teramani 106
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n.
oltraggiarequesto Duomo
PaDreabele Conigli
il Cibonell’arte
pag. 7 pag. 12 pag. 24
106gennaio 2015
mensile di informazione in distribuzione gratuita
il Duomo:Prestigioso Pannello PubbliCitarioil Duomo:Prestigioso Pannello PubbliCitario
- per trarne un’indicazione di qualità sull’offerta formativa delle
scuole da cui essi provengono. I risultati universitari (esami,
voti, crediti) riflettono e danno informazioni anche sulla qualità
delle “basi” formative, la bontà del metodo di studio e l’utilità dei
suggerimenti orientativi acquisiti presso le scuole secondarie. In
altre parole, i risultati universitari ci permettono di formulare un
giudizio sulla qualità delle scuole secondarie superiori sulla base
di informazioni che provengono da enti – gli atenei – che sono
“terzi” rispetto alle scuole stesse, cioè imparziali, ma al tempo
stesso molto interessati alla qualità delle competenze e delle
conoscenze degli studenti.” Analizzando i punteggi assegna-
ti dalla Fondazione Giovanni Agnelli alle scuole superiori
abruzzesi, si può constatare che l’Istituto Tecnico Commer-
ciale “Pascal-Comi” di Teramo risulta al 1° posto in Abruzzo
tra gli istituti tecnici del settore economico con indice FGA
pari a 57,55. Inoltre, in provincia di Teramo, il “Pascal-Comi” pri-
meggia anche rispetto agli istituti tecnici del settore tecnologico.
Per visionare i punteggi assegnati alle scuole superiori abruzzesi
e per ulteriori informazioni, visitare i siti: http://cf.datawrapper.de/
MUEw9/1/, www.fga.it e www.eduscopio.it
Nell’ambito delle attività di Orientamento l’Istituto ha previsto c/o
la sede centrale un Open Day:
Sabato 31 Gennaio 2015
dalle ore 16,00 alle ore 19,00
per presentare l’Offerta Formativa per l’anno 2015/16 a genitori
ed alunni delle terze medie, che devono effettuare l’iscrizione
c/o una scuola media superiore.
Inoltre i docenti dell’Istituto saranno a disposizione per far visitare
a chi interverrà: laboratori di Informatica, laboratori di lingue,
laboratori di Scienze, Fisica, Chimica, aule speciali, palestra,
auditorium.
ecentemente la Fondazione Giovanni Agnelli ha
pubblicato una classifica delle scuole superiori italiane
secondo la quale l’Istituto Tecnico Commerciale “Pa-
scal-Comi” di Teramo risulta al 1° posto in Abruzzo tra gli istituti
tecnici del settore economico per la capacità di preparare i propri
diplomati agli studi universitari.
Il 27 novembre 2014 la Fondazione Giovanni Agnelli ha presenta-
to il nuovo portale Eduscopio.it al fine di aiutare gli studenti delle
scuole medie inferiori e le loro famiglie a scegliere la scuola su-
periore alla quale iscriversi. In proposito nel sito della Fondazione
http://www.fga.it/news/tutte-le-news/dettaglio/article/522.
html#.VJCefWf... si legge testualmente: “Entro poche settimane
mezzo milione di studenti e le loro famiglie in Italia dovranno
scegliere a quale scuola superiore iscriversi. Per una ragazza o
un ragazzo è la prima grande scelta della sua vita, un momen-
to importante e per molti aspetti decisivo per il suo futuro. Per
aiutarli a scegliere la scuola migliore per ciascuno di essi, la
Fondazione Giovanni Agnelli ha creato un nuovo strumento, Edu-
scopio.it. È un sito web a disposizione di tutti, gratuito e utile non
solo per gli studenti e le loro famiglie, ma anche per i docenti e i
dirigenti scolastici, che permette di confrontare le scuole italiane,
a partire dal modo in cui hanno preparato i loro diplomati per il
percorso universitario.” Le scuole superiori italiane sono state
confrontate sulla base della media dei voti conseguiti agli esami
universitari e della percentuale degli esami superati dai propri
diplomati mediante l’indice FGA (all’università è importante non
solo superare gli esami nei tempi previsti, ma anche farlo bene,
ossia con buoni voti) . Il suddetto indice mette insieme i due
aspetti, dando lo stesso peso alla media dei voti e alla percen-
tuale degli esami superati (50-50). Nella descrizione del progetto
“Eduscopio”, la Fondazione Giovanni Agnelli fa presente quanto
segue: “Molto spesso ci si rende conto del reale valore dell’istru-
zione ricevuta a scuola quando ci si trova davanti alla comples-
sità di un esame universitario o di una mansione da svolgere sul
lavoro. Non a caso, tra le missioni fondamentali dell’istruzione
secondaria, vi è quella di creare le condizioni per le quali gli
studenti possano intraprendere con successo il passo succes-
sivo nelle loro traiettorie di vita. L’idea di fondo del progetto
“Eduscopio” è proprio quella di valutare uno degli esiti successivi
della formazione secondaria - i risultati universitari degli studenti
ISTITUTO TECNICO STATALE COMMERCIALE “P A S C A L – C O M I” TERAMO
Sede CentraleVia Bafile n. 39 – Sede Viale Bovio, n° 6
Sezione Staccata Via Poliseo De Angelis, n° 30
Montorio al Vomano
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I.T.C. Pascal-ComiOPEN DAY
Redazionale
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sordi e badanti non vogliono più la rai
Democrazia, aristocrazia, oligarchia
Com’è dolce oltraggiare questo Duomo
tutto sul flop di Capodanno
musica
Padre abele Conigli
a teramo le opere d’arte le teniamo nascoste!
una password per lo scuolamat
rei d’inconsistenza
il libro del mese
Dura lex sed lex
lettera al sindaco di teramo
Cinema
Dal ‘600 a de Chirico a Warhol,il cibo nell’arte
l’oggetto del desiderio
note linguistiche
santa maria de Praedis a Castagneto
Calcio
elezioni regionali
Pallamano
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Carmine Goderecci, Maria Cristina Marroni, Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone, Leonardo Persia, Sergio Scacchia, Rossella Scandurra.
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Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. GabrieleOrgano Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004
Stampa: Gruppo Stampa AdriaticoPer la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738Teramani è distribuito in proprio
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scriveteci adimmitutto@teramani.info
106dimimmo attanasiisordi e badanti
non voglionopiù la rai
essuno vuole fare a meno della Rai: i
politici perché possono continuare a
perpetrare la loro malata influenza su
una parte sempre meno cospicua dell’universo
massmediologico del XXI secolo; i telespettatori
ormai drogati e rincitrulliti da fiction, Uno matti-
na e partite di calcio inutili di Coppa Italia ormai
per pochi intimi; gli artisti (o presunti tali) che
da mamma Rai anche in tempi di crisi riescono
ancora a mungerla; i catatonici che davanti ad
uno schermo inespressivo conciliano il loro stato
di sonno e ripetizioni inutili, come Rambo XXXII
o Rocky XXI. Non vogliono fare a meno della Rai
tv nemmeno quelle starlette di dubbio gusto che
solo in quegli studi riescono ancora a meraviglia-
re il popolino con una sbadata perdita di tette
in diretta tv: Veronica Maya ci ha provato ma le
ultime notizie la danno in partenza in Albania, ad
Agon Tv, lì la sorpresa sarà ancora più genuina e
spontanea e tutti capiranno meglio il suo talento.
Non lo vuole il premier
Renzi che non vede l’ora di
far confluire il pagamento
del canone tv sulla bolletta
dell’Enel. Scacciano l’idea
come si fa con un appesta-
to gli inserzionisti pubblicitari che all’idea di una
tv davvero pubblica, come capita in Inghilterra,
dove non c’è pubblicità, o in Germania e Francia,
che è limitata a venti minuti al giorno fino alle
otto di sera, non saprebbero più dove attraccare
i loro 12 metri. Forse l’unica categoria che sa-
rebbe davvero felice della scomparsa di mamma
Rai, assieme chiaramente a Berlusconi che ci
prova da decadi, sono proprio i sordi, o meglio
gli abbonati con disabilità uditiva. Lamentano
che nei tanti canali digitali a disposizione non si
garantiscano spazi per la sottotitolazione che
non sono attivi nemmeno nei servizi on line.
E poi ci sono le badanti. Sì, le badanti, avete
capito bene. La Federconsumatori di Udine ha
infatti segnalato il caso di lettere che sono state
inviate da Viale Mazzini proprio a loro perché pa-
gassero il canone Tv. “È acclarato che esiste già
un cittadino che paga il canone e cioè la persona
assistita - spiega Vanni Ferrari - e chiaramente di
quel televisore usufruisce la stessa badante. La
Rai sostiene che l’imposta è legata al possesso
e che lei non fa parte di quel nucleo familiare.
Questa è una persecuzione burocratica”. Infine
il cavallo. Discorso a parte merita la scultura
dell’artista siciliano Francesco Messina. È lì dal
1966 e ne ha viste tante in
quel palazzo. “Crediamo
soltanto a ciò che vediamo.
Perciò, da quando c’è la te-
levisione, crediamo a tutto”.
Firmato: il cavallo.
N
4 Politica
Dalle speranze traditealla nuova identità europea di una nazione
n.106
di
dimmitutto@teramani.infosilvioPaolini merlo
Democrazia,aristocrazia,oligarchia
un gioco al massacro permanente, a temere un calo di credibilità
e per conseguenza di audience, inducendo a ergere nuovi invisibili
muri tra le persone e le istituzioni.
Che l’Italia oggi sia in Europa è un bene, ma questo in fondo va
taciuto. Che abbia molta più credibilità internazionale è un bene,
ma ci si continua a lamentare che oggi paghiamo più tasse di ieri.
Ma delle due l’una. Perché dinanzi alla povertà assoluta di enormi
masse di gente del terzo e quarto mondo, a fenomeni come le
ricorrenti recrudescenze degli integralismi islamici si dovrebbe dire
a chiare lettere che a prevalere in futuro dovranno essere sempre
più i valori della ragione kantiana, delle libertà universali dell’uomo
introdotte dalla Francia illuminista, valori laici, senza credo religio-
so ma capaci di conciliare tutto, anche ciò che conciliabile non è.
E cosa distanzi la fede di un musulmano da quella di un cristiano,
e questa da quella di un buddhista, che forse molti non ricordano
essere una religione atea, è tale da poter facilmente alimentare da
una parte quanto l’altra forme di odio e di intolleranza. Chiaro allo-
ra che in una società priva di questi valori la democrazia non la si
possa esercitare discutendo, dialogando, dissentendo, contropro-
ponendo, ma pervenendo a compromessi temporanei e inconclu-
denti, oppure distruggendo, condannando senza appello, lapidan-
do, crocifiggendo, negando tutto il negabile. E se il male è ovunque,
ognuno può farsi portatore di verità. Il che naturalmente finisce per
giustificare tutto. Perché, ed è appunto questa la contraddizione di
fondo, capita che l’italiano sia un popo-
lo che sogna la rivoluzione, la invoca,
talvolta la professa, pur essendo per
sua natura moderato e conservatore.
Senza cioè sapere nulla né di ciò che
essa è né di ciò che essa non è. Ed essa
naturalmente, e puntualmente, non
arriva.
Dunque, da queste e dalle passate con-
siderazioni, un aspetto mi pare essere
chiaro: democrazia non è il contrario
di rivoluzione, ma non è neppure il
contrario di aristocrazia. È il contrario
di oligarchia, che Aristotele indicava
come una forma in sé perfettamente
democratica, quanto l’aristocrazia, ma
in cui chi viene scelto dal popolo non
agisce per tutelare il popolo ma per
garantire se stesso, in violazione delle
leggi. Democrazia è notoriamente, per
sua stessa definizione, un potere che
si oppone all’accentramento. Ma è
anche un sistema basato sulle deleghe
e sulle rappresentanze. Se chi delega
vuole che l’altro faccia l’interesse proprio e non quello dei più, è
certo che il delegato difficilmente seguirà le regole. Ciò tuttavia
comporta che un leaderismo democratico non è un controsenso,
e che non ha proprio nulla a che vedere con l’autoritarismo. Se per
«leader» si intende infatti una figura altamente rappresentativa
per il perseguimento di un progetto comune, essa vale sempre,
per quanto forte sia, in funzione antitotalitaria e partecipativa.
orno ancora una volta sul concetto di democrazia. Lo faccio
conscio come sono che in questo meraviglioso concetto, e
nelle sue concrete possibilità di attuazione in un paese come
il nostro, con la storia che ha il nostro, considerata almeno
dalle guerre di liberazione all’attuale fine delle tradizionali sovranità
nazionali, risieda la prima radice per comprendere il senso del no-
stro futuro e ogni possibilità di riscatto.
Pare certo che se il nostro paese
avesse compreso cosa davvero sia la
democrazia, e quale sia il prezzo che
ognuno di noi deve essere pronto a
pagare per averla, forse non avrebbe
subìto tutto quanto gli è accaduto nella
sua martoriata storia, e ancora in quella
recente con l’ignominia del commissa-
riamento di stato da parte dell’Europa,
avvenuto di fatto con il governo Monti.
E per venire a quello attuale, di gran
lunga il migliore che ci potessimo
augurare, e il migliore perché l’unico
in grado di portarci sulla giusta strada,
ci si è chiesti spesso se sia vero o
meno che il premier Renzi sia uomo
di sinistra piuttosto che di destra. Che
egli stia contribuendo a un generale
ripensamento di entrambe le parti
politiche mi pare indubbio. Ma questo
non è forse un bene? Cosa sarà mai la
sinistra italiana futura senza una destra
degna di questo nome? Lamentarsi di
tutto quanto ci capiti è un nostro vizio antico perché, spiace dirlo,
in tante occasioni l’ipocrisia offre enormi benefici. Si può passare
sopra a tutto, ma guai a chi parla bene di un capo di governo, guai
a mostrare fiducia, anche solo a delegarla per qualche tempo. Non
sta bene. Manifestare non dico ottimismo ma del sano realismo
rende sospetti, almeno quanto disincentiva la stampa e i media,
ormai perversamente orientati a fare della libertà di espressione
T
5n.106
smo, la sterilità dei veti incrociati, in una
parola l’immobilismo. Si è più volte stigma-
tizzata la situazione della società italiana
come una forma di «appiattimento verso
il basso». Dimenticando spesso, temo, che
questo appiattimento è nato da un’esigen-
za di allargamento della partecipazione
popolare alla cosa pubblica. Questa critica
tradisce in sé un’esigenza di combinare
la democrazia con l’aristocrazia, o meglio
di forgiare nel nostro paese una demo-
crazia dei pochi nell’interesse di tutti. Ma
cos’è l’aristocrazia? In cosa si differenzia
dalla democrazia? Come classe sociale
essa fu teorizzata e introdotta dalla civiltà
greca. Secondo il pensiero aristotelico
quella aristocratica è una delle tre forme
«sane» di governo, assieme a monarchia
e politeia, mentre l’oligarchia ne è una
degenerazione. Essa
stabilisce che a gover-
nare debbano sempre
essere i migliori, un
principio difficilmente
contestabile. E questi
migliori sono i migliori
senz’altro, non tanto
i migliori per censo
ma coloro che sanno
di più, che hanno
maggiori capacità da
mettere a disposizione
degli altri. In Europa,
di fatto, questa forma
di governo è stata per
lo più rappresentata
dalle monarchie. Essa
inoltre sancisce che
non tutti possono
praticare spontaneamente la forma di
governo migliore, ovvero dà per scontata
la natura corruttibile della maggioranza
degli esseri umani. Da qui l’impossibilità di
praticare la democrazia come pura demo-
crazia. Non è possibile trattare da uguali
cose che uguali non sono, o per positivo
ciò che non lo è: ma questo è un principio
assai più delicato e certamente opinabile,
relativo per certi versi, tautologico per
altri. Resta il principio delle regole che,
quelle sì, devono valere allo stesso modo
per tutti. Da qui l’esigenza che la demo-
crazia torni a farsi “aristocratica” senza
decadere a elitarismo.
Allora vediamo meglio: la democrazia im-
plica tutto, anche il suo contrario. Anarchia
come aristocrazia, conservazione come
rivoluzione possono essere «democrati-
garanzia persino di quanto di più distante
possa esserci dalla democrazia.
Potrei ripartire dal mio ultimo precedente
assunto, per cui ogni sistema democratico
è intrinsecamente emendabile mentre tut-
ti gli altri lo sono meno o, come nel caso
delle rivoluzioni, non lo sono affatto. Se è
vero questo assunto, alla luce di quanto
avvenuto nell’era repubblicana del nostro
paese, in Italia non vi è mai stata alcuna
democrazia, o, se vi è stata, essa non ha
mai saputo autoemendarsi e, al contrario,
ha favorito il prolificare di corruzione e
spreco. La difficoltà attuali perciò, molto
prima che finanziarie o macroeconomi-
che, sono culturali. Noi dobbiamo oggi
essere europei quando non siamo ancora
riusciti a essere italiani. Perché un conto
è amministrare, un altro tutto diverso è
gestire. Ad amministrare dovrebbe essere
la politica, a gestire dovremmo essere noi
cittadini. E invece la politica italiana ha
finito col gestire (la finanza, il mercato, le
aziende, l’istruzione e la ricerca, concorsi
e appalti) senza amministrare nulla. E
questo perché il sistema delle deleghe
ha avuto nel nostro paese un’evoluzio-
ne perversa, del tipo «ti do mano libera,
purché tu mi consenta di fare la stessa
cosa». L’unica regola è stata quella di non
averne. Ma non è precisamente così che
funziona una società democratica, ovvero
libera e aperta.
La democrazia si oppone dunque anzi-
tutto all’oligarchia, ovvero a una visione
particolaristica del potere e della cultura,
che blocca il cambiamento e garantisce in
varia misura lo status quo ante, il favoriti-
Che questo alla sinistra vecchio stampo
sembri una blasfemia, e che per questo
abbia continuato ad autoflagellarsi come
in preda a un istinto espiatorio, è cosa
che la dice lunga su quale sia il grado di
arretratezza culturale del nostro sociali-
smo. Se la democrazia intesa come uso
antiautoritario e antidinastico del potere
è un baluardo per i diritti di ognuno di
potersi esprimere, è al tempo stesso,
e non può che essere, un principio di
buonsenso e di equilibrio. Tanto l’equilibrio
stabilito dai rapporti di forza e di controllo
tra maggioranza e minoranze, quanto i
diritti di una nazione e di una civiltà, vanno
anteposti ai diritti personali, all’individua-
lismo. Dinanzi a una democrazia di questo
tipo, il diritto personale resosi privo di
realismo decade a comune egoismo, a pri-
vilegio. Certo, come da
sempre si è detto, la
democrazia andrebbe
forse indicata come
la meno difettosa più
che come la miglior
forma di governo in
assoluto. Ma cosa ha
a che vedere la vita
reale degli uomini con
la perfezione dell’as-
soluto? Al contrario,
proprio la democrazia
è in sé la prova che
nessuna età dell’oro
è stata e sarà mai
possibile. È la stranota
faccenda dell’intrin-
seca debolezza della
democrazia rispetto
a ogni altra forma di governo. Questa
debolezza consiste nella sua ambiguità
per così dire costitutiva, che comporta,
come abbiamo visto, un basare ogni cosa
e ogni decisione sul dialogo e dunque
sulla convivenza tra esigenze diverse e
potenzialmente in conflitto. Pur nascen-
do per contrastarlo, ogni democrazia
perciò presuppone il conflitto. Tra le più
celebri torsioni e illecite appropriazioni
si potrebbe citare Lenin, il quale da fiero
antidemocratico aveva per qualche tempo
parlato di una «dittatura democratica del
proletariato». Questo perché la democra-
zia è per sua stessa natura un principio
inclusivo, senza confini, orizzontale e laico,
perciò stesso assai più vasto di tutti gli
altri. Condizione di ogni valore al punto
da poter risultare paradossalmente come
6n.106
segue da pag. 5
della parte e non del tutto. Alimenta nuo-
ve diseguaglianze e nuove burocrazie. Da
questo discende anche il rispetto per le
decisioni della maggioranza al momen-
to di far passare provvedimenti e leggi.
Rispetto che non può essere garantito se
qualcuno, inclusi tanti benpensanti della
sinistra più dura e pura, continueranno a
ragionare come se il paese fosse fermo
ancora al secondo dopoguerra, all’epoca
della guerra fredda e delle stragi, come
se il paese non potesse che essere quello
che è stato quando questi signori si sono
intellettualmente formati e politicamente
collocati.
Se l’Italia non è cambiata, se le sue batta-
glie per la libertà non le ha completate, è
precisamente perché ha funzionato poco,
perché ha deciso poco. E se una demo-
crazia non viene fatta funzionare vuol dire
che c’è senza esserci. Perciò amare o
violentare il proprio paese fa lo stesso, se
prima di esso non si ama la sua democra-
zia. Ma come si è visto la democrazia non
è un diritto, è un dovere. Non è un dato di
fatto, è un problema che non si finirà mai
di risolvere. La democrazia non si alimenta
da sé, si alimentano invece le disegua-
glianze, le corporazioni, i nepotismi, i
clientelismi, le impunità mascherate da
garantismo. La democrazia va conquistata.
E conquistarla non è facile, occorre molto
lavoro, molta fatica. Occorre, soprattutto,
una vocazione interiore alla vita civile che
l’italiano medio, più incline a guardare i
problemi del mondo a partire dai propri,
non ha ancora conquistato.
valutati come diritti universali. Ma se
democrazia è equilibrio, questo equilibrio
non può essere indice di stagnazione. Al
contrario essa è soprattutto cambiamen-
to, e garanzia di cambiamento. Una demo-
crazia che non garantisce cambiamento, e
non stimola la gente a un atteggiamento
critico, a rivedere proprie convinzioni più
o meno di parte, non è vera democrazia.
È invece oligarchia, potere di caste o di
logge, elitarismo delle minoranze. In questi
casi, per quanto ci si possa sforzare, chi
ragiona in termini di tutela delle minoran-
ze più che di stabilità delle maggioranze
non fa democrazia. Fa, obliquamente,
elitarismo. Difende interessi corporativi,
che» pur non essendo, di per se stesse,
democrazia. Ma allora siamo daccapo:
solo un sistema democratico tutela ogni
possibile esigenza del vivere collettivo.
Dunque il percorso delle riforme non può
venire interrotto, deve solo essere guidato
nel miglior modo possibile. Se il senso
di questa sfida viene visto, per via delle
nostre antiche stimmate storiche, come
male assoluto, come ritorno all’immagine
di un popolo incapace di disfarsi del pro-
prio padre padrone, allora questo significa
non capire il senso della realtà. E la realtà
è che in natura nulla cambia mai per salto,
e tutto si rinnova spontaneamente secon-
do cicli periodici.
A ridirlo in sintesi: le democrazie sono
il potere dei più nell’interesse dei molti,
la aristocrazie sono il potere dei migliori
nell’interesse dei molti, le rivoluzioni sono
un contropotere nell’interesse di alcuni
a discapito di tutti gli altri, l’utopia un
governo che curi l’interesse di tutti senza
scontentare nessuno.
Da ciò si vede che realizzare compiuta-
mente una democrazia è prova della più
grande maturità e del più grande impegno.
Essa non nasce da sé, bisogna che nasca
nelle coscienze. Gandhi affermava che per
cambiare il mondo bisogna essere quel
cambiamento. E infatti, non a caso, una
democrazia comporta lievitazione delle
idee, raggiungimento delle soluzioni più
giuste, la conquista dei diritti di ognuno
on è saggio trovare dei simboli in tutto ciò che l’uomo vede
ma quello del nostro Duomo cittadino travalica ogni assen-
natezza per noi che lo cavalchiamo giorno dopo giorno. È il
nostro bianco feticcio, la nostra maglia, il nostro gonfalone,
quello da esibire nelle battaglie morali per l’Abruzzo e oltre Tronto e
che rivendichiamo senza tentennamenti e senza schierarci in fazioni.
A volte si può pensare che per sontuosità sia anche troppo per la
nostra cittadina, soprattutto quando ci avvitiamo in sterili beghe da
cortile, da serve, che la religiosità del campanile pare pure troppo,
un regalo che non meritiamo.
Ma come tutte le cose che si
amano, non si vedono. Non si fa
caso più di tanto alle brutture
cui giornalmente è sottoposto se
non in quei casi dove viene giù
un pezzo, come quando un tir
fece marcia indietro, chiaramente
senza sonar, portandosi via un
pezzo di storia. Ma le vicende
della cattedrale sorta nel 1171
sono costellate di eventi affini,
di violenze propinate, di piccoli e
grandi mali inflitti con sadismo a
quella che Mario Pomilio chiama
“una delle cose più singolari, più
composite e insieme più schiette,
che possegga l’arte italiana”. Dagli enormi chiodi piantati nelle stori-
che mura per fissarci un tendone durante una manifestazione (tande
‘nghe tutte li busc che ci sta, une de ccchiù, une de mane!!!), alle
cabine Enel addossate con tanto di fili penzolanti, alle pecore, capre
e vitellini legati nei pressi della scalinata posteriore durante una
festa di prodotti tipici locali di qualche anno fa. Va bene che il nostro
duomo ha visto nel passato anche corride: nel 1530 gli Spagnoli ne
organizzarono una che i Teramani non apprezzarono, però continuare
a vessare così un monumento storico è da gens che ama davvero chi
attacca l’asino…dove vuole il padrone. Non fanno più notizie i duelli
notturni tra bottiglie di vino e lattine di birra che trovano spazio sulle
scalinate, dove fino al mattino, rimangono in ordine sparso. O anche
le bestemmie e parolacce inserite in una canzone natalizia di una
band inglese che qualche anno fa dagli altoparlanti la investì in pieno.
Ci fu pure una manifestazione di Miss Italia che fece tanto scalpore
perché la passerella allora parve entrare direttamente sul sagrato:
kermesse che fece dire al nostro primo cittadino: “Basta d’ora in poi
creeremo una zona di rispetto attorno al Duomo”. Peccato che dopo
qualche giro di lancetta apparvero due bagni chimici orribilmente
prossimi alla nostra cattedrale. Sì, uriniamo tutti, pisciamo sul mo-
numento storico più rilevante della nostra storica città, svuotiamoci
come hanno fatto qualche giorno fa i nonnetti senza più il diurno,
nonnetti che hanno urinato sulle pietre millenarie. A renderlo noto è
stato il consigliere Alfonso Di Sabatino Martina che per l’occasione,
durante i lavori in aula, invoca l’apertura del diurno di Piazza Martiri
“sistematicamente chiuso quando ci sono le manifestazioni”. “I vec-
chietti non hanno, loro malgrado, il pavimento pelvico pronto come
l’abbiamo noi e quindi non riescono a trattenere la propria urina”. La
risposta del sindaco Brucchi è stata pronta ed è partita da una sua
mezza ammissione di avere “qualche problemino di ipertrofia pro-
statica e quindi magari non ho più quella capacità che avevo qualche
anno fa”. E pertanto invita, come fa lui, a cercare “il primo bar dispo-
nibile, invece di urinare sui muri del duomo”. Anche don Aldino, il
parroco dell’icona teramana, ha dovuto più volte tirare le orecchie ai
nostri amministratori, che avevano esagerato nella folle riproduzione
delle manifestazioni senza alcun senso e senza alcun valore aggiunto.
Ma sulle due scalinate del duomo c’è stato un po’ di tutto: la nostra
vita che scorre. La Juve che vince lo scudetto, la sciarpata del Teramo
calcio, la premiazione mondiale
della Coppa Interamnia, i violini
del Liceo musicale, lo sciopero
della Fiom, i ragazzini di qualche
iniziativa, tutta la teramanità
che vuole apparire, esserci, nello
schermo medieval-mediatico. E
dabbasso poi, uno sguardo, un
cuore che batte, uno che smette
di battere, un clochard, Bruno,
Vincenzo, la solitudine di Ferra-
gosto, la neve, l’olmo, Biancone, il
brusio della fontanella, gli anziani
sulle panchine, corride. Ma anche
enormi gazebo, trattori degli
agricoltori, mucche screziate, e
recentemente un alto tir addos-
sato pericolosamente in Via San Berardo, come del resto diverse altre
auto che non conoscono il rispetto per la nostra anima spirituale. Da
ultima una manifestazione dell’Uisp con tanto di striscioni “appic-
cicati” come potete vedere (per l’amor del cielo) a eguale distanza
dalla porta cieca del nostro Duomo. Il vescovo periodicamente chiede
maggior “rispetto per le due scalinate, quella che dà su Piazza Martiri
e l’altra su Piazza Orsini” la sera e la notte soprattutto meta di ragazzi
che prendono possesso del monumento religioso. Monsignor Seccia
difende il suo arredo religioso a spada tratta e lo rivendica come
spazio dedito alla spiritualità teramana.
7n.106
Accade a Teramo
Tutte le brutture che la cattedrale ha dovuto subire: chiodi piantati, tir, parcheggi,pecore, Miss Italia
www.mauriziodibiagio.blogspot.commaurizioDi biagio
Com’è dolceoltraggiarequesto duomo
N
di
8tre strike, tre big come Olivieri, Belli e Morselli, si rischiava di
fare flop: “Chiaramente – ha dichiarato in aula l’ex assessore -
ci voleva invece un nome di attrazione per far sì che la gente
potesse venire in piazza anche da fuori Teramo”. Tanto che era
venuto fuori il nome di Filippo Graziani che sapeva incarnare la
pancia di fine anno del Teramano medio e sarebbe venuto per
pochi sghei di cachet. “Ma ora è troppo tardi” si disse a fine
dicembre dal Comune.
Capitolo due: azz…che freddo!
Forse mai un’avversità meteo è stata così attesa, forse più del-
la stessa glaciale Rei, che tanta moscitudine invece l’aveva ri-
versata sui pochi ed eroici spettatori (trecento per la questura,
tremila secondo una foto che ritraeva una piazza piena come
ai tempi di Almirante e Bertinotti). In altre città si sono rinviati i
concerti di fine anno, qui invece e molto ostinatamente si sono
voluti compiere i destini del flop. Il manager di Marina Rei rac-
conta che la richiesta di spostare l’evento non è mai pervenuta
a nessuno dell’organizzazione dal Comune di Teramo, mal-
grado il ghiaccio polare e i pinguini a bordo pista. Si è cercato
di difendere la scelta della giunta a denti stretti dapprima
paventando un’insolita e stramba questione di sicurezza, con i
capodannari che una volta dentro ristoranti e hotel avrebbero
potuto seguire la Rei in piazza in totale messa in sicurezza,
aggiungendo pure che gli hotel erano pieni di turisti (consueta
bufala) che aspettavano trafelati l’evento. Chiaramente l’ardito
pallone è stato subito sbugiardato da un giornalista che facen-
dosi il giro telefonico dei pochissimi hotel ha annoverato solo
qualche coppia di anziani che per sbaglio erano tra il Tordino e
il Vezzola. Due volevano andare a Terni, l’altra a Termoli, ma si
sono ritrovati nella vecchia Petrut.
Capitolo tre: tra palco, service e gelo.
Perché, qualcuno si chiede, noleggiare una struttura sovradi-
mensionata a Campobasso solo per ospitare pochi fari, strut-
tura forse tecnicamente non proprio ineccepibile? Lievitazione
dei costi per via dei giorni in più per il pre-montaggio? Sarebbe
potuto bastare un palco più contenuto, come ha fatto Pescara
con i Tiromancino che, proporzionalmente al loro palco, hanno
chiesto anche un cachet più basso della Rei. E poi non è così
normale spendere di più per palco, copertura e service, che
per la stessa artista. È come dire che la carta della pizza costa
due euro. Si sono fatti i conti: con un montaggio di 8 mila euro
si poteva fare un evento da 40-50 mila euro, l’incidenza del
service in genere è di un quinto o di un sesto del costo dello
spettacolo, dicono i ben informati.
Capitolo quattro: allora quant’è costato Bastià?
A molti è parso esagerato pagare 13 mila euro Marina Rei sen-
za service al seguito. Ma per molto tempo è rimasto in dubbio
il suo reale cachet: ma quanto è costata Marina Rei? è stato
il tormentone in città su cui tutti si sono scontrati: consiglieri
comunali, semplici cittadini con l’uzzolo dei conti e citoyen che
vogliono solo vederci chiaro. Le opposizioni hanno lamentato
l’eccessiva spesa per un evento che è stato chiaramente fal-
videntemente a Teramo la carica di assessore alla
cultura, sport e spettacolo, scotta come quella dell’In-
terno del governo italiano, rimessa storica di vecchie e
nuove porcherie, da Piazza Fontana in poi. Il testimone
lasciato dal buon Guido Campana ha portato con sé la miccia
di un detonatore che nessuno pensava esplodesse nelle mani
di Francesca Lucantoni, mais oui, je suis Charlie Lucantonì,
lasciata col cerino in mano a bruciarsi dita, braccio, corpo e
mente per un capodanno flop annunciato, che rimarrà nella
storia della teramanità per quanti gialli e quesiti ha scatenato
in sole poche ore, un trionfo di punti interrogativi, di depi-
staggi, foto contraddittorie, sponsor senza soldi, di vaffanculo
indirizzarti a giornalisti, di proposte di diffide, di interrogazioni
(al momento non parlamentari), di altri quesiti insoluti. Un
florilegio di interventi in blog, in siti di informazioni, una ridda
di servizi televisivi, di ospitate in studio e di litri di inchiostro su
magazine, quotidiani e chi più ne ha più ne metta. Mai Teramo,
dai tempi dei Mazzaclocchi e degli Spennati, s’era accapigliata
su un argomento che può apparire futile e molto transitorio: il
Capodanno, del resto, dura il battito delle ali di una farfalla, è
una terra di mezzo, una sottile membrana, un niente, ma che
in città ha trovato la cassa di risonanza della politica teramana,
dei suoi epigoni, dei suoi detrattori e degli amanti della terama-
nità stufi ormai dell’allora attacca Bastià o dell’attacca l’asino
dove vuole il padrone.
Capitolo uno: perché Marina Rei?
Ad onor del vero, si sentiva lontano un miglio la puzza del flop,
non che Marina Rei non fosse una valida artista, ma si sapeva
che prediligeva altri tipi di atmosfere, più compassate; ad
esempio negli ultimi periodi faceva spesso capolino nei club e
la piazza si sa palpita come un cuore popolano, vuole sentire
l’afflato dell’ultimo dell’anno, il ritmo del trenino meu amigo
Charly, e non una languida Primavera, anzi una moscia Prima-
vera. Senza contare che pochissimi mesi fa si era già esibita
a Teramo, dicono per molto ma molto meno, chiamata da un
“Aspettando il 1° maggio” che in quell’occasione fu rimandato
per un minacciato maltempo. Nell’interrogazione al Comune
l’ex Guido Campana aveva messo in guardia tutti perché dopo
E
n.106
tutto sul flopdi Capodanno
L’evento al vento
di
www.mauriziodibiagio.blogspot.commaurizioDi biagio
Genesi e svolgimento del momentopiù chiacchierato degli ultimi anni
rapporti con il Comune. Mi sapete dire
quali? 1)Tercas - Popolare di Bari 2)
Fondazione Tercas 3) Bim 4) Baltour 5)
Dmp 6) Sanic srl 7) Iemme Costruzioni
8) Mastrilli 9) Falone Costruzioni 10)
Amadori 11) Di Sante 12) Savini Costru-
zioni 13) Mastergrafica 14) Sapori Veri
15) Sirio 16) Neo Comunicazione 17) La
Cantina di Porta Romana 18) Viven-
da. Vi do un aiuto. Baltour gestisce il
trasporto pubblico. Falone Costruzioni
ha ultimato un parco pubblico di fronte
al Tribunale. Gli altri?” si chiede Ber-
nardini. Il sindaco Brucchi a fine anno
aveva dichiarato che “le poche risorse
che utilizzeremo per il Capodanno
sono tutte risorse che provengono da
sponsorizzazioni, non c’è
una lira di soldi pubblici”,
anche se poi quelli di
Fondazione Tercas e Bim,
sono enti pubblici, quindi
soldi nostri. E poi sono
curiosi i 300,00 euro
devoluti da chi mesi fa
fu destinatario di appalti
consistenti da parte della
pubblica amministra-
zione.
Capitolo sette: la con-
clusione uno
Il prossimo anno, carbo-
ne ai service e chiama-
te qualche agenzia di
spettacoli e comprate un
artista. I Nomadi costano
30-35 mila euro. Vogliono
palco, corrente e Siae
da pagare. Al resto ci
pensano loro. Ma a voi di questa par-
rocchia i Nomadi non piacciono! Allora
chiamate con 20-25 mila euro Umberto
Tozzi che la piazza ve la riempie. Patty
Pravo costava 15.000 compreso l’utile
dell’Agenzia. Non vi piace neanche
lei? Faciat na cos… archiamat william
e lu fenomen! Firmato: Titolare di una
società di service.
Capitolo otto: la conclusione due
Una serata di capodanno non può
essere il metro dell’operato di un as-
sessore. Firmato: Francesca Lucantoni
Capitolo nove: la conclusione tre
Allora assessore attacca Bastià. Firma-
to: Vittorio, sempre meno fenomeno.
9forse l’avrà mandato su tutte le furie.
Sarà stato pure che il suo documento in
cui si riepilogavano i costi della serata
è stato dato in pasto alla stampa, un A4
dove ad esempio l’uomo di Magnanella
scriveva che Marina Rei ha incassato 16
mila euro, iva compresa al 22%, 1.830
euro sono andati al gruppo musicale
Aura, 9.600 euro spesi per la struttura e
copertura palco, che qualcuno definisce
fin troppo obesa e grande, 8.000 euro
invece vanno al personale tecnico, luci,
audio, fonici, ecc. Totale costi 37.800.
All’autore della stesura della specifica
gli facciamo rispondere dall’ex asses-
sore Guido Campana: “Mi sono divertito
anche a fare una specie di contabilità
economica – ha riferito in aula alla fine
di dicembre scorso -; noi con circa
10.000-11.000 euro riusciamo a fare un
capodanno degno a Teramo, compreso
di service, copertura di led-wall e di
comunicazioni e di gruppi teramani,
compreso appunto l’artista”. Campa-
na!? Ma rivaffa…giunge uno spiffero da
Magnanella.
Capitolo sei: lo sponsorao della
trasmissao
Fabio Berardini, consigliere comunale
del M5S, fa una proposta interessante
e irriverente. “Oggi – dice - facciamo
un gioco. Scrivo qui gli sponsor di
Capodanno menzionati dall’Assesso-
re Lucantoni. Molti di questi hanno
limentare: circa 40.000 euro. Il Comu-
ne, in difesa, ha replicato che il costo
complessivo è stato di 37.800 euro e
non ha pesato sulle casse comunali,
ma interamente coperto dagli sponsor.
È stato anche dichiarato che, all’in-
terno di questa spesa, il cachet della
cantante è stato di 16.000 euro, mentre
il resto è servito per i costi del concerto
(palco, impianto, staff, etc.). Arriva però
puntuale la smentita di un’indignata Rei
che vuole pure farsi perdonare il mosci
lanciato all’indirizzo dei pochi infred-
doliti spettatori e minaccia querele alla
Lucantoni perché il suo compenso, dice,
è stato inferiore. Ma non specifica.
Capitolo cinque: il pre-
ventivo della A&W con
vaffa finale e lo spiffero
di Magnanella
Nel blog I due punti Ma-
riobici scrive un post: “Se
il Comune, l’assessore,
il sindaco avessero for-
nito sin da subito (prima
ancora che si facesse il
concerto) un resoconto
chiaro e dettagliato sulla
provenienza dei soldi,
pervenuto al Comune
il 5 gennaio (sponsor
pubblici e privati, entità
delle singole cifre offerte
da ogni singolo sponsor)
ed un resoconto chiaro,
univoco e dettagliato
della destinazione di tali
cifre, probabilmente oggi
non staremmo ancora a
parlare di questo, né un imprenditore
locale manderebbe a “fanculo un gior-
nalista né l’agente della Rei continue-
rebbe ancora ad annunciare iniziative
legali contro l’assessore Lucantoni”.
Chi manda all’altro paese il giornalista
Antonio D’Amore di Vera Tv Abruzzo
è il titolare di A&W srl, servizi per lo
spettacolo (pare iscritto alla Camera di
Commercio come società di noleggio
di attrezzature e non come agente di
spettacolo e quindi ancora non avrebbe
potuto fornire il resoconto dei costi
dell’artista), sede sociale a Magnanella,
da dove proviene la famosa aria fredda
che s’incanala per il Corso. E sarà stato
proprio uno spiffero gelato, il suo coin-
volgimento al Capodanno’s Story, che
n.106
10 Write about... the records!
2005 - DVD + audio CD - yep roc/red eye (import).
di
dimmitutto@teramani.infomaurizioCarbone
the go-betweens“that striped sunlight sound”
Banquet, Sire…, negli anni dal 1981 al 1987. Data importante
quest’ultima (ndr), vede la band esibirsi al Rock Roads Festi-
val di…Giulianova! Lungomare nord, Parco ex Ospizio Marino,
serata memorabile con collegamenti in diretta su Radio Rai
(Pop Off), concerto bellissimo, indimenticabile per chi c’era.
Successivamente il gruppo vive un periodo interlocutorio, i due
leader intraprendono le rispettive carriere soliste, con alterne
fortune e albums non certo memorabili, nel 1996 si riformano
con Adele Pickvance al basso e Glenn Thompson alla batte-
ria, riprendendo tour, concerti e dischi (The Friends of Rachel
Worth, Bright Yellow Bright Orange). Nel 2006, mentre Grant
è in casa, a Brisbane, un’infarto lo stronca inesorabilmente, a
soli 48 anni! Così, Robert, colpito dalla tragedia, decide di porre
fine all’attività della band. Questa lunga introduzione si è resa
necessaria per suggerire l’oggetto della recensione, se non
volete (o potete) acquistare le opere più significative, 18 titoli
fra studio-live-anthology, questa edizione fa per voi, a costo
veramente ‘stracciato’ (€ 6,51 + 2,90 di spese sp. – RoundMedia
UK by Amazon), potrete portare a casa la splendida edizione in
oggetto: non solo musica per le orecchie e la mente, anche per
gli occhi, il DVD + CD è fantastico, il Tivoli Theater la location,
8/6/2005 la data, oltre 2 ore di grande creatività, 16 brani (DVD)
tirati a lucido, incalzanti, secchi, nervosi, il sound dei Go-Betwe-
ens è pratico, scarno, diretto, essenziale, privo di orpelli, effetti,
sovraincisioni e diavolerie da sound-engineering. Ritmi e me-
lodie con quel quid di sana ‘rozzezza’ rockistica che contaddi-
stingue i gruppi della cosiddetta aussie-scene, formazioni come
Hoodoo Gurus, Harem Scarem,
Celibate Rifles, Triffids, Saints,
Paul Kelly & the Messengers…
Il CD audio replica esattamente
i brani del DVD ma, niente dop-
pioni, versioni alternate e ine-
dite, l’ascolto, una delizia, brani
2/3 minuti, secchi, decisi, stop
& go! Gioiellini elettro-acustici,
le 2 chitarre, la simpatica Adele
al basso e, l’essenziale Glenn ai
tamburi. La ‘scaletta’ del live è
formidabile, i maggiori succes-
si ci sono tutti (e sono tanti):
Black Mule (solo Grant), Clouds
(Robert & Grant solo), Boundary
Rider (corale), Born To Family
(tesa e sottile, in miracoloso
equilibrio, sincopata, bastano
le chitarre, basso e batteria,
niente più), Streets of Your Town
(bello percorrere le strade della
tua città), un’ovazione accoglie
questa song, nel suo incedere
metronomico e regale, le chitarre s’intrecciano stupendamen-
te come le voci dei due e il bv degli altri. La scaletta si fa più
nervosa e tesa, quasi alla Talking Heads (quelli migliori), sound
secco, acuminato, tagliente, con Finding You l’intro acustico è
rimo ‘volo’ discografico del 2015, è del 2005! Ennesimo
flashback rockistico, proveniente da uno dei luoghi ge-
ografici più distanti dallo stivale: l’Australia! BRISBANE,
1979, due studenti d’Arte s’incontrano e condividono
l’esperienza musicale e di vita: Robert Forster, alto e allam-
panato, Grant McLennan, piccolo, timido e gentile, entrambi
chitarristi, acustici/elettrici e…
bravissimi! Il nome del gruppo
proviene dal titolo del romanzo
dello scrittore L.P. Hartley, 1953,
inizialmente reclutano diversi
drummers, un bassista e, un 3°
chitarrista, Peter Milton Walsh il
quale, lascerà per formare The
Apartments: formazione da riva-
lutare, titolare di un pregevole
album d’esordio The Evening
Visits, misterioso, oscuro e
inquietante. Dopo alcuni 7” (45
giri), il duo con armi e bagagli
si trasferisce in Gran Bretagna,
Robert a Glasgow in Scozia,
Grant addirittura vola fino a New
York, arricchendo le rispettive
coordinate musicali. Riunitisi a
Londra, iniziano a registrare i
primi episodi discografici: “Send
Me A Lullaby” con Lindy Mor-
rison dietro i tamburi, “Before
Hollywood”, “Spring Hill Fair”,
“Liberty Belle and the Black Diamond Express” e “Tallulah”, (con
l’ingresso della bionda Amanda Brown, violino e oboe), titoli
degni di attenzione, incisi per etichette prestigiose della scena
indie rock-jungle pop-alternative come Rough Trade, Beggars
P
n.106
meglio, acoustic stories – registrata nel
salottino di casa, nel pomeriggio di un
giorno di festa: in 10 brani la storia dei
Go-Betweens, una sorta di unplugged,
intimo, raccolto, confidenziale, discreto
e genuino, dimensione umana e sincera,
godibile. Il tutto (DVD+CD),
supera generosamente le
2 ore di goduria for eyes
& ears, la semplicità, la
modestia e la timidezza di
Grant, il modo di porgersi
schietto e sincero ci pon-
gono l’interrogativo: si può
morire a soli 48 anni a casa
propria? La confezione del
supporto digitale è quanto
di meglio si possa deside-
rare, booklet, foto, notes,
credits, il video sembra
in HD, l’audio nitidissimo,
il mix esplosivo! Come
dicevamo, Robert ha posto
fine alla band e, allora?
Long live to Go-Betweens!
Voto: 8 1/2
è parossistico, sale vertiginosamente,
cavalcata indomabile, stop e ripartenze,
sino al concitato finale, irresistibile, inar-
restabile, implacabile, dopo 8:49 sublimi,
c’è la …resa, il concerto è finito ma, non
il video che contiene un’altra sezione –
da manuale, prezioso, precede l’entrata
degli strumenti, le voci dei 4 all’unisono
e nella coda, brevi ‘a solo’ delle two
guitars. C’è l’acme del concerto, Was
There Anything I Could Do?, la platea
non resiste, saltella a tempo, è la volta
di Too Much of One Thing,
atipico nella durata (6:29),
valzerone trascinante con
tanto di coretti finali, Adele
lascia il basso e si cimenta
con la deliziosa tastierina
(Farfisa?) che fa tanto gara-
ge, People Say, ci avvicina
al termine, ancora The
Clock e, richiamati a gran
voce, arriva l’hit Karen: è
l’apoteosi, la band non si
sottrae alla folla, siamo al
top, one two three four, l’e-
lettrica di Robert parte alla
grande, autentiche rasoiate
alle corde, basso e batteria
pompano come stantuffi,
Grant a ricamare con l’altra
chitarra, il livello raggiunto
11n.106
12 Il Ricordon.106
di
Segretario Provinciale CGIL TeramoalbertoDi Dario
Padreabele Conigli
Abele Conigli il quale, in verità, non fece mai mancare il suo
appoggio a quella innovativa esperienza di un piccolo ma vivace
paese di montagna. Anche di questo periodo particolarmente
creativo ed effervescente, che testimonia la vicinanza di Padre
Abele al mondo giovanile e di periferia si parla e documenta
ampiamente nel libro “Padre Abele Conigli, la fede incarnata e le
sue sfide”. Ovviamente Don Enzo nel suo volume non dimentica
l’impegno missionario in Burundi con figure divenute leggen-
darie per impegno e passione sinceri: Mons. Michael Courtney,
Nunzio apostolico ucciso nel dicembre del 2003 in Burundi, e
il Cardinal Ersilio Tonini inviato dal Santo Padre per coordinare
azioni umanitarie, che ebbe la forza di fondare l’Università di
agraria a Ngozi dove chiese a Don Enzo di insegnare. L’impegno
e il lavoro a favore delle popolazioni burundesi continua grazie
anche al sostegno continuo e convinto degli amici tedeschi,
bergamaschi e abruzzesi di ogni dove che in San Pietro hanno
individuato e scoperto un luogo di incontro multiculturale e
aperto al confronto e alla crescita umana, culturale e sociale.
A pag 40 l’amico Norbert Kreuzkamp, importante dirigente te-
desco, descrive e testimonia questa opera di continuo scambio
che a San Pietro hanno avuto una vera e propria consacrazione.
egli anni ‘70 Don Enzo Chiarini a San Pietro di Isola del
Gran Sasso arrivò come quei venti impetuosi, non troppo
ricorrenti nelle nostre zone, in grado di penetrare in ogni
fessura e di scrostare la polvere sedimentata dal tempo,
impossibile da ignorare. Per l’epoca, un prete “diverso”, coin-
volgente, difficile da contenere che però aprì le porte della sua
casa a tutti noi che eravamo del luogo, altri ancora di altri luo-
ghi, creando un punto certo di incontro. Tutto ciò non sempre fu
accettato e alcuni sollecitati, ambiguamente, da qualche politico
locale, se ne lamentarono anche presso il Vescovo di Teramo
N
Dalla Segreteriadel Cardinal Vallini
Vicariato di Roma
Al ReverendoDon Enzo Chiarini
Dal Vicariato, 4 novembre 2014
Caro Don Chiarini,
ho potuto leggere con vero piacere il Suo
libro di memorie su “Padre Abele Conigli –
La fede incarnata e le sue sfide”, che Ella
con amore di figlio ha voluto dedicare a
questo grande padre e pastore. La ringrazio
di cuore di avermene fatto dono.
Scorrendo le pagine del libro, ho ritrovato
tante persone, luoghi e avvenimenti che
hanno segnato anche la mia vita. Una
raccolta preziosa di testimonianze che
costituiscono materiale pregevole per una
futura e documentata biografia di Mons.
Conigli, Vescovo del Concilio, coraggioso e
intelligente testimone dell’amore di Dio tra
gli uomini.
Auguri a Lei di ogni bene. Mi ricordi al igno-
re; come io faccio volentieri di Lei.
Suo devotissimo
Agostino Card. Vallini
App iCorecom Abruzzo
SCARICALA SUL TUO SMARTPHONE GRATUITAMENTE!
Un vero e propriostrumento operativoil cui obiettivo è quellodi rendere sempre più agevole il contattotra il cittadinoed il Corecom Abruzzo.
Quattro utili aree operative.Area 1 Co.Re.Com Abruzzo: qui è possibile conoscere il Corecom Abruzzo, tutti i servizi da esso ero-gati e i contatti per richiedere qualsiasi tipo di informazione o assistenza.Area 2 Segnalazioni: in quest’area è possibile inviare direttamente al Corecom Abruzzo, sempre trami-te l’app, alcune importanti segnalazioni in merito al diritto di rettifica, a violazioni della par condicio e tutela dei minori nel sistema radiotelevisivo. Ogni segnalazione potrà essere arricchita da descrizione, foto e coordinate per la geolocalizzazione al fine di facilitare al Corecom qualsiasi tipo di verifica. Inol-tre per ogni segnalazione sarà disponibile un link per monitorarne lo stato di avanzamento.Area 3 Informativa: dove è possibile consultare la guida dell’Agcom suddivisa in capitoli sul merca-to dei servizi di comunicazione elettronica, la trasparenza dell’offerta, i servizi di comunicazione da postazione fissa, i servizi di comunicazione mobili e personali, la televisione a pagamento e i diritti e tutela dell’utenza. In questo modo ogni utente potrà agevolmente individuare l’argomento di proprio interesse ed esaminare le informazioni specifiche. Inoltre sempre in quest’area sono presenti sia il decalogo per un utilizzo responsabile dei servizi di comunicazione elettronica e sia tutti contatti con l’Agcom e con i Corecom nazionali.Area 4 Notizie: ci sono tutte le ultime notizie inerenti il Corecom Abruzzo.
pubbli app iCorecom Teramani.indd 1 12/01/15 11.45
In giro
...e anche bene.
di
http://paesaggioteramano.blogspot.itsergioscacchia
a teramo leopere d’arte leteniamo nascoste!
alla Grecia. Da noi, le opere rappresentano infinite civiltà che
si sono susseguite senza sosta, nel nostro territorio.
Sono partito da lontano per raccontarvi cosa di brutto accade
in una città, la nostra Teramo, dove la cultura a volte viene ne-
gata alla sua naturale funzione che è quella di essere diffusa.
Alla non fruibilità di un mosaico pregiato come quello del
Leone, chiuso all’interno di Palazzo Savini, si aggiunge un altro
“delitto culturale”.
Pochi sanno, infatti, dell’esistenza di un’opera d’arte insigne,
celata al popolo teramano e ai turisti che si avventurano fino
in città.
Parliamo di un affresco sacro di notevole importanza docu-
mentaria e storica, non accessibile a cittadini e visitatori,
quasi nascosta nell’ex convento di San Francesco, adiacente
alla chiesa di S. Antonio, nel centro di Teramo.
I locali di proprietà demaniale, per molti anni occupati dall’In-
tendenza di Finanza, oggi sono utilizzati, guarda caso, dalla
Soprintendenza Archeologica ai Monumenti. Questo è l’ente
deputato alla salvaguardia dei Beni Culturali, quello cioè che
tutela e favorisce le opere d’arte di cui sono proprietari unica-
mente i cittadini.
Si tratta di una lunetta dipinta, ubicata in un ex passaggio
di comunicazione tra il chiostro e la chiesa, chiuso anterior-
mente al 1448 e decorato.
È un dipinto sacro, due finestre di bifore del Trecento che,
in antica epoca, faceva parte del portico, lato nord del
beni culturali ecclesiastici in Italia, eredità di popoli e mil-
lenni, costituiscono almeno i due terzi dell’intero patrimo-
nio nazionale.
Non potrebbe essere altrimenti se guardiamo alle cifre:
su 95 mila chiese, 30 mila di esse sono ai massimi livelli della
storia, i santuari si avvicinano al numero duemila, i monasteri
toccano le cinquecento unità, così come le abbazie.
Numeri impressionanti elaborati qualche tempo fa dal Censis.
La massima diffusione di “loca sacra” è nel centro nord.
E queste emergenze religiose, storiche e culturali non raccon-
tano di un’unica civiltà come accade ad esempio all’Egitto o
I
14n.106
L’altra scritta, alla base della lunetta, è
una profonda preghiera al Santissimo
appeso alla croce, incoronato di spine.
Si chiede di essere liberati dall’angelo
del male che porta con sé il peccato.
Al Cristo abbeverato di fiele e aceto
si chiede la liberazione dalle piaghe
dell’anima. L’incisione in latino, termi-
na con l’eloquente frase: “Che la Tua
morte sia la mia vita!”.
Al valore devozionale di questa bellissi-
ma catechesi muraria sul peccato e la
misericordia di Dio, si aggiunge anche
la pregevole rappresentazione.
Il Cristo esce dal sepolcro col
cartello INRI, tra la Madonna in
preghiera e San Francesco, munito
di piccola croce, intento alla sua
famosa preghiera al Crocifisso.
Attorno a Gesù ruotano, come in
un unico filo narrativo, i simboli
della Passione:
la lancia, la pertica con la spu-
gna, il flagello, le dita incrociate a
scherno, la canna scettro, la scala
e la tunica rossa coi dadi.
Ci sono anche delle incongruen-
ze nell’opera che di certo non
sviliscono l’importanza ma che è
interessante rimarcare:
San Giovanni Battista non è rappresen-
tato come di consueto, vestito di pelli
e con torso nudo, al contrario ha una
tunica rossa e in mano un libro, così
da poter essere scambiato per l’altro
Giovanni, l’Evangelista.
Inoltre un qualcosa di incomprensibile
la propone la figura di S. Antonio da
Padova che, anziché il giglio, porta con
se una palma, simbolo del martirio.
Infine, nella lunetta,l’autore attribuisce
la famosa frase :”Ego sum lux mundi”
al Padre anziché al Figlio!
convento dei Padri Francescani.
Oggi questo luogo è usato per
un ufficio, dopo che l’utilizzo per
molti anni era stato di deposito
materiali di risulta.
L’opera sarebbe stata realizzata
da un monaco della seconda metà
del ‘400 e rappresenta l’immagine
della “Pietà”.
Il dipinto è solo uno di altri affre-
schi esistenti lungo il perimetro
del portico, ma ha una peculiarità
che lo rende ancor più importante.
Le due iscrizioni, in basso la-
teralmente, testimoniano la grande
importanza devozionale: chi ammira
e prega davanti all’opera può lucrare
un’indulgenza antichissima.
Il testo latino, infatti, recita più o
meno:
“San Gregorio e altri Sommi Pontefici
e tutti coloro che, veramente pentiti
e confessati, s’inginocchiano davanti
all’immagine della Pietà e preghe-
ranno, avranno ventimila e sette anni
giorni di piena indulgenza e questo è
confermato dal Papa Nicolò V, anno
Domini 03.01.1448”.
15n.106
16n.106
Satira
di
dimmitutto@teramani.infomimmoattanasii
una passwordper lo scuolamat
eventi sportivi, gite scolastiche e altre
prestazioni a corredo accademico. So-
cial-fantapolica? No, semplicemente le
linee guida dettate non propriamente
da uno dei governi più democratici di
questo mondo. La Emirates Transport
riassume alcuni benefici finalizzati
a fornire comfort e sicurezza con
semplici esempi. Disposizioni di legge
sul trasporto scolastico sono state
approvate in Dubai al fine di chiarire
le responsabilità delle parti coinvolte
e garantire un pendolarismo sicuro
dentro e intorno allo scuolabus. Di
seguito, alcuni suggerimenti che per
i nostri amministratori suonerebbero
in arabo. Pericolo! I bambini devono
essere istruiti circa la cosiddetta zona
di pericolo. 6 piedi da entrambi i lati e
10 metri davanti allo scuolabus sono
considerati a rischio in quanto è diffi-
cile scorgere i bambini entro queste
dimensioni. Non basta attraversare.
Al fine di evitare di entrare nell’angolo
cieco del conducente, il bambino deve
camminare al bordo del marciapiede
fino a raggiungere il punto in cui può
essere visto dal conducente. Attesa
del genitore. Gli scolari, così eccitati
di rivedere il papà o la mamma dopo
la scuola, potrebbero commettere
imprudenze. Quindi, bisognerà atten-
dere in un luogo sicuro. Allacciare le
cinture. Il bus deve avere le cinture di
sicurezza su tutti i sedili anteriori. Non
disturbare il conducente. Ai bambini
deve essere insegnata l’importan-
za di non diventare una distrazione
per l’autista. Parlare senza urlare ed
eseguire le istruzioni del conducen-
te. Il sorpasso. Per tutti vale che lo
scuolabus non può essere superato. E
nei pressi della scuola, lo stesso bus
non può superare gli altri veicoli, né
effettuare il cambi di corsia. Il bambi-
no incustodito. Anche se non è chiaro
fino a che età si debba applicare que-
sta regola, per i bambini più piccoli
è obbligatorio essere assistiti da un
genitore sia all’andata che al ritorno.
Se un bimbo viene lasciato incustodito
per qualsiasi motivo sarà utile tenere
pronta all’uso una parola in codice.
Una password per lo Scuolamat tera-
mano.
el nostro Paese è facile menti-
re: basta dire la verità. Vivere
nel ricatto. Costretti a chiamare
saggezza l’arroganza; impegno
l’attivismo; l’opportunismo intelli-
genza. Gli scontri culturali seducono
incomprensioni originate dall’inter-
secarsi di tradizioni. A volte, tutto si
trasforma in un metodo per sorvolare
problematiche scaturite da diverse
esperienze etniche, sociali, politiche e
linguistiche. Le discordanze intellet-
tuali stanno diventando sempre più
comuni nella crescente mobilità del
lavoro, nel flusso dei profughi. Indu-
bitabilmente, è bello essere di nuovo
soggetti in causa nella socializzazione
in nuove comunità, dopo che si è
attraversato sterminate valli all’ombra
della morte. E se ci si ritrova dispersi
in una cittadina declinante alla marina
con gli Appennini alle spalle cosa mai
potrebbe confutare l’immaginazione
di un esule assorto nella speranza di
un mondo migliore? Le traversate nei
deserti, i valichi. Dal Marocco alla Spa-
gna per lo stretto di Gibilterra. Dalle
coste libiche dritti verso Lampedusa.
Pescherecci che giungono in Calabria
mollati dagli ormeggi egiziani piutto-
sto che esuli Curdi salpati da coste
turche. Un giro di disperati che si
compie fino a rotolare all’ombra di un
campanile simile non già al minareto
di una moschea, piuttosto metamor-
fosato in un simbolo interrogativo
della punteggiatura. Un balzo dalle
persecuzioni alle prosecuzioni di
servizi basilari attende il ramingo, il
trafelato da civiltà balie divenute culla
matrigna. Un dilemma come appretto:
“Posto che il problema principale per
la città di Teramo è che lo spettacolo
di fine anno in piazza ha attratto poca
gente, la seconda calamità sociale che
incombe sui contribuenti è l’alter-
nanza consumatasi tra due fornitori
di servizi per il trasporto scolastico
comunale”. Chissà se la ditta Angelino
di Napoli riuscirà a fare meglio della
Fratarcangeli? Di certo, una società di
trasporto dovrebbe sforzarsi di sod-
disfare i bisogni dei propri clienti. A
parte il servizio giornaliero casa-scuo-
la-casa, non si dovrebbe lesinare sul
comportamento da tenere a bordo
o contribuire negli spostamenti per
N
17n.106
a intuire e un giorno o l’altro farà
da sé. All’articolo a tre colonne che
annunciava il suo declino, Oscar
Wilde replicò osservando che se per
avvertire di un fallimento si scriveva
appunto un articolo a tre colonne
allora non esisteva alcuna differen-
za tra la fama e l’oblio. “If it took
Labouchere three columns to prove
that I was forgotten, then there is no
difference between fame and obscu-
rity”. Nell’ardore delle arti del dire
di grammatici distanti, le gozzoviglie
canterine dell’ultimo dell’anno a co-
sto quasi zero per le casse dei contri-
buenti sono offerte con magnanimità
a tutti coloro i quali non possono
collaborare a riempire i locali la sera
del tradizionale cenone, fatti salvi gli
infermi e quelli in prossimità di fine
vita. Indispensabile, la sobrietà. A
ubriacare la mente ci penserà il fia-
schetto di spumante nell’AperiStreet
genericamente mutante in On the
Road, fra bancali per muletti, ombrel-
loni e balle di fieno. A ricordare i tanti
sofferenti esulati dai divertimenti
istituzionalmente imposti sarebbe
assai sconveniente riportare e travi-
sare la comprensibile recriminazione
resa ai media dandone un significa-
to inopportuno e diffamatorio nei
confronti dei devoti a San Silvestro
ammalati pazienti imbacuccati che,
nonostante le temperature e situazio-
ni al limite della sopravvivenza, sono
rimasti impassibili in una evocativa
postura fetale nel gelido giaciglio di
un ospedale. A loro va comprensio-
ne e solidarietà per essere così mal
considerati e mal accuditi (Vedi foto,
“La Città” del 4 gennaio 2015). Nella
profilassi dialettica, le opinioni fino
qui arrischiate potrebbero sembrare
inopportune se non già avventate.
Benché considerato il contesto sati-
rico, la provenienza della sarcastica
caricatura retorica, in cui la si è pro-
posta, nella tessitura dell’intreccio,
a dire poco, diviene azzardata nelle
conclusioni. E comunque, di tutto ciò
si è consapevoli. Anche di non essere
mai stati chiamati a interferire.
“L’uomo nasce sano, la sanità lo cor-
rompe” (Attanasii e Rousseau).
cacca pestata, la speranza
è che porti fortuna. Imper-
territi nel raschiare merda
dalle suole, i revisionisti del
fato negano la buona sorte messa in
posta dal destino almanaccando con
irriverenza tutti i santi del calendario
persino insieme ai nomi degli sponsor
stampati a fondo pagina. Così, giusto
per sdrammatizzare, poiché alla fine
non si sa mai chi è che comanda
davvero nell’aldilà.
Per 3 milioni di precari, il veglione di
fine anno del 2014 è stato migliore di
quello del 2015. Con circa 836 euro
mensili, le fonti ISTAT li hanno col-
locati tra chi ha ancora gli occhi per
piangere. Non è la stessa cosa per i
disoccupati e per quelli che hanno
perso il posto di lavoro. “Predicare
la tranquillità della vacca grassa”
(L’adolescente). Il cavaliere d’Arcore
ha affinato il concetto di Dostoevskij
affinché si potesse così contrapporre
una frase immaginifica alla cultura
della lamentazione, alla retorica del
declino: “I ristoranti sono tutti pieni”.
Quando Berlusconi si affaccia la mat-
tina sul golfo estasiandosi alla vista di
panfili, yacht e gusci di noce, soltanto
per il puro plagiare gli emuli tapini
politicanti di provincia si arrabattano
per spararla, la cazzata, sempre più
grossa del loro psicopompo. Dall’Alpe
agli Appennini, i borgomastri armeg-
giano per ricostituire come insulsi Dr.
Jekyll ciò che nella tenebra Mr. Hyde
ha disfatto. Ma ricostruire che cosa?
I partiti, di certo. Più verosimilmen-
te, se stessi. Il popolo lo comincia
Satira
di
dimmitutto@teramani.infomimmoattanasii
reid’inconsistenza
A“l’uomo nasce sano, la sanità lo corrompe”
18n.106
“la noia”di alberto moravia
nemmeno più una distrazione.
Dino allora instaura una relazione con Cecilia, con la quale crede di
poter percorrere una via che conduca ad un senso, specie attraver-
so la conoscenza carnale.
Ma il terreno frana sotto i piedi, la suggestione tende a svanire e
Cecilia si trasforma in un buco nero che inghiotte qualsiasi cosa in
modo enigmatico e inafferrabile, compresi i sentimenti e le emozio-
ni.
Il potere del denaro si rivela infausto e le esplorazioni psicologiche
di Dino non riescono a rompere il muro di incomunicabilità con la
donna, distante e indifferente come una ceramica, lontana anni luce
dalla dimensione autentica che il protagonista persegue per dare
una ragione alla propria vita.
Dino si trova dinanzi ad un baratro dove la morte sembra la solu-
zione meno disperata, e una sera decide di andarsi a schiantare
contro un platano con l’automobile. L’esperienza non lo uccide e lo
induce a ricostruire la dimensione dell’accettazione, dove il ritorno
alla realtà e al contatto esterno divengono meno traumatici per il
protagonista.
Romanzo complesso, sebbene essenziale, “La noia” instaura due
collegamenti evidenti: con “La nausea” di Sartre (del 1938) e con
il primo romanzo dello stesso Moravia, “Gli indifferenti” (del 1929).
Tuttavia, la distanza temporale trasforma la visione esistenziali-
sta e la adatta alla società contemporanea del 1960, laddove ad
emergere prepotentemente sono l’incomunicabilità, l’alienazione
e il possesso, declinati secondo le categorie della borghesia che si
viene disfacendo.
Libro dai toni freddi e a tratti urticanti, riesce proprio per questo a
fotografare il disagio di una classe sociale la cui cifra narrativa tende
a svaporare assai più che ne “Gli indifferenti”, dove la struttura
realistica era preminente e
la vita interiore molto meno
analizzata.
Eppure, la scrittura di Moravia
sembra prediligere una visione
bidimensionale della vita e dei
personaggi, quasi a voler scan-
dagliare una profondità che non
c’è, che si cerca in ogni modo
ma che non si trova, che si pro-
va ad inventare ma in un deficit
di fantasia che è figlio dei tempi
e del contesto sociale.
Alla fine, sotto alla schiuma,
sotto al vestito, sotto alla bor-
ghesia, sotto al neocapitalismo
industriale, sotto la superficie
della società, non c’è niente. E
se il rischio di mistificare le per-
cezioni, i rapporti, i meccanismi
reali e psicologici, è alto, la sensazione che resta è che sia la vita
ad essere apocrifa, mentre la macchina fotografica della letteratu-
ra funziona benissimo e legge la realtà per come si presenta: non
autentica, spuria, inutilizzabile. Un refolo di vento che spettina ma
non scuote.
i Alberto Moravia si è parlato molto come scrittore, ma forse
le sue opere non hanno ricevuto tutto l’apprezzamento che
meriterebbero. Con il tempo la sua fama si accresce, man
mano che l’allontanarsi della sua morte lascia emergere
i libri e fa scolorire il
personaggio, ancora vivo
in moltissimi, dato che lo
scrittore è scomparso nel
1990.
“La noia” è il suo romanzo
più significativo, pubblicato
nel 1960, di una caratura e
un livello europei. Merita di
essere letto e meditato, so-
prattutto per come riesce
a fotografare la miseria
psicologica del protagoni-
sta, figura modernissima
ed emblematica del disagio
mentale causato dall’età
del benessere.
Dino è un ragazzo ricco,
di nobile famiglia romana,
che non riesce a trovare la sua dimensione, non sa darsi un senso,
non è capace di accettarsi. Spera che dipingere gli consenta di tro-
vare una chiave di lettura dell’esistenza, di fargli trovare se stesso,
poiché è costantemente schiacciato da una noia inarginabile che lo
emargina dalla società.
Il disprezzo di Dino per i valori borghesi che gli derivano dalla
propria famiglia, unito all’incapacità di approdare ad una visione
sua, lo tengono in un limbo dove la crisi personale è la dimensione
permanente e la cifra psicologica del suo essere al mondo.
Il lungo travaglio interiore sembra trovare un esito nell’atto di rom-
pere il quadro al quale stava lavorando: “distruggere la tela voleva
dire essere arrivato alla conclusione di un lungo discorso che tene-
vo con me stesso da chissà quanto tempo. Voleva dire aver messo
finalmente il piede sul terreno solido”.
Ma la pittura non si rivela un buon metodo, né una cura, e purtroppo
D
Il libro del mese
di
dimmitutto@teramani.infomaria Cristinamarroni
rienza differente, mirata al trattamento di una sindrome dolorosa particolarmente ribelle alle cure, sta portando i primi risultati dal punto di vista scientifico.I risultati preliminari sono confortanti e lo studio prosegue in collaborazione con gli operatori abilitati al Metodo (fisio-terapisti e medici). In Italia gli operatori abilitati ad appli-care il Metodo Solère - Reequilibration fonctionnelle® nel trattamento della fibromialgia non sono ancora numerosi, ma il programma di cura rapido ed originale permette eventualmente di seguire il trattamento anche se non si risiede vicino ad un centro.In estrema sintesi i modelli terapeutici non farmacolo-gici (quindi privi di qualsiasi effetto collaterale) utilizzati nel Metodo Solère per il trattamento della fibromialgia, o meglio dei pazienti fibromialgici, si avvalgono della stimolazione di determinate aree reflessogene codificate anche nella cartografia della medicina tradizionale cinese: l’apparecchio appositamente studiato è denominato AMPi. sm® e, senza presentare particolari controindicazioni, permette il massaggio puntiforme inverso di aree cutanee utilizzate anche in agopuntura.Pur ispirandosi ai concetti dell’agopuntura, la tecnica e la logica insite nel trattamento di cura per la fibromialgia, sono molto differenti da quanto comunemente conosciu-to attraverso la medicina tradizionale cinese.Normalmente sono sufficienti 6 sedute per apportare un sensibile miglioramento al polimorfo quadro clinico che i numerosi pazienti fibromialgici accusano, con sintomi apparentemente anche bizzarri ma analizzabili con criteri logici se inquadrati in un terreno al di fuori dei comuni disturbi della meccanica articolare.Per ulteriori informazioni sulle caratteristiche (e tempi di cura) della terapia per la fibromialgia proposta dal Metodo Solère - Reequilibration fonctionnelle® scrivete a: dote-seo@tin.it
una malattia subdola ed occulta: si presenta con una vasta sintomatologia, ma spesso non viene riconosciuta dagli stessi medici, che hanno diffi-
coltà a diagnosticarla. Spesso le persone malate quando si lamentano non vengono credute. Sono per lo più donne (in rapporto di 4 a 1). Vagano da un ambulatorio all’altro per sentirsi dire: “ lei non ha niente”.In famiglia le cose non vanno meglio, passano per simula-trici, suscitando l’indifferenza del coniuge, mentre a lavoro, nella migliore delle ipotesi, vengono considerate assen-teiste croniche.Sono le vittime della Fi-bromialgia, patologia con un’incidenza di circa il 5% sull’intera popolazione. Il suo biglietto da visita è il dolore, diffuso su muscoli, articolazioni e tendini di tutto il corpo. Una condanna per i pazienti, genera insonnia e a lungo andare, ansia e depressione. Ma è soprat-tutto il numero e la varietà dei sintomi a confondere le idee: rigidità, bruciore e torpore, astenia, disturbi viscerali, cefalea, perturba-zioni climatiche (l’influenza del tempo sul corpo).Oggi sappiamo che il problema va interpretato sul piano funzionale, decodifi-cando la risultante sintomatica attraverso una valutazione della bio-dinamica dei sistemi, linea guida che Il Meto-do Solère® segue da numerosi anni proponendo una metodologia in grado di chiarire alcune zone d’ombra in medicina: nel caso della fibromialgia, l’apporto di un’espe-
Dott. Domenico Teseo • fisioterapistaSpecialista in: Osteopatia Metodo Solére®
Medicina agopunturale (con A.M.P.I.)Rieducazione posturale globale
Via C. Colombo, 274 San Nicolò a Tordino (Te)Info: 347 0744455
È
Fibromialgiauna malattiadifficile dadiagnosticare
Redazionale
20n.106
usucapionequindici anni nel caso di beni situati nei comuni classificati
dalla legge come comunità montane e infine dieci anni in
caso di acquisto in buona fede in base a titolo idoneo tra-
scritto proveniente a non domino.
Bisogna precisare che quando la legge usa il termine pacifi-
co si fa riferimento ad un acquisto che non sia avvenuto in
modo violento o clandestino.
Le prove necessarie alla dimostrazione dell’usucapione,
ovviamente in giudizio, sono la prova per testimoni e per
presunzioni.
Per quanto riguarda la prima, si può dire che per testimoni
si devono intendere coloro che sono rimasti a contatto con
il bene e con il soggetto
che intende usucapire,
ed in quanto tali posso-
no fornire elementi utili
e validi a far accertare
l’usucapione.
Per quanto riguarda la
prova per presunzioni,
si può invece dire che si
fonda su elementi di fat-
to propri della fattispecie
corrispondente.
Infine, perché si possa
parlare di possesso ad
usucapionem, è anche
necessario che vi sia, tra
le altre cose richieste,
la caratteristica della
continuità, nel senso che
il possesso dovrà essere
esercitato con regolarità
e non in modo solamente occasionale.
Deve essere precisato che non tutti i beni possono essere
usucapiti, come ad esempio i beni che appartengono al
Demanio Pubblico o ad altri Enti territoriali.
Affinché il possesso si trasformi in proprietà riconosciu-
ta dall’ordinamento, è necessario che intervenga una
sentenza del Giudice che dichiari l’avvenuta usucapione,
ovviamente dopo aver
iniziato una vera e pro-
pria causa.
Dato che non esiste al-
cun atto o contratto da
registrare nei pubblici
registri, sarà proprio
la sentenza ad essere
trascritta.
Naturalmente, tutto
quanto sopra detto, è da
ritenere non esaustivo delle tesi dottrinarie e giurispruden-
ziali in quanto l’argomento dell’usucapione è molto ampio e
presenta punti controversi che non possono essere affron-
tati in questa sede.
l termine “usucapione” deriva dal latino usu-capere
che letteralmente significa prendere con l’uso ed è uno
degli istituti del diritto italiano con radici più antiche, con
ovvie differenze rispetto alla disciplina attuale, in quanto
era già previsto nel diritto romano dalla Legge delle XII
Tavole.
In questa sede tratte-
remo dell’usucapione
di beni immobili e degli
elementi che servono
in giudizio per poter
dimostrare l’avvenuta
usucapione.
L’usucapione è un modo
di acquisto a titolo
originario della proprietà
o di un diritto reale ed
è disciplinato agli artt.
1158 – 1167 del codice
civile; essa si realizza
con il possesso del bene
continuo ed ininterrotto
per un certo periodo di
tempo.
Ma tale continuità non è
solamente l’unico requi-
sito che si richiede affinché si possa realizzare l’usucapio-
ne, in quanto il possesso deve essere anche inequivoco e
pacifico; ciò significa che il comportamento, messo in atto
dal soggetto che intende usucapire, non dovrà generare
in altri soggetti alcun dubbio circa l’effettiva intenzione di
esercitare sul bene una signoria di fatto, corrispondente al
diritto di proprietà.
Quindi, perché si possa dire che sia intervenuta una usuca-
pione ordinaria della proprietà di un immobile, è necessario
che sussistano due elementi necessari e cioè l’elemento
psicologico del possesso, che consiste nell’intenzione del
possessore di comportarsi come proprietario del bene; e
l’elemento oggettivo che viene determinato dalla legge e
che predeter-
mina il periodo
di tempo
necessario
per usucapire:
vent’anni con
riguardo ai
beni immobili
(art. 1158 c.c.),
I
Dura Lex Sed Lex
di
dimmitutto@teramani.inforossellascandurra
organismo che non avrebbe comportato alcun onere a carico dell’Ente, in
quanto la partecipazione dei componenti era a titolo gratuito. Lo scrivente
venne nominato nell’organismo insieme ad altri quattro componenti, com-
preso il Presidente. Si iniziò con entusiasmo a lavorare con la predisposi-
zione di elenchi di contribuenti, residenti in Teramo, da segnalare all’A.F.
per un eventuale controllo, in considerazione soprattutto della difformità
tra il loro tenore di vita ed i redditi dichiarati negli anni (cd. Redditometro).
Con il D.L.6/12/2012 n.201 venne meno l’obbligo da parte dei Comuni
di istituire i Consigli Tributari, mentre si concesse ad essi la facoltà di
tenere in vita quelli già istituiti. Il Comune di Teramo, diversamene da altri
capoluoghi di provincia abruzzesi, decise di abolire il Consiglio Tributario,
rinunciando così di fatto sia al contrasto dell’evasione che alla automatica
attribuzione di somme erariali, derivanti dalle rettifiche a carico di alcuni
concittadini infedeli con il Fisco.
Leggo dai giornali ripetute dichiarazioni del Sindaco di Teramo (Comune
che ha applicato le più alte aliquote dei tributi
locali) con le quali si lamentava della insuffi-
cienza dei trasferimenti erariali a vantaggio
del Comune. Allora sorge spontanea una
domanda: ammesso che le sue considerazioni
siano oggettivamente riscontrabili, perché
mai con l’abolizione del Consiglio Tributario lei
ha rinunciato ad acquisire importanti somme
da un’attività di accertamento che, peraltro,
sarebbe stata esperita dall’Agenzia delle
Entrate?
A mio giudizio il grado di apprezzamento di un
Sindaco si misura da queste problematiche,
perché il compito della politica (con la P maiuscola)è quello di favorire
una equa redistribuzione dei redditi a vantaggio dei ceti più sfortunati.
ignor Sindaco,
l’evasione fiscale è uno dei tanti mali atavici della società
italiana. Essa ha raggiunto i 140 mld ed insieme alla corruzione
(80 mld)costituisce un tema dominante della politica.
Il legislatore nell’anno 2010 (L.122 del 30/07/2010), allo scopo di limitare
il “fiume senza fine” dell’evasione fiscale e contributiva, fece obbligo ai
Comuni di istituire i Consigli Tributari, così da permettere agli Enti di par-
tecipare all’attività di accertamento ed al contrasto dell’evasione. Quale
premio agli Enti locali venne riconosciuto dapprima il 33% e successiva-
mente il 100% delle maggiori somme riscosse a titolo definitivo afferenti i
controlli fiscali operati dall’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate.
Anche il Comune di Teramo fu “costretto” ad istituire questo importante
S
Letteraal sindaco di TeramoRiceviamo e pubblichiamo una lettera pervenutaci dal Sig. Domenico Bucciarelli, già Assessore del Comune di Teramo nella Giunta Angelo Sperandio,indirizzata al Sindaco di Teramo,dottor Maurizio Brucchi.
22n.106
Cinema
Il film breve di Stefano Odoardi
di
dimmitutto@teramani.infoleonardoPersia
alyssa, attrice, angéliquee altro...
In un inarrestabile cortocircuito dell’io che svela il meccani-
smo di ogni messa in scena e lo estende ulteriormente a un
gioco delle parti relativo non solamente allo spettacolo. Anche
al proiettare/proiettarsi continuo nella e della realtà, dentro
lo scambio tra io e l’altro, tra me/io che è sempre un altro.
Nell’amore.
Il cinema di Stefano Odoardi si manifesta nel segno degli spec-
chi, delle superfici riflettenti. Si guarda spesso dalla finestra
nei suoi film, corti e lunghi, si tirano le tende, si scruta e si
riprende dall’alto. La macchina da presa è l’occhio del volatile,
del cielo, del falco di Tunnel Vision e della cicogna di Una balla-
ta bianca che evolvono nell’Angelo (e in Angélique Cavallari) di
Mancanza-Inferno. Uno sguardo che si (con)fonde nello sguar-
do dell’altro, che è l’Altro finalmente realizzato e rappresen-
tato in altro. In alto. Rivelazione divina nel/del proprio umano.
Quattro, infatti, era il numero preferito dal marchese de Sade,
così come di Ingmar Bergman. Evocazione dell’Inferno e anche
del Paradiso. Eric Rohmer, primo fra tutti, aveva riconosciuto
una qualità paradisiaca negli inferni esistenziali di Bergman e
Dino De Laurentiis, sognando un trittico religioso mai realiz-
zato, voleva affidare proprio al maestro svedese la messa in
immagini dell’Eden. Negli anni ’60, del divin marchese furono
messe invece in luce la mitezza, il desiderio di un mondo
opposto a quello da lui descritto, persino un furore moralistico.
Esatte intuizioni. Il quattro è il numero della Terra: della Terra
nel cielo (titolo di un corto di Odoardi, The Earth in the Sky), la
quale naturalmente è pure nell’Inferno. O, meglio, appare La
terra che non c’è (altro suo titolo), invocata dall’Inferno.
on c’è due senza tre e non c’è quattro senza cinque,
sei, sette, dieci. Angélique Cavallari interpreta quattro
personaggi ne La pluie: Koltes, Alyssa, l’Attrice e la Folle.
E come il Damba buddista, albero della vita ramifican-
te anche i quattro fiumi sacri, le quattro direzioni del cuore,
questi quattro ruoli, questo quattro, proliferano evocando altri
caratteri (l’innamorata/o, l’altro/a, il doppio, la copia, la coppia)
per cercare l’Uno. Quell’unità ri-rappresentata dalla stessa
Angélique Cavallari, persona e personaggio, inizio e motore
primo di ogni molteplice, che torna all’unità finale. Cioè iniziale.
N
23n.106
suo personaggio? La parrucca bianca,
che diventa dorata a contatto con le
luci di Parigi, il trucco, lo sdoppiarsi, il
mescolarsi rimandano alla coppia osmo-
tica Rita/Betty di Mulholland Drive e la
musica di Georges Delerue (Le désespoir
de Muriel, da Le due inglesi di Truffaut)
catapultano il pur evidente omaggio alla
nouvelle vague in una quarta dimensio-
ne di Tempo psicologico, intermittenza
di cuore e Proust, ricordando, oltre alla
Muriel di Resnais, gli orologi di Into Our
First World, le pietre sbriciolate come i
grani del tempo in Esilio della bellezza.
L’esercito napoleonico in miniatura di
Koltes, granello di Tempo affine al soldati-
no del Paradiso/Jauja di Lisandro Alonso,
viene raccolto dal pavimento allo stesso
modo in cui sarà carpita l’erba (la propria
terra, il proprio io) da Alyssa, trasformata
poi in pietruzze (la stabilità, l’individua-
lità: eppur sbriciolate) sul suo volto in
un’immagine successiva.
Il gioco identitario trova un corrispetti-
vo pieno nella forma del film. Koltes di
spalle, la nuca coperta da un berretto
nero (azzeramento duplice, totale, del
viso) è parlato probabilmente dall’Attrice,
rivelata attraverso l’entrata in quadro di
Alyssa, trasformata in Attrice, mediante
la voce over di quest’ultima. Divisione e
ri-comprensione delle componenti diege-
tiche: voce (in e off), personaggio, narra-
tore, attore (Attrice). Ci accorgiamo che il
primo personaggio visto nel film è Koltes
quando si sentono i passi di «qualcuno
che corre e poi arriva» (esattamente
come prima aveva fatto irruzione Alyssa)
e la voce di chi narra lo identifica come
tale. L’Attrice indossa la parrucca di Alys-
sa e ha un controcampo finto con Koltes
posto di fronte a lei, sintesi degli stessi
elementi linguistici addensati in una sola
immagine e in un solo corpo. «Di volta
in volta da diversi angoli vediamo Alyssa
e Koltes nella stanza. Fuori continua a
piovere. Entrambi appartengono allo
spazio». Ugualmente, il suono esterno pe-
netra in quello
interno, proprio
all’identica ma-
niera del no hay
banda di Lynch.
La voce (sempre
la stessa) si
moltiplica, l’urlo
della Folle viene
udito da Alyssa
nel giardino. La
voce narrante
racconta sul
volto di chi è
narrato, appena
quest’ultimo ha
smesso di parla-
re. L’espressione
piena di ambi-
guità di Alyssa
(una serie di
smorfie) fa pen-
dant con il volto
deformato della
Folle. Ognuno è intriso dell’altro. Quattro
è uno e uno è quattro.
Ma cosa c’entra la pioggia del titolo,
manifesta nell’acqua del bicchiere rove-
sciato sul tavolo, che sgocciola sul pa-
vimento? È una «pioggia interiore», dice
il regista. Quella stessa pioggia, che nei
film di William A. Wellman infastidiva e
purificava. La Pioggia, racconto di William
S. Maugham, che faceva scontrare, incro-
ciare, dividere unire e di nuovo dividere,
due (o anche quattro, o una) individualità.
Di fede e ragione, lucidità e follia, maschi-
le e femminile. Verità e recita. Reale e fi-
ction. Ognuno di noi, dentro di sé, se non
ne ha paura ed è disposto ad ascoltarla,
la sente sgocciolare. Feconda, penetra. Ci
separa e ci unisce. Rende folli, ma anche
attori. Innamorati o/e pure isolati. Unici e
indivisibili. Molteplici e collegati.
Anche per questo, le immagini odoardia-
ne si inscrivono in uno spazio dell’attesa.
Attesa che qualcuno torni o si sveli,
attesa del realizzarsi stesso di un’imma-
gine, di un’ispirazione, di un copione (pur
attraverso un cinema spesso non scritto,
com’è noto). Uno spazio della metamor-
fosi e della trasformazione, del passaggio
(da cui i ponti) e delle immagini (ancora)
indefinite in prossimità di boschi e luoghi
naturali shakespeariani (che preludo-
no al cambiamento, al mescolamento
di identità e di amori: Il Sogno di una
notte di mezza estate, naturalmente
parafrasato da
Bergman, oltre
che da Woody
Allen, una volta
di più nel suo
ultimo Magic in
the Moonlight,
e in gran parte
della commedia
sofisticata hol-
lywoodiana dei
’30 e ’40, non
soltanto quella
del ri-matrimo-
nio individuata
da Stanley Ca-
vell). Immagini
mescolate nelle
dissolvenze
liquide (7.14) e
nell’incrocio dei
formati e degli
stili (videoarte,
digitale e pel-
licola). Un cinema eclettico e variegato,
sempre diverso, eppure matematicamen-
te coerente al suo interno.
Di tale eclettismo sono testimoni anche
i dieci, densissimi minuti de La pluie. Ci
sono gli interni minimalisti e in potenza,
a camera fissa, qualche volta legger-
mente traballante, scarni e desaturati
(non fotograficamente) che ri-pensano e
ripercorrono immagini mentali, invisibili,
accendendo il regista nascosto in ogni
spettatore. E c’è una scena colorata e
lussureggiante come quella di Alyssa in
fuga giocosa sul ponte. Da chi fugge e
con chi gioca? È inseguita da sé stessa,
dal suo doppio? Dalla macchina da presa,
da Stefano Odoardi? O si tratta ancora di
Alyssa che scappa dall’Attrice che narra
(e da Angélique Cavallari che interpreta)
o da Angélique Cavallari posseduta dal
24 La Scuola all’expo 2015
Art is food. Food is art, quando la storia dell’arte e il cibo si incontrano
n.106
di
dimmitutto@teramani.infomaria gabriellaDel Papa
Dal ‘600 a de Chirico a Warhol, il cibo nell’arte
avvalso della collaborazione di un comitato scientifico internazionale
per selezionare opere significative, capaci di ricostruire un lungo ed
emozionante viaggio attraverso le diverse correnti pittoriche succe-
dutesi nel corso del tempo, dal Barocco al Rococò, dal Romanticismo
ottocentesco alle avanguardie del ‘900. Lo scopo è quello di far apprez-
zare al largo pubblico degli appassionati le varie iconografie correlate
alla rappresentazione del cibo che movimenti e singoli artisti hanno
affrontato con estro e originalità.
Il percorso espositivo, ordinato secondo criteri iconografici e crono-
logici, intende, infatti, rivelare quanto i pittori attivi tra XVII e XIX secolo
amassero dipingere i cibi e i piatti tipici delle loro terre d’origine, e di
conseguenza far scoprire pietanze e alimenti oggi completamente
scomparsi, di cui è difficile immaginare anche il sapore. Inoltre, grazie
alla collaborazione con alcuni dipartimenti di Scienze Alimentari di
atenei nazionali, che per l’occasione hanno analizzato in maniera scien-
tifica le tavole imbandite e le dispense immortalate nelle tele del ‘600 e
‘700, è possibile attingere a preziose informazioni sull’alimentazione e
sui gusti dell’epoca.
Le sezioni tematiche della mostra saranno dieci: l’allegoria dei cinque
sensi, mercati dispense e cucine, la frutta, la verdura, pesci e crostacei,
selvaggina da pelo e da penna, carne salumi e formaggi, dolci vino e
liquori, tavole imbandite, per finire con il cibo nell’arte del XX secolo.
Tra i capolavori allestiti, provenienti dalle meravigliose collezioni
bresciane, si potranno vedere i “Mangiatori di ricotta” di Vincenzo
Campi e il “Piatto di pesche” di Ambrogio Figino, considerata la prima
natura morta della storia dell’arte italiana, dipinta circa un lustro prima
della “Canestra” di
Caravaggio. Ecco
quindi lo strepitoso
pendant di nature
morte, mai esposto
prima d’ora, di
Giacomo Ceruti
detto Pitocchetto,
ma anche il “Tavolo
con angurie” del
pittore divisionista
Emilio Longoni e
l”’Ultima Cena”
di Andy Warhol,
appartenente alla
famosa serie in cui
il padre della Pop
Art ha reinterpreta-
to il “Cenacolo” di
Leonardo. A chiude-
re idealmente il percorso, ci sarà la spettacolare Piramide alimentare,
installazione appositamente realizzata da Paola Nizzoli.
“Il Cibo nell’Arte” offrirà anche un ricco apparato didattico per tutte
classi di ogni ordine e grado. Nei laboratori didattici, per i più piccoli, si
potranno sperimentare esperienze multisensoriali sul riconoscimento
non convenzionale di gusti, odori, colori e consistenze di vari cibi. E
si potrà mettere a punto un elaborato, simulando e reinterpretando il
processo creativo dell’artista, utilizzando i materiali messi a disposizio-
ne tra cui pasta, frutta secca, legumi, riso.
rescia gennaio- giugno 2015 - La mostra vuole essere una rifles-
sione sul tema della presenza del cibo nell’arte contemporanea,
raccontata attraverso tutti i mezzi espressivi conosciuti, dalla
pittura alla fotografia, dal video alla performance, dall’happening
all’installazione. L’esposizione si basa sul lavoro di 35 artisti che sono
stati selezionati per il loro lavoro a cavallo tra arte e cibo.
Il cibo ancora una volta diventa protagonista delle mostre italiane
durante questo 2015: dopo Food - Il Futuro del Cibo in collaborazione
con il National Geographic, a Brescia si parla dei temi dell’Expo Milano
2015 con Il Cibo nell’Arte, espo-
sizione collettiva che raccoglie
grandi opere d’arte dal 1600 ai
giorni nostri che hanno parlato o
rappresentato il cibo.
Dal 24 gennaio al 14 giugno
2015 presso il Palazzo Martinen-
go della città lombarda saranno
esposti oltre 100 dipinti scelti
dal curatore Davide Dotti: dalla
famosa lattina Campbell di Andy
Warhol a Magritte, Fontana,
La Chapelle andando anche
indietro nel tempo con Guercino,
Campi e Salini.
Il cibo invade i palcoscenici dei
teatri, è fotografato come una star, compare come protagonista nelle
pellicole cinematografiche, diventa il soggetto di curiosi giochi percetti-
vi e anche la materia prima di vere e proprie performance artistiche. Il
termine food art, infatti, è utilizzato per indicare lavori molto diffe-
renti tra loro, dalle opere di David Robinson in cui veri e propri funghi
formano paesaggi, alla graphic art di Marco Bollati che indaga il tema
alimentazione utilizzando gli strumenti del disegno e del collage, fino
alle performance più propriamente artistiche come i lavori di Andrea
Salvetti.
Intitolata ‘Il Cibo nell’Arte. Capolavori dei grandi maestri dal Seicento
a Andy Warhol’, la rassegna è stata curata da Davide Dotti, che si è
B
il premio che Paride le attribuì per la vittoria
della contesa contro Giunone e Minerva. Ve-
nere vestita e ingioiellata rappresenta la na-
tura terrena dell’amore, invece la stessa dea
nuda rappresenta l’amore celeste. Le sono
associati gioielli nell’iconografia della toletta
ove le ancelle della dea, le Grazie, la aiutano
a ornarsi degli strumenti della seduzione
femminile. Sempre corredata di attributi e gio-
ielli è la Venere in trionfo, un tema ricorrente
nell’arte rinascimentale. Tuttavia nell’arte la
dea appare spesso svincolata da riferimenti
precisi a episodi del suo mito e anche dai suoi
attributi più espliciti, restandole solamente la
divina nudità di quando in quando spezzata
dalla presenza di gioielli. Questi, evidenziando
la sensualità, che traspare nella raffigurazione
della femminilità senza veli, sembrano dichia-
rare esplicitamente un intento erotico.
Note Linguistiche di maria gabriella Di Flaviano
Verbi in-ereconda coniugazione anche i verbi fare e dire (contrazioni del latino fačere e dičere) e i verbi in -arre, -orre ed -urre come trarre, porre, condurre ecc. ecc….(anch’essi contrazione del latino trahĕre, ponĕre, conducĕre) i verbi in -cere, in -gere e in -scere, mantengono la -cla, la -g dolci o palatali da-vanti ad -e ed -i; le mutano invece in -c e -g - dure o gutturali davanti ad -a e -o. Solo cuocere, nuocere e i verbi con l’accento sulla -e di -cére (tacere, piacere, giacere ecc…) mantengono la -c sempre dolce, per cui inseriscono una -i davanti alle desinenze comincianti per -a, -o, e -u e raddoppiano la -c davanti alla -i: taccio. Anche i verbi in -niere si comportano come quelli in -niare e fanno spegniamo, che voi spegniate. Attenzione! La terza persona plurale del congiuntivo presente termina sempre in -ano e non in -ine: credano, mettano e non credino, termino, e mettino, come spesso capita di leggere e di sentire.
verbi della seconda coniugazione si dividono in due gruppi:- quelli con la terminazione accentata come temére;- quelli con la terminazione non accentata come vìvere.Molti verbi della seconda coniugazione hanno al passato remoto
doppia forma per la prima e la terza persona singolare (-etti, ette, ei, è) e per la terza plurale (-ettero, -erano). Solo la pratica, però, e il vocabolario potranno dirci quali verbi ammettono le due forme. Appartengono alla se-
I
amore tra i gioielli le rose e il mirto
ea greca dell’amore, della bellezza
e dell’arte, Afrodite corrisponde alla
Venere dei romani, ed è considerata
da tutti, divini e mortali, la più bella
tra le Dee, la più irresistibile ed attraente,
vero simbolo dell’amore, di cui non solo si fa
portatrice, ma che incarna e rappresenta.
Emersa dal mare, Venere è rappresentata
spesso ornata di gioielli a sottolineare la sua
seduttiva femminilità. Le perle hanno un
posto d’onore come rimandi alla sua nascita
marina. L’arte la raffigura spesso accompa-
gnata da animali come colombe, cigni, delfini,
da conchiglie che ricordano la spuma delle
onde da cui emerge, da piante come la rosa e
il mirto oppure oggetti come la cintola magica
e la torcia accesa, simbolo del fuoco d’amore.
Nel mito greco ad Afrodite sono attribuiti
numerosi titoli come la dea del dolce sorriso,
dagli occhi folgoranti di bellezza, dalle belle
corone. Fra gli oggetti preziosi spesso pre-
senti nella sua iconografia vi è la mela d’oro,
D
25n.106
L’oggetto del desiderio dimmitutto@teramani.infoCarminegoderecci
di
26n.106
In giro
Il gioiello Campestre
di
http://paesaggioteramano.blogspot.itsergioscacchia
santa maria de Praedisa Castagneto
l’altro di nubi, compare la cresta del Gran Sasso e le montagne suddite
intorno a corolla.
Tutto molto bello, tra colli con pochissime fasce di cemento che non
inghiottiscono ancora le piccole cascine storiche e i campi coltivati.
A volte capita che il nostro piccolo e caotico mondo si fermi anche
per un solo attimo. È allora che la bellezza si svela e il sacro silenzio ti
parla.
Le ginocchia traballano un pochino per la fatica, ma non mollo.
La chiesina campestre di Santa Maria de Praedis non è lontana.
In questi luoghi, che i teramani diser-
tano, c’è più di una chiesa che vale la
pena visitare: San Pietro ad Azzano in
località Costumi o la famosa San Barto-
lomeo di Villa Popolo di Torricella.
Distante e di molto dalle grandi vie di
traffico, questo luogo sacro di Santa
Maria meriterebbe ben altra attenzione,
quella che non le dà quasi nessuno.
Eppure possiede valori immensi sia re-
ligiosi sia archeologici, storici e perché
no, ambientali di alta collina.
All’ultima curva un cane pastore si
avvicina a brutto muso e per un attimo
temo l’assalto rabbioso. All’improvviso,
provvidenziale, si palesa un contadino
di alta statura che sta risalendo il picco-
lo fosso verso il suo casolare.
Sembra Mauro Corona, canotta nera,
bandana di ordinanza, capelli grigi che
sicuramente cadrebbero sul volto se
non fosse che appare incipiente la
calvizie.
Dal ciglio della strada urla qualcosa
d’incomprensibile ma la bestia pare
aver capito perché si allontana subito
dalla mia figura.
Ed eccomi finalmente davanti all’ogget-
to dei miei desideri.
pochi chilometri dal centro storico di Teramo ci sono dei piccoli
tesori da riscoprire o da conoscere!
Il silenzio è avvolgente.
Il profumo delle colline boscose pare penetrare nei polmoni.
La passeggiata sul Colle Piadino, tra
Pantaneto, Colle Caruno, Fonte del Lat-
te, si snoda lungo la strada, ma di auto
circolanti neanche l’ombra.
Qui è un susseguirsi di minuscoli agglo-
merati del suburbio teramano dei quali
il più importante è Castagneto, il cui
toponimo prometterebbe tanti alberi di
castagno che oggi non ci sono più.
La storia ricorda l’avvenimento più
importante, in piena dominazione spa-
gnola, sul finire del XVII secolo. A causa
delle ciurmaglie dei briganti celebri
come Santuccio da Froscia e Titta Col-
ranieri, il borgo fu bruciato, insieme alla
vicina Ioannella, da parte del capitano
Gaspare Zunica.
Ho incontrato nel mio cammino solo un
trattore con sopra un vecchio che non
so perché ha sghignazzato evidente-
mente divertito, prima di scomparire
dai miei occhi col suo cigolante mezzo,
antico più del padrone.
Qua e là si aprono, improvvisamente,
prati quasi tumefatti dalle ombre del
primo pomeriggio e casolari dal tetto
fumante.
Poi, in fondo alla valle, lo sguardo
s’impossessa di una Teramo un tantino
caliginosa mentre, tra un sipario e
A
Ora sono qui, ad ammirare questa che è una
delle chiese più antiche del teramano, sorta
nel secolo X, le cui pietre sembrano prove-
nire dall’antico castello medievale che un
tempo dominava la valle sopra Pantaneto!
Immagino cocci e pietrame sconvolti dai
vomeri profondi. Penso con dolore, a cosa
possa essere accaduto a tanti reperti, sta-
tuine o altro, disseppelliti sui campi dinanzi
casa e rivenduti forse per pochi soldi.
Butto l’occhio su alcune tombe del cimite-
ro.
Una di esse ha la croce che ha perso il suo
lato destro che penzola arrugginito e scric-
chiolante al vento.
Ripenso alla frase latina che trovai su di un
piccolo cimitero in Alto Adige.
Mi stupii di questa locuzione:
“Hic est locus ubi mors gaudet succurrere
vitae”,
che tradotta significa che “questo il luogo
dove la morte gode di soccorrere la vita”.
Un’amara riflessione sulla caducità delle
cose.
Mi pare che fosse mutuata da una lapide
sulla porta d’ingresso dell’Ospedale degli
Incurabili a Napoli, prima che arrivasse il
santo dottor Giuseppe Moscati a portare
speranza ai poveri.
Meglio concentrarsi sulla chiesa che ha una
storia sontuosa che pare partire dal 1153
quando il vescovo Guido II annesse ai beni
teramani la piccola pieve.
Questo tempio ha visto la sua ultima ristrut-
turazione da parte della Soprintendenza ai
Beni Architettonici nel 1977 e oggi si presen-
ta in perfetto ordine.
Santa Maria è un piccolo tempio in stile ro-
manico a tre navate, edificato nella notte dei
tempi sui resti di una villa romana, dicono,
anche se alcuni studiosi ipotizzano che qui ci
fosse un sito dedicato alla dea Feronia.
In epoche ancora precedenti pare che l’anti-
co insediamento fosse il “villaggio Praedis”,
luogo molto frequentato sin dall’età del
ferro.
Come dimenticare che qui furono rivenuti
mirabili frammenti di ceramica del tempo
dei Pretuzi, travertini o ancora rimasugli di
statue romane e anche reperti medievali?
Sono affascinato nel guardare questo
piccolo edificio sul ciglio della strada con il
suo mini cimitero dall’inferriata del fianco
destro.
Ho sempre creduto che l’arte sia l’ombra di
Dio sulla terra.
Ricordo che più di una volta il grande e indi-
menticabile Giammario Sgattoni, mi parlò di
quest’antico luogo denominato “Praedis”.
Con la sua voce baritonale e il suo largo
sorriso, mi sorprendeva sempre con la sua
immensa cultura.
28 Calcion.106
di
dimmitutto@teramani.infoantonioParnanzone
il teramosopra citati, molto professionali che danno il loro contributo decisivo
anche con pochi minuti giocati. Il Diavolo non conosce timori reve-
renziali e tantomeno le insidie dei campi avversi. Sicuro di se entro e
fuori casa, riesce a tenere alto ritmo e qualità di gioco indipendente-
mente dal campo di gara. Vincere o perdere può capitare in qualsiasi
momento e talvolta la sconfitta, per come sono andate le cose in
campo, vale più di una vittoria acciuffata per un episodio favorevole.
Teramo, quindi, sempre a testa alta in ogni occasione. La sfida del
futuro è sulla tenuta fisico - atletica, ma soprattutto mentale. A ciò si
aggiungono i rinnovati organici delle squadre avversarie per effetto
delle movimentazioni del secondo periodo trasferimenti. Gennaio,
pertanto, rappresenta un momento cruciale del campionato in corso.
Gli arrivi e le partenze saranno determinanti per le squadre di vertice
e anche per quelle che mirano solo alla permanenza nella categoria.
Non tutte le Società riusciranno nell’intento di migliorare qualitativa-
mente il proprio organico, ma per la maggior parte di esse sicura-
mente gli effetti saranno positivi. Da qui inizia un nuovo corso del
campionato e proprio in questo periodo inizia anche per il Teramo
una nuova fase. Fare bene adesso vuol dire proseguire il cammino
con lo stesso ritmo, intensità e determinazione. D’ora in avanti potrà
succedere di tutto in quanto non c’è una squadra leader. Per un
certo periodo di tempo era sembrata quella dell’Ascoli la squadra
più regolare, ma con il passare del tempo una evidente flessione ha
permesso alle inseguitrici di riagganciarla formando un trenino di
testa. Un gruppo di cinque-sei squadre, Teramo compresa, sembra
procedere con passo diverso e distinto dalle altre e molto probabil-
mente saranno loro a contendersi l’accesso alla serie B. Teramo sta
vivendo uno dei momenti più belli della sua centenaria storia calcisti-
ca. Se sarà serie B vuol dire che avrà compiuto un miracolo. In caso
contrario avrà vissuto ugualmente un’altra grande annata.
l Teramo è una realtà. Il buon avvio e la fase successiva avevano
evidenziato una squadra in grado di fare risultato ovunque. Il
finale della prima parte del campionato è andato ancora meglio,
consacrando la formazione biancorossa una delle big del girone.
Misurarsi con i blasonati Ascoli e Pisa e giocare alla pari, se non
addirittura meglio, vuol dire proprio che il Teramo è forte. È forte
in tutti i reparti, dalla difesa all’attacco. Soprattutto è davanti che il
Teramo ha costruito la sua maggiore fortuna con la coppia più pro-
lifica del girone Lapadula-Donnarumma in bella mostra. I due arieti
biancorossi, infatti, si sono rivelati determinanti mettendo a segno
un buon numero di reti e permettendo alla formazione guidata da
Vivarini di agganciare le prime posizioni della graduatoria generale.
Il ritrovato Bucchi, poi, quando è stato chiamato in campo si è fatto
trovare sempre pronto. Insomma un trio che incanta e che molti
invidiano a Vivarini che ha la fortuna di gestirlo. Da non dimenticare,
ovviamente, il forte centrocampo che sorregge magistralmente il
reparto più avanzato. Amadio, Cenciarelli e Di Matteo controllano
con abilità la parte mediana del campo offrendo un ottimo supporto
alle punte. Il sempre più sicuro Tonti e i giganti Caidi, Speranza e
Diakitè controllano e respingono sempre con più efficacia gli attacchi
degli avversari. Anche quest’ultimo reparto gode di ottima salute,
superando brillantemente un periodo poco fortunato per i troppi
infortuni. Una squadra in salute e un gruppo di atleti, oltre a quelli
I
Foto Vincenzo Ranalli
del contribuente, e perfino il noleggio di una limousine. Occasio-
ne ghiotta per l’astensionismo, per tenere lontano anche il più
volenteroso degli elettori. La puzza è troppa e i cittadini vanno alla
ricerca di qualche nuova fragranza nel caleidoscopico panorama
politico nazionale, sempre in sommovimento alla ricerca del nuovo
partito o del nuovo uomo. Un altro tassello che s’aggiunge agli
altri per definire un fenomeno molto complesso è quello della fine
dell’ideologia e del relativo avvento dell’uomo-partito: da Berlusco-
ni, a Di Pietro, fino a tanti loro emuli; la politica si è infatti nutrita
negli ultimi anni di facce, di volti, di one man show, di capataz de
cargadores, a discapito di disciplinati portatori di acque in polve-
rose segreterie sempre meno calcate da tutti. E dentro la caduta
rovinosa del dio antropomorfo, il vuoto può creare scompensi
democratici, visto che a sopperire alla mancanza del leader non
c’è più la sapiente e tenace ragnatela dei partiti. La sfiducia nella
classe politica ha raggiunto il top. Oltretutto è venuto a mancare
nella regione rossa l’apporto contributivo dei filo-sindacati e degli
ortodossi del Pd, in chiaro contrasto con la linea politica dettata da
Renzi. Lo strappo della Fiom, di Camusso, ha il suo peso e mostra
un partito sempre più in affanno malgrado gli 80 euro che fanno il
41% alle Europee. Ma più in genere il fenomeno dell’astensionismo
in Italia è iniziato storicamente con gli anni ’70 e con la questione
morale messa in luce da Enrico Berlinguer, segretario del Partito
Comunista. Si
partì con un
astensionismo
del 6,6% alle
politiche del
1976, anche
se la sfiducia
cominciò a
manifestarsi
con una certa
incidenza negli
anni ’80 e ’90,
con l’attenua-
zione delle
ideologie e con
l’aumento del
disimpegno politico. E se fino a qualche tempo fa alcuni commen-
tatori potevano pure esprimere qualche compiacimento perché
paragonavano il fenomeno a quello delle democrazie più compiu-
te, ora però questa completezza sta facendo rima piuttosto con
menefreghismo totale. Infine si possono annoverare altre forme di
astensionismo: da quello demografico, soprattutto nella brutta sta-
gione, quando alcune categorie, come gli anziani, sono più restie
ad uscire di casa; a quello tecnico-elettorale causato dalla difficol-
tà di comprensione della materia politica o dalla stessa modalità di
voto. Accade pure questo. C’è poi l’astensionismo apatico, come
abbiamo già riferito, e quello di sfiducia-protesta, caratteristico
dalla fine della prima repubblica in poi. Cos’altro dire? Che per la
prossima tornata elettorale non vinca il 15% degli aventi diritto,
perché se continua così, è davvero il ritorno del censo, di quella
limitata casta che nei secoli bui si arrogava il diritto a decretare la
vita politica e sociale di tutti.
stenersi o partecipare. Gli Emiliani, i Romagnoli, i Calabresi
hanno scelto di disertare in massa le elezioni regionali
del 23 novembre scorso. Le ragioni sono molteplici e non
è nemmeno facile buttarla in aforismi che sì, tante volte
aiutano a compendiare un fenomeno astruso e variegato ma che
questa volta è meglio evitare. Scrivere dunque che “le elezioni
favoriscono i chiacchieroni” è fuorviante ma ha un suo fondo di
verità: anche se in queste hanno concorso grigi personaggi di ap-
parato, mettiamo che il chiacchierone sia sempre lui, il Fonzie, lo
scout, il figliol prodigo, il Renzie, quello che da Roma ha aleggiato
nella competizione elettorale, di certo avrebbe avuto una sfida più
allettante se come sfidante ce ne fosse stato un altro di…chiac-
chierone. Invece questa volta, almeno nel panorama nazionale, è
sparito d’incanto l’anti-Renzie, svilendo di contenuti e passione
l’appuntamen-
to elettorale. E
di pari passo
anche la parte-
cipazione degli
elettori è ca-
lato drastica-
mente: solo il
37% di elettori
sulla Via Emilia
ha apposto
una croce sulla
scheda. Ma
questa può
considerarsi
solo una lettura parziale dell’astensionismo. Poche settimane fa, il
governatore della Campania, il forzista Stefano Caldoro, nella sua
disanima post-voto, ha riferito dell’eutanasia di un ente. “Basta con
le Regioni – dichiarava a piè sospinto – basta a sanità, traspor-
ti, gestione dei servizi: l’attuale regionalismo è finito domenica
scorsa, tenerlo in piedi con il 37% dei voti è accanimento”. Caldoro
prospettava le macroregioni all’orizzonte della prossima Italia.
Per di più nell’Emilia-Romagna, terra rossa per eccellenza, si sono
registrati prima della sfida elettorale scandali a gogò: a partire
dal vibratore inserito nei rimborsi, cene pazze fatte con i soldi
A
il ritorno del Censo
Politica
di
www.mauriziodibiagio.blogspot.commaurizioDi biagio
analisi del voto delle regionalidi novembre
29n.106
rachide e del tronco in generale.
Il movimento che si effettua svolgendo
questo esercizio di torsione del busto
avviene quasi esclusivamente a livello della
gabbia toracica e non della vita (Sharmann,
2005) e richiede al rachide lombare un
movimento che per sua morfologia non è in
grado di effettuare con efficacia, sotto-
ponendolo ad una forza di taglio poten-
zialmente rischiosa specie se l’ esecuzione avviene con carico
maggiorato (bilanciere o macchinario specifico) o con bacino
bloccato da seduti.
Le vertebre hanno una componente minima di rotazione di 1 grado
per ognuna di essa e di 5 gradi in tutto il tratto lombare.
Quindi il movimento meccanico che si esercita ripetutamente può
sfociare nel tempo in seri danni alla schiena.
uesto esercizio utilizzato per
“snellire il punto vita e tonifica-
re gli obliqui” è purtroppo una
pratica inefficace ed anche dannosa.
Quasi certamente molti continueranno ad
eseguirlo comunque perché ormai da anni fa
parte del loro allenamento quindi certi della
sua efficacia e sicuramente ignari delle pro-
blematiche che ne possono conseguire.
Si dovrebbe riflettere e infrangere il sogno
di chi crede che fare tante torsioni servano a snellire il punto vita,
allora eseguire tanti addominali farebbero sparire la pancia!?
Sono purtroppo credenze e dicerie senza fondamenta scientifiche.
Inoltre ci sono anche alcune aziende leader del settore che hanno
inventato alcuni macchinari per eseguire torsioni con carico
aggiuntivo, quindi aumentando i rischi di danneggiamento del
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Q
Torsioni del bustoutili o dannose?
Redazionale
30n.106
l’impressione di poter prevalere conducendo la gara per larghi tratti.
Nel secondo tempo la compagine della Lion mostrava maggior carat-
tere e di conseguenza quella determinazione che gli ha consentito di
portare in porto il risultato. Nel complesso possiamo tranquillamente
affermare che si è assistito ad un incontro di categoria superiore ed a
giocatori che possono assicurare un futuro all’altezza della tradizione
della Pallamano teramana.
Per quanto concerne la Pallamano femminile, la Nuova H.F. Teramo
nel campionato di Serie A1 non sta ripetendo le prestazioni messe in
mostra nel girone di andata. Pur assicurandosi, nonostante la sconfitta
di sabato a Salerno, la disputa dei play off per la conquista dello scu-
detto e la partecipazione
nella prossima stagione ad
una coppa europea.
Nel campionato di A2 fem-
minile continua la marcia
dell’H.C. Team Teramo di
Serafino Labrecciosa che
nell’ultima gara vinta a Ci-
vitavecchia ha confermato
la propria superiorità nel
girone di appartenenza.
opo la pausa natalizia, sono ripresi i vari campionati delle diver-
se categorie. L’evento clou del mese di gennaio è sicuramente
il derby cittadino tra l’H.C. Team Teramo e la Lion Teramo nel
campionato maschile di serie B. La partita si è giocata sabato
18 presso il Palacquaviva che ha visto prevalere la Lion di Marcello
Fonti con il punteggio
di 21 a 20 davanti ad un
numerosissimo pubblico
che ha fatto registrare il
tutto esaurito. L’anda-
mento della gara ha visto
nel primo tempo l’H.C.
Team Teramo di Franco
Chionchio ribattere colpo
su colpo le giocate degli
avversari, dando anzi
Sport dimmitutto@teramani.inforedazione
PallamanoD
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