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Da diversi anni Willy il Co-yote insegue lo struzzoBeep Beep, senza riusci-

re a raggiungerlo. Accade che –nella foga dell’inseguimento – Willyesca di strada ad una stretta curvavicina ad un precipizio, continuan-do a correre come un forsennato inaria. Ad un tratto il malcapitato siaccorge di non avere più il terrenosotto i piedi (cioè, sotto le zampe)e precipita a capofitto nel sottostan-te canyon. Nei cartoni animati leleggi della fisica sono un po’ diver-se da quelle del nostro mondo.Qualcuno le ha perfino codificate(si trovano ad esempio in fun-nies.paco.to/cartoon.html) e quellache si applica al povero Willy so-stiene che “la gravità ha effetto solo

quando ci si accorge di esseresospesi nel vuoto”. Nel mondo rea-le, Willy comincerebbe a caderesubito – non appena perso l’ap-poggio – descrivendo una traietto-ria parabolica, lievemente mitigatadalla resistenza dell’aria.Sebbene quanto descritto sia facil-mente immaginabile e riscontrabilecome vero, le cose sono spesso unpo’ più complicate di come appa-iono. Un sondaggio condottoqualche anno fa ha prodotto unrisultato sorprendente: la maggiorparte degli intervistati era convintache Willy il Coyote avrebbe per-corso un primo tratto di traiettoriaorizzontale, di lunghezza dipen-dente dalla velocità iniziale, salvopoi cominciare a cadere, magari un

po’ meno bruscamente che nei car-toni animati, a dimostrazione chele leggi della fisica – anche le piùsemplici – non fanno parte del no-stro normale bagaglio di conoscen-ze. E poi la fisica e la matematicarientrano, secondo la comune con-vinzione, nel novero delle scienze“esatte” (il che implicherebbe cheesistano scienze “inesatte” o addi-rittura “sbagliate”…). Però, mentrela matematica si appoggia su teore-mi dimostrati oltre ogni possibileobiezione, in fisica ne esistono po-chissimi, conseguenza di sviluppilogico – matematici. Tutto il resto èbasato su leggi o principi, la cui va-lidità è prima di tutto sperimentale. Certo, esiste anche la fisica teorica– importantissima – che enuncia

Le leggi della fisica sono oggetto di continuoaffinamento ed evoluzione. Diversamente da unteorema matematico, un principio fisico può esserenel tempo modificato e perfezionato per tener contodi nuove teorie e dei risultati di nuovi esperimenti.Ma talvolta si presentano inquietanti paradossi…

RELATIVITÀ E CAMPI:I CONTI NON TORNANO

DI VALERIO FRANCHINA

3 M!ND 4 - Dicembre 2005/Gennaio 2006

Willy il Coyote (cartoon attualmente trasmesso da Boomerang, il canale 608 di Sky) ritratto nella

sua corsa sfrenata in aria nel tentativo diraggiungere lo struzzo Beep Beep, contravvenendo

così alle leggi della fisica classica.

teorie da passare comunque al va-glio della sperimentazione. Unateoria deve avere una formulazionepriva di anomalie logiche, però puòanche essere controintuitiva… Finoa prova contraria.La necessità della conferma speri-mentale è evidente, visto che la fisi-ca descrive la struttura del mondo.Forse proprio dalle difficoltà cheaccompagnano questa conferma,specie quando occorre verificareleggi complicate che riguardanoparticelle, alte energie o condi-zioni limite, deriva uno sviluppotemporale diverso tra fisica e mate-matica. Ad esempio, il famoso teo-rema sui triangoli rettangoli, erro-neamente attribuito a Pitagora, eragià noto molto tempo prima di lui:

lo stesso vale per altri notevoli ri-sultati e teoremi matematici e geo-metrici. Invece, prima di Galileo, laconoscenza delle leggi fisiche eralimitatissima. Ai tempi dell’anticaGrecia si credeva addirittura cheesistesse un rapporto costante tra laforza impressa ad un corpo e lavelocità che tale corpo – se nonvincolato – sviluppava in conse-guenza: occorre arrivare a Newtonper stabilire che tale rapporto sus-siste invece tra forza e accelerazio-ne (è il secondo principio delladinamica). Possiamo situare versola metà del 1600, proprio all’epocadi Galileo e Newton, l’avvio dellosviluppo della fisica e delle sueleggi. Tutta la fisica? Eh, purtroppono. All’aumentare – e al compli-carsi – delle conoscenze e delleteorie, hanno cominciato a pro-liferare situazioni in cui si mani-

festano scostamenti tra la prati-ca e la teoria. Quando questoavviene, occorre un’evoluzioneteorica che superi tali scostamenti,senza aprire però lacune da qual-che altra parte.È possibile immaginare situa-zioni – note come esperimentivirtuali – in cui l’applicazionedelle leggi fisiche note produceeffetti paradossali: questo eserci-zio è molto affascinante – ma an-che molto pericoloso sul piano dia-lettico. Infatti, può darsi che nonsia per niente chiaro dove sia lacausa del paradosso: allora le di-spute salgono fortemente di inten-sità. Mentre nel settore della cine-matica e della dinamica la situazio-ne è stabilizzata, quando si parla dicamxpi, forze a distanza (come lagravità) e simili questioni, ci si im-batte spesso in paradossi.

I PARADOSSIDEI PIONIERIDELLA FISICAQuasi tutti accompagnavanouna straordinaria capacitàintellettuale ad alcuneincredibili stranezze, forselegate all’epoca in cuivivevano.

Come si è detto, verso la metà del1600 furono gettate le basi scienti-fiche della fisica, partendo dalleleggi della meccanica. Poco dopofu la volta della termodinamica,che portò una ventata di sconcertocon concetti come l’entropia e l’ir-reversibilità di alcune trasformazio-ni. Poi, con la scoperta delle radia-

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Disegno tratto dal libro “A Treatiseof the System of the World” (Untrattato sul sistema del mondo) diIsaac Newton, del 1728. Unproiettile viene sparatoorizzontalmente da una altamontagna (V). A basse velocità ilproiettile percorre brevi distanze,mentre cade a terra seguendo unatraiettoria parabolica. Per velocitàsufficientemente alte il proiettilecomincia invece a percorrereun’orbita ellittica e non cade più.

Galileo Galilei (1564-1642). Grazieall’uso del suo canocchiale, scoprì iquattro più grandi satelliti di Gioveed osservò le montagne della Luna.In fisica, scoprì la isocronicità delleoscillazioni del pendolo e lacostanza della accelerazione digravità. Sostenne la teoriacopernicana di una Terra ruotanteintorno al Sole. Venne inquisito pereresia dalla Chiesa CattolicaRomana e visse quindi agli arrestidomiciliari come eretico dal 1633 al1642, anno della sua morte.

zioni catodiche, e di altra natura,arrivò la teoria dei campi e delleazioni a distanza. Verso l’inizio del’900 la conoscenza del campo elet-trico e di quello magnetico avevaraggiunto livelli paragonabili agliattuali. Il monumentale trattato sul-l’elettromagnetismo pubblicato dalfisico Maxwell nel 1873, nel qualesono enunciate le equazioni cheportano il suo nome (non propriotutte, ma la base c’è, eccome) è an-cora attuale: le equazioni di Max-well sono il fondamento del grandesviluppo radioelettrico nell’ultimosecolo. Pochi anni dopo, nel 1905,apparvero alcuni importanti lavoridi Einstein e fu enunciata la famosateoria della relatività ristretta. Co-minciarono anche dispute ferocisulla sua effettiva validità, che hapoi ricevuto conferme sperimentali(alcune delle quali sono però abba-stanza indirette e quindi motivo diulteriori dubbi e obiezioni). Fu pro-prio grazie a tale teoria che fusmontato un terribile paradosso,come vedremo tra poco.Ma prima dobbiamo osservare che– in poco più di due secoli – cam-biarono molto più i fisici che non lafisica. Galileo e Newton hannodato un contributo straordina-rio alla formulazione delle leggidella meccanica e dell’ottica: ep-pure pare che Galileo produces-se oroscopi (a pagamento),mentre il caso di Newton è an-cora più clamoroso. Era infattiun convinto assertore dell’Astro-logia e della Alchimia. Anche nelsettore della divinazione non disde-gnava di dire la sua: arrivò addirit-tura a predire la fine del mondo nel2060, anno che si sta pericolosa-mente avvicinando. Se un fisico dioggi si azzardasse a fare qualcosadel genere, sarebbe irreversibil-mente screditato: il che non sembrasia accaduto a Isaac Newton. Inrealtà, la transizione da un mondobasato su credenze e suggestioni aduno più orientato verso le spiega-

zioni logiche non è stata istanta-nea: anzi, è tuttora in corso e anco-ra durerà. Per giustificare il com-portamento occasionalmente anti-scientifico di Newton e – in misurameno pubblicizzata – di Galileo,basterà osservare che vissero nelprimo periodo di questa transizio-ne e qualche scoria di oscuranti-smo doveva per forza esser lororimasta attaccata. E poi Newtonnon aveva nemmeno esagerato sesi confronta con Keplero. Il famo-so matematico ed astronomo, auto-re delle tre leggi sul moto dei pia-neti, piuttosto controintuitive e che

danno perciò una misura dellagrande capacità scientifica del loroautore, ne combinò una delle sue,tale da far apparire quelle diNewton semplici marachelle. Unavolta sistemata – in forma così au-torevole e rivoluzionaria – la que-stione del moto dei pianeti, rima-neva il problema degli altri astri,cioè delle così dette stelle fisse. Tutti sapevano che tali stelle so-no incastonate in una volta sfe-rica di cristallo: che altro, se no?

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Isacco Newton (1642-1727).Astronomo, matematico e fisico

inglese, enunciò la legge digravitazione universale dalla quale

derivò il modello dell’universo ritenutovalido fino all’avvento di A. Einstein.

Inventò il telescopio a riflessione, studiòla luce e le leggi della diffrazione e

della riflessione, introdusse il calcolodifferenziale e integrale.

Para - primo elemento di parole composte di origine greca o di formazio-ne moderna, dal greco pará “presso, accanto, oltre”; può indicare vici-

nanza, somiglianza, affinità o deviazione, alterazione, contrapposizione(paramilitare, paranormale); in chimica compare nei composti derivati dalbenzene per sostituzione di due atomi di idrogeno dell’anello benzenicoquando gli atomi sostituiti sono distanziati fra loro da altri due (paraldeide).

Paradosso - s. m.1. affermazione, opinione, tesi che, nonostante sia in contrasto con l’espe-rienza comune, si dimostra di fatto fondata: un paradosso fisico, matemati-co | (filos.) ragionamento logico che parte da un presupposto falso; sofisma:i paradossi di Zenone di Elea | nella logica contemporanea, antinomia;2. (estens.) affermazione, ragionamento, tesi sorprendente: argomentare,ragionare per paradossi; i paradossi di Oscar Wilde | fatto, comportamentoche si presenta come contrario alla logica, incoerente: tutta la sua vita èstata un paradosso; Il paradosso di metropoli in gran parte abitate, e solodurante poche ore del giorno, da gente suburbana (E. CECCHI)agg. (med.) si dice di fenomeno contrario alle aspettative.

Para-paradosso - definiremo para-paradosso la situazione che si verificaquando, individuato un paradosso ottenuto applicando alcune leggi fisichenote, si riesce a superarlo modificando le leggi stesse. È evidente che ladefinizione gioca sul doppio significato di “para” che richiama anche ilconcetto di “ripararsi”.

PARADOSSI E PARA-PARADOSSI

Detto fatto, Keplero si accinsenell’impresa di calcolare lospessore di tale volta! Per capirecosa passò per la mente di Keple-ro, va ricordata la sua abilità – rico-nosciuta insuperabile – nel proget-tare obiettivi per i telescopi. Egliaveva quindi una grande capacitàdi calcolo (manuale, ovviamente) euna buona conoscenza dellatecnologia del cristallo. Allo scopoapplicò un procedimento altamen-te demenziale: ad un certo puntotirò in ballo perfino la Trinità perasserire l’eguaglianza delle massedella volta, del Sole e dell’etere(qualunque cosa fosse…). Conquesto procedimento, in cui a mo-menti di stretto rigore matematico sialternavano, per la verità in mag-gioranza, scelte assolutamente arbi-trarie – come quella secondo laquale la volta era composta di cri-stallo di Jena, all’epoca consideratoil migliore per gli obiettivi – arrivò acalcolarne lo spessore in novemiglia inglesi (sono circa quindi-ci chilometri). Le stelle incastona-te nella volta avevano dunque undiametro piuttosto misero, speciese confrontato con quello che qual-che decennio dopo è stato loroattribuito. Questa incredibile tro-vata fu poi inserita nello stessovolume, Harmonices Mundi, del1619, in cui veniva enunciata laben più sensata terza legge sulmoto dei pianeti: è forse uno deimassimi esempi di pubblicazio-ne in cui coesistono importantiprincipi di fisica e straordinariepanzane. Ma il contributo di Ke-plero alle conoscenze fisiche ne ri-sulta sminuito? Sicuramente no: an-che questo è un notevole parados-so. Le cose erano già un po’ cam-biate quando – circa due secoli emezzo dopo – Maxwell e Einsteinpubblicarono le loro opere. Il rigo-re scientifico era cresciuto, anche senon sempre, e cominciava a mani-festarsi l’inquietudine derivantedalle così dette azioni a distanza.

Cosa siano, è presto detto. Nellameccanica classica, le azioni – e lereazioni – derivano sempre dalcontatto tra i corpi. Però erano giàstate individuate almeno tre situa-zioni in cui nascevano forze adistanza: quelle elettriche, quellemagnetiche e quelle gravitazionali.

LA FISICAMODERNA E I PRIMI PARADOSSISi apre la porta ai campi diforza e alle azioni adistanza. Ma dalla portaaperta entrano anche i primiparadossi, alcuni dei qualidavvero imbarazzanti.

Parecchia matematica dopo, costi-tuita soprattutto dalla trattazionedell’algebra dei vettori – particolar-mente potente – e dalla teoria deicampi, la fisica disponeva di alcu-ne leggi nuove di zecca e speri-mentalmente verificate. L’intensitàdelle tre forze a distanza – elettrica,magnetica, gravitazionale – dipen-de dal quadrato della distanza tragli oggetti sui quali si manifestano:il che faceva supporre – o almenosperare – che avessero una stessacausa. In questa direzione si mos-

sero molti ricercatori. Era stataanche individuata una dipendenzatra campi elettrici e magnetici. Intanto William Crookes aveva sco-perto i raggi catodici, verso la finedel secolo XIX: ma lo studio di taliraggi coinvolse molti altri fisici, tracui Röntgen, primo premio Nobelper la fisica. Si era compresa me-glio la natura dei flussi elettrici, arri-vando ad ipotizzare la presenza diparticelle elettricamente cariche,chiamate poi elettroni. Classici e-sperimenti permisero non solo diconfermarne l’esistenza, ma anchedi definirne alcune stupefacentiproprietà. La più singolare è quellache attribuisce una massa agli elet-troni, i quali acquistano nel nostromodello mentale l’aspetto di sferet-te, piccole e cattivissime, ma nondissimili da una pallina da tennis:anche se un po’ più piccole (un belpo’, veramente). Carica e massadell’elettrone sono state ripetuta-mente misurate: alcuni libri divul-gativi affermano, con qualche esa-gerazione, che gli elettroni sianostati addirittura visti! Non è propriocosì: è stato osservato il camminopercorso da elettroni accelerati edeflessi da campi elettromagnetici,con dispositivi come le camere abolle. Inoltre, ogni volta che accen-diamo un televisore o un monitorda PC (quelli a raggi catodici, anco-ra non del tutto soppiantati daglischermi piatti), abbiamo una note-vole conferma che i piccoli elettro-

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Ricostruzione alcomputer delle orbitedi nove pianeti delsistema solare.Mercurio Venere,Terra, Marte, Giove,Saturno, Urano,Nettuno e Plutone,rappresentato in blu inalto a destra. A causadella estrema ellitticitàdell’orbita di Plutone,

a volte Nettuno risulta essere il pianeta più lontano dal Sole. Il Sole e i pianetinon sono rappresentati in scala.

RELATIVITÀ E CAMPI

ni svolgono il loro onesto lavoro,colpendo i fosfori dello schermo etrasformando la loro energia cineti-ca in energia luminosa. Queste si-tuazioni, in cui la presenza di cor-puscoli non visibili viene evidenzia-ta indirettamente, fanno pensareall’allegoria platonica della caverna,sulla cui volta vengono proiettate leombre della realtà che gli osserva-tori finiscono per percepire comerealtà autentica. Curiosa coinciden-za, dato che Platone non vedeva lafisica di buon occhio: anzi, ne rite-neva impossibile il fondamentoscientifico.La scoperta dell’elettrone indussead ipotizzare l’esistenza del magne-tone nei campi magnetici e del gra-vitone in quelli gravitazionali. Però,mentre la conoscenza dell’elettroneprogrediva e nuovi esperimenti enuove leggi – tra cui quella di Lo-rentz – descrivevano il moto deglielettroni nel loro passaggio in uncampo magnetico, non si trovavatraccia di magnetoni e gravitoni.Benché in fisica sia pericoloso fareaffermazioni categoriche, si puòormai ritenere che la caccia aqueste particelle forse non avràsuccesso, perché probabilmentenon esistono.Lo studio dei raggi catodici permisedi stabilire che gli elettroni poteva-no raggiungere una velocità pros-sima – appena inferiore – a quelladella luce. Il fatto che il campoelettrico prodotto dagli elettroniin movimento si propagasse avelocità molto elevata ma non

infinita, gettò nello sconforto ifisici dell’epoca. Nascevano in-fatti diverse situazioni parados-sali. Vedremo tra poco quella chepuò essere chiamata la madre ditutti i paradossi e il modo in cui fufornita la spiegazione. Prima peròtorniamo a Maxwell, che – nel suogià ricordato trattato sull’elettroma-gnetismo – osservava: “…Ma datutte queste teorie la domandasorge spontanea: Se qualcosaviene trasmesso a distanza da uncorpo ad un altro, in quali condi-zioni questo qualcosa si troveràdopo aver lasciato il primo corpo enon aver ancora raggiunto il secon-do? (...) Se energia viene trasmessanel tempo da un corpo ad un altro,deve esistere un mezzo intermediodove questa energia risiede du-rante il viaggio. (…) Perciò tuttequeste teorie inducono a ritenereche tale mezzo esista: e se ne am-mettiamo l’esistenza, credo che do-vrebbe occupare un posto impor-tante nelle nostre ricerche. Do-vremmo sforzarci di costruire unmodello mentale delle sue proprie-tà; questo è stato il mio obiettivocostante in questo trattato”.Il trattato – nella sua terza edizionepostuma del 1904 – consta di oltre1.000 pagine. Queste considerazio-ni sono riportate proprio sull’ulti-ma. Forse Maxwell dovrebbe esse-re ricordato più per la britannicanonchalance nell’aver concluso iltrattato con un simile agghiaccian-te interrogativo che per le sue e-quazioni.

PARADOSSI FISICI: IL CAMPO ELETTRICODISPETTOSOUno dei più famosi paradossifu risolto da un interventocombinato di Einstein ed altrigeni della fisica, tra cui ilpremio Nobel Max Born.

Per capire la madre di tutti i para-dossi, noto come paradosso diBorn-Einstein, dobbiamo prima ri-chiamare un paio di nozioni dimeccanica classica.Ad un corpo di massa m che simuove con una velocità v è as-sociata una grandezza – denomi-nata quantità di moto e data pro-prio dal prodotto della sua massaper la sua velocità – che si dimo-stra essere invariante finché sulcorpo non agiscono forze. È unaconseguenza delle leggi di

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Tubo di Crookes. Inventato daWilliam Crookes (1832-1919)verso la fine del 1800, questodispositivo fu usato perevidenziare il percorso dei raggicatodici. Applicando una correnteelettrica il catodo (a destra) siscalda ed emette elettroni.Raggiungendo l’internodell’ampolla, a sinistra, rivestitocon una sostanza fluorescente, laforma dell’ombra della croce diMalta interposta sul loro camminodimostra che essi hanno viaggiatoin linea retta.

Foto della “camera a bolle” da 4,5metri del FermiLab (USA) mentre

avviene la trasformazione di un fotone(da raggi gamma), la cui traiettoria è

invisibile, in una coppia elettrone-positrone (materia-antimateria). Le

tracce bianche a V al centro in bassosono quelle della coppia creata

dall’ingresso del fotone nella camera.La traiettoria del positrone curva a

sinistra e termina dove si annichiliscenell’incontro con un elettrone atomico

dando origine a due fotoni, la cuitraiettoria è invisibile. Uno di questifotoni crea poi una seconda coppia

elettrone-positrone nell’angolo in altoa sinistra della foto.

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Newton. D’altra parte, in un siste-ma isolato, su cui cioè non a-giscono forze esterne, la posizionedel centro di massa – il baricentro– è univocamente determinata. Seil sistema era inizialmente inquiete, il baricentro è in quiete. Seil corpo è articolato, allo sposta-mento di un suo componente cor-risponde lo spostamento sim-metrico di altre sue parti, in modotale che il baricentro del corpo noncambi di posizione. È una con-seguenza del terzo principio diNewton (azione e reazione).Supponiamo allora di disporre – inun contenitore isolato – di un ge-neratore di campo elettrico fissatoal contenitore stesso (come untrasmettitore radio), che improvvi-samente emetta un fascio di elet-troni. Questo fascio ha associatauna quantità di moto (massa pervelocità), calcolabile secondo leleggi dell’elettrodinamica classica.Per conservare la posizione delbaricentro del sistema (generatoree fascio di elettroni) e la quantità dimoto complessiva del sistemaisolato, il generatore, solidalmenteal contenitore (immaginiamoci ilgeneratore fissato all’interno diuna scatola parallelepidica), simuoverà per reazione in verso

opposto sulla direzione delfascio emesso. Supponiamo cheil fascio di elettroni venga in-tercettato da uno schermo, chesia parte del contenitore isolato,situato ad una certa distanza daesso. All’impatto del fascio di e-lettroni con lo schermo (imma-giniamo che si tratti della partedella scatola posta di fronte al ge-neratore), la quantità di motoverrà restituita al contenitore chesi fermerà. Ma, mentre il fascioviaggiava nello spazio, il conte-nitore si è mosso. Quindi, allafine dell’esperimento, il bari-centro del sistema si saràspostato senza che siano sta-te applicate forze esterne (in-tervengono solo forze in-terne al sistema stesso).Questo viola in un colpo soloun buon numero di leggi fisi-che note. A meno che la propa-

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La ricerca sulle onde gravitazionalinon ha tuttora fornito evidenze dellaloro esistenza. In foto si vedel’antenna del detector Aurigainstallato a Legnaro (Italia).Il cilindro-antenna lungo 3 metriviene mantenuto alla temperatura di0,1° Kelvin per minimizzare le sue

vibrazioni atomiche. L’Auriga sarebbe in grado di rilevare lo scoppio di unasupernova nel nostro gruppo locale. Le onde gravitazionali emessenell’esplosione causerebbero vibrazioni nel cilindro dell’ordine delmiliardesimo di milionesimo di millimetro.

gazione del fascio di elettroni nonavvenga istantaneamente: ma nonè possibile, perché gli elettroniche lo compongono, come ab-biamo osservato in precedenza,hanno velocità elevata, ma finita.In altri termini, se il contenitorenon si è mosso, il campo si èpropagato a velocità infinita, vio-lando il principio della velocitàlimite di Einstein. Se invece si èmosso, viene violato il principiodella conservazione del centro dimassa. E questo è davvero unbel paradosso. Ma nel box apagina **** viene fornita laspiegazione, dovuta a Max Borne Albert Einstein, che eliminacompletamente la situazione pa-radossale. Il contenitore si è ineffetti mosso (anche se di po-chissimo, in un eventuale e-sperimento pratico) ma solograzie ad una notevole – ed in-

Una corrente che scorre in un conduttore produce un campo magnetico: è la legge di Biot e Savart (o di Ampère).Inversamente, un campo magnetico NON statico produce una corrente elettrica in un conduttore: è la legge di

Neumann-Lenz. Questi risultati si deducono anche dalle equazioni di Maxwell, ma furono ottenuti circa un secoloprima! È allora provata l’univocità dei due campi e delle relative forze? Nemmeno per idea. Infatti, mentre una cor-rente elettrica costante – dunque, un campo elettrico statico – produce un campo magnetico, statico anch’esso, nonè affatto vero il contrario. Per produrre effetti di tipo elettrico occorre un campo magnetico di intensità, o almeno didirezione, variabili nel tempo. Tutte le macchine elettriche che costituiscono l’ossatura del mondo moderno – moto-

ri, alternatori, dinamo, ma anche strumenti di misura, altoparlanti, sistemi di comunica-zione elettrica – si basano sulla diretta applicazione delle due leggi citate: una buonaverifica sperimentale, nel caso ci fossero ancora dubbi.

LA DIPENDENZA TRA CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI

Motore a corrente alternata. Lo “statore” (in blu) viene magnetizzato dagli avvolgimentiarancione (in rame) percorsi dalla corrente elettrica. Il “rotore” (lucido, al centro) fissatoall’albero motore libero di ruotare, viene costretto dalle forze magnetiche a muoversi insiemeal campo magnetico rotante generato dallo statore.

RELATIVITÀ E CAMPI

gegnosa – estensione delle leggifisiche della meccanica classica.

IL PARADOSSO DEL CAMPO GRAVITAZIONALE

Anche in questo caso esisteuna situazione paradossalelegata alla velocità dipropagazione: se non fosseistantanea, le orbite dei pianetidiventerebbero instabili.

Rispetto ai campi elettromagneticiquello gravitazionale è un caso aparte, tanto che ancora si cercaqualche evidenza di onde gravita-zionali – previste dalla teoria gene-rale della relatività – con esperi-menti molto complessi e costosi,

condotti anche dall’Istituto Nazio-nale di Fisica Nucleare con il pro-getto Auriga (www.auriga.lnl.in-fn.it). Fra l’altro, se mai si dovesseriuscire a provare l’esistenza diun’onda gravitazionale, potrebbeessere ipotizzata l’esistenza dei gra-vitoni: ma qui è proprio il caso diparlare di fantascienza…Il campo gravitazionale presentaaspetti che sembrano fatti appostaper scatenare paradossi. Mentresiamo ormai capaci di generarecampi elettromagnetici, di modu-larli (cioè variarne l’intensità) e diri-gerli (come si fa con le antenneparaboliche dei ponti radio), esiamo anche in grado di impedirnegli effetti con sistemi di schermatu-ra (la gabbia di Faraday per i campielettrici e le lastre in mu-metal perquelli magnetici), con il campogravitazionale non si riesce adinteragire. Non abbiamo alcunmezzo per intervenire sulla sua

intensità e direzione né tantomeno per schermarlo. Se ci riu-scissimo, sarebbe il più straordi-nario risultato della tecnologiaumana. Le leggende circa la sco-perta e la costruzione di schermi emacchine antigravità sono ricorrentinella storia: la capacità di levitare oaddirittura di ascendere al cielo,contrastando la forza di gravità, èconsiderata una prerogativa divina.Deve essere così, perché solo so-spendendo l’azione delle leggidella fisica sembra possibile ottene-re questo risultato. O forse ci si do-vrebbe trasferire nel mondo deicartoni animati e far finta di nonaccorgersi che ci manca l’appog-gio, per cui non cadremmo…Un noto paradosso riguarda la ve-locità di propagazione delle intera-zioni gravitazionali. La stabilitàdelle orbite dei pianeti è assicurata– si dimostra matematicamente –solo se la propagazione è istanta-

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Forse la più chiara ed elegante spiegazione di questo paradosso si trova nell’ottimo libro di Max Born, grande fisi-co e premio Nobel, contemporaneo di Einstein. Questo libro è disponibile nella traduzione italiana (anche questa

ottima: Boringhieri, 1968) e tanto vale citarla testualmente (si riferisce a fotoni e non ad elettroni, ma il concetto è lostesso):… L’elettrodinamica classica dice, in accordo con l’esperienza, che la quantità di moto trasmessa da luce d’energiaE ad una superficie che l’assorbe è E/c [c è la velocità della luce]; quindi la quantità di moto di rinculo del conteni-tore dovuta all’emissione ha lo stesso valore. Se il contenitore ha massa M, acquista una velocità di rinculo v data,secondo il teorema di conservazione della quantità di moto, da Mv = E/c. Il contenitore continua a muoversi duran-te il tempo necessario alla luce per percorrere la distanza l tra trasmettitore e ricevitore; a meno di termini di ordinesuperiore, questo tempo t è eguale a l/c. Durante questo tempo il contenitore percorre una distanza x = vt = El/Mc2;per non contraddire il principio fondamentale del centro di massa dobbiamo supporre che il trasferimento d’energiasia accompagnato da un trasferimento simultaneo di massa nella stessa direzione. Se indichiamo questa massa, per ilmomento non ancora nota, con m, il momento totale dovuto allo spostamento di massa dopo il processo è dato daMx – ml; per il principio fondamentale del centro di massa, questo deve essere zero. Sostituendoper x l’espressione trovata sopra si ottiene per m la formula di Einstein: m = M x/l = E/c2.La madre di tutti i paradossi fisici viene sì smontata, ma a prezzo elevatissimo: l’introduzione del-l’equivalenza tra massa ed energia espressa da E=mc2.

LA SOLUZIONE DEL PARADOSSO DI BORN-EINSTEIN

Radiometro di W. Crookes (1832-1919). Lo strumento doveva servire a indagare laradiazione solare. L’elemento di sostegno di tre cartoncini quadrati può ruotare su un asse

verticale. I cartoncini sono neri da un lato e riflettenti dall’altro. Nell’ampolla viene fatto unvuoto parziale. Sottoposto alla luce solare il rotore gira spontaneamente. Il fenomeno non èdovuto, come comunemente si crede, al diverso assorbimento della luce da parte delle due

faccie dei cartoncini, che eventualmente causerebbero una rotazione inversa, bensì acomplessi fenomeni quantistici che si instaurano sui loro spigoli.

nea, come ricordato ad esempio daS. Carlip, M. Wiener e G. Landis. Mal’istantaneità è incompatibile con lateoria della velocità di propagazio-ne, che non può essere infinita edè limitata da quella della luce (lavelocità di propagazione deve inogni caso essere inferiore a 300.000chilometri al secondo). La spiega-zione del paradosso fornita dagliautori citati è complicata e ricordaun po’ – calcisticamente parlando –il rifugiarsi in calcio d’angolo: senon addirittura il ricorso al fallo tat-tico! Infatti, giustifica sia il caso dipropagazione istantanea che quellocontrario. È molto difficile – ai limi-ti dell’impossibilità – condurreesperimenti al riguardo, anche per-ché – come già osservato – nonsiamo attualmente in grado di inter-venire sul campo gravitazionale.

L’ELETTROMA-GNETE FANTASMAÈ – per così dire – il gemellodel paradosso di Born-Einstein per il campomagnetico.

L’esperimento virtuale che conduceal paradosso è inizialmente simile aquello proposto per il campo elet-trico. Si riferisce però ad un campomagnetico generato da un elettro-

magnete, percorso improvvisa-mente da corrente. In tale campo sitrova un corpo ferromagnetico po-larizzato, che chiameremo àncora.Questa viene soggetta ad una forzarepulsiva, come avviene in qualun-que motore elettrico o strumentodi misura a bobina o ferro mobile.Il sistema costituito dall’elettroma-gnete e dall’àncora viene quindiperturbato e – in mancanza di vin-coli opportuni – la posizione dientrambi gli elementi viene altera-ta: non così la posizione del bari-centro del sistema (perché que-st’ultimo è sede di sole forze inter-ne). In seguito al passaggio dellacorrente, il campo elettromagne-tico generato si è propagato nel-lo spazio circostante l’elettroma-gnete con una funzione d’onda ela sua velocità di propagazionenon può superare quella dellaluce. La prima conseguenza èche l’effetto di repulsione sul-l’àncora è ritardato rispetto almomento di applicazione dellacorrente nell’elettromagnete. Sup-ponendo di operare nel vuoto incondizioni ideali, il ritardo di-pende dalla distanza tra i duecorpi. La seconda conseguenza èche, per mantenere costante laposizione del baricentro del si-stema, lo spostamento dei due

corpi deve avvenire in perfettosincronismo. Ma come fanno idue corpi a spostarsi simultanea-mente, visto che le relative infor-mazioni viaggiano – al massimo– alla velocità della luce? Inoltre,non essendovi traccia di magne-toni, non esiste una quantità dimoto associabile al flusso emes-so, come accadeva invece nelparadosso di Born-Einstein. Ma c’è di peggio. Supponiamoche la corrente che ha attraversa-to l’elettromagnete sia impulsivae che la durata dell’impulso siainferiore al tempo di propaga-zione dell’onda per raggiungerel’àncora (ed eventualmente pertornare indietro). La reazione diritorno non potrà provocare lospostamento dell’elettromagne-te, che in mancanza di correntenon ha più proprietà magneti-che. A questo punto si hannoconseguenze imbarazzanti. Vie-ne subito in mente che la posi-zione del baricentro si modifica:ma allora non potevano essercisolo forze interne! Inoltre, se àn-cora ed elettromagnete hannoun vincolo insensibile al campoprodotto (che quindi non lo per-turba e non ne viene perturbato:ad esempio siano collegati permezzo di una barra di materialeisolante e non ferromagnetico),il fenomeno produce un effettopropulsivo. Per fortuna almenoil principio di conservazione del-l’energia non risulta – all’ingros-so – messo in discussione, per-ché la propulsione è avvenuta aspese dell’energia elettrica im-

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Lancio dello Space Shuttle Atlantisper la missione STS-45 (24 marzo1992). La dimensione del serbatoioprincipale (arancione) cui è fissatolo Shuttle rende bene l’dea dellaenorme quantità di combustibile,che costituisce anche la massa direazione, necessaria per questilanci.

Disegno computerizzato del sistemaX-1 Cigno, che si pensa contenga unbuco nero. Questo sistema dista circa82.000 anni luce dalla Terra. Unbuco nero è una zona di spazio nellaquale il campo gravitazionale è cosìalto che nemmeno la luce riesce adallontanarsene. Al suo interno siprodurrebbero fenomeni tali da potercomprendere addirittura l’inversionedella freccia del tempo.

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messa nell’elettromagnete. Sonostate finora avanzate molte spie-gazioni, ma nessuna ha convintopienamente. Si sarebbe quindidi fronte alla possibilità chenon si tratti di un paradosso,ma di una situazione che supe-ra il paradosso stesso, diven-tando di fatto possibile: un pa-ra-paradosso!

IL SOGNO PROIBITOPer realizzare missionispaziali a lungo raggiooccorre superare gli attualilimiti di autonomia. Lapropulsione elettromagneticapotrebbe essere una soluzione.

Paradossi o non, la realizzazione diun meccanismo che consenta di ot-tenere uno spostamento ricorrendoa campi elettromagnetici interni sa-rebbe vitale per l’astronautica. Ri-cordiamo come avviene la propul-sione di veicoli con i sistemi con-venzionali. Sul terreno e nell’acquasi sfrutta l’attrito: le ruote motrici, ole eliche di una imbarcazione, eser-citano sul mezzo di contatto la for-za propulsiva. Che il fenomeno siadovuto all’attrito risulta ben chiaroquando si cerca di muovere (o fre-nare…) una vettura sul ghiaccio: ilridotto coefficiente di attrito rendel’azione poco efficace o impossibile.Nei velivoli con propulsione adelica il liquido è un gas e non unliquido: cambiano le leggi coinvolte

(un liquido è incompressibile, men-tre un gas si può comprimere) mail principio è identico. Le cosevanno diversamente nei veicoli agetto, come gli aeroplani a reazionee gli idrogetti. Qui un fluido – ariao acqua – viene aspirato, acceleratoe poi espulso a velocità elevata. Alfluido è associata una quantità dimoto che per reazione determina lospostamento del veicolo. Nell’ac-qua – o nell’atmosfera – il fluido perfar funzionare il getto è disponibilein quantità, perché provvede al so-stentamento del veicolo. Ma nellospazio non esistono fluidi. Allora sisfrutta ancora il principio di azionee reazione (e che altro, se no?)proiettando all’esterno del veicolo,più velocemente possibile, unamassa immagazzinata in preceden-za. Quindi occorre una sorgente dienergia per accelerare la massa pro-pellente ma occorre anche la massastessa, o la materia prima per pro-durla. Poiché esistono limiti al cari-co che un veicolo spaziale può por-tare con sé, la massa disponibileper la sua proiezione all’esternolimita l’autonomia del veicolo stes-so. Viaggi spaziali più lunghi diquelli per raggiungere i pianetiprossimi sono attualmente impro-ponibili. Tra le numerose alternati-ve che vengono analizzate, la pro-pulsione elettromagnetica occupaun posto di rilievo. Tutti i più im-portanti istituti di ricerca – apartire dalla NASA – se ne stannooccupando attivamente. Non so-no da meno gli enti di ricerca mili-

tari (soprattutto quelli americani),che secondo alcuni avrebbero giàottenuto qualche risultato. Questoperò sembra francamente esagerato,visto che l’argomento è oggetto –già da diversi anni – dell’interesse diinnumerevoli ricercatori, molti deiquali stanno percorrendo identichedirettrici di indagine. Se un avanza-mento significativo fosse stato otte-nuto, sarebbe impossibile mantene-re il segreto: non ci si riuscì nem-meno con la tecnologia nuclearemilitare. Oltre tutto, nell’epoca diInternet, la quantità di documentiche trattano dell’argomento (nonpochi facilmente tacciabili di ciarla-taneria, ma ce ne sono anche dimaledettamente seri) sta diventandosterminata. A questa moderna cor-sa all’oro (ma è un paragone ri-duttivo) stanno partecipando an-che piccoli laboratori privati eaddirittura ricercatori isolati, tal-volta chiaramente velleitari. Qual-cuno sostiene addirittura di aver ri-solto il problema, pur non avendoancora mostrato prove convincentie riproducibili. È raro che con pochimezzi e fuori da grandi istituti diricerca si ottengano risultati. Certo,pare che Albert Einstein dicesse“tutti sono convinti che una cosa siaimpossibile, poi arriva qualcuno chenon lo sa e la inventa”. E per riferir-si ad outsider di successo si cita disolito Guglielmo Marconi: e basta…Però il buon Guglielmo addusseprove tali da superare qualsiasi o-biezione. Invece, i più disinvolti cul-tori della propulsione elettromagne-tica sostengono di avere dati speri-mentali, ma poi risulta difficile senon impossibile assistere ad un e-sperimento. In conclusione, studia-re, studiare e studiare questi feno-meni sembra più che opportuno:sostenere senza prove di aver trova-to la soluzione, via, non è un atteg-giamento da fisici veri. E poi, i tempidi Keplero e del calcolo dello spes-sore della volta celeste sono ormaipiuttosto lontani.

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Un fenomeno noto come “quantumentanglement” (non-separabilità

quantistica) renderebbe possibile lacopia dello stato quantico di un

sistema in un altro identico che nedifferisce solo per la distanza

interposta. In teoria sarebbe quindipossibile il teletrasporto della

materia, creandone una copiaperfetta a distanza, a patto però di

distruggere l’originale.

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