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Rassegna stampa
“Le nuove biotecnologie in agricoltura: Il progetto europeo iPlanta”
settembre-ottobre 2019
FreshPlaza, 25 settembre 2019, “Le nuove biotecnologie in agricoltura: il progetto europeo
iPlanta”;
Il Sole 24 Ore, 3 ottobre 2019, Progetto dell’ENEA per modificare i geni delle piante colpite
(versione cartacea)
Terra e Vita, 3 ottobre 2019, “RNA interferente, la biotecnologia che difende l’agricoltura”;
AgroNotizie, 3 ottobre 2019, “Le piante che non si ammalano, arrivano le biotecnologie per
l'agricoltura”;
FreshPlaza, 3 ottobre 2019, “La chiave per la soluzione dei problemi che affliggono
l'agricoltura e' nella genetica avanzata”;
NewsFood, 7 ottobre 2019, “‘iPlanta’, la lotta a parassiti e patogeni in campo agroalimentare
con le nuove biotecnologie”;
Il Dolomiti, 9 ottobre 2019, “Silenziamento genico, una nuova arma contro Drosophila e
cimice asiatica?”.
Presentazione a Roma, mercoledi 2 ottobre 2019 ore 12:00
Le nuove biotecnologie in agricoltura: il progetto europeo iPlanta
Il coordinatore del progetto europeo iPlanta COST Action, Prof. Bruno Mezzetti del
Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università Politecnica delle Marche, e il coordinatore del
Gruppo di lavoro sulla biosicurezza, Dr. Salvatore Arpaia, del Dipartimento DTE dell'ENEA sono
lieti di invitare alla conferenza stampa di presentazione del progetto europeo iPlanta, che si
terrà a Roma mercoledì 2 ottobre alle ore 12:00 in Sala Caduti di Nassirya, Palazzo Madama.
La tecnologia RNAi, basata sul silenziamento genico mediante RNA interferente, ha mostrato
risultati promettenti nella difesa delle colture da nuovi patogeni e parassiti, i quali provocano
emergenze e causano danni alle coltivazioni made in Italy fino a più di un miliardo di euro
all'anno. L'incontro pubblico del 2 ottobre avrà l'obiettivo di presentare le attività del progetto e
di discutere il possibile scenario riguardante l'introduzione di queste ed altre biotecnologie
nell'agricoltura europea e italiana.
Alle 14:30 seguirà una tavola rotonda sui requisiti normativi e scientifici per avviare la
sperimentazione in campo con piante geneticamente modificate e nuovi prodotti biotech, alla
quale parteciperanno diversi speaker: Prof. Joe Perry (già chair del GMO Panel dell'EFSA),
Dott.ssa Kara Giddings (Bayer U.S. -Crop Science R&D Regulatory Science), Prof.ssa
Godelieve Gheysen (Università di Ghent), Prof. Bruno Mezzetti (Università Politecnica delle
Marche), Prof. Huw Jones (Aberystwyth University), Prof. Michel Ravelonadro (INRA), Dott.
Salvatore Arpaia (ENEA). L'incontro sarà moderato dal giornalista Antonio Pascale, presso la
Sala dell'Istituto di Santa Maria in Aquiro, Piazza Capranica 72, Roma.
Avvertenze
- Le opinioni e i contenuti espressi nell'ambito dell'iniziativa sono nell'esclusiva responsabilità
dei proponenti e dei relatori e non sono riconducibili in alcun modo al Senato della Repubblica
o ad organi del Senato medesimo.
- L'accesso alle sale prevede un abbigliamento consono e, per gli uomini, obbligo di giacca e
cravatta.
- I giornalisti devono accreditarsi secondo le modalità consuete, inviando un fax con nome e
cognome, luogo e data di nascita, numero iscrizione all'OdG al numero 06.6706.2947.
- La partecipazione alla conferenza stampa e alla tavola rotonda è aperta tutti, fino al
raggiungimento della capienza della sala, inviando i propri dati a: iplanta@sm.univpm.it per la
conferenza stampa; francesca.balducci@univpm.it per la tavola rotonda
Il progetto iPlanta
La difesa delle colture da nuovi patogeni e parassiti è una delle principali sfide che interessano
attualmente il settore agricolo. Il danno economico di alcune emergenze legate ad organismi
nocivi di recente diffusione, tra i quali il batterio Xylella fastidiosa e il Drosophila suzukii,
ammonta ad approssimativamente un miliardo di euro all'anno.
Le innovazioni tecniche e scientifiche rivestono un ruolo di primo piano nel garantire la
sostenibilità ambientale, economica e sociale di questo comparto. L'accesso a tutte le tecnologie
disponibili, comprese le biotecnologie applicate alle piante,è fondamentale per affrontare nuovi
pericoli e ridurre l'utilizzo dei pesticidi in agricoltura.
Risultati promettenti si stanno ottenendo attraverso nuovi metodi basati sul sistema del
silenziamento genico mediante RNA interferente (RNAi), in grado di potenziare le capacità di
difesa delle piante per rispondere all'attacco dei patogeni. Con la tecnica del RNAi si può
modulare l'espressione di geni della pianta senza richiedere l'espressione di nuove molecole.
Le caratteristiche di mobilità attraverso il sistema vascolare della pianta, nelle piante da frutto,
possono offrire la possibilità di modificare i portinnesti per la produzione stabile di RNAi che
conferiscono resistenza alla pianta che produce frutti non geneticamente modificati. Le molecole
di RNA possono anche essere formulate e applicate come trattamento topico alle piante per
cambiare la loro fisiologia o combattere parassiti e agenti patogeni.
E' realistico considerare l'utilizzo di dsRNA come biopesticida applicabile come spray fogliare,
concia dei semi o direttamente nel suolo. Il progetto iPlanta, realizzato nell'ambito del
programma Europeo HORIZON2020 COST e coordinato dal Prof. Bruno Mezzetti (Dipartimento
di Scienze Agrarie dell'Università Politecnica delle Marche), ha la finalità di collegare i principali
gruppi di ricerca attivi sulla tecnologia RNAi in Europa e in America, conorganizzazioni
internazionali come EFSA, FAO e aziende. Per l'Italia sono coinvolti gruppi di ricerca di diverse
Università (Ancona, Bologna, Verona, La Sapienza), di CREA, CNR, ENEA, aziende del settore
e organizzazioni professionali.
Secondo il prof. Mezzetti "per affrontare le emergenze che caratterizzano il nostro paese risulta
fondamentale poter applicare tutte le tecnologie disponibili, comprese quelle biotecnologie, e
mostrare i benefici all'opinione pubblica mediante l'attivazione della sperimentazione in campo".
Gli aspetti della sicurezza ambientale e per la salute sono valutati dal gruppo di lavoro
coordinato dal Prof. Salvatore Arpaia dell'ENEA, che ritiene che "un punto di forza delle
applicazioni del RNAi possa essere una elevata specificità di azione sulle specie dannose, per
cui già da ora ci si sta impegnando per valutare la biosicurezza di questi prodotti per gli organismi
non bersaglio, chiaramente in primo luogo il consumatore".
RNA interferente,
la biotecnologia che difende
l’agricoltura Video interviste ai professori Bruno Mezzetti e Salvatore Arpaia
Di Laura Saggio
3 Ottobre 2019
RNAi irrorati per disinnescare i patogeni e far acquisire resistenza alle piante ospiti: è la
frontiera più estrema nella difesa delle colture.
Presentato a Roma il progetto europeo iPlanta sulla tecnica RNAi: piccole molecole naturali ad
azione specifica su patogeni e parassiti. Bruno Mezzetti, coordinatore del progetto: «La possibilità
di applicare tutte le tecnologie disponibili, comprese le biotecnologie, è fondamentale per affrontare
le emergenze che colpiscono il settore agricolo italiano ed europeo, riducendo l’impatto della chimica
e l’utilizzo dei pesticidi. Ora serve poter fare sperimentazione in campo».
La difesa delle colture da nuovi patogeni e parassiti è una delle principali sfide che interessano
il settore agricolo. Basti citare l’ingente danno economico, pari a circa 1 miliardo di euro l’anno,
causato da alcune emergenze legate a organismi nocivi di recente diffusione, quali il
batterio Xylella fastidiosa, il rincote cimice asiatica o il dittero Drosophila suzukii.
L'innovazione è l'unica strada
L’unica arma di difesa che possiamo mettere in campo per affrontare nuovi pericoli e ridurre
l’utilizzo dei pesticidi in agricoltura è investire in un’innovazione tecnica e scientifica sempre più
attenta alla sostenibilità ambientale, economica e sociale. Risultati promettenti, in questo
ambito, si stanno ottenendo attraverso nuovi metodi basati sul silenziamento genico post-
trascrizionale (PTGS) mediante RNA interferente (RNAi), in grado di potenziare la capacità di
difesa delle piante per rispondere all’attacco dei patogeni.
Le sezioni bianche nel fiore della peonia rappresentano le aree in cui l'RNAi ha silenziato il
gene coinvolto nella colorazione del fiore.
Come funziona la tecnologia RNAi?
Attraverso la tecnica del RNAi si può modulare l’espressione di geni della pianta senza
richiedere l’espressione di nuove molecole. La tecnologia RNAi si basa dunque su un
meccanismo naturale, evolutivamente conservato in pianta, che aiuta le piante a sviluppare
sistemi di autodifesa dalle malattie, in particolare dai virus, permettendo così di ridurre l’impatto
della chimica. Questo meccanismo naturale è anche in grado di inviare segnali nella pianta e
tra la pianta e altri organismi, regolandone lo sviluppo e l’interazione. Questo permette di
potenziare le capacità di difesa delle piante, modificandone il metabolismo per rispondere
all’attacco dei patogeni, attivando dei meccanismi di resistenza. Le caratteristiche qualitative e
produttive delle piante vengono quindi migliorate attraverso questa tecnica, il contenuto di
nutrienti benefici per il consumatore viene incrementato, mentre gli allergeni e le tossine, le
perdite post-raccolta e l’uso di fitofarmaci vengono ridotti o eliminati.
Nuovi metodi di applicazione
Le molecole di RNAi possono anche essere formulate e applicate come trattamento topico alle
piante per cambiare la loro fisiologia o combattere parassiti e agenti patogeni. Un'innovazione
recente è l’applicazione diretta, mediante spray, di dsRNA (SIGS) come nuova strategia per la
protezione delle piante o la regolazione della crescita delle piante e la maturazione dei frutti.
Tali progressi tecnici nella produzione di dsRNA e la preparazione di formulati per migliorare
l'efficacia, la stabilità e la persistenza del dsRNA extracellulare rendono quindi realistico
considerarne l'utilizzo come “biopesticida” di elevato interesse commerciale, in quanto
applicabile come spray fogliare, concia dei semi o direttamente nel suolo, con elevata specificità
e biosicurezza rispetto ad alcuni prodotti chimici o strategie alternative di biocontrollo. Il dsRNA
può essere prodotto utilizzando batteri e lieviti, ma ora sono disponibili anche sistemi di
produzione di massa senza cellule. Ciò ha permesso di abbassare significativamente i costi di
produzione negli ultimi anni, rendendo la tecnica RNAi competitiva sul mercato.
In virtù di queste innovazioni è importante aggiornare in tempi brevi le normative e i sistemi di
valutazioni di sicurezza per i prodotti fitosanitari (PPP), includendo anche queste nuove
micromolecole naturali a base di dsRNA.
Il progetto europeo iPlanta
Il progetto iPlanta, presentato a Roma in Senato, realizzato nell’ambito del programma Horizon
2020 COST e coordinato dal Prof. Bruno Mezzetti (Dipartimento di Scienze Agrarie
dell’Università Politecnica delle Marche), ha la finalità di collegare i principali gruppi di ricerca
attivi sulla tecnologia RNAi in Europa e in America, con organizzazioni internazionali come Efsa,
Fao e aziende. Per l’Italia sono coinvolti gruppi di ricerca di Università (Ancona, Bologna,
Verona, La Sapienza), Crea, Cnr, Enea, e organizzazioni professionali di settore.
In Italia bloccate le sperimentazioni in campo
Dal 2002 in Italia non è possibile condurre sperimentazione di campo con piante geneticamente
modificate (Ogm) a causa della mancata attivazione del sistema di valutazione e autorizzazione
previsto dalle direttive europee.
«Per affrontare le emergenze che caratterizzano il nostro Paese – ha affermato Bruno
Mezzetti - è fondamentale poter applicare tutte le tecnologie disponibili, comprese quelle
applicate al miglioramento genetico delle piante, come Ogm, RNAi, Cisgenico, Gene Editing, e
poter mostrare i benefici all’opinione pubblica mediante l’attivazione della sperimentazione in
campo. La sperimentazione continua a progredire in tutti i paesi del mondo, in particolare nel
settore privato, in Italia, invece, i ricercatori sono costretti a limitare i loro studi alla messa a
punto di protocolli di modificazione genetica in laboratorio o al massimo, limitatamente ad alcune
piante erbacee, in serra, senza quindi poter vedere il risultato finale della loro ricerca. Ciò
comporta uno svantaggio nei confronti di gruppi di ricerca stranieri, privati e pubblici, in termini
sia di benefici economici sia di sviluppo di nuove tecnologie e piante, capaci di rendere i sistemi
produttivi più efficienti e a basso impatto, e soprattutto più sicuri e sostenibili per l’ambiente e
per i consumatori».
La biosicurezza al centro degli studi sull’applicazione dell’RNAi
Gli aspetti della sicurezza ambientale e per la salute di questa biotecnologia sono valutati dal
gruppo di lavoro coordinato dal prof. Salvatore Arpaia dell’Enea, che specifica come «Un
importante punto di forza delle applicazioni del RNAi è l'elevata specificità di azioni sulle specie
dannose, per cui già da ora ci stiamo impegnando per valutare la biosicurezza di questi prodotti
per gli organismi non bersaglio, in primo luogo per il consumatore. Intanto possiamo dire che le
sperimentazioni che stiamo effettuando – sottolinea Arpaia – ci permettono di vedere, per
esempio, come agiscono questi biopesticidi sugli impollinatori. Una scoperta importante è che
questa molecola è innocua per le api».
RNAi, quali differenze rispetto agli Ogm e alle NBT?
Rispetto agli OGM e alle NBT (New Breeding Techniques), come cisgenico, CRISPR/Cas o
TALEN, la tecnica RNAi presenta alcuni aspetti distintivi, quali: non si esprimono o applicano in
pianta nuove molecole, proteine o enzimi, ma solo piccoli frammenti naturali di RNA con azione
altamente specifica di silenziamento di geni di interesse; si può modulare l’espressione di geni
della pianta, come ad esempio ottenere piante ingegnerizzate metabolicamente con profili di
acidi grassi modificati, o di organismi target al fine di bloccarne la diffusione; le molecole di
dsRNA hanno un'alta mobilità attraverso il sistema vascolare della pianta e possono spostarsi
all'interno della pianta dal punto di produzione ad altre parti. Pertanto, il dsRNA prodotto in una
parte della pianta (ad esempio il portainnesto) ha il potenziale di diffondersi nelle parti innestate,
in modo da conferire resistenza alle malattie all'intera pianta, compresi i frutti. Ciò comporta che
in frutti prodotti non sono geneticamente modificati (GM), bensì protetti dalla presenza di piccole
molecole di RNA degradabili, ma ad azione specifica su organismi target (patogeni e parassiti).
Le molecole di siRNA sono prodotte nel portinnesto RNAi e vengono trasportate, lungo il
sistema vascolare, al nesto, senza che il suo corredo genetico sia modificato.
Biotecnologie, due pesi due misure
La senatrice Elena Cattaneo durante i lavori al Senato ha sottolienato come in Italia siano
applicati due pesi e due misure nell’impiego delle biotecnologie: «la scoperta della 'cassetta
degli attrezzi' del Dna permette infatti di condurre promettenti sperimentazioni nel campo delle
biotecnologie mediche, ma queste stesse sperimentazioni sul campo, in agricoltura, non sono
permesse. Vorrei vedere tutti gli scienziati in campo aperto». La senatrice ha poi ribadito che
«Bisogna disinnescare il marketing della paura che viene acceso in modo emotivo e mantiene
distanti dalla conoscenza».
L’Efsa, parere positivo sulla biosicurezza con tecnologia RNAi
L'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha espresso parere positivo sulla
biosicurezza di diverse piante modificate per l’espressione stabile di RNAi al fine di migliorare
le caratteristiche nutrizionali, e più recentemente per la resistenza a diabrotica in mais. In tutto
il mondo sono state approvate diverse piante resistenti ai virus, ad esempio susino resistente
alla Sharka e papaia resistente al ring spot virus, e sono in fase di sviluppo molte altre
applicazioni di controllo di virus, insetti e funghi (ruggine dei cereali, muffa della frutta,
peronospora della vite).
Elenco dei nuovi patogeni e parassiti che provocano ingenti perdite di prodotto ed enormi rischi
di contaminazioni alimentari:
Il batterio Xylella fastidiosa che in 6 anni ha devastato circa 50 mila ettari di Olivo;
La diffusione del virus PPV (Sharka) che in 10 anni ha distrutto il 25% della produzione
italiana di drupacee (pesco, susino e albicocco);
Il dittero Drosophila suzukii che sta creando notevoli problemi nella coltivazione di
fragola, ciliegio e altri piccoli frutti;
La cimice asiatica (Halyomorpha halys) in continua diffusione su tutto il territorio con
impatto ormai esteso a tutte le coltivazioni (dalla soia alla vite).
Per tutte le informazioni sul progetto iPlanta, visitare il sito https://iplanta.univpm.it/
Le piante che non si ammalano,
arrivano le biotecnologie per l'agricoltura
Il progetto IPlanta mette al centro nuove tecnologie che possono evitare danni per 1
miliardo
di Tommaso Tetro
Il progetto IPlanta è realizzato all'interno del programma europeo Horizon2020, con il coinvolgimento di più di trenta paesi Fonte foto: © GiroScience - Fotolia
Un'agricoltura al passo con l'innovazione grazie alle biotecnologie. E' questo il cuore del progetto IPlanta -
realizzato all'interno del programma europeo Horizon2020, con il coinvolgimento di più di trenta paesi, e
coordinato dall'Università politecnica delle Marche e dall'Enea per il gruppo di lavoro sulla biosicurezza - che con
un meccanismo naturale aiuta le piante a sviluppare sistemi di autodifesa dalle malattie, in particolare dai virus,
permettendo così di ridurre l'uso della chimica e degli agrofarmaci in agricoltura. Il tutto con un impatto
economico che - in base alla stima dei danni causati da patogeni e parassiti alle colture italiane - vale un miliardo
di euro all'anno.
"Dobbiamo avere anche in Italia un'agricoltura al passo con l'innovazione - afferma la senatrice a vita Elena
Cattaneo, che da farmacologa dirige il Laboratorio di biologia delle cellule staminali dell'Università statale di
Milano, nel corso della conferenza 'Le nuove biotecnologie in agricoltura' a Palazzo Madama - abbiamo scoperto
la 'cassetta degli attrezzi' del Dna: costruiamo molecole interferenti specifiche per silenziare o bloccare un gene
malattia, e in medicina funziona bene in fase di sperimentazione clinica. È incredibile pensare che, con fiducia,
speranza e molti dati, facciamo sull'uomo cose che, dal punto di vista della sperimentazione in campo, sulle piante
siamo meno autorizzati a fare. Nelle biotecnologie ci sono due pesi e due misure: nella medicina sì, nell'agricoltura
no".
Al centro di IPlanta c'è la tecnica RNAi che - spiega Bruno Mezzetti, coordinatore del progetto e direttore del
dipartimento di Scienze agrarie dell'Università politecnica delle Marche - ha alcuni aspetti distintivi rispetto agli
Ogm e alle Nbt (New breeding techniques). E in particolare: non si esprimono o applicano in pianta nuove
molecole, proteine o enzimi, ma solo piccoli frammenti naturali di Rna con azione altamente specifica di
silenziamento di geni di interesse; si può modulare l'espressione di geni della pianta, come per esempio ottenere
piante ingegnerizzate metabolicamente con profili di acidi grassi modificati, o di organismi target al fine di
bloccarne la diffusione; le molecole di dsRna hanno un'alta mobilità attraverso il sistema vascolare della pianta e
possono spostarsi all'interno della pianta dal punto di produzione ad altre parti. Pertanto, il dsRna prodotto in una
parte della pianta ha il potenziale di diffondersi nelle parti innestate, in modo da conferire resistenza alle malattie
all'intera pianta, compresi i frutti. I frutti prodotti non sono perciò geneticamente modificati ma protetti dalla
presenza di piccole molecole di Rna degradabili, ad azione specifica su organismi target (patogeni e parassiti); le
molecole di dsRna possono anche essere formulate e applicate come trattamento topico alle piante per cambiare
la loro fisiologia o combattere parassiti e agenti patogeni.
"Mentre la sperimentazione continua a progredire in tutti i paesi del mondo, in particolare nel settore privato -
aggiunge poi Mezzetti - in Italia i ricercatori sono costretti a limitare i loro studi alla messa a punto di protocolli di
modificazione genetica in laboratorio o al massimo, limitatamente ad alcune piante erbacee, in serra, senza poter
vedere il risultato finale della loro ricerca. Ciò comporta uno svantaggio nei confronti di gruppi di ricerca stranieri,
privati e pubblici, in termini sia di benefici economici sia di sviluppo di nuove tecnologie e piante, capaci di rendere
i sistemi produttivi più efficienti ed a basso impatto, e soprattutto più sicuri e sostenibili per l'ambiente e per i
consumatori".
"Questo percorso - osserva Salvatore Arpaia del laboratorio di biosicurezza dell'Enea - ha il vantaggio, rispetto ad
altre strade, che gli studi sulla biosafety per garantire la sostenibilità in ogni fase del progetto sono iniziati subito:
e tutti quelli fatti finora coinvolgendo le api con l'uso di diversi Rna interferenti hanno dato risultati negativi dal
punto di vista tossicologico e quindi positivi da quello ambientale".
Le crescenti difficoltà date per esempio dall'arrivo di nuove specie dannose a causa sia dei cambiamenti climatici
e per l'aumento degli scambi commerciali a livello mondiale, vengono messi in evidenza da Luca Casoli, del Servizio
fitosanitario della Regione Emilia Romagna e direttore dei due consorzi fitosanitari di Modena e Reggio
Emilia: "Non si può ragionare sull'emergenza con usi speciali o deroghe, né puntare tutto sull'agricoltura biologica,
ma bisogna accompagnare tutto questo con qualcosa di nuovo, con un'evoluzione ed un'apertura".
Per Gian Luca Mordenti, rappresentante del Consorzio italiano vivaisti viticoli-Ampelos, "l'Italia ha
enorme biodiversità per quanto riguarda le varietà di vite: sono circa 600 quelle da vino iscritte e catalogate nel
registro per la commercializzazione, cui vanno aggiunte quelle da tavola e i portinnesti. Come vivaisti - afferma
- guardiamo con interesse a questo tipo di ricerca e speriamo venga data libertà di sperimentazione in campo di
queste nuove biotecnologie, perché la modifica del Dna è piccola e la varietà rimane la stessa, quindi il viticoltore
sa che riuscirà a continuare a vendere lo stesso prodotto".
Secondo Marco Aurelio Pasti, di Confagricoltura e imprenditore agricolo, fino a inizio anni 2000 in Italia si
producevano circa 10 milioni di tonnellate di mais all'anno, ma da allora ad oggi la produzione si è quasi dimezzata
e ogni anno per importare i 5 milioni di tonnellate mancanti l'agricoltura italiana deve sostenere un costo di circa
un miliardo di euro: "E' il prezzo della mancata innovazione, non possiamo seminare il mais resistente alla piralide,
ma possiamo importarlo dall'estero, dove è permesso coltivarlo. Questo vuol dire perdere competitività".
E anche Andrea Gennaro, scientific officer del panel sugli Ogm dell'Efsa, fa presente che l'Agenzia europea per la
sicurezza alimentare si avvale dell'aiuto di esperti scienziati per la valutazione del rischio.
© AgroNotizie - riproduzione riservata
Fonte: Agronotizie
Autore: Tommaso Tetro
Presentazione del progetto iPlanta
La chiave per la soluzione dei problemi che affliggono l'agricoltura e' nella genetica avanzata
Serve un approccio scientifico e di alto livello per le sfide che riguardano la salute delle piante,
evitando la scomparsa di grandi e tradizionali colture: un metodo che nulla ha a che fare con la
manipolazione genetica delle piante, ma con l'uso di molecole naturali, filamenti di Rna che
vanno a colpire solo obiettivi mirati e null'altro. Quindi antagonisti di patogeni, malattie e tutto
ciò che sta rendendo critico il mondo dell'agricoltura italiana e mondiale.
Tavolo dei relatori
In tutto questo s'inquadra il progetto iPlanta COST Action, che opera nell'ambito del
programma Europeo HORIZON2020 COST, coordinato dal Prof. Bruno Mezzetti del
Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università Politecnica delle Marche. E' un progetto ad
amplissimo respiro che abbraccia ricercatori europei, circa 200, con il coinvolgimento di trenta
nazioni. Vitale la comunicazione, mostrando gli effetti e, come sottolineato da Mezzetti, portando
in campo una sperimentazione che esce dai laboratori; passo cruciale, urgente e necessario.
Il progetto iPlanta è stato presentato il 2 ottobre 2019 a Palazzo Giustiniani, Sala dei Presidenti,
edificio che rientra fra le strutture di pertinenza del Senato. Al tavolo dei relatori, la
senatrice Elena Cattaneo, docente dell'Università Statale di Milano che ha accolto tutti e ha
aperto i lavori. La senatrice Elena Cattaneo e il coordinatore del progetto europeo iPlanta COST
Action, il professore Bruno Mezzetti, del Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università
Politecnica delle Marche - convegno a palazzo Giustiniani-Senato, Roma
Con la Cattaneo, il professor Bruno Mezzetti che ha sottolineato l'importanza delle biotecnologie
in agricoltura, con ovvio riferimento al progetto iPlanta. Poi, il dottor Salvatore Arpaia,
ricercatore dell'Enea, Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l'Energia e lo Sviluppo
Economico e sostenibile (valutazione rischi e benefici dei prodotti biotech), il dottor Luca
Casoli del Servizio Fitosanitario della Regione Emilia Romagna (emergenze fitosanitarie in
agricoltura), il dottor Marco Aurelio Pasti, imprenditore agricolo nonché componente del
Consiglio direttivo dell'AMI, Associazione Maiscoltori Italiani (emergenze fitosanitarie nel settore
cerealicolo e possibili risposte della scienza), Gian Luca Mordenti, segretario di Ampelos, il
Consorzio Italiano Vivaisti Viticoli (emergenze fitosanitarie nel settore vitivinicolo), e, infine, il
dottor Andrea Gennaro del panel scientifico sugli organismi geneticamente modificati
dell'EFSA, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (ruolo EFSA nella valutazione delle
biotecnologie).
Il professor Bruno Mezzetti, il dottor Salvatore Arpaia, Gian Luca Mordenti, il dottor Luca
Casoli
L'incontro ha seguito e ha preceduto lavori tra diversi scienziati coinvolti nel programma,
ricercatori che hanno fatto il punto della situazione della ricerca e sulle prospettive per la futura
sperimentazione in campo.
Come sottolineato dall'organizzazione, la tecnologia RNAi, basata sul silenziamento genico
mediante RNA interferente, ha mostrato risultati promettenti nella difesa delle colture da nuovi
patogeni e parassiti, i quali provocano emergenze e causano danni alle coltivazioni made in Italy
fino a più di un miliardo di euro all'anno. Il tutto permetterebbe di fare sempre meno ricorso a
fitofarmaci, insetticidi, pesticidi e sostanze chimiche artificiali oggi utilizzate in agricoltura.
Leggendo e ascoltando progetti e rotte di ricerca sulla tecnologia RNAi, il pensiero va subito a
obiettivi da colpire, come il batterio Xylella fastidiosa che ha devastato circa 50.000 ettari di olivo
nel corso di sei anni. Oppure contrastare la diffusione del virus PPV-Sharka che ha distrutto il
25% della produzione italiana di drupacee, quindi pesche, susine e albicocche, strage avvenuta
nell'arco di un decennio. O ancora fermare il dittero Drosophila suzukii che sta mettendo in
pericolo le colture della fragola, del ciliegio e altri frutti di tale tipologia. Infine, bloccare l'avanzata
inesorabile della Cimice asiatica o Halyomorpha halys, che si sta diffondendo all'intero territorio
italiano senza risparmiare colture, dalla soia alla vite fino a colpire la ri-nascente canapicoltura.
"Quella "i" di "iPlanta" per cosa sta? – ha esordito la senatrice Elena Cattaneo – Il 95% circa del
DNA umano controlla quel che fanno i 30.000 geni. All'interno del DNA c'è una cassetta di
attrezzi che regola la funzione, l'attività di quei geni, diversamente tra le varie cellule: sono pezzi
di Dna che stanno fuori dai geni. Hanno rivoluzionato la medicina e possiamo costruirceli in
laboratorio, dove possiamo avere delle modalità per accendere, spegnere, modulare dei geni-
Malattia. E' una cosa che in medicina facciamo, per esempio per curare le malattie
genetiche. Strumenti specifici per interferire o bloccare specificatamente su un gene-
malattia. La stessa cosa si può fare per le piante, con la stessa favolosa tecnologia".
Dottor Andrea Gennaro, dottor Marco Aurelio Pasti, senatrice Elena Cattaneo.
"E' incredibile con quale fiducia e speranza applichiamo tali tecniche avanzate sull'uomo – ha
proseguito la senatrice – mentre siamo molto più limitati nella possibilità di azione sulle
piante. Ci sono due pesi e due misure sul Biotech? In Medicina va bene, ma in Agricoltura
no? Ritrosia sulla sperimentazione in campo aperto delle biotecnologie, come questi
interferenti. Vogliamo perdere i nostri campi di mais, le nostre colture tipiche e dipendere sempre
più dall'estero? Come fare a disinnescare questo marketing della paura spesso acceso per
ondate emozionali, tenendosi così alla larga dall'innovazione che invece è amica? Questa è
un'occasione straordinaria per tutti noi, con la possibilità di fornire ai legislatori le conoscenze
messe a disposizione con questa linea di ricerca".
"Con iPlanta abbiamo dato vita a un network, mettendo insieme le conoscenze di diversi paesi
europei che lavorano in modo specifico sul tema dell'interferenza o meglio, del "silenziamento
genico" basato sull'utilizzo di piccole molecole di Rna che interferiscono con l'espressione
di geni che possono avere risvolti negativi sulla vita delle piante – ha spiegato il professore
Mezzetti – Siamo al lavoro secondo un progetto strutturato in diversi gruppi o blocchi in un
concetto di filiera: dalla conoscenza di base, dal tipo di molecola, alla bio-informatica sulle
conoscenze genomiche a quali sono i geni che creano delle problematiche come la sensibilità
alle malattie, e come bloccarli".
"Un secondo gruppo lavora per capire come applicare il tutto, con la resistenza alle malattie
come una delle priorità assolute, più o meno in tutte le piante e su diverse situazioni di difficoltà,
quindi per patogeni come funghi, batteri e virus o per parassiti, in particolare gli insetti".
"Un terzo gruppo è quello sulla Biosicurezza, perché siamo consapevoli che per diffondere
queste tecnologie, perché possano essere trasferite in campo, occorre uno studio che valuti il
rischio soppesando vantaggi, convenienze e possibili contraccolpi per la salute e per l'ambiente
– ha aggiunto Mezzetti – Poi c'è la valutazione socio-economica, l'impatto sociale e sulla
produttività, quindi ci confrontiamo con le imprese per comprendere come vedono e come
prevedono l'utilità di queste tecnologie, e il loro impatto. Infine, il gruppo della comunicazione,
del confronto, per diffondere la conoscenza di quel che facciamo e del perché lo facciamo, con
messaggi semplici e sintetici, ma sempre ad alto livello scientifico".
"Quello che è bene sempre sottolineare è che l'uso dell'Rna interferente non è espressione
di una manipolazione nella pianta – ha ribadito il coordinatore del progetto – ma è da
considerare come una piccola molecola utilizzata a difendere la pianta senza alterarla. Ed è un
utilizzo molecolare molto specifico, che sta incuriosendo moltissimo. Un esempio sulle
possibilità di applicazione: sul caso Xylella si potrebbe agire su due fronti, inizialmente e in
maniera più immediata, controllando e limitando il vettore, cioè l'insetto che diffonde la malattia;
poi con utilizzo di specifiche piccole molecole aggiunte a quelle espresse dalla tecnologia RNAi
per combattere direttamente il batterio".
Tavolo dei relatori durante il convegno a palazzo Giustiniani-Senato, Roma
Una novità è l'applicazione di RNA grazie a uno spray per stimolare la protezione delle piante,
la regolazione della crescita e la maturazione dei frutti. "L'uso delle molecole di Rna
interferenti potrebbe aprire prospettive anche per i paesi che non vogliono presenza sul
loro territorio di OGM, organismi geneticamente modificati – ha detto il dottor Salvatore
Arpaia – Questa stessa molecola potrebbe essere utilizzata come un biopesticida, come lo
chiamo adesso scientificamente, si vedrà poi come sarà regolamentata dalla legge: una
molecola naturale, molto selettiva, che potrà attaccare solo alcune specie relate fra di loro; poco
stabile nell'ambiente, dopo qualche giorno dal trattamento scompare totalmente".
"Il metodo ha grande potenzialità – ha concluso Arpaia – Stiamo sperimentando in laboratorio
l'effetto su altri insetti non bersaglio per osservare cosa accade loro in caso di ingestione. Non
abbiamo registrato effetti, a cominciare dalle preziosissime api. Ora stiamo lavorando alla
ricerca di eventuali effetti non voluti anche sulla Chrysoperla, predatore degli afidi. Finora, anche
in questo caso, non ne abbiamo registrato alcuno da parte della molecola di RNA interferente".
Autore: G.G. per FreshPlaza
‘IPLANTA’, LA LOTTA A PARASSITI E PATOGENI IN CAMPO AGROALIMENTARE
CON LE NUOVE BIOTECNOLOGIE
7 OTTOBRE 2019
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IN : AGROALIMENTARE , IN EVIDENZA , INTERNATIONAL , PRIMA PAGINA , SICUREZZA ALIMENTARE
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iPlanta, un progetto per contrastare parassiti e patogeni in campo agroalimentare con le nuove biotecnologie di Maurizio Ceccaioni
Le biotecnologie, gioia e dolori della moderna società, tra ancestrali paure e speranze future. Un tema legato alla presentazione alla stampa il 2 ottobre, presso la Sala dei
Presidenti di Palazzo Giustiniani (Senato della Repubblica), del progetto europeo iPlanta. Il progetto è nato all’interno di ‘Horizon 2020 COST’, un programma europeo per la ricerca e l’innovazione «per favorire lo sviluppo della ricerca scientifica di altissima qualità, rimuovendo le barriere all’innovazione e incoraggiando le partnership fra pubblico e privato». La scelta della location per questa presentazione non è stata casuale, ma nata su iniziativa della senatrice Elena Cattaneo, che ben prima della sua carica istituzionale è un’accademica nota in particolare per le ricerche sulle cellule staminali.
Patogeni, parassiti e cambiamenti climatici, sono emergenze globali A fronte di un crescente fabbisogno alimentare mondiale dovuto al continuo incremento della popolazione, c’è una continua perdita di suolo, sia per i cambiamenti climatici che per l’azione dell’uomo. Fenomeni che riducono in maniera sostanziale la disponibilità di cibo nel mondo, ai quali si sono aggiunti i sempre più gravi danni alle colture agricole, causati da nuovi patogeni e parassiti. Se a livello globale il fenomeno delle invasioni “aliene” è grave, nel nostro Paese virus ed insetti nocivi sono una vera e propria calamità per le coltivazioni, e possono causare seri impatti sulla nostra biodiversità, dato che si stima siano presenti in Italia oltre 1.500 specie aliene, di cui il 30% sono insetti.
Alberi d’ulivo nel Salento colpiti da xylella fastidiosa Parliamo, ad esempio, del batterio Xylella fastidiosa, che ha distrutto qualche milione di ulivi in Puglia; o il virus Plum Pox (Ppv) meglio conosciuto come sharka o vaiolatura delle drupacee (pesco, susino e albicocco), che in dieci anni ha distrutto il 25% della produzione italiana di questi frutti. Se non bastassero i patogeni, fra i casi più recenti di diffusione di insetti dannosi, la cimice asiatica (Halyomorpha halys), un fitofago in continua diffusione su tutto il territorio nazionale dal 2012, che colpisce tutte le coltivazioni, tanto che ho scoperto una nidiata a fine agosto sia sui miei peperoncini che sulle zucche. Oppure pensiamo alla piralide del mais (Ostrinia nubilalis), una piccola farfalla notturna che attacca i fusti del granoturco o di altre specie come canapa, fagiolini, mele, pere, sorgo, peperone, ecc., con seri danni alle produzioni. Ma c’è anche il moscerino dei piccoli frutti (Drosophila suzukii Matsumura), un dittero originario dell’Asia che sta creando notevoli problemi nella coltivazione di fragola, ciliegio, mirtillo, lampone e mora, ma che colpisce anche alcuni tipi di vite (Aglianico, Montepulciano, Merlot, Moscato Rosa, Pinot Nero), specie in prossimità della vendemmia.
Cimice asiatica in orto casalingo
La ricerca, per combattere un problema con cui dobbiamo fare i conti “da ieri” Grazie alla ricerca, con le continue innovazioni tecniche e scientifiche nel settore agricolo, si può contribuire a garantire la sostenibilità ambientale, economica e
sociale al comparto agroalimentare, evitando anche gli enormi rischi di contaminazioni alimentari. Una ricerca che punta a sviluppare colture agricole particolarmente resistenti a questi organismi nocivi, che secondo uno studio del 2019 pubblicato su Plantgest, metterebbero a rischio di estinzione il patrimonio dei prodotti tipici italiani, causando danni stimati in più di un miliardo di euro l’anno. Allo scopo, iPlanta si propone di aggregare i principali gruppi di ricerca impegnati sulla tecnologia RNAi (RiboNucleic Acid interference) in Europa e Stati Uniti, mettendoli in collegamento con organizzazioni internazionali come Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare), Fao (Organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura) e aziende private. Per l’Italia sono interessate le Università di Ancona, Bologna, Verona e Roma La Sapienza; Crea ed Enea, oltre ad aziende del settore e organizzazioni professionali.
Introdurre le biotecnologie in agricoltura anche con la sperimentazione sul campo Durante l’incontro stampa sono state presentate le attività del progetto, coordinato dal professor Bruno Mezzetti, direttore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Politecnica delle Marche. Si è parlato in particolare del possibile scenario riguardante l’introduzione di queste e altre biotecnologie nell’agricoltura europea e italiana, anche con la sperimentazione sul campo, tuttora vietata.
Tavola rotonda iPlanta
Una discrepanza tra le sperimentazioni delle biotecnologie in campo medico e quelle in agricoltura, che è stata sottolineata durante l’intervento di apertura dalla senatrice Elena Cattaneo che, a chiusura dell’incontro, ha sostenuto che «Bisogna disinnescare il marketing della paura che viene “acceso” in modo emotivo ed emozionale e mantiene distanti dalla conoscenza, quando invece la conoscenza è amica». Un’implicita denuncia verso la “politica che non decide” è arrivata anche dal professor Mezzetti, che ha ricordato i danni per i nostri ricercatori con i limiti imposti attualmente in Italia, che possono solo «limitare i loro studi alla messa a punto di protocolli di modificazione genetica in laboratorio o, al massimo, limitatamente ad alcune piante erbacee in serra, senza quindi poter vedere il risultato finale della loro ricerca». Limitazioni che non hanno invece nel resto del mondo, dove i gruppi di ricerca stranieri, privati e pubblici, possono fare una sperimentazione a tutto campo, specie nel settore privato. «Ciò comporta uno svantaggio nei nostri confronti – ha sottolineato Mezzetti – sia in termini di benefici economici che di sviluppo di nuove tecnologie e piante, capaci di rendere i sistemi produttivi più efficienti ed a basso impatto e, soprattutto, più sicuri e sostenibili per l’ambiente e per i consumatori». Dello stesso avviso Marco Aurelio Pasti, vicepresidente Confagricoltura Venezia e imprenditore agricolo, che accusando gli ambientalisti che rifiutano il mais resistente alla piralide, di essere nei fatti «i mandanti della deforestazione». «Rifiutare l’innovazione – ha poi continuato – significa perdere in competitività e queste sono le conseguenze delle scelte fatte a suo tempo e, forse, all’epoca non sufficientemente valutate».
Campo di zucche Parliamo di tecnologie come quelle applicate al mais resistente alla piralide, una varietà geneticamente modificata che in Italia non si può coltivare, ma che paradossalmente si può importato dall’estero. Anche perché – come ha ricordato Marco Aurelio Pasti, «la produzione italiana di mais si è dimezzata nel corso dell’ultimo ventennio e ogni anno, per importare i 5 milioni di tonnellate mancanti, l’agricoltura italiana deve sostenere un costo di circa un miliardo di euro». La “palla” ora passa alla politica, perché secondo i convenuti, le istituzioni italiane si dovrebbero impegnare per garantire le condizioni per l’immediata attivazione delle procedure di valutazione e approvazione, secondo le normative vigenti, come la Direttiva europea 2001/18/CE sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e il Decreto legislativo 224/2003 che determina l’attuazione di nuove notifiche per le sperimentazioni in campo di piante Ogm di particolare interesse per i nostri sistemi agricoli.
Ma quali sono i requisiti normativi e scientifici per avviare la sperimentazione in campo con piante geneticamente modificate e nuovi prodotti biotech? È questa la domanda a cui hanno cercato risposta nella tavola rotonda pomeridiana, moderata dal giornalista e scrittore Antonio Pascale, i ricercatori ed esperti convenuti nella Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro, in piazza Capranica. Con il professor Bruno Mezzetti (Univpm) e il dottor Salvatore Arpaia, coordinatore del Gruppo di lavoro sulla biosicurezza del Dipartimento Tecnologie Energetiche (Dte) dell’Enea, sono intervenuti il professor Joe Perry, già a capo del
gruppo di lavoro sugli organismi geneticamente modificati dell’Efsa; la dottoressa Kara Giddings della Bayer Us – Crop Science R&D Regulatory Science; la professoressa Godelieve Gheysen, dell’Università di Gand (Belgio); il professor Huw Jones, docente di Genomica traslazionale per l’allevamento vegetale nell’Aberystwyth University (Galles, Uk); il professor Michel Ravelonadro dell’Institut national de la recherche agronomique (Inra).
Ma cos’è la tecnologia RNAi Si tratta di una scoperta fatta casualmente nel 1998 da due americani, Andrew Fire e Craig Mello, poi premi Nobel per la medicina 2006. Essi, nel tentativo di modificare i colori di alcune piante di petunia (petunia juss) transinfettandole con un gene soprannumerario, scoprirono che un Rna a doppio filamento promuoveva la degradazione dell’Rna messaggero. Il processo, poi definito ‘Silenziamento genico post trascrizionale’ (Ptsg), sta dando buoni risultati nel potenziare le capacità di difesa delle piante modificandone il metabolismo, per rispondere all’attacco dei patogeni attivando dei meccanismi di resistenza.
Cosa succede nel mondo sulla sicurezza alimentare L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha dato parere positivo sulla biosicurezza di diverse piante modificate per l’espressione stabile di RNAi per migliorarne le caratteristiche nutrizionali e, più recentemente, per la resistenza alla diabrotica del mais (Diabrotica virgifera), un insetto di origine americana che attacca sia le radici del mais che altre graminacee, leguminose, zucche e alcuni tipi di fiori. In tutto il mondo sono state approvate diverse piante resistenti ai virus, come ad esempio il susino resistente al virus Plum Pox (sharka) e papaia resistente al virus patogeno Papaya ringspot ( Prsv ), e sono in fase di sviluppo molte altre applicazioni di controllo di virus, insetti e funghi, come ruggine dei cereali, muffa della frutta, peronospora della vite. Secondo gli scienziati, l’introduzione controllata delle biotecnologie con l’uso del silenziamento genico post trascrizionale, porterebbe a migliorare le caratteristiche qualitative e produttive delle piante, così che il contenuto di nutrienti benefici per il consumatore viene incrementato, mentre allergeni, tossine, perdite post-raccolta e l’uso di fitofarmaci, vengono ridotti o eliminati.
Silenziamento genico, una nuova arma contro Drosophila e cimice asiatica?
La novità sta nel fatto che si ritiene possibile applicare l’azione di silenziamento
genico mediante Rna interferente per modificare il comportamento di drosophila e
cimice asiatica. I ricercatori della Fondazione Mach non sono stati almeno finora
coinvolti nel progetto
DAL BLOG
Di Sergio Ferrari - 09 ottobre 2019
Laureato in Scienze Agrarie all'Università di Padova, dal 1961 al 1994 è
stato docente all'Istituto Agrario di San Michele. Ha vinto la Penna d'Oro
nel 1988.
Il 2 ottobre 2019 a Palazzo Giustiniani, pertinenza del Senato, Elena
Cattaneo esperta di biotecnologie applicate alla medicina umana e senatrice a
vita ha presieduto la presentazione di un progetto denominato “i Planta Action” di
cui è promotore il professore Bruno Mezzettti del Dipartimento scienze agrarie
dell’Università politecnica delle Marche.
Il progetto coinvolge circa 200 ricercatori di 30 nazioni. La “i” del titolo sta per
“interferenti”.
In pratica si tratta di utilizzare filamenti di Rna (acido ribonucleico) per interferire
con il messaggio proveniente dal Dna di singoli geni e neutralizzare l’ordine
destinato alle cellule della pianta o dell’insetto.
La novità sta nel fatto che si ritiene possibile applicare l’azione di silenziamento
genico mediante Rna interferente per modificare il comportamento di
drosophila e cimice asiatica.
I ricercatori della Fondazione Mach non sono stati almeno finora coinvolti nel
progetto, dice Gianfranco Anfora. L’esperto ritiene che i filamenti di Rna prodotti in
laboratorio potrebbero essere diffusi mediante trattamento in zone esterne alle
coltivazioni dove si concentrano sia la drosophila sia la cimice asiatica.
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