un padre viveva in campagna con i suoi due figli, curando i suoi terreni e la numerosa servitù che...

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Un padre viveva in campagna con i suoi due figli, curando i suoi terreni e la numerosa

servitù che lo aiutava.

Il maggiore, un bravo figlio, badava alla fattoria ed era il braccio destro del padre.

Il più giovane, invece, si annoiava di quel lavoro pesante e monotono e sognava il

momento per andarsene lontano per sentirsi libero e godersi con gli amici la vita nelle

grandi città.

Papà, domani bisogna arare il

campo…

Sono stufo di questa

vita… sempre

lavorare.

Un giorno, si presentò al padre e gli disse

apertamente

Papà, voglio andare a vivere da solo. Dammi perciò la

parte di eredità che mi spetta.

Il povero padre rimase sbalordito per quella inattesa richiesta e lo guardò triste, con gli occhi

che si velavano di lacrime.

Aveva fatto di tutto per accontentarlo affinché si trovasse a proprio agio nella sua casa; non

avrebbe mai pensato di ricevere in cambio un simile dispiacere.

No papà. Non resisto

più in questa casa.

E va bene! Tieni, se proprio

vuoi i soldi.

Pensaci ancora un

po’. Domani, magari,

aspetta…

Non ne posso più, i

miei amici mi aspettano in

città.

Addio!

Desolato, il padre non trovava conforto né pace per la partenza del figlio che, nonostante tutto, ancora tanto amava.

Né bastava a consolarlo, la presenza vigile ed affettuosa del primogenito

rimasto a casa.

Chissà dove sarà finito.

Non preoccuparti, papà. Se ne starà felice e

beato con i suoi amici,in città a divertirsi.

Il giovane, intanto, non aveva perso tempo.

Aveva molto denaro e quindi poteva permettersi il lusso di fare

una vita sfrenata e dissoluta.

Si circondò subito di molti di “amici” pronti a soddisfare i suoi capricci e piaceri senza

curarsi di ciò che era buono o cattivo, permesso o vietato.

Si stava così bene in quella compagnia che non aveva né il tempo né la voglia di pensare

al domani.

Bevete e mangiate, amici, alla mia salute!

Purtroppo, anche le somme più favolose cominciano con i centesimi e

con i centesimi finiscono.

Venne il giorno, più presto di quanto si aspettasse, che…

Tieni, questi sono gli ultimi

che mi rimangono per pagare il vino.

Terminato il denaro, sparirono immediatamente anche gli amici!

Finché poteva spendere, offrire, erano molti a stargli vicino e a dichiararsi suoi amici, ma

quando si trovò con la borsa vuota, scomparvero come per incanto.

Il povero giovanotto si trovò solo, terribilmente solo, senza una persona che lo aiutasse.

Da quando ho finito i soldi, nessuno mi guarda né

parla con me.

In quelle condizioni di vita, in città era impossibile vivere.

Nessuno lo avrebbe ospitato, né aveva modo di guadagnarsi da vivere, non avendo mai avuto

voglia di lavorare.

Pensò allora di andare in campagna; qualcosa avrebbe trovato da mettere sotto i denti, oppure

un capanno o un albero dove dormire senza vergognarsi.

oppure un capanno o un albero dove

dormire senza vergognarmi!

Uhm, andrò in campagna; qualcosa troverò da

mettere sotto i denti

Ma per colmo della sfortuna, in quell’anno si era abbattuta una tremenda carestia;

non c’era lavoro, e si sa, carestia vuol dire fame!

Così…

Cerco lavoro. Non hai bisogno

di aiuto?

Beh, avrei bisogno un guardiano per i

miei porci, in cambio di cibo e un po’ di

paglia per dormire, nel fienile!

Prendere o lasciare!

Quel povero giovane, abituato a tutte le agiatezze della vita, fu costretto ad

accettare quella spregevole occupazione, resa ancora più umiliante per un ebreo che considerava i suini come animali

immondi.

Ma non c’era nulla da mangiare… così…

Valgo meno di un animale.

Ah! Come mi sono ridotto! A mangiare

le carrube e le ghiande!

Durante le ore della giornata, mentre gli animali pascolavano e si sdraiavano all’ombra degli alberi, al giovane tornavano in mente le

ore felici trascorse nella casa del padre.

Perfino i servitori mangiavano bene e venivano trattati meglio di come era trattato

lui!

A casa staranno mangiando tutti… magari l’arrosto!

Basta! Ho deciso.

Pensò:tornerò da mio padre, mi getterò ai suoi piedi e gli dirò: “Papà, ho sbagliato, ho

peccato contro Dio e contro di te.Lo so, non sono degno di essere trattato

come un figlio; prendimi almeno come uno dei tuoi operai”.

voglio andarmene

da qui!

Pentito, ma deciso, si mise in cammino.

Il padre, come ogni sera, sulla terrazza, saliva a scrutare la strada da dove il figlio

si era allontanato.

E una sera, finalmente…

È lui! È lui!

Scese velocemente e gli corse incontro.

Il figlio tentò di gettarsi ai suoi piedi con tanta voglia di piangere.

Ma il padre lo rialzò anzi, gli buttò le braccia al collo.

Figlio! Figlio mio!

Poi lo condusse in casa e ordinò ai servi:

“Presto, portate il vestito più bello, l’anello e scarpe nuove. Poi andate nella stalla,

uccidete il vitello più grasso e preparate un banchetto”.

Voglio una

grande festa!

Non è giusto!

Il figlio maggiore, tornato dai campi, sentì la musica, le danze, il profumo dell’arrosto.

Seppe il perché della festa e non voleva parteciparvi.

Pensò: “Da tanti anni io servo mio padre, sono rimasto fedele e non mi ha mai dato un

capretto per far festa con i miei amici!”.

“Ora invece, che torna a casa chi ha sciupato tutto il denaro, papà gli prepara una

festa. Non è giusto!”.

Ma il padre rispose:

Mio caro ragazzo, tu sei sempre stato con me e tutto ciò che è mio è anche tuo. Ma devi essere contento perché questo tuo

fratello era come morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato!

Grazie, papà!

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