sofferto, almeno una volta nella vita, di
lombalgia. Sempre in Gran Bretagna nel solo 1993 sono state
effettuate 15 milioni di visite per lombalgia, cui sono conseguiti un
milione e mezzo d’esami radiografici della colonna, un milione di
cure fisioterapiche riabilitative, 100.000 ricoveri, 30.000 giornate di
Day-Hospital e 24.000 interventi chirurgici, il tutto per un costo
stimato di 1200 miliardi di lire/anno. A ciò vanno aggiunti 81
milioni di giornate pagate per indennità per malattia a causa di
rachialgie, con la stima di un aumento a 106 milioni di giorni negli
4
anni 2002-2003 e 14 milioni di visite dei medici di medicina generale
per lombalgia. E’ significativo infine che il centro per l’economia
sanitaria di York ha stimato che il costo annuale di tutte le prestazioni
del servizio sanitario inglese per la lombalgia è stato pari a circa
480.000 milioni di sterline (circa 1.200 miliardi di lire) nel 1998.
Altro paese rappresentativo è la Svezia dove è stato stimato che
quattro adulti su cinque hanno un episodio di rachialgia nel corso
della loro vita e ogni anno un terzo della popolazione è affetto da
questa patologia (8). La lombalgia è la causa più frequente d’assenza
dal posto di lavoro per malattia e di pensionamento precoce: circa il
30% delle assenze dal lavoro per malattia sono in relazione ad
episodi di rachialgia e la maggior parte si verificano fra soggetti
giovani. In questa nazione è stato stimato che il costo totale delle
rachialgie può essere valutato superiore a 3,5 miliardi di dollari. Ma
dove forse si è analizzato con più completezza il problema e le sue
ricadute sull’attività lavorativa sono gli Stati Uniti, dove la lombalgia
o low back pain che dir si voglia (LBP) rappresenta la prima causa
d’assenza dal lavoro, disabilità e perdita d’ore lavorative,
interessando il 28,6% lavoratori, per la maggior parte al di sotto dei
45 anni, quindi in piena età produttiva (9,10,11). Episodi della durata
di almeno due settimane sono stati riportati nel 14% della
popolazione degli Stati Uniti. Il costo stimato degli effetti diretti
(sanitari) ed indiretti (ore non lavorate, risarcimenti, cause legali, ecc)
oscilla dai 10 ai 60 miliardi di dollari/anno (dai 22.000 ai 135.000
miliardi di lire) ed è lievitato dal 1956 al 1976 del 27% ; secondo
altri studi è lievitato talmente tanto da far ritenere che su
quest’aspetto valga la pena o addirittura si renda necessario rimettere
5
in discussione alcuni aspetti della strategia fin qui utilizzata e delle
ricadute conseguenti sullo stato sociale (12). Il National Institute of
Occupational Safety and Health (NIOSH-USA) pone tale patologia al
secondo posto nella lista dei dieci problemi di salute più rilevanti nei
posti di lavoro. Degno di nota a tal proposito è il lavoro di Volinn, il
quale è a dir poco illuminante nella conferma di aspetti in parte già
noti in parte fortemente sospettati: la lombalgia è un problema del
mondo industrializzato, mentre nei paesi a basso reddito è
sicuramente meno grave (13). L’autore confronta infatti le ricerche
epidemiologiche condotte in tutto il mondo ponendo un taglio
originale nel suddividere i dati in base alle caratteristiche di reddito
delle popolazioni studiate; ricordiamo inoltre come uno dei padri
della lettura “meccanica” della lombalgia, Alf Nachemson, si sia
oramai da anni convertito, per lo meno per il dolore cronico, alla
lettura “psicologico-sociale” di questo disturbo, al punto che, per la
sola lombalgia, viene ridotta in Svezia la compensazione in caso di
assenza dal lavoro. L’ipotesi dell’Autore è infatti che, se il mal di
schiena non viene “remunerato” quando è “invalidante” allora anche
la relativa “invalidità” si riduce: prove ne sarebbero proprio la minor
incidenza della lombalgia nei paesi a basso reddito, il progressivo
aggravarsi della “epidemia” di lombalgia in tutti i paesi con il
migliorare delle condizioni economiche e (sembra) soprattutto di
assicurazione sociale e le minori assenze dei libero-professionisti
(che se non lavorano non guadagnano). Per quanto riguarda l’Italia
si stima che soffrano di lombalgia 80 persone su 100,
indipendentemente dal lavoro/attività (sedentaria o attiva). Più colpiti
gli uomini al di sopra dei 30 anni d’età, nel 90% dei casi ci
6
sono recidive; nel 60% dei casi non si è in grado di individuare un
movimento o un trauma scatenante; nel 44% casi, l’episodio acuto si
risolve in uno settimana; nel 86% dei casi l’episodio si risolve in un
mese, nel 92% si risolve in due mesi, nel 35% casi la lombalgia
recidiverà in una sciatica. Un analisi puntuale e dettagliata del
problema è stata condotta nella regione Emilia Romagna dove negli
anni 1994 - 1998, il ricovero DRG 243 (DRG : disturbi del dorso)
compare fra le prime dieci cause di ricovero. Se all’interno di questo
raggruppamento s’indagano le diagnosi principali indicate nelle
schede di dimissione ospedaliera, emerge che in più del 30% dei casi
è la patologia della colonna lombare (sciatalgia, lombalgia, patologia
del disco intervertebrale) il motivo del ricovero, mentre la patologia
della colonna cervicale figura in meno del 10% dei casi. Per quanto
riguarda i DRG chirurgici, il DRG 215 (interventi sulla colonna
senza complicazioni) è risultato essere la causa di 4.290 ricoveri nel
1997 e di 4.937 ricoveri nel 1998; il DRG 214 (interventi sulla
colonna con complicazioni) è risultato essere la causa di 256 ricoveri
nel 1997 e di 272 ricoveri nel 1998. Dai dati relativi ai ricoveri è già
possibile ipotizzare che il “problema mal di schiena” ha approcci e
soluzioni molto vari che probabilmente non sono giustificati dalla
variabilità dei singoli pazienti. Poco sappiamo di quanto accade nel
settore specialistico ambulatoriale e negli ambulatori dei medici di
medicina generale; non si dispone di raccolte d’informazioni ad hoc
e dai flussi di dati correnti non è possibile avere notizie dettagliate e
specifiche, ad esempio per quanto riguarda il consumo dei farmaci.
Un dato che può essere utilizzato come “indicatore sentinella” della
variabilità dei comportamenti diagnostici riguarda l’utilizzo della
7
prestazione ambulatoriale ”radiografia della colonna lombo-sacrale”
(flusso informativo regionale dell’attività specialistica ambulatoriale
1999) che è molto diverso nei vari ambiti provinciali con analoga
struttura, per età e sesso della popolazione. In Italia, le sindromi
artrosiche sono, secondo ripetute indagini ISTAT sullo stato di salute
della popolazione, le affezioni croniche più diffuse e si situano al
secondo posto fra le cause d’invalidità civile ed inoltre le affezioni
acute dell’apparato locomotore sono al secondo posto (dopo le
affezioni delle vie respiratorie) nella prevalenza puntuale di patologie
acute accusate dagli italiani. Secondo stime provenienti dagli Istituti
di medicina del lavoro, le patologie croniche del rachide sono la
prima ragione nelle richieste di parziale non idoneità al lavoro
specifico. Tra gli infortuni sul lavoro, la lesione da sforzo, che nel
60-70% dei casi è rappresentata da una lombalgia acuta, non fa
registrare alcun trend negativo nonostante vi siano ampi fenomeni di
sottostima per via d’omesse registrazioni. Inoltre nel campo della
medicina del lavoro, il tradizionale interesse per le malattie di sicura
origine professionale è stato affiancato negli ultimi anni da quadri
morbosi, a genesi per lo più multifattoriale, che trovano nell’attività
lavorative elementi causali o concausali ; fra questi quadri assumono
particolare importanza le alterazioni cronico-degenerative del rachide
(spondiloartropatie), in particolare del tratto lombare, che trovano un
ruolo causale/concausale nelle attività lavorative che prevedono
movimentazione manuale di carichi e posture fisse prolungate (14).
Questa constatazione ha spinto alcuni paesi occidentali ad emanare
specifiche normative e standard rivolti a limitare l’impiego della
forza manuale nello svolgimento delle attività lavorative: è di rilievo
8
la guida presentata dal The National Institute for Occupational Safety
and Health (NIOSH 1981) per il sollevamento dei carichi (Figura 2).
L’esperienza italiana dei servizi di medicina del lavoro sulla materia
si è sviluppata a partire dalla metà degli anni ottanta ed è stata in
grado di dimostrare l’esistenza di specifici rischi lavorativi in diversi
contesti in cui vi è largo ricorso alla forza manuale.
Figura 2 : Guida al corretto sollevamento dei carichi (NIOSH 1981)
In campo internazionale di studio guida c’è stata una vasta indagine
condotta negli anni settanta su un campione di 3316 lavoratori
israeliani, nella quale fu riscontrato il tasso grezzo di prevalenza più
alto fra i lavoratori dell’industria pesante (21,6%), seguiti dagli
infermieri (16,8%); per quanto riguarda quest’ultima categoria il low
back pain compare nel 46% dei casi tra i 30 ed i 39 anni d’età e nel
5% entro tre anni dall’inizio del lavoro. Quest’enorme quantità di
dati non resta fine a sé stessa ma è importante per indicare che il
problema del “mal di schiena” o “Low back pain” riveste notevole
importanza sul piano sociale ed economico in varie parti del mondo.
Per tale motivo individuare all’interno di questo enorme contenitore
le diverse patologie che ne fanno parte è fondamentale sia dal punto
di vista clinico che dal punto di vista socio-economico: per
9
raggiungere quest’obiettivo è indispensabile seguire specifici
controlli diagnostico-terapeutici per le differenti affezioni e tener
presente le condizioni fisiopatologiche che riguardano la colonna
vertebrale ed i suoi movimenti.
1.2 Biomeccanica della colonna vertebrale
Ma come mai tante problematiche della colonna vertebrale, ed in
particolare del tratto lombosacrale, arrivano a rivestire un peso così
rilevante nella nostra salute? In effetti la specie umana paga lo scotto
della verticalizzazione rispetto ai nostri progenitori, in cui la colonna
vertebrale veniva utilizzata in quadrupedia. La messa in piedi ha
comportato uno sforzo in estensione delle articolazioni coxo-femorali
e del tratto lombosacrale per consentire al capo di porsi in equilibrio
rispetto al corpo (Figura 3).
Figura 3 : Effetti della verticalizzazione sulla colonna lombo-sacrale
10
Questo ha portato al formarsi di una serie di curve a livello del
rachide assenti nella colonna vertebrale ancestrale dove si riscontrava
una sola curva, il foro occipitale si è centralizzato, il piede ha assunto
caratteristiche più adatte alla funzione che unica interfaccia con il
suolo. Va aggiunto che il bacino dell’ homo sapiens è il risultato di
un compromesso tra le esigenze della verticalizzazione e quelle della
procreazione, infatti, l’antiversione del bacino permette un rientro
dell’osso pubico, limitando i traumatismi in posizione verticale per la
testa del feto. Tale situazione ha portato a livello del tratto lombare al
formarsi di una curva lombare in lordosi con una obliquità importante
del sacro dove vanno a concentrarsi le forze provenienti dall’alto;
questo, unito all’esigenza di una buona mobilità a livello del tratto
lombare crea in corrispondenza del passaggio alla regione
lombosacrale un punto biomeccanicamente debole e poco protetto,
specie in presenza di deficit muscolari e d’anomalie posturali. La
maggior parte dei disturbi che colpiscono la colonna lombosacrale è
di natura meccanica (15,16). Per comprendere il dolore e la
compromissione funzionale di questa regione è importante definire e
comprendere l’unità funzionale spinale rappresentata in Figura 5
(17). La colonna vertebrale è costituita da una serie di segmenti
sovrapposti (Figura 4) .
L’unità funzionale è composta da due corpi vertebrali adiacenti,
disposti uno sopra l’altro, separati da un disco intervertebrale e da
tutte le articolazioni ed i legamenti in/fra essi contenuti. Essa può
essere suddivisa in un segmento anteriore, che è sostanzialmente una
struttura flessibile di supporto, che sostiene il peso ed assorbe i
traumi, costituito da due corpi vertebrali adiacenti e dal disco
11
intervertebrale fra essi contenuto, e in un segmento posteriore,
costituito da quelle strutture che formano la parete esterna del canale
spinale e comprende quindi i peduncoli, i processi trasversi, le
faccette articolari, le lamine e i processi spinosi posteriori, sedi
d’inserzione della muscolatura estensoria (Figura 6).
Figura 4 : I segmenti della colonna vertebrale dell’uomo
12
Figura 5 : Unità funzionale spinale
Figura 6: Schematizzazione dell’unità funzionale spinale
13
Ogni unità funzionale comprende tutti i tessuti indispensabili per la
funzionalità globale che possono essere dotati di nocicettori,
provocando dolore. In presenza di una lesione di ciascun
componente, l’unità funzionale può portare compromissione
funzionale dell’intero sistema. Il dolore compare quando il tessuto
leso è innervato da terminazioni nocicettive, in particolare sono
riccamente innervati e quindi sono causa di dolore, in presenza di
stimolo irritativo e/o traumatico, il legamento longitudinale anteriore
e quello posteriore, lo strato esterno del disco intervertebrale (anulus)
e il periostio del corpo vertebrale. La radice nervosa sana di per sé
non è sensibile; ma la sua irritazione per stiramento, pressione o
trauma provoca dolore: possono essere presenti parestesia, disestesia,
analgesia o paralisi motoria, ma raramente dolore. Il tessuto irritabile
della radice nervosa all’interno del forame intervertebrale, fornito di
fibre nervose sensoriali in grado di trasmettere dolore, è il nervo
meningeo ricorrente. Il dolore cronico è stato attribuito alla fibrosi
della radice nervosa e del ganglio dorsale all’interno del forame.
Questa fibrosi è un fenomeno biologico complesso ed equiparabile
ad “infiammazione”. Altro tipo di dolore cronico, sicuramente più
frequente, è quello causato da processi artrosici a carico delle faccette
articolari che comportano irritazione del nervo mediano anteriore e
quindi dolore. I muscoli deputati a trasformare la trave flessibile
vertebrale in colonna di sostegno sono detti “muscoli stabilizzatori
vertebrali”.
A livello del tratto lombare, essi possono essere classificati in:
muscoli stabilizzatori principali:
anteriori: ileo psoas
14
laterali: quadrato dei lombi
posteriori: interspinosi, intertrasversari, trasverso-spinali
muscoli stabilizzatori accessori:
muscoli del torchio addominale: diaframma, addominali
trasversi ed obliqui, muscoli perineali
muscoli equilibratori del bacino: grande gluteo e muscoli retti
dell’addome
apparato ausiliario estensore: muscoli ischiatici e sacrospinali
Tutti questi muscoli sono riccamente innervati da fibre sensoriali
nocicettive, situate all’interno delle masse muscolari, delle loro
guaine fasciali, dei setti intramuscolari, delle inserzioni tendinee
nell’osso e all’interno dei vasi sanguigni intramuscolari. Esse
provvedono tanto alla sensibilità propriocettiva quanto a quella
dolorifica. Si ritiene che l’accumulo di metaboliti come:
prostaglandine, istamina, acido lattico e molte altre che possono
essere prodotti in seguito a contrazione muscolare protratta o a traumi
meccanici del muscolo, provochi la sensazione di dolore. Anche la
fascia muscolare è ben innervata da fibre sensoriali e si ritiene che
essa giochi un ruolo nella genesi del dolore lombare. Tale dolore
spesso non è una sensazione localizzata in una sede ben precisa o
provocata da un dato movimento e non ha una distribuzione
segmentale.
1.2.1 Postura
Generalmente, la postura viene definita come la disposizione delle
parti del corpo. Una buona postura è quello stato d’equilibrio
15
muscolare e scheletrico che protegge le strutture portanti del corpo da
una lesione o una deformità progressiva nonostante la posizione
(eretta, distesa, accovacciata, china) in cui queste strutture lavorano o
sono a riposo. In queste condizioni i muscoli lavoreranno in modo
più efficace e gli organi toracici ed addominali si troveranno in
posizione ottimale. La postura è cattiva quando si ha una relazione
scorretta delle varie parti del corpo che produce un aumento di
tensione sulle strutture portanti e quando l’equilibrio del corpo sulla
sua base d’appoggio è meno efficace. Il cingolo pelvico crea, nella
postura ideale, un angolo retto con la colonna vertebrale sul piano
frontale. Una variazione di questo angolo, dovuta per esempio ad
asimmetria degli arti, comporterà una curvatura della colonna nel
tentativo di compensare lo sbilanciamento della pelvi. Sul piano
sagittale, il bacino assume una posizione neutra quando le spine
iliache anteriori superiori e la sinfisi pubica sono sullo stesso piano
verticale. Le inclinazioni pelviche anteriore o posteriore comportano
rispettivamente una iperestensione della colonna lombare con
flessione dell’articolazione dell’anca e una flessione della colonna
lombare con estensione dell’anca (Figura 7). I meccanismi
neurosensoriali che contribuiscono all’acquisizione di una postura
corretta sono visivi, vestibolari e propriocettivi. Un’alterazione, di
qualsiasi natura, di uno di questi sistemi metterà in moto dei
meccanismi d’adattamento che comporteranno delle ripercussioni
sulla postura “ideale”. Con l’espressione “controllo posturale” si
intende quell’insieme di processi dinamici che condizionano la
posizione del corpo nello spazio e quella delle sue parti mobili, le une
in rapporto alle altre, con conservazione di un caratteristico
16
orientamento rispetto alla gravità. Per conservare questo
orientamento è necessaria una continua attività muscolare che
contrasta la forza di gravità. Il tono posturale è mantenuto da muscoli
scheletrici che esercitano prevalentemente un’attività tonica,
funzionalmente separati dai muscoli ad attività prevalentemente
fisica, deputati al movimento. I muscoli che si oppongono alla gravità
e mantengono la postura si dicono posturali e sono i muscoli
estensori degli arti.
Figura 7 : Angolo lombo-sacrale
Le componenti neurofisiologiche che contribuiscono al
mantenimento del tono posturale sono di varia natura : spinali e
sopraspinali. Le strutture fondamentali del controllo sopraspinale del
tono posturale sono rappresentate dalla sostanza reticolare
facilitatoria ed inibitoria e dal nucleo di Deiters.
17
1.2.2 Cinetica lombosacrale
L’intera colonna vertebrale, fin qui descritta in una postura statica, è
dotata della capacità di movimento. Essa si muove come una somma
di movimenti di ciascuna unità funzionale; il movimento è iniziato
dall’effetto della forza di gravità e dall’azione cinetica della
muscolatura sulla struttura. Tutte queste azioni sono ben coordinate
e controllate dal biofeedback del sistema nervoso propriocettivo.
Tutte le azioni sono sottoposte alla forza di gravità nel tentativo di
mantenere l’equilibrio con il centro di gravità. Il movimento di
ciascuna unità funzionale si compie all’interno della porzione
anteriore, coinvolgente il disco, che sostiene il peso, e sotto la guida
dei tessuti dell’arco posteriore, comprendenti le faccette articolari.
L’ampiezza dei movimenti è limitata dai legamenti, dalle capsule
articolari e dai tessuti delle fasce muscolari. Il disco intervertebrale è
comprimibile, consentendo così la flessione, l’estensione, la flessione
laterale e la rotazione; questi ultimi due movimenti avvengono
simultaneamente e sono limitati nella loro ampiezza dall’elasticità
delle fibre collagene dell’anulus. Il nucleo del disco si deforma per
permettere questi movimenti, ma rimane contenuto negli strati più
interni delle fibre dell’anulus. Le faccette articolari scivolano una
sull’altra su un piano sagittale, permettendo la flessione e
l’estensione, ma limitando notevolmente i movimenti laterali e di
rotazione. L’estensione di ogni unità funzionale è limitata
dall’avvicinamento della faccetta articolare posteriore, mentre la
flessione è limitata dall’estensibilità dei legamenti longitudinali
posteriori, dei legamenti intervertebrali e dei foglietti della fascia del
muscolo sacrospinale.
18
1.2.3 Flessione
La flessione di tutta la colonna lombosacrale determina l’inversione
della lordosi lombare fino a raggiungere una cifosi: ogni unità
funzionale si flette di circa 8-10°; la flessione complessiva delle
cinque unità del tratto lombare raggiunge un totale di 45°.
Il 75% della flessione è a carico degli interspazi L4-L5 e L5-S1, nel
tratto toracico non si verifica nessuna flessione significativa.
1.2.4 Ritorno alla posizione eretta
I tessuti spinali coinvolti nella manovra di riestensione variano a
seconda che la colonna debba solo ripristinare la posizione eretta o
sia contrastata da una maggiore resistenza (sollevamento di un
oggetto pesante). Quando la colonna deve ritornare in posizione
eretta dalla flessione, si susseguono questi eventi fisiologici:
la pelvi dovrebbe ruotare prima che la colonna lombare
riprenda la sua lordosi.
le anche e le ginocchia dovrebbero essere lievemente flesse.
ogni oggetto da sollevare dovrebbe essere vicino al corpo, in
modo da evitare una eccessiva sollecitazione delle strutture
articolari vertebrali e da far compiere il lavoro dalle masse
muscolari dei muscoli rotatori della pelvi.
la colonna deve riassumere la posizione eretta senza eccessiva
rotazione e derotazione. Il meccanismo della derotazione della
pelvi è attuato dai muscoli glutei e posteriori della coscia,
rotatori della pelvi, che devono iniziare e sostenere un lieve e
graduale accorciamento.
19
Definiti quindi:
P= peso dell’oggetto sostenuto, ossia la resistenza della leva
X= distanza fra l’oggetto e la linea di gravità, ossia il braccio di
resistenza della leva.
M= forza-tensione sviluppata dalla muscolatura paravertebrale
Y= distanza fra l’applicazione di M e la linea di gravità ossia
braccio di potenza della leva.
G= linea di gravità o baricentrica ossia il fulcro della leva.
Vale la seguente relazione : PxX=MxY
Quindi come notiamo dalle figure che seguono lo schema statico
rappresentato in Figura 8 è nettamente vantaggioso rispetto a quello
presente in Figura 9, poiché la diminuzione di M comporta un più
lento affaticamento dei muscoli interessati ed un’inferiore stress sui
dischi intervertebrali.
Figura 8 Figura 9
20
1.2.5 Postura e dolore
Le condizioni dolorose associate ad una meccanica del corpo alterata
sono così diffuse che la maggior parte delle persone adulte possiede
una conoscenza di base di tali problemi. Il dolore localizzato in
regione lombare è il sintomo più frequente, sebbene siano in crescita
casi di dolore al collo, alle spalle e al braccio. Quando si parla del
dolore associato ai difetti posturali, ci si sente spesso chiedere perché
ci siano molti casi di postura scorretta senza sintomatologia algica, e
perché difetti posturali simili di lieve entità diano origine a sintomi di
stress muscolare o meccanico. La risposta ad entrambe le domande
va cercata nella costanza del difetto e nella capacità di adattamento
da parte dell’organismo; il dolore compare nel momento in cui cessa
la capacità di adattamento: la postura può apparire assai scorretta,
eppure il soggetto gode di una buona flessibilità e la posizione può
essere cambiata rapidamente; la postura può sembrare buona, ma è
presente una rigidità o tensione muscolare che può limitare la
mobilità a tal punto da impedire il cambiamento rapido della
posizione. La scarsa mobilità, non altrettanto evidente quanto un
difetto di allineamento, ma svelabile in test per la flessibilità e la
lunghezza muscolare, può essere il fattore di maggior importanza. E’
fondamentale per la comprensione del dolore il concetto secondo il
quale gli effetti cumulativi di tensioni costanti o ripetute per un lungo
periodo di tempo possono dare origine allo stesso tipo di problemi
che si osservano quando la causa è uno stress improvviso e grave. I
casi di dolore posturale sono estremamente variabili nel tipo di
insorgenza e nella gravità dei sintomi.
21
1.3 Diagnosi Clinico-Strumentale
Di fronte ad una lombalgia è opportuno prendere in esame tutte le
situazioni che possono averla scatenata e, soprattutto comprendere la
patogenesi del dolore da trattare: é indispensabile una accurata
anamnesi per risalire ad eventuali eventi traumatici da cui sia
scaturito il dolore, le condizioni in cui questo ricompare o si
riacutizza e la durata della sintomatologia. Devono essere indagati
accuratamente i caratteri del dolore (superficiale e/o profondo, acuto
o cronico, circoscritto ad una regione ben delimitata o diffuso e/o
irradiato) e le manovre, i movimenti e le condizioni che lo aggravano
o lo alleviano. Inoltre nel corso del colloquio devono essere registrati
eventuali precedenti tentativi terapeutici; ed ove questi non abbiano
avuto successo, vanno ricercate le ragioni del loro fallimento.
L’insuccesso di terapie presumibilmente corrette suggerisce
l’esistenza di un’estensione dello studio diagnostico (anche mediante
il ricorso ad indagini strumentali) o di un più approfondito controllo
degli elementi anamnestici. Anche la descrizione dei caratteri del
dolore può essere utile ai fini diagnostici. Il paziente, cioè, può
definire il dolore come sordo e profondo, acuto o urente; è ben noto
come determinate strutture, se irritate, diano selettivamente risposte
dolorose di un certo tipo. L’identificazione di tali strutture,
nell’ambito di un’unità funzionale o di un più ampio tratto di rachide,
costituisce il primo passo per giungere alla formulazione della
diagnosi patogenetica. Importante è anche la valutazione delle
caratteristiche temporali del dolore (frequenza e durata).
Un’instabilità meccanica deve essere sempre sospettata ogni
qualvolta si abbiano crisi dolorose molto ravvicinate. La durata della
22
sofferenza dolorosa è strettamente correlata al tessuto interessato, con
evidenti implicazioni sull’evoluzione del quadro. E’ utile indagare
tutti i fattori aggravanti o allevianti il dolore. Il dolore alla schiena
non meccanico solitamente è continuo, mentre quello meccanico
viene aggravato dal moto. Il dolore che peggiora con la tosse è
tradizionalmente associato all’ernia del disco, sebbene sia dimostrato
che anche quello da altre cause meccaniche può esserne influenzato.
L’esame fisico è una fase importante dello studio diagnostico, deve
essere dettagliato ed inizia nel momento stesso in cui ci si accinge
alla raccolta dell’anamnesi, esso consiste essenzialmente nel tentativo
di riprodurre mediante l’esecuzione guidata di particolari azioni e
movimenti, i sintomi lamentati dal soggetto in esame. L’anamnesi
offre una prima occasione per distinguere tra forme statiche e forme
cinetiche in base a quanto il paziente riferisce (dove, quando e come
il paziente ha dolore). Si giunge così, quasi sempre con i soli mezzi
della semiologia fisica, a porre una precisa diagnosi funzionale e
(almeno nella maggioranza dei casi) anche patogenetica. L’approccio
alla sindrome lombalgia non può essere riduttivo, ma deve tenere in
considerazione tutte le cognizioni più moderne e le evidenze
scientifiche, infatti troppe volte vengono utilizzati protocolli di
diagnosi e di trattamento basati su dati non controllati. La valutazione
globale del paziente lombalgico può richiedere un profilo biochimico
completo (un conteggio degli elementi del sangue, una
determinazione della pcr e di tutti i marcatori di infiammazione)
quando una diagnosi su base infettiva o di malignità è considerata la
possibile causa del low back pain. Le radiografie standard raramente
sono utili nella valutazione iniziale di un paziente con una
23
sintomatologia algica acuta in posizione lombare. Due grossi studi
retrospettivi hanno dimostrato la bassa utilità clinica delle radiografie
standard del tratto lombare (18,19). In uno di questi studi, le
radiografie apparivano normali o dimostravano modificazioni di
equivoca importanza clinica in più del 75% dei pazienti con low back
pain. L’altro studio scoprì che le radiografie eseguite in obliquo
risultarono clinicamente utili in meno del 3% dei pazienti in quanto
le radiografie standard sono utilizzate soprattutto per escludere
fratture vertebrali, tumori, infezioni, spondilolistesi, spondilolisi o
spondiloartropatie infiammatorie. E’ importante ricordare che i
reperti radiografici non sono specifici e sono osservabili anche in
soggetti senza dolore alla schiena...E’ fondamentale cercare di
associare i disturbi lamentati con la distribuzione specifica della
radice di un nervo e non pensare che i reperti radiografici siano per
forza la causa del dolore. Nel corso della prima visita, radiografie in
anteroposteriore e in laterale possono essere prese in considerazione
nei pazienti che ricadono in una delle seguenti condizioni: storia di
un trauma significante; deficit neurologici; sintomatologia sistemica;
temperatura corporea superiore ai 38°C; inspiegabile perdita di
forza; storia medica di cancro; uso di corticosteroidi; abuso di alcool
o di droghe; sospetto di spondilite anchilosante. Nel sospetto di una
patologia discale sono indicate sia la TC sia l’RM. Un errore molto
comune consiste nell’effettuare queste indagini precocemente nel
decorso clinico di un dolore alla schiena senza reperti neurologici
(20). Infatti molti individui asintomatici mostrano dischi sporgenti o
persino erniati; è stato stimato che il 30,40 % delle TC mostra
anomalie di un disco che protrude in persone senza sintomi.
24
Due grossi studi sono stati condotti nello scopo di dimostrare come
sia la RMN che la TC siano in grado di mostrare anormalità in
persone asintomatiche (21,22); spesso quindi la scoperta di “posività”
alla RNM e alla TC sono di dubbia utilità clinica. In uno studio, le
scansioni della risonanza magnetica, hanno rilevato dischi erniari in
approssimativamente il 25% di persone asintomatiche con meno di
60 anni di età. Risulta chiaro che la presenza di anormalità non
correla bene con la sintomatologia clinica. Come mostrato nella
Figura 10 la RMN non usa radiazioni ionizzanti ed offre una migliore
risoluzione dei tessuti molli (tumori paravertebrali, dischi erniati) e le
scansioni TAC ci offrono migliori immagini..dell’osso corticale
(tumore osseo, osteoartrite). Gli studi condotti con le due metodiche
devono essere prese in considerazione in quei pazienti con deficit
neurologici, specie se in peggioramento, o quando si sospetti una
causa sistemica del low back pain (es. infezioni o neoplasia) e se
l’indicazione chirurgica è contemplata.
Figura 10 : Tecniche utilizzate per la per la diagnosi del “mal di schiena”
25
La scintigrafia ossea può essere utilizzata a scopo diagnostico nel low
back pain, e può risultare utile quando le radiografie del rachide
appaiono normali ma le evidenze cliniche ci rendono sospettosi nei
riguardi di una provabile osteomielite, una neoplasia ossea o una
frattura occulta. In ogni caso, questa tecnica risulta essere poco utile
nel dimostrare anomalie ossee quando sia la velocità di eritro-
sedimentazione che le radiografie sono normali.
Valutazioni elettrodiagnostiche come elettromiografia e gli studi di
conduzione nervosa sono utili nel differenziare neuropatie periferiche
da radicolopatie o miopatie. Se programmati appropriatamente,
questi studi sono notevolmente utili nel formulare la diagnosi,
nell’identificare la presenza o assenza di malattie, nel localizzare una
lesione, nel determinarne l’estensione, nel predire il corso di
un’eventuale ricovero e nel determinare se anormalità strutturali
hanno significato funzionale o meno. Il medico deve comunque
conoscere le limitazioni degli studi elettrodiagnostici, dal momento
che i test dipendono dalla cooperazione del paziente e solo un
limitato numero di muscoli e nervi possono essere investigati. Inoltre
il fattore tempo può essere importante, dal momento che i rilievi
elettromiografici possono non essere presenti dalle due alle quattro
settimane dopo l’inizio dei sintomi. In definitiva quanto esposto
indica che il low back pain determina anche ingenti costi che si
riflettono sulla società e dei quali bisognerebbe tener conto nella
valutazione globale del paziente.
26
1.4 Classificazione della lombalgia
Nonostante la maggior parte dei disturbi che colpiscono la colonna
lombosacrale siano di natura meccanica, porre diagnosi di LBP può
non risultare agevole. Ciò è dovuto al concorso di svariate cause
nell’insorgenza della lombalgia. La storia clinica è pertanto uno dei
caposaldi nell’approccio al paziente con LBP. Ogni Autore che ha
affrontato la patologia lombare si è espresso nel tentativo di
classificare le sindromi secondo un proprio criterio, ritenuto più
funzionale agli obiettivi che si proponeva. Conosciamo quindi
classificazioni basate sull’anatomia (tipo di strutture coinvolte),
sull’eziologia (causa scatenante), sulla sede del dolore, sulla
disabilita del soggetto, sulla presenza di riscontro radiologico, sulla
risposta al trattamento, sulla presenza o meno di una patologia
conclamata a cui la lombalgia stessa può essere riconducibile. Un
altro modello classificativo tende ad inquadrare la lombalgia secondo
parametri di carattere temporale (acuta/cronica). A scopo
classificativo, si definisce LBP acuto quello ad insorgenza entro i tre
mesi precedenti all’osservazione, cronico o recidivante quello la cui
insorgenza è datata anteriormente a tale periodo.
Lombalgia Acuta:
Lesioni del disco intervertebrale: vanno da minime lacerazioni
dell’anulus fibrosus all’erniazione completa del disco con
compressione delle radice nervosa.
Lesioni discorsive dell’articolazione intervertebrale: sublussazioni
minime delle articolazioni apofisarie.
Frattura vertebrale: può essere dovuta ad un trauma diretto od
oppure essere la conseguenza di un’osteopatia metabolica o di una
neoplasia vertebrale.
27
Lesione dei tessuti molli: sono lesioni distrattive (strappi o
lacerazioni) dei muscoli dorsali o dei legamenti vertebrali.
Lombalgia Cronica:
Lesioni traumatiche e degenerative:
a) Lesioni del disco intervertebrale.
b) Lesioni dell’articolazione intervertebrale.
c) Spondilosi lombare (artrosi del rachide lombare che interessa le
articolazioni apofisarie). Può causare instabilità vertebrale, con
scivolamento in avanti (spondilolistesi) o all’indietro
(retrospondilolistesi) di corpi vertebrali contigui.
Deformità e difetti congeniti:
a) Anomalie posturali. Cifosi lordosi o scoliosi che determinano
stiramenti di strutture ligamentose. Deformità di anche, ginocchi e
piedi. Possono ripercuotersi sul rachide provocando dissesti posturali
(per es. piedi piatti, dismetria degli arti inferiori).
b) Difetti congeniti vertebrali, per es. spondilosi con arco neurale
difettoso, spondilolistesi, stenosi del canale midollare.
c) Deformità acquisite. Cifosi (degli adolescenti, senile, oppure
dovuta a malattie vertebrali, per es. tubercolosi e scoliosi.
d) Sindrome del rachide ipermobile. Il dolore lombare è dovuto ad
ipermotilità della colonna che talvolta si integra in un quadro di
ipermotilità generalizzata.
Artrite e lesioni infettive del rachide:
a) SA, AR e varianti con interessamento delle articolazioni
sacroiliache o apofisarie.
b) Osteocondrite della colonna (di solito localizzata al tratto
dorsolombare).
c) Tubercolosi.
28
d) Osteomielite da piogeni.
Neoplasie della colonna:
a) Benigne: per es. osteoma, neurofibroma, angioma.
b) Maligne: per esempio metastasi del carcinoma della mammella o
della prostata.
c) Mieloma multiplo.
Osteopatie metaboliche: osteoporosi, osteomalacia, osteite fibrosa
nell’iperparatiroidismo.
Lesioni del canale vertebrale: tumori e lesioni infiammatorie
dell’osso, delle meningi o del midollo spinale.
Lesioni dell’articolazioni sacroiliache:
a) SA e sacroileite dovuta ad altre cause.
b) Tubercolosi.
Dolore riferito da visceropatie:
a) Nefropatie. Tumori, calcoli, ascesso perirenale, pielonefrite
b) Affezioni pelviche: nelle donne, affezioni uterine e delle ovaie;
negli uomini, carcinoma della prostata o del retto
c) Malattie pancreatiche, specialmente carcinoma
d) Ulcera duodenale cronica penetrante nel pancreas
e) Aneurisma dell’aorta discendente
Lombalgie psicogene.
Quando si discorre di lombalgia è necessario aggiungere due
elementi essenziali: l’alto tasso di remissione spontanea del singolo
episodio di lombalgia e la notevole tendenza alle recidive (23).
Per quanto riguarda la remissione spontanea, almeno due terzi dei
pazienti migliorano sostanzialmente in due settimane e dal 75% al
90% di essi migliorano in quattro settimane (24,25).
29
Sims-Williams, Jayson, Young, Baddeley e Collins hanno
evidenziato la remissione spontanea confrontando tra loro due gruppi
di pazienti lombalgici, trattando l’uno con fisioterapia attiva, l’altro
con un placebo: dopo un mese era migliorato soprattutto il primo
gruppo, ma dopo tre mesi non si evidenziava più alcuna differenza
(26). Alla stessa conclusione sono giunti anche Coxhead e Dixon
(27); Mckenzie, in base alle statistiche generali, afferma che le
percentuali di remissione spontanea sono del 44% in una settimana,
del 86% in un mese, del 92% in due mesi, indipendentemente dal
fatto che venga effettuato un trattamento o meno (28). In riferimento
agli studi qui citati, si può affermare che il singolo episodio di
lombalgia ha una notevole tendenza alla remissione spontanea; le
terapie manuali sono in grado solo di accelerare il processo di
guarigione, ma non hanno rivelanza per la prognosi a medio-lungo
termine. Per quanto riguarda la tendenza alle recidive, gli episodi di
dolore lombare recidivano in un’alta percentuale di casi, secondo
Dillane (1966) nel 90% dei casi; secondo Frymoyer (1991) e Rosen
(1994) una percentuale oscillante tra il 60% e l’80% dei pazienti
andrà incontro a tre o più ricadute e il 20% dei soggetti avrà dolori
più o meno continui per lunghi periodi (29). I dolori lombari
evolvono in sciatica nel 35% - 45% dei casi; secondo Weber (30),
oltre il 90% dei pazienti che manifestano una
lombosciatalgia aveva accusato precedentemente uno o più attacchi
di lombalgia. Fortunatamente solo una piccola percentuale di pazienti
evolve verso la cronicità e la disabilita, ma tale insieme costituisce il
75% - 90% dei costi per l’industria, a causa di tale affezione (Van
Wijmen, 1996).
30
1.5 La “Facet Syndrome”
1.5.1 Definizione ed Epidemiologia
Tra le cause riconosciute di lombalgia , vi è la cosiddetta “Facet
Syndrome”, o sindrome delle faccette articolari. La “facet syndrome”
è una sindrome algica con dolore tessutale profondo, alle volte
irradiato alle zone vicine, potenzialmente conseguente sia ad
iperlassità legamentosa, anomalie di carico da alterazioni
biomeccaniche intrinseche od estrinseche (iperlordosi lombare, sport
o carichi eccessivi, alterazioni dello spazio intersomatico, eventuale
presenza di instabilità segmentale da eventuale alterato orientamento
delle superfici articolari zigoapofisarie o da degenerazione del disco
intervertebrale), sia alla intrinseca patologia degenerativa delle
cartilagini delle articolazioni interapofisarie posteriori con associata
artrosi produttiva e formazione di becchi osteofitosici. L’instabilità
potrebbe causare oltre alla patologia degenerativa, anche una
distrazione da sovraccarico della capsula dell’articolazione della
faccetta lombosacrale od uno stiramento della branca articolare del
ramo primario dorsale della radice nervosa, con comparsa di un
dolore generato dalle strutture nocicettive dall’articolazione stessa ed
in realtà è principalmente quest’ultima la causa di dolore. Infatti il
termine di “Facet Syndrome” (FS) è stato proposto per la prima volta
circa 79 anni fa da Gormley che per primo nel 1933 ipotizzò che
i processi degenerativi e produttivi a livello delle faccette
interarticolari potessero portare all’intrappolamento della radice
corrispondente causando una localizzazione del dolore a livello
lombare (31). Il dolore da “facet syndrome” si configura quindi non
31
solo come somatico, ma anche con un’importante componente
neurogena che, aggravando il quadro sintomatologico, determina
anche un peggioramento delle qualità di vita del paziente.
1.5.2 Diagnosi
Dalla letteratura si ricava quanto sia necessario nella terapia della
facet syndrome far precedere l’atto terapeutico da una corretta
diagnosi, identificando con sufficiente precisione l’origine del dolore
a livello delle articolazioni zigoapofisarie. Infatti in molti casi gli
insuccessi sono collegati ad una diagnosi non corretta con terapia
inappropriata. La diagnosi è essenzialmente clinica ed i criteri
diagnostici sono:
dolore lombare sordo e continuo
irradiazione alla cresta iliaca, natica e inguine
dolore alla compressione delle faccette
esacerbazione all’estensione e rotazione omolaterale
sollievo alla flessione
nessun segno neurologico radicolare
Spesso per avere conferme diagnostiche è necessario eseguire
specifici esami strumentali quali:
la radiografia della colonna in ortostasi per visionare le curve
della spina dorsale, i rapporti tra le vertebre, le deviazioni, i
disequilibri del bacino, la presenza di eventuale artrosi.
la tomografia assiale computerizzata (TAC) esame in cui si
utilizzano i raggi X fatti passare perpendicolarmente alla
schiena in modo da "fotografare" porzioni anche millimetriche
di ogni vertebra.
32
la risonanza magnetica nucleare, più precisa, meno dannosa
ma anche più costosa della TAC, effettuata attraverso campi
sonori (ultrasuoni) e magnetici analizzati da un computer, con
cui si vedono vertebre, dischi, muscoli, vasi, legamenti
eccetera, con estrema chiarezza.
l’elettromiografia, indagine che serve per valutare attraverso
"elettrodi ad ago" inseriti nella pelle di mani o piedi, la
funzionalità e l’integrità dei nervi che escono dal midollo
spinale vertebrale.
1.5.3 Principi di Terapia
Come tutti i dolori cronici relativi all’apparato scheletrico, anche la
sindrome delle faccette articolari beneficia della ginnastica
riabilitativa e della terapia fisica, che è l’unica ad essere incisiva, a
lungo termine, sui problemi di postura. In letteratura molto
recentemente sono stati riportati dati confortanti riguardanti l’attività
fisica, in particolare Hagen ed altri evidenziano come il riposo a letto
paragonato al mantenimento dell’attività non mostra nel caso
migliore nessuna efficacia, ed al peggio può avere un effetto dannoso
sulla Facet Syndrome ed inoltre che non sono state riscontrate
importanti differenze sugli effetti determinati dal riposo a letto
comparati con l’esercizio nella lombalgia acuta, e neanche nella
comparazione tra un periodo di 7 giorni in confronto a 2-3 giorni di
riposo a letto (32). Van Tulder ed altri sottolineano come la terapia
motoria nella Facet Syndrome risulta più efficace rispetto alle usuali
cure e sovrapponibile alla fisioterapia convenzionale per quanto
riguarda la lombalgia cronica (33).
33
Gli stessi Autori aggiungono inoltre che l’esercizio può aiutare i
pazienti con lombalgia cronica ad accelerare il ritorno alle attività
giornaliere. Da non trascurare a questo riguardo il ruolo rivestito dal
rilascio delle endorfine durante l’attività muscolare al fine di
giustificare anche il miglioramento sul controllo del dolore.
Da ciò emerge come una corretta e specifica attività motoria
controllata all’interno di un programma medico, a patto di essere
praticata costantemente consenta di ottenere un miglior sostegno
biomeccanico, un miglioramento della sintomatologia dolorosa, e di
essere capace quindi di prevenire i fatti degenerativi discali ed
articolari conseguenza del sovraccarico biomeccanico e del cattivo
utilizzo della struttura. Lo stretching è una procedura terapeutica che
viene comunemente impiegata nelle lombalgie per il recupero della
flessibilità e per il ripristino dell’articolarità, quando questa è limitata
dalla tensione di uno o più gruppi muscolari...
Una prova dell’efficacia dello stretching viene riportata da Deyo, che
lo ha utilizzato all’interno di un programma di istruzione in un
gruppo di sei settimane comprendente esercizi di rilassamento (34).
L’Autore ha concluso però che, per mantenere i risultati raggiunti,
questi esercizi devono essere attuati continuamente. Ampiamente
usato, anche in regime di auto somministrazione e di cattiva
somministrazione è il trattamento farmacologico, dal momento che il
primo interesse del paziente sofferente è l’attenuazione del dolore.
In funzione di un obiettivo terapeutico specifico sono ampiamente
utilizzate anche metodiche fisiche quali:
la termoterapia,
la mesoterapia.
34
la laserterapia.
la TENS (stimolazione neuroelettrica transcutanea).
Nei casi resistenti alle precedenti terapie mediche si possono
utilizzare trattamenti invasivi :
l’agopuntura
l’ESI (l’iniezione epidurale di steroidi)
il blocco delle faccette articolari mediante radiofrequenza
Tutte queste procedure terapeutiche, insieme ai farmaci,
rappresentano una fonte di notevole spesa sociale soprattutto in virtù
del fatto che il paziente, pur di alleviare il proprio dolore e condurre
una vita regolare, ne fa un uso improprio.
E’ quindi opportuno dare al paziente delle risposte precise circa la
diagnosi e le prospettive terapeutiche del suo “mal di schiena” che
come abbiamo visto nei paragrafi precedenti è bel lontano dall’essere
un semplice mal di schiena ma comporta:
pessima qualità di vita
abuso di farmaci
terapie inappropriate ed effetti collaterali
spese eccessive ed ingiustificate
35
CAPITOLO 2 – LA RADIOFREQUENZA
2.1 Cenni storici
L'uso diffuso di corrente RF per il trattamento del dolore spinale è
iniziato nel 1980, quando Sluijter e Metha hanno introdotto una
cannula 22G (Gauge) attraverso la quale si è inserita una sonda
(termocoppia) 21G (35). Questo ha permesso di eseguire la procedura
per via percutanea con il minimo disagio; il meccanismo di azione
della corrente a radiofrequenza è stato inizialmente attribuito al
termocoagulazione delle fibre nervose. Questo è stato messo in
discussione quando Sluijter ha eseguito la prima lesione RF pulsata
nel febbraio del 1996; egli ha suggerito che l’effetto analgesico, più
che alla temperatura, fosse dovuto al campo elettromagnetico e,
ancor più precisamente, al campo elettrico. Ciò ha indotto l’ Autore a
scegliere parametri di lesione nervosa non superiori ad una
temperatura di 42° C, rispetto al fatto che la lesione nervosa avviene
a 45° C. La prima procedura PRF lombare sul ganglio della radice
dorsale, ha avuto luogo il 1° febbraio 1996 (36-37-38). Da quel
momento, è stato segnalato il suo utilizzo con successo per il
trattamento di varie tipologie di dolore, compreso il dolore
radicolare cervicale, la nevralgia del trigemino (TN), il dolore sacro-
iliaca, la sindrome delle faccette articolari, il dolore alla spalla, il
dolore post-chirurgico, il dolore radicolare e quello miofasciale
(39). I primi generatori di lesione RF e gli elettrodi sono state
costruite da B. J. Cosman, S. Aranow, e A.O. Wyss nei primi anni
‘50. Tutti i loro dispositivi utilizzano onde continue con
36
sorgenti di alimentazione RF e un range di frequenza di 0,1-1MHz
per produrre la lesione, lo stesso utilizzato anche attualmente.
Commercialmente sono a disposizione generatori di lesione RF che
forniscono segnali PRFL (Low Pulsed Radiofrequency ) con durate
di impulsi che vanno dal 10 a 30 ms e con una ripetizione che va da 1
a 8 Hz (impulsi al secondo). La frequenza RF di ogni impulso è in
genere circa 500 KHz.
2.2 Definizione e proprietà
2.2.1 Classificazione
La Radiofrequenza (RF) indica generalmente un segnale elettrico o
un’onda elettromagnetica ad alta frequenza che oscilla in un range
che va da 3 kHz a 300GHz, che corrisponde appunto alla frequenza
delle onde radio (Figura 11).
Figura 11 : Spettro delle onde elettromagnetiche.
37
Le modalità di propagazione delle onde elettromagnetiche sono
espresse dalle equazioni di Maxwell, il quale nella sua fondamentale
opera “Treatise on electricity and magnetism“
(Trattato sull’elettricità e il magnetismo), pubblicato nel 1873 (40),
utilizzò le equazioni come assiomi fondamentali della teoria.
Eccole riassunte di seguito:
Se i campi si propagano nel vuoto la prima e la quarta equazione
assumono la forma :
Dalle equazioni di Maxwell si evince dunque che in un'onda
elettromagnetica: i campi sono ortogonali fra loro e alla direzione di
propagazione; le loro ampiezze sono proporzionali e la costante di
tale proporzionalità è la velocità di propagazione, che dipende dalle
caratteristiche del mezzo in cui l’onda si propaga. La velocità di
propagazione di un'onda elettromagnetica è indipendente dalla
velocità della sorgente, dalla direzione di propagazione e dalla
velocità dell'osservatore. La velocità dipende soltanto dal mezzo in
cui si propaga l’onda, nel vuoto è pari alla velocità della luce, che è
38
l'esempio più noto di onda elettromagnetica. La velocità della luce
nel vuoto ha valore numerico: c = 299 792,458 km/s. Nei mezzi
materiali e nelle guide d’onda la propagazione della radiazione
elettromagnetica diviene un fenomeno più complesso. Innanzitutto la
sua velocità è diversa rispetto a quella nel vuoto secondo un fattore
che dipende dalle proprietà del mezzo o della guida d'onda. L’effetto
biologico delle onde elettromagnetiche dipende essenzialmente dalla
loro intensità e dalla loro frequenza. Quindi lo spettro
elettromagnetico può essere suddiviso in due tipologie principali: le
radiazioni ionizzanti (per esempio i raggi X e gamma) e quelle non
ionizzanti, come le onde radio e le microonde. La linea di
demarcazione tra i due tipi di radiazione si colloca all’interno delle
frequenze dell’ultravioletto, sicché le radiazioni infrarosse e parte
dell’ultravioletto rientrano nelle radiazioni non ionizzanti, mentre la
componente superiore della radiazione ultravioletta fa già parte di
quelle ionizzanti. Fra i due tipi di radiazione c’è una differenza
fondamentale. Le radiazioni si differenziano fra loro per la diversa
capacità che hanno di interagire con gli atomi e le molecole che
compongono la materia.
Le radiazioni ionizzanti (IR – Ionizating Radiation): sulla base delle
loro caratteristiche di ionizzare (staccare dalla loro struttura singoli
elettroni), possono rompere dei legami chimici di molecole del nostro
corpo o creare in esso sostanze particolarmente reattive, che a loro
volta possono causare danni rilevanti al sistema biologico.
E’ infatti risaputo che anche piccole dosi di raggi ultravioletti o
radiazioni ionizzanti (radioattività) possono determinare patologie
molto gravi, come i tumori della pelle o la leucemia.
39
Le radiazioni non ionizzanti (NIR – Non Ionizating Radiation)
invece, anche in presenza d’intensità di campo assai elevate, non
sono in grado di ionizzare (staccare dalla loro struttura singoli
elettroni) le molecole di cui è costituito il nostro corpo. Il principale
effetto che riescono a produrre sulle molecole è quello di farle
oscillare producendo attrito e di conseguenza calore (come accade
ad esempio in un forno a microonde): quindi il riscaldamento è
proprio l’effetto principale da esse prodotte. Nell’ambito delle
radiazioni non ionizzanti l’effetto biologico dipende molto dalla loro
frequenza, sicché anche per questo tipo di onde si è soliti adottare
un’ulteriore differenziazione in:
- Frequenza estremamente bassa (ELF): i campi (elettrici e
magnetici) a frequenza estremamente bassa, si formano in
corrispondenza di apparecchiature o cavi elettrici in ambienti
domestici o lavorativi, oppure a ridosso delle linee ad alta tensione o
dei trasformatori. Per le ELF il campo elettrico ed il campo
magnetico possono essere considerati separatamente. Il fattore
determinante è però il campo magnetico, che a differenza del campo
elettrico é piú difficile da schermare. L’effetto biologico principale
dei campi a bassa frequenza è di produrre all’interno del nostro
organismo (per la cosiddetta induzione) delle correnti elettriche che
si possono sovrapporre a quelle naturali, dando vita, soprattutto in
presenza di elevate intensità di campo, a sovreccitazioni nervose e
muscolari (azione irritativa sul sistema nervoso centrale). Si discute
anche di una possibile correlazione tra i campi a bassa frequenza ed
alcuni casi di leucemia infantile insorti in bambini residenti in
prossimità di linee ad alta tensione.
40
- Radiofrequenze e microonde: i campi a radiofrequenza e
microonde (RF), vengono utilizzati soprattutto nelle
telecomunicazioni, per esempio nei trasmettitori, nella telefonia
mobile o anche a livello domestico nei forni a microonde. Per l’alta
frequenza il campo elettrico e magnetico sono un fenomeno unico,
interdipendente, denominato campo elettromagnetico. Esso è
relativamente facile da schermare (per esempio coi muri degli edifici,
i tetti di lamiera o le tappezzerie a conduzione elettrica). Alle alte
frequenze, soprattutto in presenza di elevate intensità di campo,
predominano gli effetti cosiddetti termici, ossia il riscaldamento dei
tessuti corporei dovuto all’assorbimento delle radiazioni. Dato che
l’effetto biologico delle radiazioni non ionizzanti dipende molto dalla
loro frequenza anche i limiti di legge variano in funzione della
frequenza della radiazione .
2.2.2 Effetti sanitari e limiti di sicurezza
Riguardo agli effetti sanitari dei campi elettromagnetici in generale si
distingue tra effetti termici e atermici.
- Gli effetti termici (effetti acuti)
Gli effetti riconosciuti dei campi ad alta frequenza sono connessi
all’assorbimento di energia ed al conseguente aumento della
temperatura nel tessuto irradiato. Effetti termici sono normalmente
causati da esposizioni brevi ma intense. Per misurare l’energia
radiante assorbita dal corpo umano nell’unità di tempo si utilizza il
cosiddetto SAR (Specific Absorption Rate) o anche “tasso
d’assorbimento specifico” (TAS) espresso in watt per chilogrammo
di massa corporea (W/kg). Il valore di base del SAR ha una
41
corrispondenza diretta con gli effetti biologici dell’esposizione
elettromagnetica. Alcune ricerche condotte su cavie animali hanno
dimostrato che l’esposizione può causare effetti di vario genere (per
esempio disturbi metabolici, nervosi e comportamentali) a partire da
un aumento della temperatura in tutto il corpo di circa 1°C, che
corrisponderebbe ad un valore di SAR mediato su tutto il corpo di
circa 2W/kg (41). Oltre i 4W/kg si cominciano a registrare dei danni
veri e propri, sicché questo valore è abitualmente considerato la
soglia di rilevanza per la salute umana nell’assorbimento energetico.
Quando poi l’assorbimento supera i 10W/kg i danni all’organismo
diventano irreversibili. In alcuni studi è stato ipotizzato un effetto
negativo delle radiofrequenze del cellulare sul cervello
(riscaldamento), in particolare per i bambini (International Expert
Group on Mobile Phones – IEGMP – Stewart report) (44,45,46).
Tuttavia svariate ricerche su questo problema non hanno potuto
avvalorare l’ipotesi di un possibile rischio per la salute (42).
Utilizzando un cellulare, l’assorbimento energetico nel capo è
inferiore a 2W/kg. Occorre però ricordare che l’attività fisica, la
presenza di temperature esterne elevate, l’alta umidità dell’aria e lo
scarso ricambio d’aria possono aumentare ulteriormente gli effetti
termici dovuti alle alte frequenze. Inoltre, la soglia di tolleranza
termica solitamente riscontrabile nelle persone sane può essere
notevolmente ridotta negli anziani, nei malati (soprattutto se in stato
febbrile) o in chi assume alcuni tipi di farmaci. Una particolare
attenzione va rivolta ai bambini. In presenza di tassi d’assorbimento
elevati sono particolarmente a rischio gli organi poco vascolarizzati,
quelli cioè con una scarsa circolazione sanguigna e quindi un
42
decongestionamento termico piú lento, come gli occhi o testicoli.
- Gli effetti atermici (effetti a lungo termine)
Oltre agli effetti termici prima descritti, le radiazioni
elettromagnetiche determinano nell’uomo degli effetti biologici
associati a valori di SAR molto piú bassi (0,01W/kg), e che non si
spiegano con il solo riscaldamento dei tessuti. Ecco perché si suole
definirli “effetti atermici”. Si tratta normalmente di esposizioni di
lunga durata però di bassa intensità. La ricerca scientifica non ha
ancora fatto piena luce sulle conseguenze reali che tali effetti atermici
possono avere per la salute umana. In alcuni casi si dispone soltanto
di dati sperimentali (ottenuti cioè con prove in vitro o su cavie
animali). In altri, i risultati ottenuti appaiono contraddittori.
Dai vari studi eseguiti emergono i seguenti effetti (43,47) :
alterazioni dell’attività enzimatica della ornitina
decarbossilasi (un enzima associato all’insorgenza di tumori)
aumento del calcio intracellulare nelle cellule (con effetti
citotossici)
alterazioni delle proteine della membrana cellulare e modifica
del trasporto di ioni attraverso la membrana stessa (un
fenomeno essenziale per le cellule cerebrali).
Tutti questi effetti possono tradursi in alterazioni piú o meno
manifeste della funzione cellulare, con conseguenze sulla salute
umana ancora tutte da approfondire e verificare. Attualmente,
analogamente ad altri agenti i cui effetti biologici sono
in parte ancora ignoti, le ricerche stanno cercando di chiarire alcuni
aspetti considerati particolarmente critici, quali: l’eventuale
rapporto tra i campi ad alta frequenza o quelli a bassissima
43
frequenza e alcuni tipi di tumori, i disturbi della funzione
riproduttiva, alcune malformazioni congenite, l’epilessia, le cefalee
ed altri disturbi neurofisiologici (come amnesie o depressioni),
disturbi del sistema immunitario, degenerazione del tessuto
oculare,aumento del rischio di insorgenza di effetti negativi in alcuni
soggetti come i bambini, le gestanti o gli anziani.
Fino ad oggi non si possono ancora valutare gli effetti sulla salute
prodotti dagli effetti atermici delle radiazioni ad alta frequenza o a
bassissima frequenza, né si possono stabilire dei limiti di legge
“assolutamente sicuri”. Per il momento, comunque, sono da ritenere
validi i parametri di sicurezza stabiliti dalla Commissione
Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti
(ICNIRP), che ha per compito quello di documentare e valutare in
maniera scientifica i rischi sanitari connessi all’utilizzo delle
radiazioni non ionizzanti. A livello internazionale si raccomanda un
monitoraggio scientifico costante e qualificato dei possibili rischi per
la salute prodotti dalla telefonia mobile, accompagnato da una
valutazione continua e sistematica dei risultati (IEGMP 2000). Anche
per questo, è sempre consigliabile adottare tutte le misure
cautelative possibili. Nella valutazione dei limiti L’ICNIRP, ha
affrontato anche il problema delle linee guida per la
limitazione dell’esposizione alle radiofrequenze e alle microonde.
In base ai risultati certi che la ricerca a livello mondiale riesce a
produrre, la Commissione consiglia alcune raccomandazioni riguardo
ai limiti d’esposizione, suddividendoli in limiti di base e
livelli di riferimento. I limiti di base per l’esposizione ai campi
elettromagnetici sono individuati in base a dei valori di soglia certi,
44
perciò essi sono principalmente riferiti agli effetti termici (effetti
acuti). Per soglia si intende una grandezza minima, sotto la quale
l’effetto biologico in oggetto non è ancora rilevabile. Il limite di base
per l’esposizione “total body” è pari a 0,08W/kg. Perciò partendo,
come riportato in precedenza, da 4W/kg come soglia minima per i
danni alla salute umana, si è stabilito un valore di sicurezza 50 volte
inferiore alla soglia. Per l’esposizione professionale (2000 ore
lavorative all’anno) la soglia stabilita è invece di 0,4W/kg.
2.3 Tipologie di RF
2.3.1 Radiofrequenza continua (CRF)
La radiofrequenza continua (CRF), crea una lesione termica del
nervo target attraverso l’applicazione nel nervo stesso di una corrente
alternata tramite un elettrodo (termocoppia) posizionato per via
percutanea. L’applicazione di questa corrente determina il
raggiungimento a livello tissutale di una temperatura di circa 60-65°
C che provoca coagulazione dei tessuti (48,49) e quindi dei nervi,
nel raggio di due volte la profondità dell’elettrodo a partire dalla
superficie di quest’ultimo. Se portiamo l’elettrodo ad una
temperatura di 90° C esso crea lesione: infatti ,come si può notare
dalla Figura 12, già superati i 44° C siamo nella zona di lesione
permanente, determinando l’interruzione della fibra e il tempo
necessario per creare lesione è di 60 sec.
45
Figura 12 : Regioni di reversibilità e/o permanenza della lesione dovute all’innalzamento
della temperatura, valutato rispetto alla distanza dall’elettrodo.
La lesione si sviluppa in modo parallelo alla punta della cannula;
infatti in una procedura di RF continua si entra di punta e si lede di
piatto (Figura 13).
Figura 13 : Posizione dell’elettrodo da assumere in CRF.
Si tratta, quindi, di una tecnica neurolesiva, che dovrebbe essere
effettuata in diversi punti lungo il decorso del nervo target al fine di
aumentarne l’efficacia. Ciò rende, però, la tecnica relativamente
ardua e di lunga esecuzione e non esente da complicanze dovute alla
lesione termica di nervi sensitivi e motori circostanti a quello
target, con conseguente sintomatologia deficitaria transitoria (50,51).
Gli interventi che si possono effettuare in lesione sono:
46
denervazione delle Faccette articolari Lombari-Cervicali-
Toraciche
denervazione trigeminale
cordotomia
grande occipitale
simpaticectomia
2.3.2 Radiofrequenza pulsata (PRF)
La radiofrequenza pulsata (PRF) non è una tecnica neurolesiva (52),
in quanto non si basa sull’innalzamento della temperatura, ma sul
campo elettrico applicato determinando così una neuro modulazione;
cioè l’abolizione del dolore in modo temporaneo. Tale neuro
modulazione è derivante da una forte ripolarizzazione della
membrana cellulare tale da creare uno “stupor” temporaneo del
segnale dolore. Tale temporaneità può durare anche dei mesi per poi
tornare ad un livello di dolore normalmente minore dello stato
iniziale. La RF Pulsata a differenza della RF continua è un processo
reversibile e quindi anche ripetibile. Tale procedura è realizzata
applicando impulsi sequenziali della durata di 20 ms e con ampiezza
da 45 a 60 V (Figura 14): si deve raggiungere una temperatura
massima di 42° C e non oltre. E’ di fondamentale importanza sapere
che in tale procedura se la temperatura si innalza oltre i 42°C
l’impulso successivo avrà una ampiezza minore di 45 V e non è
possibile conoscere l’ampiezza degli impulsi inviati successivamente.
Ciò rappresenta il principale limite di questa
metodica, in quanto se l’ampiezza dell’impulso inviato non è
sufficiente non si avrà la neuro modulazione richiesta per il
trattamento del dolore .
47
Figura 14 : Impulsi sequenziali applicati in PRF.
In tale procedura la cannula è posizionata in modo perpendicolare per
ottenere il massimo effetto del campo elettrico applicato; infatti in
pulsata si entra di punta e si lede di punta. Inoltre in tale procedura,
così come nella CRF, prima di effettuare la scarica di impulsi
vengono fatte due stimolazioni:
1)Stimolazione sensoriale, eseguita a frequenza di 50-100 Hz con un
valore di tensione compreso tra 0 e 3 V, con la quale si ricerca la
fibra interessata. Più è basso il valore che si misura più si è in
prossimità della fibra interessata; questo valore ideale è compreso tra
0,1 e 0,5 V.
2) Stimolazione motoria, eseguita per assicurarsi di essere lontani da
una fibra motoria. Questo secondo tipo di stimolazione è
fondamentale per l’esecuzione di una CRF, perché bisogna essere
certi di non ledere o comunque danneggiare in maniera permanente
una fibra motoria. Un modo per accorgersi della vicinanza o meno
ad una fibra motoria è la presenza di clonia , soprattutto quando si
effettuano interventi sulla colonna vertebrale (clonia degli arti
inferiori). Il riscontro di vicinanze ad una fibra motoria può essere
48
meno importante nella PRF in quanto, come già detto, non essendo
una procedura lesiva è reversibile e quindi non crea alcun danno
permanente (53,54,55).
2.3.3 Radiofrequenza “pulse dose”
La Radiofrequenza Pulse-dose rappresenta l’evoluzione tecnologica
della Radiofrequenza Pulsata. Pulse-Dose è infatti un sistema
brevettato Neurotherm/TSS Medical che permette di fornire impulsi
ossia “Dosi” con valori definiti e certi sia di corrente che di tensione.
Infatti nella Pulse Dose vengono mantenuti impulsi
costanti nel tempo a 45 Volt ed una temperatura non superiore a
42°C a differenza del protocollo originale della Radiofrequenza
Pulsata in cui l’ampiezza dell’impulso è di 45 volt e la temperatura
massima di 42° C ma, se la T supera i 42°C ,gli’impulsi successivi
avranno un potenziale inferiore a 45 Volt. La temperatura viene
mantenuta costante grazie all’infusione, in prossimità del tessuto
sottoposto alla procedura, di soluzione fisiologica: ciò permette
oltretutto di abbreviare i tempi della procedura e talvolta di evitare
l’utilizzo della sala operatoria. Nella Radiofrequenza Pulse Dose gli
impulsi vengono definiti a priori dall’utilizzatore sia come Volt
applicabili all’elettrodo che come temperatura applicata e come
numero di dosi che vanno da un minimo di 120 a un massimo di
2400. In questo modo vengono fornite delle dosi costanti sia in
valore di tensione che di temperatura e il risultato finale è
rappresentato da un incremento del 70% di efficacia applicativa.
Proprio la possibilità di impostare il numero di “dosi” da fornire
49
rappresenta il vantaggio di questa metodica che può essere così
standardizzata per ogni nervo periferico da trattare.
Le sue applicazioni ideali sono su fibre nervose periferiche quali :
grande occipitale
sovrascapolare
pudendo
tunnel carpale
popliteo per vasculopatie
2.4 Meccanismi d’azione e effetti biologici
Il calcolo del vettore del campo elettrico E attorno ad un elettrodo di
radiofrequenza posto in un mezzo conduttore, dielettrico, come un
tessuto è governato dalle equazioni di Maxwell. Il campo elettrico E
dà luogo a forze che, smuovendo gli ioni mobili, generano una
densità di corrente elettrica all’interno dei tessuti data da:
j = σ E
dove σ rappresenta la conducibilità elettrica del tessuto. A basse RF
di 500 KHz la densità di potenza media dipende dall’impedenza
ohmica del tessuto ed è espressa da:
dove E è l’ampiezza del campo elettrico che varia al variare della
frequenza RF. La distribuzione di temperatura T nel tessuto è
calcolabile utilizzando l’equazione del bio-calore, data da:
50
Cosman per misurare gli effetti elettrici e termici prodotti
dall’applicazione di RF ha condotto degli studi utilizzando
determinati tessuti biologici (56). Per simulare l’ambiente del tessuto
nervoso umano sono stati utilizzati il fegato fresco di bue e il bianco
d’uovo. Il primo ha valori di σ (conducibilità elettrica tissutale) ed ε
(permettività elettrica tissutale) molto simili a quelli della matrice
cellulare dei tessuti molli e del tessuto nervoso, mentre il bianco
d’uovo è più simile per il suo contenuto di elettroliti al
liquor cefalo rachidiano e ai fluidi intracellulari. Nel fegato, come
dimostrato dalla Figura 16, con un’ampiezza di 45 Volt i vettori
prodotti hanno una direzione essenzialmente radiale e
perpendicolare all’asse dell’elettrodo vicino alla linea centrale della
punta e la loro intensità E diminuisce in funzione della distanza
dall’asse dell’elettrodo. Il campo elettrico tende ad essere intenso alle
estremità e laddove inizia il restringimento della punta. Questo
succede perché sulla superficie di metallo durante ogni impulso di RF
si accumulano cariche repulsive. Invece i vettori del campo elettrico
assumono gradualmente una direzione parallela all’asse dell’elettrodo
quando ci si allontana dalla punta e dalla sua curvatura ,
determinando una diminuzione di intensità dello stesso campo
elettrico fino al totale isolamento (Figura 15).
Il pattern dei vettori E in un mezzo omogeneo non si modificherà per
radiofrequenze CRFL e PRFL tuttavia le intensità dei campi elettrici
sono in conclusione direttamente proporzionali al voltaggio della RF.
51
(a) (b)
Figura 15 : Schematizzazione delle linee di campo elettrico prodotte dalla RF (a); geometria
dell’elettrodo (b).
Per ciò che riguarda gli effetti termici, nella Figura 16 viene mostrato
il campo termico nel fegato calcolato con l’equazione del bio-calore.
In essa comparando la CRFL e la PRFL vengono mostrate le diverse
intensità di campo elettrico E e di innalzamento della temperatura
prodotte a 10,30 e 60sec con le due differenti procedure (57). Nelle
sezioni superiore della Figura 16, per CRFL a 13 V, si nota che
l’effetto termico prodotto si estende a circa 1 mm dalla punta
dell’elettrodo e dalla zona di isolamento mentre lateralmente si
estende circa 2 mm dall’asse dell’elettrodo: quindi l’estensione della
lesione prodotta a 50°C è ampia 4 mm e lunga 7 mm.
52
Figura 16 : Correlazione tra l’intensità del campo elettrico e la temperatura prodotta
durante CRFL e PRFL nel fegato di bue in 10, 30 e 60 ms.
L’estensione di una lesione prodotta a 45°C dovrebbe aumentare di
circa 1 mm. Per tensioni più elevate la zona in cui si propaga la
temperatura, supponendo di stare a 50°C, diventa sferica purché la
temperatura dell’elettrodo non superi i 100°C. E’ ovvio che la
dimensione della lesione prodotta a 50°C è funzione del tempo di
applicazione della RF. Nelle sezioni inferiori della Figura 16
vengono mostrati gli effetti termici prodotti dalla PRLF: per un
Voltaggio di 60 V con durata di 20 ms e una frequenza uguale a 1
Hz, c’è solo un aumento medio di temperatura di 5°C prodotto vicino
all’elettrodo dopo un tempo pari a 60 sec , mentre il campo elettrico
prodotto sulla punta è di E = 72,700 V/m e quello a metà della
superficie (a circa 2,2 mm) è di E = 9,500 V/m. Si tratta di valori 3,8
volte superiori a quelli prodotti con la CRFL, ciò spiega quanto
attualmente nella pratica clinica la PRLF è preferita alla CRFL. Nella
Figura 17 viene confermato in maniera grafica quanto
espresso dalla figura precedente .
53
Figura 17 : Diagramma dell’intensità di campo elettrico e dell’innalzamento della
temperatura , in funzione della distanza dall’elettrodo, durante RF.
Si nota infatti che lungo il primo percorso (lungo l’asse della punta)
l’ E-campo e il T-campo diminuiscono rapidamente nei loro valori in
funzione dell’aumento della distanza dall’elettrodo, invece lungo
il secondo percorso (perpendicolare all’ asse dell’elettrodo) i valori di
picco di E-campo e di T-campo, sicuramente più bassi di quelli
presenti in punta, diminuiscono molto più lentamente con
l’aumentare della distanza dall’elettrodo. Nell’analisi degli effetti
termici ed elettrici prodotti dalla CRFL, sui tessuti biologici, come
detto in precedenza, è generalmente confermato che l’applicazione
per 20 sec o più di un range di temperatura tra 45- 50°C su di un
tessuto biologico ne distruggerà le cellule e le strutture molecolari.
Nel caso della CRFL la Figura 16 ha mostrato le dimensioni e la
forma della lesione prodotta con una temperatura alla punta
dell’elettrodo di 65-70°C. Ciò che ancora non è del tutto chiarito è
la qualità e l’intensità di distruzione del materiale biologico in
funzione della temperatura e del tempo di esposizione.
54
Dieckmann ha osservato necrosi coagulativa e demielinizzazione
progressiva dal centro della lesione alla periferia, sia per diminuzione
della temperatura sia per aumento della distanza dalla punta
dell’elettrodo, fino ad un margine esterno corrispondente alla
temperatura di 45-50°C (58). Brodkey ha dimostrato che “lesioni
reversibili da calore“ sono provocate con valori tra 42,5° e 44°C,
range in cui si osserva un temporaneo arresto dell’attività neuronale
nel tessuto cerebrale (59). Comunque gli effetti precedenti di
applicazione di temperatura a 42°C e 45-50°C con la CRFL non sono
ancora ben noti .Infatti la “lesione reversibile da calore “di Brodkey è
veramente una conseguenza della temperatura? e, se così fosse, quali
sono le reali modificazioni strutturali dei neuroni, anche in funzione
della temperatura e del tempo di esposizione? o forse la cosiddetta
lesione da calore è causata da effetti “non” termici del campo
elettrico che si produce?
E’ noto nella Figura 16 che il campo elettrico prodotto a 50°C per 13
V è E=2,500 V/m . Il numero di neuroni esposti a simili campi
elettrici nella zona tra 50-45°C e 42°C è proporzionale alla
estensione dell’ involucro, a “conchiglia”, compreso tra le
temperature 45-50°C e la temperatura 42°C: l’estensione di questa
zona è proporzionale allo spessore della superficie corrispondente
alla temperatura di 50°C. La suddetta “conchiglia” è comparabile
significativamente con la stessa dimensione della “lesione da calore“
cosicché l’effetto complessivo, che comprende anche
“l’effetto della lesione reversibile da calore“ sui neuroni all’interno
di quella zona potrebbe essere significativo. In conclusione, benché
gli effetti del calore generati dalla CRFL siano indiscutibili e
55
rappresentino la componente più importante nella distruzione
tissutale e cellulare prodotta, non è chiaro il coinvolgimento di
ulteriori E campi elettrici, resta quindi prematuro asserire che la
CRFL produca effetti dipendenti solo dall’aumento della
temperatura. Per ciò che riguarda gli effetti termici ed elettrici sui
tessuti biologici prodotti dalla PRFL, si sa che nonostante la PRFL e
la CRFL seguano le stesse leggi fisiche, esse differiscono nello
spazio, nel tempo e nella forza dei campi risultati, secondo Cosman
la PRFL si caratterizza per la produzione di campi elettrici più forti
rispetto alla CRFL e per avere degli “spikes” di temperatura non al di
sopra di 45-50°C, quindi le zone sottoposte ad alte temperature sono
sicuramente inferiori a quelle prodotte nella CRFL. Anche se è
ipotizzabile che la PRFL produca dei T-spikes al di sopra di 45-50°C,
l’effetto sui neuroni di questi ultimi è sconosciuto, sicuramente non si
può affermare che essi distruggeranno le strutture cellulari come
nella lesione da calore prodotta da CRFL. Comunque l’esistenza di
questi picchi di calore indica che gli effetti della temperatura devono
essere considerati un potenziale e significativo agente neuro litico
della PRFL che quindi non può essere descritta come una lesione
“non termica“. Gli alti campi elettrici prodotti nella PRFL possono
plausibilmente avere effetti significativi sui neuroni per i potenziali
di transmembrana Um che essi inducono. Infatti l’applicazione di
campi elettrici come dimostrato nella Figura 18. dove la cellula
nervosa è considerata una sfera di raggio r posta in un campo
elettrico prodotto da RF,
determina differenti potenziali di transmembrana dipendenti dalla
frequenza dei campi stessi; per frequenze basse (1-10 kHz), la
56
membrana cellulare comportandosi come un isolante non permetterà
il passaggio delle linee di campo e ciò portando ad un accumulo di
cariche sulla superficie della cellula darà luogo ad un potenziale
transmembrana massimo; per frequenza alte (circa un 1 MHz), le
linee elettriche possono parzialmente penetrare nella cellula e il
potenziale si riduce; aumentando la frequenza fino a 100 MHz
l’impedenza della membrana è piccolissima e le linee elettriche
penetrano facilmente la cellula riducendo ulteriormente il potenziale.
Figura 18 : Comportamento delle linee di campo elettrico nei confronti della membrana
cellulare neuronale per frequenze di 10 kHz, 1 MHz e 100 MHz.
La grandezza di Um è:
dove ϕ è l’angolo mostrato nella figura , τ è una costante di tempo ed
f è la frequenza della RF. Ancora non si conosce il meccanismo
con cui la PRF generi il suo effetto sulla trasmissione nervosa. Alcuni
studi neurofisiologici hanno dimostrato che la PRF modifica i segnali
57
sinaptici e causa elettroporazione. Secondo un’ altra teoria il campo
elettrico prodotto dalla PRF altera la trasmissione del dolore
attraverso il coinvolgimento di c-Fos, il cosiddetto “early gene”.
Questa teoria è suffragata da uno studio di Zundert, che hanno
dimostrato un incremento dell’espressione di c-Fos nelle lamine I e II
del corno dorsale dei ratti provocata da PRF a 42°C per
120 secondi, anche se questo dato altro non rivela che un aumento
dell’attività metabolica cellulare senza nessuna specificità riguardo
alla trasmissione nervosa dell’informazione dolore. E’ importante
notare, infatti, che l’ “up-regulation” di c-Fos osservata con la PRF è
associata ad altri processi cellulari e potrebbe non essere il reale
meccanismo con il quale la PRF produce i suoi effetti terapeutici.
Infatti, in aggiunta a c-Fos, con la PRF è incrementata anche
l’espessione del fattore 3 attivatore della trascrizione (ATF3) (60).
Comunque, così come nel caso di c-Fos, il ruolo di ATF3 rimane
poco chiaro. Dunque mentre per la neurolesione termica con CRF c’è
una forte base biologica, con una forte evidenza nei risultati rispetto
al sollievo dal dolore, alla restituzione della funzione e alla
risoluzione del distress psicologico, lo stesso non si può dire della
PRF, della quale non si conosce ancora il meccanismo d’azione, né ci
sono ancora studi prospettici ben disegnati che ne comprovino
l’efficacia statistica (61,62) .
58
CAPITOLO 3 : METODI E MATERIALI
3.1 Introduzione razionale e metodologia
Il Low Back Pain riconosce un notevole impatto economico; non
esiste una sola opzione terapeutica e, se da un lato la terapia
farmacologica va distinta in terapia dell’attacco acuto e terapia
profilattica, dall’altro per quest’ultima nessun protocollo ha mostrato
una netta superiorità rispetto agli altri (63,64,65). Quest’aspetto è
particolarmente interessante se si considera che le stesse Linee Guida
emanate dalle società scientifiche sono in continua evoluzione per ciò
che riguarda sia la terapia acuta che quella profilattica e che, laddove
è indicato e possibile, è previsto il ricorso anche a metodiche invasive
in sostituzione dei farmaci. Per giudicare l’impatto di una patologia e
del suo trattamento si dovrebbe tener conto di numerosi aspetti, per
cui Van Zundert nel 2005 ha proposto il ricorso ad uno specifico
Medical Technology Assessment (MTA), in grado di determinare sia
la totale rilevanza (“peso”) della patologia in studio (per il paziente e
per la società) sia il costo complessivo dei trattamenti adoperati,
valutandone anche la loro efficacia (66). Nel descrivere questa
metodica l’Autore riprende lo schema presentato precedentemente da
Tugwell che, come mostrato in Figura 19, considera il costo della
malattia in termini sociali e di qualità di vita del paziente nonché in
termini di costi relativi al raggiungimento di una corretta diagnosi
(esami di laboratori e/o radiologici) ma anche l’efficacia dei
trattamenti in termini di effetto terapeutico, secondo Linee Guida già
stilate (67).
59
Figura 19: Principi di valutazione delle tecnologie mediche (da Van Zundert 2005).
Si deve inoltre tener conto che nella valutazione dei costi di una
patologia cronica vanno compresi:
i costi diretti, specificamente ascrivibili alla sua diagnosi e/o
terapia (esami strumentali e di laboratorio, prezzi dei farmaci e
delle procedure invasive).
i costi indiretti, che riguardano la sfera psicologica e sociale
del paziente (qualità di vita, attività lavorative e ricreative),
nonché le ripercussioni causate alla società (diminuzione
dell’attività lavorativa).
E’ chiaro che i primi sono facilmente quantificabili, mentre i secondi
possono essere indagati solo attraverso la somministrazione di
particolari questionari che assumono valore statisticamente
60
significativo solo su grosse popolazioni di pazienti, in condizione di
omogeneità. In questo studio, effettuato da Febbraio a giugno 2011
presso il Centro di Terapia del Dolore della Facoltà di Medicina della
“Federico II”, sono stati considerati i trattamenti farmacologici
(Tecnologia A) per la terapia cronica del low back pain da Facet
Syndrome espressi anche dalle Linee Guida dell’ Institute for
Clinical Systems in Improvement (ICSI) (Figura 20) del 2010 relative
ai tipi di cura del low back pain (68).
Essi sono stati confrontati con i costi della RF Pulse Dose
(Tecnologia B) utilizzata nei pazienti per i quali il trattamento
farmacologico risultava o poco efficace, in termini di riduzione del
dolore, o gravato da importanti effetti collaterali o causa esso stesso
di sintomi indesiderati con peggioramento della qualità della vita.
Tale confronto è stato effettuato mediante la break even analysis che,
in ambito economico, permette di identificare il punto in cui i ricavi
ottenuti eguagliano i costi totali sostenuti.
In particolare si è considerata soltanto la spesa sostenuta dal Sistema
Sanitario della Regione Campania :
- i costi sostenuti sono rappresentati dal costo fisso della Tecnologia
B (DRG + costi farmaci in protocollo di riduzione posologica per
trattamento RF)
- i ricavi sono espressi dai costi evitati dall’utilizzo della Tecnologia
A (terapia farmacologica utilizzata di routine per il trattamento
cronico del low back pain più eventuali costi di metodiche fisiche
aggiuntive come Mesoterapia, Laserterapia, Tens).
61
Figura 20: Algoritmo del low back pain da facet syndrome dalle linee guida dell’ICSI
62
3.1.1 Tecnologia A: Trattamento Farmacologico
Il trattamento farmacologico del low back pain riconosce una terapia
dell’attacco acuto ed una terapia profilattica. Questa distinzione è
basata sul fatto che l’episodio acuto di lombalgia verrà trattato in
maniera aspecifica con una o più classi di analgesici, senza conoscere
ancora il meccanismo patogenetico del dolore e quindi la sua causa
anatomica. Successivamente quando questi dati saranno chiariti si
potranno riconoscere e quindi trattare nella terapia profilattica le
varie componenti del dolore (nocicettiva/neuropatica). La terapia
dell’attacco acuto si basa principalmente sulla somministrazione di
farmaci antinfiammatori o di corticosteroidi. Molto spesso i primi
(FANS,NSAIDs) vengono assunti in regime di auto
somministrazione, talvolta anche non rispettando una corretta
posologia ed essendo questi farmaci gravati da importanti effetti
collaterali, ciò può determinare un aggravamento delle condizioni
generali. E’ molto importante che il paziente con ripetuti episodi
acuti si rivolga poi al medico per stabilire mediante un’attenta
valutazione clinica e strumentale la natura del dolore: questo
rappresenta il punto di partenza per stilare poi un protocollo di
terapia profilattica. Quest’ultima in base alle linee guida della Società
Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva
(SIAARTI) si avvale di farmaci attivi sulla componente nocicettiva
del dolore e su quella neuropatica, in considerazione del fatto che in
ogni dolore cronico i meccanismi neuronali sottesi non sono più solo
quelli fisiologici (del dolore acuto) ma anche quelli derivanti da una
funzionalità neuronale aberrante, con fenomeni di sensibilizzazione
del nervo legati ad alterazioni dei canali ionici presenti sulla
63
superficie delle cellule e responsabili della generazione dei potenziali
d’azione. La presenza di stimoli ripetuti e protratti determina la
sensibilizzazione periferica. Questo meccanismo, legato alla
liberazione dei mediatori dell’infiammazione, abbassa la soglia di
risposta dei nocicettori dando luogo ad un aumento della sensibilità
allo stimolo nocicettivo nella sede del danno tissutale indotto da
modificazioni della cinetica dei canali ionici, ma anche ad un
aumento delle afferenze sensitive ai neuroni spinali. Tutto ciò
determina l’insorgenza di iperalgesia ed una sensibilizzazione
centrale, rappresentata da un aumento della eccitabilità del secondo
neurone sensoriale per stimoli ripetuti o protratti, mediata da
modificazioni strutturali del recettore glutammatergico NMDA (long
term potentiation). Gli effetti consistono in un incremento della
frequenza di scarica, a parità di stimolo, con abbassamento della
soglia di eccitazione del secondo neurone, in un allargamento dei
“campi recettivi” e nel reclutamento di neuroni normalmente deputati
ad altri tipi di sensibilità. Ciò clinicamente è responsabile di una
progressiva intensificazione del dolore. Inoltre si determina
l’estensione dell’area dolente con possibile diffusione controlaterale
e sviluppo di allodinia (dolore per stimoli tattili o in assenza di
stimoli). In ogni caso lo scopo principale della terapia profilattica è
proprio quello di diminuire sia la frequenza che l’intensità degli
attacchi acuti, cercando di riportare alla normalità la funzione delle
vie neuronali del dolore. Le classi farmacologiche di riferimento sono
quelle degli antiepilettici, antidepressivi, oppioidi a lento rilascio e
corticosteroidi a cui va aggiunta la somministrazione di sostanze
gastroprotettrici necessarie per la cronicità della terapia.
64
In base alle attuali conoscenze derivanti soprattutto dall’ Evidence
Based Medicine (EBM) l’antiepilettico maggiormente efficace nel
dolore cronico con componente neuropatica è il Pregabalin attivo
sulla ipereccitabilità di un particolare sottotipo dei canali del calcio
coinvolto proprio nei meccanismi di cronicizzazione e
sensibilizzazione; l’antidepressivo maggiormente efficace, anche se
gravato da alcuni effetti collaterali, è l’Amitriptilina; il
corticosteroide sintetico preso come riferimento è il Prednisone;
l’Ossicodone è un oppioide agonista che funge da analgesico; come
farmaco antinfiammatorio non steroideo ha largo impiego
l’Ibuprofene; infine come protezione per lo stomaco si preferisce il
Rabeprazolo.
3.1.2 Tecnologia B: RF “Pulse Dose”
La Tecnologia B consiste nell’applicazione di RF Pulse Dose nei
pazienti in cui la Tecnologia A non aveva sortito gli effetti desiderati
in termini di analgesia e/o mancanza di effetti collaterali.
L’azienda che produce e che ha brevettato gli apparecchi per RF
Pulse Dose è la TSS Medical e lo strumento predisposto per tale
procedura è il Neurotherm NT1000 che è provvisto di due modalità
per la RF pulsata:
1) RF pulsata classica
2) RF Pulse Dose
La RF pulsata, come già detto, irradia nel tessuto gli impulsi che
immediatamente provocano l’innalzamento della temperatura
circostante, tale da superare il valore massimo consentito di 42°C.
Come conseguenza, il sistema di radiofrequenza (della NT1000), va a
65
modificare i parametri di emissione del segnale in modo tale da
ridurre l’innalzamento della temperatura in eccesso. Il parametro sul
quale agisce per ridurre l’effetto della temperatura è l’ampiezza del
segnale. Infatti, i sistemi classici in questo caso riducono il valori di
ampiezza portando gli impulsi successivi, ad esempio, a 30 o 25 V,
fino a quando la temperatura rientra nei limiti imposti di 42°C. Di
conseguenza ci si trova a non sapere che tipo di trattamento è stata
somministrata e quindi non è possibile creare uno standard
terapeutico se alla base viene somministrata una terapia non costante.
Si ricorda che l’assioma della RF pulsata nasce dal presupposto di
fornire un valore efficace di impulso di 45 V e durata 20 ms.
L’azienda, per ovviare a questi problemi propone la RF Pulse Dose il
cui principio di funzionamento si base nel fornire impulsi efficaci e
costanti nel tempo a 45 V e 20 ms. Anche in tale trattamento i primi
impulsi emessi innalzano la temperatura del tessuto circostante con
raggiungimento immediato del limite (42°C), ma il sistema pulse
dose blocca l’impulso successivo sino a quando la temperatura non
rientra nei valori di norma. Quindi, a differenza della RF pulsata, tale
procedura è in grado di fornire esattamente una corretta “dose” senza
che l’effetto degli impulsi sia ridotto dai circuiti che limitano la
temperatura con un aumento del 70% dell’efficacia procedurale. Solo
quando la temperatura rientra nei limiti il software farà partire gli
impulsi successivi a 45 V e 20 ms. L’NT1000 è in grado di contare
ogni impulso e solo quando ha somministrato quanto programmato si
spegne automaticamente, per ogni procedura sono programmabili da
120 a 2400 dosi. Nella nostra procedura la fibra è stimolata da 1200
dosi. L’utilizzo della Pulse Dose prevede quindi che la terapia
66
erogata si misurerà non più con il tempo di applicazione, come
avviene in RF pulsata classica, ma con il numero di “dosi” emesse.
E’ quindi possibile sapere con esattezza la quantità di terapia erogata
al paziente la quale, oltretutto, risulta costante nel tempo. Possiamo
evidenziare la differenza procedurale tra le due terapie, che la
NT1000 propone, attraverso le Figure 21a e 21b, raffiguranti il
comportamento della RF pulsata classica: nella 21a è presente una
variazione di ampiezza degli impulsi, nella 21b una variazione della
durata degli impulsi. Queste variazioni si hanno in seguito al
raggiungimento della temperatura soglia (42°C).
Figura 21a : RF pulsata classica (da TSS medical)
67
Figura 21b : RF pulsata classica (da TSS medical)
Possiamo notare come inizialmente gli impulsi erogati rispettano il
valore di 45 V e 20 ms, quando poi la temperatura massima
raggiunge il valore limite dei 42°C gli impulsi successivi si
modificano nel valore dei Volt applicati, inficiando la terapia. Come
rappresentato graficamente in Figura 22 nella Pulse Dose quando la
temperatura limite supera il valore di 42°C l’impulso successivo
viene bloccato dal software e partirà nuovamente solo quando la
temperatura nel tessuto rientrerà nei valori limite.
68
Figura 22: RF pulse dose (da TSS Medical)
Inoltre lo strumento, NT1000, è dotato di:
- Un software evoluto: permette di gestire la metodica con passaggi
immediati come la lettura dell’impedenza e la stimolazione fino alla
trasmissione di Radiofrequenza.
- Il Monitor Touch Screen: visualizza in tempo reale l’evoluzione
della procedura e permette di impostare i parametri di configurazione
metodica.
- Programmazione: risulta semplice ed intuitiva tramite una selezione
passo passo di tutti i parametri quali: impedenza, stimolazione,
frequenza sensoriale e frequenza motoria, RF continua, RF pulsata e
pulse dose.
- Sicurezza nella metodica: NT1000 è dotata di un sistema di
controllo della temperatura in tempo reale, nel caso in cui la
temperatura di lavoro supera quella impostata, il generatore “taglia”
69
l’erogazione della corrente mantenendo i valori nei range di
sicurezza.
- Memorizzazione dei dati: NT1000 ha la possibilità di memorizzare
tutti i dati della meiotica associandoli al paziente.
Il kit che si utilizza durante gli interventi è totalmente monouso, il
che garantisce l’abbattimento delle infezioni ospedaliere; esso è
comprensivo di cannule e di elettrodo termocoppia monouso. Le
termocoppie lavorano indipendentemente l’una dall’altra (con tre
generatori RF) e sul monitor sono visualizzati i singoli parametri per
ciascuna di esse quali impedenza, stimolazione e temperatura di
esercizio, emissione delle radiofrequenza. In particolare poi il
generatore NT1000 è aperto all’utilizzo di vari tipi di elettrodi
termocoppia:
elettrodo standard
doppio elettrodo
triplo elettrodo
elettrodo bipolare
elettrodo senza lettura di temperatura (no termocoppia)
Per garantire infine il corretto funzionamento della termocoppia
senza rinunciare alla sterilità c’è lo stimolation kit con il quale basta
appoggiare la termocoppia alla piastra di stimolazione per avere il
controllo del corretto funzionamento. Di seguito è presentata la
scheda tecnica (Figura16) relativa all’NT1000.
70
MONITOR TEMPERATURA
DISPLAY da 30° fino a
100°
LETTORE
DI
TEMPERATURA
Tutti i modelli
di elettrodi
Termocoppia
MONITOR IMPEDENZA
DISPLAY
DIGITALE
Lettura dell’impedenza
biologica in ogni tipo
di procedura
RANGE
da 50 a 2000
Ohms (passi da
1 Ohm)
SELF TEST Resistenza Interna di
500 Ohm SUONI
Monitoraggio
impedenza udibile
STIMOLAZIONE
FORMA
D’ONDA
Bifasica bilanciata con
impulso negativo di
carico
AMPIEZZA
IMPULSO
0,1 – 0,2 – 0,5
– 1,0 mSec.
FREQUENZE di
STIMOLAZIONE
10‐20‐50‐75‐100‐150‐180‐200 Hz per fibre sensoriali ‐
2 ‐ 5 Hz per fibre motorie
Fibre sensoriali e fibre motorie sono indipendenti tra
loro.
AMPIEZZA VOLTAGGIO
COSTANTE
0 – 5,0 V
0 – 3,0 V
0 – 0,5 V
CORRENTE
COSTANTE
0 – 10 mAmp
0 – 6 mAmp
0 – 1 mAmp
POTENZA RADIOFREQUENZA PULSATA
USCITA AMPIEZZA
IMPULSI:
5‐10‐20‐50
mSec.
IMPULSI
FREQUENZA
1‐2‐5‐10
Hz (solo 1
‐2 Hz) con
uso di più
elettrodi
AMPIEZZA VOLTAGGIO
COSTANTE
30 – 70
Volts (RMS)
CORRENTE
COSTANTE
50 – 350
mAmps
(RMS)
SELEZIONE
TEMPERATURA
MASSIMA
42 – 90 °C SELEZIONE
TEMPO
0:30 – 20:00
minuti
PULSE DOSETM
AMPIEZZA
IMPULSI: Massima
AMPIEZZA
FREQUENZA: Massima
NUMERO DI
PULSATE:
Impostato all’inizio della procedura Da 120 a 2400
pulsate.
71
RADIOFREQUENZA CONTINUA
POTENZA RF
D’USCITA
da 0 a 30 Watts con
200 Ohm di carico
FREQUENZA DI
LAVORO 480 Khz
DISPLAY
VOLT
da 0 a 99 Volts
(RMS)
DISPLAY
CORRENTE
da 0 a 999
mAmps
(RMS)
IMPEDENZA 50‐2000 Ohms TEMPERATURA
visualizzabile
mediante
grafico
dinamico
30-100 °C
TEMPO
Selezionabile 0:30 – 10:00 . Il timer parte automaticamente
intorno a 5°C rispetto alla temperatura impostata.
Premendo AUTO START la temperatura aumenta di 8°C
al secondo sino al raggiungimento della temperatura
impostata.
SETTAGGIO
MASSIMO
TEMPERATURA
Selezionabile 50° ‐ 90°C in passi da 1° o 5°C . La
potenza di RF viene automaticamente corretta per non
superare la temperatura. P1- P2- P3 non sono temperature
fisse ma seguono il profilo lesione IDET.
Tale profilo può essere modificato.
IDET
Possibilità di avere programmi pre ‐ settati P1; P2 e P3
totalmente personalizzabili secondo il tipo di elettrodo per
il disco. Tutti i parametri quali temperatura, tempo,
innalzamento della temperatura sono totalmente automatici.
ELETTRODI MULTIPLI
PUO’ ESSERE UTILIZZATO CON 1 – 2 O 3 ELETTRODI
CONTEMPORANEAMENTE IN RF PULSATA – IN RF CONTINUA –
IN PULSE DOSE.
SICUREZZA
OPERAZIONI
STERILI
Possibilità di
effettuare prova
elettrodo intra –
operatoria
(testing Kit)
EMISSIONE
STIMOLAZIONE
‐
RF LESIONE
Blocco
automatico se non
viene riportata la
manopola a zero
TEMPERATURA
MASSIMA
In RF continua la
temperatura è limitata
a 90°C. Blocco
automatico in caso di
superamento della
temperatura di 95°C
TERMO
COPPIE
Blocco sistema
se la
termocoppia non
è correttamente
collegata allo
strumento
72
OPERAZIONI
Tutti i parametri sono impostati tramite monitor touch screen mentre si
utilizzano le manopole per effettuare la procedura.
Il touch screen visualizzerà il suo andamento.
IMPOSTAZIONE DATI
Possibilità di impostare più di dodici (12) diversi profili di settaggio
macchina.
Dettagli Paziente: I DATI PAZIENTE POSSONO ESSERE
MEMORIZZATI ALL’INTERNO DELLA MACCHINA
ACQUISIZIONE DATI
Tutti i dettagli della procedura possono essere esportati a Microsoft Excel
al termine della procedura
STANDARD
EN 60601‐1 :1997 / IEC 60601 – 1 – 2 : 1983 / IEC 60601 – 2 – 2 :
1998 / Marchio CE MDD 93/42EEC Classe di appartenenza : II tipo BF
ACCESSORI
SCHEDA DI
MEMORIA
USB
Permette il trasferimento dei dati relativi alle procedure
direttamente al PC.
MONITOR
AGGIUNTIVO Permette di visualizzare quanto riportato sul display.
STAMPANTE
BLUETOOTH
Collegata attraverso la connessione BluetoothTM
permette
di stampare nell’immediato i dettagli delle procedure.
DATI PREIMPOSTATI
STIMOLAZIONE
SENSORIALE
50 Hz – 1,0 mSec –
0 ‐ 3 V
STIMOLAZIONE
MOTORIA
2 Hz – 1,0
mSec – 0 ‐ 3 V
RF CONTINUA
80°C – 1:00 min RF PULSATA
20 mSec – 2
Hz – 42°C –
45 V – 2:00
min
PULSE DOSE 20 mSec – 2 Hz – 42°C – 45 V – 240 pulsate
Figura 23: scheda tecnica generatori di radiofrequenza serie NT1000 ( da TSS Medical)
73
Prima di sottoporre il paziente alla RF Pulse Dose si inizia la
diminuzione posologica progressiva della precedente terapia
farmacologica (Tecnologia A). Nel descrivere la procedura con la
quale viene trattato il paziente da sottoporre a RF pulse-dose, farò
riferimento alla mia esperienza presso il Centro di Terapia del
Dolore della “Federico II” che ha eseguito l’intervento in
collaborazione con il Dipartimento di Neurochirurgia. Secondo il
protocollo il paziente veniva dapprima sottoposto, in regime
ambulatoriale, a blocco diagnostico con anestetico locale delle
faccette articolari interessate e, solo nei pazienti che avevano tratto
beneficio del blocco anestetico abbiamo eseguito in regime di “day
surgery” la denervazione percutanea delle branche mediali in
radiofrequenza pulse-dose. La procedura è stata sempre eseguita con
il paziente in posizione prona sotto visione fluoroscopica; la
visualizzazione fluoroscopica è stata eseguita in proiezione A-P, e
quindi in obliqua, per ottenere l’immagine più corretta per la
procedura che quindi prevede l’utilizzo dell’amplificatore di
brillanza. Quest’ultimo è l’unica guida del chirurgo per posizionare
l’elettrodo. Il follow up è stato eseguito attraverso la valutazione
della sintomatologia dolorosa prima del trattamento, una settimana
dopo il blocco diagnostico ed ogni mese dopo la denervazione in
radiofrequenza pulse-dose. A tutti i pazienti circa dopo 8 giorni, la
terapia farmacologica, già ridotta gradualmente dopo il blocco
anestetico, veniva del tutto interrotta e tutti sono stati valutati
mediamente per 15 mesi dopo la procedura. I pazienti da noi trattati
lamentavano un dolore alla schiena con irradiazione al gluteo,
all’anca ed alla coscia che non scendeva mai al di sotto del
74
ginocchio; il dolore era riferito sordo, profondo e che peggiorava con
i movimenti di estensione e rotazione del rachide lombosacrale.
L’assenza di parestesie e/o altri disturbi di sensibilità escludeva la
presenza di dolore radicolare.
3.2 Analisi dei costi
Per l’analisi dei costi si è fatto riferimento ad un paziente “tipo” così
da poter calcolare la spesa mensile dei farmaci (come suggerito da
Linee Guida) alle posologie utilizzate nel Low back pain da sindrome
delle faccette. Inoltre si è considerato che, come riportato in
letteratura e come ho constatato nella mia esperienza presso il
Centro di Terapia del Dolore del Dipartimento di Anestesia della
Facoltà di Medicina della Federico II di Napoli, nel 60% dei casi che
ricorrono al trattamento con RF, la terapia seguita era “solo”
farmacologica, mentre il restante 40% si sottoponeva anche a terapie
fisiche (come magnetoterapia, laserterapia ed elettroanalgesia
transcutanea o TENS) a carico del Servizio Sanitario Nazionale
(69,70). Quindi, se per i farmaci i costi della terapia mensile, ai
dosaggi previsti, sono di 210 € (Figura 24) per le terapie fisiche tali
costi (per 15 sedute mensili) sono di 205 € da aggiungere alla terapia
farmacologica. Di tali cifre per la break even analysis si è calcolata la
media ponderata che ha rappresentato il costo evitato (Tecnologia A)
e quindi i ricavi ottenuti nel ricorso alla RF pulse-dose.
MEDIA PONDERATA: Tecnologia A = 0,6 * A1 + 0,4 * A2
dove con A1 abbiamo considerato i prezzi della sola terapia farmacologica
e con A2 i prezzi della terapia farmacologica più quelli della terapia fisica
aggiuntiva.
75
3.2.1 Costi Tecnologia A1 e A2
I costi relativi dei farmaci sono stati controllati su “L’Informatore
Farmaceutico” edito da Elsevier Masson nel 2011 (71), nel quale
vengono riportati, in conformità a quanto prescritto dall’Agenzia
Italiana del Farmaco (AIFA) :
LYRICA
115 €
TARGIN
28 €
DELTACORTENE
5 €
BRUFEN
8 €
PARIET
19 €
LAROXYL
35€
COSTO TOTALE
DELLA 210 €
TECNOLOGIA A1
Figura 24: Tabella terapia farmacologica mensile (Tecnologia A1) di un paziente “tipo” a
dosaggio pieno.
I costi relativi alle terapie fisiche aggiuntive quali : elettroanalgesia
transcutanea (TENS), laserterapia e magnetoterapia sono quelli
erogati dal Sistema Sanitario della Regione Campania come previsti
dal Bollettino Ufficiale n.64 del 10 Ottobre 2011 (72). Per la break
even analysis abbiamo calcolato una media aritmetica tra le tre
terapie trattate prendendo in considerazione una cura che prevede una
volta ogni tre mesi 15 sedute:
76
- tens: 10€ a seduta per una spesa di 150€ al mese
- magnetoterapia: 13€ a seduta per una spesa di 195€ al mese
- laserterapia: 18€ a seduta per una spesa di 270€ al mese
MEDIA ARITMETICA:
Tecnologia A2 = (150 + 195 + 270) / 3 = 615 / 3 = 205€
3.2.2 Costi Tecnologia B
Per il calcolo del costo della Tecnologia B (RF Pulse Dose) si è
considerata l’entità del DRG (Diagnosis Related Group) ovvero il
prezzo erogato dal Sistema Sanitario della Regione Campania per
l’effettuazione complessiva della procedura, così previsto dalla
Normativa Regionale Campania Deliberazione N.102 del 09/01/2009
che equivale a 2.620,33 € (73).
Per la break even analysis, da noi effettuata, sono stati inoltre
calcolati i prezzi relativi ai farmaci gradatamente ridotti nel dosaggio
del paziente dopo la risposta positiva al blocco anestetico di prova,
considerando rispetto al protocollo basale una diminuzione
posologica del 50% per 14 giorni prima della RF e del 90% per 8-10
giorni dopo la RF, fino a sospensione.
Il totale, dato dal DRG + i prezzi dei farmaci ridotti ha rappresentato
nella nostra break even analysis il costo totale della Tecnologia B,
equiparabile al solo costo fisso poiché non prefissi costi variabili.
77
CAPITOLO 4 : RISULTATI
4.1 Valutazione Economica
La metodica della RF pulse-dose è di recentissima introduzione e
quindi i dati presenti in letteratura con le caratteristiche scientifiche
richieste dalla EBM (Evidence Based Medicine) per questa procedura
sono attualmente molto scarsi. Inoltre tali dati fanno riferimento per
lo più alla RF pulsata, essendo la Rf pulse-dose in definitiva una
variante di RF pulsata più sicura nel dosaggio. Secondo la metanalisi
di Van Boxem, su 50 RCT di medicina interventistica,15 riguardano
l’uso della RF pulsata in diverse sindromi dolorose croniche (74,75);
in essi la valutazione dell’efficacia analgesica della RF è stata
effettuata mediante misurazione dell’intensità dolorosa
monodimensionali (VAS= Scala Analogica Visiva) e questionari
multidimensionali sulla percezione di benessere (SF36) e di impatto
del dolore sulle attività quotidiane (Brief Pain Inventory). In altri
studi riguardanti specificamente la PRF sono stati considerati gli
stessi scores di misurazione; questi stessi studi hanno considerato
tempi di follow up da un minimo di 3 mesi ad un massimo di 12 mesi
(76,77,78,79,80), essendo la procedura non lesiva e quindi ripetibile
nel tempo. Dimostrare l’efficacia analgesica relativamente a questa
terapia è importante per definire anche l’efficienza della procedura.
Per questo motivo la break even analysis da me effettuata è relativa
ad un range temporale di 12 mesi. Come precedentemente detto nello
studio del break even point sono stati presi in considerazione i costi
fissi, che riguardano tutte le spese correlate alla procedura e che non
78
variano rispetto al tempo ed i costi evitati, pari alla media ponderata
delle tecnologie A1 e A2 considerate nel 60% e 40% dei pazienti fino
a 12 mesi di terapia. Di seguito sono rappresentati schematicamente
il calcolo dei due costi: i costi evitati e quelli fissi.
4.2 Analisi dei costi
4.2.1 Calcolo dei costi della tecnologia A
Ho calcolato il costo della tecnologia A effettuando una media
ponderata mensile tra le tecnologie A1 e A2 prese in considerazione
nel 60 % e 40 %, quindi, come mostrato in Figura 25a e 25b la
Tecnologia A è pari a :
Tecnologia A = 0,6 * A1 + 0,4 * A2
MESI A1 A2 A
1 210 € 415 € 292 €
2 420 € 625 € 502 €
3 630 € 835 € 712 €
4 840 € 1250 € 1004 €
5 1050 € 1460 € 1214 €
6 1260 € 1670 € 1424 €
7 1470 € 2085 € 1716 €
8 1680 € 2295 € 1926 €
9 1890 € 2505 € 2136 €
10 2100 € 2920 € 2428 €
11 2310 € 3130 € 2638 €
12 2520 € 3340 € 2848 €
Figura 25a : Tabella del costo totale della Tecnologia A.
79
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
Mesi
Co
sti tecnologia A
Figura 25b : Diagramma del costo totale della Tecnologia A.
4.2.2 Calcolo dei costi della tecnologia B
In Figura 26 sono riportati schematicamente i costi totali della
tecnologia B:
COSTI TECNOLOGIA B
DRG Regione Campania
2.620,33 €
Terapia Farmacologica
preintervento 95 € (1/2 dose) 14gg
Terapia Farmacologica
postintervento 19 € (1/10 dose) 8-10gg
COSTO TOTALE
DELLA 2.734,33 €
TECNOLOGIA B
Figura 26: Tabella del costo totale della Tecnologia B.
80
4.3 Break Even Analysis
Dai risultati ottenuti dalla break even analysis, rappresentati in Figura
27a e 27b, si evince che il Break even point tra i costi della RF pulse-
dose e quelli evitati della terapia farmacologica è di 11 mesi e 14
giorni.
Mesi Costi x RF Costi Evitati
1 2734,33 € 292 €
2 2734,33 € 502 €
3 2734,33 € 712 €
4 2734,33 € 1004 €
5 2734,33 € 1214 €
6 2734,33 € 1424 €
7 2734,33 € 1716 €
8 2734,33 € 1926 €
9 2734,33 € 2136 €
10 2734,33 € 2428 €
11 2734,33 € 2638 €
12 2734,33 € 2848 €
Figura 27a : Tabella del costi fissi e dei costi evitati rispetto ad ogni mese di trattamento
Break even analysis
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
Mesi
Mesi
Co
sti
Costi per la Radiofrequenza
Costi evitati per la terapia
farmacologica
Figura 27b : grafico relativo al Break even point rispetto a 12 mesi di trattamento.
Quindi la RF Pulse Dose risulta economicamente vantaggiosa per il
Servizio Sanitario Regionale della Campania rispetto ai farmaci solo
nel caso in cui l’efficacia analgesica ha una durata ≥ a 12 mesi.
81
CAPITOLO 5 : DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L'obiettivo principale della terapia del dolore è quello di assicurare al
paziente una dignitosa qualità della vita, quale che sia il suo stato
patologico. In presenza di dolore abbiamo visto che la
somministrazione di farmaci con potenza analgesica, rapportata
all'intensità del dolore, è una delle diverse metodologie che vengono
applicate. La terapia farmacologica ha però dei limiti quali:
risulta essere un metodo valido sicuramente nel dolore acuto,
mentre nel dolore cronico risente dei meccanismi patogenetici
alla base delle sintomatologie che, nel tempo, possono variare.
induce effetti collaterali a volte insopportabili.
Per questo motivo negli ultimi decenni, soprattutto nel dolore cronico
non oncologico, al fianco di terapie farmacologiche sempre più
mirate ai meccanismi d’azione del dolore, si sono affermate
molteplici procedure invasive. Tra queste sicuramente la RF ha
mostrato una buona efficacia, in particolare la PRF; infatti gli studi
presenti in letteratura (81,82,83) ne indicano una buona efficacia
analgesica in diverse condizioni dolorose con un follow up che si
estende dai 3 ai 12 mesi. Naturalmente la procedura invasiva deve
essere efficiente e garantire al paziente un miglioramento funzionale,
il ripristino o il mantenimento della capacità lavorativa e infine, ma
non ultimo, il minor onere possibile sulle risorse sanitarie, infatti
anche nella terapia del dolore il problema dei costi assume un ruolo
importante. Affinché una terapia invasiva risulti efficiente bisogna
82
tener presente la variazione indotta sull’intensità del dolore per ciò
che concerne il beneficio e la quantizzazione dei prezzi per ciò che
riguarda il costo. Un’analisi economica “semplice”, come quella da
me effettuata, con la ricerca del Break even point, confronta i costi
evitati (della terapia farmacologica) con i costi fissi sostenuti (con le
RF). In realtà un’analisi corretta dei costi includerebbe, nella
valutazione dei risultati ottenuti con una determinata terapia, il
raggiungimento di quei target che sono considerati costi indiretti:
- Quanto è diminuito il dolore del paziente (VAS) ?
- Quanto è migliorata la sua sensazione di salute (SF-36) ?
- Quanto è migliorata la sua qualità di vita (SF-36) ?
- La diminuzione del dolore ha permesso lo svolgimento di attività
lavorative e ricreative prima negate (BPI) ?
- Quanto “costa” la ripresa del lavoro?
La risposta a queste domande indicherebbe il “peso” dei costi
indiretti ma non riuscirebbe comunque a quantizzarli. Infatti da un
lato i test (84,85) utilizzati per misurare i diversi item sono soggettivi
ed il loro risultato è espresso da un numero indice di tale soggettività;
dall’altro non esiste al momento la possibilità di convertire i risultati
di questi punteggi in termini economici. Infine benché sia
fondamentale considerare il benessere complessivo del paziente, lo
studio di tale aspetto mediante la somministrazione dei suddetti test
avrà significatività statistica solo se il campione è numeroso ed
omogeneo. Avendo maturato un’esperienza per necessità limitata nel
tempo il mio studio è stato condotto solo sui costi diretti totali (costi
fissi) e su quelli evitati, considerando la situazione di un paziente
“tipo” e non i dati dei pazienti che, durante la mia esperienza presso
83
il Centro di Terapia del Dolore, sono stati sottoposti a RF pulse dose
per Facet Syndrome. Per quanto riguarda quest’ultimi vorrei
comunque riportare che nei 12 mesi in cui ho frequentato il Centro di
Terapia del Dolore della Facoltà di Medicina della “Federico II” ho
avuto modo di assistere a 32 interventi di applicazione RF pulse-dose
sul ramo mediale per trattare la sindrome delle faccette articolari. In
tutti i casi l’intervento non ha superato la durata di 60 minuti
complessivi ed è stato ben tollerato dai pazienti. Ho avuto poi modo
di seguire nel tempo 35 pazienti di questi ho effettuato il follow up ad
1 mese ed a 3 mesi di 6 pazienti; ad 1 mese, 3 mesi ed a 6 mesi di 10
pazienti; ad 1 mese, 3 mesi, 6 mesi ed a 9 mesi di 11 pazienti e fino a
12 mesi per i rimanenti 14: in 26 pazienti la tecnica ha dimostrato
ottima efficacia analgesica (VAS 0-2) fino a 6 mesi; nel follow up a 9
mesi (11 pazienti) 9 pazienti riportavano ancora un buon controllo
del dolore (VAS 1-3) mentre nei rimanenti era comparsa una
sintomatologia dolorosa di moderata entità (VAS 4-5); a 12 mesi solo
3 pazienti riportavano dolore di intensità moderata/forte (VAS 6-7) e
richiedevano una supplementazione farmacologica (Figura 28,29).
1 MESE
3 MESI
6 MESI
9 MESI
12 MESI
4 pazienti
6 pazienti
10 pazienti
11 pazienti
14 pazienti
Figura 28 : Popolazione seguita in 12 mesi di esperienza presso il Centro di Terapia del
Dolore.
84
VAS 0-2
VAS 1-3
VAS 4-5
VAS 6-7
3 MESI
Tutti i 35 pazienti
6 MESI
Tutti i 35 pazienti
9 MESI
9 pazienti
2 pazienti
12 MESI
3 pazienti
Figura 29 : Efficacia analgesica dimostrata dalla RF pulse-dose ai differenti follow up.
Da quanto esposto la RF pulse-dose nel trattamento della sindrome
da faccette articolari sembrerebbe essere una tecnica sicura ed
efficace, ma come già detto in precedenza per affermare che essa è
anche efficiente sarebbero necessari sia un numero più elevato di
pazienti sia un controllo più lungo nel tempo.
L’esperienza condotta ha comunque portato a considerare che, nel
caso di una procedura invasiva ma non lesiva, come la RF pulse-
dose, per valutarne la reale efficacia, anche in termini di costo-
beneficio, è importante conoscere qual è il periodo necessario per
ammortizzare i costi evitati (della Tecnologia A) utilizzando la
Tecnologia B (con i suoi costi totali diretti).
Nonostante non tenga in considerazione gli elementi relativi alla
qualità di vita dl paziente e quindi ai costi indiretti, la break even
analysis da me effettuata in questo studio permette di affermare che
tale “pareggio” si ottiene in 11 mesi e 14 giorni: nella pratica ciò
significa che, se si vorranno condurre degli studi che dimostrino
85
un’efficacia provata della RF pulse dose, sarà necessario valutare i
pazienti per almeno 12 mesi dopo l’esecuzione della procedura, la
quale, per essere ritenuta “vantaggiosa” economicamente, dovrà
sortire in questo periodo buona efficacia analgesica. La prospettiva
futura è quella di valutare nel periodo indicato anche la qualità di vita
del paziente sia in termini soggettivi (come oggi è già possibile
mediante i test indicati) sia in termini economici: ciò permetterebbe
una valutazione dell’efficienza sicuramente più completa e corretta.
86
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