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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VENEZIA CA’ FOSCARI
FACOLTA’ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO
TESI DI LAUREA
L’ETICA DI IMPRESA TRA TEORIA E PRASSI
Relatore: Ch.mo Prof. Danilo Bano
Laureanda: Raffaella Zottarel Matricola: 798770
ANNO ACCADEMICO 2004/2005
Ai miei genitori e ad Alessandro
Due cose mi riempiono di meraviglia: il cielo stellato sopra di me e il valore morale dentro di me
(Kant)
INDICE
Introduzione VI
SEZIONE PRIMA: LA TEORIA
Capitolo 1. Etica economica 1 1.1. Concetto di etica 1 1.2. Gestione dell’impresa 3 1.3. Etica filosofica ed etica teologica 5 1.4. Etica laica 6 1.5. I tre assi dimensionali dell’etica 7 1.6. Evoluzione rapporto etica-economia 9 1.7. Le tre soluzioni proposte da Vittorio Coda 12 1.7.1. Il primato del sociale sull’economica 12 1.7.2. La subordinazione del sociale alle leggi dell’economia di mercato 13 1.7.3. Le logiche di contemperamento 14 1.7.4. Quale soluzione adottare? 15 1.8. Un trevigiano promotore dell’etica economica: Giuseppe Toniolo 16 1.9. Etica degli affari 17 1.9.1. Ma l’etica degli affari, paga? 19 Capitolo 2. Responsabilità sociale d’impresa 20 2.1. L’origine del termine responsabilità 20 2.2. Le tre eredità del concetto di responsabilità 22 2.2.1. L’eredità greco-romana 22 2.2.2. L’eredità ebraico-cristiana 22 2.2.3. L’eredità moderna 22 2.3. La responsabilità nella cultura contemporanea 23 2.4. Comportamenti socialmente responsabili 24 2.5. Alcune reazioni sul tema della responsabilità etica e sociale delle imprese 25 2.6. L’irresponsabilità sociale 29 2.7. Corporate social responsability (CSR) 30 2.7.1. L’evoluzione del concetto di CSR 30 2.7.2. Le tappe principali dello sviluppo 32 2.7.3. CSR in Europa 37 2.7.3.1. Le indicazioni del Libro Verde 40 2.7.3.2. La risoluzione del 2002 del Parlamento Europeo 41 2.7.3.3. Il libro bianco del 2002 42
III
2.7.4. CSR in Italia 44 2.7.4.1. Il progetto CSR-SC del Ministero del Welfare 44 2.7.4.2. Sostenitori e contestatori del progetto 46 2.7.5. CSR a Treviso 49 2.7.5.1. Proetica 48 Capitolo 3. L’accountability dell’impresa 51 3.1. Il termine accountability 51 3.2. Il bilancio d’esercizio e il bilancio sociale: documenti di «diretta accountability» 52
3.3. Cenni al codice etico 55 3.4. Rischi nella redazione dei documenti di accountability 57 Capitolo 4. Approfondimento di alcuni concetti teorici 59 4.1. Valori aziendali 59 4.1.1. I valori imprenditoriali e la dottrina 60 4.1.2. L’individuazione dei valori imprenditoriali 61 4.1.3. Quali sono i valori alla base del successo imprenditoriale? 63 4.1.4. Rapporto tra responsabilità sociale e obiettivi dell’impresa 64 4.1.4.1. La teoria riduttiva 65 4.1.4.2. La teoria estensiva 66 4.1.5. I valori imprenditoriali primari e quelli strumentali 66 4.1.6. La cultura aziendale 68 4.2. La fiducia e la reputazione 68 4.2.1. La fiducia 69 4.2.2. La reputazione 71 4.3. I destinatari della responsabilità 72 4.3.1. L’impresa può avere responsabilità morale? 73 4.4. Gli obiettivi delle imprese etiche 75 4.4.1. Obiettivi alternativi o addizionali rispetto alla massimizzazione del profitto? 76
4.5. La teoria degli stakeholder 77 4.5.1. Tipologie di stakeholder 79 4.5.2. Lo stakeholder risorse umane 80 4.6. Comitato Etico d’impresa ed Ethics Officer 82 4.6.1. Composizione e funzioni del Comitato Etico 82 4.7. Le motivazioni che spingono alla redazione del bilancio sociale 83 4.7.1. La rendicontazione «per moda» o di «avanguardia» 83 4.7.2. La rendicontazione «per esigenze e spinte esterne» 84 4.7.3. La rendicontazione «per presa di coscienza» 85 4.8. Bilancio sociale: effetto moda o no? 85 4.9. Perché redigere il bilancio sociale? 86
IV
4.10. Le ripercussioni organizzative provocate dall’adozione di una condotta socialmente responsabile 86
SEZIONE SECONDA: LA PRASSI
Capitolo 1. I risultati dell’indagine 89 1.1. Gli obiettivi e le caratteristiche dell’indagine 89 1.2. Somministrazione del questionari 91 1.3. Le risposte 92 1.4. Alcuni problemi di natura metodologica 92 1.5. Il profilo delle imprese 93 1.6. Analisi dati del primo gruppo 95 1.6.1. Etica economica 96 1.6.2. Impegno sociale 102 1.6.3. Concetto generale di Responsabilità sociale d’impresa 108 1.6.4. Bilancio sociale 119 1.7. Analisi dati del secondo gruppo 122 1.7.1. Etica economica 122 1.7.2. Impegno sociale 124 1.7.3. Concetto generale di responsabilità sociale d’impresa 125 1.7.4. Bilancio sociale 128 Capitolo 2. Un esempio di relazione sociale 130 2.1 Le parti del bilancio sociale 130 2.2. La relazione sociale di Tecnogamma SPA 132 Capitolo 3. Casi aziendali 146 Conclusione 151 Appendice 163 Bibliografia 172 Ringraziamenti 179
V
INTRODUZIONE Oggi più che mai l’impresa, per operare nell’attuale contesto competitivo, deve
essere consapevole del proprio ruolo sociale. Il fare impresa è infatti un elemento che
viene valutato non solo ai fini della produzione di beni, servizi e reddito, ma anche in
termini sociali: occupazione, relazioni, tutela ambientale e valorizzazione del capitale
umano. Il valore creato dall’impresa, in altre parole, non ha più come unici
riferimenti i detentori del capitale di rischio – gli azionisti – ma tutta la comunità e
tutti i soggetti coinvolti dall’attività dell’impresa, sia direttamente che indirettamente.
La responsabilità sociale dell’impresa (RSI) si misura quindi verso tutti gli
stakeholders influenti: dipendenti, collaboratori, clienti, fornitori, azionisti e
comunità locale. Per questo non può essere solamente uno strumento di immagine o
di comunicazione; deve coincidere con la mission aziendale ed essere coerente con
tutti i comportamenti operativi dell’impresa stessa.
Il nuovo spazio e ruolo assunti dalla responsabilità sociale è quindi un segnale
importante per superare una visione dell’impresa come strumento antagonista e di
sfruttamento. Per le organizzazioni l’approccio alla responsabilità sociale significa
infatti lavorare sulla credibilità e sulla reputazione nei rapporti con gli stakeholders e
tutta la collettività. Se le parole d’ordine per rafforzare la reputazione aziendale sono
quindi trasparenza, onestà e integrità, per costruire rapporti trasparenti, simmetrici e
basati sulla fiducia, è necessario qualcosa in più: l’etica.
Etica e profitto non sono antitetici. Una sintesi è indispensabile per avere relazioni
positive e durature con tutta la comunità e per rendere credibile, anche nel tempo, lo
stesso progetto imprenditoriale.
L’elaborato «Etica d’impresa tra teoria e prassi» vuole essere spunto di riflessione
sull’etica economica, partendo dall’etica di impresa fino ad arrivare alla politica della
«Responsabilità Sociale di Impresa».
L’idea iniziale era di condurre una mappatura delle aziende presenti nella provincia
di Treviso analizzando, mediante un questionario, il grado di conoscenza del nuovo
paradigma aziendale ed indagare, in particolare, sulle motivazioni che impediscono
la sua introduzione. In parte, tali obiettivi sono stati raggiunti, però purtroppo, in
VI
corso d’opera, a causa della scarsità delle risposte che sono state ottenute, il lavoro è
stato reimpostato, arrivando al seguente risultato finale.
Il titolo sintetizza la struttura dell’elaborato che è suddiviso in due sezioni principali,
la prima dedicata ai concetti teorici di base mentre la seconda sviluppa l’indagine
campionaria ed il lavoro svolto durante lo stage.
Il lavoro può essere rappresentato da un insieme di cerchi concentrici, dove gli anelli
esteriori sono dedicati ai concetti teorici generali, poi, via via che ci si dirige verso il
nucleo, l’analisi sì fa più particolare, cioè si cerca di capire in quale modo gli
argomenti vengono messi in pratica nella realtà.
L’obiettivo iniziale prevedeva che il lavoro non dovesse caratterizzarsi come una
elaborazione di concetti, bensì di confrontare la teoria e la prassi, così da capire come
sono percepiti gli argomenti dalle aziende, evitando che rimanessero semplici
astrazioni. La RSI, essendo un concetto che si sta sviluppando negli ultimi anni,
necessita di essere studiata con un occhio attendo sulle imprese, le quali hanno
bisogno di informazioni dettagliate ma soprattutto di una «spinta» per intraprendere
tale politica.
Il filo conduttore di tutta la ricerca è stato il questionario, somministrato ad un
campione, «non rappresentativo» di aziende della provincia di Treviso, in base al
quale sono stati sviluppati i concetti teorici.
La sezione teorica si suddivide a sua volta in due parti, la prima rispetta l’ordine
delle unità del questionario, dedicando ad ognuna un capitolo ad eccezione
dell’«impegno sociale», le altre unità invece, nominate «etica economica»,
«responsabilità sociale d’impresa» e «accountability d’impresa», sono state
approfondite accuratamente, cercando di fornire una panoramica sull’evoluzione
degli argomenti. Nell’ultimo capitolo di questa sezione invece, il focus sì è spostato
su argomenti particolari, che a volte facevano riferimento a singole parole presenti
nelle domande del questionario (ad esempio «i valori aziendali»).
L’obiettivo non era di approfondire dettagliatamente tutti gli argomenti, bensì di
concentrarsi su alcuni concetti specifici, in modo tale da dare una impostazione
diversa alla tesi affinché non risulti una semplice illustrazione degli argomenti
generali.
VII
La seconda sezione dell’elaborato, come accennato in precedenza, riguarda la prassi,
analizzata non solo mediante l’indagine campionaria ma anche grazie al lavoro
svolto durante lo stage, ai quali ho dedicato i rispettivi capitoli. Grazie a questa
esperienza ho potuto inoltrarmi personalmente nel vivo degli argomenti, redigendo
parte della relazione sociale dell’azienda ospitante.
Infine le ultime pagine presentano alcuni casi aziendali, a dimostrazione che gli
argomenti studiati in precedenza non sono solo «aria fritta»,come sostengono alcune
persone inesperte, ma occasione di crescita e di successo per l’azienda.
Auguro a tutti coloro che si accingono a leggere il seguente lavoro di trovare
un’occasione di riflessione su concetti che a volte esulano dalla dimensione
economica.
VIII
SEZIONE PRIMA: LA TEORIA
CAPITOLO 1
ETICA ECONOMICA
1.1. Concetto di etica Con il termine etica si indica, di solito, lo studio «riflessivo delle convenzioni e delle
ragioni» che le persone hanno o possono assumere per dare un valore alla propria
vita e alla vita che si condivide con altre persone. Come disciplina filosofica, l’etica,
in altre parole, studia la condotta dell’uomo, i criteri in base ai quali si valutano i
comportamenti e le scelte (in greco, ethikè deriva da ethos, che significa appunto
comportamento, costume). I greci infatti, volevano sottolineare con questo termine la
dimora dello spirito dell’uomo e fin da allora ogni azione umana veniva sottoposta al
giudizio di ciò che è bene e ciò che è male per l’uomo. L’etica, quindi, è la parte
della filosofia che ha per oggetto la determinazione della condotta umana e la ricerca
dei mezzi atti a concretizzarla.
Il termine, introdotto nel linguaggio filosofico da Aristotele1, è usato in genere come
sinonimo di morale2. Proprio il filosofo greco, nella sua opera «Etica Nicomachèa»3,
afferma che l’attività dell’uomo ha come proprio fine il bene, inteso come bene
ultimo o Sommo bene.4
1 Filosofo greco (Stagira, Macedonia, 384 – Calcide, Eubea, 322 a.C.). 2 In realtà etica e morale esprimono due concetti distinti. La morale non è altro che l’insieme di norme che regolano la vita dell’uomo, a prescindere da qualsiasi giudizio positivo o negativo. L’etica, invece, definisce le regole ed esprime i giudizi su ciò che è buono o cattivo, lecito o illecito e ne fornisce la giustificazione. – COMOLLI G.M., Etica e Terzo settore. Dare un cuore alla società, Ancona, Milano, 1998. Per comprendere l’etica in rapporto con l’economia torna utile la distinzione hegeliana tra moralità ed eticità: la moralità indica l’aspetto soggettivo della condotta, per esempio l’intenzione del soggetto, la sua disposizione interiore; l’eticità indica invece l’insieme dei valori morali effettivamente realizzati e condivisi in una determinata epoca storica. Per Hegel, forme dell’eticità sono le istituzioni come la famiglia, la società civile, lo stato. (Hegel, Filosofia del diritto). 3 Opera contenente la formulazione più articolata e completa della dottrina morale di Aristotele, edita da Nicomaco, figlio del filosofo. 4 Aristotele, a proposito del bene umano afferma: «esso è desiderabile anche quando riguarda una sola persona, ma è più bello e più divino se riguarda un popolo e le città» – ARISTOTELE, Etica Nicomachea, Rusconi, Milano, 1979
1
«Il Sommo bene è la felicità, ed essendo questa perseguita da tutti gli uomini, non in
modo isolato ma dall’intera società, la determinazione del suo concetto è compito
della scienza politica, che costituisce il vertice dell’etica stessa»5.
Applicata al campo economico, l’etica si pone domande sulla giustizia politica e
sociale, sul problema della distribuzione delle risorse, sulla definizione del welfare e
così via.
Quando si applica poi l’etica all’impresa, concepita come istituto, sorgono difficoltà
particolari proprio nel circoscrivere in modo esatto ed univoco la sfera di indagine.
In una prima accezione l’etica riguarda il modo in cui le persone si comportano
all’interno del mondo degli affari, ossia di un mondo che presuppone sempre un
contesto di istituzioni e di regole già esistenti nella società, cui gli «uomini d’affari»
si devono adeguare: «altrimenti non ci sarebbe nessuna differenza tra questi e una
banda di delinquenti»6. O ancora, se non fosse così, si correbbe il rischio che costoro
creino un’etica di casta, un’etica della imprenditoria, sottraendo l’impresa a vincoli e
a valori sociali, orientandosi verso il mero perseguimento di una efficiente
combinazione di risorse. L’impresa ha una propria intrinseca eticità, fondata sul
compito di dover perseguire le sue specifiche finalità.
Nell’ambito di questa concezione si apre la necessità di andare oltre l’orizzonte
dell’«etica degli affari», connessa all’«insieme di norme, di comportamenti
interiorizzati e di coerenze che la comunità degli affari deve possedere e praticare»7.
«Andar oltre i singoli affari significa inquadrarli nell’ambito dell’impresa, intesa non
come «macchina per affari», ma appunto come «istituto» destinato a perdurare nel
tempo, ecco che occorre far risaltare il significato di etica d’impresa, riferita al come
sono svolte in impresa le attività e le decisioni che sottostanno al suo operare»8.
Emerge così dall’agire finalizzato ad una economicità di lungo termine come la
caratteristica della eticità stia proprio nel perdurare dell’impresa, nella sua «durata» –
esplicata nella riduzione dei costi, nell’incremento delle quote di mercato,
5 Etica ed Economia, La Stampa, Torino, 1990 6 MASSARENTI A., L’etica moderna si nutre di storia, in Il Sole-24 Ore, 8 luglio 1989 (intervista all’inglese Bernard Williams) 7 Si veda l’intervento al convegno “Nuove frontiere dell’etica contemporanea”, di LOMBARDI G., Il profitto è anche morale, in Il Sole-24 Ore, 13 maggio 1989 8 REINA M., Ruolo imprenditoriale e scelte etiche, in “Aggiornamenti sociali”, a. XXXIX, n. 1 gennaio 1988, pp. 5-22
2
nell’ottimizzazione dei processi produttivi e così di seguito: si tratta di un agire che
in ultima analisi è di per sè stesso etico.
L’anima etica dell’impresa dipende quindi da chi esercita la funzione
imprenditoriale, da chi deve annoverare fra i propri obiettivi una redditività di lungo
periodo, che si esprima con l’innovare, con il produrre a costi competitivi, con il
contribuire alla soluzione del problema dell’occupazione e alla salvaguardia
dell’ambiente nella sua integrità ecologica. In sostanza il compito di creare nuove
ricchezze si deve saldare con altre finalità connesse al valore della persona e delle
relazioni sociali.
Anche chi per proprie scelte morali non si riferisce ad un orizzonte di valori
trascendenti è, in questa prospettiva, tenuto ad agire secondo canoni etici: occorre
rendere vivi i valori d’impresa nella vita quotidiana, nel fare impresa giorno per
giorno, in modo che l’impresa si trasformi in una effettiva comunità di persone in
grado di partecipare al progetto imprenditoriale e di arricchirlo, ai vari livelli della
loro attività e nelle diverse aree funzionali.
Il compito dell’imprenditore è quello di diventare portatore, quindi, anche di un
compito etico: quello di vivere gli autentici valori d’impresa con gli altri attori chiave
e con tutti i collaboratori.
1.2. Gestione dell’impresa Nel quadro concettuale tratteggiato, si possono delineare due posizioni opposte circa
le modalità etiche ed economiche di gestire l’impresa nel suo interno e nei rapporti
con l’ambiente di riferimento.
Da una parte, una posizione che riflette quel rigore etico di tipo quasi «classico-
neoclassico», che focalizza in modo esclusivo le finalità d’impresa nel profitto e
nell’efficienza, come valori prioritari, al di sotto dei quali devono essere subordinati
tutti gli altri valori dell’impresa stessa. Dall’altra parte, una posizione ispirata invece
ad una visione dell’uomo relazionato alla società, fondata quindi su valori di
carattere sociale o su valori di tipo umanistico.
Sul primo fronte, la motivazione portata da imprenditori e manager che enfatizzano il
profitto e l’efficienza è connessa al fatto che la funzione imprenditoriale deve avere
come elemento propulsivo la totale libertà di agire. In sostanza, nessun limite
3
preventivo deve essere imposto alla libertà del soggetto imprenditoriale, nessun
limite, neppure fatto da principi etici come quello della solidarietà sociale. Quello
che conta è che ci siano le possibilità concrete di reagire da parte della società in cui
l’impresa opera. L’assunto fondamentale è che l’efficienza si misura sempre ed
esclusivamente in termini di profitto. Intraprendere significa rischiare nella
prospettiva di un profitto: rischio e profitto sono due fattori ineliminabili
dell’impresa. Essi costituiscono i due estremi di una catena lungo la quale c’è
occupazione e produzione, ricerca e innovazione e così via. Ma fra questi estremi c’è
l’adempimento del vero «ruolo sociale» dell’imprenditore, le cui regole morali sono
bensì «la chiarezza nel dire e nel fare», «il rispetto della parola data», ma soprattutto
«il rispetto per la concorrenza», ragione per cui l’impresa esiste. Il bene comune
viene veramente favorito se ogni impresa persegue il proprio tornaconto nell’arena
concorrenziale.
La seconda posizione, di carattere umanistico e sociale, non mette in discussione il
profitto come finalità principale dell’impresa, perché «un’economia senza profitto è
un’economia senza sviluppo». In questa ottica si esplicita invece il significato di
«profitto» per l’impresa e per gli attori sociali. In ogni caso, il profitto, misura di
efficienza, non è il principio assoluto e unico dei comportamenti dell’imprenditore,
che è comunque tenuto ad operare in un’ottica di lungo periodo.
Il valore della libertà delle scelte personali, il valore della piena esplicazione della
risorsa «imprenditorialità» e dei suoi fattori (il rischio, la creatività, l’efficienza e
così via), il valore dell’impegno a superarsi e ad avanzare sono tutti valori che si
devono tradurre nella produzione sinergica di risultati reddituali, competitivi e
sociali.
In entrambe le posizioni delineate si persegue lo scopo di creare nuova ricchezza per
l’intera collettività: nel primo caso indirettamente, nel secondo caso direttamente in
quanto nell’attività dell’impresa si tengono presenti anche gli interessi immediati
degli altri attori ed interlocutori sociali.
Le due posizioni assumono un valore emblematico: da una parte si possono
sottolineare quelle motivazioni che spingono le persone ad intraprendere le diverse
attività economiche; dall’altra, si possono evidenziare i diversi gradi di responsabilità
4
morale derivante dalla propria condotta, sia sul piano strettamente individuale, sia su
quello dei rapporti con la collettività.
La responsabilità morale è ricollegabile ai singoli individui, e presuppone una
coscienza morale più o meno evoluta in base al livello di cultura acquisito e al grado
di consapevolezza dei valori posseduto.
E’ necessario che gli imprenditori riflettano attentamente su questo aspetto etico
della vita personale e dei propri collaboratori, ai vari livelli e nelle varie aree
funzionali, ben consapevoli che la loro impresa non può vivere senza una «coscienza
morale». Si devono così creare le condizioni per una diffusione e una crescita della
mentalità imprenditoriale all’interno e all’esterno dell’impresa. In tal modo finisce
per sfumare la demarcazione tra imprenditore ispirato a principi e valori vicini alla
morale cristiana e imprenditore estraneo, laddove entrambi sono intesi come portatori
di una forza innovativa e propulsiva dello sviluppo economico e sociale.
Questa dimensione etica ha la propria ragion d’essere nel compito di produrre
ricchezza non soltanto per le generazioni presenti o per un limitato gruppo sociale,
ma per quelle che seguono e per i gruppi sociali che ancora non fruiscono dei
benefici del progresso economico.
Allora, discutere di etica e di impresa significa entrare nel cuore del problema della
crescita economica e sociale, vincere il peso di antichi pregiudizi, per i quali si è
ancora abituati a contrapporre gli interessi della collettività con quelli dell’impresa.
Imboccare la strada di una nuova visione di questa realtà può senz’altro favorire la
nascita e la crescita di nuove forze imprenditoriali.
1.3. Etica filosofica ed etica teologica Il Cardinal Maria Martini presente al seminario interdisciplinare tenutosi a Lecco nel
giugno 1989 ha voluto distinguere l’etica filosofica dall’etica teologica.
La prima si dedica all’analisi e alla ricerca del fondamento filosofico delle realtà
morali, la seconda invece deriva le norme dell’agire morale dalla parola di Dio
testimoniata dalla Chiesa.
Entrambe non si contrappongono ma neppure si identificano.
L’etica teologica è etica cristiana perché ha la propria fonte nella Rivelazione di Dio
in Gesù Cristo. Allora, noi spesso ci chiediamo: «Questa etica è estranea alle forme
5
di promozione dello sviluppo economico?». Ci vengono in aiuto passi evangelici
come quello di Matteo: «Nessuno può servire a due padroni; o odierà l’uno e amerà
l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e mammona»
(Mt 6, 19-20) o ancora «Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi per quello
che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la
vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del
cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro
celeste li nutre» (Mt 6, 25-26).
Non è facile allora, concordare l’attività economica – che richiede sviluppo,
preveggenza, moltiplicazioni di beni – con massime di questo tipo che sembrano
essere destinate a poche eletti. Chi esercita un’attività di tipo economico, finanziario,
imprenditoriale, e tende al successo economico, all’accrescimento, alla
moltiplicazione, di fronte a tali affermazioni evangeliche si sente colpevolizzato.
Per l’etica filosofica non c’è antagonismo o contraddizione tra successo economico e
moralità. La morale sembra intesa semplicemente come uno dei molteplici fattori che
empiricamente e in varia misura influiscono sul successo dell’impresa economica e
viene definita come il consenso circa i valori non propriamente economici quali la
fedeltà alla parola data, la sincerità, la riservatezza, la solidarietà verso i
collaboratori, il soddisfare i debiti e così via. E la morale, intesa in questo modo,
svolge come dice il Cardinal Maria Martini una funzione lubrificante, riducendo gli
attriti nei rapporti di lavoro e rendendo più agevole e più spedito il processo di
produzione, e una funzione di carburante, fornendo motivazioni particolarmente forti
e assicurando quel coinvolgimento soggettivo che è condizione necessaria alla buona
qualità della produzione.
Se dunque esiste certamente un rapporto tra il successo economico e l’agire etico,
dobbiamo però aggiungere subito che è inaccettabile quel modo di intendere la
morale come mezzo di successo.
1.4. Etica laica Secondo Toni Negri9 gli elementi costitutivi di un’etica laica sono cinque:
9 NEGRI T., Il lavoro di Giobbe, Manifestolibri, Roma, 2002
6
1. il principio di responsabilità;
2. la scelta della cooperazione;
3. il metodo della progettualità;
4. la condivisione di valori collettivi;
5. la ricerca di senso come dinamica di un processo indefinito.
Simon Blackburn10 non è del tutto d’accordo. L’etica, sostiene, è priva di fondamenti
o di ragioni con la R maiuscola, come quelle postulate da Kant. L’etica non deve
porre richieste eccessive alla nostra condotta.
Che cosa sia l’etica prova a dirlo in poche parole un altro studioso: «L’etica è
l’ordine che gli uomini cercano di darsi per poter vivere insieme».
Milton Friedman, economista fondatore della celebre Scuola di Chicago e autore nel
1962 del celebre Capitalism and Freedom11, afferma in un suo intervento sul New
York Times Magazine del 1970: «Vi è una sola responsabilità sociale dell’impresa:
aumentare i profitti». Soltanto dopo 40 anni, nel febbraio 2002, al World Ecomic
Forum di New York, trentasei presidenti, amministratori delegati e alti dirigenti di
multinazionali operanti nei settori dell’industria, del consumo e della finanza, hanno
potuto firmare un documento intitolato «La sfida della leadership per amministratori
delegati e consiglieri di amministrazione», con il quale i firmatari si impegnano a
porre al centro della loro attività non più la crescita del profitto, ma «l’attenzione al
sociale e alla minimizzazione di ogni impatto negativo sulla popolazione e
sull’ambiente». Il documento si chiude con l’affermazione: «I leader di ogni paese,
settore e livello devono lavorare insieme per lo sviluppo sostenibile e assicurare che i
benefici della globalizzazione si distribuiscano equamente».
1.5. I tre assi dimensionali dell’etica Se si vuole essere più precisi, si immagini di tracciare uno spazio tridimensionale
entro 3 assi cartesiani, le cui dimensioni siano rappresentate da: integrità, lealtà,
onestà. Si può definire «etica» un’azione che si trova in un qualunque asse positivo
rispetto a queste tre dimensioni.
10 BLACKBURN S., Essere buoni, Pratiche, Milano, 2003 11 FRIEDMAN M., Capitalism and Freedom, The University of Chicago Press, Chicago London, 1970
7
Si definiscono meglio i tre assi:
integrità rispetto ai propri principi: l’azione deve rispettare i propri principi
personali, qualunque essi siano.
lealtà rispetto all’organizzazione: la decisione di agire in un certo modo deve
trovare un compromesso che rispetti, non solo il dovere verso sè stessi, ma
anche il patto che ognuno si è impegnato a mantenere nei confronti
dell’organizzazione di cui fa parte (azienda, etc.)
onestà rispetto alla società: una terza dimensione, che contribuisce a
complicare ulteriormente la presa di decisione, riguarda il rispetto delle
regole e degli interessi della più generale società.
Ogni assunzione di responsabilità deve tenere conto dell’impatto della decisione di
ciascuna delle tre dimensioni etiche.
Questa strada però non ci aiuta a definire chiaramente ed una volta per tutte cosa è
etico e cosa non lo è. Il manager si trova spesso di fronte a dilemmi in cui la
quadratura del cerchio è difficile se non impossibile. La quasi totalità delle scelte
concrete non trovano risposta in regole prestabilite, la decisione va presa caso per
caso. Soluzioni generali, in quanto tali non ci servono. In sintesi non esiste una
decisione «giusta» esiste comunque una decisione presa responsabilmente.
Si può allora chiarire che non ci sono leggi, regole o procedure che possono indicarci
come essere responsabili o avere comportamenti responsabili. Per questo motivo alle
aziende non serve un decalogo bensì un codice di comportamento che parta, non
dalle risposte, bensì dalle domande da porsi prima di prendere una decisione e
scegliere l’azione più adatta da farsi, coscienti comunque che tale decisone sarà una
formula di compromesso tra tutte le variabili considerate e darà vita al miglior
comportamento possibile.
Secondo Da Re12 parlare di etica significa fare riferimento ad un insieme di principi,
di valori, di finalità, di norme volti ad illuminare e a guidare – in termini di «buono»
e di «giusto» – la vita degli uomini. Con ciò si suppone che l’uomo sia responsabile
delle proprie scelte e dei propri comportamenti: di fronte a sè stesso, in relazione agli
altri nell’ambito delle organizzazioni di cui fa parte, con riferimento al mondo.
12 DA RE A., Etica e politica, in Berti E. – Campanini G. (a cura di), Dizionario delle idee politiche, Ave, Roma,1993
8
Il vero problema che rimane da capire è se esiste davvero una pluralità di
motivazioni o se l’egoismo soltanto dirige gli esseri umani.
1.6. Evoluzione rapporto etica-economia Il dibattito sulla natura della scienza economica e sui suoi rapporti con la morale
affonda le proprie radici nella cultura illuministica del‘700; più precisamente risale
agli albori della rivoluzione industriale, periodo in cui lo stesso Adam Smith,
interprete del nuovo modo di produrre e autore dell’opera Ricerche sulla natura e le
cause della ricchezza delle nazioni (1776), aveva già fatto oggetto di propria
riflessione i «giudizi di valore o giudizi etici» che devono presiedere all’agire umano
nelle diverse situazioni, in un’opera, meno conosciuta, Teoria dei sentimenti morali,
pubblicata parecchi anni prima (1759).
Il pensiero di Smith, quindi, può essere considerato emblematico riguardo alla
polivalenza dei rapporti fra etica ed economia, sia per la sua esigenza di fondare
l’economia come sapere autonomo nei confronti dell’etica, sia per la sua
preoccupazione di non violare o modificare l’ordine etico esistente in un momento di
discontinuità storica.
L’oggetto della sua riflessione parte dalla distinzione da un lato dell’ homo
oeconomicus, caratterizzato da un modello di comportamento ispirato all’auto-
interesse; dall’altra l’uomo etico, l’uomo prudente, animato da un sentimento che lo
sospinge a varcare la soglia del proprio isolamento per incontrarsi con gli altri
uomini.
Successivamente, in piena rivoluzione industriale13, il rapporto tra etica ed economia
è andato via via divergendo.
È proprio con la rivoluzione industriale che l’economia subisce una radicale
trasformazione; il continuo cambiamento tecnologico genera accrescimenti di
produttività ed il lavoro umano, associato alla macchina, aumenta sempre più le sue
prestazioni. Si afferma, così, l’economia di mercato e questa, fiera della sua 13 Gradualmente, la tradizionale attività artigianale viene sostituita da una forma di organizzazione
produttiva che fa nascere centri industriali e commerciali. In questi anni si assiste ad un'emancipazione intellettuale, attraverso la rivoluzione scientifica e i movimenti culturali quali l'Umanesimo e il Rinascimento. E' in questo contesto che l'economia inizia ad assumere un carattere autonomo dall'etica. – SCREPANTI E. - ZAMAGNI S., Profilo di storia del pensiero economico, Nis, Roma,1992
9
autonomia e dei risultati prodotti, rivendica e pratica la più totale libertà
preoccupandosi soprattutto di capire meglio e di gestire i propri meccanismi.
In tale contesto, l’etica viene messa da parte, quasi ignorata, perché «le persone
possono praticare privatamente tutte le virtù che vogliono, ma se vogliono aver
successo nell’economia devono piegarsi alle sue leggi, entrare nel gioco dei suoi
meccanismi obbligatori»14.
Le prime preoccupazioni etiche sull’economia di mercato, e nei confronti
dell’affermarsi delle economie collettiviste, nascono per risolvere gli eccessi del
liberalismo selvaggio della prima e le disfunzioni strutturali delle seconde. In
particolare «si va alla ricerca dell’equità, solidarietà, protezione e promozione dei
deboli, sforzandosi di trovare un sistema economico il cui funzionamento sia
produttivo del bene comune».15
Nonostante tali sforzi, l’etica resta esterna all’economia in quanto è solo grazie
all’intervento del potere politico ed amministrativo che si possono compensare le
mancanze etiche e sociali del «mercato». L’espressione «economia sociale di
mercato»16 traduce bene questa prospettiva.
Il trionfo della visione etica dell’economia avviene con l’elaborazione del «pensiero
scolastico».17
Espressione di questa visione è la definizione del concetto di giusto prezzo derivante
dell’applicazione del principio di giustizia commutativa e dalla necessità di impedire
illeciti arricchimenti a danno dei più deboli.
Se vogliamo schematizzare i concetti, si può dire che l’economia moderna, fin dalla
sua nascita, è contrassegnata da una duplice anima: «una etica, comprendente l’intera
gamma delle motivazioni umane all’azione; l’altra ingegneristica, basata sul calcolo
razionale, sulla massimizzazione dell’interesse personale e sulla coerenza interna
dell’ordinamento delle scelte»18. Ciò ha comportato il rischio di una divaricazione fra
14 FALISE M. - REGNIER J., Économie et foi, Centurion, Paris, 1993. Trad.it. Economia e fede, Queriniana, Brescia, 1994 15 WEBER M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, 1965 16 CORNO F., Etica e impresa, scelte economiche e crescita dell’uomo, Cedam, Padova, 1992 17 TONDINI G., I rapporti tra etica ed economia. Le ragioni di una visione unitaria, in G. Gaburro, R. Molesti, G. Zalin (a cura di), Economia Stato, Società, Ipem Edizioni, Pisa 1990, pp. 507-536 18 CORNO F. (a cura di), Etica e impresa – scelte economiche e crescita dell’uomo, Cedam, Padova, 1989
10
economia, intenta a darsi uno statuto scientifico ed etica, forte di un sapere ritenuto
universale e perciò esso stesso normativo.
Il pensiero etico, d’altro canto, ha generato l’abitudine a considerare la bontà delle
azioni umane indipendentemente dai risultati concreti ed ha conservato nel tempo la
sua pretesa di sapere astratto, valido per ogni circostanza storica e sociale, in grado di
insegnare in che modo le persone dovrebbero riflettere sui fatti fondamentali della
propria vita.
L’analisi economica, al contrario, con la sua caratteristica di sapere empiricamente
fondato, ha insistito sulla valutazione dei risultati effettivamente conseguiti,
enfatizzando in ambito aziendale gli aspetti connessi all’efficienza e alla
massimizzazione dei profitti. Da qui la concezione che l’economia possa e debba
essere una scienza neutrale nei confronti dei giudizi etici, perché essa si occupa solo
dei mezzi scarsi e suscettibili di impiego alternativo.
Sul fronte opposto, si è fatto notare che una scienza economica «disinteressata non è
mai esistita e non potrà mai esistere per ragioni logiche». I giudizi etici, infatti, si
insinuano in ogni processo analitico al momento della scelta del problema da
esaminare, nella scelta delle ipotesi, nella definizione degli stessi concetti analitici,
nella formulazione degli indici di misurazione e riflettono necessariamente la visione
dell’uomo e della società.
Inoltre, l’idea che la scienza economica debba essere al servizio del benessere umano
porta a concludere che essa è subordinata all’etica: non può assimilarsi alle scienze
fisiche e naturali, non tanto perché diverso è il metodo, quanto perché diverso è
l’oggetto.
L’elemento etico è connesso all’economia proprio perché è intrinseco al suo oggetto:
vale a dire, il comportamento dell’uomo libero e responsabile.
Con riferimento al pensiero di J. Maritain19, nell’ordine gerarchico che si può
stabilire tra valori morali e valori economici, si potrebbe parlare di fini infravalenti,
nel senso che gli obiettivi economici perseguiti nelle varie attività non sono da
considerarsi obiettivi indifferenti fra le possibili scelte morali, ma nel senso che sono
fini di per sé stessi, degni di essere perseguiti, in quanto per la loro natura sono
subordinati agli interessi della persona umana e alla civile convivenza sociale.
19MARITAIN J., Nove lezioni sulla legge naturale, Jaka Book, Milano, 1985
11
Il mito dell’economia pura sembra di conseguenza destinato a tramontare.
1.7. Le tre soluzioni proposte da Vittorio Coda La vita di un’impresa è costituita da fatti e comportamenti posti in essere dal
management, dai lavoratori dipendenti, dagli azionisti di controllo, che sono
suscettibili di valutazione etica. Tuttavia, quando si entra in questioni complesse –
protezione dell’ambiente, tagli occupazionali, comportamenti da tenere in settori in
cui è diffusa la pratica della corruzione e così via – il giudizio morale diventa
difficile, perché ci si trova innanzi più esigenze che sono fra loro contrastanti.
Inoltre, ciò che rende problematico il giudizio morale dinanzi a questioni complesse
è il contrasto fra ragioni dell’etica e ragioni dell’economia.
Come uscire da questa contrapposizione?
Lo studioso Vittorio Coda al convegno precedentemente citato, a cui aveva parlato
anche il Cardinal Maria Martini, ha proposto tre soluzioni:
Il primato del sociale sull’economico
La subordinazione del sociale alle leggi dell’economia di mercato
Le logiche di contemperamento
1.7.1. Il primato del sociale sull’economico La dottrina del primato sociale sull’economico trascura la grande rilevanza sociale
che ha il ruolo economico dell’impresa. La competitività e la redditività non sono
fatti privati che interessano soltanto l’imprenditore o la proprietà azionaria; riguarda
bensì anche i lavoratori e le loro famiglie e la collettività tutta, il cui tenore di vita è
fortemente dipendente dalla competitività del sistema produttivo.
Inoltre, la dottrina in parola, svalutando le finalità di carattere economico, induce
nelle imprese che la fanno propria un clima di rilassatezza organizzativa in cui viene
meno ogni tensione all’economicità e alla efficienza.
Soggiacente alla dottrina del primato sociale, in fondo, sta l’idea che l’impresa ha
come missione fondamentale quella di salvaguardare l’occupazione, creare nuovi
posti di lavoro, promuovere lo sviluppo economico di regioni depresse e così via.
12
Tali obiettivi tuttavia, prevedono in realtà missioni aziendali inaccettabili, perché
nessuna impresa può soddisfare domande sociali come quelle appena descritte, se
non nella misura in cui è capace di porsi al servizio economico di dati bisogni di
clienti o utenti. Ci possono essere casi specifici di aziende, come ad esempio le
banche che operano raccogliendo e impiegando risparmio prevalentemente in certe
regioni o in un certo paese, il cui elemento centrale della missione aziendale è quello
di promuovere lo sviluppo delle realtà locali o nazionali. Pertanto, al di fuori di casi
come questi, l’elemento sociale non rappresenta il fine principale dell’impresa, ma
deve coniugarsi con l’economico soddisfacimento di certi bisogni dei clienti.
Non è nemmeno accettabile come missione aziendale quella di «fare profitti». Infatti,
è vero che l’impresa gioca un ruolo fondamentale economico, consistente nella
produzione di beni e servizi aventi un «valore» maggiore di quello dei fattori
produttivi in essi incorporati, ma la produzione di un profitto è la conseguenza delle
capacità dell’impresa di servire i clienti valorizzando e sviluppando le risorse e le
competenze di cui dispone.
Le conseguenze di un comportamento aziendale che lascia in secondo piano le
esigenze del cliente sono l’emarginazione progressiva dell’impresa dal mercato, se
opera in un contesto competitivo e il progressivo deterioramento del «sistema del
prodotto» offerto al cliente, se essa opera in un regime poco o per nulla
concorrenziale. 1.7.2. La subordinazione del sociale alle leggi dell’economia di mercato Sul versante opposto si colloca l’impostazione che ha come fondamento le ferree
leggi dell’economia di mercato. Secondo tale dottrina, che mantiene la
contrapposizione tra fini sociali e fini economici, sono i primi a dover essere
subordinati e sacrificati ai secondi, perché così impongono le leggi dell’economia.
Il perseguimento del profitto deve avvenire nel rispetto delle regole del gioco definite
dall’ordinamento giuridico vigente e da eventuali codici di etica degli affari.
Tuttavia, le leggi dell’economia di mercato non annullano ogni discrezionalità nella
condotta delle imprese. Anzi, il management dispone di margini di discrezionalità da
utilizzare in funzione di obiettivi di profitto che si caratterizzano non solo per la
13
dimensione quantitativa, ma anche e più ancora per la qualità, dipendente dai modi in
cui il profitto è prodotto e dagli scopi per cui esso è prodotto.
Le norme giuridiche non possono e non devono condizionare le decisioni
dell’impresa e per quanto possono venire osservate, non assicurano una eticità di
comportamento. E il rischio di tale eventualità è tanto maggiore quanto più
management e gruppi di controllo sono convinti che le conseguenze sociali del loro
agire non li riguardano, dovendosi di esse darsi carico solo in altre sedi e non anche
nell’ambito delle loro imprese.
Per quanto riguarda poi le norme di comportamento etico, queste dovrebbero
stimolare comportamenti orientati soprattutto ad assicurare la vitalità e lo sviluppo
duraturo dell’impresa e non invece dettati da aspirazioni ed ambizioni perseguite a
scapito della prosperità aziendale. Ma codici di etica degli affari così concepiti non
hanno nulla a che vedere con la concezione dell’impresa a cui fa riferimento questa
impostazione.
1.7.3. Le logiche di contemperamento Le impostazioni finora considerate, in particolare la prima, riconosce il profitto in
antitesi con il progresso umano e sociale e non come mezzo essenziale, mentre la
seconda ammette che qualsiasi tipo di profitto è fattore di sviluppo integrale
dell’uomo e della società.
Tra queste due logiche estreme che non sempre portano ad una soluzione per
districarsi nelle situazioni complesse, ritroviamo una intermedia che cerca di
coniugare valori di tipo umanistico con quelli di tipo economico.
Si presenta però il problema che anche questa soluzione presenta gli stessi limiti
delle due precedenti impostazioni, restando ancorate ad una concezione di antitesi tra
esigenze etico-sociali ed esigenze competitivo-reddituali delle quali, proprio perché
conflittuali, si renderebbe necessario una soluzione di compromesso. Il profitto non
viene più svalutato e neppure assolutizzato. Però non si opera il passaggio decisivo
verso il riconoscimento che c’è modo e modo di concepire e di perseguire il fine di
profitto. Cioè, non si riconosce che c’è un profitto che nasce dal rispetto e dalla
valorizzazione delle risorse tutte (umane, finanziarie, ambientali), dalla capacità di
14
servire, dalla capacità di servire economicamente bisogni che non contraddicono le
esigenze di incivilimento. E c’è invece un profitto prodotto da imprese che sfruttano
il cliente (traendo vantaggio dalla sua ignoranza, da situazioni di monopolio, accordi
di cartello e così via), non rispettano l’ambiente, reprimono le potenzialità di gran
parte di coloro che prestano la loro opera nell’azienda, consumano il patrimonio
tecnologico e commerciale accumulato in passato. Insomma, non pongono le basi di
competitività e di consenso occorrenti per uno sviluppo duraturo dell’azienda.
1.7.4. Quale soluzione adottare? L’obiettivo a cui si vuole giungere è quello di cercare di rompere decisamente con le
concezioni conflittuali e di antitesi tra esigenze di progresso umano ed esigenze
economiche e di elaborare invece una «idea di sviluppo», nella quale prosperità
dell’impresa, benessere dei lavoratori e soddisfacimento delle altre istanze etico-
sociali siano la stessa cosa. E proprio questa idea di sviluppo diventa la bussola che
orienta il gruppo di controllo, il management e gli altri attori con cui viene condivisa.
Essa, in sostanza, rappresenta la sintesi di tutte le funzioni aziendali orientate al
progresso; progresso del settore o dei settori in cui opera l’azienda o infine progresso
della propria funzionalità economica duratura, basata sull’accumulazione del capitale
tangibile e intangibile.
La funzione imprenditoriale consiste nel coniugare le attese di valorizzazione e di
ricompensa delle risorse di cui l’impresa fruisce con i bisogni del mercato al cui
servizio essa si pone.
Un’idea di sviluppo segna un cammino di avanzamento dell’impresa lungo tutte le
dimensioni del suo complesso ruolo sociale: le risorse vengono mobilitate e
valorizzate per soddisfare economicamente i bisogni del cliente e per produrre e
accumulare ricchezza (tangibile e intangibile); ai bisogni del cliente ci si applica per
valorizzare e sviluppare le risorse di cui si dispone e per produrre e accumulare
ricchezza; la produzione e l’accumulazione di ricchezza vengono perseguite per
servire sempre meglio i bisogni del mercato e per soddisfare sempre meglio le attese
di valorizzazione e di ricompensa delle risorse, mantenendo così l’impresa su un
sentiero di sviluppo.
15
Ciò porta a sostenere che tutti i nodi problematici, in cui le esigenze etico-sociali
appaiono in conflitto con quelle economiche, a poco a poco si allentano fino a
sciogliersi. L’idea di sviluppo dell’impresa è per sua natura un cammino in progresso
in cui i sacrifici presenti sono destinati ad essere largamente ricompensati in futuro:
se si comprimono gli utili a breve, lo si fa per aumentare la competitività, investire in
quote di mercato, migliorare il rapporto con le realtà locali e così via. 1.8. Un trevigiano promotore dell’etica-economica: Giuseppe Toniolo Giuseppe Toniolo nato a Treviso il 7 marzo 1845 e morto a Pisa il 7 ottobre 1918 è
forse il maggiore esponente del pensiero sociale cattolico tra ‘800 e ‘900.
In primo luogo, lo studioso critica i contenuti ideologici che si affermano nella
seconda metà dell’Ottocento. Egli si scontra sia con il modello liberista, portatore a
suo dire solo di individualismo, sia con il modello Maxista, portatore solo di
materialismo, perché entrambi hanno espulso dalla storia l’uomo, con la sua volontà
ed i suoi fini.
Secondo Toniolo, il soggetto e l’oggetto della scienza economica non possono essere
i fenomeni, i fatti, ma l’uomo. Quest’ultimo è la vera forza motrice sia delle leggi
economiche che del processo produttivo. Introducendo il primato e la centralità
dell’uomo in campo economico, Toniolo chiarisce il ruolo assolutamente strumentale
e subordinato dei beni economici, del capitale, del mercato, dell’utile. Il principio
etico del primato dell’essere sull’avere esprime il concetto che i beni sono mezzi e
non fini, e che l’economia è regolata da leggi economiche in cui l’elemento etico è
un fattore intrinseco e non esogeno. Pertanto, sottolinea la differenza tra scienza
economica in cui l’etica è intrinseca ed attività economica intesa come semplice uso
dei mezzi per conseguire i fini.
L’etica, la morale è quella cultura che definisce il concetto di bene comune, concetto
storico e concreto. Come l’etica è intrinseca all’economia così i fini sono intrinseci ai
mezzi, anche se la storicizzazione del bene comune non significa affatto
storicizzazione dell’etica economica. Toniolo, quindi, affianca al principio di «utile»
16
il principio di «buono» che deriva dalla legge morale radicata nella coscienza del
dovere.20
1.9. Etica degli affari La nascita dell’etica degli affari può essere legata a due eventi: la pubblicazione nel
1971 dell’opera di John Rawls a Theory of Justice e la prima conferenza di etica
degli affari – novembre 1974 – svoltasi all’Università del Kansas sul tema «Ethics,
Free Enterprise and Public Policy».
E’ al 1988 che risale l’introduzione della prima tavola rotonda sull’etica degli affari
nel programma del Congresso mondiale di filosofia. Sempre nel 1988 appare un
saggio di W. Evan ed E. Freeman, dal titolo A Stakeholder theory of Modern
Corporation: Kantian Capitalism, in cui sostiene che la dottrina secondo la quale i
manager sarebbero responsabili esclusivamente verso gli azionisti dovrebbe essere
sostituita da una teoria più generale secondo cui essi hanno un «rapporto fiduciario»
verso un’ampia serie di stakeholders dell’impresa. Il fondamento morale della teoria
risiede nel principio kantiano del rispetto delle persone per il quale esse
(stakeholders) devono essere trattate come fini in sé e non come mezzi per qualche
fine.
Una delle difficoltà maggiori che si presentano ancora oggi nelle business schools
statunitensi è la scarsa integrazione tra il lavoro dei filosofi morali, da una parte, e
quello degli economisti ed esperti di management dall’altra, con la conseguenza che
pochi filosofi hanno nozioni sufficienti di business e pochi economisti ed esperti di
management sono preparati adeguatamente in etica per insegnare e scrivere con
competenza di questioni etiche nella vita professionale e pubblica.
Le due riviste sul tema più importanti e diffuse nel mondo sono Journal of Business
Ethics, di approccio più empirico, e Business Ethics Quarterly, di approfondimento
più teorico.
In Italia invece, l’etica degli affari prende avvio alla fine degli anni Settanta, per
iniziativa di alcuni studiosi ruotanti attorno ai seminari della Fondazione Feltrinelli di
Milano e proseguito, dalla metà degli anni Ottanta, attraverso le attività scientifiche 20GABURRO G., (a cura di), Etica ed economia Pensatori cattolici del XX secolo, Edizioni Dehoniane, Roma, 1993
17
del Centro studi Politeia di Milano. Una delle opere più mature dell’impegno nella
ricerca teorica nella seconda metà degli anni Ottanta è da attribuire al filosofo
Lorenzo Sacconi.21 La sua tesi centrale è che la funzione propria del codice etico è di
legittimare l’autonomia di impresa ai diversi stakeholders interni ed esterni
all’organizzazione annunciando pubblicamente che essa è consapevole dei suoi
obblighi di cittadinanza, che ha sviluppato politiche e pratiche aziendali coerenti con
questi obblighi e che è in grado di attuarle attraverso appropriate strutture
organizzative e sanzioni.
Il CELE (Centre for Ethics Law & Economics) opera dal 1997 presso il Libero
istituto universitario Carlo Cattaneo di Castellanza. In collaborazione con un gruppo
di imprese, associazioni professionali, società di consulenza e organizzazioni non
profit sta lavorando a un progetto, il Progetto Q-RES, per la definizione di uno
standard della qualità e della responsabilità etico-sociale delle imprese. La missione
del Progetto Q-RES è promuovere una visione dell’organizzazione basata sul
contratto sociale con gli stakeholders attraverso la definizione di uno standard
certificabile della responsabilità etico-sociale delle organizzazioni, che ne tuteli la
reputazione e l’affidabilità. Il modello Q-RES intende la responsabilità sociale di
impresa come un modello di governance allaragata dell’impresa, in base alla quale
chi governa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari
nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi di tutti gli
stakeholders. Il Progetto Q-RES si propone di rendere attivi e funzionanti quelli che
sono proposti come i sei strumenti cardine della responsabilità sociale: carta dei
valori, commissione valori e regole, bilancio sociale, visione etica condivisa, codice
etico, sistemi di formazione etica.
Rimane aperto il problema di chi educa i formatori, non esistendo in Italia una
tradizione consolidata nell’insegnamento dell’etica in generale e a maggior ragione
di quella applicata e l’altro, della necessità di definire e affrontare il problema
dell’etica del formatore sia che operi all’interno di un’organizzazione for profit sia
non profit.
21 SACCONI L., L’etica degli affari. Mercati, imprese e individui nella prospettiva di un’etica razionale, Il saggiatore, Milano, 1991
18
1.9.1. Ma l’etica negli affari, paga?
L’Institute of Business Ethics (IBE) di Londra é un’organizzazione che dal 1986 si
batte per diffondere i principi dell’etica nelle imprese. I suoi ricercatori hanno portato
a termine un’indagine con la quale si dimostrerebbe che le imprese con un codice
etico applicato da almeno cinque anni registrano performance migliori di quelle prive
di un codice di responsabilità sociale. Per anni studiosi e docenti si erano arrovellati
nella ricerca di una metodologia di indagine che consentisse di dare risposta al
quesito «Ma l’etica negli affari, paga? E quanto?». Il problema irrisolto era quello
dell’individuazione di una serie di riscontri oggettivi sugli effetti dei comportamenti
eticamente corretti delle imprese.
Oggi, i ricercatori dell’IBE, diretti dal professore Simon Webley, sembrerebbero
essere venuti positivamente a capo del quesito. Individuati tre indicatori di
performance (MVA o valore aggiunto di mercato, EVA o valore economico
aggiunto, Roce o ritorno del capitale investito), i ricercatori hanno osservato il loro
andamento dal 1997 a oggi su due campioni di aziende quotate alla Borsa di Londra.
Risultato, il gruppo di imprese con un codice etico applicato da almeno cinque anni
registrava performance migliori di quelle prive di un codice di corporate social
responsibility. E la misura del distacco non è marginale: le società più virtuose da un
punto di vista etico hanno generato un rapporto utili/fatturato superiore del 18 per
cento al gruppo di imprese che invece ne sono prive.
Ma avverte Webley: «Attenzione che possedere un codice etico non significa
automaticamente migliorare la performance: questo è soltanto uno degli indicatori
che segnalano se un’azienda è ben gestita. Altrimenti non si spiegherebbe come mai
Enron, che possedeva e sbandierava ai quattro venti il suo codice etico,
sistematicamente tradito dai suoi amministratori, sia poi incorsa in uno dei più
disastrosi crack nella storia delle imprese».
Ma a conferma della stretta e positiva relazione tra risultati economici d’impresa e
codici etici adottati dalla stessa, l’istituto inglese di studi sull’etica segnala il fatto
che 19 delle 24 società presenti stabilmente negli ultimi cinque anni nella classifica
delle imprese più apprezzate in Gran Bretagna, redatta dalla rivista Management
Today, possiedono un codice etico.
19
CAPITOLO 2
RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA
2.1. L’origine del termine responsabilità
La parola responsabilità contiene dentro di sé la parola risposta: può essere definito
responsabile colui che si concentra sulle risposte da dare ed è in grado di darle anche
con una certa rapidità. In realtà, andando oltre le semantica, il tema è complesso da
metabolizzare in quanto racchiude un equivoco di fondo: la responsabilità non si dà,
perché abbia un qualche effetto, essa deve essere innanzitutto assunta.
A fronte di questa necessità il mondo, e quindi le aziende, sono pieni di individui che
non amano assumersi responsabilità: questo atteggiamento è proprio della
conduzione umana. Prendersi la responsabilità risulterà più spontaneo quando la
meta è chiara e quando si ha la sensazione di avere gli strumenti per potersi arrivare.
L’umana sensazione di essere impotenti di fronte al proprio destino rischia di creare
una cultura dell’alibi, anch’essa profondamente radicata nelle nostre aziende anche
nei ruoli manageriali.
Siamo culturalmente portati a chiederci «di chi è la colpa» ed ad una tale domanda la
risposta, naturalmente, è quasi sempre «non mia». Questo concetto errato di
responsabilità è dentro di noi e nei nostri collaboratori.
L’effetto di questo approccio sarà che: dato che non è colpa mia, non posso fare
niente, ma non facendo niente non ottengo altro che rimanere nella situazione in cui
mi trovo.
In una situazione di «dolore» però possiamo porci un’altra domanda «chi ha il
problema?». In questo caso la risposta sarà «io» e ciò innescherà la ricerca di una
soluzione. Porsi questa domanda risulta spontaneo solo nei casi di effettiva
sopravvivenza, nei quali non c’è il tempo di andare a ricercare il responsabile ma non
solo il tempo di trovare una soluzione.
Essere responsabili significa chiedersi poche volte «di chi è la colpa» , e molte altre
«cosa posso fare adesso io».
20
Il termine «responsabilità» ha le sue radici nel latino respondeo a sua volta
proveniente da spondeo. In altri termini significa «portarsi garante in giustizia, dare
la propria cauzionale personale per qualcuno». Lo stesso tema si trova nel verbo
greco spendo, che significa «offro una libagione agli déi, cosa che avviene, ad
esempio prima di cominciare un’impresa rischiosa nel tentativo di garantirsi la
salvezza». Successivamente, con l’evoluzione della lingua greca, il verbo non
significherà più «chiamo gli déi come garanti di un’impresa», ma «prendersi
reciprocamente a garanti», «impegnarsi l’uno di fronte all’altro», nel momento in cui
si stipula un patto. Il senso sociale del concetto si sviluppa dal senso religioso.
Il termine respondeo esprime la reciprocità di questo impegno: la sponsio è
l’impegno di uno, la responsio è l’impegno dell’altro, la garanzia della sicurezza
reciproca. Da questa garanzia scambiata nasce il senso del respondere latino.
Rispondere, responsum si dice degli interpreti degli dèi che, in cambio dell’offerta,
danno la sicurezza: la risposta dell’oracolo. Lo stesso significato si ritrova nella
lingua tedesca. Il dovere di rispondere designa anche progressivamente una capacità,
un requisito positivo: uomo responsabile significa anche uomo degno di fiducia,
onesto, rispettabile.
Il contesto in cui la problematica emerge è una situazione di «incertezza» dovuta alla
presenza di un rischio; tale rischio può essere costituito anche e solo dal fattore
tempo, ossia dal fatto che l’azione, che i soggetti decidono di intraprendere, giungerà
a compimento in un futuro in cui, al di là delle volontà soggettive, anche le
condizioni oggettive possono mutare. A questa incertezza si cerca di rispondere con
un atto solenne, spesso con il richiamo alla sfera del sacro, in ogni caso sempre
attraverso un impegno. Di conseguenza, questo atto soggettivo di impegno elimina o
per lo meno neutralizza l’incertezza. In tale situazione, qualcuno si offre come
garante, assumendo su di sé il rischio morale o materiale dell’agire.
21
2.2 Le tre eredità del concetto di responsabilità22
Come il concetto di etica economica, anche il termine «responsabilità» deriva da
origini diverse, in particolare si citano:
o l’eredità greco-romana
o l’eredità ebraico-cristiana
o l’eredità moderna
2.2.1. L’eredità greco-romana
La prima eredità che la responsabilità porta con sé è quella dell’antica virtù civica: la
responsabilità pubblica è in primo luogo il vivere facendosi carico di ciò che è
«generale», anzi identificandosi con esso tanto da vedere nell’orizzonte della città il
senso stesso della propria esistenza storica. Tale propensione al tutto, questa passione
per la partecipazione si accompagna al rifiuto dell’orizzonte del «particolare»
considerato come qualcosa di negativo.
2.2.2. L’eredità ebraico-cristiana Questa eredità nasce dall’idea di dover rendere conto delle proprie azioni agli altri.
La responsabilità ha qui il senso di una risposta dovuta. L’uomo prima delle proprie
azioni è responsabile dell’essere. E’ l’essere stesso la fonte dell’obbligazione.
La responsabilità non comincia con una mia decisione, con la mia libertà, ma
piuttosto esige la decisione e suscita la libertà.
2.2.3. L’eredità moderna Infine la terza eredità si ricava dalla tradizione giuridica della responsabilità in
campo civile e penale ossia di quello sforzo di individuare definite modalità di
attribuzione di una colpa e di obbligazione alla riparazione di un danno, fissando
precisi ambiti e tempi entro cui la responsabilità personale può essere individuata. 22 DORIGATTI M., RUSCONI G., La responsabilità sociale d’impresa, Franco Angeli, Milano, 2004
22
Sul piano del dibattito pubblico il moderno Stato costituzionale cerca di introdurre il
senso di un agire responsabile attraverso il meccanismo della «rappresentanza» che
rende l’esercizio di un potere politico dipendente da un mandato ricevuto dai
cittadini e quindi l’agire politico obbligato a render conto non solo a Dio, ma anche
agli uomini. L’articolo 2 della Dichiarazione dei diritti della Virginia (12 giugno
1776) cita che: «Tutto il potere è nel popolo e in conseguenza emana da esso; i
magistrati sono suoi mandatari, suoi servitori e sono responsabili in ogni tempo verso
di esso». Inoltre, il moderno Stato costituzionale definisce in modo evidente chi ha
da rendersi responsabile, in quale arco di tempo ciò debba accadere, di fronte a quali
istanze, con quali procedure di conferma o di rifiuto.
2.3. La responsabilità nella cultura contemporanea «Essere responsabili significa tenere conto delle conseguenze delle proprie azioni ed
essere disposti a pagare il conto delle proprie azioni», così Max Weber riassume il
concetto di responsabilità. Ma – dobbiamo chiederci – è sufficiente definire la
responsabilità come responsabilità delle conseguenze o non è troppo generico e
vago? Che cosa significa «conseguenze prevedibili» in un’età in cui l’agire umano
può avere come conseguenza umana l’automanipolazione della propria specie? Sono
questi gli interrogativi che ha posto alla riflessione contemporanea Hans Jonas nel
suo Il principio responsabilità. L’agire responsabile non nasce da un atto nobile
dell’uomo che si sottopone al giudizio sulle conseguenze delle proprie azioni, ma
nasce invece dal dover essere dell’essere stesso. «In primo luogo viene il «dover
essere» dell’oggetto, in secondo luogo il «dover fare» del soggetto chiamato ad
averne cura. Questo tipo di responsabilità e di senso della responsabilità, non la
«vuota» responsabilità formale di ogni agente per la sua azione noi intendiamo
quando oggi parliamo della necessità di un’etica della responsabilità nei confronti del
futuro.»23
E il primo dovere è quello di non mettere in pericolo le condizioni della
sopravvivenza dell’umanità sulla terra.
23 JONAS H., Il principio di responsabilità: un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 1993
23
Infine il concetto di responsabilità non può essere un concetto paternalistico, cioè un
prendersi cura degli altri, un sostituirsi agli altri che sottragga gli altri al compito
delle loro decisioni e alla loro stessa responsabilità. E’ anche vero che nelle
situazioni concrete le relazioni umane sono spesso asimmetriche e la responsabilità
non ha subito la struttura della relazione reciproca: il caso ad esempio del dirigente,
però l’altro si deve sentire in uguale dovere di agire responsabile.
2.4. Comportamenti socialmente responsabili Un comportamento responsabile deve assumere il carattere dell’internazionalità. Con
ciò si intende sottolineare che la globalizzazione è sia estensione dei prodotti sia
estensione dei problemi a livello mondiale. Non è sufficiente quindi sostenere che la
propria attività è «etica» se poi si affida ad altri (lavoratori per conto, fornitori di
semilavorati, prodotti finiti o servizi) l’onere di comportamenti difformi e non
responsabili socialmente. Per questo, la maggiore difficoltà per le aziende che
vogliono adottare la Responsabilità Sociale di Impresa (RSI) consiste nel qualificare
e tenere sotto controllo i propri fornitori, i quali devono impegnarsi a rispettare gli
stessi requisiti sociali fatti propri dall’azienda. Quest’ultima deve dimostrare di porre
attenzione a tutte le parti interessate alle proprie attività, i cosiddetti «stakeholder»:
questi sono interni all’azienda (azionisti, dipendenti, manager) o esterni ad essa
(fornitori, clienti, consumatori, istituzioni pubbliche, ambiente, opinione pubblica).
Di conseguenza, l’azienda deve anche impegnarsi a rispettare tutte le leggi ed i
regolamenti vigenti in materia nel proprio paese, ove questi siano più ristrettivi del
«codice etico» adottato.
Inoltre, va evidenziato che la logica della «responsabilità sociale» può significare
rinunciare agli obiettivi di breve periodo, per considerare come criteri di scelta
rilevante – a preventivo – e variabili da misurare e valutare – a consuntivo -:
1) la qualità della salute fisica e psichica dei lavoratori e la sicurezza sul lavoro;
2) la predisposizione di programmi di formazione e di educazione del personale,
soprattutto in previsione di fasi di sospensione dal lavoro o di riconversione
professionale o aziendale;
3) la prevenzione del degrado ambientale o il suo recupero;
24
4) la promozione e il sostegno di attività che favoriscono la coesione sociale e la
qualità della vita (tramite attività artistiche, culturali, sociali, sportive, di
integrazione degli immigrati, etc.);
5) l’erogazione di servizi che migliorano la qualità del lavoro (come asili nido
per le madri lavoratrici, sussidi allo studio per la promozione sociale dei figli
indipendenti, programmi di inserimento lavorativo per portatori di disabilità,
aree attrezzate e servizi per ridurre lo stress, etc.)
Il capitalismo del terzo millennio zoppicherebbe ed infine crollerebbe al suolo
camminando sulla sola gamba della concorrenza. La stabilità del suo cammino
esige congiuntamente concorrenza e collaborazione.
2.5. Alcune reazioni sul tema della responsabilità etica e sociale delle imprese
o la questione della responsabilità sociale dell’impresa è risolta da tempo. Essa
ha per missione quella di produrre ricchezza, di essere efficiente, di
conseguire profitto. Così facendo genera benessere per l’intera società. «Il
vero dovere sociale dell’impresa è ottenere i più elevati profitti (ovviamente
in un mercato aperto, corretto e competitivo) producendo così ricchezza e
lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile…Vi è una sola
responsabilità sociale dell’impresa: aumentare i suoi profitti»24;
o «di fronte alla gravità dei problemi economici, di fronte all’asprezza della
competizione internazionale che brucia margini e possibilità di azione,
parlare di etica e di responsabilità dell’impresa è, tutto sommato, una inutile
perdita di tempo, al limite può rivelarsi fuorviante;
o l’etica, la responsabilità e magari la cultura sono un lusso per le imprese che
hanno i mezzi per permettersele. Rappresentano un qualcosa su cui pensare
dopo aver risolto problemi più importanti e urgenti. Avendo tempo e risorse
possono costituire utili ingredienti per una politica di immagine aziendale, di
relazioni esterne;
o il ruolo del sociale non viene negato o trascurato. Esso deve però essere
iscritto nella categoria dei vincoli, stabiliti dalle pubbliche regolamentazioni o
assunti autonomamente dall’impresa nella formulazione delle proprie 24 FRIEDMAN M., Capitalism and Freedom, Chicago University Press, Chicago, 1962
25
strategie economiche. A date condizioni il vincolo può anche tramutarsi in
opportunità fornendo l’occasione per progettare e realizzare nuovi business
(in campo ecologico ad esempio);
o non potevo agire diversamente se volevo restare sul mercato… Se anche
avessi agito correttamente nulla sarebbe cambiato… La responsabilità è
dell’impresa in quanto tale e non dell’imprenditore o del manager… Bastano
le leggi, non c’è bisogno dell’etica»25.
L’elenco potrebbe ulteriormente continuare. Tutte le reazioni hanno in comune
una eccessiva semplificazione della realtà, con la creazione talvolta di comodo
alibi.
Le riflessioni prima esaminate ci confermano che dell’etica non si può fare a
meno se si vuole dare una risposta ai problemi e alle trasformazioni che abbiamo
di fronte.
La responsabilità sociale si concretizza in politiche ed interventi mirati,
traguardati su determinate problematiche sociali avvertite come rilevanti. Ad
esempio, l’impresa può destinare una percentuale del suo fatturato alla lotta
contro alcune malattie oppure alla salvaguardia del patrimonio storico
ambientale, etc. Come pure l’impresa può astenersi da comportamenti ritenuti
pregiudizievoli alla luce di determinati valori etici (per una banca non finanziare
imprese che producono armi). L’impresa, allora, assume volontariamente una
obbligazione sociale nei confronti della collettività di cui si sente compartecipe.
Ai consueti investimenti necessari per raggiungere i suoi obiettivi di sviluppo
economico e produttivo l’impresa affianca un volume maggiore o minore di
«investimenti socialmente responsabili» (questi negli Stati Uniti hanno raggiunto
il 10% degli investimenti complessivi).
La valutazione che il mercato dà di un impresa dipende anche dalle performance
sociali dell’impresa stessa. Non si può competere con successo senza
legittimazione sociale. Il ragionamento tradizionale secondo cui il perseguimento
di politiche socialmente responsabili comporta dei costi addizionali per l’impresa
viene di fatto capovolto. E’ la non legittimazione sociale ad essere onerosa.
L’incoerenza tra concreti comportamenti di impresa e valori ritenuti rilevanti per
25 MAFFETTONE S., L’impresa motore dello sviluppo, Sipi, Roma, 1994
26
la collettività (rispetto dei diritti umani, rispetto dell’ambiente, etc.) viene
sanzionata dal mercato in termini di minori vendite, perdita di immagine e di
attratività (si vedano i casi Nike, Reebok, Nestlè).
Il professore Zamagni26 sostiene che ai capitalisti del XXI secolo non basta
essere bravi negli affari; devono sentirsi accettati dalla società civile. All’impresa
viene oggi chiesto ciò che un tempo sarebbe stato considerato impossibile:
«giustificarsi!»
Sono cambiate le esigenze delle imprese, si è passati alla domanda di maggiore
trasparenza e affidabilità delle informazioni per poter valutare il grado di
soddisfazione delle aspettative dei diversi stakeholder; alla diffusione e utilizzo
da parte dei consumatori di guide al consumo responsabile; alla necessità di
rispettare determinati criteri etici per poter accedere ad altre istituzioni finanziarie
(si veda anche la crescita dei fondi etici); alla moltiplicazione degli strumenti di
responsabilità sociale quali il codice etico, il bilancio sociale, ecc.
L’impresa «economicamente eccellente» deve essere anche «socialmente
capace» ovvero in grado di «assumere come obiettivo di azione e come pratica
quotidiana il perseguimento congiunto del valore economico e del valore
sociale».
Butera27 dà la seguente definizione di impresa socialmente capace: «E’
quell’impresa che, indipendentemente dall’assetto giuridico formale o
istituzionale, produce ricchezza, benessere e socialità, contribuisce a generare
contesti istituzionali, economici e sociali idonei allo sviluppo, assicurare
remunerazione a tutti gli stakeholder, inclusi ovviamente gli shareholders»
L’assunzione di responsabilità sociale da parte dell’impresa non è un qualcosa di
automatico, richiede comportamenti consapevoli e strategicamente orientati. A
tale riguardo Frederick28 individua quattro atteggiamenti graduali di intensità:
o atteggiamento passivo. Ai mutamenti ambientali, alle mutate esigenze di
socialità l’impresa risponde resistendo il più possibile, chiudendosi a
riccio;
26 ZAMAGNI S., Della responsabilità sociale dell’impresa, Bologna, 2002 27 BUTERA F., L’impresa eccellente socialmente capace, in Impresa e stato, n.58, 2003 28 FREDERICK W.C, Business and Society, McGraw-hill, New York, 1988
27
o atteggiamento reattivo. L’impresa risponde a posteriori, adeguandosi
quando le pressioni dell’ambiente diventano particolarmente forti ed
incidenti (ieri si poteva inquinare, oggi meno. Occorre adattarsi);
o atteggiamento proattivo. L’impresa cerca di anticipare il cambiamento,
magari ricorrendo anche a politiche di immagine e manipolatorie;
o atteggiamento interattivo. L’impresa promuove un rapporto dialogico con
l’ambiente e con gli altri protagonisti sociali ed istituzionali nell’ambito
di una responsabilità condivisa. In questa ottica l’impegno sociale
dell’oggi, che potrebbe anche voler dire minore profitto immediato, crea
le condizioni per il benessere futuro, aumentando la capacità di sviluppo
dell’impresa nel consenso, nella trasparenza e nell’affidabilità.
Quando il manager percepisce la valenza etica del suo agire professionale? Ci
sono al riguardo due momenti specifici:
o Quando prende decisioni e prendere decisioni significa scegliere tra
più alternative possibili, non tutte indifferenti in termini di etica e di
responsabilità;
o Quando comunica agli altri ed attua le decisioni prese, scegliendo i
mezzi più opportuni, ma non tutti i mezzi sono neutrali dal punto di
vista che ci interessa.
Il problema etico sorge quando è impossibile soddisfare un interesse, un’esigenza
senza sacrificarne altre: il bene dell’azienda, il rispetto dell’individuo, del lavoratore,
del consumatore. Di fronte a queste questioni non esistono ricettari o manuali di
pronto intervento. La responsabilità ultima è sempre dell’uomo che deve fare i conti
con la propria coscienza.
Nell’affrontare e risolvere i problemi, il comportamento dell’imprenditore può essere
ascritto a due differenti concezioni etiche: una concezione consequenzialistica o
teleologica, da un lato, una concezione deontologica dall’altro. Secondo la prima
concezione le scelte sono giudicate esclusivamente in base alle conseguenze che
producono, per cui una conseguenza buona rende giusta la scelta che l’ha prodotta. In
base alla seconda concezione una scelta è valutata non in rapporto ai risultati, ma
bensì in funzione di certi principi e di certe regole che si pongono come antecedenti
28
logici della decisione stessa. Concretamente, la distinzione tra queste due concezioni
non è assoluta: in pratica ci troviamo di fronte a situazioni miste.
Quasi mezzo secolo fa, F. Perroux29 così si esprimeva: «L’evoluzione del capitalismo
non avverrà spontaneamente, ma sarà opera di economisti e di imprenditori che
abbiano compreso che l’economia deve essere a servizio dell’uomo: non di pochi
privilegiati, ma di tutti gli uomini». 2.6. L’irresponsabilità sociale La sanzione di irresponsabilità sociale viene attribuita se il gruppo dirigente non
definisce e non rende visibili e condivisi missione, obiettivi, programmi e progetti,
mezzi e risorse necessari alla realizzazione. E’ questo, nella connotazione di
un’impresa che si voglia socialmente responsabile, un insieme di prerogative e
requisiti che si direbbero ovvi – ma non per questo così scontati.
In secondo luogo, un’impresa dimostra di essere socialmente irresponsabile nel caso
di una manifesta incapacità di creare al suo interno relazioni sociali, clima
collaborativi, partecipazione e coinvolgimento favorevoli a un efficiente
funzionamento delle attività necessarie a raggiungere i propri fini.
Un altro punto a sfavore può scattare là dove manchi o sia carente la tutela dei diritti
sindacali e il rispetto delle norme contrattuali nei confronti di tutti gli addetti e i
dipendenti, sia quelli attivi nella sede principale sia quelli dislocati nelle sedi
eventualmente operanti in qualsiasi area e paese del pianeta.
Un’impresa può connotarsi come socialmente irresponsabile laddove il gruppo
dirigente, o una sua parte significativa, adotti, appropriandosi di risorse e
sottraendole così ai legittimi destinatari, pratiche scorrette e gravemente lesive degli
interessi dei propri dipendenti e azionisti.
Un’impresa si segnala per comportamenti socialmente irresponsabile verso la platea
degli interlocutori a essa esterni, quando, per esempio, al fine di risparmiare risorse
finanziarie proprie non mette in atto tutti i comportamenti necessari a salvaguardare
l’integrità dell’ambiente in cui opera, ambiente inteso sia in termini fisici e naturali
sia umani e sociali.
29 PERROUX F., Il capitalismo moderno, Garzanti, Milano, 1960
29
2.7. Corporate social responsability (CSR) La «Responsabilità Sociale delle Imprese» – CSR Corporate Social Responsabilità –
viene definita dal Libro Verde30 come «l’integrazione, su base volontaria, da parte
delle imprese delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni
commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate (stakeholder)».
Essere socialmente responsabili significa andare oltre il semplice rispetto della
normativa vigente, investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti
con gli stakeholder. Ciò si traduce nell’adozione, a livello economico e culturale, di
una politica aziendale che sappia conciliare gli obiettivi economici con gli obiettivi
sociali e ambientali.
La CSR, pur essendo un argomento dibattuto in Europa da oltre un decennio, ha
assunto valenza politica solo negli ultimi anni. In occasione del Summit di Lisbona
del 2000, infatti, l’Unione Europea ha inserito il tema tra i suoi obiettivi strategici.
La Commissione Europea, con il Libro Verde del 2001 e con una Comunicazione del
2002, ha proposto alcune linee guida e ha invitato gli Stati Membri a farsi promotori
della diffusione di questa cultura nei rispettivi Paesi. L’obiettivo è rendere l’Europa
più competitiva, socialmente coesa, capace di una strategia di sviluppo sostenibile.
2.7.1. L’evoluzione del concetto di CRS
Gli studi sulla responsabilità sociale delle aziende nascono molto prima degli studi di
etica aziendale e, anche se il concetto si può far risalire a diversi secoli addietro, la
maggior parte della letteratura è stata prodotta nel ventesimo secolo – in particolare
negli ultimi 50 anni – negli Stati Uniti. Il concetto di responsabilità sociale delle
imprese in senso moderno nasce negli anni ’20, quando si comincia a parlare della
necessità per i dirigenti di azienda di operare nell’interesse non solo degli azionisti,
ma anche di altri interlocutori sociali. Tale corrente di pensiero, tuttavia, rimane per
lungo tempo marginale nel pensiero economico a causa prima della depressione degli
anni ’30 e poi del conflitto mondiale degli anni ’40, che imponevano altre priorità.
30 COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese – Libro Verde, 2001
30
Anche se i primi scritti si possono far risalire a studiosi degli anni ’40, quali Barnard,
Clark e Kreps, è solo negli anni ’50, dunque, che l’argomento viene discusso
ampiamente dalla letteratura accademica e manageriale.
Il “padre” della corporate social responsabilità è lo studioso Bowen, il quale parte dal
principio che le imprese di maggiori dimensioni sono centri vitali di potere, le loro
decisioni e le loro azioni investono e condizionano la vita della società da molti punti
di vista. L’autore dà una prima definizione di responsabilità sociale: «It refers to the
obligations of businessman to pursue those policies, to make those decisions, or to
follow those lines of action which are desirable in terms of the objectives and values
of our society».
Il dibattito scientifico, in questa prima fase si concentra, dunque, sulla social
responsabilità dei «businessmen». L’idea di responsabilità sociale ha suscitato un
ampio dibattito, sia sulla stessa esistenza sia sull’ampiezza dei contenuti.
Molti autori, infatti, pensavano che tale obbligo fosse spesso limitato da
considerazioni di tipo economico-finanziario e di profitto – famose le posizioni di
Friedman – o discutevano l’efficacia di una regolamentazione sociale imposta dallo
Stato. Nonostante i numerosi attacchi, tuttavia, l’idea di responsabilità sociale
continuava a diffondersi, non solo tra gli studiosi di economia e la pubblica opinione,
ma anche tra i dirigenti d’azienda.
Negli anni ’60 si afferma definitivamente la locuzione «corporate social
responsability» (CSR) e si assiste ad una crescita notevole di contributi in materia,
tra i quali ricordiamo quelli di Davis e Frederick.
Si delinea perciò progressivamente una responsabilità dell’impresa che va oltre le
obbligazioni economiche e legali, anche se i contenuti concreti non sono ancora ben
definiti.
Solo verso la fine del decennio Walton31 arriva a precisare che la responsabilità
sociale implica un certo grado di volontarietà dell’azione, come opposta alla
coercizione, nonché l’accettazione di costi per i quali potrebbe non essere possibile
definire e misurare nessun diretto ritorno economico.
Con lo sviluppo di tale concetto iniziano ad emergere anche le critiche al filone di
pensiero sulla corporate social responsability.
31 WALTON C.C., Corporate social responsibilities, Belmont, Wadsworth
31
Innanzitutto la vaghezza delle definizioni: le imprese si devono semplicemente
uniformare alle richieste della società o devono anticiparne i bisogni futuri? Quanto
deve incidere sul sociale un’impresa per poter essere considerata socialmente
responsabile? Come è possibile definire e misurare standard di responsabilità
sociale? Sono alcune delle questioni sollevate, alle quali però la dottrina non riesce a
dare una risposta univoca. In secondo luogo, l’esistenza di un trade-off tra i vari tipi
di costi e ricavi sociali ed economici: si acquisisce cioè la consapevolezza che il
miglioramento delle condizioni economiche e sociali di un’impresa può comportare
il peggioramento di un’altra. Infine, l’obiezione di determinare solo operazioni di
facciata senza incidere sulla ridefinizione del sistema di obiettivi dell’impresa.
2.7.2. Le tappe principali dello sviluppo 1) Anni ’70: quattro filoni di studio
Durante gli anni ’70 l’analisi dottrinale approfondisce principalmente quattro filoni
di studio.
Il primo, cerca di individuare quali caratteristiche debbano possedere i
comportamenti dell’impresa per poter essere qualificati come socialmente
responsabili. Ritorna l’elemento del volontarismo e Davis32 con una sua locuzione
definisce che «la CSR comincia dove finisce la legge: un azienda non può essere
considerata socialmente responsabile se si attiene solo al minimo previsto dalla
normativa».
Carroll33 invece, riconosce il perseguimento di obiettivi sia economici che sociali.
L’autore infatti, sostiene che l’impresa ha in primo luogo responsabilità economiche
di creazione del valore (a partire dalla generazione del profitto per gli azionisti e
dall’offerta efficiente di beni e servizi per il mercato). Le altre due componenti della
responsabilità vanno oltre quanto strettamente richiesto dal sistema giuridico. Una è
la responsabilità etica, legata alla conformità ai valori e alle norme sociali e
all’obbligo dell’impresa di agire con equità, giustizia, imparzialità; l’altra invece è la
responsabilità discrezionale che implica investimenti puramente discrezionali a 32 DAVIS K., The case for and against 33 CARROLL A.B., A tree-dimensional model of corporate social performance, in Academy of Management Review, n.4, 1979
32
favore della comunità, senza che vi sia una precisa aspettativa in questo senso. Tali
responsabilità discrezionali sono lasciate alla scelta individuale dei manager e, pur se
non imposta né da considerazioni economiche, né giuridiche, né da principi di
business ethics sono considerate sempre più strategiche. In seguito, Carroll34 chiarirà
che i quattro tipi di responsabilità (economic, legal, ethical and voluntary) vanno
intesi in senso gerarchico di importanza elaborando la nota piramide delle
responsabilità sociali dell’impresa, ribadendo che la prima responsabilità
dell’impresa è di tipo economico. In quest’ottica, l’orientamento sociale di
un’impresa dipende dall’importanza che viene data alle tre componenti non
economiche della responsabilità rispetto alla componente economica.
Il secondo filone approfondisce il peso del contesto socio-culturale di riferimento,
evidentemente anche in risposta ai movimenti sociali che, tra la fine degli anni ’60 e
gli inizi dei ’70, si battevano per il rispetto dell’ambiente, la sicurezza sul lavoro, la
tutela dei consumatori e dei lavoratori.
Il terzo filone analizza le motivazioni che portano l’impresa ad agire in maniera
socialmente responsabile.
Il quarto filone interiorizza nell’impresa l’attenzione per il sociale, cercando di far
proprie nelle politiche aziendali le istanze sociali. Molti autori iniziano a parlare di
«corporate social responsiveness», traducibile come rispondenza, sensibilità verso la
società. La responsabilità sociale, quindi, come evidenzia Steiner35, deve diventare
una filosofia che guida il decision making manageriale, anche se le imprese sono e
rimangono istituzioni essenzialmente aziendali.
Frederick36, il maggiore teorico di tale filone di studi, parla del superamento di tale
concetto di corporate social responsibility preponderante fino agli anni ’60 (a cui egli
sinteticamente si riferisce come CSR1) e identifica l’affermarsi di un nuovo
movimento del pensiero: la corporate social responsiveness, - CSR2 – che
presuppone l’accettazione da parte dell’impresa degli obblighi sociali che derivano
dalla sua attività.
Alla CSR2 va, quindi, riconosciuto il merito di aver stimolato gli studi sugli
strumenti manageriali e sugli adeguamenti dei processi interni all’azienda. 34 CARROLL A.B., The pyramid of corporate social responsibility, in Business Horizons, n. 34, june-august, 1991 35 STEINER G.A., Business and society, Random House, New York, 1971 36 FREDERICK W.C., From CSR to CSR, in Business & Society, vol. 33, issue 2, 1994
33
2) Anni ’80: tre filoni principali
Gli anni ’80 sono caratterizzati da tre filoni dottrinali principali: la nascita della
stakeholder theory, l’affermarsi degli studi di business ethics e del concetto di
corporate social performance.
La prima individua verso chi in concreto le imprese devono essere responsabili.
Il concetto di «stakeholder» è stato teorizzato per la prima volta dallo Stanford
Research Institute nel 1963 per indicare tutti coloro che hanno un interesse
nell’attività dell’azienda. In realtà il termine era già stato utilizzato più di 30 anni
prima quando, durante la Grande Depressione, la General Electric identificò quattro
maggiori gruppi di «stakeholder»: gli azionisti, i dipendenti, i clienti e la comunità in
generale. In seguito, nel 1947 il presidente della Johnson & Johnson identificò gli
«strictly business stakeholder» in clienti, dipendenti, manager e azionisti e su questa
base venne sviluppato il famoso «Credo» dell’azienda.
Freeman37 identifica gli stakeholder nelle persone che abbiano diritti, interessi o
rivendicazioni verso un’azienda o che, comunque, ne possano influenzare la
performance attuale e futura, dando la seguente definizione: «those groups who can
affect or are affected by the achievement of an organization’s purpose» e li distingue
in primari e secondari, a seconda che il loro apporto sia o meno indispensabile alla
sopravvivenza dell’impresa, enfattizando come i gruppi di pressione, e in particolare
i gruppi primari, se tolgono il loro appoggio all’impresa, possano impedirle di
raggiungere i propri obiettivi o addirittura decretarne la fine.
Tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 inizia anche un’approfondita
indagine etica sui fini dell’impresa, sulle norme che orientano la sua condotta, sui
principi alla base delle sue scelte.
Frederick38 parla dell’affermarsi di una CSR3, cioè della «corporate social
rectitude», riconoscendo il bisogno di riempire il vuoto normativo delle due
precedenti impostazioni con un’analisi dei valori etici posti alla base di tutti i
comportamenti sociali delle imprese. La terza fase della corporate social
37 FREEMAN E.R., Strategic management. A stakeholder approach, Pitman, Boston, 1984 38 FREDERICK W.C., Toward CSR3: why ethical analysis in indispensable and unavoidable in corporate affairs, in California Management Review, n.28, 1986
34
responsability – la CSR339- chiarifica e incorpora la dimensione morale implicita
nella CSR1 e la dimensione manageriale della CSR2. Va comunque sottolineato
come, nella letteratura, i concetti di CSR1, CSR2 e CSR3 siano distinguibili tra loro
solo astrattamente.
In seguito, si afferma grazie principalmente a Carroll40 il concetto di «corporate
social performance» (CSP).
Un primo approccio alla CSP focalizza l’attenzione sul comportamento-risultato, in
particolare sul «fair process», attraverso cui si cerca di coniugare gli interessi e i
desideri dei vari stakeholder con le esigenze dell’azienda, analizzando appunto il
processo e i metodi con cui sono identificati gli obiettivi e sono risolti i dilemmi etici
nelle situazioni concrete. In questo senso la responsabilità sociale si configura, come
un processo41 - più che come un risultato da ottenere una volta per tutte – che deve
essere inglobato nel decision making dell’impresa. Ciò presuppone evidentemente un
mutamento dell’impostazione dal quale viene visto il problema, ed in particolare, il
passaggio da un’iterpretazione outcome-oriented, che vede la CSR in funzione delle
conseguenze attese delle azioni (come ad esempio la riduzione dell’inquinamento
ambientale) ad un’interpretazione process-oriented in cui il focus è sulla struttura e il
processo di decision making che le attività di management e di governo sociale
comportano.
La corporate social performance allora deriva dall’interazione di tre elementi: la
definizione dei principi che motivano alla responsabilità, il processo che determina i
comportamenti dell’impresa e i risultati prodotti dall’azione sociale.
Un secondo approccio vede la CSP in termini di risultati, e cerca appunto di misurare
tali risultati. Questa impostazione è da preferire dalla prima, in quanto, non mescola
input e output ma divide i risultati della CSP dal processo che li ha determinati e
pone le basi per poter misurare e comparare tali risultati.
Parallelamente nel corso degli anni ’80, proseguono gli studi sulla definizione di
corporate social responsibility.
39 EPSTEIN E.M., The corporate social policy process: beyond business ethics, corporate social responsibility and corporate social responsiveness, in California Management Review, n.1 40 CARROLL A.B., A tree-dimensional model of corporate social performance, Academy of Management Review, n.4, 1979 41 JONES T.M., Corporate social responsibility revisited redefined, in California Management Review , Spring, 1980
35
Con Drucker42, invece, si ha un fondamentale passo in avanti: l’autore infatti espone
l’idea che la responsabilità sociale e la profittabilità del business siano compatibili, e
soprattutto l’idea che le imprese dovrebbero convertire la propria CSR in
opportunità.
3) Anni ’90: tre filoni di studio
Il primo filone nasce dalla consapevolezza che i comportamenti socialmente
responsabili assumono una rilevanza strategica, dal momento che possono
contribuire in maniera significativa a consolidare la legittimazione dell’azienda. Si
diffondono anche nel nostro paese una serie di studi focalizzati appunto sulle
strategie sociali.
Si arriva così ad elaborare il concetto di sostenibilità. Per sostenibilità si intende un
approccio finalizzato alla creazione di valore nel lungo periodo, non solo per gli
azionisti, ma anche per gli altri stakeholder. In particolare la sostenibilità poggia sul
bilanciamento di tre dimensioni fondamentali (la «Triple Bottom Line»): la
dimensione economica, la dimensione sociale e la dimensione ambientale, di cui si
cerca di mantenere una massimizzazione congiunta. In altre parole, un’impresa per
essere considerata sostenibile deve essere finanziariamente solida, minimizzare i
propri impatti ambientali negativi ed agire in conformità con le aspettative della
società. L’obiettivo ultimo è raggiungere a livello globale uno sviluppo economico
sostenibile, assicurando una migliore qualità della vita ad ogni individuo, sia oggi
che per le generazioni future.
IL secondo filone deriva da un approfondimento degli studi in materia di
misurazione della performance sociale e sfocia nel tema del social audit.
L’auditing sociale può essere definito come un processo di sistematica e periodica
misurazione e valutazione delle performance sociali di un’azienda. Si tratta quindi di
monitorare l’impresa in modo da controllare le attività aventi un impatto sociale,
verificare l’adeguatezza delle risorse destinate e delle procedure di gestione sociale,
valutare il grado di aderenza tra risultati ottenuti e obiettivi programmati. Eventuale
fase finale dell’audit sociale è la verifica della correttezza metodologica dell’intero 42 DRUCKER P., The new meaning of corporate social responsibility, in California Management Review, n.26, 1984
36
processo da parte di un soggetto indipendente, fondamentale per incrementare la
credibilità dell’azienda.
Il terzo filone comprende numerosi contributi volti ad approfondire, da un lato, le
determinanti che spingono le imprese alla comunicazione sociale e, dall’altro, le
tecniche e le metodologie più efficaci per la rendicontazione socio-ambientale, vista
sia come fondamentale punto di raccordo tra l’azione ed i risultati, sia come mezzo
per valorizzare le sinergie tra le strategie sociali e la performance economico-
finanziaria dell’impresa. E’ in questo contesto che si inseriscono, anche nel nostro
paese, gli studi in tema di bilancio sociale, bilancio ambientale, bilancio di
sostenibilità e le elaborazioni di rating e standard internazionali finalizzati alla
certificazione e alla comparabilità della CSP delle imprese.
4)Previsioni per il futuro
Frederick parla della necessità di fondare una CSR4: una nuova costruzione teorico-
normativa, capace di fondere in un tutto unico i diversi contributi in materia, che
accetti il superamento della visione in cui l’impresa è il centro attorno a cui ruotano
tutte le altre istituzioni. Più concretamente Carroll43 si aspetta che venga
approfondito il trend verso una «strategic philanthropy», vista come filosofia guida
per conciliare obiettivi di natura sociale ed economica ed auspica, al contempo, che
nelle scelte concrete e non solo nella teoria il mondo del business abbracci sempre
più il modello del «moral management», caratterizzato dalla capacità di «thinking
and acting ethically»44.
2.7.3. CSR in Europa
Nel 2000, il Summit di Lisbona sottolinea l’obiettivo di un’Europa in cui
«l’economia della conoscenza deve divenire la più competitiva e dinamica del
mondo, capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da un
43 CARROLL A.B., Ethical challenges for business in the new millennium: corporate social responsibility and models of management morality, Business Ethics Quarterly, vol.10, issue 1, 2000 44 CARROLL A.B., Models of management morality for the new millennium, Business Ethics Quarterly, vol. 11, issue 2, 2001
37
miglioramento qualitativo e quantitativo dell’occupazione e da una maggiore
coesione sociale».
In seguito a questo Summit, la Commissione delle Comunità europee (2001) decide
di redigere un Libro verde dal titolo Promuovere un quadro europeo per la
responsabilità sociale delle imprese, affermando che, «al di là delle esigenze
regolamentari e convenzionali cui devono comunque conformarsi», le imprese
dovrebbero sforzarsi «di elevare le norme collegate allo sviluppo sociale, alla tutela
dell’ambiente e al rispetto dei diritti fondamentali, adottando un sistema di governo
aperto, in grado di conciliare gli interessi delle varie parti interessate nell’ambito di
un approccio globale della qualità e dello sviluppo sostenibile».
E’ quindi da tale data che può ufficialmente farsi risalire l’avvio di una serie di
importanti iniziative, supportate dalle stesse istituzioni, volte alla predisposizione di
nuovi strumenti di rendicontazione sociale.
Il Libro verde, com’è nella tradizione della Commissione europea, si presenta con
indicazioni in più direzioni, dato che non ha un valore vincolante e la stesura serve
per chiedere pareri agli attori europei più importanti (Stati, associazioni di datori di
lavoro, sindacati, ONG) che hanno avuto tempo fio al 31 dicembre 2001 per far
pervenire i loro pareri. Nel Libro verde è scritto che la responsabilità sociale delle
imprese è un obiettivo importante da perseguire a due livelli: a) a un livello
normativo per le imprese sulla tutela e sulla sicurezza di chi lavora, per la protezione
di chi consuma, sull’ambiente ecc.; b) a un livello di adesione volontaria delle
imprese a principi che tutelano chi lavora, l’ambiente e il territorio.
Il primo livello (quello normativo) non viene escluso, ma il Libro verde sottolinea
che «la creazione di norme internazionali applicabili a qualunque cultura o
qualunque paese è estremamente complessa», per cui implicitamente si suggerisce di
leggere l’insieme delle indicazioni sulla responsabilità sociale dell’impresa come
formulazione di criteri utilizzabili per un’adesione «volontaria» da parte delle
imprese.
Nel 2002, secondo una indagine condotta da Confindustria in collaborazione con
l’università «Bocconi» di Milano, l’84% delle 91 aziende intervistate si è dichiarata
già attiva nell’ambito della «Responsabilità Sociale dell’Impresa», soprattutto per
ragioni di immagine aziendale (90%), di relazioni con la comunità locale (76%) e di
38
motivazioni etiche dei vertici aziendali (56%). Le aziende sembrano dunque aver
avviato un processo rivolto alla soddisfazione delle nuove esigenze «etiche» della
società.
Un comportamento socialmente responsabile garantisce, infatti, all’impresa un
doppio dividendo, economico e sociale, poiché se esternamente è forte l’impatto
sull’immagine aziendale, internamente la crescente attenzione al benessere e alla
sicurezza del lavoratore migliora l’efficienza produttiva, riduce i rischi d’infortuni,
aumenta il senso di appartenenza ad un «gruppo» e crea il «pensare positivo», con
risvolti sull’umore, sulla salute e sulla psiche.
Un’altra ricerca riportata nel Gazzettino del 26 maggio 200545 dichiarava che la
grande maggioranza delle imprese italiane con almeno 100 addetti (il 94,6%)
dichiara di aver adottato iniziative di responsabilità sociale in almeno uno dei campi
previsti. Solo lo 0,5% ha adottato iniziative i tutti i campi, mentre il 5,4% non ha
preso alcuna iniziativa. Il trattamento selettivo dei rifiuti è il più frequente (88,5%);
quella meno diffusa, invece, è la vendita di beni o di servizi prodotti a un prezzo che
comprenda una quota destinabile a fini sociali (7,1%). Le decisioni circa una
maggiore tutela dell’ambiente sono state prese dal 87,3% delle aziende; le scelte
intese a favorire il benessere dei lavoratori dal 74,2% delle imprese.
Secondo invece un’indagine condotta da ISVI (Istituto sui valori d’impresa) in
collaborazione con Doxa, «il 76% delle imprese dai 51 ai 250 addetti ha messo in
campo iniziative di trattamento e smaltimento dei rifiuti, riciclabilità, riduzione
dell’energia e dei consumi d’acqua. La percentuale è sicuramente elevata, ma, alla
domanda sulle motivazioni di tali scelte il 52% risponde che la ragione è
l’adeguamento alla legge, il 33% vi ravvisa un miglioramento in termini di
efficienza, il 31% dichiara di aver ottenuto da tali pratiche un miglioramento dei
risultati economici. Per la maggioranza i comportamenti socialmente responsabili
sembrano quindi essere generati dal rispetto di un vincolo. Vi è comunque una
minoranza significativa che si riconosce in un’esperienza di opportunità nuova. Va
però rilevato che, a dichiarare di chiedere ai fornitori una prova della correttezza
45 Il 95% delle aziende con almeno 100 lavoratori ha adottato iniziative di responsabilità sociale, in Il Gazzettino, 26 maggio 2005, pag. 2
39
sociale ai processi produttivi, è soltanto il 17% egli intervistati – dato che non suona
del tutto positivo».46
2.7.3.1. Le indicazioni del Libro Verde
Il Libro Verde distingue una dimensione interna da una dimensione esterna.
La dimensione interna prevede quattro tipi di azioni che l’impresa può intraprendere.
1. Gestione delle risorse umane: un’impresa «socialmente responsabile»
dovrebbe realizzare iniziative di istruzione e formazione lungo tutto l’arco
della vita; un migliore equilibrio tra lavoro, famiglia e tempo libero; una
maggiore valorizzazione delle risorse umane; l’applicazione del principio di
uguaglianza per le retribuzioni e le prospettive di carriera delle donne.
2. Salute e sicurezza sul lavoro: il Libro verde sottolinea l’impegno per la tutela
della salute e la sicurezza sul lavoro considerati dalla normativa ISO 9000.
3. Adattamento alle trasformazioni: in situazioni di grande cambiamento
tecnologico un’impresa socialmente responsabile deve cercare di «garantire
la partecipazione e il coinvolgimento delle persone interessate attraverso una
procedura aperta di informazione e consultazione».
4. Gestione degli effetti sull’ambiente e delle risorse naturali: l’obiettivo è
quello della «riduzione del consumo delle risorse o delle emissioni inquinanti
e dei rifiuti per arrivare a una diminuzione delle ripercussioni sull’ambiente».
C’è poi una dimensione esterna che l’impresa può seguire definendo interventi a
favore di quanto segue:
1. Comunità locali: il rapporto con le comunità locali deve esprimersi non solo
«fornendo posti di lavoro, salari, entrate fiscali», ma intervenendo a favore
della «buona salute, stabilità e prosperità delle comunità», valorizzando le
risorse ambientali e culturali di quel dato territorio.
2. Partnership commerciali, fornitori e consumatori: è favorita la costituzione
di consorzi tra fornitori e tra strutture di consumo e la creazione di nuove
imprese da parte del proprio personale tecnico.
46 MARCHESINI G.C., L’impresa etica e le sue sfide, Egea, Milano, 2003
40
3. Diritti dell’uomo: si sottolinea che la responsabilità sociale dell’impresa non
è solo nei confronti della comunità in cui si trova ma anche verso le
popolazioni con cui l’impresa entra in contatto per la vendita dei propri
prodotti o servizi.
4. Preoccupazioni ambientali a livello planetario: le imprese dovrebbero
sempre di più considerarsi «attori ambientali a livello planetario».
2.7.3.2. La risoluzione del 2002 del Parlamento europeo Mentre la Commissione europea analizza i pareri che arrivano al Libro verde, il
Parlamento europeo vota nel maggio 2002 una risoluzione per orientare, e
successivamente regolare, l’azione delle società multinazionali: un vero e proprio
colpo di scena in cui si definisce una strategia alternativa al pensiero neoliberista.
In questa risoluzione il Parlamento europeo riafferma l’importanza di un’adesione
volontaria delle imprese a principi di responsabilità sociale, ma la integra con un
approccio normativo: invita la Commissione a istituire l’obbligo per tutte le
multinazionali di presentare un rapporto sociale e ambientale, chiedendo che i dati
forniti siano verificati da enti indipendenti e poi raccolti e pubblicati dagli Stati
membri. Il parlamento chiede inoltre che i fondi pensione privati e pubblici si dotino
di criteri etici e che la commissione istituisca un marchio sociale europeo per
certificare i prodotti per i quali sono stati rispettati i diritti umani e sindacali,
costituendo anche un forum europeo sulla responsabilità sociale delle imprese per
dare la possibilità a tutti gli stakeholder (come le associazioni di consumatori, i
sindacati) di conoscere le politiche estere delle imprese. E’ inoltre proposto alla
Commissione di creare una lista nera delle imprese colpevoli di corruzione e di
creare programmi europei che colpiscano gli abusi delle imprese europee nei paesi in
via di sviluppo.
Si tratta quindi di una risoluzione innovativa. Anticipa di due anni la proposta di
norme fatta dalla Commissione per la promozione e tutela dei diritti umani delle
Nazioni Unite che persegue gli stessi obiettivi e che è in attesa di una risoluzione
operativa.
41
2.7.3.3. Il libro bianco del 2002 Dopo l’analisi dei pareri al Libro verde arrivati entro il 2001, la Commissione prende
tempo per le sue decisioni ed è solo nel luglio del 2002 che la Commissione delle
Comunità europee (2002) redige una Comunicazione relativa alla responsabilità
sociale delle imprese: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile che si
configura come Libro bianco.
Nonostante la Comunicazione arrivi due mesi dopo la risoluzione del Parlamento
europeo prima ricordata, non vi è traccia di un possibile approccio normativo. Dopo
il colpo di scena del maggio 2002 si rientra in piena ottica neoliberista.
Il Libro bianco sulla responsabilità sociale dell’impresa inizia con il ricordare che al
sito indicato dalla Commissione europea sono pervenuti 250 pareri al Libro verde, la
metà dei quali provenienti da associazioni di imprese e gli atri da sindacati e
organizzazioni della società civile.
La sintesi delle due posizioni (quelle delle imprese schierate sul pensiero neoliberista
e quella dei sindacati e delle organizzazioni della società civile orientate verso
strategie alternative) è corretta; ma proprio per questo colpisce ancora di più che il
Libro bianco ignora del tutto la risoluzione del parlamento europeo del maggio 2002
(più vicina alle posizioni dei sindacati e delle organizzazioni della società civile) e
scelga con decisione solo il punto di vista delle imprese. Viene infatti escluso
l’approccio normativo, per cui non si prevedono né certificazioni obbligatorie né
monitoraggi come quelli previsti dalle proposte oggi in discussione alla
Commissione per la promozione e tutela dei diritti umani dell’ONU.
L’unica strategia accolta è quella della persuasione: far capire alle imprese che
scegliere una linea di maggiore responsabilità sociale può essere nel medio-lungo
periodo più conveniente.
Lo strumento ideato per portare avanti come Commissione europea questa opera di
diffusione del concetto di responsabilità sociale dell’impresa è il Multi-Stakeholder
Forum on Corporate Social Responsability. Il Forum è istituito il 16 ottobre 2002 e
ne fanno parte 40 rappresentanti della Commissione europea, del mondo degli affari,
dei sindacati, dei gruppi di consumatori. Il Forum si è mosso in queste direzioni.
42
a) promuovere argomenti economici a favore della responsabilità sociale
dell’impresa avendo come riferimento soprattutto le piccole e medie
imprese;
b) promuovere criteri unificati di valutazione esterna e comparata delle
attività delle imprese socialmente responsabili;
c) gestire il Forum europeo multilaterale sulla responsabilità sociale
delle imprese attraverso tavole rotonde e analisi di caso;
d) assicurarsi che le politiche dell’Unione europea siano favorevoli alle
imprese socialmente responsabili.
Questo Forum «multilaterale» è organizzato in quattro Tavole rotonde:
1) Conoscenza: individuazione (e successiva diffusione) degli
argomenti economici più convincenti a favore dell’impresa
socialmente responsabile.
2) Piccole e medie imprese: individuazione delle strategie per
orientare le piccole e medie imprese verso la responsabilità
sociale.
3) Sviluppo: individuazione delle strategie di lotta alla povertà;
lotta all’AIDS; promozione delle norme fondamentali del
lavoro; commercio equo e solidale; governance e dialogo
sociale nei paesi in via di sviluppo; trasparenza finanziaria.
4) Trasparenza e convergenza: riflessione e individuazione
degli strumenti migliori per diffondere l’impresa socialmente
responsabile per promuovere la diffusione e la trasparenza
delle relazioni (il cosiddetto reporting) sulle attività sociali
delle imprese
Si tratta di un forum che ha soprattutto l’obiettivo di convincere le imprese che
«questioni come i diritti umani, rapporti con le comunità, ambiente, salute e
sicurezza sono difficili da gestire, da ignorare e molto difficili se li si affronta nel
modo sbagliato».
43
2.7.4. CSR in Italia In Italia le iniziative in cui si parla di «Responsabilità Sociale dell’Impresa» si sono
mosse nelle due direzioni già documentate a livello internazionale: una direzione
tutta all’interno del pensiero neoliberista; una direzione che prefigura alternative a
tale pensiero.
La prima direzione è stata seguita dal progetto in tema di responsabilità sociale
dell’impresa promosso dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
L’adesione ai principi del neoliberismo del governo Berlusconi è stata formalizzata
nel libro scritto da Giulio Tremonti con prefazione dello stesso Silvio Berlusconi in
campagna elettorale. In questo libro viene presentato il Manifesto delle quattro i
(impresa, inglese, internet e informatica) e, sotto questa etichetta, il governo
Berlusconi ha portato avanti più iniziative nella direzione neoliberista: strategie di
privatizzazione nella scuola, nell’università, nel sistema sanitario e previdenziale;
riduzione delle tasse a favore delle fasce medio-alte della popolazione, ecc.
Le varianti italiane più evidenti, rispetto al pensiero neoliberista statunitense, sono
state influenzate dai problemi di proprietà e dai processi di cui il presidente del
Consiglio è protagonista oppure dalla presenza dei suoi alleati nel governo.
All’interno di questa impostazione governativa, il progetto CSR-SC sulla
responsabilità sociale dell’impresa si presenta del tutto coerente con il pensiero
neoliberista e con le sue varianti italiane.
In Italia è stata seguita anche una seconda direzione di iniziative che hanno invece
scelto come scenario quello rappresentato dalle alternative al pensiero neoliberista.
2.7.4.1. Il progetto CSR-SC del ministero del Welfare
Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, il cui nome viene sintetizzato in
«ministero del Welfare» mostra nel suo sito47 le tappe percorse dalle proprie
iniziative in tema di «Responsabilità Sociale dell’Impresa».
Il punto di partenza è la dichiarazione di adesione del governo italiano al Libro verde
(e successiva articolazione operativa) e al progetto CSR Europe (dove, si ricorda,
47 www.welfare.gov.it
44
l’acronimo CSR sta per Corporate Social Responsability, cioè responsabilità sociale
dell’impresa). In seguito a questa adesione viene definita una collaborazione del
ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con l’Università Bocconi e l’Università
Lateranense che ha prodotto la ricerca curata da Lanza, Calcaterra e Perrini (2002),
presentata nel convegno promosso dal ministero del Welfare tenutosi a Milano il 13
dicembre 2002 all’Università Bocconi sul tema L’impegno sociale delle imprese per
un nuovo welfare.
In questo convegno il ministro Roberto Maroni presenta il progetto del ministero del
Welfare (2002) Proposte per uno standard CSR-SC (dove l’acronimo SC sta per
Social Commitment, coinvolgimento sociale). In queste Proposte la responsabilità
sociale dell’impresa viene definita, seguendo le indicazioni del Libro verde e si
esclude quindi ogni possibile percorso normativo come quello delineato dalla
risoluzione del maggio 2002 del Parlamento europeo.
Le sigle che definiscono il progetto governativo (CSR e SC) indicano due livelli: un
primo livello in cui l’obiettivo è quello di convincere le imprese ad aderire
volontariamente alle regole del CSR; un secondo livello (del SC) in cui il governo si
impegna a dare incentivi alle imprese che più si impegneranno nella responsabilità
sociale dell’impresa. Questi incentivi sono di natura fiscale, attraverso la
defiscalizzazione delle elargizioni in campo sociale, e di carattere finanziario,
attraverso la diffusione di fondi di pensione etici. I fondi di pensione etici sono legati
alla riforma previdenziale del governo italiano che porterà alla legge 29 luglio 2004,
n. 221 (fortemente avversata dai sindacati e dalle ONG), che prevede una riduzione
delle pensioni di anzianità e una diversa gestione dei fondi accumulati per le
liquidazioni (il cosiddetto TFR, trattamento di fine rapporto) a favore di fondi
pensione. Sono questi fondi pensione che potrebbero permettere, come indicato nei
documenti ufficiali del ministero, la creazione di «fondi di pensioni etici»
privilegiando le imprese che si comportano secondo standard di «responsabilità
sociale».
Dopo il convegno di Milano il passo successivo è stata la partecipazione del
ministero del Welfare alla Terza Conferenza europea sulla CSR, tenutasi a Venezia il
14 novembre 2003. La conferenza è aperta da Anna Diamantopoulou, responsabile
della Commissione europea Lavoro e Affari sociali, e il suo messaggio è ancora più
45
arretrato rispetto alle posizioni italiane: pur accettando lo slogan dell’adesione
volontaria delle imprese ai principi della CSR («le imprese esistono per fare profitti
ma la responsabilità sociale paga»), vede negativamente la presenza di marchi
certificati in cambio di incentivi fiscali o di agevolazione al credito perché l’Europa
può correre il rischio di «nuove barriere» commerciali all’interno del mercato
europeo.
In questo convegno il ministero del Welfare (2003) presenta i primi risultati del
progetto CSR-SC, fornendo una valutazione comparata degli standard a cui le
imprese possono oggi volontariamente aderire e proponendo uno strumento
volontario (il Social Statement) per guidare le imprese in questo percorso di
responsabilità sociale.
Dopo la conferenza di Venezia vengono siglati dal governo italiano accordi con
associazioni industriali e anche una dichiarazione congiunta Italia-Regno Unito per
diffondere la responsabilità sociale dell’impresa nelle due nazioni. Possono essere
ricordate alcune tappe significative: nel marzo del 2004 viene aperto a Milano il
primo sportello CSR-SC; nel maggio del 2004 si tiene a Roma il primo Forum
italiano Multi-stakeholder sulla falsariga di quello europeo (quindi con la
partecipazione al Forum delle associazioni di datori di lavoro istituzioni, sindacati e
componenti della società civile); nel 2004 esce un documento di Unioncamere (2004)
che presenta i risultati di una ricerca sui modelli di responsabilità sociale nelle
imprese italiane, da cui risulta che nelle classi di imprese più piccole la conoscenza
delle iniziative che parlano di responsabilità sociale dell’impresa è intorno al 10% e
che il numero delle imprese consapevoli è ancora limitato; nel 2005 viene istituito il
premio nazionale per la responsabilità sociale delle imprese Città di Rovigo.
2.7.4.2. Sostenitori e contestatori del progetto Il progetto del Welfare italiano ha avuto sia adesioni che contestazioni. Le adesioni
sono venute dalle associazioni industriali, mentre le contestazioni sono venute dalle
ONG, dai sindacati e dal movimento cooperativo aderente alla Lega delle
cooperative.
46
Per quanto riguarda le adesioni al progetto, nel sito del ministero sono riportati i
protocolli di intesa con Assolombarda, Confapi e Unioncamere, le maggiori
associazioni industriali (adesioni facili da prevedere visto il carattere di volontarietà
del progetto e il limitato numero di vincoli considerato).
Le contestazioni più dettagliate al progetto provengono dall’iniziativa Meno
beneficenza più diritti, campagna alla quale hanno aderito 14 associazioni; ARCI,
Amnesty International, Azione aiuto, Legaambiente, Coordinamento lombardo nord-
sud, CTM (Cooperativa Terzo Mondo) altro mercato, Libera, Cittadinanza attiva,
Banca Etica, Unimondo, Roba dell’altro mondo, Save the Children, TransFair, Mani
Tese.
Queste associazioni hanno sottoscritto, il 14 novembre 2003, un comunicato stampa
dal titolo La proposta del governo italiano sulla responsabilità sociale delle imprese:
un’altra occasione persa. I punti criticati della proposta di governo sono i seguenti.
a) La proposta considera come esclusivo quadro di riferimento il Libro verde,
trascurando volutamente le prese di posizione del Parlamento europeo e le
Norme dell’ONU sulla responsabilità sociale dell’impresa nei confronti dei
diritti umani.
b) La proposta «limita il concetto di responsabilità sociale dell’impresa ai
ristretti confini nazionali, escludendo centinaia di milioni di persone e intere
grandi comunità che lavorano per imprese italiane ed europee e che spesso
subiscono gravi abusi dei loro diritti, in favore di una visione miope
utilitaristica, in cui la beneficenza viene confusa con la responsabilità e dove
la sola convenienza economica sembra essere la molla che dovrebbe spingere
le imprese ad assumere comportamenti meno discutibili».
c) Le 14 associazioni sottolineano che non sono mai state consultate dal governo
nella stesura della proposta.
d) La certificazione viene affidata a un CSR Forum di cui non è specificata la
composizione, anche se nel protocollo d’intesa del governo con Unioncamere
sono indicate le Camere di Commercio per l’attività di supporto e
monitoraggio delle imprese, per cui sembrerebbe evidente la scelta del
governo italiano a non utilizzare strutture di monitoraggio e certificazione
indipendenti.
47
e) Le ONG sono menzionate nella proposta governativa solo per collaborazioni
marginali.
f) I Social Performance Indicators contenuti nella proposta del governo arrivano
dopo una lunga serie di parametri indicati dal Parlamento europeo, dall’ONU
o da strutture private (SA 8000, AA1000, GRI) per cui nel comunicato
firmato dalle 14 associazioni è scritto che «aggiungere parametri a parametri
non farà altro che accrescere la confusione di imprese e consumatori in un
panorama già fortemente inquinato da interpretazioni volontaristiche e di
comodo»
g) Nella sua proposta il governo parla del ruolo di non meglio identificati
«soggetti autorizzati a gestire i progetti nel sociale» di cui non si conoscono
le attribuzioni e i reali poteri, e ambiguo è anche il riferimento a convertire
fondi pensione in fondi etici perché non è indicato chi deciderà quali fondi
sono veramente etici.
h) Nel menzionare il commercio equo e solidale, queste iniziative sono associate
nella proposta del governo solo a criteri di «qualità, impatto ambientale e
sicurezza nei prodotti», non considerando l’importanza dell’aiuto che viene
dato all’imprenditorialità presente in nazioni meno industrializzate.
Per tutti questi motivi le 14 associazioni concludono il comunicato esprimendo
«la forte insoddisfazione per una occasione che l’Italia ha perso per dare un
contributo allo sviluppo in senso migliorativo della discussione in corso sul tema
della responsabilità sociale delle imprese nel nostro paese, in Europa, nel
mondo».
2.7.5. CSR a Treviso
Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali ed Unioncamere nazionale hanno
siglato il 27 novembre 2003 il Protocollo di Intesa che prevede la costituzione
presso le Camere di Commercio aderenti al progetto di Sportelli fisici o virtuali
specificatamente dedicati alla «Responsabilità Sociale delle Imprese». La Camera
di Commercio ha aderito a tale progetto ed ha attivato lo sportello CSR-SC.
I servizi offerti dalla Camera di Commercio sono:
48
Servizio di informazione alle imprese sulla CSR in senso ampio per
tutti gli ambiti della responsabilità sociale d’impresa (dal bilancio
sociale, alle norme SA 8000, AA 1000, Certificazione ambientale,
ecc.);
Servizio di supporto delle stesse nell’attività di autovalutazione
(compilazione del Social Statement – set di 20 indicatori specifici);
Servizi di informazione su eventuali agevolazioni, iniziative,
finanziamenti che premiano la CSR;
Servizio di diffusione delle best practices locali già esistenti, attività
seminariali e di aggiornamento formativo, percorsi guidati.
2.7.5.1. Proetica Unindustria Treviso per sostenere imprenditori e uomini d’azienda che vogliono
rinnovare sè stessi e rivalorizzare le proprie aziende ha promosso la costituzione di
un’associazione senza alcun scopo di lucro, che persegue quale propria finalità,
quella di attuare iniziative rivolte ad incentivare ed ampliare la conoscenza e la
diffusione della responsabilità sociale delle imprese.
L’associazione promuove, a favore di quelle imprese ed enti pubblici o privati che
intendono sviluppare appositi percorsi di gestione responsabile nelle dimensioni
economica, sociale ed ambientale, la conoscenza nelle best practices vigenti e future,
anche allo scopo di ottenere forme di attestazione attendibili quanto a corretta
corrispondenza fra i valori e i comportamenti dichiarati e quelli effettivamente
perseguiti.
L’attività dell’Associazione è altresì rivolta nei confronti di quanti operano in ogni
ambito sociale e, più in particolare, in quello economico, affinché acquisiscano e
siano in grado di trasmettere il senso dell’importanza di un «etico agire economico».
L’iniziativa è stata accolta e condivisa dall’Ordine dei Dottori Commercialisti di
Treviso, e dall’Albo dei Ragionieri e Periti Commerciali della Provincia, coi quali è
stata fondata Proetica.
Il Comitato etico di Proetica è composto da personalità del mondo della cultura e
dell’impresa che posseggono comprovate qualità professionali e morali.
49
Il Comitato verifica che quanto affermato dalle aziende affiancate dall’Associazione
nel loro percorso di valorizzazione delle responsabilità sociali, risulti oggettivamente
riscontrabile e risponda ai principi di redazione delle best practices adottate.
50
CAPITOLO 3
L’ACCOUNTABILITY DELL’IMPRESA 3.1. Il termine accountability L’informazione che l’azienda deve dare ai terzi fa riferimento ai seguenti campi:
1) la situazione economico-finanziaria-patrimoniale in funzione dell’equilibrio
sul mercato (attraverso il bilancio d’esercizio);
2) l’impatto complessivo sulla società civile in tutti i suoi aspetti (mediante il
bilancio sociale);
3) le regole e le procedure che l’azienda si dà per operare eticamente (grazie al
codice etico).
I primi due documenti hanno una specifica finalità di «resa del conto»; i codici etici
invece la attuano in modo indiretto.
Il termine inglese «accountability» letteralmente si riferisce alla «resa del conto»,
dando l’idea di una «rendicontabilità», cioè di un dovere di spiegare cosa si è fatto
per adempiere ad una responsabilità, ad un compito.
La trasparenza informativa può spesso migliorare la posizione competitiva di lungo
periodo dell’azienda mentre la disobbedienza ad esso può comportare gravissimi
rischi non solo per chi pone in atto comportamenti non coerenti, ma anche per
l’intero sistema economico.
L’accountability investe tutte le operazioni dell’azienda, anche se è nata
specificatamente con riferimento alle informazioni economico-finanziarie e
patrimoniali consuntive.
La legittimazione dell’impresa sul piano economico comporta pertanto la presenza di
un accountability economico-finanziaria che va attuata anche quando non conviene
all’azienda per motivi di immagine, essendo essa funzionale al buon andamento del
sistema economico in termini di produzione di ricchezza e di benessere. Si può dire
di essere in presenza di un dovere morale e non solo di un’opportunità legata ad
esigenze strategiche aziendali di immagine, anche se assai spesso una buona
51
accountability economico-finanziaria può giovare anche in termini di pubbliche
relazioni e di gradimento sui mercati. 48
E’ quindi nell’interesse di lungo periodo dell’impresa e/o del sistema economico di
mercato nel suo complesso attuare un’attendibile acconutability sui suoi risultati
periodici della gestione. Anche la rendicontazione tradizionale d’impresa comincia a
percepire la necessità di fare riferimento non solo agli interessi informativi degli
azionisti, ma ad una vasta gamma di interlocutori che intrattengono con l’azienda
rapporti economico-finanziari.
L’evoluzione della normativa internazionale, comunitaria e italiana punta sempre più
sull’affermazione che creditori, dipendenti, pubblica amministrazione detengono tutti
un interesse legittimo ad avere a disposizione un «quadro fedele» della situazione
economico, finanziaria e patrimoniale dell’azienda.
Il passo successivo è stato di considerare anche gli interlocutori che non hanno un
rapporto di scambio economico-finanziario con l’impresa, ponendo l’attenzione sia
sui risultati generali delle strategie e politiche aziendali, sia sui diritti (per gli
interlocutori) e i doveri (per l’azienda) di accountability.
Tale evoluzione implica necessariamente l’allargamento dell’accountability, sia per
quanto riguarda i titolari di essa, sia per quanto riguarda il tipo di informazione:
nasce il bilancio sociale come strumento di «misura»dell’azione dell’impresa verso
tutti gli stakeholder legittimamente interessati, strumento che può anche servire come
verifica del grado di rispetto dei codici etici.
3.2. Il bilancio d’esercizio e il bilancio sociale: documenti «di diretta accountability» La presentazione di due diversi documenti non può essere evitata, perché una loro
unificazione in un unico bilancio sarebbe quanto mai fuorviante per le seguenti
ragioni:
o un eccessivo allargamento degli ambiti informativi dei bilanci d’esercizio
nuoce alla chiarezza del messaggio rivolto agli interlocutori;
48 RUSCONI G., L’accountability globale dell’impresa, in La responsabilità sociale dell’impresa (a cura di) Dorigatti M. e Rusconi G., Franco Angeli, Milano, 2004
52
o mescolare dati raccolti sulla base dei principi contabili del bilancio
d’esercizio (legati all’andamento economico-finanziario-patrimoniale dal
punto di vista dell’azienda) con quanto riportato in ragione all’interesse
dei vari stakeholder comporta grande confusione, che impedisce di
conoscere adeguatamente sia l’andamento sul mercato (obiettivo
dell’acconutability del bilancio d’esercizio), sia le conseguenze sociali più
generali dell’azione dell’impresa.49
I due documenti non sono però né contrapposti (quasi che il bilancio sociale sia una
sorta di «contabilità alternativa»), né totalmente separati, ma sono paralleli nella loro
autonomia, presentando anche sinergie. E’auspicabile quindi allegare il bilancio
sociale alla relazione sulla gestione, che è un documento non legato alle strette
logiche valutative e di presentazione dei componenti essenziali del bilancio
d’esercizio. E’ possibile individuare delle precise relazioni fra bilancio d’esercizio e
bilancio sociale. Questi documenti vanno redatti per offrire agli stakeholder
un’accountability trasparente (corretta, veritiera e chiara), neutrale (non dipendente
da interessi di particolare stakeholder) ed inclusiva (che non escluda stakeholder
interessati).
Il principio di coerenza è tipico del bilancio sociale, il quale contiene spesso
affermazioni di principio legate all’identità dell’impresa; occorre che venga «fornita
una descrizione esplicita della conformità delle politiche e delle scelte del
management ai valori dichiarati»50.
La principale sinergia tra i due documenti è costituita dalla fondamentalità del
bilancio d’esercizio ai fini della redazione dei bilanci sociali, non solo per i dati ed
informazioni ricavabili da esso, ma anche perché costituisce per le imprese una guida
base per il loro comportamento. L’esperienza accumulata nella redazione del bilancio
d’esercizio può inoltre essere utile anche per la predisposizione dei bilanci sociali.
Anche il bilancio sociale può però essere utile alla redazione del bilancio d’esercizio;
si consideri, ad esempio, che il calcolo di conseguenze negative prodotte
sull’ambiente può comportare l’accantonamento a fondi rischi per sanzioni.
49 RUSCONI G., op. cit. 50 GRUPPO DI STUDIO PER IL BILANCIO SOCIALE (GBS), I principi di redazione del bilancio sociale, Adnkronos Comunicazione S.p.A, Roma, 2001
53
Confronto fra bilancio d’esercizio, bilancio sociale e codici etici51
Bilancio d’esercizio Bilancio sociale Codici etici
Analogie
Rivolto agli stakeholder interessati. Esigenza di accountability: trasparente, neutrale, completa e relativamente inclusiva. Redatto dall’azienda. Controllo esterno. Indipendente. Guida al comportamento.
Rivolto agli stakeholder interessati. Esigenza di accountability: trasparente, neutrale, completa e pienamente inclusiva. Redatto dall’azienda. Controllo esterno. Indipendente. Guida al comportamento.
Rivolto agli stakeholder interessati. Esigenza di accountability: trasparente, neutrale, completa e pienamente inclusiva (salvo divergenze etiche di fondo). Redatto dall’azienda. Controllo esterno. Indipendente. Guida al comportamento.
Sinergie
Fornisce dati e informazioni utili per gli altri due documenti, in particolare per il bilancio sociale. E’elemento unificante lo studio dell’azienda, in particolare per l’impresa e per il suo andamento sul mercato. Prepara il know how e l’esperienza storico-professionale utile per il bilancio sociale.
Costituisce un supporto al bilancio d’esercizio per le previsioni di valutazione. E’utilizzabile per il “rating etico-sociale”dell’impresa. Valuta la coerenza dei codici etici.
Indicano il quadro generale di riferimento etico dell’azienda, definendone l’identità Contribuiscono alle valutazioni etiche del bilancio sociale.
Differenze
Si rivolge istituzionalmente a tutti gli stakeholder che hanno un interesse economico-
Riguarda tutti gli interlocutori che hanno un qualche interesse legato all’operare dell’azienda. Calcola
Si riferiscono solo al comportamento etico di chi opera nell’azienda. Non possono
51 RUSCONI G., op. cit.
54
finanziario nell’azienda. Contiene solo dati di natura contabile. Segue le norme della legislazione civile ed i principi contabili professionali.
anche valori economici “esterni” rispetto al meccanismo di mercato. Fa riferimento ad una molteplicità di metodologie di raccolta, presentazione ed elaborazione di dati ed informazioni. Per il momento non è legato ad una normativa legale, ma a scelte volontarie.
contenere valutazioni di tipo quantitativo. Si collegano ad un più ampio sistema di regolamentazione interna aziendale. Sono collegabili a normative sulla responsabilità aziendale.
3.3. Cenni al Codice Etico Affinché risultino efficaci la creazione di un comitato per l’etica nel consiglio di
amministrazione e l’attivazione di programmi di formazione o altre iniziative simili,
deve esistere un punto di riferimento unitario che sia sintesi ed espressione
dell’impegno dell’azienda e che consenta il raggiungimento di standard di moralità
elevati. Tale funzione è svolta dal codice etico.
I codici etici fanno parte del sistema informativo di accountability aziendale ma lo
attuano in modo «indiretto», poiché sono soprattutto una guida al comportamento
etico da parte dell’azienda.
Tale funzione getionale non esclude però forti legami con l’accountability, in quanto:
o l’inserimento dei codici etici nei bilanci sociali contribuisce molto alla
definizione dell’identità dell’impresa considerata;
o i dati e le informazioni consuntive contenute nel bilancio sociale possono
servire a mettere in risalto la coerenza nell’applicazione concreta dei principi
e delle pratiche proclamati nei codici.52
Il codice etico costituisce una dichiarazione con la quale si stabiliscono i principi
aziendali, le regole di condotta, le pratiche e la cultura aziendale con riguardo alla
52 RUSCONI G., op. cit.
55
responsabilità nei confronti dei dipendenti, degli azionisti, dei consumatori,
dell’ambiente e di ogni altro aspetto della società esterna dell’impresa. Si tratta
quindi di un documento che raccoglie organicamente norme di comportamento sia
per i manager, sia per i dipendenti oltre a dare un orientamento sugli atti da evitare e
quelli da compiere per l’espletamento dei diversi compiti.
Il codice si configura come uno strumento fondamentale per la istituzionalizzazione
dell’etica nell’impresa. Esso deve contenere:
1) l’enunciazione dei valori su cui si fonda la cultura d’impresa;
2) la dichiarazione di responsabilità verso ciascuna categoria di stakeholder;
3) la specificazione delle politiche aziendali in materia di etica d’impresa in
forma più o meno dettagliata;
4) l’indicazione delle prescrizioni alle quali i manager devono attenersi per
l’attuazione delle politiche etiche dell’impresa.
La dichiarazione dei valori deve derivare da un graduale ed analitico processo di
interiorizzazione e divulgazione dei valori in azienda. Ecco perché la divulgazione di
una serie di mutamenti organizzativi e gestionali che favoriscano l’introduzione, lo
sviluppo e la diffusione di un nuovo sistema di valori–obiettivo. Tra questi la
creazione di programmi di formazione a favore di quanti lavorano in azienda, il
rafforzamento dei meccanismi di comunicazione interna, la messa in opera di
adeguate procedure di controllo, la creazione di veri e propri organi di auditing etico.
Il codice etico è espressione della volontà globale dell’azienda nei confronti di una
maggiore moralità della propria condotta. La maggior parte dei codici etici dedica
una rilevante sezione sull’impegno dell’azienda sul fronte della tutela del
consumatore/utente. Questo, altro non è che un effetto del diverso grado di sviluppo
dei sistemi capitalistici. Tanto più una società è avanzata sotto il profilo economico,
tanto più le sue imprese si troveranno a fronteggiare le pressioni dei consumatori e la
sfida dell’etica. I codici etici non potranno che riflettere tale situazione presentando
l’impegno dell’impresa, almeno formale, a salvaguardare l’interesse e la dignità
dell’acquirente in ogni aspetto delle politiche di marketing.
56
«Le istanze dei principali codici etici possono essere raccolte in cinque aree:
sviluppo e gestione del prodotto, promozioni, distribuzione, prezzo, ricerca e
marketing».53
3.4. Rischi nella redazione dei documenti di accountability Uno dei rischi della redazione del bilancio sociale è la diffusione di una buona
«immagine sociale» e non la comunicazione trasparente e completa.
Tre sono le ragioni54 che rendono più rischioso il bilancio sociale da questo punto di
vista:
o la volontarietà del documento e la libera scelta del modello da applicare;
o l’estrema multidimensionalità di dati e informazioni;
o l’assenza di principi generalmente accettati.
Si ha in particolare il rischio del cosiddetto «managerial capture», cioè la possibilità
che questo documento venga strumentalizzato da parte di chi gestisce l’azienda e dei
suoi consulenti.
Come risolvere allora il problema della confusione tra informazione per fini di
accountability e puro documento di immagine?
Oltre che nella morale personale di chi redige i documenti, la soluzione va cercata
prima di tutto nella predisposizione di una revisione esterna (auditing) indipendente,
competente e responsabile.
Oggi si è solo all’inizio del cammino verso un adeguato auditing del bilancio sociale,
ma è chiaro che un’attenta regolamentazione pubblica sui requisiti personali
professionali e sulle responsabilità dei revisori sociali ed etici è fondamentale,
unitamente alla consultazione e partecipazione attiva delle organizzazioni sociali
durante l’attività di elaborazioni dei principi.
Un rischio comune ai documenti di accountability è costituito dal «peso politico» dei
vari stakeholder; questa combinazione di «poteri forti» e «poteri deboli» potrebbe
forzare la violazione sia del principio di neutralità che di quello di inclusione. Anche
in questo caso importante difesa dell’accountability è un auditing indipendente,
53 MARZIANTONIO R., TAGLIENTE F., Il bilancio sociale della gestione d’impresa responsabile, Maggioli, Rimini, 2003 54 RUSCONI G., op. cit.
57
competente e responsabile, ma in più occorre una «profonda consapevolezza etica
che tutte le persone umane devono essere considerate uguali nel rispetto dei loro
diritti».
Infine bisogna dire che la nascita dei processi di accountability è avvenuta soprattutto
nei contesti nordamericano e nordeuropeo. Occorre prestare attenzione a due rischi
opposti:
o l’applicazione automatica a tutte le realtà mondiali dei modelli elaborati in
ambito nordamericano e/o nordeuropeo;
o il rischio che la paura dell’«imperialismo etico» venga strumentalizzata in
nome di un «relativismo etico» che difenda ingiustizie e/o interessi
particolari.
Per il bilancio d’esercizio esistono principi internazionali sui quali vi è un certo
consenso, anche perché la presentazione dei risultati economico-finanziario-
patrimoniali fa riferimento a grandezze quantitativo-monetarie.
Il bilancio sociale comprende invece valori ricavati dal bilancio d’esercizio,
analisi costi-benefici, indicatori di tendenza, dati fisici, risultati di questionari ed
interviste etc., sui quali è più facile il peso di visioni soggettive e legate alle
diverse tradizioni.
Rimedio al dilemma appena presentato può essere costituito dalla combinazione
di un adeguato auditing.
58
CAPITOLO 4
APPROFONDIMENTO DI ALCUNI CONCETTI
Lo scopo di questo capitolo è di approfondire alcuni concetti particolari emersi nel
questionario utilizzato per l’indagine. Nella sezione dedicata all’indagine
campionaria verranno inseriti richiami che permettono di collegare entrambe le
sezioni, così da facilitare il confronto.
4.1 Valori aziendali Secondo lo studioso Vittorio Coda, «i valori d’impresa sono all’origine del successo
o insuccesso dell’impresa e mai come oggi i valori etici hanno assunto
un’importanza critica. I valori, in genere, sono idee (o convinzioni, orientamenti,
norme, modelli di comportamento) che determinati individui o gruppi privilegiano
come le più idonee ad orientare i comportamenti verso il soddisfacimento di bisogni
fondamentali dell’uomo»55. In particolare possiamo dire che per «valori
imprenditoriali» intendiamo i valori che orientano atteggiamenti e comportamenti di
dati soggetti – operanti all’interno o all’esterno di un’impresa – nei riguardi della
stessa in relazione al ruolo loro proprio. Tutti coloro che sono in qualche modo
coinvolti nella vita delle imprese o come attori o come interlocutori esterni, sono
guidati nelle loro scelte e azioni da certe idee variamente radicate nella loro
esperienza, nelle tradizioni entrate a far parte del loro patrimonio culturale, nella
storia e nella cultura d’impresa. L’esplicitazione di queste idee è importante per
capire quali sono le logiche che sottostanno alla gestione aziendale.
Tra i valori imprenditoriali che hanno un profondo influsso sulla vita delle imprese,
particolare rilievo assumono quelli professati dagli attori-chiave, con i quali
intendiamo coloro che di fatto esercitano la leadership strategica e operativa
dell’impresa.
55 CODA V.,Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, in Finanza, Marketing e Produzione n.2,
giugno, 1985, 23:56
59
Ebbene, i valori vissuti dagli attori-chiave via via succedutisi alla guida dell’impresa,
sono sempre in misura rilevantissima costitutivi di ciò che l’impresa di fatto è e dei
suoi problemi di fondo.
4.1.1. I valori imprenditoriali e la dottrina Numerosi sono gli scritti che in qualche modo si occupano della tematica dei valori
imprenditoriali. I più significativi sono forse riconducibili a uno dei seguenti filoni di
studio: il filone istituzionalistica-aziendale, quello dell’etica d’impresa (Business
Ethics), quello della strategia sociale (Social Strategy), quello dell’innovazione
imprenditoriale e quello delle imprese eccellenti.
Si analizza solo la Business Ethics tralasciando le altre dottrine.
Trattasi di un filone di studi molto sviluppato negli Stati Uniti, dove l’insegnamento
della Business Ethics è diffuso nelle scuole di management per sensibilizzare i
dirigenti (o i futuri dirigenti) alla dimensione morale delle decisioni, con particolare
riguardo alle scelte più problematiche, in cui non è chiaro cosa sia bene e cosa sia
male.
I valori perenni che tali studi propongono sono la vita e il benessere di ogni singolo
uomo, l’onestà, la lealtà e la giustizia. L’applicazione di questi principi etici generali
nella vita concreta delle imprese non di rado si presenta incerta, soprattutto perché i
soggetti chiamati a decidere hanno dei doveri morali nei confronti di una pluralità di
persone e collettività dalle attese differenziate e spesso in conflitto tra di loro.
Gli studi di Business Ethics, pur essendo coltivati nell’ambito delle business school,
non riguardano solo il management, dato che chiunque lavora in azienda può trovarsi
di fronte a scelte in cui fatica a capire cosa è giusto fare. Del resto uno dei capitoli
fondamentali concerne proprio i doveri dei dipendenti verso l’impresa e questo
evidentemente non interessa solo il management. Ma anche gli altri classici capitoli
(dei doveri dell’impresa verso i suoi dipendenti e dei doveri dell’impresa verso i
terzi) non sono affatto estranei alla formazione della coscienza morale di chi lavora
in azienda anche se non occupa una posizione manageriale.
60
Il filone di studi in parola è importante per capire quanto è complessa la dimensione
etica nella vita delle imprese e come le valutazioni etiche influenzano i valori
d’impresa.
«I valori etici di base – di onestà, lealtà, giustizia, rispetto per la vita umana di ogni
singolo uomo o gruppo di uomini – che esso si sforza di calare nella realtà delle
imprese, sono dei metavalori aziendali, la cui interiorizzazione è in un certo senso
una precondizione per l’affermarsi di valori d’impresa funzionali al successo
duraturo della stessa»56. I casi di dissesti aziendali, all’origine dei quali tanto spesso
si riscontano macroscopiche disonestà di dirigenti o di esponenti del gruppo di
controllo, ci sembra confermino questo assunto. Infatti, dimostrano come, in assenza
di una rettitudine di fondo in chi guida l’impresa, l’apprendimento e la diffusione di
valori capaci di assicurarne il benessere nel lungo periodo inevitabilmente si
inceppano.
L’apprendimento di tali valori per altro non è regolato solo da valutazioni etiche, ma
anche da giudizi di fattibilità (tecnica, commerciale, finanziaria) di convenienza
economica e da validità sul piano strategico, nonché da tutto un insieme di fattori
psicologici, organizzativi e sociali che possono grandemente ostacolarne o facilitarne
lo svolgimento.
4.1.2. L’individuazione dei valori imprenditoriali Come accennato in precedenza la Business Ethics si occupa di metavalori, che si
distinguono dai valori d’impresa. I primi si sostanziano nei valori di onestà e
giustizia e rappresentano «delle precondizioni dell’apprendimento di valori
d’impresa rispondenti alle esigenze di funzionalità duratura della stessa. Altre
fondamentali precondizioni riguardano gli aspetti cognitivo-razionali ed emotivo-
psicologici dell’apprendimento. Ci limitiamo qui a menzionarne alcune: la fiducia,
essenziale perché in un clima di sereno ottimismo e anche di coraggio si possono
sviluppare lucide analisi e ricercare soluzioni creative, l’umiltà e l’apertura al
nuovo».57
56Valori imprenditoriali e successo aziendale, Giuffrè Editore, Milano, 1986 57 Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, op. cit.
61
I valori d’impresa invece si rifanno al filone istituzionalista-aziendale e a quello di
strategia sociale. In altri termini, la domanda «che cos’è stata l’impresa per i suoi
attori-chiave?» conduce direttamente al nocciolo di ogni problematica esistenziale
dell’impresa e al riconoscimento dei suoi valori, a condizione però di cercarvi
risposta non in discussioni filosofiche, ma nella storia dell’azienda e, precisamente
nelle scelte e nei fatti rivelatori della mentalità, della cultura e dei valori
concretamente professati.
Le imprese a cultura debole e frammentata, indotta da valori imprenditoriali non
condivisi hanno inevitabilmente una identità opaca, i cui riflessi negativi sulla
immagine non sono certo neutralizzabili mediante campagne pubblicitarie
manipolative, per quanto esse siano ben studiate. Per contro, le imprese con una
cultura coesiva, fatta di valori condivisi, hanno una spiccata identità cui corrisponde
una immagine capace di attrarre selettivamente le risorse, le collaborazioni e i
consensi loro necessari. Insomma, valori e cultura d’impresa, da un lato, e immagine
aziendale, dall’altro, sono variabili strettamente collegate.
Trattatasi di una politica di immagine rivolta non già ad accreditare una identità non
corrispondente al vero, ma a colmare il divario rispetto alla identità desiderabile e,
quindi, a costruire una immagine autentica di ciò che l’impresa vuole e cerca di
essere. E l’identità ricercata non può che essere quella di un’impresa che si pone al
servizio dei suoi clienti, che sa dare un significato al lavoro dei suoi dipendenti, che
assolve nel migliore dei modi il suo ruolo economico.
Emerge allora, che il successo dell’impresa dipende dalle tre funzioni redditività,
competitività e socialità legate congiuntamente, in cui ad esempio, tensione alla
economicità, orientamento al servizio del cliente e attenzione per i lavoratori si
coniugano non tanto bilanciandosi quanto piuttosto rafforzandosi vicendevolmente.
Emerge, ancora, una concezione del finalismo d’impresa in cui né il reddito, né i
necessari traguardi competitivi e neppure il soddisfacimento delle attese di
determinati partecipanti assurgono a fine ultimo ed esclusivo dell’impresa, tutti
essendo mezzo necessario o via obbligata verso una piena realizzazione della sua
ragione d’essere. Nessuno di essi è un autentico «valore imprenditoriale» in assenza
degli altri: non il reddito se ottenuto ad esempio grazie a livelli retributivi
estremamente bassi o in condizioni di svolgimento del lavoro lesive della salute
62
fisica e psichica dei lavoratori o con pregiudizio per la competitività futura
dell’impresa, non la creazione di posti di lavoro se ottenuta sacrificando il ruolo
economico dell’impresa.
L’obiezione che potrebbe emergere è che gli «investimenti sociali» attuati
dall’azienda potrebbero comportare minor utili e la disponibilità di minori risorse
finanziarie per l’effettuazione di investimenti direttamente produttivi. Tale obiezione,
è valida, limitatamente al breve periodo, dato che la reciproca funzionalità di
progresso reddituale, competitivo e sociale non si realizza istantaneamente, ma si
dispiega nel tempo e, di solito, in un tempo non breve. I conflitti di breve possono e
devono superarsi in una concezione del finalismo della impresa di ampio respiro, in
cui i sacrifici presenti sono compiuti in vista di benefici futuri e solo
temporaneamente si rinuncia ad avanzare lungo date dimensioni di progresso per
consentire il raggiungimento di obiettivi prioritari. Diversamente, se si accetta una
sistematica supremazia di una dimensione del successo imprenditoriale sulle altre, è
inevitabile il prodursi di una scissione tra progresso economico, sociale e
competitivo, destinata a sfociare prima o poi in una crisi profonda.
4.1.3. Quali sono i valori alla base del successo imprenditoriale?
I valori in oggetto sono quelli che danno contenuti concreti alla specifica ed autentica
vocazione imprenditoriale dell’impresa. Qualsiasi impresa è chiamata a servire
economicamente determinati bisogni di dati clienti in un contesto che oggi è
altamente concorrenziale e sviluppando certe risorse di cui dispone e può disporre,
primo fra tutte quelle umane.
Di conseguenza deriva che i valori-cardine del successo imprenditoriale hanno
inevitabilmente a che fare con categorie come il «servizio al cliente» («l’ascolto delle
sue necessità», «il rispetto e la valorizzazione delle persone»), «l’economicità della
gestione», l’«innovatività».
Se l’impresa si orientasse a servire determinati bisogni della clientela per i quali non
fosse adatta, sarebbe soccombente nel confronto competitivo e quindi non potrebbe
assolvere il ruolo economico suo proprio. E’ importante che tali valori siano integrati
63
in una visione imprenditoriale vincente. E questa, a ben vedere, è il vero valore di
impresa.
Anche l’economicità della gestione, che pur esprime la capacità dell’impresa di
assolvere la sua irrinunciabile funzione produttrice di ricchezza, non è un autentico
valore imprenditoriale se viene perseguita in una logica di sfruttamento del cliente e
del personale, anziché in una logica di servizio al cliente e di valorizzazione delle
risorse personali. Ma questo diverso modo di concepire il ruolo economico
dell’impresa sottende una logica di innovazione imprenditoriale, la quale si esplicita
nella continua ricerca di opportunità atte a valorizzare e sviluppare le competenze
disponibili e nel continuo sviluppo di risorse e conoscenze atte a mantenere una
superiore capacità di servire economicamente il cliente.
4.1.4. Rapporto tra responsabilità sociale e obiettivi dell’impresa
L’attenzione verso il sociale sta assumendo assieme alla dimensione competitiva ed a
quella reddituale una posizione chiave per l’azienda. Tuttavia, pur essendo quasi
unanimemente riconosciuta la necessità, da parte dell’impresa, di prestare attenzione
alle istanze provenienti dal contesto socio-ambientale, non esiste una convergenza di
opinioni intorno all’estensione ed al confine di tali «carichi sociali», intorno cioè al
significato da attribuire al termine responsabilità o ruolo sociale dell’impresa.
Accanto, infatti, alle posizioni di chi non ravvisa alcuna responsabilità sociale da
parte dell’impresa, vi sono le opinioni di coloro i quali ritengono che l’impresa debba
farsi carico di contribuire positivamente ed attivamente al benessere della collettività
in cui opera.
Secondo la prima impostazione, il perseguimento di obiettivi di tipo economico
rappresenta il fondamento di una soddisfacente «performance» aziendale e permette
la realizzazione di obiettivi diversi funzionalmente, in modo cioè successivo e
conseguente. Il successo economico sarebbe, quindi, la variabile indipendente dalla
quale scaturiscono subordinatamente le «prestazioni sociali» dell’impresa.
L’ipotesi invece che qui si vuole affermare è che, pur mantenendo come base
indispensabile ed insostituibile la logica economica, affianca a quest’ultima
un’attenzione verso il sociale. In altre parole, l’impresa dovrebbe dedicare altrettanto
64
interesse, rispetto a quello economico, alla dimensione sociale, la quale essa stessa
concorre al raggiungimento di dimensioni economiche soddisfacenti. Non più,
quindi, una posizione subordinata e funzionale della componente sociale, ma,
piuttosto un allineamento di quest’ultima tra gli obiettivi e le finalità dell’azienda.
A tale proposito, il Fazzi58 distingue gli «obiettivi» dalle «finalità», attribuendo alle
prime una rilevanza di natura interna, alle seconde di natura esterna. Gli obiettivi
rappresentano, secondo l’autore, strumenti logico-organizzativi, verso i quali
orientare l’attività dell’organismo-impresa. Le finalità, invece, vengono distinte dagli
obiettivi poiché non si rivolgono all’interno del sistema aziendale, ma rappresentano
le mete a cui deve tendere l’attività di impresa nella realizzazione di quella «missione
sociale» ad essa attribuita dalla collettività. Vengono quindi considerate finalità la
promozione del livello occupazionale delle conoscenze tecnologiche e del benessere
locale, etc.
I critici a una tale impostazione (quali Friedman e Drucker) sostengono invece che la
funzione primaria dell’impresa non può essere ricondotta a considerazioni di natura
sociale e che, di conseguenza, le decisioni imprenditoriali devono essere ispirate dai
principi di economicità ed efficienza e limitate esclusivamente da vincoli di natura
giuridica.
Attribuire una responsabilità sociale all’impresa vuol dire riconoscerle un maggiore
potere e, quindi, una maggiore influenza che potrebbe configurarsi in termini
autoritari.
4.1.4.1. La teoria riduttiva
Secondo tale teoria, l’impresa ha una sola responsabilità sociale: quella verso il
proprio benessere. L’obiettivo che caratterizza l’attività dell’impresa deve essere
necessariamente ispirato a criteri economici.
La logica interpretativa adottata è quindi esclusivamente quella massimizzante, che
viene utilizzata per orientare il comportamento dell’impresa. Alla base di tale logica
massimizzante risiede il criterio utilitaristico, secondo il quale il principio-guida di
ogni azione è quello della massimizzazione dell’utilità per l’attore.
58 FAZZI R., Il governo d’impresa, vol. I, Giuffrè, Milano, 1982, pag. 87
65
4.1.4.2. La teoria estensiva
La concezione di tipo estensivo affianca alle finalità economiche anche quelle
sociali. In questa prospettiva, gli obiettivi economici non sono più di tipo
massimizzante, ma soddisfacente, e vanno resi compatibili con il perseguimento di
finalità di natura socio-politica. La chiave interpretativa della posizione «estensiva» è
quella di concepire l’impresa come microsistema, inserito nel più ampio sistema
sociale.
L’adozione di tale chiave di lettura comporta, allora, un approccio diverso da parte
dell’impresa verso l’insieme delle «parti in causa» che interagiscono con essa.
Gli «interlocutori dell’azienda», o stakeholders non dovranno più essere considerati
come vincoli, ma piuttosto come opportunità per lo sviluppo e, addirittura, per
l’esistenza dell’azienda stessa.
Il punto nodale di questo orientamento è, quindi, la comprensione e l’approfondita
conoscenza delle parti in causa e la consapevolezza che queste ultime tenderanno
sempre di più ad esercitare pressioni politiche e sociali sull’impresa, in grado di
influire in modo determinante sul suo rendiconto economico.
Secondo tale impostazione, e differentemente dalla visione precedente, le «regole del
gioco» non sono, quindi, imposte dall’esterno, non vengono interpretate dall’azienda
come vincolo, ma risultano da un confronto e da uno scambio iterativo con il proprio
ambiente.
4.1.5. I valori imprenditoriali primari e quelli strumentali
I valori che ciascun individuo ha in sé influiscono sugli obiettivi che egli si pone, su
ciò che vuole perseguire, sulle scelte che compie per raggiungere detti obiettivi, sulle
azioni che attua nel concretare le scelte.
I valori individuali come tali, rimangono nella sfera interiore dell’individuo e
possono costituire oggetto di svariate discipline (morale, psicologia, sociologia,
ecc.); gli stessi valori, trasfusi in obiettivi, scelte e comportamenti che si realizzano
all’interno e/o per mezzo di un’azienda, entrano nella sfera economico-aziendale. I
66
valori di tutti gli individui che, a diversi livelli, operano nell’azienda hanno una
indubbia influenza sulla vita e sul successo della stessa.
«Tali valori, idee radicate su ciò che l’azienda è, su ciò a cui serve, sulla sua ragion
d’essere, determinano, infatti, la maniera di porsi nei confronti di essa da parte di
ciascuno, il rapporto dei singoli individui con l’azienda.»59
Con l’espressione valori imprenditoriali non si intende quindi fare riferimento a
qualità, innate e/o acquisite, a doti di carattere o di cultura, di preparazione
professionale e di esperienza, che predispongono l’uomo imprenditore a svolgere con
successo la sua funzione. Ci si riferisce, invece, «ai valori imprenditoriali intesi come
mete da raggiungere per l’imprenditore, come filosofia di fondo, alla luce della quale
egli interpreta, sia in senso passivo e cioè intende, sia in senso attivo, attua, la propria
funzione imprenditoriale.»60
I valori imprenditoriali intesi in tal senso costituiscono, quindi, i pilastri che
sostengono, per ciascun imprenditore, la propria ragione d’essere e, per conseguenza,
i moventi della propria attività ed, in ultima analisi, la giustificazione che egli dà a sé
stesso, della propria funzione, del proprio ruolo e della maniera di attuare entrambi
nel concreto della gestione.
I valori dell’imprenditore, il suo rapporto con l’azienda, gli scopi e le attese che da
essa si prospetta, possono esser estremamente vari, influenzati da fattori personali (il
tipo ed il livello di formazione morale umana e professionale, la maniera di
interpretare la realtà, lo stato sociale, ecc.) e da fattori ambientali (le caratteristiche e
le dimensioni dell’impresa, le vicende della sua storia, il mercato, l’ambiente
generale, ecc.).
All’interno di detti valori è possibile creare una distinzione fra valori imprenditoriali
che potrebbero definirsi primari, o di fondo, che sono quelli che ineriscono alla
ragione d’essere dell’azienda, del ruolo e della funzione imprenditoriale; e valori
imprenditoriali di tipo strumentale, o secondari, i quali, discendendo direttamente dai
primi, ne coniugano i contenuti con la realtà più direttamente gestionale.
Questi ultimi che costituiscono pur sempre obiettivi da raggiungere, mete da
perseguire, hanno tuttavia una più stretta attinenza con la realtà operativa aziendale e
possono identificarsi come modelli o strumenti di attuazione dei primi. 59 ZAPPA G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo 1°, Cap 1°, Giuffrè, Milano, 1956 60 Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, op. cit.
67
4.1.6. La cultura aziendale
Con l’espressione «cultura aziendale» si intende fare riferimento ad un sistema di
ipotesi condivise dai membri dell’organizzazione, frutto dello sforzo degli stessi
nell’interpretare e superare problemi di integrazione interna ed esterna, le quali,
manifestandosi di volta in volta vincenti – cioè utili a rendere più efficace l’operare
dei membri stessi–si stratificano col passare del tempo e vengono trasmesse ai nuovi
membri dell’organizzazione come modo corretto di interpretare la realtà.
Affinché, le ipotesi o i valori possano entrare a far parte della cosiddetta «cultura
aziendale» è innanzitutto necessario che siano condivisi, che, cioè, su di essi si crei
un forte grado di aggregazione da parte dei membri dell’organizzazione; è, poi,
necessario che siano vincenti, che, cioè, si manifestino corretti ogni qualvolta,
consciamente o inconsciamente, vengano utilizzati nella soluzione di un problema.61
4.2. La fiducia e la reputazione
«Qualsiasi transazione commerciale contiene in sé un elemento fiduciario,
certamente qualsiasi transazione che implica durata nel tempo. Si può sostenere che
una spiegazione del sottosviluppo economico consiste nella mancanza di fiducia
reciproca»62. «La società si disintegrerebbe in assenza di fiducia tra gli uomini. Sono
pochissimi i rapporti che si fondono totalmente su ciò che uno sa in modo
verificabile dell’altro, pochissimi durerebbero oltre un certo tempo se la fiducia non
fosse così forte e talora anche più forte di verifiche logiche e anche oculari»63.
I due autori mettono in risalto l’importanza della fiducia nei rapporti economici,
rilevanza immediata anche per la «Responsabilità Sociale d’Impresa».
Benché l’impresa possa sviluppare comportamenti socialmente responsabili in modo
autonomo e unilaterale, appare evidente che la CSR può essere incoraggiata dal
grado di fiducia che caratterizza i rapporti con i principali stakeholder. In un clima di
sfiducia gli sforzi sinceri e trasparenti, che l’impresa può adottare per illustrare i
61 Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, op. cit. 62 ARROW K.J., The Limits of Organization, Norton & Company, New York, 1974 63 RIMMEL G., Philosophie des Geldes, Berlin, 1990 (trad. it., Filosofia del denaro, Utet, Torino, 1984)
68
comportamenti socialmente responsabili, possono essere fraintesi e interpretati come
una pura operazione di immagine o un tentativo di manipolare a proprio favore il
dialogo con gli stakeholder. D’altra parte l’impresa può essere indotta ad adottare
comportamenti socialmente responsabili, perché spinta dall’opinione pubblica o per
emulazione di pratiche orami consolidate in un territorio o in un settore, grazie alla
sensibilità delle parti sociali.
Non esiste una definizione condivisa del termine fiducia, che spesso viene usato in
modo evocativo come sinonimo di lealtà, consenso, cooperazione, solidarietà e
legittimazione.
4.2.1. La fiducia Con la trasformazione delle attività da industriali a commerciali, il bilancio
d’esercizio ha cominciato ad accusare le prime difficoltà nel rappresentare
correttamente la realtà sottostante ai fatti gestionali. Nasce l’esigenza i contabilizzare
un elemento nuovo e tutto qualitativo: la fiducia.
Fino a poco tempo fa, l’impresa otteneva «fiducia» attraverso i suoi risultati
economici. L’ultima riga (the «bottom line», nella terminologia anglosassone) del
conto economico (scalare) contabilizzava indirettamente anche la fiducia, senza la
quale non si poteva operare sul mercato.
Oggi questo non è più sufficiente. Si parla sempre più spesso di un triplice approccio:
la «triple bottom line». Secondo tale orientamento la misurazione dei risultati deve
avvenire non solo sulla base di criteri economici, ma anche di quelli ambientali e
sociali.
Nel passaggio da una a tre righe finali di un ipotetico conto economico, si
cristallizzano tutti i limiti oggettivi della rendicontazione tradizionale. Essa già
stentava a cogliere esaurientemente tutti gli aspetti di natura economica, ma è ancora
meno adeguata al fine di soddisfare la nuova domanda di rendicontazione sociale e
ambientale.
La complessità principale nasce dal fatto che la «fiducia» non solo è un elemento
intangibile dell’attivo patrimoniale ma è, a sua volta, una sommatoria di elementi
intangibili. E’ un cocktail fatto di valori, di atteggiamenti, di rispetto delle regole, di
69
governance, di onestà, di etica. In sintesi, la fiducia è il consenso dell’opinione
pubblica e, cioè, del complesso degli stakeholder.64
Inoltre, il bilancio segna un ulteriore punto di crisi con lo sviluppo delle aziende
know-how, cioè società caratterizzate da una forte presenza di professional, la cui
alta intensità di conoscenze caratterizza la gestione aziendale.
La conoscenza accumulata (cosiddetta knowldge) quando si realizza all’interno
dell’azienda non viene contabilizzata. Si trascura perciò un elemento fondamentale:
il personale che è il vero patrimonio (di conoscenze) di questa tipologie di imprese.
La formazione, il grado di specializzazione, i comportamenti, la creatività,
l’attaccamento all’azienda, il senso di appartenenza sfuggono alla metrica del
bilancio e sono contabilizzati in conto economico come un qualsiasi acquisto di
materiale da consumo. Sono forse questi elementi assimilabili in qualche maniera
alla cancelleria o alle lampadine?
I professional come dice Da Empoli65, sono «soggetti nomadi» cioè si spostano da
un’azienda ad un’altra. E’ evidente che in questo processo un’azienda perde una
parte del suo valore e un’altra se ne avvantaggia ma, in assenza di un adeguato
sistema contabile questo è un processo destinato a rimanere oscuro agli imprenditori.
Si impone così un nuovo modello: ottenere e gestire il consenso sia all’esterno
dell’azienda, ottenendo la fiducia degli stakeholder, sia all’interno, componenti che
però non vengono rilevati dal bilancio.
L’esigenza che si pone è quella di legare la realtà interna a quella esterna all’impresa,
alimentando una stabile relazione con i portatori di interessi (stakeholder
relationship). E’ questo il campo d’azione della rendicontazione sociale di cui il
bilancio sociale è solo uno degli strumenti. Esso pur non risolvendo tutti i problemi,
può contribuire alla soddisfazione di parte della domanda di comunicazione non
soddisfatta dal bilancio tradizionale.
64 HINNA L., (a cura di), Il bilancio sociale – Scenari, settori e valenze Modelli di rendicontazione sociale Gestione responsabile e sviluppo sostenibile Esperienze europee e casi italiani, Il Sole 24 Ore, Milano, 2000 65 DA EMPOLI G., La guerra del talento, meritocrazie e mobilità nella nuova economia, Marsilio, 2000
70
4.2.2. La reputazione Le imprese che attivano uno stakeholder reporting lo fanno con lo scopo di creare
valore, sia interno che esterno, per tutti gli stakeholder chiave. La creazione di
valore, infatti, è lo scopo principale del management.
Se è vero che elementi come la fiducia e la reputazione sono attività intangibili
dell’impresa e non solo per le banche e le assicurazioni ma per tutte le imprese,
adottare un sistema di rendicontazione sociale significa introdurre un sistema per il
«management della reputazione». Quest’ultimo è elemento di cui tutte le imprese
hanno bisogno: da un lato, chi ha una reputazione forte deve difenderla e rafforzarla;
dall’altro, chi ha una reputazione debole deve ricostruirla o crearla, magari a causa di
eventi che l’hanno deteriorata.
La gestione di un processo di rendicontazione sociale crea, in questo modo, valore
sull’esterno per l’impresa nella misura in cui crea relazioni più forti tra gli
stakeholder e accresce la reputazione, grazie alla responsabilità sociale che viene a
essa riconosciuta. Ciò offre al suo management un vantaggio competitivo da sfruttare
e da gestire. Si arriva ad affermare che lo stakehoder reporting può essere visto come
una sorta di “polizza assicurativa” che protegge la reputazione dell’impresa. Essa,
infatti, anche se non si contabilizza, è una risorsa intangibile di grande valore:
miglioramenti e peggioramenti della stessa possono avere effetti finanziati fin troppo
tangibili.
L’idea di leggere lo stakeholder come un soggetto che possa creare valore per
l’impresa è un concetto per certi versi nuovo: è la traduzione del «valore del
consenso»66. Lo stakeholder reporting crea valore interno poiché non è solo un
«sistema di rilevazione» ma è anche una filosofia di gestione basata sul dialogo e sui
«valori». Il fine è quello di creare e gestire una efficace rete di relazioni tra gli
stakeholder, riguardante sia la performance dell’impresa sia l’amministrazione delle
risorse sociali, etiche, intellettuali e ambientali.
La missione, la visione e i valori dell’impresa formano le fondamenta dello
stakeholder reporting, ma, a loro volta, sono anche prodotti del processo. Infatti lo
stakeholder reporting permette al management di verificare che la missione, la
66 HINNA L., (a cura di), op. cit.
71
visione e i valori aziendali collimino con le aspettative, la domanda e i valori degli
stakeholder chiave.
4.3. I destinatari della responsabilità Parlare genericamente dell’entità impresa e conferire a questa delle responsabilità
sembra non avere molto senso: l’impresa esiste in quanto costituita dagli individui
che ne fanno parte. L’impresa è un soggetto artificiale, invisibile, intangibile,
esistente in relazione ad esigenze di natura giuridica ed operante solo in funzione
dell’elemento umano in essa presente. Si ritiene corretto, quindi, riferire la
responsabilità agli attori chiave dell’impresa, agli esponenti cioè del gruppo di
controllo e del vertice aziendale, in altre parole, all’organo imprenditoriale.
I sostenitori di questa teoria si rifanno alla tradizionale concezione della
responsabilità dell’individuo, mentre i critici sostengono posizioni differenti. Essi,
infatti affermano che quando un gruppo organizzato, come una società per azioni,
agisce congiuntamente, possono definire l’atto dell’impresa come atto del gruppo, e
di conseguenza deve essere ritenuto responsabile il gruppo e non gli individui che lo
compongono.
I sostenitori della visione tradizionale, tuttavia, replicano che sebbene talvolta si
attribuiscono gli atti ai gruppi, questo fatto linguistico e giuridico non cambia la
realtà morale che sta dietro a tutti gli atti delle imprese: sono stati degli individui a
compiere le particolari azioni che hanno determinato l’atto dell’impresa. Poiché gli
individui sono moralmente responsabili delle conseguenze note e intenzionali delle
loro libere azioni, ogni individuo che consapevolmente e liberamente unisce le sue
azioni a quelle di altri con l’intenzione di compiere un certo atto dell’impresa, è
moralmente responsabile di tale atto.
Abbastanza spesso, tuttavia, non possiamo dire che i dipendenti di una grande
azienda abbiano «consapevolmente e liberamente unito le loro azioni» per compiere
un atto dell’impresa o per perseguire un obiettivo dell’impresa.67
67 VELASQUEZ M. G, Etica economica, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia, 1993
72
E’ ovvio, quindi, che una persona inserita nella struttura burocratica di una grande
organizzazione non è necessariamente responsabile per ogni atto dell’impresa che
contribuisce a realizzare.
4.3.1. L’impresa può avere responsabilità morale?
La risposta a questa domanda passa attraverso la considerazione dell’esistenza di una
eventuale separazione tra la proprietà ed il controllo dell’impresa, che molto spesso
si riflette in termini dimensionali. Infatti, per le aziende di piccole e medie
dimensioni, solitamente la proprietà ed il controllo sono concentrati addirittura in
un’unica persona: il titolare dell’impresa è anche colui che determina le scelte
strategiche e gestionali: pertanto, in questo caso, non si può parlare di impresa come
«soggetto socialmente responsabile», in quanto il comportamento dell’impresa è
etico se lo sono le decisioni assunte dal proprietario, l’eticità dell’impresa coincide
con l’eticità di chi la governa.
Diversa è invece la situazione per le organizzazioni imprenditoriali di grandi
dimensioni, o, in generale, per le organizzazioni in cui si riscontra una separazione
tra proprietà e controllo. In seguito mostreremo le diverse impostazioni dottrinali a
tale riguardo.
Molte volte l’azienda viene accusata di essere responsabile dell’inquinamento
dell’ambiente circostante oppure dei danni alla salute di quanti lavorano.
Formalmente si fa in tal modo riferimento alla personalità giuridica dell’impresa; dal
punto di vista sostanziale però gli argomenti sollevati fanno riferimento alla
responsabilità morale di qualche agente per un danno inferto, un diritto violato etc.
Indipendentemente da come la responsabilità giuridica dell’impresa si trasferisce su
particolari agenti individuali è importante sapere se sia possibile ascrivere
responsabilità morale all’impresa in quanto tale oppure se la responsabilità morale
debba essere in ogni caso fatta risalire a particolari soggetti individuali. Le risposte
variano secondo le teorie dell’organizzazione.
Il filosofo americano Peter French ha sostenuto che la moderna società per azioni
(corporation) può essere a tutti gli effetti considerata come una persona morale. A tal
fine egli non considera l’organizzazione come un aggregato di individui che operano
73
a vario titolo al suo interno. La natura di persona morale dell’impresa discende
invece dal concetto di responsabilità morale, secondo il quale un soggetto è
moralmente responsabile di un evento se è possibile chiedergli di rendere conto
dell’evento. Ciò è possibile se:
o «il soggetto in questione ha causato l’evento con una sua azione;
o l’azione era intenzionale.»68
Data questa nozione di responsabilità morale, l’idea di French è che un evento possa
essere descritto non solo come qualcosa che è stato fatto intenzionalmente dagli
individui di un certo gruppo, ma anche come qualcosa che è stato fatto
intenzionalmente dall’organizzazione in quanto tale, cioè come un’azione
intenzionale dell’organizzazione. In generale French sostiene che è del tutto
giustificato considerare gli scopi e le politiche fondamentali di un’organizzazione
come indipendenti e a sé stanti rispetto alle intenzioni e agli scopi degli individui che
operano nell’organizzazione, che sono proprietari o che agiscono in suo nome.
Una tesi opposta a quella sostenuta da French è stata proposta da John Ladd, secondo
il quale non è possibile riscontrare una responsabilità morale di un’organizzazione
burocratica, e quindi non ci sono diritti e doveri morali di un’impresa. I dipendenti di
un’impresa, e gli altri soggetti che hanno rapporti con essa, non hanno doveri o
obblighi morali verso l’impresa, poiché essa non ha personalità morale.
Sulla base della teoria delle organizzazioni formali, le decisioni organizzative
possono essere attribuite all’organizzazione stessa, e i funzionari, che entrano nel
processo decisionale organizzativo, agiscono impersonalmente a nome dell’impresa
quale soggetto decisionale autonomo. Egli sottolinea che le decisioni sociali sono
decisioni fatte da un funzionario a nome di un soggetto o entità differenti da lui. Il
funzionario nell’organizzazione agisce impersonalmente, non per i propri scopi ma in
nome degli scopi dell’organizzazione in quanto tale. A ciò si aggiunge la struttura
gerarchica delle organizzazioni, in base alla quale ogni funzionario agisce in accordo
col principio di autorità, che gli impone di assumere come premessa della sua
decisione non i suoi scopi o fini personali ma il fine organizzativo.
Infine, l’idea di razionalità, che è tipica delle organizzazioni formali, è quella
strumentale, della scelta dei mezzi più appropriati dato il fine organizzativo. Così un 68 SACCONI L., Etica degli affari – Individui, imprese e mercati nella prospettiva di un’etica razionale, Il Saggiatore, Milano, 1991
74
funzionario non deve compiere scelte di valore morale, ma solo scegliere i mezzi
tecnicamente più appropriati per realizzare quel fine. Da tutto ciò Ladd deduce che
«le decisioni sono soggette a due standard interamente differenti e talora
incompatibili. Le decisioni sociali sono soggette allo standard dell’efficienza
razionale (utilità), mentre le azioni degli individui sono soggette agli standard della
moralità ordinaria»69.
Una terza teoria di Kenneth Goodpaster sostiene invece la tesi della responsabilità
morale dell’impresa sulla base della negazione della diversità tra il processo
deliberativo dell’individuo e del processo deliberativo di un’organizzazione. I due
processi sarebbero invece fondamentalmente analoghi. La nozione di responsabilità
rilevante al fine del percorso è quella che si applica alle decisioni. Essere
responsabile in questo caso significa decidere in modo responsabile, ovvero
esercitando la necessaria cura e riflessione su tutti gli aspetti di una decisione data.
Ciò va distinto dalla nozione giuridica di responsabilità, per la quale qualcuno deve
rispondere delle sue azioni di fronte all’autorità giudiziaria.
4.4. Gli obiettivi delle imprese etiche
La definizione tradizionale dello scopo dell’impresa, propria della microeconomia
classica, è che l’impresa tende alla massimizzazione del profitto. Il riferimento è qui
allora alla teoria economica elementare dell’impresa – quella che chiunque può
trovare nei libri di testo di microeconomia come teoria dell’offerta. Ciò che lo
studioso osserva sono gli input e gli output della produzione e la teoria serve a
stabilire le appropriate relazioni funzionali tra i due elementi sotto l’ipotesi che
l’impresa, intesa come un tutto, agisca come massimizzatrice del profitto. Tale
ipotesi in realtà non è a sua volta che il risultato dell’assunzione che l’impresa sia
efficiente nello stabilire la relazione tra input e output: ovverosia, che dato un certo
livello di output, venduto sul mercato, l’impresa è quella funzione di produzione che
alloca le risorse e i fattori produttivi al suo interno in modo da minimizzare i costi di
produzione e rendere massima la differenza tra costi totali e ricavi totali.
Che dire della sua giustificazione morale? «La definizione economica elementare è
anche una definizione morale dello scopo dell’impresa a condizione che l’economia 69 SACCONI L., op. cit.
75
in generale sia un’economia perfettamente concorrenziale».70 Un’economia
perfettamente concorrenziale raggiunge uno stato di equilibrio, che a sua volta
soddisfa un requisito di efficienza sociale paretiana, se tutte le imprese che
producono i beni sono individualmente razionali, ovvero massimizzano il profitto e
tutte le famiglie, che consumano i beni, massimizzano le loro soddisfazioni. In
questo caso la definizione classica dello scopo dell’impresa ha una giustificazione
teleologica in termini di etica utilitaristica. Questa giustificazione però, non è più
sufficiente di fronte alle imperfezioni della concorrenza nelle economie reali. Se
infatti i mercati non sono perfettamente concorrenziali, non c’è motivo di assumere
in generale che imprese massimizzatici del profitto convergano ad una situazione di
equilibrio nelle quali le risorse siano allocate efficientemente in senso paretiano.
4.4.1. Obiettivi alternativi o addizionali rispetto alla massimizzazione del profitto?
La «Responsabilità Sociale dell’Impresa» è stato un concetto importante per i
tentativi di attribuire alle imprese scopi alternativi o addizionali rispetto alla
esclusiva massimizzazione del profitto. Con responsabilità sociale dell’impresa
intendiamo l’idea che l’impresa abbia obblighi sociali, che trascendono le funzioni
economiche di allocare risorse produttive scarse, produrre ed offrire beni e servizi,
assicurare un soddisfacente livello di profitti per gli azionisti e gli investitori di
capitali.
In generale, tuttavia, si sottolinea la costante separazione tra la riflessione sulla
responsabilità sociale e quella di etica degli affari: l’una rivolta agli obblighi sociali
dell’impresa al di fuori del merito specifico della sua attività economica, l’altra tesa a
definire le basi morali dell’attività e delle operazioni più proprie delle organizzazioni
produttive.
Cambia la concezione di gestione dell’azienda cioè che sia in grado di rispondere e
anticipare le sfide provenienti dall’esterno (e dall’interno). Ciò pone in luce il
concetto di gestione strategica dell’impresa e di strategia come capacità di anticipare
e rispondere alle maggiori pretese che dalla società vengono avanzate nei confronti
delle imprese. Dai fini, l’enfasi viene spostata ai mezzi.
70 SACCONI L., op. cit.
76
A partire dagli anni ’70, il concetto di «responsabilità sociale» viene sempre più
sostituito con quello di «rispondenza sociale» dell’impresa. Con il passaggio alla
rispondenza sociale il problema non è più la definizione dello scopo o del
proponimento dell’impresa, bensì il fatto che, comunque tale scopo venga definito, il
suo perseguimento deve tener conto del contesto entro il quale una varietà di soggetti
interni ed esterni all’impresa avanzano pretese, per ottenere benefici o per non subire
danni, almeno potenzialmente conflittuali con lo scopo della massimizzazione dei
profitti.
4.5. La teoria degli stakeholder
La gestione strategica (strategic management) è uno dei contributi più significativi al
tentativo di definire moralmente lo scopo dell’impresa. Esso si basa su una revisione
critica della nozione di gestione strategica e di rispondenza sociale; e riconosce che
analisi etica e definizione della strategia di impresa sono strettamente interconnesse.
Data la sua origine all’interno delle cosiddette «scienze manageriali», la teoria parte
da alcune «scoperte» empiriche. Secondo Freeman e Gilbert, la prima «scoperta» è
che l’impresa è attorniata da una molteplicità di soggetti, i cui interessi sono
influenzati dalle operazioni dell’impresa e le cui decisioni influiscono a loro volta sul
processo decisionale e sulla definizione dei suoi obiettivi. Concetto base di questa
nuova teoria è perciò quello di stakeholder, cioè gruppi di soggetti i cui interessi e le
cui pretese sono «posta in gioco» nella gestione dell’impresa. Tale nozione di
reciproca dipendenza tra l’impresa e i suoi stakeholder è espresso nel seguente
principio:
Principio di interdipendenza: il successo dell’impresa dipende dalle azioni degli
individui o gruppi di individui (stakeholder) i cui interessi sono in gioco nella
gestione dell’impresa.
Il concetto di stakeholder è una generalizzazione di quello di possessori di quote di
capitale (stokholder). Gli azionisti hanno in gioco nell’impresa i loro capitali
investiti. L’idea è che, così come gli azionisti avanzano pretese, basate su interessi in
gioco così altri soggetti, che beneficiano o sono danneggiati dall’impresa, avanzano
pretese e richiedono il rispetto dei loro diritti da parte della gestione dell’impresa.
77
Per identificare più precisamente li stakeholder dell’impresa è tuttavia necessario
dare una definizione più stretta del concetto: si intendono stakeholder in senso stretto
quegli individui o quei gruppi di individui i quali siano essenziali alla sopravvivenza
e al successo dell’impresa e che in aggiunta, come nel caso della definizione larga
data in precedenza, abbiano interessi essenzialmente influenzanti o «posti in gioco»
dalla gestione dell’impresa. In particolare, restando alla definizione stretta, sono
stakeholder i proprietari dell’impresa, che hanno in gioco il loro investimento
finanziario e che si aspettano una remunerazione dei loro investimenti. Sono
stakeholder i dipendenti, che hanno in gioco il loro lavoro e le basi della loro
sussistenza, che sviluppano abilità di lavoro specificamente adattate all’impresa, per
le quali non esiste una domanda di mercato perfettamente elastica, e che si aspettano
perciò, oltre al salario, sicurezza del lavoro e altri servizi informali connessi con
l’ambiente di lavoro. Sono stakeholder i fornitori dell’impresa, la cui offerta di
materie prime è vitale per l’impresa, mentre l’impresa è vitale in quanto compratrice
delle offerte dei fornitori. Sono stakeholder i consumatori, il cui benessere è
coinvolto dalla quantità e dalla qualità dei beni e servizi offerti dall’impresa e che in
cambio offrono all’impresa le condizioni della sua sopravvivenza, sotto forma di
ricavo.
La seconda «scoperta» della scienza manageriale, dalla quale sorge il nuovo
approccio alla strategia d’impresa, sempre secondo Freeman e Gilbert, è che le
organizzazioni sono costituite da esseri umani la cui azione è retta da valori. Perciò
una profonda comprensione dei valori umani è indispensabile alla definizione della
strategia d’impresa.
Un secondo principio che può essere proposto suggerisce di trattare la relazione tra
strategia e valori in sintonia con la relazione tra valori individuali e azioni degli
individui.
Principio della rilevanza dei valori: le azioni degli individui e dell’impresa
dipendono dai valori degli individui e dell’impresa.71
Questo principio serve in realtà semplicemente a collocare la teoria del
comportamento dell’impresa nel contesto di una teoria dell’azione intenzionale,
fondata sull’idea che il soggetto agisca sulla base di valutazioni.
71 SACCONI L., op. cit.
78
Data la centralità dell’idea di agire intenzionale, basato su valori, secondo Freeman e
Gilbert la nozione di strategia d’impresa deve infatti essere formulata in analogia con
la nozione di proponimento individuale. Il proponimento è personale, così la strategia
si basa sul proponimento di una o più persone. Il proponimento guida l’azione, così
anche la strategia.
4.5.1. Tipologie di stakeholder
Gli stakeholder sono coloro che hanno una qualche «posta di scommessa»
(«letteralmente stake») nell’azienda, in particolare, sono soggetti (o gruppi di
soggetti) che a vario titolo «interloquiscono» con le aziende, le amministrazioni e le
organizzazioni di vario genere, sia nelle vesti di individui esterni ad esse
(clienti/utenti, fornitori, consulenti, finanziatori, associazioni di categoria, sindacati,
mass-media, organizzazioni politiche, gruppi di pressione, enti pubblici e privati
vari), che in quelle di «interni» (dipendenti, soci, amministratori).
«Vi sono infatti sia internal che external stakeholder; così come ve ne sono sia
market (o financial) che no-market (not financial), in relazione alla circostanza che i
portatori d’interessi intrattengano o meno rapporti economico-finanziari con
l’impresa. All’interno dei market stakeholders si distinguono da una parte quelli in
posizione c.d. fixed claimant (a remunerazione fissa e massimo prestabilito, quali
fornitori, dipendenti di vaio livello, creditori) con interessi qualificabili come risk-
averse (cioè avversi all’investimento nel capitale di rischio); dall’altra vi sono quelli
c.d. residual claimant, con aspettative dal tetto non limitabile a priori poiché
includenti margini di compenso variabili e imponderabili (soci, amministratori
remunerati in proporzione dei risultati conseguiti, fisco) ma di essi non si occupa la
responsabilità sociale d’impresa».72 «Con questo termine si intendono individui o
categorie che hanno un interesse rilevante in gioco nella conduzione dell’impresa o
che possono influire in modo significativo su di essa».73
All’origine lo «stakeholder approacch» è strettamente legato alle tematiche della
gestione strategica delle aziende, spingendole ad allargare gli interlocutori da 72 TORO P., Governance etica e controllo Assetti societari, codici di autodisciplina e audit interno, Cedam, Padova, 2000 73 FREEMAN R.E. and McVEA J., A stakeholder approach to Strategic management, working paper n. 01-02 Darden Graduate School of Business Administration, 2002
79
considerare. Ci si rende conto che, per migliorare in termini di competitività e di
redditività di lungo periodo, un’impresa non deve solo riferirsi agli interessi degli
azionisti, gli «stockholder» ma deve considerare anche altri interlocutori che essa
«coinvolge» e la cui eventuale reazione negativa potrebbe portare anche a mettere in
crisi gli equilibri aziendali.
4.5.2. Lo stakeholder risorse umane
Il rapporto tra gestione delle risorse umane e responsabilità sociale va letto da due
punti di vista:
1. «la responsabilità sociale si traduce nel considerare le persone uno
stakeholder dell’organizzazione e quindi mettere in atto azioni volte a
migliorare il rapporto con esse;
2. la responsabilità sociale verso gli stakeholder si traduce nei concreti
comportamenti dell’organizzazione. Questi medesimi comportamenti sono il
frutto non solo della discrezionalità individuale, ma anche dei meccanismi di
gestione delle risorse umane e di organizzazione del lavoro adottati».74
Il personale viene considerato dalle aziende uno degli stakeholder più importanti
poiché da esso dipende la capacità dell’impresa di agire. Il rapporto che si viene a
creare tra l’organizzazione e la persona è oggetto di una negoziazione complessa
dalla quale origina una pattuizione che accanto al contratto formale prevede la
creazione di un contratto psicologico. «Il contratto psicologico è l’insieme di
aspettative implicite e non formalizzate che le parti si sono scambiate al momento
della creazione del rapporto»75. Dal rispetto nel tempo del contratto psicologico
dipende la soddisfazione del lavoratore e quindi la sua intenzione di permanere nella
relazione.
Una gestione delle risorse umane improntata alla responsabilità sociale deve porsi
una serie di interrogativi:
o quale rapporto si viene a creare con il personale interno all’impresa?
74 SACCONI L., (a cura di), Guida critica alla Responsabilità sociale e al governo d’impresa, Bancaria Editrice, Roma, 2005 75 SACCONI L., (a cura di), op. cit.
80
o quali sono gli elementi di valorizzazione del rapporto di lavoro per il singolo
lavoratore?
o come viene temperata la asimmetria naturale tra impresa e lavoratore?
La responsabilità sociale della gestione delle risorse umane richiede un’analisi del
bilanciamento tra entrata e uscita del personale sia dal punto di vista qualitativo sia
dal punto di vista quantitativo. Da quest’ultimo punto di vista, le politiche di gestione
delle risorse umane devono governare eticamente l’ambiguità del rapporto tra
esigenze di performance economica e necessità di garantire condizioni economiche
adeguate al mantenimento dei livelli di qualità di vita quando non migliorandoli. Dal
punto di vista qualitativo, la gestione delle risorse umane deve considerare il rapporto
tra l’utilizzo di competenze costruite dalla società tramite le diverse istituzioni a ciò
preposte (in primo luogo scuola, università, formazione professionale, ma anche la
famiglia, ecc.) e capacità di alimentare la formazione di competenze attraverso il
percorso interno all’organizzazione.
La responsabilità sociale della gestione delle risorse umane è chiamata in causa a
diversi livelli. In primo luogo, esiste una responsabilità diretta (soprattutto in fase di
selezione o di progressione di carriera) nella comunicazione delle aspettative e delle
promesse sulla cui base si forma l’accordo da parte del lavoratore. In secondo luogo,
la gestione delle risorse umane definisce le caratteristiche del contratto psicologico e
deve rendere coerenti le diverse regole interne con la natura del rapporto proposto.
Una gestione delle risorse umane responsabile deve attrezzarsi per poter cogliere le
individualità e, pur non potendo piegare il suo funzionamento alle esigenze dei
singoli, comunque considerare le aspettative delle persone.
Pertanto, concludendo, le dimensioni dell’azione di gestione delle risorse umane più
direttamente coinvolte sono:
o i sistemi di gestione delle risorse umane: reclutamento e selezione, carriera e
mobilità, relazioni interne e relazioni industriali, formazione e sviluppo;
o gli oggetti di azione: contratto psicologico, competenze, motivazione.
La verifica della diffusione di una gestione delle risorse umane orientata alla
responsabilità sociale può aprirsi a due strade:
a) la rendicontazione: in questo caso, la responsabilità sociale viene misurata ex
post attraverso indicatori che integrano l’insieme di informazioni del bilancio
81
sociale dell’impresa. Questa alternativa ha numerosi pregi, ad esempio dà
estrema visibilità e pubblicità alle azioni dell’impresa, consente azioni di
comparazione tra imprese, ecc. Vi sono però alcuni limiti, ad esempio limita
il riscontro a «cose fatte» a consuntivo;
b) l’audit: in questo caso, la responsabilità sociale viene sorvegliata nel processo
di gestione delle risorse umane consentendo di superare i principali limiti
dell’approccio di pura rendicontazione.
4.6. Comitato etico d’impresa ed Ethics Officer
Il Comitato etico d’impresa e l’Ethics Officer svolgono funzioni complementari in un
sistema di gestione orientato alla responsabilità sociale d’impresa. «Da un lato essi
svolgono un ruolo di supporto all’attuazione di valori e principi etici adottati
dall’impresa; dall’altro l’Ethics Officer in prima battuta, e il comitato etico in ultima
istanza, esercitano funzioni di controllo sulla conformità di processi aziendali,
procedure organizzative e comportamenti individuali rispetto ai principi etici e
norme di condotta adottate attraverso il Codice Etico».76
4.6.1. Composizione e funzioni del Comitato Etico
Il Comitato etico è un organismo aziendale che può essere composto sia da
rappresentanti interni dell’impresa, che ne conoscono la storia, i valori e la cultura
organizzativa e hanno inoltre un’esperienza diretta dei rapporti con gli stakeholder
dal punto di vista delle diverse funzioni aziendali nelle quali essi operano, sia da
membri esterni, generalmente scelti tra esperti in etica degli affari, rappresentanti di
interessi dei diversi gruppi di stakeholder e personalità della società civile
particolarmente autorevoli. Le principali funzioni del Comitato etico sono77:
o definire le iniziative atte a diffondere la conoscenza e la comprensione del
codice etico e chiarire mediante pareri consultivi il significato e
l’applicazione di quest’ultimo;
76 SACCONI L., (a cura di), op. cit. 77 WWW.QRES.IT Dalle Linee Guida Q-Res, p.36, CELE (2001)
82
o coordinare e supervisionare l’elaborazione delle politiche aziendali che
attuano le indicazioni del codice etico;
o seguire la revisione periodica del codice etico e dei meccanismi di attuazione;
o esprimere pareri in merito a segnalazioni ricevute dall’Ethics Officer o
direttamente dai collaboratori e dagli altri stakeholder in materia di presunte
violazioni del codice etico e tutelare costoro contro eventuali ritorsioni cui
possono andare incontro per aver segnalato comportamenti non corretti;
o impostare e approvare il piano di comunicazione e formazione etica;
o coordinare, ricevere e valutare il rapporto interno di ethical auditing e il
bilancio o rapporto sociale.
Il comitato etico ha quindi funzioni consultive e propositive, ma anche deliberative,
esprimendo pareri vincolanti in merito a questioni etiche particolarmente rilevanti
per le scelte strategiche o per lo sviluppo di nuove politiche aziendali, o in
riferimento a comportamenti individuali all’interno dell’organizzazione. Queste
funzioni fanno del comitato etico, che riporta direttamente al Consiglio di
Amministrazione, un importante elemento in aggiunta agli altri comitati interni che
costituiscono le strutture di corporate governance dell’impresa.
4.7. Le motivazioni che spingono alla redazione del bilancio sociale
E’ possibile distinguere tre fondamentali momenti/motivazioni della rendicontazione
sociale:
1)
2)
3)
la rendicontazione «per moda» o di «avanguardia»;
la rendicontazione «per esigenze e spinte esterne»;
la rendicontazione «per presa di coscienza».
4.7.1. La rendicontazione «per moda» o di «avanguardia»
La rendicontazione «per moda» o di «avanguardia» si collega al comportamento di
quelle imprese che, pur non subendo pressioni particolari e senza aver ancora
maturato una forte convinzione sul tema, decidono di produrre un bilancio sociale
83
vuoi perché vogliono essere le prime in un settore o in un’area geografica, vuoi
perché si comportano per emulazione.
«Questo comportamento normalmente è negativo e non paga: si produce
rendicontazione sociale per qualche anno, poi si smette in quanto, finito l’effetto
«annuncio», non si trovano altre motivazioni per continuare. E’ un fenomeno più
frequente di quanto si pensi, anche in aziende di grandi dimensioni».78
4.7.2. La rendicontazione “per esigenze e spinte esterne”
La seconda motivazione è quella nella quale le aziende iniziano un processo di
rendicontazione sulla spinta di qualche esigenza reale: un processo di
privatizzazione, il recupero di immagine a seguito di fatti ed episodi di cronaca, la
preparazione a una quotazione in borsa, etc.
Le aziende a rischio ambientale sono state tra le prime a sentire l’esigenza di
rendicontare la loro «responsabilità d’impresa» rispetto ai grandi temi della «salute
della terra».
Anche per le aziende multinazionali la rendicontazione sociale si pone come
un’esigenza. Esse, infatti, si trovano spesso a operare in contesti caratterizzati da
condizioni di lavoro non comparabili con quelle ritenute accettabili nei paesi più
sviluppati. Poiché il rischio di immagine è alto, attraverso la rendicontazione sociale
si può garantire agli stakeholder il rispetto degli stessi «standard sociali» accettati nei
paesi più evoluti.
La rendicontazione sociale può derivare anche dalla necessità per l’impresa di
ricostruire la propria immagine, deterioratasi in seguito a fatti di cronaca spiacevoli,
chiusure di stabilimenti, etc.
«In questi casi dopo la «solita» indagine di mercato si tenta la «solita» operazione di
marketing della riconquistata responsabilità sociale».79
78 HINNA L., (a cura di), op. cit. 79 Hinna L., (a cura di), op. cit
84
4.7.3. La rendicontazione per presa di coscienza
Il terzo momento è stato definito come quello della rendicontazione «per presa di
coscienza». In questo caso il management dell’impresa interiorizza la necessità di
cambiare e migliorare il rapporto dell’impresa con il proprio contesto economico. Le
leve del cambiamento sono molteplici ma includono, fra l’altro, anche il confronto
con una particolare categoria di soggetti: le organizzazioni non profit.
La cosa che vale la pena evidenziare è che intorno a questi elementi si crea un
«effetto vortice» che alimenta il processo di diffusione e miglioramento della
rendicontazione sociale. «Si realizza, infatti, una sorta di «cross selling» dell’idea:
alcuni soggetti hanno una piena consapevolezza dell’utilità della rendicontazione
sociale; ne deriva un processo di imitazione per «moda»; la moda diventa
un’esigenza; l’esigenza crea consapevolezza; la consapevolezza spinge verso
posizioni di avanguardia; queste ricreano, a un livello superiore, ancora un
atteggiamento di moda e così via. E’ un circolo virtuoso che consente alle imprese
diversi «punti di accesso», tutti utili ai fini dell’instaurazione di un processo di
rendicontazione sociale80».
4.8. Bilancio sociale: effetto moda o no? Perché il bilancio sociale sta diventando così importante? I benefici derivanti da
questa nuova pratica bastano a giustificare l’attenzione o si tratta di un’altra moda?
Molte delle società che lo hanno adottato trovano che il bilancio sociale costituisca
un’occasione unica per la divulgazione della «Responsabilità Sociale dell’Impresa»,
all’interno e all’esterno. Si tratta non solo del comunicare, ma del creare una cultura
d’impresa, coinvolgendo i dipendenti e facendoli parte della missione e dei valori
d’impresa, e di come essi siano parte integrante della creazione di valore per
l’impresa e per la società in cui essa opera. Innanzi tutto, si tratta di un potente
strumento di gestione interna. Il reporting è anche visto come un investimento che
aiuta a definire le competenze e a promuovere le sinergie all’interno dell’impresa
stessa.
80 Hinna L., (a cura di), op. cit.
85
Oltre a ciò, le società si stanno sempre più rendendo conto che devono valutare il
loro impatto finale sul consumatore e sugli stakehoder.
4.9. Perché fare il bilancio sociale? Nella primavera 2002, CSR Europe ha condotto una serie di interviste e workshop
con alcune delle imprese membre per chiarire i benefici «attesi e inaspettati» delle
pratiche di reporting. Alla domanda «Perché fare il bilancio sociale?» alcune società
hanno evidenziato che il reporting:
o è una sorta di «business card» della responsabilità sociale, un modo di
comunicare i risultati ottenuti dalla società nel campo della CSR e di
dimostrare riconoscimento per il lavoro svolto dal personale. Dimostrare
responsabilità aiuta anche a creare una cultura comune all’interno di
un’azienda globale;
o è un benchmark importante, specialmente quando i concorrenti fanno
reporting, poiché stimola l’innovazione e motiva all’eccellenza;
o è uno strumento fondamentale per attirare e trattenere il capitale umano
dell’impresa in un contesto in cui la «guerra dei talenti» è sempre più sentita;
o è un modo per gestire la propria reputazione, per allineare il marchio ai valori
d’impresa, e ancora più fondamentale, avvicinare il marchio ai valori del
cliente, differenziando il marchio e creando un vantaggio competitivo di alto
valore strategico;
o migliora la coesione e collaborazione interna, e aumenta la consapevolezza
delle tematiche CSR fra il personale e altre ancora…81. 4.10. Le ripercussioni organizzative provocate dall’adozione di una condotta
socialmente responsabile Adottare una condotta socialmente responsabile produce ripercussioni
sull’organizzazione imprenditoriale? Certamente sì, anche se la profondità dei
cambiamenti indotti dipende dal modo in cui tale concetto viene interpretato ed
81 Hinna L., (a cura di), op. cit
86
implementato. In particolare, le modifiche sostanziali si leggono nel sistema di
governance, nei sistemi di controllo, nello stesso orientamento strategico.
La prima ripercussione riguarda l’allargamento del sistema stesso, poiché di fatto
viene esteso a nuovi soggetti – gli stakeholder- il «potere di controllo sull’impresa».
L’impresa, infatti, acquisisce la consapevolezza che la misura del proprio successo
non risiede più solo nel profitto generato, ma si sostanzia anche nella soddisfazione
delle aspettative degli altri interlocutori, che si esprimono generalmente sul piano
sociale ed ambientale.
Di conseguenza, l’azienda ha la necessità di cambiare il sistema di governance, che
coinvolge non solo i soggetti che partecipano alle attività amministrative e produttive
dell’impresa, ma si allarga anche ad altri interlocutori, solitamente esclusi dai
processi decisionali. «Accade così, che si estende e si intensifica la trama di
relazioni che l’impresa è chiamata ad istituire e governare, con la conseguenza di
dover agire sulle proprie strutture decisionali, rendendole maggiormente flessibili e
decentrate, proprio per riuscire a far fronte alla più elevata complessità ed al
dinamismo del contesto in cui si trova ad operare».82
L’impresa allora, per poter attuare in modo realmente efficace questo modello di
governance, strumentale ad una condotta socialmente responsabile, deve promuovere
una politica di trasparenza con i propri interlocutori, in entrambe le direzioni, ovvero
sviluppando una struttura atta, da un lato, a sostenere ed incoraggiare relazioni con
l’esterno, dall’altro, a recepire adeguatamente le sollecitazioni e le pulsioni che
provengono dalla società.
Non è facile per l’azienda attuare questo nuovo sistema, perché comporta che
periodicamente deve dimostrare di aver tenuto in considerazione le esigenze
espresse, le indicazioni fornite dagli stakeholder, non essendo sufficiente perciò una
semplice apertura dell’impresa verso l’esterno. E’ proprio questo il principale scoglio
da superare per rendere il nuovo sistema di governance propedeutico ad una gestione
socialmente responsabile.
Il problema, si sviluppa dunque su due piani: da un lato, l’impresa deve adottare una
condotta socialmente responsabile, dall’altro, deve rendere conto ai propri
82 SALVIONI D.M. (a cura di), Corporate governance e sistemi di controllo della gestione aziendale, Franco Angeli, Milano, 2004
87
interlocutori dei risultati ottenuti, dimostrando che i principi etici si sono
effettivamente tradotti in comportamenti.
Il primo aspetto conduce ad una riflessione sui sistemi di controllo, individuando
quindi una stretta relazione tra questi ed una condotta socialmente responsabile da
parte dell’impresa. Il primo passo nella riprogettazione del sistema di controllo in
ottica di RSI consiste nel cercare di cogliere le nuove criticità da governare, ed in
questo senso è indispensabile procedere alla definizione della mappa degli
stakeholder, al fine di individuarne aspettative ed esigenze, che dovranno essere
tradotte in variabili critiche. Adottare una condotta di RSI comporta dunque un
ampliamento del sistema di controllo, che si dilata per includere nuovi parametri-
obiettivo, volti a supportare il governo degli impatti ambientali e sociali generati
dall’attività dell’impresa.
Un’altra conseguenza rilevante si ripercuote sul sistema informativo, che dovrà
essere ridisegnato integrando nella griglia di informazioni i nuovi elementi rivolti
agli aspetti socio-ambientali, mantenendo comunque una struttura agile, flessibile ed
aperta.
88
SEZIONE SECONDA: LA PRASSI
CAPITOLO 1
I RISULTATI DELL’INDAGINE
Questa sezione intende presentare i risultati della ricerca realizzata in collaborazione
con il Dottor Tagliente, responsabile scientifico dell’associazione Proetica di Treviso
(si veda sez 1. cap 2-2.7.5.1.). In un primo tempo il lavoro è stato svolto con l’ausilio
della Camera di Commercio di Treviso, la quale ha elaborato un questionario sullo
stesso tema della «Responsabilità Sociale d’impresa».
Per evitare che casualmente le aziende compilassero due questionari simili, uno della
Camera di Commercio e quello in oggetto, si è pensato di formulare domande più
generiche rispetto ai quesiti presentati dall’ente, che si rifacevano in prevalenza al
progetto CSR (Corporate social responsability) promosso dal Ministero del Lavoro e
delle Politiche sociali.
Il questionario utilizzato (allegato in appendice) è stato redatto su modello di quello
inviato dalla Camera di Commercio. Ecco il motivo per cui nell’intestazione sono
presenti alcuni simboli, quali quello della Camera di Commercio, di Proetica, della
Regione Veneto, etc.
L’idea iniziale prevedeva che i dati elaborati venissero comunicati alla Camera di
Commercio e alla Comunità Montana del Grappa titolare del progetto PS Diapason,
al fine di svolgere comparazioni e realizzare una banca dati integrata. Probabilmente
però, l’idea dovrà essere archiviata poiché purtroppo il campione analizzato non è
rappresentativo della Provincia di Treviso per i motivi che in seguito si andranno a
descrivere. 1.1. Gli obiettivi e le caratteristiche dell’indagine
L’obiettivo dell’intero elaborato è l’analisi del grado di conoscenza delle aziende sul
concetto di «Responsabilità Sociale d’Impresa», politica che si sta sviluppando negli
ultimi anni. Essere socialmente responsabili significa andare oltre il semplice rispetto
89
della normativa vigente, investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei
rapporti con i portatori di interesse. Ciò si traduce nell’adozione, a livello economico
e culturale, di una politica aziendale che sappia conciliare gli obiettivi economici con
gli obiettivi sociali e ambientali.
Nonostante questa importanza vi è una conoscenza ancora limitata rispetto a
questioni chiave quali l’esistenza di best practices. Con questa ricerca si è inteso
avviare un processo di rilevazione il più possibile accurato e si spera ripetuto su base
pluri-annuale.
La raccolta dei dati è avvenuta mediante l’elaborazione di un questionario composto
da cinquantuno domande a «risposta chiusa» (No, Sì o risposta multipla) e a
«risposta aperta». Il test è stato suddiviso in quattro macroclassi, in particolare «Etica
economica», «Impegno sociale», «Concetto generale di responsabilità sociale
d’impresa», ed infine «Bilancio sociale» in modo da facilitare l’individuazione
dell’ambito di competenza delle singole domande.
La scelta di non predisporre quesiti solo a «risposta chiusa» è stata dettata dalla
volontà di analizzare le singole domande soggettive delle imprese. Tale metodologia
però, comporta delle conseguenze rilevanti quali: una minore facilità di
compilazione, non consente di ottenere dati tra loro omogenei e comparabili, richiede
l’interpretazione soggettiva delle risposte ottenute.
Il criterio non è stato spiegato agli imprenditori, però dalle risposte ottenute si può
dedurre che si è presentato uno degli ostacoli per la compilazione, in quanto una
risposta aperta richiede maggiore riflessione e tempo rispetto ad una risposta chiusa,
oltre al numero consistente delle domande.
Alcune specificazioni sullo strumento utilizzato:
o il questionario non fa riferimento ad un arco temporale particolare (tranne le
prime due domande relative all’impegno sociale riferite all’anno 2004 e
2005). Ogni risposta deve essere coerente con la realtà aziendale esistente al
momento della compilazione;
o per ogni domanda deve essere data una ed una sola risposta;
o non è possibile modificare il contenuto del questionario ed eventuali
osservazioni possono essere poste in calce al documento (è stata predisposta
una domanda di commento relativa al questionario stesso);
90
o il questionario è seguito da un glossario al fine di risolvere eventuali dubbi o
incomprensioni di alcuni termini utilizzati.
Occorre anche precisare che questo ambito di ricerca, per sua natura, risente
notevolmente della soggettività di colui che sta svolgendo il questionario, della sua
capacità di percepire la realtà che lo circonda e di interpretarla in modo adeguato.
Egli, infatti, non ha la possibilità di consultare alcun dato numerico per rispondere in
modo oggettivo.
1.2. Somministrazione del questionario
Sono state valutate più ipotesi per la somministrazione del questionario. L’idea
iniziale era di recarsi personalmente presso le aziende ma tale proposta risultava
difficile per la consistenza di tempo da dedicare. Con il Dott. Tagliente si è pensato
di distribuire manualmente il questionario ai titolari o ai rappresentanti delle aziende
che avrebbero partecipato ai due incontri promossi da Unindustria sul tema della
«Responsabilità Sociale d’Impresa». Purtroppo la partecipazione è stata scarsa,
perciò si è optato per un’altra soluzione così da ricevere più risposte possibili. I
questionari sono stati distribuiti alle aziende che si conoscevano e alle banche, le
quali hanno svolto il ruolo di intermediari.
Una cinquantina di questionari sono stati distribuiti al convegno del quattro maggio
organizzato da Unindustria in collaborazione con la Camera di Commercio intitolato
«Le imprese responsabili sono più competitive».
Pertanto, il questionario è stato somministrato a duecento aziende della provincia di
Treviso, di cui circa cinquantacinque distribuiti a convegni o riunioni mentre i
rimanenti mediante le soluzioni appena descritte.
Alle aziende, che non hanno ricevuto il questionario, è stato inviato mediante fax o e-
mail, accompagnato da una lettera intestata all’Ufficio Amministrazione nella quale
si spiegava il contenuto della tesi e l’ambito della ricerca in corso. La scelta di
indicare il destinatario è stata valutata per favorire la comparazione dei dati, ma alla
fine il criterio non è stato rispettato.
Le aziende che non avevano risposto sono state contattate telefonicamente. Il
riscontro comunque, non è stato positivo, cioè anche dopo vari richiami le
organizzazioni non hanno aderito.
91
Purtroppo il limite di una somministrazione, eseguita senza criteri particolari,
comporta che il campione analizzato non sia rappresentativo della Provincia di
Treviso, quindi si descriveranno le aziende che hanno risposto (statistica descrittiva e
non inferenza statistica).
Non è stato possibile seguire determinati criteri (che nella fase iniziale di
preparazione erano stati valutati, quali la scelta di aziende che rappresentassero le
dimensioni aziendali o i settori presenti in provincia) a causa della scarsità di risposte
ricevute, di conseguenza si è dovuto allargare il campo d’indagine. Il questionario è
stato distribuito ad aziende di qualsiasi dimensione operanti nel settore industriale
escludendo il settore primario e terziario (consulenze, banche…).
1.3. Le risposte
Hanno risposto al questionario trentadue aziende (6,25%). La maggior parte dei
rifiuti è legata probabilmente al numero consistente delle domande (che poteva
scoraggiare la compilazione!), ma soprattutto alla mancanza di sensibilità, perché al
contrario le aziende che hanno risposto si sono complimentate per l’iniziativa
chiedendo di inviare loro copia della tesi.
Un dato sorprendente da rilevare è che le risposte sono state ottenute
prevalentemente dalle aziende che hanno partecipato ai convegni (ben la metà hanno
risposto) mentre delle altre aziende non coinvolte alle iniziative di Unindustria solo
sei su circa centocinquanta hanno risposto.
Come si vedrà in seguito, l’analisi dei due gruppi è separata in modo da evidenziare
eventuali differenze o analogie.
1.4. Alcuni problemi di natura metodologica
L’analisi nella sua semplicità non è stata progettata in modo da:
o consentire confronti con altri studi italiani (ad esempio ISTAT);
o avere una visione il più possibile completa delle caratteristiche economiche
delle singole imprese; non sono stati utilizzati dati di bilancio provenienti da
database pubblici.
92
1.5 Il profilo delle imprese
Le imprese che hanno risposto positivamente all’indagine e hanno inviato via posta
direttamente a casa il questionario compilato sono dunque trentadue ed operano in
settori molto differenti tra loro.
L’eterogeneità del campione ha portato a preferire un’analisi che sottolinei l’identità
e l’unicità di ogni realtà aziendale.
Di seguito verrà tracciato un profilo delle imprese coinvolte in questo lavoro.
DENOMINAZIONE SETTORE SEDE PRINCIPALE N.DIP. FATTUR.
(in migliaia)
1 A&D WEA SRL nn Castelfranco Veneto nn nn
2 ANONIMO nn Provincia 134 20.000
3 APICE SRL
comunicazione d'impresa e marketing-
servizi
Treviso 1 100.000
4 BANDIERA IMPIANTI SRL meccanico Treviso 5 350
5 BATTISTELLA SPA legno-mobilio Pieve di Soligo nn 25.000
6 BISOL SPA metalmeccanic Pieve di Soligo circa 350
>20.000 <40.000
7 BONAVENTURA nn nn nn nn
8 BOTTARI MARIO SRL
vendita, riparazione,
certificazione a norme ISO strumenti pesatura
San Vendemiano 7 720.000
9 CALLESELLA SRL legno-mobilio Cison di Valmarino 65 6.500
10 CIVIDAC SPA metalmeccanic San Biagio di Callalta 70 6.000
11 COMPAGNIA
ITALIANA D'INTIMO SPA
tessile/abbigliamento Quinto nn 28.000
12 EDILVI SPA costruzioni edili Villorba nn 6.000
13 FORMA SRL formazione-
organizzazione-management
Treviso nn 300.000
14 GAVA CAV. imballaggi in Godega di nn 3.500
93
GIUSEPPE & C SAS
legno Sant'urbano
15 GGP ITALY SPA
equipaggiamenti motorizzati
per il giardinaggio
Castelfranco Veneto nn 500.000
16 GRANZOTTO SRL legno-mobilio S. Lucia di Piave 15 2.000
17 INIPRESS SPA stampaggio
materie plastiche
Motta di Livenza nn 14.600
18 JESSE SPA arredamento Gaiarine nn 35.000
19 LATTERIA MONTELLO SPA alimentare Giavera 210 61.200
20 MATTIUZZO SRL servizi alle aziende
Nervesa della Battaglia 185 nn
21 MCM SRL
impianti di depurazione e
aspirazione industriale
Breda di Piave 20 1.750
22 MEDIAFACTOR creditito/finanz Castelfranco V.to nn nn 23 MOSOLE SPA materiali edili Breda di Piave nn 75.000
24 PERMASTEELISA SPA
rivestimenti esterni Vittorio Veneto nn nn
25 PRAGMATA SRL nn Montebelluna nn nn 26 RONCHI SRL metalmeccanic Mareno di Piave 4 600 27 SIKA SRL metalmeccanic Silea 0 150 28 SILTRACKS SRL commercio Silea 0 nn
29 TECNOGAMMA SPA alta tecnologia Badoere 43 5.225
30 TROCELLEN ITALIA SPA
gomma plastica Volpago 245 45.000
31 VENDRAME
AUTOTRASPORTI SRL
trasporti Silea 13 2.000
32 TOGNANA ALDO (ex titolare)
Come si può notare, non tutte le aziende hanno fornito i dati necessari per capire la
tipologia delle stesse. In particolare, forse a causa della sua struttura, la domanda
riguardante il numero di dipendenti molte volte non è stato compilata; tuttavia esso
varia da uno a trecentocinquanta circa, considerando anche le sedi secondarie (solo
sette aziende hanno sedi dislocate, di cui quattro in Italia e tre all’estero).
94
L’età media dei dipendenti per tredici aziende è compresa tra trentacinque e
quarantacinque anni mentre per sei aziende varia tra venticinque e trentacinque. Le
altre non hanno risposto.
Da notare l’ubicazione delle aziende: la zona maggiormente interessata si trova a
nord della provincia di Treviso. Sarebbe interessante capire le motivazioni ma ciò
esula da questo lavoro. L’unica ipotesi a cui si può giungere è che tali zone abbiano
ricevuto maggiori finanziamenti da dedicare agli investimenti.
La ragione sociale delle aziende analizzate è prevalentemente SPA e SRL, cioè
società di capitali.
Solo dieci aziende hanno una mission specifica.
La maggior parte è dotata di sistemi di gestione, soprattutto gestione della qualità,
ambientale, della sicurezza e protezione delle informazioni, però solo quindici sono
certificate.
1.6. Analisi dati del primo gruppo L’analisi che segue riguarda il gruppo di aziende (ventisei) interessate alle iniziative
di Unindustria, le rimanenti sei verranno trattate successivamente.
L’elaborazione dei dati, suddivisa in quattro parti, segue la struttura del questionario.
Per facilitare il confronto tra la sezione teorica e l’indagine campionaria si
troveranno nel corso della lettura alcuni richiami di concetti teorici contrassegnati dal
numero del paragrafo.
1.6.1 Etica economica Figura 1 – Ha mai sentito parlare di etica economica?
La tematica «etica economica»
è nota tra le aziende
analizzate; solamente il 7%
non ha mai sentito parlare di
tale concetto.
(cap.1-1.1,1.9)
95
Sì93%
No7%
SìNo
Oltre ad esserne a conoscenza, le imprese sono anche consapevoli che l’argomento
non è estraneo alla vita aziendale; alla seconda domanda nessuno ha risposto che la
«morale deve essere lasciata ai filosofi, ai filantropi e politici, risparmiando i
manager, o al massimo tenendola buona per qualche stucchevole report annuale,
comunque alla larga dalle loro strategie operative» (89% hanno risposto di essere
d’accordo, mentre l’11% hanno risposto “In parte”).
Figura – 2 E’ d’accordo su questa frase: «lasciamo la morale ai filosofi, ai filantropi e ai politici, ma risparmiamo i manager, o al massimo teniamola buona per qualche stucchevole report annuale, comunque alla larga dalle nostre strategie operative?»
No89%
In parte11%
Sì0% Sì
NoIn parte
Se chiediamo agli imprenditori quali sono i veri obiettivi aziendali rispondono con le
seguenti affermazioni (tre non hanno risposto):
96
Tabella 1 - Obiettivi imprenditoriali
Lo scopo di questa domanda
è capire se effettivamente le
aziende considerano come
obiettivo principale il
conseguimento dell’utile.
Ciò è stato dimostrato,
poiché quasi la metà ha
risposto che l’obiettivo
principale è il profitto o il
successo economico e la
creazione di ricchezza. È
interessante notare però, che
il raggiungimento di tali
scopi non è fine a sé stesso bensì ne traggono vantaggio anche altri, quali ad esempio
dipendenti o comunità di riferimento.
La domanda è stata integrata da una seconda parte con la quale veniva chiesto se
oltre agli obiettivi principali imprenditoriali possono coesistere fini «alternativi» e
con tale termine si intendeva fini «etici». (cap.4-4.4)
Purtroppo nove aziende non hanno risposto, forse a causa della particolarità della
domanda. Le altre affermano che tali obiettivi possono esistere, cioè integrano gli
obiettivi economici, ma non li sostituiscono. In particolare, i fini etici sono
focalizzati sulla persona umana (investimenti sulle risorse umane, rispetto della
persona, fini personali). Da non dimenticare, la solidarietà, la beneficenza e da
ultimo, ma non meno importante, la «Responsabilità Sociale d’Impresa».
Alla domanda successiva con la quale si chiedeva se gli «obiettivi alternativi» sono il
frutto di un certo tipo di formazione culturale, hanno risposto anche aziende che nella
domanda precedente non si erano espresse.
Tabella 2 - Formazione culturale
Famiglia, ambiente frequentato 6
Formazione scolastica 3
Profitto, successo economico 7
Creare ricchezza per sé stesso e di riflesso ad
altri 5
Realizzare le proprie idee, i propri sogni 2
Raggiungimento obiettivi strategici prefissati 2
Investimenti 1
Far star bene i propri lavoratori 1
Immagine positiva dell'azienda, soddisfare la
clientela 1
Proporre un prodotto “per il mercato” 1
Funzionamento dell'azienda 1
Non risponde 3
97
Società 2
Valori religiosi 2
Formazione culturale non specificata 2
Cultura, cultura interdisciplinare 2
Formazione organizzativo-gestionale 1
Formazione economica ed al senso civico 1
Buon vivere 1
Quotidianità aziendale, contatto con persone 1
Concetti di moda 1
Sensibilità personale 1
No formazione, dipende dal senso di responsabilità 1
No formazione, bensì rispetto del prossimo 1
Non risponde 7
Gli imprenditori d’accordo sull’esistenza di fini «alternativi» dichiarano che la
formazione ma soprattutto la famiglia e l’ambiente frequentato sono stati
determinanti (sei risposte). Da non sottovalutare la scuola, la società di riferimento e
i valori religiosi. Secondo altri la cultura posseduta orienta verso tale direzione
valoriale, mentre due imprenditori sostengono che non è necessaria una formazione
specifica bensì dipende dal senso di responsabilità dell’uomo, dal rispetto verso il
prossimo, dal buon vivere o addirittura è solo un concetto di moda.
Continuando l’analisi dei principi etici e dei comportamenti che gli imprenditori
dovrebbero tenere per rispettarli, la maggioranza ha scelto tra le tre possibilità,
«onestà con sé stesso e con gli altri» (ventitré), segue il «rispetto delle leggi dello
Stato» (diciannove) ed infine ottenere «successo in base alle proprie capacità»
(dodici).
Gli imprenditori (sette) invece, che non attribuiscono il comportamento a nessuna di
queste possibilità, indicano altri possibili atteggiamenti più specifici. In particolare:
agire ponendosi sempre dalla parte del suo «interlocutore»;
divenire opinion leader rispetto ad argomenti socialmente
responsabili;
favorire lo sviluppo della responsabilità nei confronti delle risorse;
98
rispettare l’ambiente;
pensare all'azienda non come una cosa propria;
far sì che la propria impresa svolga anche un ruolo sociale e di
sviluppo della dignità umana;
visione di sistemi estesi e la consapevolezza che «bene altrui» non
è l'opposto di «bene proprio», ma anzi potrebbe esserne l'elemento
determinante;
la gestione delle conoscenze può essere vista in modo positivo
come capacità di net-working ed in questa accezione essere
considerata una vera e propria capacità dell'imprenditore.
Orientamento all’etica, allora, potrebbe essere visto come orientamento alla qualità,
un tipo di qualità però particolare, cioè non sul prodotto o sul processo ma sui valori
ispiratori della gestione; la domanda successiva richiedeva di esprimere quali sono
questi valori. E’ emerso quanto segue:
Tabella 3 - Valori ispiratori della gestione
Rispetto del prossimo, della dignità dell'uomo, tutela delle fasce più deboli 11
Correttezza, onestà, giustizia, fiducia 8
Tutela ambientale e delle risorse 5
Comportamento rispettoso verso gli stakeholder 3
Trasparenza 2
Dedizione al lavoro 2
Condivisione successi professionali ed economici 1
Collocazione di lavoro 1
Competenze di gestione e di progettazione 1
Valori della persona e dell'uomo 1
Buona educazione 1
Valori del «Capitalismo naturale» 1
Moralità 1
Non è possibile definirli 1
Non definiti, ogni azienda ha i propri! 1
99
Al momento della formulazione, sì è riflettuto se le aziende avessero veramente
risposto di essere ispirati da alcuni valori. Il riscontro è stato positivo, solamente
quattro non hanno risposto mentre un imprenditore dichiara che non è possibile
definire tali valori..
Gli imprenditori ritengono come valore fondante il «rispetto» della persona intesa
non solo in senso stretto ma anche allargando la visione al prossimo, alle fasce meno
abbienti. (cap.4-4.1)
CARTA VALORI DI UN’AZIENDA ESAMINATA
Il rispetto per la persona e per la sua professionalità;
L’affiatamento fra tutti i componenti il gruppo dei collaboratori;
Il rispetto di tutti i punti di vista e l’accettazione delle diversità come
elemento di ricchezza;
La motivazione al lavoro perseguita non solo attraverso la retribuzione;
La dignità comportamentale e l’autoeducazione alla temperanza;
La lealtà e la trasparenza nei confronti di tutti e in tutte le situazioni;
L’innovazione non solo tecnologica, ma anche gestionale e relazionale;
La legalità nella più ampia accezione del termine;
L’assunzione piena delle responsabilità individuali e di gruppo;
Lavorare senza ansie e paure;
Riprendendo il tema della responsabilità sociale, in due risposte vengono menzionati
gli stakeholder, quali portatori di interesse da tutelare quanto le altre persone non
coinvolte.
La correttezza nei comportamenti, l’onestà, la giustizia, la fiducia sono altri valori a
cui fare riferimento per un buon funzionamento dell’azienda. Oltre alle risorse
umane, particolare rilevanza riveste l’ambiente. Tra i valori troviamo la tutela
dell’ambiente e delle risorse in genere non solo umane. Solamente due hanno
evidenziato il principio della trasparenza, che si riprenderà in seguito con un’altra
domanda.
100
Le risposte del quesito successivo evidenziano che i valori prima scoperti
rappresentano linee guida da seguire, ma non sono sempre chiaramente definiti dalle
aziende intervistate (cinque hanno risposto No, dieci Sì e undici In parte); ciò
significa che il codice etico è uno strumento ancora in fase di espansione.
Il personale non conosce (otto) o conosce in parte (dodici) il codice etico adottato
dalla propria azienda e tra queste solo la metà è disposta almeno nel lungo periodo a
realizzare attività rivolte a definirlo o attività di formazione delle risorse umane
sull’importanza dello stesso, dichiarando che il processo deve cominciare dai ruoli di
comando e/o direzione e può avvenire grazie all’ausilio di istruttori esterni.
Maggiormente interessate sono le aziende che si dedicano alla formazione delle
risorse umane.
I mezzi mediante i quali il codice etico viene comunicato sono appunto
comunicazioni informali e riunioni interne e non materiale pubblicitario. Un’azienda,
in controtendenza rispetto alle altre, ha dichiarato che il codice etico è «cultura
aziendale» che si trasmette giorno per giorno anche con iniziative specifiche e pertanto
non può essere trasmesso con alcun mezzo mentre secondo un’altra si impara facendo
(«learning by doing»). (Cap 3-3.3.)
La parte relativa all’etica economica si conclude con la domanda che approfondiva la
correlazione tra il rispetto delle leggi economiche e il rispetto della dignità umana. La
maggioranza ha risposto positivamente (6 non hanno risposto), sottollineando però un
grado di incertezza nelle risposte. Si riporta quanto scritto da alcuni imprenditori:
o «per le leggi economiche classiche direi di sì (leggi basate su scelte di lungo
periodo); su alcune leggi che regolamentano il mercato finanziario moderno,
le leggi del mercato capitalistico (scelte spesso improntate solo sull'efficienza
e non sull'efficacia, quindi scelte di breve periodo) direi che difficilmente si
conciliano con il rispetto della dignità umana»;
o «sì, anche se ad oggi il rispetto delle leggi economiche non sempre risponde
al rispetto della dignità umana»;
o «sì, anche se a volte solo formalmente, in quanto non è corretto disconoscere
leggi economiche ritenute sbagliate. Si può solo premere perchè vengano
modificate; è tale rispetto che impone di riconoscere il limite dei propri diritti e
101
che nei confronti di altre persone può esprimersi nel rispetto della dignità
umana».
Coloro che hanno risposto negativamente sostengono che il mercato non è in grado di
conciliare la dimensione economica con la dignità umana perchè indipendenti.
1.6.2 Impegno sociale
L’obiettivo di studio di questa sezione è approffondire in quale relazione si pongono
impegno sociale e responsabilità sociale d’impresa, poiché, ad esempio, un’azienda
impegnata in ambito sociale mediante il contributo di finanziamenti può non adottare
la politica della responsabilità sociale.
Figura 3 – Nel 2004 la Sua azienda ha investito in iniziative di carattere sociale, cioè a sostegno della cultura, dell’ambiente e della solidarietà o in altri ambiti?
Il 74% (venti) delle aziende
intervistate nel 2004 ha
investito in iniziative di
carattere sociale, cioè a
sostegno della cultura,
dell’ambiente e della
solidarietà o in altri ambiti
simili di cui 11 quest’anno
hanno previsto di predisporre un budget da destinare al finanziamento di iniziative di
carettere sociale.
Figura 4 – Per quest’anno avete già previsto un budget da destinare al finanziamento di iniziative di carattere sociale?
102
Sì74%
No26%
SìNo
Sì41%
No52%
Non risponde
7%SìNoNon risponde
Di seguito troviamo le modalità d’intervento adottate dalle aziende per finanziare le
iniziative di carattere sociale (sono possibili più risposte).
Tabella 4 - Modalità d'intervento (Sono possibili più risposte)
Contributo ec. diretto per la realizzazione del progetto 18
Acquisto/donazione di prodotti, materiali, strutture e strumenti 10
Realizzazione del progetto attraverso propri prodotti e servizi 6
Contributo ec. diretto per la realizzazione dell'attività e degli strumenti di
diffusione e comunicazione 5
Erogazione ec. a fine anno in sostituzione degli omaggi aziendali 4
Raccolta fondi attraverso il coinvolgimento delle risorse interne 3
Contributo creativo nell'ideazione del progetto di impegno sociale 2
Altro: 1) In sostituzione degli omaggi aziendali abbiamo fatto una scelta che
evidenzia il nostro credere che il lavoro debba sviluppare la dignità
umana;
2) Contributi economici personali a progetti sviluppati da altri
2
Contributo per le campagne pubblicitarie e di informazione dell'ente
beneficiario 1
Non risponde 4
…e quali sono stati i principali criteri utilizzati nella scelta delle iniziative di
finanziamento (sono possibili più risposte):
Tabella 5 - Criteri adottati nella scelta delle iniziative di finanziamento (Sono possibili più risposte)
Validità e reale contributo sociale delle iniziative 14
Serietà/affidabilità dell'Associazione/Ente proponente 13
Legame con il territorio/ambito locale 13
Rispondenza alla mission aziendale 3
Ritorno in termini di immagine esterna 3
Validità del piano di comunicazione dell'iniziativa 2
Collegamento dell'iniziativa con le strategie commerciali 2
103
Ritorno in termini di comunicazione interna 2
Notorietà/immagine dell'Associazione/Ente proponente 1
Rispondenza ad una linea di gruppo (se multinazionale) 0
Altro 0
Non risponde 4
Dalle risposte emerge che gli imprenditori non sono interessati alle iniziative per
ottenere un ritorno in termini di immagine esterna o di comunicazione interna o perché
l’iniziativa è legata alle strategie commerciali, bensì si preoccupano della validità e del
reale contributo sociale delle stesse. Un peso rilevante va attribuito alla serietà o
affidabilità dell’Associazione o Ente proponente e al legame delle attività con il
territorio o ambito locale, rispondendo così alle esigenze di uno degli stakeholder
considerati dalla «Responsabilità Sociale d’Impresa».
Per capire se effettivamente le aziende finanziano determinate iniziative sociali, poiché
sensibili a certi valori, è stata formulata la domanda successiva e cioè: «Secondo lei, le
aziende che finanziano queste attività sono sensibili a determinati valori, o
l’erogazione di finanziamenti a volte viene fatta solo per accontentare l’associazione
richiedente?». Le risposte pur se a domanda aperta sono risultate abbastanza simili,
concentrandosi su tre opzioni: sette aziende hanno risposto «Entrambi», sette per
«Sensibilità» e cinque «Per accontentare il richiedente».
Tabella 6 – Sensibilità o no?
Entrambi 7
Sensibilità 7
Per accontentare il richiedente 5
Attratti dall'immagine di ritorno 2
Non c'è una sola spinta negli ambienti ad eticità implicita 1
Non interessa il fine, ci deve essere un ritorno 1
Per superficialità 1
Non lo so 1
Non risponde alla domanda 5
104
La domanda potrebbe sembrare paradossale in quanto anche le aziende che
contribuiscono solo per soddisfare l’associazione richiedente, operano perché guidati
da determinati principi, ma non sempre è così; molte volte si fa beneficenza a causa
dell’insistenza del richiedente o per incapacità di rifiutare. Di fatto, un’azienda ha
risposto che «un percorso di consapevolizzazione e di attenzione da anche frutti dal
punto di vista del posizionamento del brand solo se è un processo «reale» sentito e
pianificato. Questa è la differenza tra la beneficenza e l’investimento sulla propria
crescita etica, che altro non è che crescita nel suo senso più completo».
Quasi la metà delle aziende non ha saputo esplicitare quali siano i valori in cui credono
i soggetti mentre la metà dei rimanenti ha risposto il valore della «solidarietà». A
seguire gli altri valori:
Tabella 7 – Valori a cui credono le aziende
Contributo sociale a sostegno dei più deboli 2
Attenzione ai lavoratori 1
Trasparenza nei rapporti 1
Onestà sulla «proposta» 1
Tutela ambientale 1
Cultura 1
Giustizia 1
Sport 1
Il sociale e la responsabilità come incremento del bene comune 1
Reputazione della propria azienda 1
Onestà nell'impegno di lavoro 1
Rispetto per il prossimo/costruire un mondo migliore 1
Attaccamento per il territorio, sensibilità vso un problema sociale dell’imprendit. 1
Alla domanda «La Sua azienda riceve troppe richieste di finanziamenti da parte di
associazioni esterne?», quindici hanno risposto «Sì» e undici «No».
Spesso le aziende investono in queste attività di carattere sociale per ottenere un
ritorno d’immagine e a tal fine svolgono un ruolo fondamentale i mezzi di
comunicazione, quali TV e giornali.
105
Gli imprenditori però, valutano la copertura dei mezzi di informazione relativa alle
misure promosse dalle aziende nel sociale, «Insufficente-scarsa» (quindici),
«Sufficiente» (dieci).
Figura 5 – Personalmente, come valuta la copertura stampa e TV relativa alle misure promosse dalle aziende nel sociale?
0 2 4 6 8 10 12 14 16
Insuff.
Suff.
Buona
N.P
Otto aziende hanno risposto di non essere interessate ad ottenere una maggiore
visibilità, mentre le rimanenti hanno scelto tra quelli di seguito elencati, uno o più
interventi efficaci in termini di ritorno d’immagine (hanno risposto anche coloro che
nella domanda precedente avevano dichiarato di non ritenere importante il ritorno in
termini di immagine).
Tabella 8 - Interventi più efficaci in termini di ritorno d'immagine per l'azienda (Sono possibili più risposte)
Intervenire sul territorio/ambito locale 10
Finanziare strutture e servizi di carattere sociale 10
Sponsorizzare eventi culturali e/o sportivi a scopo di raccolta di fondi 9
Non interessa avere maggior visibilità 8
Realizzare iniziative a favore dei dipendenti 7
Finanziare borse di studio per la ricerca scientifica 6
Finanziare direttamente associazioni non profit 6
Sostenere azioni umanitarie in favore dei bambini 5
Finanziare interventi rivolti alla difesa ed al recupero ambientale 5
Realizzare campagne pubblicitarie a contenuto sociale 5
Restaurare un monumento 4
106
Contribuire alla raccolta fondi per la lotta contro gravi malattie 2
Altro 1
Non risponde 1
Infine, l’ultima domanda chiedeva di valutare il livello di importanza dei requisiti
fondamentali di un progetto e cioè:
o …della rilevanza sociale dell’intervento;
Figura 6 – Livello di importanza della rilevanza sociale dell’intervento
04
19
40
5
10
15
20
Bassa Media Elevata N.P
Il primo requisito è anche il primo in termini di valutazione d’importanza, poiché da
ben diciannove aziende è stata attribuito il giudizio «elevato».
o …del ritorno d’immagine su stampa e TV per l’azienda sponsor;
Figura 7 – Livello di importanza del ritorno d’immagine su stampa e TV per l’azienda sponsor
89
7
3
0
2
4
6
8
10
Bassa Media Elevata N.P
L’interpretazione del secondo requisito è più complicata perché le risposte si sono
distribuite quasi equamente sulle tre possibilità non concentrandosi su una risposta
come in precedenza.
o …dell’utilizzo del progetto per coinvolgere il personale dell’azienda;
107
Figura 8 – Livello di importanza dell’utilizzo del progetto per coinvolgere il personale dell’azienda
0
13 12
2
0
5
10
15
Bassa Media Elevata N.P
Da ultimo, il progetto viene anche valutato dalle aziende come strumento per
coinvolgere il personale aziendale, aspetto messo in risalto dal terzo requisito.
1.6.3. Concetto generale di «Responsabilità Sociale d’Impresa»
La terza sezione è quella più importante di tutto l’elaborato sia per il numero
consistente delle domande sia per l’argomento trattato, che è il fulcro dell’indagine: la
«Responsabilità sociale d’impresa». (Cap.2-2.1,2.4,2.5)
Si è cercato di formulare domande abbastanza generali per testare il grado di
conoscenza della tematica, che si sta sviluppando negli ultimi anni; ecco il motivo per
cui la sezione è stata intitolata «Concetto generale di Responsabilità sociale
d’impresa».
Di conseguenza, si è tralasciato di approfondire il progetto CSR (Corporate social
responsability) promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, indagine
portata avanti in questi mesi dalla Camera di Commercio di Treviso. (Cap.2-2.7.)
Al termine dell’elaborazione delle risposte, l’obiettivo sarebbe quello di promuovere
con iniziative specifiche la «Responsabilità Sociale d’Impresa» tra le aziende che sono
interessate ma che finora non hanno ricevuto informazioni o ne hanno ricevute poche.
Il concetto di «Responsabilità Sociale d’Impresa» è conosciuto tra le aziende
analizzate, anche se, è necessario far notare, che le ventisette aziende studiate a
differenza delle sei che vedremo in seguito, sono tutte state invitate a partecipare ad
iniziative sul tema promosso da Unindustria (non tutte hanno aderito!).
108
Figura 9 – Ha mai sentito parlare di Responsabilità sociale d’impresa?
L’85% ha già sentito parlare
di Responsabilità sociale
d’impresa, il 4% «Mai»
mentre l’11% «In parte».
Coloro che non conoscono
Nesuno ha risposto di aver ricevuto le informazioni ma di non essere interessato e
n esse i principi che stanno alla
fiducia delle diverse categorie di stakeholder;
lgimento nella vita
ilità a contribuire al benessere della comunità.
Si legge spesso nei giornali o si sente dire da chi non possiede conoscenze
con
fondire maggiormente l’analisi si è voluto predisporre una domanda in cui le
complessivamente esaurienti:
l’argomento hanno
dichiarato di non aver mai
ricevuto informazioni o se sì, le informazioni apprese sono imprecise e vaghe.
questo è un dato consolante!. Tuttavia il problema rimane sempre la mancanza di
tempo e di personale da dedicare a politiche che per un’azienda sembrerebbero
secondarie, perché non si conoscono i vantaggi diretti.
Anche se le aziende non adottano RSI, il 74% ritrova i
85%
11% 4%1)Sì2)No3)In parte
base di tale politica, in particolare:
• la reputazione;
• il consenso e la
• il valore della conoscenza e la capacità di innovare;
• la valorizzazione delle risorse umane e il loro coinvo
aziendale;
• la disponib
approfondite sull’argomento, che la «Responsabilità Sociale d’Impresa» è un
argomento di moda, il «leitmotiv» per le aziende in questo periodo o adirittura viene
pubblicizzata come un’operazione di facciata. Il 92% degli imprenditori intervistati
invece, va controcorrente non considerando la RSI come precedentemente definita.
Nessuno ha risposto che questi concetti sono troppo astratti, perciò non compatibili
la realtà.
Per appro
aziende esprimessero brevemente una definizione di RSI, in modo tale da correggere
eventuali risposte sbagliate. Di seguito sono elencate le varie risposte, tutte
109
«E’ il comportamento etico e morale che un’impresa dovrebbe tenere»;
«L’attenzione da parte dell’impresa alle ripercussioni sociali, morali,
condivisibili. Attenzione
utori, un'attenzione al rispetto
che ci lavorano, verso
ortamento non
le
e sua evidenza»;
ircondano, di
sere
utori»;
ambientali delle proprie scelte economiche»;
«Progettare business attraverso equità, rispetto, valorizzando il talento
delle risorse umane per dei vantaggi
all’ambiente non solo come parte attiva nel rispetto ambientale, ma anche
come esempio comunicabile al territorio»;
«La responsabilità sociale d'impresa è un impegno che le aziende si
assumono nei confronti dei propri interloc
dell'ambiente e della qualità delle relazioni con i portatori di interesse»;
«E’ la responsabilità nei confronti delle risorse, che accresce le
competenze e valorizza i prodotti accrescendo le possibilità»;
«Sono tutte quelle azioni volte a favorire una reale positiva integrazione
dell’azienda sul territorio (ambiente e persone)»;
«Fare il proprio dovere in azienda nell’interesse di tutti»;
«E' la responsabilità di un'azienda verso le persone
il territorio, verso il tessuto sociale, ecc. Il suo comp
dovrebbe essere mai lesivo ma costruttivo verso quanto sopraccitato»;
«Valori della persona e dell'uomo al centro di ogni scelta: la persona
come cliente, come fornitore, come dipendente, come socio etc.; se
scelte sono guidate dalla consapevolezza che al centro di ogni cosa c'è la
persona ogni tipo di scelta anche in campo economico ed aziendale non
potrà che essere una scelta basata su principi etici»;
«Agire nel sociale anche se si tratta di aziende produttive»;
«Consapevolezza del ruolo sociale svolto dall'azienda
«Si tratta di essere consapevoli delle varie situazioni che ci c
fare qualcosa per migliorarle (se non risolverle), e non es
esclusivamente concentrati sul successo economico dell’azienda»;
«L'impresa è una realtà sociale ed ha dei diritti e dei doveri nei confronti del
contesto in cui opera»;
«Si tratta di assicurare che l'azienda operi in armonia con l'etica e il sentire
comune dei suoi interloc
110
«Capire che interagiamo con gli altri e che dobbiamo pagare un dividendo
sociale, non solo economico»;
«Rispetto del principio del bene comune, creatività, sviluppo sostenibile,
rispetto dell'ambiente e valorizzazione delle risorse umane»;
altrui»;
Alla do
sociale rap al pari degli obiettivi
enda: «la responsabilità
rappresenta per la
considerato un
,
le aziende sono interessate o addirittura pronte ad adottare il progetto. Le
ono possibili più risposte)
«Creare benessere per sé, per i collaboratori, per la società. Far crescere
lo spessore etico degli attori di cui prima»;
«Diritto per l’azienda o datore di lavoro di realizzare un proprio sogno =
dovere realizzare (nei limiti possibili) sogni
manda: «Quanto la seguente frase descrive la Sua azienda: la responsabilità
presenta per la nostra azienda un obiettivo aziendale
di mercato», il 22% ha risposto «Molto», il 48% «Abbastanza» mentre della
rimanenza, il 7% ha risposto «Per niente» e il 19% «Poco».
Figura 10 – Quanto la seguente frase descrive la Sua azi
sociale
di mercato.
Come è stato accennato all’inizio di questa sezione
0 5 10 15
N.P.AbbastanzaMoltoPer nientePoco
nostra azienda un obiettivo aziendale al pari degli obiettivi di mercato?» Si può constatare allora che RSI
on viene n
obiettivo estraneo alla gestione
aziendale,
bensì si integra con gli obiettivi
l’obiettivo del questionario era di
indagare se
risposte sono state molto incoraggianti, poiché più della metà sono interessate al tema e
cinque pronte ad iniziare. Solo una è scettica mentre un’altra è consapevole
dell’importanza ma non interessata.
Le fonti di informazione sono così distribuite:
Tabella 9 – Fonti di informazione (s
111
Mass-media 10
Work-shop 9
Consulenti aziendali esterni 8
Studi personali 8
Altro 9
Altro» sono state indicate:
Conoscenti, clienti
Tesi universitaria
Associazioni di categoria
Riviste settore no profit
Internet
Unindistria
La maggioranza degli imprenditori ha dichiarato la non esistenza di settori o
tipologie di aziende rispetto ad altre in cui RSI deve essere adottata, (aziende quotate
in borsa, anche se Parmalat redigeva il bilancio sociale, multiutility, banche, industrie
tessili...in realtà un po’ tutti i settori), perché gli obiettivi sono gli stessi ma
soprattutto «RSI deve essere un qualche cosa che permea l’intera struttura
aziendale».
Secondo l’opinione di quattro imprenditori invece, le aziende soggette ad elevato
inquinamento ambientale e ad elevato impatto sociale dovrebbero porre particolare
attenzione all’argomento.
Inoltre, dalle risposte emerge che le caratteristiche territoriali del Nord-est, quali
concentrazione di aziende medio-piccole, non ostacolano l’introduzione di RSI nelle
aziende. I problemi da risolvere rimangono la capacità di permeare nella cultura
imprenditoriale chiusa e poco flessibile e la crisi economica del periodo. Pertanto,
«nulla di ciò che dipende dal comportamento degli uomini è impossibile. Nella
cultura imprenditoriale del nord-est è difficile perché presuppone la capacità di
«ascoltare» e il coraggio di cambiare». Ci attendiamo allora, un’evoluzione culturale
futura e nel frattempo diciamo che «per l'etica e la morale non ci sono spazi, confini,
culture, lingue».
Gli imprenditori inoltre, non sono spaventati dall’idea che l’adozione di una condotta
socialmente responsabile produca ripercussioni sull’organizzazione aziendale, perché
Nella categoria «
112
gli effetti di eventuali cambiamenti sono solamente positivi (Cap.4-4.10.). Di seguito
alcuni effetti derivanti dall’introduzione:
o «migliora i rapporti ed implica maggiore impegno nell’area risorse umane;
o incrementa tutto»;
o «aumenta la collaborazione»;
o «dovrebbe per lo meno far capire ai dipendenti ed ai collaboratori che gli
lare tipo di azienda, al servizio della comunità
o d esterne all'azienda»;
Essere responsabili significa svolgere le mansioni affidate con impegno ma soprattutto
saper gestire le conseguenze delle proprie azioni, perché l’uomo è dotato di una
rima di tutto una manifestazione sociale, una
azionisti credono in un partico
e che non vedono la propria azienda come un semplice «strumento per far
soldi»;
«effetti soprattutto sul clima aziendale e sulla motivazione delle persone,
interne e
o «maggiore rispetto per l’azienda».
coscienza che lo guida. Lo scopo della domanda successiva è di chiedere agli
imprenditori se un’impresa può avere una coscienza o se la responsabilità viene
attribuita agli individui e non può essere estesa agli «individui astratti». Con sorpresa,
le risposte si sono concentrate in una, quale: «L’impresa è composta da individui e
pertanto anch’essa può avere una coscienza». (Cap 4-4.3.)
Da notare l’uso del verbo «potere» e non del verbo «dovere» («l’impresa deve avere
una coscienza»: risposta di tre aziende).
Secondo me invece, e sono d’accordo con due imprenditori, un'impresa non esiste in
sé stessa se non sul piano giuridico; è p
comunità che di per sé stessa rappresenta (ma non è) la coscienza delle persone che
la compongono. Ci sono attività la cui responsabilità deve essere attribuita
esclusivamente ai singoli, altre decisioni invece che se prese in comune competono
all’impresa stessa. E’ facile «scaricare la responsabilità all’azienda» per non
incorrere in sanzioni ma questo non è il comportamento corretto per un uomo
responsabile. Quali potrebbero essere allora, i meccanismi da adottare per
responsabilizzare gli individui?.
113
Lo strumento monetario non è considerato tra i più utili (due aziende hanno risposto
«incentivi ai dirigenti», nove «sistemi di controllo interno» mentre ben diciotto
hanno risposto «altro»). Interessanti le risposte emerse:
«condivisione di obiettivi, problemi, risultati»;
«condivisione attraverso la consapevolizzazione»;
«la comunicazione interna»;
«azioni di stimolo al di fuori degli incentivi»;
«premi per la qualità»;
«sensibilizzare»;
«pianificazione dei ruoli»;
«comunicazione e formazione»;
«formazione e quindi sensibilizzazione ai problemi»;
«cultura ed informazione»;
«far conoscere le problematiche e motivare le persone con l'esempio»;
«sistemi di controllo “di clan”»;
«promozione cultura azienda»;
«è insita nel modo di pensare»;
«magari ce ne fossero di meccanismi. La responsabilità delle persone è
un qualche cosa di troppo personale ed intrinseco al percorso di vita di
ognuno di noi, dall'ambito familiare a quello ambientale in cui si sviluppa la
coscienza di ognuno; pertanto, più che meccanismi, secondo me in azienda
al proposito rivestirebbe una importanza cruciale la funzione del personale,
specialmente in fase di introduzione di nuovi dipendenti».
La maggioranza delle aziende non adotterebbe incentivi monetari, preferisce
«investire» nella condivisione di obiettivi, nella cultura, nella formazione, nella
comunicazione, nella pianificazione dei ruoli, ma soprattutto nella motivazione,
elemento indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi.
Essere responsabili significa ancora, operare nel rispetto degli altri interlocutori, in
primis le risorse umane senza dimenticare le generazioni future. Pertanto, dovendo
tenere in considerazione tale aspetto, l’impatto umano delle operazioni aziendali
deve essere rilevante o elevato ed è ciò che hanno risposto gli imprenditori alla
domanda «Quale è l’impatto umano delle proprie operazioni aziendali?».
114
Come riscontrato in precedenza, il valore principale in cui credono le aziende è il
«rispetto» verso le persone in quanto tali e non come nuovi «strumenti»
dell’organizzazione. Tale principio è un aspetto centrale del concetto di
Responsabilità morale dell’azienda; a tal proposito è stata formulata «ad hoc» una
domanda che facesse riflettere sull’importanza delle risorse umane e su come
vengono considerate in azienda. Di seguito le risposte:
Tabella 10 – Come vengono valutate le persone in azienda? Persone 8
Collaboratori impegnati a perseguire un obiettivo comune 7
Elemento fondamentale/fattore produttivo 5
Come ruoli e competenze 1
Fonte di idee e contributi nella gestione complessiva 1
Partners 1
Lavoratori 1
Non risponde 5
Le risposte date dagli imprenditori sono state soddisfacenti; solo un’azienda ha
dichiarato che le risorse umane sono qualificate come semplici lavoratori. I rimanenti
invece, rispettano l’identità personale di ogni lavoratore («uomini e donne prima che
collaboratori») considerandoli nella maggior parte dei casi collaboratori impegnati a
perseguire un obiettivo comune e a partecipare in modo attivo alle attività aziendali
con proposte di iniziative. In poche parole sono «fonti di idee e contributi nella
gestione complessa».
«L'azienda è delle persone che ci lavorano ed i risultati dell'azienda sono il
contributo di ogni singola persona; il valore aggiunto di un'azienda moderna è la
sommatoria del valore aggiunto dato da ogni persona al proprio processo produttivo
di competenza», risponde un imprenditore. Inoltre devono sentirsi “parte attiva di
un’organizzazione. Ogni tassello di un’organizzazione è importante e deve essere
responsabilizzato e coinvolto quantomeno per ciò che gli compete».
115
Le risorse umane perciò, rappresentano il primo fattore produttivo e non uno
strumento per l’azienda e diventano esse stesse l’azienda per l’impatto verso
l’esterno di ciascuna attività.
Lavorare secondo uno spirito di squadra significa anche condividere valori, principi,
nel nostro caso le azioni di responsabilità messe in atto dall’azienda ed è ciò che è
emerso dall’indagine con la domanda «Il personale interno quanto condivide le
azioni di responsabilità sociale dell’impresa messe in atto dall’azienda?» (più
dell’80% partecipa «Molto» o «Abbastanza» alle azioni di responsabilità).(Cap.4-
4.5)
Figura 11 – Secondo Lei, il personale interno quanto condivide le azioni di responsabilità sociale dell’impresa messe in atto dall’azienda?
Altri due pilastri della «Responsabilità Sociale d’Impresa», ma che dovrebbero
essere sempre linee guida per l’azienda, sono la trasparenza e la correttezza. Adottare
un comportamento trasparente significa eliminare asimmetrie informative con
l’esterno dichiarando il «vero» e ciò per un’azienda può risultare difficile e
ostacolante, ma in realtà non dovrebbe essere così!. Il 70% delle aziende intervistate,
infatti, afferma di non ritenere «trasparenza e correttezza» due limiti, paura che può
riguardare «chi gioca sporco». «Nascondere non serve a nulla prima o poi tutto si
viene a sapere, tanto vale essere trasparenti» risponde un’azienda. Un’altra è
dispiaciuta perché anche il mercato dovrebbe incentivare tali valori invece non fa la
sua parte.
7%
63%
19%11% Poco-per niente
AbbastanzaMoltoNon risponde
Bisogna dire comunque che tali presupposti sono indispensabili per il vivere
quotidiano, non solo nel lavoro ma anche nella vita privata.
Fino ad ora si è parlato del concetto di RSI capendo che le aziende sono interessate
ma non hanno ancora intrapreso il percorso che porta all’adozione. Molti possono
116
risultare gli impedimenti, a mio avviso superabili, se si capisce dalle aziende quali
sono le soluzioni da adottare affinchè esse siano incentivate ad introdurre la politica
di RSI. A tal fine, è stata elaborata una domanda, la più importante del questionario,
ricevendo le seguenti risposte (sei non hanno risposto):
«premi al perseguimento di obiettivi»;
«benefici anche economici»;
«presentare chiaramente con dati tangibili il vantaggio. Che c’è ma non è
percepito»;
«iniziative culturali per diffondere l’importanza della RSI»;
«collocare le risorse e porsi correttamente gli obiettivi»;
«si dovrebbe far capire il «ritorno» vero che ciascuna azienda avrebbe»;
«spiegare bene l’utilità per aumentare la fiducia anche dei clienti»;
«maggiori sensibilità degli Enti Pubblici verso una miglior qualità della
vita»;
«nella sostanza nessuna; per la facciata molte; sono scelte che la
proprietà o il management fa se lo sente dentro»;
«avere più disponibilità di tempo»;
«formare la società e gli imprenditori in particolare»;
«a mio avviso si tratta di un’evoluzione culturale. Come accellerare
questo processo non lo so»;
«solo culturali. Lungi da politiche di incentivazione economica.
Eventuali tasse sulla scarsa efficienza delle aziende sul tema sociale ed
ambientale»;
«benefici fiscali»;
«la scelta etica non è oggetto di incentivazione»;
«sicuramente con agevolazioni fiscali»;
«maggior consapevolezza dei vantaggi della sua applicazione e far capire
bene in cosa consiste in termini di investimenti economici»;
«la formazione»;
«diffusione attraverso i mass media del valore e conseguente
sensibilizzazione dell’acquirente finale alle tematiche»;
117
«non dovrevvero esserci problemi fino a quando si ha a che fare con
aziende/persone dotate di una certa etica»;
«cambiare i vecchi responsabili!».
Riassumendo, gli imprenditori che non considerano RSI come un’evoluzione
culturale da non icentivare, propongono:
1) Benefici economici, benefici fiscali, premi al conseguimento degli obiettivi;
2) Evidenziare i vantaggi, il ritorno economico derivante dall’applicazione;
3) Iniziative culturali, formazione, diffusione dell’importanza RSI.
La prima soluzione viene condivisa da dodici imprenditori mentre otto hanno
risposto negativamente alla domanda che chiedeva: «Se alla Sua azienda venissero
erogati incentivi monetari, fiscali, agevolazioni sarebbe disposto ad iniziare questo
progetto?», perché ritenuta una soluzione paradossale con il contenuto etico
dell’operazione. Il denaro può essere utile se c’è cultura e conoscenza e non essere
utilizzato come «arma» per un processo duraturo e credibile. Gli incentivi producono
il rischio di esperienze limitate e non strutturali.
Con l’evolversi della RSI stanno nascendo anche figure professionali individuali di
impronta americana quali l’Ethics Officer o collettive come il Comitato Etico, con il
compito di introdurre la politica nelle aziende o di controllare l’operato delle stesse.
Probabilmente la domanda («Secondo Lei, sarebbe necessaria la funzione svolta da
un organismo terzo indipendente di certificazione della qualità morale di un’azienda
o risulterebbe un onere aggiuntivo?») è stata posta in termini non appropriati, perché
si chiedeva se l’azienda reputa necessaria la funzione svolta da un organismo di
certificazione della «qualità morale», intendendo però con essa il comportamento
etico, altrimenti risulterebbe difficile trovare un misuratore di morale. La
certificazione delle qualità morali di un'azienda semmai possono essere in qualche
maniera manifestate da come l'azienda si è mossa e si è comportata nella comunità in
cui vive ed in che modo la comunità vive e protegge l'azienda
Secondo la maggioranza delle aziende intervistate la funzione svolta da un
organismo terzo indipendente non risulterebbe necessaria, bensì un onere aggiuntivo
per l’azienda. Sono invece favorevoli a definire linee guida per identificare alcuni
requisiti fondamentali o se si danno criteri chiari e obiettivi determinati passa in
secondo piano il ruolo dell’organismo; potrebbe aiutare a ridurre i danni di alcune
118
aziende, ma i maggiori risultati si raggiungono solo con la vera motivazione e non
con l’obbligo di legge. (Cap.4-4.6)
Da ultimo è stato analizzato il rapporto dell’azienda con uno degli stakeholder, la
Comunità locale, la cui relazione è basata sulla fiducia. Le piccole e medie imprese,
per continuare a prosperare, devono infatti crearsi una buona reputazione (corporate
reputation) investendo molto su questo fattore. La reputazione, pertanto, assume un
peso rilevante, come dimostrato dalle risposte (quattordici risposte massimo/elevato).
«Non credo, comunque, che una azienda debba impegnarsi nel sociale solo per avere
una buona immagine nel contesto in cui opera; sarebbe un’operazione di facciata.
Certo meglio così che niente, ma il concetto è un altro e molto più profondo». «Se
l’azienda è corretta la buona reputazione si crea da sola».
1.6.4. Bilancio sociale L’ultima sezione è dedicata allo strumento principale di accountability: il bilancio
sociale. (Cap.3-3.1-3.2-3.4-4.8-4.9)
Figura 12 – La Sua azienda redige annualmente il bilancio sociale?
Fino ad ora il bilancio sociale
non viene redatto da nessuna
azienda intervistata; solo
l’azienda presso cui ho svolto
lo stage ha completato, in
parte, uno dei documenti in
tema di RSI, cioè la relazione
sociale, di cui la sezione relativa allo stakeholder «fornitori» redatta da me.
Prevedendo che le risposte sarebbero state negative si è voluto capire quali sono le
motivazioni principali che ostacolano la redazione, mediante una domanda a risposta
multipla:
4%
96%
SìNo
119
Tabella 11 - Motivazioni principali che spingono alla redazione (sono possibili più risposte) Non saprebbe come redigerlo perché non ha avuto informazioni adeguate 8
Non è a conoscenza di cosa si tratta 8
E' un onore aggiuntivo 5
E' solo uno strumento di immagine e di moda 3
Mancanza personale specializzato 3
Non è disposto a rendere conto delle sue decisioni ad altri collaboratori
oltre che agli azionisti ed ai finanziatori 0
Stiamo valutando la fattibilità 1
Non risponde 1
Il problema principale rimane sempre la mancanza di informazioni adeguate,
pertanto è necessario iniziare una campagna di promozione e diffusione del tema o
accentuare quella già iniziata ed infine dedicare risorse alla formazione di personale
specializzato. Tre aziende invece lo ritengono un onore aggiuntivo o uno strumento
di moda, perciò sono meno sensibili all’argomento.
Il bilancio d’esercizio non comunica e non rappresenta correttamente i fattori
intangibili della gestione, fattori che sempre più spesso decretano il successo
dell’impresa; esso viene allora integrato con il bilancio sociale. La domanda
successiva elenca i motivi principali che possono spingere alla redazione del
documento: (Cap 4-4.7)
1) redazione «per moda»; (4.7.1.)
2) redazione «per esigenze e spinte esterne» (recupero di immagine a seguito di
fatti ed episodi di cronaca, preparazione alla quotazione in borsa, ecc.);
(4.7.2.)
3) redazione «per presa di coscienza».(4.7.3.)
Le aziende che hanno risposto (nove non hanno risposto), sei sono d’accordo su tutte
le motivazioni senza scegliere una delle tre mentre sette hanno optato per la terza
motivazione. Solo una è risultata concorde con la mia opinione: redigere un bilancio
per moda o per lenire gli effetti di episodi di cronaca è un controsenso rispetto al
concetto di Responsabilita' sociale e morale.
120
La seconda parte della domanda chiedeva di aggiungere eventuali altre ragioni oltre a
quelle prima esaminate. Cinque aziende hanno dato le seguenti risposte:
o «lo spirito di emulazione dato da aziende concorrenti che lo redigono e la
volontà politica nei casi di aziende a partecipazione pubblica»;
o «sensibilizzare maggiormente il personale»;
o «dimostrerebbe la serietà dell’impresa»;
o «formalizzare le azioni sociali dell’impresa al fine di aggiungere peso al suo
valore»;
o «redazione per norme di legge».
Una rendicontazione di carattere strettamente economico-contabile comunica una
serie di valori che possono essere percepiti solo dai portatori di interesse economici,
tagliando fuori tutti gli altri stakeholder (risorse umane, clienti, fornitori,comunità
sociale, etc.). E’ stato chiesto agli imprenditori se il bilancio sociale riesce a colmare
questa lacuna. Purtroppo le aziende intervistate non lo redigono, pertanto una buona
parte non ha risposto, mentre nove hanno risposto «In parte», due hanno risposto
«Sì» e due «No».
L’indagine si conclude con l’ultima domanda a risposta multipla, con la quale si
chiedeva di indicare quali delle definizioni presentate descrive meglio il bilancio
sociale o l’idea che gli imprenditori hanno del documento.
Tabella 12 – Definizioni di bilancio sociale (sono possibili più risposte) Aumenta la capacità dell’impresa di attrarre e mantenere personale qualificato e
motivato 13
E’ un documento da affiancare al bilancio d’esercizio per una maggiore trasparenza
sul modo di operare dell’azienda 13
Crea un ambiente di lavoro migliore, più sicuro e motivante 12
Contribuire a rafforzare il brand value 10
Può rappresentare un qualificato elemento di differenziazione tale da rafforzare il
marketing competitivo 8
Contribuisce ad aumentare il valore per gli azionisti nei mercati in cui sono applicati
rating di tipo etico 8
121
Garantire una forte coesione con gli stakeholder 7
Migliora l’efficienza della gestione aziendale 5
Facilita l’accesso al credito (Basilea 2) 4
Incrementa i rapporto di partnership e di conseguenza può determinare l’incremento
del fatturato 3
Riduce il rischio d’impresa 2
Permette di usufruire, laddove previsti di vantaggi fiscali, contributivi e
semplificazioni amministrative 2
Protegge da azioni di boicottaggio 0
Non sa/non risponde 5
1.7. Analisi dati del secondo gruppo 1.7.1. Etica economica
A differenza delle aziende analizzate in precedenza, quattro aziende su sei del
secondo gruppo non hanno mai sentito parlare di etica economica. Questo è un
segnale evidente che la maggioranza di esse non è informata, pertanto l’argomento è
ancora nella fase iniziale del processo di evoluzione, necessitando di iniziative di
sensibilizzazione.
Solo un imprenditore non è d’accordo nel considerare la morale in azienda, cioè di
rispettarla quando devono essere prese decisioni strategiche.
L’obiettivo principale delle aziende rimane sempre il conseguimento del profitto o la
creazione di successo per l’azienda, intesa come gruppo di persone. Solamente due
aziende hanno dichiarato l’esistenza di fini etici complementari e non alternativi a
quelli economici. Le altre aziende o non hanno risposto o non sono d’accordo sulla
presenza di fini «alternativi».
Fini complementari dunque che derivano da una formazione non intesa solo in senso
stretto come formazione scolastica, bensì trasmessi dalla famiglia o dalla società.
Alla domanda con la quale si chiedeva quali comportamenti dovrebbe tenere un
imprenditore per rispettare i principi etici, le risposte si sono distribuite su tutte e tre
122
le alternative (rispettare leggi dello stato, onestà con sé stesso e con gli altri, ottenere
successo sulla base di meriti reali).
I valori ai quali si ispirano le aziende per la gestione aziendale sono di seguito
indicati:
Tabella 13 – Valori ispiratori della gestione L’indipendenza, ma soprattutto lo stimolo di misurare le proprie capacità di
leader. Nel contesto economico, imporre con il prodotto la volontà e la certezza
di fare e produrre bene;
1
Pieno rispetto e piena fiducia tra i collaboratori che operano nella stessa
impresa; 1
Ambiente di lavoro sano e rispettoso delle persone-attenzione particolare sugli
aspetti relativi alla sicurezza e alle normative previste dalla legge; Motivazione
del personale attraverso la crescita professionale dei dipendenti;
1
Onestà; 2
Professionalità; 1
Trasparenza, correttezza, dignità; 1
Tali valori non si discostano di molto da quelli previsti dalle altre aziende, infatti,
emerge chiaramente il valore della trasparenza, correttezza, onestà ed infine, ma non
meno importante il rispetto verso i propri collaboratori o stakeholder esterni.
Hanno inoltre dichiarato che tali valori sono stati chiaramente definiti all’interno
dell’azienda e sono presenti nel codice etico così da farli conoscere al personale.
Sono perplessa che questo gruppo di aziende adotti veramente un codice etico e lo
abbiano anche formulato, probabilmente invece, si rifanno ai valori impliciti in cui
crede il titolare, comunicati mediante riunioni interne o comunicazioni informali.
Alla domanda successiva infatti, hanno risposto che non sono disposti a realizzare
attività rivolte a definire il codice etico o attività di formazione alle risorse umane
sull’importanza dello stesso.
Infine l’ultima domanda della sezione «etica economica» riguardava il rapporto tra il
rispetto delle leggi economiche e il rispetto della dignità umana. Dalle risposte si
123
nota un certo grado di incertezza, tuttavia sembra poter esistere una correlazione
positiva tra le due componenti.
1.7.2. Impegno sociale
Due terzi delle aziende (la stessa percentuale dell’altro gruppo) ha investito in
inizative di carattere sociale, cioè a sostegno della cultura, della solidarietà e
dell’ambiente, ma una sola ha già previsto un budget per l’anno successivo da
destinare ad iniziative di carattere sociale. Le modalità d’intervento adottate dalle
aziende sono prevalentemente due: contributo economico diretto per la realizzazione
del progetto e acquisto/donazione di prodotti, materiali, strutture e strumenti (come il
gruppo precedente). Inoltre le aziende scelgono le iniziative di finanziamento in base
alla serietà e all’affidabilità dell’associazione/ente proponente o a seconda del
legame con il territorio o ambito locale, lo stesso criterio adottato anche dall’altro
gruppo. Purtroppo a volte l’erogazione di finanziamenti avviene perché sollecitati
dall’insistenza dell’associazione o ente richiedente, però credo, come ho già
affermato in precedenza che tale motivazione è implicitamente accompagnata dalla
sensibilità a determinati valori altrimenti si negherebbe subito la proposta.
Con la domanda successica si chiedeva di esplicitare questi valori. E’ emerso quanto
segue:
«i valori della salute dell’uomo, vedi Avis o centro per la ricerca del
cancro»;
«solidarietà sociale e rispetto delle persone»;
«ricerca, sviluppo del territorio (immagine aziendale), sensibilità
verso enti bebefici»;
«valori religiosi»;
Le aziende dichiarano di ricevere troppe richieste di finanziamenti da parte di
associazioni esterne, di conseguenza alcune volte rinunciano all’aiuto.
Secondo le aziende di questo gruppo, intervenire in ambito sociale vuol dire anche
investire in termini di ritorno d’immagine per l’azienda (nessuno ha risposto che non
interessa ottenere maggiore visibilità). A tale riguardo, gli interventi principali più
efficaci, scelti dalle aziende per il raggiungimento dello scopo sono:
124
intervenire sul territorio/ambito locale;
finanziare strutture e servizi di carattere sociale;
realizzare iniziative a favore dei dipendenti.
La stampa dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale di divulgazione di notizie ed
eventi che vedono coinvolte le aziende nel sociale, invece il giudizio delle aziende a
tale proposito è negativo poiché considerano la copertura dei mezzi di
telecomunicazione insufficiente o scarsa.
Concludendo questa sezione, bisogna dire che il requisito fondamentale di un buon
progetto sociale rimane la rilevanza sociale dell’intervento (valutata come
importanza elevata), seguono il ritorno d’immagine su stampa e tv per l’azienda
sponsor ed infine l’utilizzo del progetto per coinvolgere il personale aziendale.
1.7.3. Concetto generale di responsabilità sociale d’impresa
Le aziende di questo gruppo rappresentano a mio avviso, se pur in minima parte, la
maggioranza delle aziende insediate sul territorio a differenza di quelle del primo
gruppo che sono già coinvolte in iniziative riguardanti il tema e quindi maggiormente
informate.
Dalle risposte si denota che il grado di conoscenza è limitato poiché le aziende o non
sanno che cosa sia la responsabilità d’impresa o la conoscono in parte. Le aziende
detengono informazioni abbastanza vaghe, definendo la RSI in questo modo (riporto
quanto scritto dagli imprenditori):
«far crescere l’azienda nel rispetto delle regole generali comunitarie
(ambiente, sicurezza..)»;
«essere consapevoli di far parte di un mondo che serve a tutti; essere
«ingordi» porta a una chiusura mentale, l’azienda prima o poi ne
risentirà».
La soluzione allora sarebbe quella di iniziare o accentuare campagne di
sensibilizzazione, in modo tale da fornire informazioni il più possibile precise o
eliminare eventuali incertezze. Non rimane altro che continuare a sperare in un
processo graduale di espansione! Nel frattempo le aziende, anche se non adottano la
125
politica della RSI, continueranno a sviluppare i valori fondanti che la costituiscono
quali:
la reputazione;
il consenso e la fiducia delle diverse categorie di stakeholder;
il valore della conoscenza e la capacità di innovare;
la valorizzazione delle risorse umane e il loro coinvolgimento nella vita
aziendale;
la disponibilità a contribuire al benessere della comunità.
Un dato consolante è che le aziende non considerano RSI un’operazione di facciata,
anche se due terzi di esse ritengono che tali concetti «in parte» sono così astratti da
risultare incompatibili con la realtà.
Si diceva in precedenza di aspettare l’evolversi graduale del fenomeno perché per il
momento le aziende non mettono sullo stesso piano gli obiettivi di mercato e la RSI;
inoltre sono ancora molto scettiche. Solo un’azienda è consapevole dell’importanza
ma non è interessata.
Le fonti da cui hanno ricevuto informazioni sono prevalentemente: mass-media;
work-shop, consulenti aziendali esterni.
Per quanto riguarda la domanda sulla coscienza, non ci sono novità rispetto al gruppo
precedente; tutti hanno risposto, anche se con espressioni diverse, che l’impresa è un
gruppo di persone e come tale è responsabile. Tuttavia, per cercare di
responsabilizzare gli individui, le aziende propongono oltre ai sitemi di controllo, di
acccentuare la motivazione, le direttive ed infine attribuire mansioni che richiedono
attenzione impegno e responsabilità.
Uno dei pilastri della RSI è il rispetto degli stakeholder in particolare delle risorse
umane, che non vengono considerate semplici strumenti aziendali, bensì membri
della squadra, collaboratori, compartecipanti; un’azienda ha specificato che possono
essere considerate parte integrante «solo se sono degne di ricevere fiducia e
responsabilità».
Lavorare bene significa anche dare all’esterno una buona immagine dell’azienda, in
sostanza crearsi una buona reputazione, che vuol dire serietà, efficienza,
professionalità; valore con un peso notevole per l’azienda considerando che la
migliore pubblicità per l’organizzazione è il «passaparola» tra i clienti. La metà delle
126
aziende è d’accordo sul fatto che non ci sono settori più o meno indicati
all’introduzione di RSI, altri invece, evidenziano le aziende che hanno un impatto
sull’ambiente come pure il settore bancario/finanziario, maggiormente indicate allo
sviluppo di questo tema. Inoltre, il contesto imprenditoriale del Nor-Est viene
considerato adeguato alla pari di altre realtà imprenditoriali, per l’introduzione della
politica RSI anche se si dovrà aspettare. Attualmente, un ostacolo indicato dagli
imprenditori è la crisi economica contingente.
Secondo gli imprenditori, l’adozione della RSI, produce ripercussioni
sull’organizzazione aziendale, ma solo positive. Maggiormente interessate sono le
persone che si sentirebbero più motivate in quanto parte di un’azienda che si
inserisce sul territorio in modo attivo.
Purtroppo le aziende sostengono che il personale interno condivide «poco» o
«abbastanza» le azioni di RSI messe in atto dall’azienda, probabilmente perché non è
sufficentemente motivato o poco coinvolto nell’organizzazione.
La trasparenza e la correttezza non sono percepiti dalle aziende come due limiti,
bensì le basi di partenza per una buona organizzazione o ancora più precisamente due
filtri mediante i quali è possibile gestire in modo più accurato l’organizzazione.
Come le aziende del primo gruppo, anche quelle si stanno ora analizzando valutano
la funzione svolta da un organismo terzo di certificazione di qualità morale non
necessaria perché è un onere che si somma agli altri costi!.
Le strutture aziendali permetterebbero, a mio avviso, di poter iniziare con questa
politica; infatti di solito gli interventi a favore dei collaboratori e della comunità non
sono realizzati su base personale e per vie non strutturate, creando così la possibilità
di una rilevazione oggettiva.
La sezione riguardante la responsabilità sociale d’impresa si conclude cercando di
capire dalle aziende stesse quali possono essere le soluzioni che lo Stato o altri enti
preposti dovrebbero adottare affinchè le aziende siano incentivate all’introduzione.
Oltre a coloro che non sanno dare una risposta, i rimanenti propongono le seguenti
soluzioni:
o «una buona ed efficace operatività dello «stato» porta ad un comportamento
omogeneo da parte di tutti i suoi cittadini. Dall’alto bisogna incentivare non
con soldi, ma semplicemente con delle regole ben precise da ambo le parti»;
127
o «campagna informativa»;
o «sgravi fiscali»;
o «chi ha la cultura–se adeguatamente incentivato da sgravi fiscali…»
Come si può notare, una delle soluzioni segnalate è lo sgravio fiscale, anche se non
tutti sono d’accordo, perché sostengono che l’iniziativa dovrebbe essere presa
indipendentemente dagli incentivi monetari o da altre agevolazioni.
1.7.4. Bilancio sociale
Alla domanda con la quale si chiedeva se le aziende redigono il bilancio sociale,
sono rimasta molto sorpresa ma nello stesso tempo perplessa dal fatto che due
aziende hanno risposto positivamente. Credo che tali risposte incoerenti con altre,
siano dovute ad una interpretazione non corretta della domanda, confondendo il
bilancio sociale con il bilancio d’esercizio.
Tra le motivazioni principali di non redazione emerge la mancanza di informazioni
precise sul documento stesso e su come redigerlo. Inoltre, non essendo ancora
valutata correttamente a mio avviso tale politica, gli imprenditori sostengono che il
bilancio sociale rappresenta un onore aggiuntivo. Detto ciò non si vuole negare
l’esistenza del costo, però credo non sia la motivazione principale ostacolante la
redazione. Interessante la risposta di un imprenditore, il quale afferma che non è
necessario redigere il bilancio sociale poiché, «la coscienza del titolare è il
documento». Condivido pienamente l’affermazione, però mi sembra anche limitata
perché elimina una delle funzioni del documento, cioè quella di informare gli
stakeholder sulle iniziative intraprese. E’ necesario pertanto, che le due componenti,
coscienza e bilancio sociale siano complementari, affichè l’azienda metta in pratica
veramente la RSI.
Gli imprenditori sono d’accordo sulle motivazioni principali che spingono le aziende
alla redazione quali «redazione per moda», «per esigenze e spinte esterne» ed infine
«per presa di coscienza» aggiungendo anche «per autovalutazione» e per
«copertura».
128
Sono comunque scettici sul fatto esso possa colmare le lacune del bilancio
d’esercizio, in particolare l’incapacità di comunicare i dati sufficenti per informare
tutti gli stakeholder e non solo quelli economici.
Si può concludere allora, che gli imprenditori hanno una conoscenza superflua di tale
documento, indicando tra le affermazioni che rappresentano meglio la loro idea di
bilancio sociale, le seguenti:
Tabella 13 – Definizioni di bilancio sociale (Sono possibili più risposte)
Può rappresentare un qualificato elemento di differenziazione tale da
rafforzare il marketing competitivo 3
E’ un documento da affiancare al bilancio d’esercizio per una maggiore
trasparenza sul modo di operare dell’azienda 3
Crea un ambiente di lavoro più sicuro e motivante 3
Contribuisce a rafforzare il brand value, attraverso lo sviluppo di un rapporto
stabile e duraturo con i consumatori/clienti, basato sulla fiducia e la fedeltà
alla marca
1
Aumenta la capacità dell’impresa di attrarre e mantenere personale qualificato
e motivato 1
Riduce il rischio d’impresa 1
Migliora l’efficienza della gestione aziendale 1
Le prime due risposte sono ai primi posti anche per l’altro gruppo di aziende, perciò
cerchiamo di adoperarci affinchè tali affermazioni non rimangano solo idee, ma si
trasformino in realtà.
129
CAPITOLO 2
UN ESEMPIO DI RELAZIONE SOCIALE
Questo capitolo si propone di dedicare particolare attenzione alla struttura del
bilancio sociale, in particolar modo soffermandosi sulla terza parte che lo compone
definita «relazione sociale». Essa viene studiata sia dal punto di vista teorico che
pratico, dove nell’ultima parte del capitolo viene esposto il lavoro svolto durante lo
stage presso l’azienda Tecnogamma SPA, riguardante la redazione di una parte
specifica della relazione sociale dedicata allo stakeholder «fornitori».
2.1. Le parti del bilancio sociale In Italia, nel 1998 è stato costituito un Gruppo di studio per la statuizione dei principi
di redazione del bilancio sociale (GBS), che contiene indicazioni di minima rispetto
alla elaborazione del documento. Il modello prevede che il bilancio sociale sia
costituito da tre sezioni obbligatorie:
o identità aziendale: che consiste nell’esplicitazione dei valori, della missione e
nella descrizione dell’assetto organizzativo attraverso il quale opera
l’azienda;
o produzione e distribuzione del valore aggiunto: che rappresenta il principale
elemento di relazione con il bilancio civilistico, poiché è una riclassificazione
dei dati in esso contenuti che mette in evidenza come il risultato d’esercizio si
traduca in maggior valore per alcune categorie di stakeholder;
o relazione sociale: in cui sono analizzati i rapporti dell’impresa con i diversi
stakehoder di riferimento, esposti i risultati ottenuti in relazione agli impegni
e ai programmi e, infine, indicati gli effetti sui singoli stakeholder che la
gestione sociale ha prodotto.
Il legame trasversale tra le tre distinte sezioni è costituito dagli stakeholder. Il
bilancio sociale si propone, infatti, l’obiettivo di fornire agli stakeholder un quadro
complessivo delle performance dell’azienda, aprendo un processo interattivo di
comunicazione sociale, ai fini di ampliare e migliorare le loro conoscenze e le loro
possibilità di valutazione e di scelta.
130
L’analisi si sofferma solo sulla relazione sociale, tralasciando le altre due parti.
La relazione sociale è dedicata alla descrizione dei risultati connessi all’attività
aziendale che vengono visti sotto tre dimensioni:
1. ciò che l’azienda si proponeva di conseguire;
2. ciò che ha realizzato;
3. ciò che i destinatari dei risultati ritengono di avere ottenuto.83
In essa si descrivono e riconfrontano i risultati previsti con quelli ottenuti e quelli
percepiti dai destinatari; e attraverso questo confronto si mette in evidenza la
coerenza del comportamento aziendale.
La relazione prevede una serie ordinata di informazioni che, aggiunte a quelle
contenute nelle prime due parti del bilancio, consentono al lettore di formarsi un
giudizio.
Essa, si può dividere in due parti: una generale e una particolare.
Nella prima vengono sinteticamente descritti gli obiettivi che l’azienda si proponeva
di raggiungere, le norme di comportamento che scaturiscono dall’identità aziendale,
gli stakeholder ai quali il bilancio sociale è indirizzato e quali sono quelli che
assumono rilievo prevalente. Sempre nella prima sezione vanno chiariti i criteri
seguiti per la raccolta delle informazioni, quantitative e qualitative, che non derivano
dalla contabilità.
Nella seconda sezione vengono presi in considerazioni i singoli gruppi di stakeholder
e per ciascuno di essi si prevede un contenuto minimo comune di informazioni. Per
ogni gruppo l’azienda deve descrivere le politiche che ha seguito e le deve collegare
ai risultati che voleva raggiungere, ai valori ai quali dice di essersi ispirata, alla sua
missione e alle sue strategie. Questa descrizione deve essere fatta in modo da
consentire al lettore di maturare un giudizio sulla coerenza fra valori e obiettivi
perseguiti, e fra questi ultimi e i risultati ottenuti. Nella descrizione devono essere
riportati anche gli eventuali effetti negativi connessi all’attività, se e in quanto
possibile identificarli e misurarli.
83 HINNA L., (a cura di), Il bilancio sociale – Scenari, settori e valenze Modelli di rendicontazione sociale Gestione responsabile e sviluppo sostenibile Esperienze europee e casi italiani, Il Sole 24 Ore, Milano, 2000
131
Ancora, per ogni gruppo di stakeholder deve essere comunicato il processo di
rilevazione delle informazioni riguardanti le aspettative dagli stessi avvertite ed il
grado di soddisfazione da essi manifestato.
Altre informazioni, che variano da gruppo a gruppo, sono raccomandate e servono a
completare il quadro. Nella relazione vanno anche riportate le eventuali
comparazioni effettuate con dati desunti da fonti ufficiali e pubbliche, solo se sono
adatte a fare migliorare il giudizio di chi legge il bilancio. Vanno anche indicati
eventuali obiettivi di miglioramento che l’azienda si prefigge di realizzare in futuro.
Di particolare interesse appaiono anche la valutazione, i commenti e i giudizi della
stessa azienda sui risultati raggiunti e sulle opinioni che gli stakeholder hanno
espresso.
Lo standard dettato dal GBS indica una serie di principi e postulati che devono essere
osservati nella fase di redazione del bilancio sociale, quali: trasparenza,
identificazione, utilità, responsabilità, coerenza, inclusione, neutralità, comparabilità,
significatività e rilevanza, verificabilità dell’informazione, attendibilità e fedele
rappresentazione ecc.
Il rispetto dei principi di redazione del bilancio sociale, l’attendibilità dei dati
riportati nel documento, l’osservanza delle procedure e la coerenza dei risultati
ottenuti rispetto ai valori e alla missione dichiarata sono oggetto di verifica da parte
di un soggetto terzo indipendente, nell’ottica del miglioramento continuo.
2.2. La relazione sociale di Tecnogamma SPA
Prima di illustrare la sezione di relazione sociale riguardante lo stakeholder
«fornitori», redatta durante lo stage presso l’azienda Tecnogamma è necessario
introdurre brevemente l’organizzazione.
L’azienda nasce nel 1982 per iniziativa di Ettore Casagrande, morto recentemente, ed
Egidia Zanini, iniziando ad operare nello sviluppo di sistemi di automazione asserviti
a macchine ed impianti industriali. Fin dall’inizio emerge la vocazione dell’azienda a
focalizzare la propria produzione su settori particolarmente innovativi e ad
accrescere costantemente il proprio livello tecnologico.
132
Il core business dell’azienda è lo sviluppo di tecnologie optoelettroniche di visione
artificiale senza contatto per il controllo dimensionale. Questo tipo di tecnologia è
potenzialmente utilizzabile su svariati settori, tra questi Tecnogamma sceglie alcuni
specifici settori industriali in cui la precisione del controllo dimensionale è
complessa e strategica, tale da apportare rilevanti benefici economici all’utilizzatore.
Così si sintetizza l’approccio al mercato:
o una offerta di alta tecnologia, alimentata da strette collaborazioni, anche
internazionali, con il mondo della ricerca scientifica e dell’università;
o un rapporto di stretta collaborazione e fiducia con i livelli di vertice
dell’azienda cliente;
o uni sviluppo del progetto attuato attraverso una partnership con il cliente
piuttosto che mediante una tradizionale relazione tra committente ed
esecutore.
Tecnogamma oggi è presente nei settori ferroviario, dell’acciaio, della cantieristica
navale e in un quarto settore denominato per comodità «diversificato», nel quale
rientrano tutte quelle imprese che per specifiche esigenze di misura si servono delle
competenze di Tecnogamma; la tecnologia impiegata, ovvero sistemi optoelettronici
non a contatto per la misura, la diagnosi e il monitoraggio di parametri geometrici,
costituisce il fattore unificante la sua offerta.
L’organizzazione è in continua espansione negli ultimi anni, raggiungendo nel 2004
un fatturato di 5.225.068 EU con un organico di 43 dipendenti (dati rilevati al
31/12/2004).
Oltre ad essere particolarmente innovativa nel suo settore, l’azienda è
all’avanguardia anche in tema di RSI, infatti, è una delle poche aziende del
trevigiano che ha iniziato a redigere la relazione sociale ed a implementare tale
progetto.
Ettore Casagrande, ex presidente di Tecnogamma, intervenuto ad un seminario
organizzato da Unindustria, spiega il bilancio sociale con «la necessità di misurare,
pianificare e comunicare all’esterno quegli elementi dell’agire di Tecnogamma non
esprimibili attraverso il bilancio contabile». Continua: «Quest’ultimo è una
rappresentazione importante ma molto parziale della nostra azienda; non rende conto
infatti della spinta all’innovazione, delle relazioni con il mondo dell’università e
133
della ricerca scientifica, della capacità di fare cultura e formazione, della solidarietà,
del clima aziendale e del nostro «capitale umano», delle percezioni che istituzioni,
territorio, clienti, fornitori e partner hanno di Tecnogamma. Tutti elementi, questi,
che rappresentano la nostra capacità di stare sul mercato oggi, ma soprattutto
domani. Vanno quindi tenuti bene in considerazione tanto quanto i margini
economici di produzione, perché la loro misurazione – effettuata secondo standard
riconosciuti e condivisi – dà all’imprenditore ed ai terzi una fotografia più completa
dell’azienda, fornendo una sorta di bilancio della qualità delle relazioni che l’azienda
mantiene con tutti i suoi interlocutori, gli ormai noti stakeholders».
E alla domanda «Cosa si aspetta dallo sviluppo di questo processo di responsabilità
sociale?» ha risposto: «Per me e per la mia squadra mi aspetto che questo processo
aiuti ciascuno ad acquisire maggiore consapevolezza sul senso profondo del proprio
agire nel lavoro. Nei confronti dell’esterno ci aspettiamo di riuscire ad attivare uno
strumento di comunicazione che aiuti noi ed i nostri interlocutori a rispondere meglio
alle reciproche esigenze».
134
FORNITORI: PARTNER DI TECNOGAMMA
1.1. Caratteristiche e analisi dello stakeholder
I fornitori rappresentano un elemento importante per la valutazione del processo
produttivo, in quanto la qualità della fornitura può condizionare l’esito della
produzione.
Tecnogamma considera la maggior parte dei fornitori partner fondamentali
instaurando con essi una relazione basata sulla fiducia, correttezza, competenza e
trasparenza.
A tale proposito, l’azienda si propone di adottare un comportamento che sia il più
possibile trasparente così da fornire informazioni attendibili soprattutto per quanto
riguarda eventuali dilazioni di pagamento, che vengono comunicate al fornitore per
tempo.
La maggioranza dei fornitori sia di lavorazioni esterne che di prodotti sono coinvolti
nei processi esistenti in azienda. Si può dire che tra azienda e fornitore si instaura un
rapporto di co-making, ad esempio il fornitore fornisce proposte per lo sviluppo dei
progetti come pure mira a sviluppare tecniche nuove per riuscire a soddisfare le
esigenze di Tecnogamma, diventando quindi tale rapporto occasione di crescita.
Quest’ultimo, che nasce da subito e si può rafforzare nel tempo, si instaura
indipendentemente dalla dimensione aziendale del fornitore anche se bisogna dire
che è più facile gestire rapporti con fornitori di dimensioni non rilevanti.
Il fornitore non viene fidelizzato mediante tecniche particolari, soluzione di solito
adottata con i clienti, bensì come già accennato, si cerca di coinvolgere la controparte
al fine di ottenere una relazione ottimale, politica che comunque indirettamente si
può definire di fidelizzazione. Un caso particolare è il rapporto che Tecnogamma ha
instaurato con una multinazionale fornitrice, per la quale un responsabile
dell’azienda farà da testimonial ad un convegno per promuovere un sistema di
acquisto on-line sviluppato dalla stessa e implementato da Tecnogamma.
I criteri principali in base ai quali vengono scelti i fornitori e in un secondo momento
valutata la prestazione sono i seguenti:
135
− rispetto di condizioni o garanzie corrette di qualità nell’esercizio
operativo;
− rapidità nella consegna;
− appartenenza territoriale (vengono privilegiati fornitori locali);
− aderenza ai comportamenti contrattuali e generali;
− flessibilità;
− tempestività;
Gli indicatori «puntualità nella consegna», «flessibilità» e «tempestività» sono
misurati mediante indici numerici con una scala da 1 (insufficiente) a 4 (ottimo),
argomento che verrà trattato più avanti al punto 1.7.1.
Ai fini della valutazione del fornitore non vengono considerati solo aspetti
economici, bensì viene esaminato anche il rapporto personale con l’agente, che se
non è positivo (l’azienda non ha fiducia sulla competenza dello stesso), può causare
la cessione della fornitura.
Un altro fattore non sottovalutato da Tecnogamma è la durata del rapporto di
fornitura, cioè l’azienda dovrebbe riuscire ad ottenere una relazione continuativa con
i fornitori così da trarne i vantaggi derivanti dalla continuità, che si possono così
enucleare:
− consegne di favore
− anticipi di prodotti
− maggiore attenzione del fornitore sulla fornitura rispetto ad altri
committenti
− sconti/dilazioni di pagamento
− agevolazioni sul prezzo
− richiesta al fornitore di modifiche senza costi aggiuntivi
− supporto da parte del fornitore sulla scelta del prodotto
Gli svantaggi invece derivanti da una relazione non ottimale si possono così
elencare:
− assenza della certezza nelle consegne
− vincoli di ordine
− riduzione nei controlli qualitativi
− minori agevolazioni
136
I rapporti con il fornitore vengono gestiti mediante mail, telefono, fax, oppure
l’agente incontra personalmente il responsabile acquisti presso l’azienda.
I principali problemi riscontrati inerenti la fornitura sono:
− mancanza di disponibilità della merce al momento dell’acquisto
− ritardi di consegna
− qualità dei prodotti non conforme a quanto richiesto
Tali inconvenienti vengono gestiti a voce contattando direttamente il fornitore
(telefonata), che dovrà fornire spiegazioni a riguardo e cercare di trovare una
soluzione, che non sempre è possibile definire.
Tecnogamma adotta la seguente procedura standard per la gestione degli acquisti:
1) progettista tecnico sceglie il prodotto da acquistare e compila modulo RDA
(richiesta di acquisto)
2) invia modulo RDA al responsabile ufficio acquisti, che lo registra su file
3) responsabile ufficio acquisti contatta fornitore
4) fornitore invia offerta contenente prezzo, disponibilità, tempo di consegna e
altre condizioni
5) responsabile ufficio acquisti valuta offerta e se concorde, evade ordine
mediante fax o mail
Tecnogamma al fine di tutelarsi nei confronti dei fornitori richiede loro la conferma
dell’ordine soprattutto per quanto riguarda le condizioni contrattuali quali prezzo,
quantità, tempi di consegna; ciò significa che la conferma diventa «garanzia» del
rapporto instaurato.
1.2 Composizione Per quanto riguarda l’esercizio 2004, i fornitori sono stati classificati secondo le
seguenti macro categorie:
Tipologie di fornitura Italia Estero N. aziende %
Beni materiali 113 20 133 71
Lavorazioni conto terzi 13 1 14 8
Consulenze 13 4 17 9
137
Trasporti 12 2 14 8
Utenze 8 0 8 4
Totale 159 27 186 100
Nell’anno considerato sono stati movimentati fornitori per un totale di 186 di cui 159
italiani e 27 esteri.
0 20 40 60 80 100 120
N.AZIENDE
BENI MATERIALI
LAVORAZIONI CONTO TERZI
CONSULENZE
TRASPORTI
UTENZE
CATEGORIE FORNITORI
CATEGORIE FORNITORI ITALIA/ESTERO
ESTEROITALIA
Il 71% dei fornitori appartiene alla categoria «beni materiali» includendo in essa tutti
i fornitori coinvolti nel processo produttivo vero e proprio, cioè la realizzazione di
sistemi a tecnologia laser; in particolare forniscono componenti elettronici, ottici,
ecc., come più avanti elencato. Gli altri settori in termini di percentuale non sono
particolarmente rilevanti, ma sono comunque di importanza notevole perché
forniscono tutto ciò che è di supporto all’attività aziendale (ad esempio tra le utenze
ricordiamo compagnie telefoniche, ENEL, ecc., tra le consulenze gli avvocati, gli
studi commercialistici, ecc.).
Tecnogamma inoltre esternalizza anche alcune attività quali lavorazioni meccaniche,
realizzazione di cablaggi elettrici, quadri elettrici,ecc.
138
0
20
40
60
80
100
120
N.AZIENDE
ITALIA ESTERO
TIPOLOGIE DI FORNITURA ITALIA/ESTERO
BENI MATERIALI
LAVORAZIONI CONTOTERZI
CONSULENZE
TRASPORTI
UTENZE
I fornitori sono ubicati prevalentemente in Italia come vedremo in modo più
dettagliato in seguito, mentre per quanto riguarda i fornitori esteri, che sono un totale
di 27, 9 appartengono agli stati intracee (UK, Germania, Francia) mentre i rimanenti
agli stati extracee (Cina, Usa, Giappone).
In particolare il settore beni materiali è stato a sua volta suddiviso in:
Meccanica: componentistica varia (staffe,
viti…)
Elettronica: componentistica varia
(resistenze, memorie ram, diodi laser,
sensori…)
Elettrica: cavi, alimentatori, quadri,
trasformatori
Informatica: software, componenti per pc
Ottica: obiettivi ottici, filtri ottici, lenti
1.3 Ricaduta sul territorio
Settori Nord Centro Sud Totale
Beni materiali 104 8 1 113
Categorie N. aziende %
Meccanica 41 37
Elettronica 38 34
Elettrica 6 5
Informatica 11 10
Ottica 13 12
Cancelleria 3 3
Totale 113 100
139
Lavorazioni conto terzi 13 0 0 13
Consulenze 11 2 0 13
Trasporti 12 0 0 12
Utenze 4 4 0 8
Totale 144 14 1 159
% 90 9 1 100
Il grafico evidenzia la concentrazione dei fornitori al Nord d’Italia, mentre solo il
10% sono presenti al Sud e al Centro a dimostrazione del concetto che Tecnogamma
preferisce instaurare legami con fornitori locali. Le regioni settentrionali
maggiormente interessate sono il Veneto con 85 aziende su 144 e la Lombardia con
45 aziende sul totale. Le rimanenti regioni quali Piemonte, Liguria, Friuli Venezia
Giulia, Emilia Romagna e Trentino rappresentano il 14 % circa.
Più dettagliatamente il 71% delle aziende situate in Veneto sono ubicate in provincia
di Treviso, il 14% in provincia di Padova, il 7% in provincia di Vicenza e Venezia ed
infine l’1% in provincia di Verona.
1.4 Fatturato
Nell’anno di riferimento il fatturato complessivo per gli acquisti e i servizi ammonta
a Euro 1.335.624 suddiviso nelle seguenti tipologie di fornitura:
Tipologie di fornitura Fatturato
Beni materiali 713.569
Lavorazioni conto terzi 397.051
Consulenze 96.238
Trasporti 43.175
Utenze 85.591
Totale 1.335.624
140
0100.000200.000300.000400.000500.000600.000700.000800.000
Beni m
ater
iali
Lavo
razio
ni c/ter
ziCo
nsulen
zeTr
aspo
rti
Uten
ze
FATTURATO
fatturato in migliaia di EU
I primi 10 fornitori in termini di fatturato, di cui viene indicato il settore e non il
nome, rappresentano quasi il 50% della spesa totale.
E’ da notare che sebbene i fornitori di lavorazioni conto terzi sono in numero limitato
rispetto ai fornitori di produzione, li ritroviamo comunque ai primi posti; ciò
significa che l’importo delle singole forniture è consistente.
Al contrario invece, il fatturato del primo fornitore in assoluto, fornitore lombardo di
elettronica, deriva dalla somma di molti ordini (51) i cui singoli importi non sono
rilevanti.
Di seguito il grafico con «i primi 10 fornitori»: (non vengono indicati i nomi delle
aziende per rispettare la legge della privacy)
020.00040.00060.00080.000
100.000120.000140.000
ELETTRONIC
A
LAVOR. C
/3
LAVOR. C
/3
LAVOR. C
/3
ELETTRONIC
A
UTENZE
ELETTRONIC
A
ELETTRONIC
A
CONSULENZE
LAVOR. C
/3
TIPOLOGIA DEI PRIMI 10 FORNITORI
FATTURATO
141
1.5 Condizioni negoziali
L’azienda non svolge un’analisi dettagliata sul rapporto qualità, prezzo, tempi di
consegna come pure il prezzo deriva da decisioni negoziate con il fornitore.
1.5.1 Dilazioni di pagamento
La
maggioranza
delle aziende
vengono
pagate a 30
giorni (le
consulenze di
solito 30
giorni) o 60
giorni mentre i pagamenti esteri vengono effettuati prevalentemente subito mediante
carte di credito o bonifico.
DILAZIONI DI PAGAMENTO
305 1
82
1 1
57
4 50
20406080
100
IMMEDIATO
15 G
G20
GG
30 G
G45
GG
30/60
GG
60 G
G
60/90
GG
90 G
G
MODALITA' DI PAGAMENTO
N. D
I AZI
END
E
N. DI AZIENDE
1.5.2 Tempi medi di consegna
Dall’analisi effettuata emerge che il
tempo medio di consegna dei fornitori
è di 16 giorni (16,1).
Settore Giorni di consegna
Elettronica 19,3
Informatica 17,4
Meccanica 10,7
Quadri elettrici 5,6
Ottica 33
Cancelleria 1
Senza nome 9,3
Media 16,1
142
Come si può notare le categorie considerate sono diverse da quelle fino ad ora
utilizzate; in particolare la categoria elettrica è stata inclusa in quella elettronica
poiché poco rilevante mentre è stata aggiunta la categoria quadri elettrici, fornitura
molto consistente per l’anno in corso.
La categoria «senza nome» invece fa riferimento agli ordini per i quali non è stato
possibile definire il settore di appartenenza. Da ciò emerge che un problema
riscontrato è la difficoltà nella suddivisione degli ordini secondo il settore di
appartenenza.
Ai fini dell’analisi non sono stati considerati tutti gli ordini effettuati nell’anno 2004,
bensì sono stati presi a riferimento circa il 70% dei dati. I criteri adottati per la
selezione sono i seguenti:
− ritardi ammissibili degli ordini fino a 160 giorni
− forniture anticipate fino a max 19 giorni
− ordini senza data di arrivo o con errori nella digitazione dei mesi (ad
esempio il mese dell’ordine è gennaio e invece si scrive maggio, oppure
l’anno di riferimento è 2004 mentre nei primi giorni dell’anno si continua
a scrivere 2003)non sono stati considerati anche se disponibili.
1.6 Contenzioso e litigiosità
Attualmente non ci sono situazioni di contenzioso in essere con i fornitori. In diversi
anni di attività, Tecnogamma solo rarissime volte si è trovata di fronte a contenziosi
che si sono sempre risolti in maniera benevola, con accordi tra le parti, in linea con la
politica aziendale.
1.7 Sistemi di qualità, controllo e certificazione
1.7.1 Studio sulla qualità della prestazione dei fornitori
Tecnogamma nell’ambito del progetto di certificazione della qualità ha intrapreso un
lavoro di analisi dei fornitori dal punto di vista della qualità della prestazione.
143
In particolare sono stati analizzati i fornitori classificati come “abituali” ossia che
rispondono ai seguenti requisiti:
− quantità ordini superiore a 2;
− forniture effettuate con continuità dal 2002;
e pertanto possono essere considerati fornitori abituali.
Lo scopo dell’attività è di definire gli obiettivi, i mezzi, i modi e le responsabilità per
garantire un servizio di approvvigionamenti efficiente. Tale servizio riguarda:
− la scelta (qualifica) e la valutazione dei fornitori;
− i criteri di accettazione e di verifica dei prodotti;
− la gestione degli ordini di acquisto.
La qualifica è il riconoscimento ufficiale e formale da parte di Tecnogamma, che il
fornitore è organizzato e strutturato tale da garantire la fornitura di prodotti e servizi
conformi ai requisiti contrattuali e di Qualità richiesti.
I fornitori sono qualificati attraverso una valutazione preventiva e una valutazione
consuntiva in primari (dai quali ci si approvvigiona frequentemente), secondari
(fornitori di riserva) e da eliminare (da eliminare definitivamente).
La valutazione consuntiva rileva il grado di soddisfazione dell’azienda per i servizi
ed i prodotti forniti in base ai seguenti parametri:
− qualità dell’oggetto della fornitura;
− condizioni di fornitura (imballo e trasporto);
− qualità del servizio (puntualità, flessibilità, capacità di far fronte a
variazioni di programma, tempestività nella soluzione di eventuali
problemi).
Il primo parametro è oggettivato mediante l’analisi dei risultati delle Non
Conformità, il secondo è caratterizzato dalla confezione in quanto la qualità e
l’affidabilità di questa implicano la garanzia del mantenimento della qualità del
prodotto contenuto durante il trasporto e la movimentazione dei prodotti. Inoltre si
devono considerare la conformità alle specifiche di imballo. Infine la qualità del
servizio è composto da tre fattori:
1) puntualità nelle consegne: corrispondenza fra data richiesta e data effettiva di
consegna;
2) flessibilità: capacità di accogliere le richieste del cliente;
144
3) tempestività: tempestività nel risolvere i problemi.
La valutazione di ognuno di questi parametri viene effettuata assegnando un
punteggio da 1 a 4. La valutazione finale consiste nella media pesata di tali
parametri.
Dall’analisi effettuata emerge che i fornitori soddisfano pienamente i requisiti, infatti
in media sono stati rilevati i seguenti punteggi (il max è 4):
− confezione: 3,9
− puntualità nelle consegne: 3,6
− flessibilità: 3,7
− tempestività: 3,6
Inoltre per confermare la validità dei fornitori è emerso che il 90% di essi effettua
forniture conformi alle richieste.
Infine è da notare che il numero delle consegne per quasi il 70% di essi è compreso
da tra 1 e 10 in un anno.
1.8 Impegni per il futuro
Per il futuro non sono stati presi impegni o accordi particolari; solamente alcuni
fornitori sono stati avvisati che nel breve periodo incrementeranno gli ordini,
pertanto è stato richiesto loro di organizzarsi al meglio per poter gestire la
situazione.Inoltre per far fronte allo sviluppo futuro dell’azienda è stata investita
un’ingente somma di denaro per l’acquisto di un sistema di pianificazione integrata
delle risorse denominato ERP.
145
CAPITOLO 3
CASI AZIENDALI
Il terzo capitolo presenta due aziende che hanno intrapreso la politica della Rsi,
evidenziando quali sono state le azioni concrete, le motivazioni, i vantaggi derivanti
dall’introduzione del progetto. Con questo capitolo si vuole sostenere che la RSI non
deve rimanere un miraggio aziendale, perché non si conoscono i vantaggi concreti,
bensì deve essere compresa tra gli obiettivi principali aziendali.
Entrambe le organizzazioni di seguito analizzate erano presenti al convegno
promosso da Un industria intitolato «Le aziende responsabili sono più competitive»,
tenutosi a Ponzano Veneto il 5 maggio 2005. BOX MARCHE SPA Profilo aziendale
Azienda di Ancona, produce articoli cartotecnici (scatole, astucci, imballi) per settori
alimentare cosmetico, farmaceutico, casalinghi e piccoli elettrodomestici, etc. Ha un
fatturato di 10 milioni di Euro e un organico di 54 dipendenti. I suoi principali
stakeholder sono: personale, fornitori, finanziatori, azionisti, clienti, pubblica
amministrazione, comunità, territorio, ambiente.
Ha adottato le seguenti pratiche di CSR:
o rendicontazione sociale (bilancio sociale su standard GBS, CSR-SC, Q-RES);
o certificazione per la gestione della Sicurezza e Salute dei lavoratori (OHSAS
18001);
o certificazione responsabilità sociale (SA 8000);
o report ambientali interni;
o formazione del capitale intellettuale;
o informazione e coinvolgimento del personale;
o educazione al riciclaggio della carta;
o open house aziendali per clienti e fornitori;
o incontri periodici con finanziatori ed azionisti;
o filantropia;
146
Quali sono le motivazioni che hanno condotto Box Marche SPA ad una scelta
strategica orientata alla Responsabilità Sociale d’Impresa?
Le azioni di CSR sono volute dal vertice aziendale in quanto riconosciute come
valore sia per l’azienda sia per uno sviluppo economico responsabile e sostenibile.
Le azioni concrete intraprese da Box Marche SPA per una gestione socialmente
responsabile:
Box Marche, in coerenza ai principi etici con cui ha scelto di operare, adotta un
sistema di gestione responsabile che ha effetti positivi sul piano economico ma anche
sociale, etico ed ambientale. Le azioni di responsabilità economica e sociale finora
intraprese dall’azienda sono state indirizzate ai seguenti stakeholder:
1. Dipendenti: coinvolgimento del personale alla mission e alla vision aziendale;
formazione del personale su tematiche ambientali e di responsabilità sociale,
crescita intellettuale mediante erogazione di corsi; sviluppo della
partecipazione agli obiettivi aziendali mediante costante informazione sui
risultati raggiunti dall’azienda (lettera aziendale di fine anno); collaborazioni
e riconoscimenti ai dipendenti (premi, borse di studio per figli, studenti, gite
aziendali, ecc.); sistema di incentivazione economica per tutto il personale a
raggiungimento risultati (SKILL PASSPORT); monitoraggio e cura del clima
aziendale (filosofia del sorriso, grafico del piacere, indagini sulla
soddisfazione dei dipendenti); adeguamento alle norme SA 8000;
adeguamento alle norme sulla sicurezza negli ambienti di lavoro.
2. Clienti-Fornitori-Finanziatori: organizzazione di incontri e canali di dialogo
per rendere massima la partecipazione con tali stakeholder in modo da
soddisfare le reciproche aspettative nel modo più vantaggioso possibile.
3. Azionisti: costante informazione sulla gestione aziendale oltre quella prevista
per legge (presentazione del budget, dei piani triennali, del bilancio
semestrale, ecc.) mediante canali di comunicazione formali (assemblee) e
informali.
4. Ambiente: azioni di educazione ambientale come incontri con scuole ed
istituti, creazione di prodotti ecologici per lo sviluppo della raccolta
differenziata dei rifiuti (premio Ecobox).
147
5. Comunità e territorio: le azioni verso la comunità locale e la valorizzazione
del territorio rappresentano una inclinazione naturale dell’azienda. Corinaldo
(il paese dove è ubicata l’azienda) e la sua gente vengono riconosciuti da
Boxmarche come ricchezza “aziendale” intangibile.
Quali sono stati i vantaggi
Il sistema di gestione responsabile raggiunto da Box Marche ha permesso un più
elevato livello di qualità del prodotto e del processo di produzione. I numerosi
investimenti verso pratiche di CSR e l’introduzione del sistema di incentivazione
«SKILL PASSPORT» hanno portato interessanti risultati in termini di produttività.
Ulteriori vantaggi sono stati ottenuti in termini di clima aziendale e livelli di
soddisfazione personale. L’azienda ha consolidato la propria reputazione e
competitività nel mercato.
A quali persone hanno comunicato il loro successo e come l’hanno fatto:
Boxmarche comunica i risultati raggiunti ai propri stakeholder mediante:
o sito internet dove è possibile trovare iniziative ed ulteriori informazioni;
o il periodico bimestrale Next idee & packaging, luogo di dialogo e cultura;
o questionari allegati al bilancio sociale per monitorare i suggerimenti e la
soddisfazione degli stakeholder;
o strumenti di comunicazione interna per il personale;
o organizzazione di incontri con categorie di stakeholder (banche, azionisti,
fornitori, clienti);
o organizzazione di forum aperti al pubblico;
o convegni ed eventi di convivialità;
o il bilancio sociale 2003 è stato presentato nel corso di un convegno cui hanno
partecipato relatori esterni ed esperti sul tema della responsabilità sociale.
SABAF SPA
Profilo aziendale
Azienda bresciana, produce componenti per le cucine a gas. La società, quotata in
borsa dal 1998 e nel segmento STAR dal 2001, ha un fatturato di 120 milioni di Euro
148
e un organico di 500 collaboratori. Anche nel 2004 Sabaf ha confermato una robusta
crescita organica (fatturato +10%) e ottimi livelli di redditività. Fondata dalla
famiglia Saleri, tuttora azionista di maggioranza, è giunta alla seconda generazione
ed è gestita da un team di manager esterni alla proprietà, guidato da Angelo
Bettinzoli, in Sabaf da 35 anni.
Che cosa è la Responsabilità Sociale di Impresa per Sabaf e quali sono le
motivazioni che hanno condotto ad una scelta strategica ad essa orientata.
In Sabaf la coscienza della responsabilità verso il mondo esterno si è manifestata nel
percorso di crescita, culturale e dimensionale, degli ultimi anni. Ne sono l’esempio la
scelta del modello manageriale che ha conferito un’ampia delega e responsabilità a
manager esterni alla proprietà, la decisione di quotarsi in Borsa, e di conseguenza, la
chiara esplicitazione degli obiettivi aziendali e la piena e convinta adesione a principi
di trasparenza nella gestione. Al di sopra di tutto ciò, comunque, rimane come valore
originario e quindi come criterio fondamentale di ogni scelta la «Persona»: da questo
deriva una visione imprenditoriale incentrata sulla piena valorizzazione del
patrimonio umano, il fattore di successo più profondo. Un orientamento strategico
consapevole delle dimensioni sociale ed ambientale del business ha portato Sabaf a
coniugare le scelte e i risultati economici con i valori etici, mediante il superamento
del capitalismo familiare, a favore di una logica manageriale orientata non solo alla
creazione di valore, ma anche al rispetto dei valori. L’impegno dell’Alta direzione è
stato formalizzato assegnando al Consiglio di Amministrazione specifiche
competenze nella definizione delle politiche di Responsabilità Sociale di Sabaf.
Inoltre, tra le prime società in Italia, Sabaf fa nominato un membro indipendente del
Consiglio di Amministrazione con esperienze professionali in materia di
responsabilità sociale. L’azienda ha così accettato la sfida della costruzione di una
sostenibilità duratura nel tempo come l’unica capace di generare benefici per la
collettività.
Le azioni concrete intraprese dalla Sabaf per una gestione socialmente responsabile:
L’obiettivo del percorso di gestione socialmente responsabile in essere è esplicitato
nella Carta Valori: ricomporre i principi della gestione economica con l’etica fondata
149
sulla Centralità della Persona, nella convinzione che le scelte socialmente corrette
siano anche le scelte economicamente vincenti. Tale obiettivo è vissuto in Sabaf
come la condizione indispensabile per la crescita sostenibile dell’impresa nel lungo
periodo. Per tramutare in scelte di intervento ed attività gestionali i valori ed i
principi dello sviluppo sostenibile, l’azienda ha applicato un Processo di Gestione
Responsabile per lo Sviluppo Sostenibile – ProGress – che, attraverso una
,metodologia unificata, armonizza gli approcci gestionali esistenti in un unico
processo di gestione responsabile orientato all’applicazione di percorsi di eccellenza.
o condivisione dei valori, della missione e dei principi di sostenibilità
economica, sociale ed ambientale;
o adozione di un processo do formazione-intervento, in grado di implementare
le azioni di miglioramento attraverso progetti interfunzionali, che
coinvolgono i dipendenti;
o elaborazione di un sistema di controllo interno, capace di monitorare sia il
raggiungimento degli obiettivi predefiniti, sia gli eventuali rischi etici, nonché
di verificare l’attuazione degli impegni verso gli stakeholder;
o definizione di key-indicator, capaci di monitorare le prestazioni economiche,
sociali e ambientali;
o adozione di un sistema di rendicontazione chiaro e completo, per informare
efficacemente gli stakeholder;
o definizione di un sistema de rilevazione, per condividere e definire insieme
agli stakeholdr il percorso di miglioramento da attuare.
150
CONCLUSIONE Nelle sezioni precedenti dell’elaborato è stata analizzata l’etica d’impresa tenendo
separati i concetti teorici dall’indagine campionaria. Uno degli obiettivi su cui si è
basata la tesi è il confronto delle due sezioni, la prima teorica e l’altra pratica,
studiando eventuali differenze o analogie.
L’etica d’impresa, in particolare l’etica, che ha per oggetto la condotta dell’uomo e i
criteri in base ai quali si valutano i comportamenti e le scelte, è un concetto che si sta
sviluppando negli ultimi anni, di cui la maggioranza delle aziende è a conoscenza.
Esse, infatti, ritengono importante considerare la morale, sinonimo di etica, come
principio guida della vita aziendale, in controtendenza con le teorie «classiche-
neoclassiche». L’etica d’impresa sviluppa il modo in cui le persone si comportano
all’interno del mondo degli affari dando rilevanza notevole «al come» sono svolte le
attività. Ecco allora che l’obiettivo si sposta dal semplice conseguimento del profitto
ad un obiettivo più specifico, che considera il processo mediante il quale si raggiunge
il risultato finale.
Valutare l’etica in azienda non significa mettere il profitto in secondo piano,
altrimenti non avrebbe senso l’esistenza dell’azienda stessa; però esso non rimane il
principio assoluto e unico su cui si basano i comportamenti dell’imprenditore. In
realtà, le aziende considerano il conseguimento dell’utile come l’obiettivo principale
ma ad esso associano altri scopi, che possiamo definire etici. In questo modo la loro
visione si orienta in un futuro verso la politica della «Responsabilità Sociale
d’Impresa»(RSI).
In generale, tuttavia, si sottolinea la costante separazione tra la riflessione sulla
responsabilità sociale e quella di etica degli affari: l’una rivolta agli obblighi sociali
dell’impresa al di fuori della sua attività economica, l’altra tesa a definire le basi
morali dell’attività e delle operazioni più proprie delle organizzazioni produttive.
I fini etici sono indirizzati soprattutto alle risorse umane presenti in azienda e si
esplicano principalmente nel rispetto della persona o in investimenti specifici per lo
stakeholder stesso. Inoltre, particolare rilevanza viene data alla solidarietà come fine
sociale.
151
Adottare comportamenti etici non significa solo in senso stretto rispettare le leggi
dello stato o essere onesti con sé stessi e con gli altri, ma anche avere cura delle
generazioni future ponendo attenzione all’impatto delle proprie operazioni aziendali
(concezione teleologica), promuovendo il «bene comune», concetto su cui si basa la
RSI.
Ogni imprenditore può essere ispirato da valori diversi che non necessariamente
devono essere religiosi e che possono dipendere dalla propria formazione e cultura.
Si potrà parlare di presa di coscienza interiore degli argomenti quando verrà a
sfumare la demarcazione tra imprenditore ispirato a principi e valori vicini alla
morale cristiana e imprenditore estraneo.
E’ necessario che gli imprenditori riflettano attentamente su questo aspetto etico
della loro vita personale e dei propri collaboratori, ai vari livelli e nelle varie aree
funzionali, nella consapevolezza che la loro impresa non può vivere senza una
«coscienza morale»; responsabilità morale che, secondo gli imprenditori intervistati
viene attribuita all’impresa e non alle singole persone, poiché essa è costituita da
individui.
Il problema che rimane in sospeso, è la difficoltà nel valutare cosa sia etico e cosa
non lo sia, cioè non esiste una decisione «giusta» ma esiste comunque una decisione
presa responsabilmente; inoltre non si ha la certezza che siano presenti davvero una
pluralità di motivazioni o se sia l’egoismo soltanto che dirige gli esseri umani.
L’imprenditore non ha a disposizione un decalogo sul quale basarsi, può comunque
definire una carta di valori da condividere con gli altri collaboratori. A tale proposito
è emerso chiaramente dall’indagine che i valori ispiratori della gestione sono: il
rispetto del prossimo e della dignità umana, la correttezza, l’onestà, la giustizia, la
fiducia ed infine la tutela ambientale e delle risorse. Quest’ultimi orientano gli
atteggiamenti e i comportamenti dei soggetti operanti all’interno e all’esterno
dell’impresa e si possono ricondurre al filone della Business Ethics sviluppatosi negli
Stati Uniti.
L’applicazione di tali principi etici generali nella vita concreta delle imprese spesso
si presenta incerta, soprattutto perché i soggetti chiamati a decidere hanno dei doveri
morali nei confronti di una pluralità di persone, dalle attese differenziate e spesso in
conflitto tra di loro. Come sostengono alcuni studiosi l’interiorizzazione di tali valori,
152
nella realtà aziendale, rappresenta una precondizione per l’affermarsi di valori
d’impresa funzionali al successo duraturo dell’impresa.
Il dubbio che emerge in continuazione analizzando le aziende è che integrare
obiettivi economici e obiettivi etici o, se si scende nel particolare, investire
nell’ambito del sociale, potrebbe comportare minori utili e la disponibilità di minori
risorse finanziarie per l’effettuazione di investimenti direttamente produttivi. Tale
obiezione è valida limitatamente al breve periodo, perché il progresso reddituale,
competitivo e sociale non si realizza istantaneamente, ma si dispiega nel tempo e, di
solito, in un tempo non breve.
Si è voluto sostenere, a differenza di altre impostazioni teoriche, che l’impresa pur
mantenendo come base insostituibile ed indispensabile la logica economica, affianca
a quest’ultima un’attenzione verso il sociale adottando quindi una teoria estensiva e
non riduttiva, secondo la quale l’obiettivo che caratterizza l’attività dell’impresa deve
essere necessariamente ispirato a criteri economici. A tale proposito, l’analisi è stata
concentrata sull’«impegno sociale» delle aziende, evidenziando che la maggioranza
investe in iniziative di carattere sociale, cioè a sostegno della cultura, dell’ambiente e
della solidarietà e in altri ambiti simili. In particolare, le aziende finanziano le
iniziative di carattere sociale contribuendo direttamente alla realizzazione di un
progetto, acquistando o donando prodotti, materiali o strumenti. Le motivazioni che
spingono le stesse ad intraprendere determinate attività sono quasi sempre interiori,
cioè derivano dai valori in cui credono, che poche volte sono chiaramente definiti e
di conseguenza non noti al personale aziendale. Tra le aziende intervistate però, è
stato constatato un certo grado di incertezza nel definire quali siano questi valori che
si affiancano alla solidarietà, rilevando invece che gli interventi sono efficaci per
ottenere un ritorno in termini di immagine economica. Ecco allora che gli
investimenti sociali, da distinguere con la beneficenza, comportano sicuramente dei
vantaggi quali ad esempio, l’utilizzo del progetto per coinvolgere il personale
aziendale oltre al riscontro positivo appena citato.
Un aspetto da sottolineare è che l’impegno non deve essere confuso con la RSI,
intendendo per impegno la base di partenza per intraprendere la politica. Le imprese
intervistate anche se non hanno dichiarato di aver adottato la RSI, sono comunque
sensibili agli stakeholder a cui essa fa riferimento, ad esempio il personale o la
153
comunità territoriale. Molte volte le aziende negano o si creano dei preconcetti sulla
RSI solo perché pensano che adottare il progetto significhi certificarsi SA 8000
(Standard Accountability), invece involontariamente stanno già attuando iniziative
inerenti al tema (si veda attività anti-inquinamento). Predisporre il codice etico,
redigere il bilancio sociale, certificarsi, ecc., sono tutti strumenti per adottare la RSI
ma non l’oggetto.
Ritornando ad uno degli obiettivi della tesi, cioè valutare il grado di conoscenza del
tema della RSI nelle aziende trevigiane, è stato rilevato che parte del campione si
discosta dalle statistiche nazionali. A queste aziende è stato somministrato il
questionario durante conferenze sulla RSI promosse da Unindustria, di conseguenza
conoscevano la tematica. Le altre aziende del campione invece, del tutto estranee alle
iniziative, che rappresentano la maggioranza delle aziende presenti nel territorio, non
ne avevano mai sentito parlare. I dati si possono confrontare con la ricerca svolta da
Unioncamere, nell’ambito del Progetto CSR (Corporate Social Responsability) del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dalla quale risulta statisticamente che,
nella fascia di aziende con 1-19 addetti, solo il 10-15% delle stesse ha conoscenza
delle tematiche relative alla RSI. Secondo il Censimento Intermedio
dell’Unindustria, le imprese fino a 19 addetti rappresentano oltre il 90% delle
Imprese italiane.
In particolare questa tipologia di imprese, rappresentando la configurazione delle
aziende presenti nel Nord-Est, è stata oggetto della mia ricerca. I primi ostacoli
affrontati all’inizio dell’indagine sono state le reazioni al questionario: la RSI è solo
«aria fritta»; un modo per far cessare l’attività se l’azienda si dedicasse solo al
sociale (concetti che anni fa erano sostenuti anche da studiosi quali ad esempio M.
Friedman); è una inutile perdita di tempo; «attività lussuose» solo per le aziende che
hanno i mezzi per permettersele, ecc. Frederick W.C84. definirebbe tale
comportamento un «atteggiamento passivo», secondo il quale le imprese rispondono
ai mutamenti ambientali resistendo il più possibile, chiudendosi «a riccio». Se ne
deduce che le conoscenze sono limitate o ancora peggio manca la sensibilità
aziendale (dato confermato dal numero di risposte ricevute).
84FREDERICK W.C, Business and Society, McGraw-hill, New York, 1988
154
La scarsità delle risposte ottenute è uno dei motivi che attribuisce al campione di
aziende analizzato il carattere della non rappresentatività della provincia di Treviso.
Le aziende più disponibili, che secondo Frederick invece hanno un atteggiamento
interattivo, sono state aziende dotate di una struttura aziendale non necessariamente
di grandi dimensioni, dove ogni responsabile ha il sua mansione e può permettersi di
gestire il tempo e i compiti in modo autonomo; di conseguenza, avrebbero la
possibilità di dedicare risorse e persone ad attività che per l’azienda sono secondarie
ma che sicuramente portano al successo e allo sviluppo.
Le aziende anche se non adottano la RSI ritrovano comunque in esse i principi che
stanno alla base di tale politica: la reputazione, il consenso, la fiducia delle diverse
categorie di stakeholder, il valore della conoscenza e la capacità di innovare, la
valorizzazione delle risorse umane e il coinvolgimento nella vita aziendale ed infine
la disponibilità a contribuire al benessere della comunità.
Essere responsabili non significa condurre attività eroiche bensì «tenere conto delle
conseguenze delle proprie azioni ed essere disposti a pagare il conto delle proprie
azioni» come diceva Max Weber. Il primo dovere aziendale è proprio quello di non
mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza dell’umanità sulla terra,
assumendosi volontariamente una obbligazione sociale nei confronti della
collettività.
Uno dei caratteri fondamentali della RSI è la volontarietà delle iniziative come
previsto nel libro verde della Commissione Europea del luglio 2001, che definisce
RSI «l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni
sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti
interessate».
Le aziende intervistate, alla domanda che chiedeva di esprimere il concetto di RSI,
non hanno evidenziato il requisito della volontarietà, ma hanno dato definizioni
molto esaurienti, sottolineando l’attenzione verso il sociale e le problematiche
ambientali.
La volontarietà comporta che il risultato finale, cioè l’adozione delle politiche, derivi
da un processo graduale di maturazione e di interiorizzazione dei concetti, prendendo
le decisioni con convinzione e non per costrizione.
155
Tale affermazione viene dimostrata anche dagli imprenditori, i quali sono disposti ad
introdurre la RSI in azienda indipendentemente da contributi, incentivi fiscali, o
agevolazioni erogate dallo stato o da altri enti preposti, ritenute soluzioni paradossali
con il contenuto etico dell’operazione. Il denaro, infatti, può essere utile se c’è
cultura e conoscenza, mentre perde la sua efficacia se viene inteso come strumento
per ottenere un processo duraturo e credibile.
Gli imprenditori sono prima di tutto interessati ai vantaggi economici che ricavano e
solo in un secondo momento riflettono sull’importanza della RSI. A lavoro ultimato,
supportata dagli studi in materia e da consulenze professionali, mi ritrovo a
condividere l’opinione dello studioso Hinna85 secondo il quale la RSI comporta:
o favorire atteggiamenti cooperativi da parte dei collaboratori;
o migliorare la qualità delle relazioni con le organizzazioni sindacali;
o migliorare la capacità dell’impresa di attrarre le risorse umane migliori;
o aumentare la fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti dell’impresa
stessa;
o migliorare la capacità di attrarre nuovi investitori;
o aumentare l’affidabilità dell’impresa agli occhi dei fornitori;
o migliorare le relazioni dell’impresa con la comunità circostante;
o promuovere lo sviluppo della cultura d’impresa e aumentare l’accettabilità
dell’impresa da parte dei rappresentanti di paesi in via di sviluppo;
o migliorare la reputazione dell’impresa;
o contribuire al benessere generale, promovendo lo sviluppo sostenibile.
Tutte queste ragioni costituiscono una «giustificazione economica» del concetto di
«Responsabilità Sociale di impresa», nel senso che esse forniscono una spiegazione
in termini di scelta razionale dei vantaggi connessi all’adozione di comportamenti
improntati sul rispetto di un nucleo di valori.
Il ragionamento tradizionale secondo cui il perseguimento di politiche socialmente
responsabili comporta solo dei costi addizionali, viene di fatto capovolto. Certo per
l’impresa significa investire denaro, tempo e risorse che, molto spesso, non sono
competenti e per tale motivo devono essere formate. Dall’analisi si rileva che uno dei
motivi principali ostacolanti ad esempio la redazione del bilancio sociale è proprio la
85 HINNA L., (a cura di), op. cit.
156
mancanza di personale specializzato o la mancanza di personale che possa dedicarsi
alla rendicontazione. Nelle poche aziende intervistate che redigono il documento, il
compito viene affidato al personale amministrativo o a stagisti, a dimostrazione
dell’importanza esigua che assume l’argomento; inoltre in azienda non è presente il
comitato etico, il quale avrebbe il compito di controllare l’operato della stessa. Le
aziende non ritengono necessaria la funzione svolta da un organismo terzo di
certificazione della «qualità morale» perché considerato un onere aggiuntivo.
L’incoerenza tra comportamenti di impresa e valori ritenuti rilevanti per la
collettività (rispetto dei diritti umani, rispetto dell’ambiente) viene sanzionata dal
mercato in termini di minori vendite, perdita di immagine e di attrattività.
L’impresa del nuovo millennio deve rispondere ad esigenze diverse rispetto a quelle
tradizionalmente richieste, in particolare, maggiore attenzione viene riservata agli
stakeholder. Si è passati alla domanda di maggiore trasparenza e affidabilità delle
informazioni per poter valutare il grado di soddisfazione delle aspettative dei diversi
portatori di interesse. All’impresa viene oggi chiesto ciò che un tempo sarebbe stato
considerato impossibile, cioè giustificarsi sulle operazioni aziendali. Di conseguenza,
la trasparenza non deve essere considerata un limite per lo svolgimento delle attività,
bensì deve rappresentare una delle condizioni da attuare affinché l’azienda cambi
modo di operare. Trasparenza è infatti, sinonimo di correttezza con cui avviene la
comunicazione interna ed esterna dell’azienda.
Mediante il bilancio sociale, l’azienda potrebbe risolvere in parte il problema
dell’asimmetria informativa, rappresentando il documento la «fotografia»
dell’impresa. Dall’indagine, però, è emerso che una percentuale insignificante redige
il bilancio sociale. In attesa di progressi futuri, all’impresa rimane il dovere di
dichiarare il «vero» senza il riscontro di una rilevazione oggettiva.
Oltre alla trasparenza, ci sono altri due principi alla base dell’etica aziendale:
1. l’equità, cioè la coerenza con cui l’impresa stessa valorizza le competenze e
le risorse che ha a disposizione. Ad esempio, può essere indicato un livello di
equilibrio per la programmazione di investimenti con il fine di ridurre i costi,
aumentare qualità e migliorare le condizioni lavorative;
2. la reciprocità che esprime, da un lato l’esigenza di vedere tutti i dipendenti
sempre più coinvolti nelle scelte aziendali e favorire in questo modo il senso
157
di appartenenza e identificazione; dall’altro il bisogno di coinvolgere
ulteriormente gli acquirenti nella progettazione dei propri prodotti, in modo
da diventare parte attiva di relazioni più strutturate.
Quest’ultimo punto è particolarmente importante perché mette in risalto lo
stakeholder, al quale vengono rivolte maggiori attenzioni rispetto agli altri (fornitori,
clienti, comunità di riferimento, stato) e cioè le risorse umane. Queste ultime devono
sentirsi sempre di più parte integrante dell’azienda e non semplici strumenti da
utilizzare per i processi aziendali; di conseguenza l’azienda deve favorire la
collaborazione e la motivazione, in modo tale da creare un clima favorevole. Il
personale, partecipando alle azioni di responsabilità messe in atto, instaura un
rapporto di fiducia con l’organizzazione, interessata non solo ai fini economici ma
anche al benessere della collettività.
Pertanto, adottare comportamenti socialmente responsabili significa ottenere sia
vantaggi concreti in termini economici sia risultati che non si possono misurare.
In un clima di sfiducia, gli sforzi sinceri e trasparenti, che l’impresa può adottare per
illustrare i comportamenti socialmente responsabili, possono essere fraintesi e
interpretati come una pura operazione di immagine o un tentativo di manipolare a
proprio favore il dialogo con gli stakeholder.
Molto spesso la RSI viene definita come «un’operazione di facciata», cioè
un’operazione per dare ai terzi un’immagine dell’azienda che non è quella reale. Le
aziende intervistate non sono d’accordo su questa idea, probabilmente perché hanno
ricevuto informazioni adeguate e corrette.
Anche la reputazione (corporate reputation) è un’altra risorsa intangibile che riveste
importanza notevole, rappresentando una delle forze che incoraggiano l’azienda a
continuare e a migliorare. L’azienda cerca di creare un legame fiduciario oltre che
con le risorse umane anche con la comunità di riferimento, la quale è un ottimo
strumento per diffondere all’esterno l’immagine aziendale. Ma allora, come l’azienda
può guadagnarsi la fiducia? Dedicandosi al sociale, rifacendosi ai concetti esaminati
e indicati nel Libro Verde.
Un aspetto caratterizzante la RSI, che finora è stato solo accennato, riguarda la
necessità per l’azienda di fare riferimento non solo agli interessi informativi degli
azionisti, ma ad una vasta gamma di interlocutori che intrattengono con l’azienda
158
non solo rapporti economici finanziari. Tale evoluzione implica necessariamente
l’allargamento dell’accountability, dal punto vista delle informazioni da fornire:
nasce il bilancio sociale come strumento di «misura» dell’azione dell’impresa verso
tutti gli stakeholder legittimamente interessati, strumento che può anche servire come
verifica del grado di rispetto dei codici etici.
Per evitare di disperdersi in molti concetti, questi ultimi argomenti sono stati poco
approfonditi, tuttavia una sezione del questionario riguarda l’«accountability», in
particolare il bilancio sociale. Se fino ad ora si è sostenuto che la RSI non viene
ancora adottata dalle aziende trevigiane, pur essendone a conoscenza, il bilancio
sociale invece, oltre a non essere redatto, è anche poco noto.
Le aziende intervistate, infatti, hanno risposto di non aver ricevuto informazioni
adeguate o addirittura non sanno di cosa si tratti; inoltre continuano a sostenere che il
bilancio sociale rappresenta un onere aggiuntivo e pertanto inutile, convinzione che
impedisce di aprire gli orizzonti alla RSI. Per tale motivo, il questionario si
proponeva di far riflettere gli imprenditori sull’importanza dello stesso e sulle
motivazioni che dovrebbero indurli alla redazione. Di solito, si sente dire dalle
persone inesperte che, come la RSI è un argomento di moda o il «leit motiv» delle
aziende, così il bilancio sociale viene redatto per lo stesso motivo o per «esigenze e
spinte esterne», intendendo con quest’ultime ad esempio la necessità per l’impresa di
ricostruire la propria immagine deterioratasi in seguito a fatti di cronaca spiacevoli.
Fino a quando le aziende non saranno spinte da una motivazione interiore, fondata
sulla consapevolezza, la redazione risulta inutile e in controtendenza con il concetto
di RSI.
Le ragioni che sottostanno alla preparazione del bilancio sono molteplici, in primis,
come lo definisce lo studioso Hinna, esso rappresenta la «business card della
responsabilità sociale, un modo di comunicare i risultati ottenuti dalla società nel
campo della CSR» e un documento da affiancare al bilancio d’esercizio per una
maggiore trasparenza sul modo di operare dell’azienda.
Un consiglio che mi permetterei di dare alle imprese è di iniziare gradualmente
magari con la relazione sociale, tralasciando le altre parti quali l’«identità aziendale»
e la «produzione e distribuzione del valore aggiunto», così da alleggerire il lavoro e
in seguito integrare le sezioni rimanenti.
159
Dal bilancio sociale si ricavano informazioni qualitative che apparentemente
potrebbero sembrare insignificanti, invece permettono di dare all’esterno una
fotografia dettagliata dell’azienda. Si fa riferimento, ad esempio, per quanto riguarda
lo stakeholder risorse umane, alle informazioni concernenti la composizione del
personale, il turn-over, il tipo di formazione, ecc.
Anche il codice etico, guida al comportamento etico da parte dell’azienda, non è
molto diffuso tra le aziende interessate. Piuttosto, vengono create «carte valori»,
documenti più semplici, nei quali si definiscono appunto i valori in cui crede
l’azienda, da seguire per una corretta gestione.
La dichiarazione dei valori deve derivare da un graduale ed analitico processo di
interiorizzazione e divulgazione dei valori in azienda che, molto spesso invece, non
sono condivisi dal personale interno.
L’elaborato ha voluto fornire una panoramica dell’etica d’impresa non solo dal punto
di vista teorico, ma anche approfondendo i concetti attraverso le informazioni
ricevute dall’indagine e dal lavoro svolto durante lo stage. Gli obiettivi prefissi nella
fase iniziale sono stati raggiunti affrontando diverse difficoltà, specialmente per
quanto riguarda il questionario. A conclusione del lavoro posso ritenermi soddisfatta
dell’esperienza perché, oltre ad aver conosciuto molte persone del mondo del lavoro,
mi ha dato la possibilità di concretizzare quanto si studia nei testi scolastici.
Purtroppo le aziende non sono state sempre sensibili e disponibili, ma credo
comunque che anche per loro il questionario sia stato motivo di riflessione su
concetti molto spesso lasciati erroneamente in secondo piano.
La responsabilità sociale è un «chiodo» sul quale continuare a battere, fino a quando
le aziende non avranno capito l’importanza. Non credo siano sufficienti gli incentivi
monetari o le agevolazioni, bensì evidenziare i vantaggi economici derivanti
dall’applicazione e promuovere iniziative culturali e di formazione.
Per quanto riguarda i vantaggi in termini quantitativi il tema rimane ancora aperto e
può essere spunto per un ulteriore approfondimento.
Intanto è necessario continuare a lavorare per creare una solida base di conoscenza
sulla quale investire.
Probabilmente la fase attuale di crisi economica non è il periodo più adatto, come
evidenziato anche dagli imprenditori, per intraprendere questa strada; ciò nonostante
160
sono dell’opinione che l’azienda, per continuare a ottenere profitto, debba elevare la
qualità delle proprie prestazioni in modo tale da differenziarsi dalla concorrenza.
Investire nella RSI significa appunto dare solidità al marchio, elemento fondamentale
per il successo economico.
Riassumendo, i sei punti chiave per il futuro dell’impresa etica sono86:
1. Trasparenza e completezza nell’informazione. Soltanto in virtù di una
costante attività di reporting con appositi indicatori in puntuali bilanci sociali
e ambientali l’impresa è costretta a riflettere sulle procedure e quantificare in
termini operativi cosa intende per – e come lo pratica – sviluppo sostenibile.
2. Capacità dimostrata di misura delle politiche di sviluppo sostenibile. La
maggior parte dei manager sono giudicati sulla base di criteri
prevalentemente finanziari: ritorno sui capitali investiti, valore aggiunto per
gli azionisti. Sviluppo sostenibile e responsabilità sociale saranno realmente
integrati nella gestione quotidiana delle imprese soltanto quando registri,
documenti contabili e bilanci, classici strumenti di conoscenza e controllo dei
manager, comprenderanno, oltre il dato economico-finanziario, anche quello
sociale e ambientale.
3. La questione decisiva delle piccole e medie imprese. Esse costituiscono il 95
per cento del totale ed è solo in virtù di un loro concreto coinvolgimento che
sarà possibile vincere la battaglia per lo sviluppo sostenibile. Un primo passo
necessario deve essere fatto al proposito dalle multinazionali e dalle grandi
imprese, che devono esigere dai propri fornitori, affinché la politica dello
sviluppo sostenibile si diffonda effettivamente nel mondo delle imprese, di
essere in regola con certificati sociali e ambientali (ISO 14000 e Sa 8000).
4. Condividere i costi. Bisogna applicare senza remore il principio “chi inquina
paga”. Tale responsabilità appartiene innanzitutto ai governanti, ma riguarda
anche le imprese che non possono opporsi sistematicamente a qualsiasi forma
di tassazione e comprendere e condividere il principio secondo il quale “è
necessario attribuire alle tasse un valore non di penalità ma di investimento
collettivo”.
86 CHAVEAU A., ROSE’ J., L’entreprise responsable, Editions d’Organisation, Parigi, 2003
161
5. Priorità all’informazione e formazione del consumatore. Esempi e pratiche
sono in questo caso, e per fortuna, numerosi e crescenti. Occorre che le
industrie li moltiplichino.
6. Dare ai nuovi manager una formazione e strumenti in assenza dei quali
responsabilità sociale e sviluppo sostenibile non diventeranno mai pratiche
concrete. I corsi di Business ethics e di Corporate social responsabilità
devono diventare, per la formazione dei futuri manager, laboratori diffusi.
Quando parliamo di RSI e di etica negli affari, parliamo di futuro, di modelli di
sviluppo sostenibili: e per alcuni, siamo alle soglie di un nuovo rinascimento, per
altri è l’ultima occasione prima della catastrofe. Certo è che dobbiamo riflettere su
decenni di «industrializzazione selvaggia» e cominciare a lavorare per un futuro
diverso. Su tale convinzione si è basato tutto il mio lavoro…
162
APPENDICE
PROETICA
QUESTIONARIO
LA RESPONSABILITA’ SOCIALE DELLE IMPRESE
AGE MANAGEMENT Equal geografico fase I, Cod. 062
Con il presente Questionario intendo analizzare il grado di conoscenza delle aziende sul concetto di Responsabilità sociale d’impresa, politica che si sta sviluppando negli utimi anni. Essere socialemente responsabili significa andare oltre il semplice rispetto della normativa vigente, investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con i portatori di interesse. Ciò si traduce nell’adozione, a livello economico e culturale, di una poltica aziendale che sappia conciliare gli obiettivi economici con gli obiettivi sociali e ambienatali.
1. – ETICA ECONOMICA 11.. –– EETTIICCAA EECCOONNOOMMIICCAA
1. Ha mai sentito parlare di etica economica? Sì No
2. E’ d’accordo su questa frase: “lasciamo la morale ai filosofi, ai filantropi e politici, ma risparmiamo i manager, o al massimo teniamola buona per qualche stucchevole report annuale, comunque alla larga dalle nostre strategie operative”
Sì No In parte
3. Quali sono i veri obiettivi per un imprenditore? Ci possono essere fini “alternativi” dell’attività imprenditoriale? ___________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________ ___ 4. Secondo lei tali obiettivi “alternativi”, sono il frutto di un certo tipo di formazione culturale? Se sì, quale? _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________
5. Quali comportamenti dovrebbe tenere un imprenditore per rispettare i principi etici?
rispettare leggi dello stato
onestà con sé stesso e
con gli altri
ottenere successo in base alle proprie capacità (no “spintarelle”, conoscenze…)
altri (specificare) -________________________________________________
163
6. Orientamento all’etica potrebbe essere visto come orientamento alla qualità, un tipo di qualità particolare che non è sul prodotto o sul processo, ma sui valori ispiratori della gestione. Quali sono questi valori? ______________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________
7. Nella Sua azienda questi ultimi sono stati chiaramente definiti?
Sì No In parte
8. Il personale aziendale conosce qual’è il codice etico della Sua azienda? Sì No In parte
9. Se no, pensate di realizzare attività rivolte a definire il codice etico della Sua azienda o attività di formazione delle risorse umane sull’importanza dello stesso? _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________
10) Se invece è conosciuto, con quali mezzi lo comunicate?
materiale pubblicitario riunioni interne
comunicazioni informali altro (specificare)_________________________________
11) Secondo Lei esiste correlazione tra il rispetto delle leggi economiche e il rispetto della dignità umana?
_______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________
2. - IMPEGNO SOCIALE 1) Nel 2004 la Sua azienda ha investito in iniziative di carattere sociale, cioè a sostegno della cultura, dell’ambiente e della solidarietà o in altri ambiti simili? Sì No
2) Per quest’anno avete già previsto un budget da destinare al finanziamento di iniziative di carattere sociale? Sì No
3) Quali sono state le modalità d’intervento che la Sua azienda ha adottato per finanziare le iniziative di carattere sociale? (sono possibili più risposte) contributo economico diretto per la realizzazione del progetto raccolta fondi attraverso il coinvolgimento delle risorse
interne
contributo economico diretto per la realizzazione dell’attività e degli strumenti di diffusione e comunicazione
contributo per le campagne pubblicitarie e di informazione dell’ente beneficiario
realizzazione del progetto attraverso propri prodotti e servizi
acquisto/donazione di prodotti, materiali, strutture e strumenti
contributo creativo nell’ideazione del progetto di impegno sociale
erogazione economica a fine anno in sostituzione degli omaggi aziendali
altro (specificare) _____________________________________________________________________________________________
164
4) Quali sono i principali criteri adottati dalla Sua azienda nella scelta delle iniziative di finanziamento? (sono possibili più risposte) serietà/affidabilità dell’Associazione/Ente proponente rispondenza alla mission aziendale
validità e reale contributo sociale delle iniziative ritorno in termini di immagine esterna
legame con il territorio/ambito locale collegamento dell’iniziativa con le strategie commerciali
notorietà/immagine dell’Associazione/Ente proponente ritorno in termini di comunicazione interna
validità del piano di comunicazione dell’iniziativa rispondenza ad una linea di gruppo (se multinazionale
altro (specificare) _____________________________________________________________________________________________ 5) Secondo Lei, le aziende che finanziano queste attività sono sensibili a determinati valori, o l’erogazione di finanziamenti a volte viene fatta solo per accontentare l’associazione/ente richiedente? ________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________ 6) Se, secondo Lei sono sensibili ad alcuni valori, li potrebbe definire? ________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________ 7) La Sua azienda riceve troppe richieste di finanziamenti da parte di associazioni esterne? Sì No
8) Personalmente, come valuta la copertura stampa e TV relativa alle misure promosse dalle aziende nel sociale?
Insufficente-scarsa sufficiente buona
9) Qual’ è secondo la Sua azienda l’intervento più efficace in termini di ritorno d’immagine per l’azienda? (sono possibili più risposte) sponsorizzare eventi culturali e/o sportivi a scopo di raccolta di fondi finanziare direttamente associazioni non profit
finanziare strutture e servizi di carattere sociale realizzare campagne pubblicitarie a contenuto sociale
sostenere azioni umanitarie in favore dei bambini
intervenire sul territorio/ambito locale
finanziare interventi rivolti alla difesa ed al recupero ambientale restaurare un monumento
contribuire alla raccolta fondi per la lotta contro gravi malattie realizzare iniziative a favore dei dipendenti
finanziare borse di studio per la ricerca scientifica non interessa avere maggior visibilità
altro (specificare) _________________________________________________________________________________________________________ 10) Dovendo valutare i requisiti fondamentali di un buon progetto sociale, qual’è il livello d’importanza… …della rilevanza sociale dell’intervento bassa media elevata
….ritorno d’immagine su stampa e tv per l’azienda sponsor
bassa media elevata
165
….utilizzo del progetto per coinvolgere il personale dell’azienda
bassa media elevata
3. – CONCET O GENERALE DI RESPONSABIILIITAA’ SSOCIALE D’IMPRESA (RSI)
33.. –– CCOONNCCEETTTTTOO GGEENNEERRAALLEE DDII RREESSPPOONNSSAABBILLITTA’’ SOOCCIIAALLEE DD’’IIMMPPRREESSAA ((RRSSII))
1) Ha mai sentito parlare di Responsabilità sociale d’impresa? Sì No In parte
2) Se no, per quali motivi non è a conoscenza:
non ha mai ricevuto informazioni
informazioni ricevute sono imprecise, vaghe
ha ricevuto informazioni ma non le interessa
3) Se non le interessa, per quali motivi? (sono possibili più risposte)
la considera solamente un costo
mancanza di personale da dedicare
limitata esperienza nei confronti del pubblico
sono concetti applicabili solo alle grandi aziende
mancanza di risorse monetarie ridotta rilevanza dei problemi ecologici connessi
a problemi specifici
mancanza di tempo da dedicare vantaggi non sono
noti elevata burocrazia
4) Anche se non adotta questa politica, i seguenti valori si ritrovano nella Sua azienda?
• la reputazione • il consenso e la fiducia delle diverse categorie di stakeholder (portatori di interesse) • il valore della conoscenza e la capacità di innovare • la valorizzazione delle risorse umane e il loro coinvolgimento nella vita aziendale
• la disponibilità a contribuire al benessere della comunità
Sì No In parte
5) Considera RSI solo un’operazione di facciata? Sì No
6) Secondo Lei questi concetti sono troppo astratti, perciò non compatibili con la realtà? Sì No In
parte
7) Se invece è a conoscenza, saprebbe scrivere in poche parole di cosa si tratta? _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ 8) Quanto la seguente frase descrive la Sua azienda: “la responsabilità sociale rappresenta per la nostra azienda un obiettivo aziendale al pari degli obiettivi di mercato”
Poco Per niente Molto Abbastanza
9) Nei confronti di questo tema è:
scettico consapevole dell’importanza ma non interessato Interessato pronto ad
iniziare
166
10) Da quali fonti ha ricevuto informazioni?
mass-media consulenti aziendali esterni altro (specificare)_________________________________
work-shop studi personali
11) Un’impresa può avere una coscienza, o la responsabilità viene attribuita agli individui e non può essere estesa agli “individui astratti”, che sono le aziende? ______________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________
12) Quali potrebbero essere i meccanismi adottati da un’azienda per responsabilizzare gli individui?
incentivi ai dirigenti sistemi di controlli interni altro (specificare)_____________________________________
13) Qual è l’impatto umano delle proprie operazioni aziendali? ______________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________
14) Il rispetto verso le persone in quanto tali e non come nuovi strumenti dell’organizzazione è un aspetto centrale del concetto di responsabilità morale dell’azienda. Come vengono considerate le persone in azienda? _______________________________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ 15) Le piccole e medie imprese risentono in modo particolare della fiducia della comunità locale. La necessità di crearsi una buona reputazione è quindi molto sentita. Che peso attribuisce a questo valore? _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________
16) Ci sono settori più indicati o tipologie di aziende rispetto ad altre in cui RSI deve essere adottata? _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________
17) Questi concetti si possono realmente applicare nel nostro contesto imprenditoriale del nord-est? _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ 18) Secondo Lei, adottare una condotta socialmente responsabile produce ripercussioni sull’organizzazione aziendale? _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ 19) Secondo Lei, il personale interno quanto condivide le azioni di responsabilità sociale dell’impresa messe in atto dall’azienda?
poco - per niente abbastanza molto
20) Trasparenza e correttezza sono considerati due pilastri della responsabilità sociale d’impresa; secondo lei invece si possono ritenere due limiti? __________________________________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________________________________________
167
___________________________________________________________________________________________________________ 21) Secondo Lei, sarebbe necessaria la funzione svolta da un organismo terzo indipendente di certificazione della qualità morale di un’azienda o risulterebbe un onore aggiuntivo? ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________
22) Di solito i vostri interventi a favore dei collaboratori e della comunità sono realizzati su base personale e per vie non strutturate, non trovando così la possibilità di una rilevazione oggettiva?
Sì No In parte
23) Quali potrebbero essere le soluzioni da adottare affinché le aziende siano incentivate ad introdurre la politica della RSI nelle loro aziende? ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________ 24) Se alla Sua azienda venissero erogati incentivi monetari, fiscali, agevolazioni sarebbe disposto ad iniziare questo progetto? ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________
4.- BILANCIO SOCIALE 1) La Sua azienda redige annualmente tale documento? Sì NO
2) Se no, quali sono le motivazioni principali?
è solo uno strumento d’immagine e di moda mancanza personale specializzato
non è disposto a rendere conto delle sue decisioni aziendali ad altri collaboratori oltre che agli azionisti e ai finanziatori
è un onore aggiuntivo
non saprebbe come redigerlo perché non ha avuto informazioni adeguate non è a conoscenza di cosa si tratta
3) Se sì, a chi è affidato il compito:
personale interno all’azienda sia da personale interno che da consulenti esterni
società dI consulenza esterne altro (specificare)__________________________________________
4) Il bilancio d’esercizio non comunica e non rappresenta correttamente i fattori intangibili della gestione. Fattori che, però, sempre più spesso decretano il successo dell’impresa. Esso viene allora integrato con il bilancio sociale. Queste potrebbero essere le motivazioni della redazione di un bilancio sociale: redazione “per moda” redazione “per esigenze e spinte esterne” (recupero di immagine a seguito di fatti ed episodi di cronaca, preparazione alla (quotazione in borsa…) redazione “per presa di coscienza” E’ d’accordo su tali motivazioni? Ne aggiungerebbe altre? ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________ ___________________________________________________________________________________________________________
168
5) Una rendicontazione di carattere strettamente economico-contabile comunica una serie di valori che possono essere percepiti solo dai portatori di interessi economici, tagliando fuori tutti gli altri “portatori di interessi” (clienti, fornitori, comunità sociale, ecc). Secondo lei, se avete già redatto il bilancio sociale o sapete di cosa si tratta, esso riesce a colmare questa lacuna?
Sì No In parte
NOTE SUL QUESTIONARIO: troppe domande domande difficili termini usati difficili non ci sono obiezioni altro (specificare)-___________________________________
Per l’Azienda
Timbro e firma
nota sulla privacy per le garanzie di cui al DLGS 196/03
Si è informati che i dati previsti dal presente questionario sono raccolti a puro scopo statistico e verranno usati per definire il problema della Responsabilità Sociale delle Imprese, rilevare in modo obiettivo e documentato le azioni intraprese, accrescere il grado di consapevolezza delle imprese sulle tematiche sociali, ambientali e di sostenibilità (Social Statement), agire in coerenza con le linee operative del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con le garanzie di cui al DLGS 196/03 B. Il responsabile del trattamento e della elaborazione è la laureanda Zottarel Raffaella .
Timbro e Firma
Grazie della collaborazione
6) Quale di queste definizioni descrive meglio il bilancio sociale per la Sua azienda o la sua idea? (sono possibili più risposte)
Garantisce una forte coesione con gli stakeholder Migliora l’efficienza della gestione aziendale
Contribuisce a rafforzare il”brand value” (valore della marca) attraverso lo sviluppo di un rapporto stabile e duraturo con i consumatori/clienti, basato sulla fiducia e la fedeltà alla marca
Protegge da azioni di boicottaggio
Crea un ambiente di lavoro migliore, più sicuro e motivante Facilita l’accesso al credito (Basilea 2)
Aumenta la capacità dell’impresa di attrarre e mantenere personale qualificato e motivato Permette di usufruire laddove previsti, di vantaggi
fiscali, contributi e semplificazioni amministrative
Riduce il rischio d’impresa Contribuisce ad aumentare il valore per gli azionisti nei mercati in cui sono applicati rating di tipo etico
Può rappresentare un qualificato elemento di differenziazione tale da rafforzare il marketing competitivo
Incrementa i rapporti di partnership e di conseguenza può determinare l’incremento del fatturato
è un documento da affiancare al bilancio d’esercizio per una maggiore trasparenza sul modo di operare dell’azienda
non sa/non risponde
169
GLOSSARIO E SPIEGAZIONE DEI TERMINI UTILIZZATI NEL QUESTIONARIO
Bilancio Sociale (o di sostenibilità)
documento annuale che dà visibilità alle attività di pianificazione, gestione e rendicontazione dell’impresa secondo gli assi economico, ambientale e sociale
Codice Etico (o di autoregolamentazione) dichiarazione ufficiale dei valori e delle prassi commerciali di un’impresa e/o dei suoi fornitori
Mission / Missione
Ragion d’essere dell’impresa, il cui valore consiste nell’essere elemento centrale del sistema valoriale e culturale dell’impresa. Individua gli obiettivi di fondo e gli scopi preminenti che l’impresa, attraverso la sua attività, tenta di perseguire, coniugando spesso la dimensioni economica e sociale ed identificando per l’impresa stessa obiettivi e ruolo di promozione e accrescimento del benessere collettivo, della qualità della vita (inclusa la qualità ambientale), della coesione sociale.
Responsabilità
delle Imprese (CSR)
La Responsabilità Sociale d’Impresa – come definita dalla UE – si occupa di coordinare e incentivare le preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate, in conformità con le leggi vigenti e il rispetto per le persone, le comunità e l’ambiente
Portatore di interesse (Stakeholder)
Persona o gruppo di persone che hanno un interesse nelle prestazioni o nel successo di una organizzazione, ad esempio: clienti, proprietari/azionisti/soci, dipendenti, fornitori, concorrenti, banche, sindacati, collettività, amministrazione pubblica locale e centrale.
LA SCHEDA ANAGRAFICA DELL’IMPRESA
NOME TIPO (SRL, SPA, COOPERATIVE) |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| PARTITA IVA |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_||_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| SETTORE |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_||_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|__|_|_|_|_|_| FATTURATO (in migliaia di euro) |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| SEDE PRINCIPALE VIA |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|CAP|_|_||_|_||_|COMUNE ||_|_||_|_||_|_|_|_||_|_||_|_||_|_||_| SEDI SECONDARIE E ALTRI SITI PRODUTTIVI (anche eventuali localizzazioni fuori dal territorio nazionale) COMUNE |_|_|_|_|_|_||_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| PROVINCIA O STATO ESTERO |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_ |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| N. DI DIPENDENTI SITO/SEDE PRINCIPALE |_|_|_|_|_|_|_|_| ETA’ MEDIA ANNI <25 ; 25-35 ; 35-45 ; 45-55 ; >55 ALTRI SITI/SEDI |_|_|_|_|_|_|_|_| ETA’ MEDIA ANNI <25 ; 25-35 ; 35-45 ; 45-55 ; >55 LA SOCIETÀ HA UNA MISSION ESPLICITA? SÌ |_| NO |_| LA SOCIETÀ È DOTATA DI SISTEMI DI: GESTIONE QUALITÀ SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_| GESTIONE AMBIENTALE SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_|
170
GESTIONE DELLA SICUREZZA SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_| GESTIONE SOCIALE SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_| PROTEZIONE DI INFORMAZIONI SÌ |_| NO |_| CERTIFICATO SÌ |_| ALTRO (SPECIFICARE) |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| CONTATTO SIG. |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|__|_| TELEFONO 1 |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| TELEFONO 2 |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| FAX |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| E-MAIL |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| SITO WEB |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_| MANSIONE |_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|_|
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ALTRO MATERIALE
o Materiale fornito al convegno “Le aziende responsabili sono più competitive”
organizzato da Unindustria tenutosi a Ponzano Veneto il 4 maggio 2005
o Materiale fornito al convegno organizzato da Unindustria tenutosi a Treviso il
21 aprile 2005;
o Materiale fornito al convegno UCID tenutosi a Venezia il 15 novembre 2003;
o Bilanci sociali: Granarolo, Camst, Unipol Assicurazioni, Banca di Credito;
Cooperativo, Unicredit Banca, Solco (Cooperativa), Solidas (Associazione
per lo sviluppo dell'imprenditoria nel sociale), Sony , Noicom, Credito
trevigiano,Banca Etica.
o Ricerca di mercato (2004) L’impegno sociale delle aziende in Italia condotta
da SWG;
o Primo rapporto 2003 UCID (Unione cristiana imprenditori dirigenti),
Imprenditori Veneti per il bene comune
SITOGRAFIA
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Sociali - in tema di Responsabilità Sociale delle Imprese (RSI))
www.minwelfare.it/rsi (progetto del Ministero del Welfare per la responsabilità
sociale delle imprese e l'impegno sociale)
www.unioncamere.it
www.qres.it
www.bilanciosociale.it
177
www.jobtel.it
www.improntaetica.org
www.isvi.org (istituto per i valori d’impresa)
www.sodalitas.it (associazione per lo sviluppo dell’imprenditoria nel sociale)
178
RINGRAZIAMENTI
A conclusione del lavoro sono in dovere di ringraziare tutte le persone che mi hanno
sostenuto in questi anni di studio ed in particolare nell’ultimo periodo e tutti coloro
che hanno collaborato alla realizzazione della tesi.
Tra i primi un grazie «speciale» va a mia mamma, a mio papà e a mio fratello, a cui
ho dedicato la tesi, che sono sempre stati punto di riferimento e motore di spinta
durante il percorso universitario ma anche «ancòra di salvataggio» nei momenti di
difficoltà. Grazie Alessandro, per i preziosi consigli e le idee che in ogni momento
hai saputo darmi ma soprattutto per l’incoraggiamento sempre puntuale.
Un ringraziamento particolare merita il mio relatore, Prof. Bano Danilo, per tutti i
suggerimenti, le idee, le conoscenze che mi ha trasmesso e di cui ho fatto tesoro.
Grazie, per avermi infuso serenità e tranquillità ogni volta che ci incontravamo e per
avermi sostenuto fino alla fine.
Un grazie doveroso anche al Dott. Tagliente con il quale abbiamo collaborato,
nonché promotore dell’idea della ricerca campionaria. Grazie, per il tempo che mi ha
dedicato e per tutte le persone che mi ha permesso di contattare, tra cui voglio
ricordare il Dott. Biasi, la Dott.ssa Vitulano e la Sig. Olivieri della Camera di
Commercio di Treviso. Grazie, anche ai suoi collaboratori di studio e a tutti i
dipendenti di Unindustria dei quali ho avuto bisogno.
Grazie anche al Prof. Filippi nonché responsabile di Unindustria per tutti i
suggerimenti.
Grazie agli insegnanti dell’università di Ca’ Foscari (prof. dipartimento di
matematica e statistica) ai quali ho chiesto consigli per l’elaborazione dei dati del
questionario ma anche ai professori di altre università, quali il prof. Zamagni per
avermi risposto alle mail chiedendogli informazioni sulla «Responsabilità Sociale
d’Impresa».
Non ho parole per ringraziare tutte le aziende, i cui nomi sono presenti nella sezione
dedicata all’indagine, che hanno risposto al questionario, permettendomi di portare
avanti l’idea iniziale. Grazie per la sensibilità che avete dimostrato nei miei confronti
ma soprattutto verso la tematica dell’etica d’impresa, incoraggiandomi così a sperare
in un futuro diverso.
179
Tra tutte le aziende, Tecnogamma Spa e in rappresentanza di essa il Dott. Marton,
merita un ringraziamento particolare per avermi dato la possibilità di svolgere lo
stage inerente alla mia tesi. Grazie per le conoscenze che ho potuto acquisire e per
avermi concesso di inserire il lavoro svolto durante lo stage nell’elaborato. Mi sento
in dovere di incoraggiare Luciano e tutta l’azienda, specialmente dopo quanto è
successo e auguro loro un prospero futuro.
Grazie a tutte le persone quali bancari e conoscenti che hanno contribuito alla
somministrazione del questionario.
Grazie anche ai collaboratori della biblioteca del dipartimento di economia, in
particolare Carlo e alla sua collega, per l’ottimo sevizio di consulenza che svolgono
agli studenti.
Grazie alla mia amica Prof. Stefania per il tempo prezioso che mi hai dedicato.
Infine, voglio ricordare tutte le persone che mi sono state vicine in questi anni, quali
parenti, amici, compagni di università e conoscenti.
Grazie a tutti i parenti, soprattutto coloro che hanno già finito la carriera universitaria
per i consigli da «vecchi saggi».
Grazie a tutti i miei amici, amici della Gifra, compaesani. Alcuni meritano un
ringraziamento particolare.
Grazie Sara per il tuo incoraggiamento costante durante il percorso, per i momenti di
allegria trascorsi assieme e per il cammino che continuiamo a condividere…
Grazie Piera per aver condiviso le fatiche scolastiche e per avermi incitata come dici
tu, allo stesso modo di un corridore in salita!
Grazie Sabina, per avermi allietato i viaggi in treno con le nostre chiacchierate.
Grazie Marco per tutti i consigli tecnici universitari e gli aiuti nella preparazione di
alcuni esami, per avermi spronato in alcuni momenti e per aver condiviso in simpatia
questi ultimi due anni di università.
Grazie a Silvia e a tutti i compagni dell’università per l’esperienza bellissima che
abbiamo vissuto assieme. Peccato sia finita!
Grazie a tutti coloro che purtroppo ho dimenticato di ricordare…il traguardo l’ho
raggiunto anche per merito vostro…GRAZIE!
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