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Roma, 7 Luglio 2015
Conferenza FEMCA-CISL
Un nuovo arco di crisi?
L’Italia e l’instabilità nel mondo
arabo e nello Spazio post-sovietico
di Gabriele Natalizia
g.natalizia@unilink.it
www.geopolitica.info
Nel 2014 il 24,3% delle importazioni di greggio dell’Italia proveniva dall’Africa
(6,7% Libia, 3,4% Angola, 2,8% Nigeria), il 23,6% dal Medio Oriente (11% Arabia
Saudita, 11,6% Iran) il 41,8% dallo Spazio post-sovietico (17% Russia) (UP).
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Nel 2013 l’Italia importava dalla Russia il 45,3% del suo fabbisogno di gas
naturale, mentre il 20,2% proveniva dall’Algeria e il 9,2% dalla Libia.
La quantità di gas importato è notevolmente superiore a quello estratto in
Italia: 6260 milioni di metri cubi contro 682 (MISE).
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La teoria delle Relazioni internazionali spiega
il diffondersi dell’instabilità attraverso
tre paradigmi principali:
• La «naturale» tendenza all’equilibrio del sistema
internazionale, che determina il bilanciamento del potere tra
gli attori in campo e impedisce la formazione di assetti
egemonici (realismo);
• Il vacillare di una condizione di «egemonia», che alimenta il
moltiplicarsi delle sfide contro la potenza leader di una
determinata fase storica (realismo);
• La natura dei regimi interni, che prevede una maggiore
probabilità che si diffonda il «disordine» nelle regioni popolate
da Stati non democratici (liberalismo).
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Da una prospettiva sistemica l’origine dell’odierna instabilità
che colpisce l’arco geografico che parte in Nord Africa, passa
per il Medio Oriente e giunge nello Spazio post-sovietico può
essere rintracciata nei pilastri della dottrina Obama:
• Leading from behind – determinato dal timore della sovra-estensione
degli impegni e dalla percezione della diminuzione del soft power
americano;
• Pivot to Asia – determinato dallo spostamento delle priorià strategiche
definito nelle National Security Strategies del 2010 e 2015, che
definiscono il quadrante Asia-Pacifico come l’area cruciale per la
prosperità americana;
• Selective engagement – determinato da volontà o capacità declinante di
usare la forza in tutti i teatri di crisi per respingere tentativi di contro-
bilanciamento;
• Strategic reassurance – determinato dalla preferenza per le politiche
multilaterali e dal tentativo di trasformare i competitori strategici in
partner strategici.
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I fattori di instabilità che operano a livello
regionale nel Medio Oriente-Nord Africa (MENA):
• Abbattimento del regime di Saddam Hussein nel 2003,
ritiro americano nel 2011 e crisi politica dell’Iraq (effetto
domino sull’area);
• Ascesa regionale dell’Iran (potenza leader mondo sciita) ➔contenimento da parte di Arabia Saudita (potenza leader
mondo sunnita), Turchia e Qatar e allerta di Israele;
• Collasso dei regimi nazionalisti laici, in presenza di
strutture statali fragili (Iraq, Tunisia, Egitto, Libia, Siria);
• Frattura religiose che attraversano le società (scontro
sunniti-sciiti in Medio Oriente);
• Presenza di conflitti «congelati» pronti a esplodere
(Libano, Yemen, Iraq, Israele/Palestina, Kurdistan).7
L’Iran è la potenza leader
del mondo sciita con il
90% della popolazione
che appartiene a questa
confessione.
Distribuzione degli sciiti
in Medio Oriente:
Arabia Saudita (5%),
Bahrein (60%), EAU (6%),
Iraq (60%), Kuwait (35),
Libano (40%), Qatar
(20%), Siria (25%), Turchia
(15%), Yemen (35%).8
I principali focolai di violenza nel MENA:
• Iraq – conflitto tra il governo (Jawad al Abadi) e le forze dell’Isis;
• Siria – conflitto tra il governo (Bashar al Assad), le forze dell’Isis e
le milizie curde;
• Yemen – conflitto tra le milizie Houthi, le forze arabe del
Consiglio di Cooperazione del Golfo e le truppe fedeli all’ex
presidente Abd Mansour Hadi (con sostegno dell’Egitto), al Qaeda
e l’Isis;
• Egitto – scontro tra il governo di Al Sisi e la Fratellanza Musulmana
e conflitto con l’Isis nel Sinai;
• Libia – divisione de facto del territorio ufficiale, con la Tripolitania
controllata dal governo di Tripoli (sostenuto dal Qatar e dalla
Turchia) e la Cirenaica controllata dal governo di Tobruk
(sostenuto da Egitto e Arabia Saudita) e presenza dell’Isis nella
città di Derna e a Sirte;9
In Nigeria il gruppo salafita di Boko Haram, che nel 2015 si è alleato
all’Isis, è in lotta contro il governo di Abuja e si prefigge di creare
uno Stato islamico. I suoi legami oltrefrontiera sono dovuti al fatto
che buona parte dei suoi militanti sono parte dell’etnia kanuri
(presente anche in Camerun, Ciad e Niger).
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I fattori di instabilità che operano a livello
regionale nello Spazio post-sovietico (SPS):
• Ascesa regionale della Russia ➔ tensione in Europa
orientale e nel Caucaso;
• Problemi derivanti dalla sovrapposizione tra State-
building, regime change e marketization (tre processi
avviati avviati tutti nel 1991);
• Frattura etniche che attraversano le società;
• Presenza di conflitti «congelati» pronti a esplodere
(Transnistria, Nagorno-Karabakh, Abcasia, Ossezia del
Sud, Crimea).
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Tre dimensioni della crisi in Ucraina:
Domestica: mancato assestamento del regime politico,
assenza di un’identità nazionale consolidata e gestione
patrimoniale dello Stato;
Interstatale: Russia vs. Ucraina, affermazione
dell’influenza russa sull’ex RSS (Euromaidan e
occupazione dell Crimea sono state precedute dalla
“rivoluzione arancione” e dalle crisi energetiche del 2004-
2005);
Sistemica: Russia vs. Stati Uniti/NATO. È una forma di
bilanciamento regionale al potere degli Stati Uniti, ma
appare in grado di produrre effetti anche in altri
quadranti e di ridefinire il ruolo internazionale di Mosca.31
Gli attori internazionali della crisi in Ucraina:
Russia
Coinvolgimento diretto;
Riaffermazione del controllo sul
near abroad;
Volontà di costituire un’area di
civilizzazione separata
dall’Europa e dall’Asia (Russkiy
Mir);
Possibilità di sfruttare le crisi
simultanee nel MENA;
L’annessione della Crimea come
ritorsione alla gestione del caso
Yugoslavia/Kosovo.
Stati Uniti
Coinvolgimento indiretto,
ma attivo (leading from
behind e selective
engagement);
Affermazione dello shared
abroad;
Difficoltà nell’affrontare più
crisi contemporanee
(Ucraina+MENA+Grecia);
Necessità di rassicurare i
partner dell’Europa
orientale.32
Il significato dell’Ucraina per la politica di
potenza russa:
Simbolico – rilanciare il prestigio internazionale di Mosca attraverso
la riaffermazione della sua influenza sul near abroad.
Nazionale – difendere la minoranza russa presente in Ucraina. Il
17,3% della popolazione è di etnia russa, mentre la quota della
popolazione di lingua russa è del 24%;
Geopolitico – riaffermare il ruolo di potenza regionale, restituendo il
colpo subito in Kosovo agli Stati Uniti e all’Ue in Crimea e tenendoli
sotto scacco con il progetto della Novorossiya (controllo della
Crimea, delle regioni di Donetsk e Lugansk, del distretto industriale
di Kharkiv e del porto di Odessa);
Strategico - stabilizzare il controllo del porto di Sebastopoli e
impedire l’accerchiamento di Mosca da parte degli Stati della Nato.
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Una seconda regione resa instabile dal confronto tra
Stati Uniti e Russia e dal mancato consolidamento
statale è il Caucaso meridionale:
Armenia – sostegno alle rivendicazioni indipendentiste del
Nagorno Karabakh e partecipazione – diretta o indiretta -
ad una guerra civile internazionalizzata (1991, 1992-1994,
2005, 2012, 2014);
Azerbaigian – guerra civile internazionalizzata in Nagorno
Karabakh (1991, 1992-1994, 2005, 2012, 2014);
Georgia – guerra civile in Abcasia (1992-1993) e guerra
civile internazionalizzata in Ossezia del Sud (1992, 2004,
2008).
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