analisi a molti obiettivi per la produzione di energia...
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POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio
ANALISI A MOLTI OBIETTIVI PER LA
PRODUZIONE DI ENERGIA DA BIOMASSE
Relatore:
Prof. G.Guariso
Tesina di Laurea di:
Daniela Benetti 616171
Alberto Colombo 607262
ANNO ACCADEMICO 1998 - 1999
Indice
I
INDICE
INTRODUZIONE
Capitolo 1
Le FONTI RINNOVABILI di ENERGIA e l’AMBIENTE nello SCENARIOMONDIALE, EUROPEO e NAZIONALE
1.1 La SITUAZIONE ENERGETICA ATTUALE e FUTURA ...............1
1.1.1 Panorama energetico internazionale
1.1.2 Panorama energetico europeo
1.1.3 Il bilancio energetico italiano
1.1.4 Effetti ambientali di cicli energetici
1.1.4.1 Emissioni di gas serra
1.1.5 Scenari tendenziali
1.2 Verso una NUOVA POLITICA ENERGETICA ........................…14
1.2.1 Gli indirizzi di cooperazione internazionale delle Nazioni
Unite
1.2.1.1 Il protocollo di Kyoto
1.2.2 La politica energetica dell’Unione Europea
1.2.3 L’evoluzione della legislazione energetica in Italia
1.2.3.1 La legislazione e pianificazione energetica
1.2.3.2 Tutela ambientale e produzione di energia
1.3 Il SETTORE ENERGETICO delle FONTI RINNOVABILI …...….31
1.3.1 Tipi di fonti
1.3.2 Aspetti positivi e limiti
1.3.3 Il contributo delle fonti rinnovabili in Italia
Capitolo 2
La VALORIZZAZIONE ENERGETICA delle BIOMASSE VEGETALI2.1 RECENTI SVILUPPI e RIFERIMENTI NORMATIVI …………….38
2.2 TIPOLOGIE di BIOMASSE ………………………………………...43
Indice
II
2.3 PRINCIPALI UTILIZZI e TRATTAMENTI ………………………...44
2.4 BENEFICI e IMPATTI delle BIOMASSE …………………………47
2.5 Le COLTIVAZIONI ENERGETICHE a BREVE ROTAZIONE ….51
2.5.1 Effetti ambientali e sociali
2.5.2 Quadro normativo
Capitolo 3
ASPETTI TECNICI delle COLTIVAZIONI ENERGETICHE3.1 DESCRIZIONE di una COLTIVAZIONE ENERGETICA ………59
3.1.1 Tipo di suolo
3.1.2 Specie e clone
3.1.3 Variabili decisionali
3.2 Il PROGRAMMA di RICERCA dell’ENEL ………………………...70
3.3 FILIERA di PRODUZIONE del PIOPPO ………………………….72
3.3.1 Preparazione del terreno e impianto
3.3.2 Le cure colturali
3.3.3 La raccolta e il trasporto
3.3.4 Essiccazione
3.4 RILIEVO dei TEMPI di LAVORO …………………………………85
3.5 CARATTERISTICHE del PRODOTTO FINITO …………………87
Capitolo 4
Il MODELLO della COLTURA4.1 PRODUTTIVITA’ della COLTURA ………………………………..88
4.2 MODELLO del SISTEMA …………………………………………..91
4.3 DETERMINAZIONE della CONDIZIONE INIZIALE ……………101
4.3.1 Produzione nell’anno dell’impianto dei due cloni
4.3.2 Effetto della ceduazione
4.4 DETERMINAZIONE dei COEFFICIENTI di CRESCITA ………118
4.5 MORTALITA’ delle CEPPAIE …………………………………….122
4.6 ANALISI STATISTICA dei DATI …………………………………123
Indice
III
4.7 ANALISI ECONOMICA …………………………………………...125
Capitolo 5
Il PROBLEMA di OTTIMIZZAZIONE5.1 Gli OBIETTIVI ..………………………………………………….…138
5.2 ALGORITMO di OTTIMIZZAZIONE ……………………………..144
5.3 METODOLOGIA …………………………………………………..145
5.4 FRONTIERE di PARETO ………………………………………...152
5.5 SCELTA dei PUNTI sulla FRONTIERA …………………………157
5.6 EFFICIENZA ENERGETICA del SISTEMA …………………….159
Capitolo 6
TECNOLOGIE e MODELLIZZAZIONE della GASSIFICAZIONE6.1 Le POTENZIALITA’ ENERGETICHE delle BIOMASSE ……….162
6.1.1 La situazione attuale
6.1.2 Tecnologie
6.1.3 Proprietà delle biomasse come combustibili
6.2 MODELLISTICA della COMBUSTIONE e della
GASSIFICAZIONE ……………………………………………...…174
6.2.1 Struttura di un modello all’equilibrio
6.2.2 Modello all’equilibrio analizzato
6.3 SIMULAZIONI EFFETTUATE e VALUTAZIONE dei
RISULTATI….………………………………………………………183
6.4 ANALISI dell’IMPIANTO di RIFERIMENTO …………….………186
6.5 OCCUPAZIONE di AREE ed EFFICIENZA ENERGETICA ..…193
BIBLIOGRAFIA
Introduzione
IV
INTRODUZIONE
La coltivazione intensiva di piante legnose ad alta densità di impianto e
breve turno di rotazione (short rotation forestry, SRF) è un nuovo metodo di
produzione di biomassa, che può fornire produzioni superiori a quelle
ottenibili con le tecniche di selvicoltura tradizionale.
Lo scopo di questo lavoro è di realizzare un modello di crescita di un
pioppeto per produzione di biomassa, e di ottimizzare la sua gestione
rispetto alle principali variabili di decisione coinvolte.
Rispetto a un impianto di produzione di energia elettrica di 12 Mwe,
realizzato con gassificazione in aria e ciclo combinato, è possibile
determinare l’estensione delle aree occupate dal pioppeto che deve
alimentarlo.
Ringraziamo il Dott. G.Schenone per averci permesso di consultare le
Relazioni Annuali redatte dall’ENEL-CRAM relative alle sperimentazioni di
coltivazioni a breve rotazione, il Dott. G.Facciotto per la disponibilità e gli utili
consigli e tutti coloro che ci hanno aiutato nella ricerca del materiale.
Capitolo 1
1
1 Le FONTI RINNOVABILI di ENERGIA e
l’AMBIENTE nello scenario mondiale,
europeo e italiano
1.1 La SITUAZIONE ENERGETICA ATTUALE e FUTURA
L’energia è un fattore essenziale nello sviluppo economico, per le sue
conseguenze ambientali e sociali, per i riflessi sull’occupazione e sulla
concorrenzialità del sistema produttivo.
Nella logica della sostenibilità, per realizzare un nuovo approccio nella
gestione del settore energetico è necessario fornire ai decisori politici
elementi di valutazione e di indirizzo in campo energetico-ambientale che
tengano conto delle forze di mercato, miopi nel lungo periodo, e delle
condizioni attuali e future di sviluppo nei vari paesi.
1.1.1 Il PANORAMA ENERGETICO INTERNAZIONALE
Le riserve disponibili1 di combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone)
sono gradualmente aumentate negli ultimi vent’anni, raggiungendo i valori
attuali di 600 Gtep2 per il carbone e di circa 140 Gtep per il petrolio e il gas.
La produzione e il consumo mondiale di combustibili sono anch’essi cresciuti
(ved. tab.1.1): tra il 1980 e il 1995 la produzione di carbone è aumentata del
20,6%, quella del petrolio del 5,7% e quella del gas naturale del 41,7%.
1Le riserve sono le quantità di combustibile che si è determinato essere presenti ingiacimenti noti e che sono estraibili a costi che le rendono economicamente interessanti.
21 Mtep = milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Una tonnellata equivalente di petrolio(tep) corrisponde a 107 Kcal o 41,86 GJ. 1Gtep è 1000 Mtep, cioè un miliardo di tonnellate.
Capitolo 1
2
1980 1995Carbone 1809 2182
Petrolio 3155 3335
Gas naturale 1243 1761
TOTALE 6207 7278
Tab. 1.1 – Produzione mondiale di combustibili fossili in Mtep
Il rapporto tra riserve e produzione annuale, espresso in anni, indica la
durata delle riserve note a una certa data, senza ritrovamenti e rivalutazioni,
se la domanda rimanesse invariata. Anche se non si notano diminuzioni di
questo rapporto negli ultimi decenni (220 anni per il carbone, 60 per il
petrolio e 40 per il gas naturale), questo tipo di risorse non si rinnova in
tempi storici ed è quindi finito. E’ previsto un esaurimento fisico delle risorse,
comunque in tempi tali da permettere lo sviluppo di fonti di energia
alternative.
I combustibili fossili sono tuttora la fonte energetica dominante a livello
mondiale. Il petrolio contribuisce per il 38% al totale del fabbisogno
energetico (in lieve diminuzione). I combustibili solidi, essenzialmente il
carbone, forniscono il 25% del totale (mantenendosi costanti); mentre il gas
naturale, al 20% circa, è la fonte primaria il cui contributo è cresciuto più
rapidamente.
Tra le fonti energetiche non fossili, l’energia nucleare è rimasta al 6,8% del
1990, l’energia idroelettrica è al 2,3%; mentre il contributo della biomassa è
leggermente cresciuto, da circa 7,5% nel 1980 a 8,5% nel 1995.
La domanda mondiale di energia è aumentata del 26% dal 1980 al 1995 (da
7021 Mtep a 8852). Il consumo energetico pro-capite a livello globale è però
rimasto praticamente invariato (1,54 tep per persona), data la notevole
Capitolo 1
3
crescita della popolazione nel periodo considerato; si notano invece
differenze da regione a regione.
Anche nel caso dell’intensità energetica, definita come il rapporto tra
l’energia consumata in un Paese e il suo prodotto interno lordo (dà una
misura dell’efficienza con cui l’energia viene utilizzata), per un confronto
significativo si deve tenere conto del grado di sviluppo e delle condizioni
contingenti di ogni paese. A livello mondiale, il PIL è cresciuto assai più del
consumo energetico, riducendo il valore dell’intensità energetica.
1.1.2 Il PANORAMA ENERGETICO EUROPEO
La produzione di energia primaria nei Paesi dell’Unione Europea è cresciuta
da 606,3 Mtep nel 1980 a 741,4 Mtep nel 1995. Questo aumento è dovuto
principalmente all’energia nucleare, al petrolio e, in minor misura, al gas
naturale; mentre è fortemente diminuita la produzione di carbone.
Nel 1995 le fonti rinnovabili hanno contribuito per 72 Mtep (Italia: 9,8 Mtep):
un terzo derivante dall’energia idroelettrica ed eolica; mentre il maggior
contributo è fornito dalla biomassa, i valori più elevati sono quelli della
Francia e della Svezia.
L’andamento della produzione e della domanda di energia è descritto in
tabella 1.2.
A livello europeo i consumi energetici totali sono passati da 1241 Mtep nel
1980 -85 a 1367 Mtep nel 1995, con un incremento del 10% circa.
Il consumo energetico pro capite è leggermente salito ad un valore di 3,68
tep/abitante anno nel 1995. In Italia il consumo per abitante dal 1980 al
1995 è cresciuto del 18,3%, rimanendo però assai inferiore alla media
europea.
Complessivamente i valori dell’intensità energetica nei vari Paesi europei
stanno lentamente diminuendo.
Capitolo 1
4
Produzione Consumo interno lordo
Mtep % Mtep %
Combust. Solidi 137,4 18,5 225,5 16,5
Petrolio 159,2 21,5 572,8 41,9
Gas naturale 166,5 22,5 291,1 21,3
Nucleare 205,4 27,7 211,8 15,5
Idroelettrica e eolica 25,2 3,4 23,2 1,7
Geotermico 2,5 0,3 - -
Altre 45,1 6,1 42,4 3,1
TOTALE 741,4 100 1366,8 100
Tab.1.2 – Produzione di energia ed evoluzione della domanda totale per
fonti primarie in Mtep nel 1995
Il grado di autosufficienza dell’Europa è diminuito leggermente dal 58,5% nel
1985 al 53,5% nel 1995. I Paesi del Nord Europa presentano i valori più alti
di autosufficienza e di esportazioni, mentre l’Italia è tra le posizioni di coda
con il 18,4%.
Lo scenario energetico europeo deve essere analizzato tenendo conto
dell’aspetto economico dell’energia ma anche del ‘fattore umano’, cioè delle
priorità sociali quali l’occupazione, l’educazione, l’emigrazione e il terrorismo;
queste problematiche sono particolarmente emergenti nell’Europa dell’Est e
nel bacino del Mediterraneo. L’equilibrio dell’Europa dipende dalla capacità
di apertura verso i Paesi dell’Est e di risposta alle esigenze di sviluppo dei
Paesi a Sud del Mediterraneo.
In quest’ultime aree, il fabbisogno energetico è in notevole aumento a causa
di un accelerato sviluppo industriale e di un’esplosione demografica; la
soddisfazione di questa domanda richiederebbe investimenti energetici
elevati per il periodo 1996-2010.
Capitolo 1
5
Per ridurre sensibilmente la spesa energetica stimata per questi Paesi è
fondamentale una politica di implementazione di misure di risparmio
energetico e di uso di tecnologie più razionali, combinate con uno sviluppo
delle energie rinnovabili (soprattutto biomassa, ma anche biotermica, eolica
e solare). Questi interventi realizzati attraverso delle iniziative di
cooperazione permetterebbero un utilizzo ordinato del potenziale delle fonti
rinnovabili con effetti positivi per l’ambiente e la creazione di nuove
opportunità di lavoro.
1.1.3 Il BILANCIO ENERGETICO ITALIANO
Il bilancio sintetico dell’energia in Mtep in Italia nel 1997 è rappresentato in
tabella 1.3.
La produzione nazionale è assai limitata, in un panorama di bassa
autosufficienza interessanti sono i contributi del gas naturale e dell’energia
elettrica.
La dipendenza energetica italiana, in termini di saldo netto tra le importazioni
e le esportazioni di energia, risulta pari a circa 140 Mtep, corrispondenti
all’80% del fabbisogno interno lordo. In particolare, l’Italia importa oltre il
90% dei combustibili solidi, il 94% di petrolio, il 68% di gas naturale, oltre a
circa 34,3 TWh3 di energia elettrica (equivalenti a 8,5 Mtep) corrispondenti a
quasi il 5% della richiesta lorda di energia e al 13% sulla rete elettrica. La
struttura delle provenienze è fortemente sbilanciata verso il Medio Oriente
per il 40% e il Nord Africa per il 44%, aree ad elevato rischio politico.
3 1Twh = 1 miliardo di KWh, equivalente a 0,2478 Mtep
Capitolo 1
6
Combust.
Solidi
Petrolio Combust.
Gassosi
Energia
Elettrica
TOTALE
Produzione 1,5 5,9 15,8 11,2 34,4
Importazioni 11,5 109,8 31,9 8,7 161,9
Esportazioni 0,1 21,3 - 0,2 21,6
Consumo internolordo
12,9
7,4%
94,4
54%
47,7
27,3%
19,7
11,3%
174,7100%
Tab.1.3 – Bilancio dell’energia in Italia nel 1997
L’energia elettrica merita un’analisi più attenta per la sua influenza nel
settore energetico e per il fatto che la penetrazione elettrica (cioè la frazione
della domanda di energia coperta da elettricità) presenta una forte
correlazione con il grado di sviluppo di un paese.
L’andamento del contributo delle varie fonti alla produzione di elettricità a
livello mondiale, per i Paesi OCSE e dell’Unione Europea confrontata alla
situazione italiana nel 1997 è indicato in tabella 1.4.
Mondo OCSE Unione Europea Italia
% % % Mtep %
Combust.
Solidi
39 40 36 6,1 11
Petrolio 11 8 10 23,9 45
Gas 13 11 8 11,8 22
Rinnovabili 19 17 10 11,2 22
Nucleare 18 24 36 - -
TOTALE 100 100 100 53 100
Tab. 1.4 – Produzione di energia elettrica per fonte nel 1997 in percentuali
Capitolo 1
7
L’Italia ha una posizione anomala rispetto agli altri Paesi industrializzati, per
l’elevata percentuale di utilizzo del petrolio nella produzione di elettricità, per
una percentuale molto bassa di combustibili solidi e per l’assenza del
nucleare. La quota consistente di rinnovabili è dovuta agli impianti
idroelettrici e geotermoelettrici: l’Italia infatti è uno dei maggiori produttori
idroelettrici a livello europeo e geotermoelettrici a livello mondiale. Anche la
produzione delle cosiddette ‘nuove’ fonti rinnovabili – eolica, fotovoltaica,
biomasse e rifiuti – sta acquistando crescente peso negli ultimi anni,
triplicando dal 1991 al 1996; contribuisce però solo dello 0,2% alla
produzione elettrica complessiva.
La domanda di energia elettrica in Italia è stata nel 1997 di 271,4 TWh con
un incremento del 3,2% rispetto al 1996. L’aumento della domanda elettrica
è stato soddisfatto con una maggiore produzione netta di energia elettrica
(239,3 TWh) e con l’aumento dell’import dall’estero (pari a 38,8 TWh, cioè
8,5 Mtep).
La produzione ENEL si è ridotta a fronte di un notevole incremento
dell’energia acquistata da produttori terzi nazionali, ricavata da fonti
rinnovabili o assimilate (incentivata da CIP 6/92 – ved. paragrafo 1.2.3).
Il fabbisogno complessivo di energia in Italia, espresso in fonti primarie, è
stato nel 1997 pari a 174,7 Mtep, con un incremento dell’1,1% rispetto
all’anno precedente. Il contributo delle varie fonti alla copertura dei
domanda totale del 1997 è riportato in termini di consumo interno lordo in
tabella 1.3.
Il mix delle fonti energetiche rispecchia la situazione europea (confronto con
tab.1.2.1): il ruolo dei combustibili solidi e del petrolio, per motivi ambientali e
di opinione pubblica a livello locale, si è leggermente ridimensionato
nell’ultimo decennio, anche a causa di una forte penetrazione del gas
naturale nella struttura energetica italiana.
Capitolo 1
8
La forte dipendenza dal petrolio è dovuta soprattutto alla presenza dell’olio
combustibile nel settore termoelettrico.
L’intensità energetica in Italia è tra le più basse nel mondo. Questo valore
corrisponde però più ad una concentrazione della produzione industriale a
settori a bassa intensità energetica e ad alto valore aggiunto (come la
moda), piuttosto che ad un’efficienza elevata e ad un utilizzo delle migliori
tecnologie. Sarebbe più significativo confrontare i consumi per unità di
prodotto: quanti tep o kWh sono necessari per produrre una certa quantità di
prodotto.
1.1.4 EFFETTI AMBIENTALI dei CICLI ENERGETICI
Affinchè il sistema energetico mondiale evolva in modo sostenibile è
necessario che le scelte delle modalità con cui i vari Paesi soddisferanno i
loro bisogni energetici tengano conto delle conseguenze di tipo ambientale e
socio-economico.
Gli elementi critici del processo energetico coinvolgono i livelli locale,
regionale (centinaia o migliaia di chilometri), globale e riguardano:
• l’esauribilità delle fonti energetiche fossili
• le modifiche del clima globale e il riscaldamento terrestre per effetto serra
• l’inquinamento atmosferico generato dai cicli energetici
• la mancanza di equità nella distribuzione e nell’uso delle risorse
Capitolo 1
9
La conferenza di Kyoto esprime questa consapevolezza collettiva della non
sostenibilità dell’attuale modello di sviluppo (ved. par. 1.2.1.1), in linea con i
principi di equità, di qualità globale della vita, di accesso durevole alle
risorse naturali e di evitare danni irreversibili all’ambiente, proposti da H.
Daly nel 1991 4 .
1.1.4.1 Emissioni di gas serra
La superficie terrestre perde meno calore a causa dei gas serra, in quanto
assorbono parte della radiazione infrarossa dispersa nello spazio re-
irraggiandola in tutte le direzioni, e per portarsi in equilibrio con la radiazione
ricevuta, si stabilizza ad una temperatura più alta. La temperatura media
superficiale globale relativa al 1990 è destinata a crescere di circa 2°C entro
il 2010, mentre si prevede un aumento del livello medio dei mari di circa 50
cm; in figura 1.1 si può notare la stretta correlazione tra deviazione della
temperatura e concentrazione di CO2 nell’atmosfera.
Vari gas prodotti dall’uomo contribuiscono all’effetto serra (anidride
carbonica, metano, ossidi d’azoto, ozono, vari composti clorurati e fluorurati),
ma il più importante (per oltre il 55%) è la CO2, generata in massima parte
dalla combustione dei combustibili fossili, come indicato in figura 1.2.
4 Le condizioni di Daly per uno sviluppo sostenibile con particolare riferimento al settoreenergetico:
- i consumi di risorse rinnovabili non devono superare i relativi tassi dirigenerazione
- i consumi di risorse non rinnovabili non devono superare la velocità di sviluppodei sostituti rinnovabili
- le emissioni di inquinanti non devono superare le capacità di assorbimento(carrying capacity) dell’ambiente
Capitolo 1
10
Fig.1.1 - Variazione della temperatura globale e della quantità di CO2
nell’atmosfera
Fig.1.2 - Contributo dei principali gas serra al riscaldamento globale negli
anni ’80
Le emissioni globali di CO2 sono state di 5,9 Gt (miliardi di tonnellate –
espresse in quantità di carbonio contenuto) nel 1990, anno di riferimento per
il contenimento futuro di emissioni.
Anidride carbonica (CO2) 55%Clorofluorocarburi (CFCs) 17%Metano (CH4) 15%Altri composti alogenati (CFs) 7%Protossito di azoto (N2O) 6%
6% 7%
15% 55% 17%
Capitolo 1
11
Una semplice relazione evidenzia le principali dipendenze tra energia e
cambiamenti climatici:
CO2 = EC * EP * PIL * P
dove
- CO2: la quantità di anidride carbonica liberata ogni anno per la
produzione di energia nel mondo (kg/anno)
- EC: emissioni per unità di consumo energetico, cioè l’intensità di
carbonio presente nel tipo di combustibile (kg di CO2/Joule)
- EP: efficienza energetica, rappresenta l’energia per unità di prodotto
(Joule/$)
- PIL: prodotto interno lordo pro capite ($/abitante/anno)
- P: popolazione mondiale
La minimizzazione degli effetti globali dei cicli energetici richiede la riduzione
simultanea dei quattro termini attraverso le seguenti azioni:
privilegiare i combustibili poveri di carbonio e le fonti rinnovabili;
tendenza di difficile attuazione a causa dell’imponente processo di
industrializzazione dei paesi non OCSE, grandi consumatori di
combustibili ad alto tenore di carbonio
incrementare il rendimento dei cicli energetici
aumentare l’efficienza energetica di tutti i cicli produttivi e migliorare il
risparmio energetico
controllare i tassi di crescita senza compromettere la disponibilità delle
risorse per lo sviluppo tecnologico
controllare il fattore demografico che tende a crescere esponenzialmente
Capitolo 1
12
1.1.5 SCENARI TENDENZIALI
Per comprendere come si evolve il settore energetico a livello globale, è
interessante confrontare le possibili alternative di sviluppo economico,
tecnologico e di sistema, simulando e valutando gli effetti di diverse politiche
energetiche attuabili.
Tra le varie analisi di scenari energetici, lo studio IIASA-WEC (International
Institute for Applied Systems’ Analysis – World Energy Council) si riferisce
all’orizzonte temporale del 2020 e ipotizza diverse alternative di sviluppo,
variando i parametri demografico, economico e dell’intensità energetica:
- scenario A: ad alta crescita economica
- scenario B: intermedio, di riferimento
- scenario C: caratterizzato da forti restrizioni ambientali
SCENARI A B CCrescita economica (% per ab.) 3,8 3,3
Riduzione intensità energetica
(% per ab.)
sostenuta
1,6
elevata
1,9
molto elevata
2,4
Domanda di energia al 2020 (Gtep) 17,2 13,4 11,3
Emissioni di CO2 al 2020 (GtC) 11,5 8,4 6,3
Tab. 1.5 – Scenari energetici simulati a livello mondiale
Come evidenziato in tabella 1.5, in nessuna alternativa di sviluppo
considerata le emissioni di CO2 soddisfano gli impegni assunti nella
Convenzione sui cambiamenti climatici (ved. par.1.2.1.1), che prevedono
una stabilizzazione delle emissioni ai livelli del 1990 (5,9 Gt) e una loro
successiva diminuzione progressiva. Anche nello scenario C, più
ambientalmente compatibile, le emissioni superano i livelli di riferimento; tale
aumento è dovuto ai Paesi in via di sviluppo, in quanto le emissioni dei paesi
Capitolo 1
13
industrializzati risultano ridotte del 30% circa, mentre negli scenari A e B le
emissioni risultano aumentare rispettivamente del 30 e 7%.
Queste condizioni ambientali sono diretta conseguenza del diverso ruolo
riservato alle varie fonti primarie per la soddisfazione della domanda
energetica in ogni scenario analizzato, come descritto in tabella 1.6.
I contributi del carbone e del petrolio vengono ridotti notevolmente passando
dallo scenario A (con un notevole consumo rispetto al 1990) allo scenario C,
mentre il gas naturale subisce una riduzione più contenuta.
In tutti e tre i casi è previsto un significativo apporto da parte delle fonti
rinnovabili rispetto al 1990, soprattutto per il settore delle nuove rinnovabili,
quali l’utilizzo elettrico delle biomasse, il solare termico, l’eolico e il
fotovoltaico.
1990 2020
A B C
Carbone 2,3 4,9 3 2,1
Petrolio 2,8 4,6 3,8 2,9
Gas naturale 1,7 3,6 3 2,5
Nucleare 0,4 1 0,8 0,7
Idroelettrico 0,5 1 0,9 0,7
Biomasse 0,9 1,3 1,3 1,1
Nuove rinnovabili 0,2 0,8 0,6 1,3
TOTALE 8,8 17,2 13,4 11,3
Tab. 1.6 – Contributo delle diverse fonti primarie per la copertura dei
fabbisogni energetici (espresso in Gtep) negli scenari tendenziali di sviluppo
relativi al 2020
Capitolo 1
14
1.2 Verso una NUOVA POLITICA ENERGETICA
La maggiore consapevolezza degli effetti ambientali di lungo termine e, in
particolare, delle minacce alla stabilità del clima globale derivanti dall’uso
dell’energia ha portato i governi di molti Paesi industrializzati e anche in via
di sviluppo a riformulare le loro politiche energetiche in considerazione della
sostenibilità dei processi coinvolti.
Questi cambiamenti sono agevolati da un crescente condizionamento
internazionale, dalla partecipazione all’Unione Europea per i Paesi membri,
ma anche da un processo di decentramento in corso (non solo in Italia) che
ha coinvolto i governi regionali e locali.
1.2.1 Gli INDIRIZZI di COOPERAZIONE INTERNAZIONALE delle NAZIONI UNITE
La concezione attuale dei rapporti tra energia, ambiente e sviluppo a livello
globale si è evoluta e concretizzata in quest’ultimo decennio:
1992 Rio de Janeiro – United Nations Conference on Environment and
Development (UNCED): si redige l’Agenda 21, Piano d’Azione per la
realizzazione dello sviluppo sostenibile, che però non contiene un capitolo
dedicato all’energia; ai paesi del’UE è richiesto di interpretare
coerentemente, ma liberamente, i principi sottoscritti attraverso
l’articolazione delle politiche settoriali. Esempi di attuazione sono i
programmi di azione ambientale comunitari e il piano italiano per lo sviluppo
sostenibile. Sono firmate le Convenzioni sul cambiamento climatico, sulla
desertificazione e sulla biodiversità.
1994 Entra in vigore la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, che
implica un’attenta revisione del modello energetico per la questione dei gas
Capitolo 1
15
serra e prevede periodiche conferenze delle parti (COP) per il
coordinamento delle azioni.
1995 Berlino – I Conferenza delle Parti: stabilisce la necessità di fissare
degli obiettivi precisi per gli anni futuri per la riduzione delle emissioni, in
prevalenza generate dai cicli energetici.
1996 Ginevra – II Conferenza delle Parti: accettazione dei risultati
previsionali in fatto di cambiamenti climatici e scioglimento parziale
dell’opposizione nordamericana in materia di emissioni.
1997 Kyoto – III Conferenza delle Parti: definitiva accettazione dei principi
del mandato di Berlino, impegno di conseguire tali obiettivi con i Paesi delle
economie in transizione.
1997 New York – United Nations General Assembly Special Session
(UNGASS): verifica delle politiche di implementazione dell’Agenda 21; si
notano inerzie e ritardi circa gli impegni di cooperazione allo sviluppo da
parte dei paesi industrializzati.
1998 Buenos Aires – IV Conferenza delle Parti: elaborazione del Piano di
Azione di Buenos Aires; decisioni sui meccanismi di flessibilità
internazionale per attuare il protocollo di Kyoto, sono fissati i temi e i tempi
del negoziato per la determinazione delle regole di un nuovo mercato
globale; proposte sui modi per verificare l’attuazione della convenzione e per
sanzionare le parti in caso di mancato adempimento. Nonostante tutte le
parti riconoscano che gli impegni stabiliti a Kyoto non sono sufficienti per
evitare i cambiamenti climatici, non sono state individuate nuove politiche e
misure di azione coordinata a livello globale.
Capitolo 1
16
1.2.1.1 Il Protocollo di Kyoto
Il protocollo è un atto esecutivo della III Conferenza delle Parti (1997)
contenente le decisioni sull’attuazione operativa di alcuni impegni definiti
dalla Convenzione UNCED di Rio, nella direzione delle problematiche dei
cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile. Il protocollo entrerà in
vigore quando sarà ratificato da 55 paesi che contribuivano nel 1990 ad
almeno il 55% delle emissioni di CO2 dei paesi industrializzati.
I paesi industrializzati e ad economia in transizione sono impegnati nella
riduzione complessiva del 5,2% delle emissioni antropogeniche di gas che
alterano l’effetto serra naturale del pianeta entro il 2010, oppure nel periodo
2008-12 (budget period: media di cinque anni successivi).
Per la riduzione delle emissioni dei gas serra quali l’anidride carbonica
(CO2), il metano (CH4), e il protossido di azoto (N2O) si considera, come
anno di riferimento, il 1990. Per gli altri gas, quali i perfluorocarburi (PFC),
gli idrofluorocarburi (HFC) e l’esafluoruro di zolfo (SF6), utilizzati in
sostituzione dei clorofluorocarburi e messi al bando dal protocollo di
Montreal per la difesa della fascia di ozono si fa riferimento alle emissioni del
1995.
Si procede ad una riduzione delle emissioni in modo differenziato per ogni
paese: 8% per l’UE, il7% per gli USA e il 6% per il Giappone. Non è prevista
alcuna riduzione, ma solo stabilizzazione per la Federazione Russa, la
Nuova Zelanda e l’Ucraina. Possono, invece aumentare le loro emissioni
fino all’1% la Norvegia, fino all’8% l’Australia e fino al 10% l’Islanda. Nessun
tipo di limitazione è prevista per i paesi in via di sviluppo, perché un tale
vincolo condizionerebbe il processo di sviluppo socio-economico.
L’attuale andamento delle emissioni provenienti dai paesi industrializzati e
ad economia in transizione avrebbe portato ad una tendenziale crescita
complessiva delle emissioni di circa il 20%; quindi in realtà la riduzione
effettiva delle potenziali emissioni future dovrà essere circa del 25%.
Capitolo 1
17
Per determinare la riduzione delle ‘emissioni nette’ (in termini di bilancio) si
deve tenere conto non solo dei rilasci dei gas provenienti dalle attività
umane, ma anche degli assorbimenti effettuati dall’atmosfera ad opera di
piante, di alberi e, in generale, dell’accumulo di biomassa attraverso la
crescita della copertura vegetale.
Le opzioni di mitigazione delle emissioni mediante azioni di cambiamento
d’uso dei suoli, di riforestazione e di coltivazione di nuove foreste hanno un
potenziale molto più alto e costi di investimento molto più bassi di quelli
necessari per migliorare l’efficienza dei sistemi energetici e per sviluppare le
fonti rinnovabili.
Ai fini dell’attuazione degli impegni previsti dal protocollo, si richiede ai paesi
firmatari di elaborare politiche ed azioni operative del tipo:
- a carattere generale, per incrementare l’efficienza energetica e la
capacità di assorbimento dei gas serra rilasciati in atmosfera
(riforestazione e afforestazione)
- a carattere politico-economico, per eliminare i fattori di distorsione dei
mercati (incentivi fiscali, sussidi, tassazioni) che favoriscono le emissioni
e incoraggiare riforme politico-economiche
- a carattere settoriale, nel campo dell’agricoltura (uso dei terreni agricoli,
combustione dei residui) e dell’energia, per promuovere sia forme di
gestione sostenibile di produzione agricola sia la ricerca, lo sviluppo e
l’uso delle nuove fonti rinnovabili di energia
- a carattere particolare, con specifica attenzione alle emissioni di gas
serra e metano nel settore dei trasporti e dei rifiuti (discariche, impianti di
trattamento e incenerimento)
Per favorire la cooperazione internazionale, il protocollo introduce nuovi
strumenti attuativi di maggiore flessibilità: la ‘joint implementation’,
attuazione congiunta degli obblighi attraverso iniziative multilaterali
Capitolo 1
18
finalizzate a specifici progetti, la ‘emission trading’, commercializzazione dei
diritti di emissione tra i paesi e il ‘clean development mechanism’,
collaborazione tra i paesi industrializzati e in via di sviluppo su programmi di
crescita socio-economica e industriale contenendo l’aumento delle emissioni
(triplo rispetto a quello dei paesi industrializzati nel periodo 1990-95).
1.2.2 La POLITICA ENERGETICA dell’UNIONE EUROPEA
Sebbene le problematiche energetiche siano state alla base della nascita
della Comunità Europea, non è ancora ben definita una politica energetica
comunitaria.
Oggi la politica energetica europea si aggiunge alle quindici politiche degli
stati membri, ed è in grado in alcuni casi di esprimere direttive cogenti per
tutti (creazione del Mercato Unico dell’Energia), in alcuni altri di negoziare
delle posizioni comuni (come per gli impegni assunti a Kyoto e per la
rispettiva ripartizione tra gli stati), ma in molti altri casi non riesce ad operare
un vero coordinamento (per le politiche nucleari o le tasse sulle emissioni di
carbonio).
Infatti la mancanza di una base giuridica nel settore energetico indebolisce
l’azione comunitaria.
Ad ogni modo, già da alcuni anni, il processo di integrazione comunitaria ha
creato le condizioni favorevoli ad una riforma delle modalità di intervento
pubblico dei singoli stati membri.
Nei settori dell’energia elettrica e del gas questa posizione di apertura ha
tardato a manifestarsi, in quanto tali settori sono percepiti come ambiti
cruciali di espressione della sovranità nazionale. In diversi paesi europei
sono infatti presenti imprese pubbliche nazionali, integrate verticalmente e
monopolistiche nei confini del proprio territorio nazionale.
Le direttive comunitarie sulla progressiva liberalizzazione dei settori in
questione costituiscono un primo fondamentale passo per la creazione di un
Capitolo 1
19
mercato europeo anche nei servizi energetici a rete. Si introduce inoltre un
nuovo concetto di economicità che include anche i costi e benefici esterni
connessi alla fornitura dei servizi energetici: tra i costi occorre considerare gli
effetti ambientali dell’uso dell’energia, tra i benefici la ricaduta, in termini di
sicurezza, degli approvvigionamenti e dell’occupazione qualificata.
Gli aspetti ambientali delle politiche energetiche dell’UE sono contenuti nel
Quinto Programma di azione ambientale (5EAP) redatto nel 1992, in
relazione alle strategie energetiche a lungo termine, per assicurare un
impatto ambientale della produzione e del consumo di energia in termini
sostenibili.
La Carta Europea dell’Energia, approvata nel 1997, e il Libro Bianco del ‘97
ripropongono una crescita economica nel rispetto dell’ambiente mediante
una liberalizzazione degli investimenti e degli scambi nel settore energetico.
I principali impegni riguardano il miglioramento dell’efficienza energetica, lo
sviluppo e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, la promozione
dell’impiego di combustibili puliti e il ricorso a tecnologie per ridurre
l’inquinamento.
Negli ultimi anni le politiche energetiche nei Paesi Membri dell’Unione
Europea si sono focalizzate su due temi principali:
• risolvere i problemi ambientali connessi all’uso di fonti energetiche di
origine fossile ed in particolare alla riduzione delle emissioni dei gas
serra nei termini definiti dal Protocollo di Kyoto. In ambito europeo, la
Conferenza dei Ministri per l’ambiente di Lussemburgo ha fissato all’8%
per la UE e al 6,5% per l’Italia la quota di riduzione al 2008-12 delle
emissioni di gas serra rispetto al 1990;
• accrescere l’efficienza delle industrie energetiche e rendere più
competitivi i mercati dell’elettricità e del gas attraverso la definizione di
principi e regole comuni, senza danneggiare l’ambiente e sfruttare
eccessivamente le riserve.
Capitolo 1
20
Si è infatti assistito ad una progressiva eliminazione delle politiche
protezionistiche e di sussidio alla produzione di carbone in praticamente tutti
i Paesi produttori, all’introduzione di una carbon tax ed all’applicazione di
sistemi di sussidi per lo sviluppo delle fonti rinnovabili in diversi stati europei.
1.2.3 L’EVOLUZIONE della LEGISLAZIONE in ITALIA
La legislazione energetica ed ambientale-energetica regola la produzione, la
distribuzione e l’utilizzazione dell’energia, con finalità rivolte alla
razionalizzazione, in termini di efficienza, di salvaguardia dell’ambiente e di
mercato, vincolando o incentivando determinati comportamenti dei
destinatari (istituzioni, operatori pubblici e privati, singoli cittadini).
Nell’ordinamento giuridico nazionale si individuano poche norme a carattere
generale sull’energia. Si evidenzia invece una normativa energetica per
settori determinata da esigenze contingenti macroeconomiche e politiche e
non realizzata sulla base di una pianificazione debitamente integrata, con
criteri legati allo sviluppo tecnologico e all’analisi delle diverse realtà
territoriali. Questo rivela la mancanza di una disciplina organica e di un
coordinamento unitario, provocando un eccesso di regolamentazione,
incoerente e frammentaria.
Ad ogni modo l’assetto legislativo relativo al settore energetico risente,
anche se non completamente, di una progressiva integrazione nel sistema
comunitario (mercato dell’energia elettrica e del gas).
Secondo il Trattato di Maastricht, la politica ambientale, strettamente
connessa al settore energetico, è diventata materia di competenza
comunitaria, cui le politiche e misure nazionali devono coordinarsi.
1.2.3.1 La legislazione e pianificazione energetica
I Piani Energetici Nazionali (PEN) elaborati a partire dal 1975 (e a seguire
1977, 1981, 1986 e 1988), rappresentano il tentativo di elaborazione di una
Capitolo 1
21
politica energetica nazionale attraverso uno strumento programmatorio, ma
non di natura legislativa. Il PEN, infatti, ha valore giuridico differente nei
confronti della Pubblica Amministrazione (efficacia diretta), degli enti
energetici e di ricerca (efficacia mediata), delle Regioni e Autonomie locali
(quadro di riferimento).
Tra le caratteristiche fondamentali del PEN ’88 figura la simultanea
considerazione del risparmio e della diversificazione dell’energia e della
protezione dell’ambiente tra gli obiettivi da raggiungere. Si osservano gli
effetti negativi sull’ecosistema connessi con il ciclo dell’energia, individuando
nell’effetto serra un rischio reale di rottura dell’equilibrio naturale. Si
sottolineano inoltre gli impatti ambientali riferiti all’uso delle diverse fonti
rinnovabili: problemi di impatto paesaggistico e uso del territorio, alterazione
degli habitat e dei cicli idrogeologici, inquinamenti acustici, dell’aria e
dell’acqua.
La Legge n.308/82 contiene le ‘Norme sul contenimento dei consumi
energetici, lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e l’esercizio delle
centrali elettriche alimentate a combustibili diversi dagli idrocarburi’. Si tratta
di un primo strumento di incentivazione del settore energetico destinato alla
pluralità degli utenti. Comprende alcuni tratti innovativi quali la deroga alla
riserva assoluta di impresa dell’ENEL per la produzione di energia elettrica,
la considerazione di pubblico interesse e utilità dell’utilizzo delle fonti
rinnovabili, l’omologazione degli impianti per l’uso delle fonti rinnovabili e
l’avvio del processo di decentramento e programmazione regionale.
La Legge attuativa n.9/1991 definisce un nuovo quadro operativo dell’attività
in campo energetico, attraverso l’individuazione di una serie di impegni
normativi che fissano termini procedurali e temporali di norme regolamentari
e di direttive di successiva emanazione.
La Deliberazione CIP n.6/92 è uno dei provvedimenti della L.9/91, disciplina
i prezzi incentivati dell’energia elettrica relativi a produzione e cessione di
Capitolo 1
22
energia per conto dell’ENEL, variabili in base alle diverse tipologie di
impianto e ai rendimenti energetici previsti e definisce i criteri di efficienza
energetica in base ai quali una fonte può essere assimilata alle rinnovabili.
Questo incentivo ha consentito di raggiungere una potenza installata e
connessa alla rete pari a 2550 Mwe, favorendo la produzione, da parte di
privati, di energia elettrica da fonte rinnovabile. L’elevato valore complessivo
delle richieste di agevolazioni ha però determinato la sospensione del
provvedimento.
La liberalizzazione dei mercati è attualmente oggetto di regolazione da parte
dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas istituita dalla Legge n.481/95. La
politica dei prezzi e della privatizzazione del settore energetico è infatti
definita in accordo con gli orientamenti espressi dall’Unione Europea.
La Legge n.10/91 costituisce una formulazione organica di tutta la politica
degli incentivi in materia energetica, coprendo tutti i settori di utilizzazione e
trasformazione dell’energia, tutte le tipologie di impianto e le tecnologie più
avanzate, tutti i possibili operatori. Si è avviata una maggiore
concentrazione degli interventi nel settore del risparmio energetico e delle
fonti rinnovabili, affidando la gestione coordinata degli strumenti di intervento
alle direttive del Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica (CIPE).
Si consolida il ruolo delle Regioni che è previsto elaborino i Piani Energetici
Regionali in coordinamento con gli altri piani di competenza degli stessi enti
pubblici territoriali (regioni, province, comuni). Questi piani devono
contenere il bilancio energetico regionale, l’individuazione dei bacini
energetici territoriali, la localizzazione e realizzazione di impianti di
teleriscaldamento, l’individuazione e destinazione delle risorse finanziarie da
dedicare alla realizzazione di nuovi impianti per la produzione di energia. Si
impone inoltre alle istituzioni competenti di predisporre gli strumenti per la
semplificazione e la razionalizzazione delle procedure amministrative.
Capitolo 1
23
La Legge n. 59/1997 (‘Bassanini 1’) procede al conferimento alle Regioni e
agli Enti locali di ulteriori funzioni e compiti amministrativi di competenza
statale anche in campo energetico/ambientale, per una migliore conoscenza
dei bisogni delle comunità locali e per un’azione amministrativa più efficiente
e sollecita.
In accordo con le Leggi n.121/97 e n.191/98 (‘Bassanini 2’), si delinea la
costituzione di un nuovo sistema regionale ispirato ai principi di sussidiarietà
ed adeguatezza nell’individuazione delle funzioni da attribuirsi ai diversi enti
locali. La regione assume funzioni programmatorie di indirizzo,
coordinamento e controllo, mentre gli enti sub-regionali svolgono
essenzialmente funzioni gestionali.
Il Decreto Legislativo n. 112/1998 disciplina il conferimento di funzioni agli
Enti locali che, nell’ambito delle azioni di coordinamento e degli indirizzi
previsti dai Piani Energetici Regionali, dovranno: adottare programmi di
intervento per la promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio
energetico, autorizzare l’installazione e l’esercizio degli impianti per
produzione di energia, svolgere attività di verifica e controllo sull’uso
razionale di energia e sul rendimento degli impianti.
I PIANI ENERGETICI REGIONALI
L’importanza di detti piani regionali appare particolarmente incisiva e
urgente nel panorama legislativo nazionale e territoriale, se si tiene conto
delle nuove funzioni conferite alle regioni in materia di energia. I contenuti,
definiti dalla L.10/91, sono assai ampi e agevolano l’armonizzazione con gli
altri piani o progetti (a livello di provincia, comune e altro ente locale) per
l’individuazione e lo sviluppo attraverso sovvenzioni di tutte le fonti
rinnovabili, con riferimento particolare a quelle di cui la regione ha vasta
disponibilità. Dalle nuove disposizioni inoltre si evince che i piani regionali
energetici assumono posizione primaria (non più paritaria) rispetto agli altri
Capitolo 1
24
piani regionali. L’energia proveniente dalle varie fonti rappresenta infatti
un’attività secondaria indispensabile per lo svolgimento di tutte le attività
economiche, sociali e culturali e per l’armonizzazione del sistema socio-
economico favorendone lo sviluppo.
ACCORDO di PROGRAMMA QUADRO per la ‘Riduzione delle emissioni
climalteranti tramite uno sviluppo energetico sostenibile in REGIONE
LOMBARDIA’ stipulato dal Ministero dell’Ambiente, dalla regione Lombardia
e da soggetti privati il 21-01-1999
Il presente Accordo è finalizzato alla realizzazione di interventi per la
riduzione di emissioni nocive al clima (nell’ambito del Piano Regionale di
Qualità dell’Aria - PRQA) in attuazione ai riferimenti normativi specificati
nell’art.1, tra cui:
- il Protocollo di Kyoto relativo alla riduzione dei gas serra
- il Libro bianco della Commissione UE del 1997 propone l’obiettivo di
raddoppiare la quota di energia da fonti rinnovabili dal 6% al 12% entro il
2010, con un contributo delle biomasse del 75% sul totale
- Agenda 2000 per le politiche agricole sostenibili ed il mantenimento
dell’occupazione in agricoltura
- Leggi 9 e 10/91 relative alla liberalizzazione del mercato dell’energia
elettrica ed al finanziamento di fonti di energia assimilate
(cogenerazione)
- Legge 128/98 prevede l’incentivo ed il sostegno all’uso di energie
rinnovabili per la riduzione delle emissioni di CO2
- Reg. CEE 2080/92 relativo all’imboschimento di terreni agrari ed il
miglioramento delle superfici boscate esistenti
Si riconosce la forte dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili e dal petrolio e si
evidenziano i vantaggi economici, sociali e ambientali derivanti dall’uso delle
risorse rinnovabili, in particolare delle biomasse. Queste disponibilità
Capitolo 1
25
energetiche diffuse sul territorio inoltre consentono l’articolazione di politiche
infrastrutturali decentrate e condivise dalle popolazioni residenti
(autogoverno energetico connesso alla gestione del patrimonio territoriale
fruibile). Nell’art.7 si definiscono le categorie di combustibile comprese nel
termine biomassa:
Materiale proveniente da attività di gestione dei boschi
Sottoprodotti legnosi da segherie
Materiale proveniente da impianti legnosi a rapida crescita e turno breve
realizzati su terreni agricoli
Residui agricoli e agroindustriali
Le iniziative promosse, descritte nell’art.4, riguardano in particolare
l’incentivo dell’uso di combustibili rinnovabili nelle zone di produzione e la
realizzazione di impianti energetici alimentati a biomasse legnose derivanti
dalla gestione dei boschi e da colture agrarie no-food ubicate in Lombardia. I
criteri generali e tecnici di realizzazione di questo tipo di impianti, definiti
nell’allegato 1, sottolineano l’importanza di un coordinamento tra soggetti
pubblici e privati, dell’analisi preventiva delle disponibilità di biomassa da
superfici agrarie piantumate con cedui a ciclo breve su terreni limitrofi e della
riduzione degli impatti viari e distributivi dei combustibili legnosi e degli
output energetici. Si prospetta in termini di sviluppo, un inserimento
dell’iniziativa nell’ambito della filiera agro-forestale con particolare attenzione
ai bisogni occupazionali e una valutazione complessiva dei costi sociali
evitati e dei benefici ambientali indiretti.
Per la realizzazione degli obiettivi indicati dall’accordo è favorita la
sperimentazione di modelli territoriali di gestione forestale razionale,
compatibili con la tutela paesaggistica, lo sviluppo turistico e la
multifunzionalità dei boschi, come specificato nell’art.6.
Il costo per gli impianti energetici alimentati a biomassa previsto per il 1999
è di 150 Mld di Lire e per il 2000 di 100 Mld £.
Capitolo 1
26
Il PIANO ENERGETICO dell’AREA METROPOLITANA di MILANO (PEAM)
Il Piano redatto dalla Provincia di Milano si presenta come uno strumento di
pianificazione all’interno di una precisa politica della sostenibilità, per la
diminuzione dell’inquinamento derivato da fonti fisse e mobili attraverso la
riduzione dei consumi di energia e la diversificazione delle fonti.
I consumi energetici complessivi della Provincia sono stati di circa 11,4
milioni di tep al 1994 con un incremento del 18,5% rispetto al 1985 (pari
all’andamento medio nazionale).
La domanda energetica è soddisfatta dal petrolio e derivati per il 41%, dal
gas naturale per il 26% e dalla produzione di energia elettrica per il 33%,
mentre il contributo delle fonti rinnovabili è praticamente trascurabile.
Il Piano d’Azione proposto prevede degli interventi nel settore delle energie
rinnovabili in modo da poter sfruttare le potenzialità presenti sul territorio.
Sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate, utilizzabili nell’area
della Provincia, ai sensi della L.10/91: l’energia solare (a Milano si misurano
mediamente 1344 kWh/m2/anno), le risorse idrauliche della pianura irrigua e
del sistema dei Navigli, le fonti geotermiche tecnicamente ed
economicamente raggiungibili, la trasformazione dei rifiuti organici e
inorganici o di prodotti vegetali.
I settori dove si concentrano le maggiori possibilità di sfruttamento sono:
- la cogenerazione e il teleriscaldamento
- il risparmio energetico nel settore civile e dei trasporti, attraverso una
campagna di certificazione e controllo degli impianti termici
- il recupero energetico da rifiuti solidi urbani (RSU) e da biomasse: in
particolare il potenziale derivante dalle biomasse agricole mostra la più
alta concentrazione a sud della provincia, dove si ha la maggior
superficie agricola utilizzata.
Capitolo 1
27
Fig. 1.3 – Potenzialità da biomasse agricole nella Provincia di Milano
1.2.3.2 Tutela ambientale e produzione di energia
La politica ambientale ed energetica nazionale tendono a incrociarsi e a
divenire complementari per la necessità di minimizzare l’impatto negativo
sull’ambiente derivante dalle attività connesse al ciclo energetico. Come
stabilito anche dalla politica energetica comunitaria, si tende a subordinare
ogni azione in campo energetico all’esigenza di protezione e salvaguardia
dell’ambiente.
La prevalenza dell’interesse ambientale si rinviene anche nel DPR n.53/98
che disciplina i procedimenti relativi alla costruzione e all’esercizio degli
impianti per la produzione di energia elettrica che utilizzano fonti
convenzionali. L’autorizzazione ministeriale richiesta è prevista dal DPR
203/88 per le emissioni in atmosfera, la cui procedura si applica anche agli
impianti che utilizzano fonti rinnovabili o assimilate.
Capitolo 1
28
L’evoluzione del quadro di riferimento legislativo è determinata dal
recepimento delle numerose direttive comunitarie nell’ordinamento
nazionale. Anche il raggiungimento degli impegni per un’energia sostenibile
assunti dall’Italia in sede sovranazionale (protocollo di Kyoto) influenza il
contesto legislativo del settore, in quanto richiede una serie coordinata di
interventi normativi a livello centrale e regionale, con il concorso di adeguati
strumenti economici di supporto alla riconversione eco-compatibile del
sistema produttivo.
La delibera del Cipe del 19-11-1998, è stata realizzata dal Gruppo di lavoro
interministeriale per l’attuazione del protocollo di Kyoto, sulla base degli
indirizzi della delibera del Cipe del 3-12-97.
Le linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni
di gas serra definiscono il quadro di riferimento per l’elaborazione dei
programmi necessari ad assicurare la coerenza dell’Italia con gli impegni
sottoscritti alla Conferenza di Kyoto (6,5% di riduzione delle emissioni
rispetto al 1990 – ved. par.1.2.2).
In Italia la tendenza alla crescita delle emissioni dei gas serra al 2010 è del
12% circa rispetto al 1990, e del 16-17% limitatamente alla CO2 emessa dal
sistema energetico per combustione, come indicato in tabella 1.7.
Gas serra 1990 2010 tend. 2010 Kyoto
CO2 442,2 512 445
CH4 52,0 48 36
N2O 53,9 51 40
SF6+HFC+PCF 7,0 11 10
Totale 555,1 622 519
Tab.1.7 – Emissioni di gas serra in Italia nel 1990 e possibili evoluzioni al
2010 (in milioni di tonnellate equivalenti di CO2)
Capitolo 1
29
Tra le azioni nazionali stabilite per la riduzione delle emissioni dei gas serra,
riportate in tabella 1.8, si individuano in particolare l’aumento di efficienza
del sistema elettrico, l’assorbimento delle emissioni di carbonio dalle foreste
e la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Azioni nazionali Milioni di tonnellate di CO2
1. Aumento di efficienza del sistema elettrico -20/232. Riduzione dei consumi energetici nel settore
dei trasporti-18/21
3. Produzione di energia da fonti rinnovabili -18/204. Riduzione dei consumi energetici nei settori
industriale / abitativo / terziario-24/29
5. Riduzione delle emissioni nei settori non
energetici-15/19
6. Assorbimento delle emissioni di carbonio dalle
foreste≅ (-0,7)
TOTALE -95/112
Tab. 1.8 – Obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas serra da raggiungere
entro il 2008-2012
Il Libro Bianco della Commissione Europea del 1997 ritiene che lo sviluppo
delle fonti rinnovabili sia uno dei settori più promettenti in termini di
innovazione e creazione di nuova occupazione. Significative occasioni di
crescita in Italia sono legate alla possibilità, ancora in gran parte inesplorata,
di utilizzare la fonte geotermica, fotovoltaica e le biomasse (ved. fig.1.4).
All’impiego energetico delle biomasse sono connesse tre azioni positive: la
produzione di energia, l’aumento della superficie forestata e boschiva utile
per l’assorbimento del carbonio e il rafforzamento dei presidi naturali per la
difesa del suolo contro il dissesto idrogeologico.
Capitolo 1
30
Fig.1.4 – Produzione addizionale di energia elettrica da fonti rinnovabili entro
il 2010 in accordo con il Libro Bianco dell’EU e gli obiettivi del Governo
Italiano
Nel Piano Nazionale per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili
sono definiti incentivi e finanziamenti per la produzione di energia elettrica
da fonti rinnovabili; infatti spesso i progetti energetici-ambientali non sono di
per sè redditizi pur garantendo vantaggi in termini di minori emissioni di CO2.
La Conferenza Nazionale Energia e Ambiente del 1998 propone un nuovo
approccio alla politica energetica partendo dalla considerazione della
molteplicità degli attori in questo settore. In tale sede è stato sottoscritto il
Patto per l’Energia e l’Ambiente dal governo, dalle istituzioni regionali e
locali, dalle forze economiche e sociali e dagli utenti. Questo documento
individua gli indirizzi e gli obiettivi generali di un costruttivo e innovativo
rapporto tra le parti da realizzarsi attraverso un sistema di accordi volontari,
settoriali o specifici.
Si riconosce l’importanza per tutti i cittadini della disponibilità di energia per
uno sviluppo orientato ai criteri della sostenibilità e nel massimo rispetto dei
05
101520253035404550
Eolica Biomasse Idroelttrica Geotermica Fotovoltaica
%
Capitolo 1
31
valori ambientali, impegnando ciascuno nel proprio ruolo al raggiungimento
di traguardi ben individuati e verificati.
1.3 Il SETTORE ENERGETICO delle FONTI RINNOVABILI
Si definiscono fonti rinnovabili di energia quelle fonti che - a differenza dei
combustibili fossili e nucleari, destinati ad esaurirsi in un tempo finito -
possono essere considerate virtualmente inesauribili, in quanto hanno tempi
caratteristici di riproduzione paragonabili con quelli del loro consumo.
Esse comprendono l’energia solare, l’energia idraulica, del vento delle
biomasse delle onde e delle correnti. Sono inoltre considerate come tali
l’energia geotermica, presente in alcuni sistemi profondi della crosta
terrestre e i rifiuti, per la loro composizione e perché la loro produzione
inevitabile accompagna le attività dell’uomo.
Opportune tecnologie consentono di convertire la fonte rinnovabile in
energia secondaria utile, che può essere termica, elettrica, meccanica e
chimica.
1.3.1 TIPI di FONTI
Le future inevitabili restrizioni ambientali richiederanno un massiccio
sfruttamento dell’energia solare, in quanto praticamente esente da emissioni
di carbonio. Sarà necessario ricorrere a tutte le tecnologie di impiego, sia
convenzionali, come gli usi termici delle biomasse, l’idroelettrico e il
geotermoelettrico, sia nuove, come gli usi elettrici delle biomasse, il solare
termico e termodinamico, l’eolico e il fotovoltaico.
Poiché l’uso tradizionale delle vecchie fonti rinnovabili si trova vicino alla
saturazione, sia per motivi di disponibilità delle risorse (legna da ardere), sia
per questioni di impatto ambientale (idroelettrico), si può prevedere nel lungo
termine una crescente importanza delle nuove fonti rinnovabili.
Capitolo 1
32
Inoltre, dal momento che la domanda di energia elettrica è in continua
crescita in tutto il mondo, ci si può attendere in futuro una grande prevalenza
di applicazioni elettriche nella quota di mercato attribuibile alle fonti
rinnovabili. In linea con questa tendenza, dato il più maturo stato della
tecnologia, un significativo contributo per il medio termine dovrebbe
probabilmente venire dai nuovi usi delle biomasse, come specifiche
coltivazioni energetiche, e dal residuo sfruttamento delle risorse
idroelettriche.
1.3.2 ASPETTI POSITIVI e LIMITI
L’impatto sull’ambiente varia significativamente a seconda della fonte e della
tecnologia, ma in ogni caso è nettamente inferiore a quello delle fonti fossili,
in particolare per le emissioni di gas serra.
Attraverso un approccio di analisi del ciclo di vita di ogni tipo di fonte
rinnovabile per la produzione di energia elettrica, si può quantificare la
riduzione netta delle emissioni di CO2 e CH4 bilanciando le emissioni evitate
con la sostituzione ai combustibili fossili e tutte quelle relative alla
produzione e utilizzo delle rinnovabili.
Il metano è un potente gas serra, con un potenziale di riscaldamento globale
(GWP) 21 volte maggiore di quello del CO2 (su un orizzonte temporale di
100 anni).
Per quanto riguarda la discarica e l’inceneritore si considerano le emissioni
generate ed evitate dal recupero di energia dai rifiuti, non si include quindi il
trasporto all’impianto e le perdite di CH4 dalla discarica (che avverrebbero
ugualmente). L’idroelettrica, il fotovoltaico e l’eolico non generano
praticamente emissioni di CO2 durante il loro utilizzo, sono considerate solo
quelle relative alla fase di costruzione dell’impianto. Nel caso delle
Capitolo 1
33
coltivazioni energetiche l’anidride carbonica rilasciata è nuovamente
assorbita dall’atmosfera.
Fonti rinnovabili Riduzioni
CO2
Riduzioni
CH4
Riduzioni CH4
(in equiv. di CO2)
Riduzioni nette
emissioni
Discarica 365 117 2335 2830
Inceneritore RSU 348 60 1601 2083.5
Eolico 7.8 0 0 852.2
Idroelettr. (piccola scala) 8.6 0 0 851.4
Coltivazioni energetiche 50 0 0 810
Fotovoltaico 135 0 0 725
Tab.1.9 – Riduzione netta delle emissioni di CO2 e CH4 (in g/KWh) per le
fonti rinnovabili nella produzione di energia elettrica
Le fonti rinnovabili rappresentano una risorsa a basso impatto ambientale e
offrono opportunità di sviluppo economico e sociale, attraverso la creazione
di nuovi posti di lavoro e favorendo un più consapevole coinvolgimento del
territorio, oltre alla prevenzione dei fenomeni del dissesto, grazie alla loro
natura diffusa. La forza lavoro richiesta dal sistema energetico basato sulle
fonti rinnovabili risulta infatti, alla luce delle valutazioni preliminari, maggiore
di quella necessaria impiegando combustibili fossili; non ci sono però ancora
delle stime attendibili e generalizzabili sull’entità di tale contributo.
A fronte di queste caratteristiche positive, si devono considerare anche gli
aspetti negativi e i limiti tecnici-economici.
Questo tipo di fonti, soprattutto l’eolico e il solare, sono disponibili in modo
intermittente riducendo il cosiddetto ‘credito di potenza’: possono infatti
ridurre i consumi di combustibile nelle centrali convenzionali, ma non
sostituire completamente una pari potenza convenzionale senza addizionali
sistemi di accumulo. Ad esempio, la connessione diretta di generatori di
potenza elettrica intermittente e casuale a una rete elettrica convenzionale
può portare a rilevanti peggioramenti della stabilità del sistema.
Capitolo 1
34
Questo fatto si traduce nell’esistenza di un limite tecnico per la quantità di
potenza rinnovabile che può essere allacciata in rete.
Un altro serio limite per la diffusione di tali fonti è costituito dalla bassa
densità per unità di superficie impegnata, questo comporta la necessità di
impegnare rilevanti estensioni di territorio per la produzione di quantità
significative di energia. La disponibilità di adeguate superfici di terreno entra
in conflitto con gli usi agricoli del territorio. Questa limitazione è meno
rilevante per l’eolico e sostanzialmente trascurabile per il fotovoltaico rispetto
al solare; in quanto l’efficienza energetica è molto più alta e per la possibilità
di utilizzare delle zone agricole abbandonate o desertiche.
1.3.3 Il CONTRIBUTO delle FONTI RINNOVABILI in ITALIA
Nel 1996 le fonti rinnovabili hanno contribuito per circa il 17% al
soddisfacimento del fabbisogno energetico mondiale; nell’Unione Europea il
valore scende a circa 6% (ved.tab.1.4). Gran parte di questi contributi è
fornito dalle rinnovabili convenzionali: grande idroelettrico, uso tradizionale
delle biomasse e, in misura minore, geotermia; come illustrato in tabella
1.10.
1995 2010
TWh Mtep % % addizionale
rispetto al 1995
Idroelettrico 288 24,9 36,1 15
Biomassa 477 41,1 59,5 73
Eolico 2 0,2 0,3 3
Solare 3 0,3 0,4 3
Altri 29 2,5 3,7 6
TOTALE 799 69 100 100
Capitolo 1
35
Tab. 1.10 – Diffusione delle energie rinnovabili in Europa nel 1995 e target al
2010
In Italia, nel 1996, le fonti rinnovabili hanno coperto circa il 7,4% del
fabbisogno nazionale, con una quota di 12,73 Mtep. Il contributo deriva
principalmente dall’idroelettrico, per una piccola quota, dalla geotermia e
dall’uso domestico delle biomasse per la produzione di calore (ved.tab.1.10).
E’ ancora trascurabile il ricorso alle fonti rinnovabili non convenzionali:
fotovoltaico, solare, eolico, uso elettrico delle biomasse, biogas e rifiuti.
Il Libro Verde sulle fonti rinnovabili, curato dall’Enea in accordo con i
Ministeri dell’Industria, dell’Ambiente e dell’Università e della ricerca
scientifica e tecnologica, rappresenta la base di discussione per
l’elaborazione del Libro Bianco Nazionale. In questo documento – in
analogia e attuazione del Libro Bianco comunitario e in linea con le
scadenze previste dal protocollo di Kyoto – vengono individuati obiettivi e
strumenti per un significativo incremento dello sfruttamento delle rinnovabili
in Italia.
Le proposte indicate riguardano i seguenti aspetti:
1. Raddoppiare il contributo delle rinnovabili al 2010, portandolo a 24 Mtep
Considerando che il grande idroelettrico è ormai in saturazione a causa
dell’esaurimento dei siti per impianti di media e grande potenza, si ritiene
possibile, entro il 2010, incrementare la potenza elettrica alimentata a
rinnovabili di 8-9000 MW, mediante l’accordo di sfruttamento di piccolo
idroelettrico, geotermia a bassa entalpia, eolico, cogenerazione da
biomasse, biogas e rifiuti (ved. tab.1.11). Ancora modesto appare il
contributo fotovoltaico, che richiederà tempi più lunghi per conseguire la
maturità tecnico-economica.
L’incremento della produzione energetica da fonti rinnovabili contribuirà
Capitolo 1
36
per circa un quinto al rispetto degli impegni nazionali di riduzione delle
emissioni di gas serra previsti dal protocollo di Kyoto.
2. Costruire un sistema nazionale di settore articolato e organico
Si dovranno attuare iniziative in grado di rendere le fonti rinnovabili una
rilevante opzione energetica e di cogliere le opportunità offerte dalle
rinnovabili in termini di sicurezza e diversificazione degli
approvvigionamenti, dei benefici ambientali, delle ricadute occupazionali,
dei rapporti con i paesi in via di sviluppo. Si propone inoltre di istituire
una sede di coordinamento e di potenziare il ruolo delle Regioni e degli
enti locali.
3. Promuovere le attività di ricerca e sviluppo
L’esigenza di contenere l’impatto ambientale della produzione energetica
si accentuerà con il tempo, sospingendo verso una riduzione delle
emissioni di gas serra ben superiore a quella stabilita dagli impegni di
Kyoto. Si tratta , dunque, di incrementare l’efficienza di conversione e di
ridurre i costi delle fonti a più elevato potenziale, quali le biomasse e il
solare fotovoltaico, attraverso un potenziamento e una razionalizzazione
della ricerca tecnologica.
Capitolo 1
37
TECNOLOGIE 1996 1996 2010 2010 1996-2010
MWe Mtep MWe Mtep Increm.
Idroelet.>10MW
Idroelet.≤10MW
Geotermia elettr.
Eolico
Fotovoltaico
Biomasse elet.
Rifiuti elettr.
Totale elettrico
Geotermia term.
Solare termico
Biomasse termico
Rifiuti termico
Totale termicoBiocombustibili
13909
2159
512
69,7
15,8
171,9
80,3
16917,7
7,300
1,950
0,830
0,007
0,003
0,008
0,053
10,223
0,213
0,007
2,150
0,096
2,4660,045
14500
3300
1000
3000
300
2500
1000
25600
7,60
2,98
1,62
1,32
0,06
3,30
0,99
17,87
0,40
0,20
3,50
0,00
4,12,00
450 MW
1150 MW
500 MW
2900 MW
270 MW
2300 MW
930 MW
8500 MW(7,7 Mtep)0,2 Mtep
0,2 Mtep
1,4 Mtep
-
1,8 Mtep2,00 Mtep
Totale rinnovabili 16917,7 12,73 25600 23,97 11,5 Mtep
Fabbisogno naz. 172,80
% rinnovabili 7,37
Tab. 1.11 – Quadro di sintesi della diffusione delle tecnologie rinnovabili
in Italia nel 1996 e degli obiettivi al 2010
Capitolo 2
38
2 La VALORIZZAZIONE ENERGETICA delle
BIOMASSE
Con il termine generico ‘biomassa’ si intende una vasta tipologia di prodotti
comprendente le coltivazioni energetiche agricole e forestali, i residui agricoli
e forestali, gli scarti agroindustriali e industriali.
La composizione chimica varia a seconda del tipo considerato, ma consiste
fondamentalmente del 25% di lignina e del 75% di carboidrati, quali la
cellulosa e l’emicellulosa.
La biomassa è considerata materiale organico rinnovabile con elevato
potenziale energetico in quanto prodotto attraverso il processo di fotosintesi,
meccanismo di conversione dell’energia solare in energia chimica
immagazzinata. Il processo consiste nella trasformazione di CO2 e H2O in
zuccheri e ossigeno utilizzando l’energia fornita dalla radiazione solare:
CO2 + H2O + energia → [CH2O] + O2
Tra le fonti rinnovabili, le biomasse vantano potenzialità di forte interesse,
grazie ad una combinazione di vantaggi ambientali, economici e sociali
rispetto ad altre forme di produzione di energia, come descritto di seguito.
2.1 RECENTI SVILUPPI e RIFERIMENTI NORMATIVI
L’Unione Europea ha assegnato alle biomasse un ruolo trainante
prevedendo che, entro il 2010, le risorse da biomassa concretamente
sfruttabili a fini energetici potranno fornire un contributo pari al 10% del
totale dei consumi energetici dei Paesi comunitari (con una quota del 73%
del totale dell’energia prodotta da fonti rinnovabili), in accordo con quanto
stabilito nel Libro Bianco della Commissione Europea (ved. par.1.2.3.1 - 2).
La DG XII (Direzione Generale) della CE ha pubblicato inoltre un rapporto,
finanziato nell’ambito del programma di Ricerca e Sviluppo Tecnologico in
Capitolo 2
39
campo agricolo e agroindustriale (AIR), relativo al potenziale della biomassa
come combustibile per la produzione di energia. Uno degli obiettivi del
rapporto è quello di esaminare i costi dei combustibili fossili in termini di
danno ambientale e i vantaggi della biomassa in relazione all’ambiente, allo
sviluppo sociale e rurale.
Tra le politiche e misure europee nel settore dell’agricoltura e delle foreste,
alcune possono favorire lo sviluppo della filiera delle biomasse e la riduzione
delle emissioni di gas serra:
- Riforma della Politica Comune (promozione di agricoltura benigna,
schemi di aiuto agli investimenti agricoli, produzione di biomasse non
alimentari nei terreni set-aside)
- Ricerca e sviluppo in agricoltura e foreste
- Sviluppo rurale
- Foreste (afforestazione di terreni agricoli, prevenzione degli incendi,
protezione delle foreste dagli inquinanti atmosferici)
Tra i documenti di attuazione a questi indirizzi di azione, che influenzano
anche il settore dell’energia, sono stati redatti il Regolamento 2080/92 e
l’Agenda 2000. Queste direttive contengono dei riferimenti ai tipi di sostegni
alla silvicoltura nelle zone rurali, con particolare attenzione alle coltivazioni
arboree a rapida crescita; le norme e i criteri di finanziamento sono descritti
nel capitolo 3.
Allo stato attuale l’utilizzo delle biomasse in Italia è assai limitato e risulta
pari a circa il 2% del fabbisogno totale di energia (173 Mtep), ma è prevista
una crescita nei prossimi anni fino al 4-5% (ved.par.1.3.3).
In Italia l’interesse nello sviluppo del settore delle biomasse come fonte di
energia e per prodotti chimici e industriali è aumentato in questi ultimi anni.
Questa maggiore attenzione allo sviluppo di una politica ‘bioenergetica’
sostenibile è motivata, oltre che dagli impegni comunitari, anche da una
serie di condizioni socio-economiche: una forte dipendenza energetica
Capitolo 2
40
dall’estero, un rilevante deficit per i prodotti agricoli e forestali, presenza di
diversi scarti agroindustriali, un surplus di terre agricole, terreni marginali con
rischi idrogeologici e di desertificazione, alta disoccupazione e abbandono
delle zone agricole. I principali obiettivi perseguiti riguardano quindi il
risparmio energetico, lo sviluppo di risorse energetiche nazionali e la
diversificazione delle fonti.
In questo scenario il contributo delle biomasse risulta determinante, in
quanto questo tipo di risorsa è attualmente sfruttata solo per il 25% del reale
quantitativo disponibile, soprattutto nel settore dei residui agricoli e forestali.
I fattori critici per l’utilizzo e lo sviluppo delle biomasse per la produzione di
energia elettrica riguardano l’incertezza delle stime sugli approvvigionamenti
di materia prima, un panorama legislativo poco organico, le complicate
procedure burocratiche, l’opposizione della popolazione, la mancanza di
investitori in questo nuovo settore e quindi l’assenza di tecnologie innovative
ed efficienti.
Il successo e la convenienza economica di questa fonte si può ottenere,
grazie ad un coordinamento delle iniziative normative e di pianificazione,
attraverso l’organizzazione di un sistema integrato di infrastrutture e di
servizi dalla produzione/raccolta della risorsa alla distribuzione dell’energia
agli utenti e attraverso il potenziamento di accordi tra le parti e i settori
coinvolti.
Il sistema di incentivazione per le energie rinnovabili è ancora in fase di
elaborazione; il Cip 6/92 è stato abrogato per inadeguate disponibilità
finanziarie e in quanto si riteneva introducesse distorsioni nel libero mercato
dell’energia (ved.par.1.2.3.1).
In linea con la nuova strategia energetica comunitaria e nazionale, nella
delibera del Cipe del 1997 (ved.par.1.2.3.2) sono indicati gli indirizzi di
azione normativa settoriale energetica in coordinamento con gli altri settori
Capitolo 2
41
interessati. Si prevede la realizzazione di programmi nazionali per la
valorizzazione delle biomasse agricole e forestali, l’elaborazione di norme
per l’uso delle biomasse e dei biocarburanti, per il miglioramento degli
standard di efficienza energetica (ved. tab.2.1 – 2.2).
Tutti i settori CO2 (Mt/a) Investim. (Mld) Sussidi (Mld)
Rinnovabili (biomasse) 11,6 (3,2) 20500 (7400) 5700 (1800)
Energia 14,3 16180 2500
Industria 28,2 13450 2600
Civile e residenziale 26,0 11200 -1000
Mobilità e trasporti 26,0 60550 4900
Agricoltura e foreste 13,2 20060 14060
Rifiuti 21,1 200 150
TOTALE 140,4 162140 28910
Tab. 2.1 – Quadro riassuntivo degli interventi di mitigazione previsti dalla
Delibera Cipe del 1997, quantificazione del contributo di riduzione,
valutazione dei costi e dei sussidi
Le azioni descritte nella delibera, in attuazione al protocollo di Kyoto, sono
solo delle linee guida nel quadro normativo nazionale; sono necessarie altre
norme che includano azioni per lo sviluppo dei settori non energetici dei
rifiuti, dell’agricoltura e delle foreste (in modo da recepire le direttive europee
descritte precedentemente) e per l’incentivazione di opzioni poco costose e
che offrono molti benefici aggiuntivi (ambiente locale, innovazione,
competitività), come indicato in tabella 2.2.
La necessità principale per una maggiore efficienza energetica in questi
settori è quella di orientare la ricerca agricola non più all’incremento di
produzione, ma ai processi produttivi, al miglioramento della qualità
ambientale, alla gestione del territorio agro-forestale nei suoi molteplici
aspetti, per l’identificazione delle potenzialità produttive e della vulnerabilità
ambientale di ogni area.
Capitolo 2
42
Agricoltura e foreste CO2 (Mt/a) Investim. (Mld) Sussidi (Mld)
Coltivazioni energetiche:
biocarburanti
6,0 12000 10000
Coltivazioni energ.: biomasse
per elettrico-calore
5,5 8000 4000
Allevamenti agricoli: riduz.CH4 1,0 60 60
Riforestazione, afforestazione 0,7 n.d. n.d.
TOTALE AGRICOLTURA 13,2 20060 14060
Tab. 2.2 – Azioni previste nel settore agricoltura e foreste dalla Delibera
Cipe del 1997
Questi obiettivi sono raggiungibili con una pianificazione locale in grado di
organizzare interventi mirati al territorio, secondo le strategie e politiche
nazionali e comunitarie. La biomassa è una risorsa distribuita sul territorio la
cui convenienza è fortemente determinata dai costi di trasporto. Le azioni di
pianificazione da parte degli enti locali dovrebbero individuare le aree adatte
alla produzione di biomassa (marginali dal punto di vista agricolo e set-
aside) entro un raggio di alcune decine di km dai centri produttivi e urbani, le
più appropriate tecnologie di trattamento adeguando gli standard produttivi e
i controlli di qualità a quelli europei, e favorire il coinvolgimento e la
partecipazione della popolazione assicurando benefici diretti e indiretti.
Nell’accordo di programma quadro del 21-01-1999 del Piano Energetico
della Regione Lombardia (ved.par.1.2.3.1) si sottolinea l’importanza di una
gestione coordinata delle risorse agroforestali per scopi energetici.
Il Programma Pluriennale Regionale attuativo del Regolamento CEE
2080/92 redatto dalla Regione Lombardia e approvato nei primi mesi del
1999, eroga contributi ai conduttori di terreni agrari per la piantumazione di
specie legnose agrarie e per la manutenzione dei boschi esistenti
(ved.cap.3).
Capitolo 2
43
2.2 TIPOLOGIE di BIOMASSE
La biomassa ligneo-cellulosica può avere diverse origini:
- residui agricoli, forestali, dell’agro-industria, dell’industria del legno e
della carta
- colture energetiche
I sottoprodotti agricoli e i residui forestali quali paglie, stocchi, sarmenti di
vite, ramaglie di potatura, potrebbero garantire l’autosufficienza energetica di
un gran numero di aziende agricole a costi di gran lunga inferiori rispetto a
quelli derivanti dall’uso dei combustibili fossili. La valorizzazione energetica
dei residui delle utilizzazioni forestali e degli interventi di manutenzione del
bosco può contribuire a migliorare il bilancio economico delle operazioni
selvicolturali, creando nel contempo nuove opportunità per le comunità
montane.
I residui vegetali agroindustriali e industriali sono costituiti da sanse, vinacce,
noccioli, lolla di riso provenienti dall’industria alimentare e da scarti
(corteccia, sfridi, truciolato, ecc.) dell’industria del legno; sono la fonte di
biomassa attualmente più utilizzata per scopi energetici. Sono generalmente
disponibili a basso prezzo, talvolta in grandi quantità; si prestano
particolarmente all’utilizzazione presso le stesse aziende produttrici, quali
riserie, distillerie, segherie, oleifici.
Le colture energetiche sono costituite da piante coltivate espressamente per
uso energetico o per la realizzazione di biocombustibili. Comprendono sia le
produzioni agricole di biomasse non legnose (sorgo da fibra, miscanto,
canna comune, girasole, ecc.) sia le piantagioni forestali di pioppo, acacia,
eucalipto e salice a rapidissimo accrescimento e a turni brevi (2-4 anni),
conosciute a livello mondiale come SRF (Short Rotation Forestry). Sono
ancora poco diffuse e il costo della biomassa così prodotta è più alto rispetto
Capitolo 2
44
a quello dei residui. Tuttavia le colture energetiche hanno a loro favore un
potenziale produttivo di biomassa superiore rispetto ai residui e la capacità
di adattare meglio l’offerta di mercato alla domanda. Possono inoltre
determinare benefici ambientali contribuendo a ridurre l’erosione dei suolo
agricolo e il dilavamento dei nutrienti, preservando così la qualità delle
acque superficiali e di falda.
Nel caso delle colture erbacee le tecniche di coltivazione e raccolta si
avvalgono di macchine agricole convenzionali opportunamente modificate;
per le piante legnose la meccanizzazione è più complessa e richiede la
costruzione di macchine specifiche, allo studio o in fase di prototipo.
Le colture più promettenti sono quelle perenni, sia erbacee sia legnose, (ad
esempio, canna, miscanto, pioppo). Il costo di produzione della biomassa da
queste piante è inferiore a quello delle colture a ciclo annuale; anche il
bilancio energetico è più favorevole in quanto queste colture sono meno
esigenti in termini di lavorazioni del terreno e interventi di coltivazione.
2.3 PRINCIPALI UTILIZZI e TRATTAMENTI
La biomassa è diversa dagli altri combustibili fossili in quanto è piuttosto
variabile nella pezzatura, forma, composizione chimica, scorie e potere
calorifico.
I combustibili che maggiormente si prestano alla generazione di energia
sono costituiti dai residui che presentano un sufficiente potere calorifico, un
ridotto contenuto di umidità (altrimenti inibisce la combustione con relativa
perdita di energia) ed un elevato rapporto tra i contenuti di carbonio e azoto.
Il modesto contenuto termico della biomassa in confronto a quello dei
combustibili fossili è dovuto al suo contenuto di ossigeno in combinazione
con il carbonio e l’idrogeno, in quanto il materiale è come se fosse già
parzialmente ossidato. Tra le biomasse più adatte all’applicazione
energetica risultano particolarmente idonee il legno e i suoi derivati, i
sottoprodotti colturali di tipo ligno-cellulosico e alcuni scarti agroindustriali.
Capitolo 2
45
Le biomasse si caratterizzano per la possibilità di stoccaggio (che le
distingue dalle altre fonti rinnovabili) e per la loro flessibilità essendo idonee
ad alimentare diversi comparti utilizzatori; possono essere recuperate e
convertite in energia elettrica, in calore (o entrambe attraverso
cogenerazione) e in prodotti chimici sostitutivi di derivati del petrolio
(biocarburanti).
L’utilizzo di questa fonte di energia rinnovabile come combustibile è legato a
diverse soluzioni tecnologiche ma, comunque, la conversione energetica
delle biomasse deve comportare un processo di combustione:
- direttamente del materiale solido mediante forno a letto fluido o a griglia
per la produzione di calore e/o con produzione di vapore, quindi di
energia elettrica mediante turbine a vapore; per impianti di elevata
capacità un’alimentazione diretta con biomasse è poco idonea e non
conveniente economicamente
- dopo un trattamento fisico del materiale consistente nei processo di
selezione, frantumazione, compattamento e/o essicazione
- successivamente ad una trasformazione intermedia termochimica (pirolisi
e gassificazione), biochimica (biogas, bioetanolo) o chimica (biodiesel,
hydrocracking) del combustibile solido in combustibile liquido o gassoso.
Il processo di pirolisi consiste nella degradazione termica a 300-500°C del
materiale originale in assenza di aria, attraverso l’apporto diretto o indiretto
di calore. Si produce principalmente un liquido (biolio), con un potere
calorifico paragonabile a quello dell’olio, che può essere utilizzato come
combustibile dopo opportuna raffinazione.
Durante la gassificazione si realizza una combustione parziale (ossidazione
incompleta) della biomassa in difetto di ossigeno/aria. Solo una parte del
materiale sottoposto a trattamento brucia, producendo calore sufficiente per
la decomposizione termica di quello restante. I prodotti gassosi finali non
Capitolo 2
46
sono completamente e posseggono pertanto un loro proprio potere
calorifico. I principali costituenti del gas risultante sono il monossido e
biossido di carbonio, l’idrogeno, il metano e l’azoto, in proporzioni variabili
che dipendono dalle condizioni di processo e se si utilizza ossigeno o aria.
Il gas ottenuto viene depurato e può essere bruciato in caldaie convenzionali
oppure utilizzato in turbine in un ciclo combinato (IGCC) per il
funzionamento di un generatore elettrico o nel caso di cogenerazione.
Le esperienze più consolidate si riferiscono all’impiego di alcoli (metanolo ed
etanolo) sfruttando esclusivamente la presenza di zuccheri elementari o
dell’amido nella biomassa di origine e dei loro esteri (biodiesel) dalla
frazione oleaginosa delle piante; sono utilizzati come combustibili in motori
diesel. Il metanolo (CH3OH) è un idrocarburo liquido e si può ottenere dalla
gassificazione della biomassa in presenza di ossigeno; infatti il gas che si
ottiene è costituito principalmente da H2, CO e CO2, se si depura del
biossido di carbonio si ottiene un gas di sintesi da cui è possibile sintetizzare
qualsiasi idrocarburo. Questa tecnologia non è ancora diffusa, in quanto
coinvolge dei complessi processi chimici ad alte temperature e pressioni in
impianti costosi, ma il prodotto che si ottiene è un valido sostituto del
gasolio.
L’etanolo (C2H5OH) si ottiene dalla fermentazione (processo biologico
anaerobico) in cui gli zuccheri sono convertiti in alcoli dall’azione di
microorganismi; sono utilizzate biomasse zuccherine, quali la barbabietola e
canna da zucchero, il sorgo zuccherino.
Il biodiesel è un prodotto che si ottiene a partire da oli vegetali e, in
patricolare, dagli oli di colza, di girasole e di soia. Chimicamente è un estere
metilico ottenuto facendo reagire l’olio di colza o girasole con il metanolo.
Per 1 kg di biodiesel servono circa 0.1 kg di metanolo ottenendo, in
aggiunta, 0.1 kg di glicerina. Si può quindi affermare che il prodotto è
originato per il 90% da materie prime rinnovabili.
Capitolo 2
47
L’interconnessione tecnologica tra biomasse e prodotti energetici finali è
rappresentata in figura 2.1.
RISORSE CONVERSIONE COMBUSTIBILI PRODOTTI
FINALI
Residui:
- forestali
- agricoli
- industriali
Fisica:
- produzione di
trucioli
- compattamento
- essicamento
Solidi:
- trucioli
- pellets
- briquettes
- carbone
Coltivazioni
energetiche
arboree ed
erbacee
Termochimica:
- pirolisi
- gassificazione
Combustibili
gassosi
Calore/vapore
Elettricità
Coltivazioni
zuccherine
ed amidacee
Biologica:
- fermentazione
- digestione
Combustibili
liquidi
Trasporti
Coltivazioni
oleaginose
Fisica:
- macinazione
Fig. 2.1 – Tecnologie per l’impiego delle biomasse a scopi energetici
2.4 BENEFICI e IMPATTI delle BIOMASSE
Un maggior uso energetico delle biomasse potrebbe produrre consistenti
benefici ambientali, occupazionali e di politica energetica.
Capitolo 2
48
Per quanto riguarda i benefici ambientali, le biomasse coltivate in modo
ciclico sono neutre per l’effetto serra poiché il biossido di carbonio (CO2)
rilasciato durante la combustione viene riassorbito dalle piante stesse,
durante la crescita, mediante il processo di fotosintesi. Il basso contenuto di
zolfo e di altri inquinanti permette di eliminare completamente le emissioni di
anidride solforica e solforosa e di contribuire ad alleviare il fenomeno delle
piogge acide. Inoltre le minori temperature di combustione raggiunte rispetto
all’utilizzo di combustibili fossili permette di avere basse emissioni di ossidi di
azoto.
Consistenti benefici ambientali a livello locale possono derivare da
specifiche filiere per l’energia da biomasse. Ad esempio, il recupero dei
residui forestali contribuisce a ridurre il rischio di incendio e a migliorare le
condizioni dei boschi. L’asportazione delle ramaglie di potatura dei frutteti e,
in generale, dei sottoprodotti agricoli in alternativa alla bruciatura sul campo
o all’interramento riduce anch’essa il rischio di incendio, l’inquinamento
dell’aria o la propagazione di agenti patogeni dai frammenti legnosi sparsi
sul terreno, come riportato in tabella 2.3. Lo sviluppo delle colture
energetiche permette di valorizzare i terreni incolti (esclusi dalla produzione
secondo le disposizioni comunitarie), contribuisce a ridurre l’erosione del
suolo agricolo, il rischio idrogeologico e il dilavamento dei nutrienti.
Part SOx NOx HC CO CO2 CH4
Bruciatura
nei campi
2.10 0.58 3.19 3.34 28.76 1398 -
Discarica - - - 1.33 - 1064 98.74
Sfruttamento
Energetico
0.22 0.04 0.90 0.227 4.67 1318 -
Tab. 2.3 – Emissioni prodotte nelle pratiche più diffuse di smaltimento delle
biomasse (kg/ton)
Capitolo 2
49
I benefici occupazionali derivano dal fatto che le diverse fasi del ciclo
produttivo del combustibile da biomassa, di origine agricola o forestale,
creano posti di lavoro e favoriscono la rivitalizzazione di questi settori
attraverso la creazione di nuovi mercati e nuove opportunità imprenditoriali.
Anche l’industria collegata alle tecnologie di conversione energetica
potrebbe trarre un considerevole beneficio occupazionale.
I benefici per la politica energetica sono dovuti al fatto che l’energia delle
biomasse contribuisce a ridurre la dipendenza dalle importazioni di
combustibili fossili e a diversificare le fonti di approvvigionamento
energetico. Inoltre la sostituzione di combustibili fossili con biomasse
vegetali può fornire un contributo al conseguimento dell’obiettivo di riduzione
delle emissioni in atmosfera di gas serra.
Una produzione di larga scala di colture energetiche deve essere
adeguatamente gestita in modo da evitare effetti ambientali negativi, quali la
riduzione della biodiversità, la perdita di nutrienti per i suoli e il potenziale
incremento di fertilizzanti e pesticidi per le coltivazioni intensive.
Per un migliore inserimento nel sistema agricolo-forestale del territorio è
possibile integrare le colture energetiche con la vegetazione indigena;
questo riduce l’impatto visivo ed evita la diffusione di malattie per le piante di
una stessa specie.
Il riciclo dei residui di combustione nel terreno della coltivazione permette di
mantenere la fertilità del suolo che necessita non solo del carbonio
contenuto nella biomassa, ma anche del potassio, del fosfato, dell’azoto e di
altri componenti delle ceneri e di ridurre l’input di fertilizzanti chimici.
La razionalizzazione delle operazioni di raccolto e delle cure colturali inoltre
permette di minimizzare l’utilizzo di risorse energetiche convenzionali (quali il
combustibile per i macchinari e i fertilizzanti) e ottimizzare il bilancio
energetico.
Capitolo 2
50
2.4.1 LIMITI alle EMISSIONI
Il Decreto n.22/97 (‘Decreto Ronchi’) rappresenta la legislazione base per la
gestione dei rifiuti e include le direttive europee per il materiale riciclabile, i
rifiuti da imballaggi e i rifiuti pericolosi. Gli atti attuativi del decreto hanno
stabilito una serie di restrizioni per l’utilizzo di qualsiasi tipo di rifiuto,
compresi quelli ligno-cellulosici. Sono definiti la taglia minima dell’impianto di
recupero energetico, i limiti di emissione (riportati in tabella 2.4) e l’efficienza
di conversione termica ed elettrica; inoltre sono necessari permessi per la
costruzione e il funzionamento degli impianti, ottenibili attraverso complesse
procedure, come se si trattasse di rifiuti pericolosi.
Inquinanti Limiti di emissione (valori medi giornalieri
espressi in mg/m3)
Particolato 10
CO 50
HCl 10
HF 1
NOx 200
SO2 50
Tab. 2.4 – Limiti di emissioni stabilite dal Decreto Ronchi
Queste norme sono applicate anche alle biomasse di varia origine,
assimilate ai rifiuti urbani ed in alcuni casi (residui trattati dall’industria del
legno) ai rifiuti pericolosi; questa normativa ha quindi rallentato la diffusione
delle tecnologie per il trattamento delle biomasse vegetali, penalizzando
soprattutto gli impianti di piccole e medie dimensioni.
Per questo motivo è stato organizzato un gruppo di lavoro dell’ITABIA
(Italian Biomass Association) in collaborazione con il C.T.I. (Comitato
Capitolo 2
51
Termotecnico Italiano) e coinvolgendo diversi attori, per elaborare delle
proposte concrete da presentare ai decisori politici. Le principali indicazioni
di modifica delle norme riguardano una classificazione delle biomasse
(distinguendo tra rifiuti vegetali, residui ligno-cellulosici e altri rifiuti), la
dimensione e le caratteristiche degli impianti, i valori delle emissioni distinti
per taglia di impianto, il recupero energetico secondo le migliori tecnologie
disponibili per il trattamento delle biomasse.
2.5 Le COLTIVAZIONI ENERGETICHE a BREVE ROTAZIONE
Le coltivazioni energetiche a breve rotazione (SRF, Short Rotation Forestry)
sono piantagioni di specie arboree caratterizzati da una elevata densità di
impianto, variabile da un minimo di 1000 fino a circa 25000 piante/ha,
condotte secondo criteri agronomici relativamente intensivi e con turni
variabili di taglio solitamente inferiori ai 5 anni e finalizzate alla produzione
energetica.
Le specie ritenute più adatte per le coltivazioni di SRF in Italia, attualmente
in fase di studio, sono le latifoglie a rapido accrescimento: pioppo, salice,
robinia ed eucalipto. La buona capacità di ricrescita dai ceppi tagliati di
queste piante inoltre permette di evitare di ripiantare dopo ogni raccolto e
quindi di risparmiare sui costi di gestione.
Le caratteristiche e il protocollo colturale di queste coltivazioni sono spiegati
dettagliatamente nel capitolo 3.
Queste attività necessitano di un background di esperienze puntuali di
carattere sia sperimentale che pratico-applicativo in grado di fornire
indicazioni precise circa la produttività degli impianti e le migliori
Capitolo 2
52
combinazioni possibili dei fattori colturali. Sono inoltre favorite da una
efficace azione politica a livello nazionale e di una accurata pianificazione
territoriale per il necessario coordinamento tra domanda ed offerta e per
ottimizzare tutti i diversi aspetti del ciclo produttivo.
Nei paesi in cui sono state già intraprese su larga scala (Svezia con 15000
ha di piantagioni, Brasile, Filippine) il successo economico degli impianti è
apparso strettamente connesso anche alla disponibilità di contributi
finanziari in grado di ridurre i costi di produzione; pertanto, detti incentivi
sono da ritenersi indispensabili per orientare i proprietari verso queste
produzioni non alimentari.
2.5.1 EFFETTI AMBIENTALI e SOCIALI
Su scala globale, le conseguenze ambientali della produzione e dell’utilizzo
di queste colture sono decisamente positive, in quanto la loro diffusione non
incide sul bilancio globale termico e dell’anidride carbonica. Si ha infatti una
riduzione delle emissioni nette di CO2 mediante la parziale sostituzione dei
combustibili fossili con biomassa ligno-cellulosica. Non si ha praticamente
inquinamento dovuto allo zolfo poiché il suo contenuto nella biomassa è
minimo; anche il contenuto di metalli pesanti è trascurabile e la temperatura
di combustione non è abbastanza alta da produrre NOx in quantità rilevanti.
Altri vantaggi riguardano la rinnovabilità della risorsa è la possibilità di riciclo
dei residui.
A livello locale, i cedui possono avere ricadute ambientali di diverso tipo, in
relazione anche alla destinazione dei terreni precedente alla realizzazione
degli impianti.
I benefici ambientali possono essere notevoli qualora i cedui a breve
rotazione siano realizzati su terreni marginali o sostituiscano colture agricole
tradizionali (terreni set-aside), ad alto input tecnologico.
Capitolo 2
53
Si può infatti ottenere una riduzione dell’immissione di prodotti chimici
nell’ambiente e quindi protezione della qualità delle acque, un minor uso di
macchinari agricoli e un miglioramento delle caratteristiche pedologiche
stazionali dovuto ad un aumento della sostanza organica e ad un
miglioramento della struttura dei suoli. Si favorisce la prevenzione del
fenomeno di erosione utilizzando le coltivazioni come barriere di protezione
dal vento e si migliora il microclima.
Inoltre, nelle aree agricole intensive una certa diversificazione colturale può
avere effetti positivi di carattere biologico (diversificazione degli habitat per
gli animali selvatici e biodiversità) ed economico (riduzione dei rischi
colturali).
La presenza di sistemi radicali favorisce un efficiente uso dei nutrienti e i
lunghi periodi vegetativi determinano una minore necessità di azoto e altri
fertilizzanti. Alcune specie vegetali ‘metallofite’ possono essere anche
utilizzate come decontaminanti ambientali dai metalli pesanti attraverso il
processo di fitoestrazione, per cui le piante sono in grado di ‘iperaccumulare’
gli inquinanti nelle parti aeree rimuovendoli dal terreno e dalle acque.
Questo utilizzo delle coltivazioni viene a coniugarsi con la valorizzazione
estetica del paesaggio in ambienti altrimenti difficilmente recuperabili e
fruibili.
Nei terreni marginali le SRF permettono di tenere sotto controllo lo stato di
questi suoli, limitando i fenomeni di degrado e di reintrodurli nel ciclo
produttivo. I terreni marginali infatti sono quelle aree nelle quali la
maggioranza delle aziende agricole non è produttiva; non sono incluse
quindi in una prospettiva di esercizio agricolo intensivo e potrebbero essere
riqualificate con utilizzazioni migliori e più convenienti rispetto a quella
agricola.
Se gli impianti sostituiscono altre colture caratterizzate da minori input
chimici o sono inserite in zone occupate da coltivazione non agricola (es.
aree golenali non coltivate, aree forestali) le conseguenze possono essere
Capitolo 2
54
negative in relazione ad un generale scadimento della qualità ambientale
locale. Queste situazioni possono, almeno in parte, modificarsi in relazione
alla disponibilità di tecnologie in grado di ridurre gli input chimici necessari
(selezione di varietà resistenti alle principali avversità).
Nelle aree acclivi, cedui con turni molto brevi (inferiori ai 3-4 anni), possono
favorire l’erosione del suolo a causa dei frequenti periodi di scopertura del
terreno.
In generale, si devono considerare alcuni aspetti problematici nella
realizzazione e gestione di queste coltivazioni.
La disponibilità di aree dipende dalla pianificazione e dall’uso esistente ed è
quindi un fattore limitante; queste piantagioni possono produrre
modificazioni dell’assetto territoriale di notevole ampiezza.
Le colture energetiche necessitano infatti di superfici estese (centinaia o
migliaia di ettari) ed accorpate sul territorio in prossimità degli impianti di
trasformazione, per soddisfarne le necessità di approvvigionamento senza
un eccessivo aggravio dei costi di trasporto. Questo può incidere
negativamente sul livello di biodiversità in ambito locale a causa dell’utilizzo
di monocolture e specie non indigene.
Per contrastare una possibile riduzione della complessità biologica e
mitigare l’impatto paesaggistico, gli esperti consigliano di diversificare il più
possibile la composizione specifica degli impianti e di lasciare, all’interno del
comprensorio investito con le piantagioni, nuclei sufficientemente estesi di
vegetazione naturale collegati con corridoi ecologici per consentire lo
spostamento delle specie animali. Per quanto riguarda le vie di accesso ed i
percorsi utilizzati per le operazioni di manutenzione e taglio, è preferibile che
assumano un andamento rispettoso della morfologia locale e, nel caso di
rilievi, non devono essere poste lungo le linee di massima pendenza.
Le piantagioni monocolturali inoltre possono essere particolarmente
soggette a malattie e infestanti.
Capitolo 2
55
E’ importante che le coltivazioni abbiano dimensioni non eccessive rispetto
al territorio circostante, si ritiene ottimo un rapporto di scala del 5-10%
(Sage, Roberton e Poulson).
Devono essere quindi analizzati sia i fattori ambientali (flora, fauna) sia quelli
antropici (insediamenti, viabilità) e sociali, secondo il criterio della
polivalenza e il principio di sviluppo sostenibile.
A livello sociale, le coltivazioni possono dare un contributo importante
relativo alla creazione di nuovi posti di lavoro, in particolare nelle aree
depresse e soggette ad abbandono. Le SRF richiedono manodopera nella
stagione invernale (quando gli altri tipi di lavoro agricolo sono limitati) e
assicurano così una continuità di impiego durante tutto l’arco dell’anno.
Se attraversate da percorsi sportivi (mountain bike, passeggiate) e didattici
(bird-watching …), le coltivazioni svolgono una funzione ricreativa e possono
essere usufruite dalla popolazione.
I terreni adiacenti a strade trafficate sono molto esposti alle emissioni
derivanti dal flusso automobilistico. La vegetazione che cresce in queste
zone assorbe ed accumula una quantità di sostanze inquinanti (zolfo,
piombo, ecc.) tale da rendere queste piante non adatte all’utilizzo alimentare
(umano o animale). Le coltivazioni ad uso energetico forniscono protezione
dall’inquinamento particellare ed acustico dovuto al traffico, permettendo di
utilizzare al meglio le aree stesse e quelle limitrofe.
2.5.2 QUADRO NORMATIVO
Una normativa specifica nazionale riguardante le coltivazioni energetiche
non esiste ancora, ma a livello di direttive europee (Agenda 2000 e
Regolamento 2080/92) vi sono delle indicazioni sui possibili sviluppi e
incentivi al settore agricolo e della silvicoltura.
Capitolo 2
56
L’Agenda 2000 è un regolamento CEE sul sostegno allo sviluppo rurale da
parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia e può
riguardare, come indicato nell’art.2:
- il miglioramento delle strutture nelle aziende agricole e delle strutture di
trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli
- la riconversione e il riorientamento dei potenziali di produzione agricola
(set-aside), attraverso l’accantonamento dei seminativi e
l’estensivazione; l’introduzione di nuove tecnologie e il miglioramento
della qualità dei prodotti
- l’incentivazione degli investimenti connessi alla produzione non
alimentare
- uno sviluppo forestale sostenibile
- la diversificazione delle attività al fine di sviluppare attività complementari
o alternative
- il mantenimento e il consolidamento di un tessuto sociale vitale nelle
zone rurali
- lo sviluppo di attività economiche, il mantenimento e la creazione di posti
di lavoro allo scopo di garantire un migliore sfruttamento del potenziale
esistente
Per quanto riguarda gli aiuti al settore forestale, sono particolarmente
interessanti alcune misure indicate nell’articolo 28:
investimenti diretti a migliorare e razionalizzare il raccolto, la
trasformazione e la commercializzazione dei prodotti della silvicoltura
la promozione di nuovi sbocchi per l’uso e la vendita dei prodotti
silvicolturali
Infine nell’articolo 29 si introducono le norme generali per gli incentivi al
settore, specificati poi nel Regolamento CEE n.2080/92. Il sostegno
all’imboschimento delle superfici agricole intrapreso dalle autorità pubbliche
deve coprire unicamente le spese di sistemazione (impianto), anche nel
caso di coltivazioni con specie a rapido accrescimento.
Capitolo 2
57
Il programma attuativo del Regolamento CEE n.2080/92 recepito da poco
dalla Regione Lombardia riporta gli interventi ammissibili e incentivati sia per
piantumazioni ed imboschimenti di terreni agrari sia per impianti con specie
arboree a rapida crescita.
Su terreni agrari possono essere effettuate piantumazioni di essenze
legnose di latifoglie e conifere finalizzate alla produzione di legname e
biomassa, alla difesa idrogeologica e alla riqualificazione ambientale del
territorio.
Nel caso di piantagioni arboree ceduate a turno brevissimo, la durata
biologica dell’impianto può essere superiore a 20 anni o inferiore a 15 anni;
in entrambi i casi devono essere realizzate su superfici minime ed accorpate
rispettivamente di 0,5 e 1 ha. Il contributo concedibile non può essere
superiore a 4830 Euro per ettaro (nel caso di impianti con latifoglie in
percentuale superiore al 75%) e di 3623 Euro/ha (nel caso di impianti con
essenze resinose superiore al 25%).
Nel caso di piantagioni con turno inferiore a 15 anni l’incentivo è comunque
pari al costo dell’impianto determinato in relazione alle diverse tipologie
d’imboschimento. Inoltre queste ultime coltivazioni non godono dei benefici
relativi ai premi di manutenzione per i primi 5 anni e di mancato reddito,
disponibili per impianti con maggiore durata.
Per la Regione Lombardia questa normativa si inserisce in un quadro di
azioni regionali che regolano la filiera bosco-legno.
A livello regionale infatti si evidenzia una capillare attività di impresa diffusa
su tutto il territorio che interessa oltre la coltivazione del bosco in montagna
anche le attività di arboricoltura a rapida crescita lungo le aste fluviali della
Pianura Padana.
Capitolo 3
58
3 ASPETTI TECNICI delle COLTIVAZIONI
ENERGETICHE
In questo capitolo vengono presentate le prime esperienze di coltivazioni
legnose a breve turno di rotazione realizzate in Italia. I dati disponibili si
riferiscono alla sperimentazione delle colture a scopo energetico iniziata nel
1994 dall’ENEL, attraverso il centro di ricerca Ambiente e Materiali (CRAM),
e conclusa nel 1998. La sperimentazione ha affrontato per quattro specie
forestali (pioppo, salice, eucalitto e robinia) i vari problemi dell’intera filiera di
produzione: scelta del sito e del clone, coltivazione, meccanizzazione,
raccolta, conservazione e impatto ambientale. Le informazioni più
dettagliate e complete si riferiscono al pioppo, in quanto sono state integrate
con le conoscenze già acquisite in precedenti esperienze realizzate
dall’istituto di sperimentazione sulla pioppicoltura (ISP) di Casale
Monferrato; per questo motivo si è deciso di fare riferimento a questa
specie.
Lo scopo di questo lavoro è quello di utilizzare le conoscenze finora
acquisite per determinare un modello colturale ottimo, per la realizzazione e
la gestione di un pioppeto realizzato a scopo energetico.
Nel capitolo 4 è descritta la costruzione di un modello della crescita delle
pioppelle in funzione delle principali variabili di decisione coinvolte nel
problema, che sono il turno di taglio, l’orizzonte temporale e la densità di
impianto.
Nel capitolo 5 il modello è stato utilizzato per ottimizzare gli obiettivi
produttivi ed economici legati alla realizzazione e alla gestione delle
piantagioni, rispetto alle stesse variabili di decisione adottate nel capitolo 4.
Capitolo 3
59
Nel capitolo 6 infine sono state valutate le potenzialità energetiche della
materia prima ottenibile con queste tecniche, facendo riferimento a una
particolare tecnologia, quella della gassificazione accoppiata a un ciclo
combinato per la produzione di energia elettrica; la potenzialità di 12 MWe
corrisponde alle caratteristiche del primo impianto in corso di realizzazione
in Italia, che si dovrebbe alimentare con combustibile proveniente da
coltivazione. Ciò consente di determinare le aree occupate dalle coltivazioni
nel caso in cui si adottino le decisioni ottime determinate nel capitolo 5.
Questo calcolo si deve considerare distinto dall’ottimizzazione effettuata,
che considera come variabili di decisione solo quelle riguardanti le
coltivazioni e non quelle dell’impianto. L’elaborazione è stata fatta per poter
verificare il comportamento del sistema complessivo nel caso in cui si fissi la
tecnologia di trasformazione della biomassa in energia.
3.1 DESCRIZIONE di una COLTIVAZIONE ENERGETICA
La selvicoltura a breve rotazione (short-rotation forestry, SRF) è un nuovo
metodo di coltivazione di piante legnose finalizzato alla produzione di
biomassa per uso energetico.
Le piante vengono periodicamente raccolte (ceduate); dopo ogni raccolta le
ceppaie emettono nuovi germogli, dando inizio a un nuovo ciclo produttivo. Il
tempo di rotazione, ossia l'intervallo tra due raccolte successive, è molto
breve (2-4 anni), al fine di poter produrre piante di piccolo diametro (minore
di 10 cm), che meglio si prestano alla raccolta meccanizzata.
Una descrizione più accurata delle attività del ciclo produttivo è realizzata
nel paragrafo 3.2.
Questo schema di coltivazione è stato messo a punto in Svezia ed in quella
nazione ha ormai raggiunto la piena fase commerciale, con circa 15000
ettari di piantagioni realizzate.
Capitolo 3
60
Il ciclo produttivo descritto è rappresentato in figura 3.1 e può essere così
schematizzato:
…….
impianto ceduazione ceduazione dicioccatura
Le principali variabili di decisione riguardanti questo tipo di coltivazioni sono:
- tipo di suolo adatto (marginale oppure fertile)
- specie e clone da coltivare
- le cure colturali da effettuare
- la densità di impianto
- il turno di taglio (2 o 3 anni)
- orizzonte temporale
In questo paragrafo verranno descritte le principali problematiche legate a
queste decisioni.
3.1.1 TIPO di SUOLO
E’ necessario scegliere terreni di buona fertilità, pianeggianti (per l’uso dei
macchinari), profondi e possibilmente con falda accessibile alle radici delle
piante. Il pioppo in particolare non tollera terreni asfittici, ma si avvantaggia
se la falda è situata intorno a 1-1,5 m di profondità.
I terreni devono avere una tessitura non troppo fine: il contenuto di limo e
argilla non deve superare il 50%. La profondità ideale del terreno è intorno
al metro, la profondità minima non deve mai scendere al di sotto dei 50 cm.
Sono ottimali i terreni con valori di pH compresi tra 5,5 e 7,5; comunque non
si dovrebbe mai scendere sotto 4,5 o salire oltre 8. Terreni acidi infatti
inibiscono la crescita delle radici in profondità provocando problemi di
Capitolo 3
61
carenza di acqua nei periodi di siccità. E’ opportuno scartare i terreni con
alti contenuti di calcare attivo, quelli salsi e torbosi.
Il contenuto organico dei suoli è un fattore importante in quanto aumenta la
capacità del terreno ad accumulare l’acqua e fornisce l’alimentazione agli
organismi del suolo (batteri, vermi, ecc.), che a loro volta rilasciano nutrienti
utilizzati dalle piante.
La necessità di reperire ampie estensioni di terreni per la coltivazione di
queste colture ha indotto a sperimentare la possibilità di utilizzare anche
terreni marginali, ma con risultati generalmente insoddisfacenti.
Per la scelta del sito è opportuno utilizzare un metodo di classificazione
sistematica dei terreni rispetto alla loro idoneità all’arboricoltura da legno.
La metodologia dell’Attitudine delle Terre ad una specifica coltura (Land
Suitability) per la valutazione delle potenzialità del suolo e per la
classificazione delle risorse agro-forestali è un’applicazione delle tecniche
messe a punto dagli esperti F.A.O. (1976). Il metodo si basa
sull’utilizzazione di strumenti territoriali conoscitivi già disponibili in ambito
regionale; in particolare , per la Regione Lombardia, si possono consultare
le carte pedologiche redatte dall’Ersal (Ente Regionale per lo sviluppo
dell’agricoltura).
Il sistema è suddiviso in 4 livelli gerarchici: ordini, classi e sottoclassi (ved.
tab. 3.1).
Gli ordini sono due, adatto (S) e non adatto (N), ed indicano l’attitudine o
meno di una certa aree ad un uso particolare.
Le classi riflettono il grado di attitudine del territorio per la coltura
considerata; esse vengono numerate progressivamente con numeri arabi,
seguendo, entro i due ordini, un grado decrescente di idoneità.
Capitolo 3
62
All’interno dell’ordine adatto (S) si distinguono tre classi: molto adatto (S1),
moderatamente adatto (S2) e marginalmente adatto (S3). Nell’ambito
dell’ordine non adatto (N) rientrano due classi: generalmente non adatto
(N1) e permanentemente non adatto (N2).
Le sottoclassi indicano invece il tipo di limitazione per un uso specifico e
vengono simboleggiate con una lettera minuscola che rappresenta la
caratteristica del fattore limitante.
Si può notare che la suddivisione dell’ordine adatto (S) nelle tre classipreviste è effettuata assumendo che anche un solo carattere sfavorevole siasufficiente a porre una limitazione all’interno di ogni area. Nel caso che lalimitazione sia dovuta ad uno o più caratteri chimici, al simbolo dell’ordine edella classe si affianca la lettera “c”; mentre se è dovuta ad uno o piùcaratteri fisici, si pone la lettera “f” .Nel caso in cui concorrano entrambi i caratteri, fisici e chimici, al simbolodell’ordine e della classe si affiancano le lettere “cf”.
Legenda dei simboli della sottoclasse:
f – fattore limitante fisico
c – fattore limitante chimico
cf – fattori limitanti chimici e fisici
Di seguito viene riportata una tabella riassuntiva della classificazione
utilizzata.
ORDINE CLASSE SOTTOCLASSE
S – adatta S1 – molto adatta: indice ≤ 28
S2 – moderatamente adatta: indice 29-42 S2f – S2c – S2cf
S3 – marginalmente adatta: indice 43-56 S3f – S3c – S3cf
Capitolo 3
63
N – non adatta: N1 – generalmente non adatta N1f – N1c – N1cf
indice ≥ 57 N2 – permanentemente non adatta N2c – N2f – N2cf
Tab. 3.1 – Classificazione F.A.O. dell’attitudine delle terre
Per il tipo di coltura considerato, i parametri dimostratisi determinanti sono laprofondità del suolo, la tessitura, la permeabilità e la pendenza.I caratteri pendenza e drenaggio risultano essere i fattori maggiormentelimitanti, pertanto possono serviti per distinguere le aree non adatte dallealtre. La pendenza costituisce infatti un impedimento alla meccanizzazionenecessaria per la Short Rotation Forestry; inoltre l’acclività facilita l’innescodi fenomeni erosivi.Il drenaggio fortemente rallentato, invece, diminuisce drasticamente lapossibilità di sviluppo vegetale, riducendo la disponibilità di ossigeno per gliapparati radicali. Viceversa un drenaggio troppo rapido riduce la capacitàidrica del suolo fino a condizionare l’equilibrio nei periodi di siccità, congrave danno per alcune specie vegetali.
I caratteri del suolo presi in considerazione per definire l’attitudine dei suoliall’arboricoltura e riportati sulle carte pedologiche, geoambientali e di uso delsuolo sono distinti in chimici, fisici e morfologico-territoriali.
Caratteri chimici:
• pH
• CaCO3 totale
• sostanza organica
• capacità di scambio cationico
• saturazione basica
Caratteri fisici:
• tessitura
• profondità
• volume di suolo esplorabile dalle radici
• acqua disponibile
Capitolo 3
64
• drenaggio
Caratteri morfologico-territoriali:
• pendenza
• erosione
• inondabilità
In particolare la metodologia di valutazione dei suoli all’arboricoltura da
legno è basata sull’indice di potenzialità proposto da Bartelli (1977), che
rappresenta la sommatoria delle valutazioni numeriche di alcuni caratteri del
suolo e della stazione, attribuite secondo determinati criteri di valutazione.
(ved. tab.3.2)
Il principio di questa valutazione numerica prevede per ciascun carattere
l’assegnazione del valore 1 nel caso del migliore e del valore 10 nel caso
peggiore. Non tutti i caratteri, però rappresentano escursioni e intervalli di
valutazioni identici. Secondo l’autore del metodo, la valutazione deve
essere adattata alle diverse condizioni, sulla base delle esperienze di
campagna e dei risultati sperimentali per ogni tipo di coltura.
La classificazione è infatti stata modificata per adattarsi alle esigenze di
questo studio sulla arboricoltura da legno intensiva (a ciclo breve) o SRF
secondo le caratteristiche dei suoli descritte sopra e in base alla disponibilità
dei dati ricavabili dalle carte pedologiche realizzate utilizzando la
classificazione dei suoli Soil Taxonomy.
Caratteri Criteri Valutazione
Profondità delsuolo:
- molto profondo >150 cm.- profondo 100-150- moderatamente profondo 50-100- poco profondo 25-50- molto poco profondo <25
1268
10Tessitura:
- suoli franchi
franca F franco limosa FL limosa L franco sabbiosa FS
1111
Capitolo 3
65
- suoli sabbiosi
- suoli argillosi
franco argillosa FA franco sabbiosa argillosa FSA franco limosa argillosa FLA
sabbiosa S sabbioso franca SF
limoso argillosa LA argillosa A
111
88
88
Permeabilità: - molto rapida - rapida- moderatamente rapida – moderata- moderatamente lenta – lenta- molto lenta
816
10Capacità idricadisponibile (Awc):
- molto alta >200 mm.- alta 150-200- media 100-150- bassa 50-100- molto bassa < 50
1248
10Drenaggio: - ben drenato – moderatamente ben drenato
- imperfettamente o talvolta poco drenato- poco drenato – talvolta eccessivam. drenato- molto poco drenato – eccessivam. drenato
136
10Contenuto in Ca: > 3 meq / 100 g
2 – 31 – 2< 1
146
10pH: - basico
- neutro- acido
61
10Pendenza: 0 – 20 %
20 – 50> 50
13
10Erosione: - nessuna – debole – moderata
- severa15
Rischio di inondabilità: - basso- alto- molto alto
15
10Tab. 3.2 –Criteri e valutazione delle potenzialità del suolo (Bartelli 1977)
Una volta assegnato a ciascun carattere il peso che i rilievi sperimentali
suggeriscono, la classificazione delle diverse unità pedologiche viene
eseguita confrontando gli indici di potenzialità con quelli qui di seguito
riportati (ved. anche tab. 3.1):
suoli molto adatti all’arboricoltura da legno specializzata (S1): indice ≤
28;
Capitolo 3
66
suoli discretamente adatti all’arboricoltura da legno, con gestione di tipo
tradizionale intensivo (S2): indice 29-42;
suoli marginalmente adatti all’arboricoltura da legno, e più indicati invece
a una selvicoltura di tipo naturalistico (S3): indice 43-56;
suoli non adatti all’arboricoltura da legno, la cui gestione selvicolturale
non può essere indirizzata a fini produttivi (N); più opportuno adottare
specie arbustive o alberi in grado di assicurare in breve tempo una
sufficiente copertura del terreno, soprattutto lungo le pendici:
indice ≥ 57.
Sommando i punteggi relativi ad ogni parametro considerato, si ottiene una
valutazione attitudinale sintetica dell’unità territoriale presa in esame. I
risultati ottenuti si possono riportare su cartografia in modo da fornire
all’utente una carta di orientamento pedologico all’arboricoltura da legno a
rapido accrescimento. Con opportune elaborazioni su GIS, sovrapponendo
questi dati ad altre carte che indicano fattori quali i vincoli ambientali, le zone
urbanizzate, ecc., si possono determinare indicativamente le zone più
favorevoli a questo tipo di coltivazione da un punto di vista produttivo,
ambientale e sociale.
3.1.2 SPECIE e CLONE
Per ottenere una produzione di biomassa legnosa economicamente
sostenibile è necessario coltivare specie che abbiano un rapido
accrescimento, che siano facilmente propagabili per via vegetativa
(attraverso talee) e ricaccino con facilità dopo ogni ceduazione.
Tra i generi ad alto rendimento sono stati selezionati le seguenti:
Pioppo (cloni: Lux, Luisa Avanzo, BL Costanzo, Cima e Villafranca)
Capitolo 3
67
Eucalitti ( cloni: E. Camaldulensis, E. Bicostata)
Salici
Robinie
Gli esperimenti considerati per questo studio (descritti nel paragrafo 3.1.1)
sono riferiti al pioppo; i dati disponibili infatti sono completi solo per questa
specie. Nelle zone fluviali di pianura i pioppi hanno un’importanza primaria.
La spiccata eliofilia e un’elevata plasticità consento loro di affermarsi anche
su suoli poveri e di colonizzare aree scoperte lungo le sponde dei fiumi. Per
quanto legati ad ambienti caratterizzati da ampia disponibilità idrica, i pioppi
non sopportano sommersioni prolungate. Fenomeni di propagazione
vegetativa in natura sono evidenti in fase giovanile: alberi caduti, rami
spezzati, radici, emettono con grande facilità radici avventizie se
parzialmente ricoperti di terra; frequenti sono quindi i polloni radicali.
Le specie di pioppo spontanee in Italia sono il pioppo nero (P.nigra), il
pioppo bianco (P.alba) e il pioppo tremulo (P.tremula); mentre i tipi più
comunemente coltivati sono cloni che derivano da incroci tra il pioppo nero
europeo e il pioppo nero americano (P.deltoides), denominati pioppi ibridi
euroamericani (P. x Euramericana).
Tra i cloni di pioppo attualmente disponibili in Italia, iscritti al Registro
Nazionale dei Cloni Forestali (RNCF), quelli che possono essere utilizzati
per le coltivazioni energetiche sono praticamente quattro: Populus deltoides
clone Lux, Populus x euramericana cloni Luisa Avanzo e BL Costanzo, P.
alba clone Villafranca.
I dati completi disponibili delle sperimentazioni considerate riguardano i cloni
Lux e L.Avanzo.
Il clone Lux resiste alle principali malattie fogliari, risulta sensibile solo al
virus del Mosaico del Pioppo. Si adatta a terreni sciolti e sopporta entro certi
limiti la siccità estiva, ma non tollera la sommersione prolungata del terreno.
Capitolo 3
68
Necessita di una scelta accurata delle talee e di attenzione in fase di messa
a dimora in quanto può avere difficoltà di attecchimento.
Sono sconsigliate le zone soggette a forti venti; nei primi anni del turno non
va forzato con irrigazioni e concimazioni eccessive per evitare la curvatura o
la rottura delle piante.
Il legno è relativamente pesante e la densità basale è di 0,37 g/cm3, definita
come il rapporto tra il peso fresco del legno senz’acqua e il volume del legno
allo stato fresco.
Il Luisa Avanzo è un clone molto produttivo ma sensibile alle Ruggini, alle
Macchie Brune e al ‘Discosporium populeum’. Si adatta a diversi tipi di
terreni, anche a suoli pesanti e può tollerare entro certi limiti la
sommersione. La resistenza al vento è superiore a quella del Lux.
L’attecchimento delle pioppelle è ottimo se ben idratate. Anche per questo
clone la densità basale di 0,34 g/cm3 è elevata.
3.1.3 VARIABILI GESTIONALI
DENSITA’ di IMPIANTO
La scelta della densità di impianto è il parametro più cruciale; l'elevato costo
di impianto fa si che fenomeni di interferenza interspecifica producano rese
troppo basse, col risultato di vanificare lo sforzo dell'investimento iniziale.
La densità infatti influenza i costi di impianto, la crescita delle piante, la
rotazione ottimale e le dimensioni dei fusti al momento del taglio.
Capitolo 3
69
La densità si determina a seconda della spaziatura scelta (distanza) tra le
file di piante. Con spaziature alte aumenta la quantità di foglie, rami e
corteccia, mentre diminuisce la frazione di legno del fusto.
Nella produzione tradizionale dei pioppi si adottano spaziature tra le piante
piuttosto elevate (4 x 4 e 6 x 6 m), mentre per le coltivazioni energetiche si
utilizzano spaziature inferiori ottenendo densità comprese tra 1000 e 25000
piante/ha.
Per queste colture le talee possono essere disposte su file singole o binate.
La distanza minima possibile per il passaggio dei macchinari sia tra le file
singole che tra le bine (una bina = due file vicine) è di 1,60 cm. La
spaziatura è quindi definita come distanza tra le file x distanza tra le piante
di ogni fila (per le file singole) e come distanza tra le bine x distanza tra le
file di una bina x distanza tra le piante sulle singole file (per le file binate).
L’impianto a file binate, utilizzato in alcune delle sperimentazioni
considerate, presenta indubbi vantaggi tecnici ed economici in quanto
permette di raggiungere facilmente alte densità per ettaro, rende possibile il
passaggio di mezzi meccanici complessi (cippatrici semoventi) nelle interfile
e facilita l’esecuzione delle operazioni colturali più onerose facendo
risparmiare sensibilmente sui costi della manodopera e delle macchine.
Infatti, con l’impiego di macchine operatrici appropriate, si può migliorare la
produttività del lavoro, rispetto agli impianti a file singole, poiché ad ogni
passaggio è possibile interessare due file alla volta.
TURNO di ROTAZIONE
Il turno di taglio deve essere scelto in modo da ottenere le più alte rese e i
costi più bassi possibili.
La lunghezza ottima del ciclo dipende dalla specie e dalla densità iniziale.
Per densità basse sono migliori turni di taglio più lunghi rispetto a densità
Capitolo 3
70
maggiori, in quanto la crescita risente in misura minore della mortalità
dovuta alla competizione tra le piante.
ORIZZONTE TEMPORALE
Si tratta della lunghezza complessiva del ciclo produttivo ed è influenzato in
modo determinante dalla resistenza delle ceppaie alla ceduazione, e quindi
dal numero di tagli eseguiti.
3.2 Il PROGRAMMA di RICERCA dell’ENEL
L’esperienza sulle coltivazioni a breve rotazione (SRF) in Italia è ancora
scarsa e limitata, l’ENEL –CRAM (Centro Ricerca Ambiente e Materiali) ha
pertanto promosso uno specifico programma di ricerca e sperimentazione il
cui obiettivo primario è lo sviluppo di una opportuna metodologia per la
produzione su grande scala di combustibile legnoso per alimentare impianti
termoelettrici.
Le sperimentazioni hanno interessato diverse specie, selezionate sulla base
della crescita e della produttività negli stadi giovanili, e alla capacità di
ricaccio dopo ceduazione: pioppo (cinque specie e ibridi appartenenti al
genere Populus), salice (Salix Alba), robinia pseudo-acacia, eucalitto
(E.camaldulensis e E.globulus). Le sperimentazioni più complete riguardano
i due cloni Lux e L.Avanzo.
La densità di impianto è elevata, fino a 10-15000 piante/ha. Per l’impianto si
utilizzano delle talee ricavate da getti di un anno (barbatelle) con diametri di
circa 10 mm; questi fusti vengono tagliati in modo da ottenere talee di
lunghezza compresa tra 25 e 50 cm, successivamente interrate con una
trapiantatrice per talee.
Capitolo 3
71
Le sperimentazioni sono state realizzate negli anni compresi tra il 1994 e il
1998, come illustrato nella tabella seguente. Ogni anno le parcelle sono
state in parte ceduate in modo da poter determinare l’andamento delle
crescite dei cedui e delle piante intere.
Densità Lux L.Avanzo Spaziatura
5700 1994 1994 2,5 x 0,7
7100 1994 1994 2 x 0,7
10000 1995 2 x 0,5
6000 - 18000 1995
10000 1996 1995 2 x 0,5
5000 - 20000 1996 1996
A queste si devono aggiungere le prove di SRF effettuate dall’ISP (Istituto
Sperimentale per la Pioppicoltura) a Casale Monferrato e a Spello nei primi
anni ’90. In particolare sono state usate le sperimentazioni alla densità di
3300 talee/ha, proseguite per 6 anni, che hanno interessato i cloni Lux e
L.Avanzo esaminati in questo studio.
3.3 FILIERA di PRODUZIONE del PIOPPO
Le operazioni effettuate sono rappresentate in tabella 3.3 e verranno ora
illustrate e giustificate in dettaglio:
Fasi del ciclo
produttivo
Operazioni svolte Attività
Preparazione del
terreno
Aratura Passaggio con aratro
trivomere
Erpicatura Due passaggi con erpice a
Capitolo 3
72
disco
Concimazione di fondo Passaggio con spandiconcime
Impianto Messa a dimora talee Immersione in acqua delle
talee
Impianto
Cure Colturali Diserbo Spandimento
Rifornimento
Fresatura sulla fila Passaggio con la fresa
irrigazione Installazione impianto
Aspersione acqua
Smontaggio impianto
Trattamenti insetticidi Aspersione con barra
Concimazione in copertura Concimazione
Rifornimento
Raccolta Taglio Passaggio con la macchina
Raccolta Formazione dei cumuli a
bordocampo
Essiccazione Formazione del carico Cippatura
Carico dei container
Ripristino Dicioccatura Passaggio con fresa
Tab. 3.3 - Fasi di lavorazione di una coltura a breve turno di rotazione
3.3.1 PREPARAZIONE del TERRENO e IMPIANTO
La preparazione del terreno è molto importante per il successo della
coltivazione. La sua esecuzione assorbe una quantità elevata dei costi totali
da eseguire sulla piantagione.
L’aratura viene eseguita a fine estate utilizzando un aratro reversibile
trivomere (profondità di lavoro 30 cm.), abbinato a un trattore in grado di
erogare una potenza nominale di 80 KW e di operare con una velocità di
avanzamento di 4,8 Km/h e con una larghezza di lavoro di 1,27m. La tabella
Capitolo 3
73
3.4 mette in evidenza i tempi di lavoro rilevati per lo svolgimento di questa
operazione che consente di raggiungere una capacità operativa di 1,98
h/ha.
L’erpicatura e l’affossatura sono lavori di affinamento del terreno che
possono essere effettuati appena prima della messa a dimora;
contemporaneamente vengono eseguiti anche i lavori di concimazione di
fondo, in modo che l’erpicatura e l’affossatura permettano l’interramento dei
concimi fosfatici e potassici; fosforo e potassio hanno infatti scarsa mobilità
nel terreno.
L’erpicatura viene eseguita con due passaggi, al fine di raggiungere un
ottimale grado di amminutamento del terreno, è impiegato un erpice rotante
a denti verticali abbinato a un trattore di 80 Kw. La velocità di avanzamento
è di 5,8 Km/h. I tempi di raccolta della tabella 3.2 mostrano una capacità di
raccolta di 1,29 h/ha. Tra un passaggio e l’altro può avvenire la
concimazione di fondo.
L’affossatura è eseguita con una motrice in grado di erogare una potenza di
100 CV (Agrifull 100) accoppiato con un affossatore della larghezza di 1m. i
tempi di lavoro effettivi e accessori sono rispettivamente di 0,74 h/ha e 0,37
h/ha.
La concimazione di fondo viene effettuata solo durante il primo anno tra i
due passaggi dell’erpicatore, distribuendo i concimi fosfatici e potassici. La
distribuzione dei concimi azotati produrrebbe infatti un aumento della vigoria
delle infestanti.
L’operazione viene effettuata usando uno spandiconcime centrifugo dotato
di tramoggia abbinato ad un trattore di 51 KW. (Si è ipotizzata la distanza di
1 Km tra il cantiere e il centro aziendale di rifornimento).
La velocità di avanzamento è di 7,9 Km/h, che tenendo conto dei tempi di
rifornimento e di trasferimento risulta in grado di raggiungere una capacità
operativa di 1,3 h/ha.
Capitolo 3
74
La messa a dimora delle talee avviene con una macchina trapiantatrice,
simile a quella generalmente utilizzata in vivaio. Per il suo trascinamento è
sufficiente l’impiego di trattori di media potenza nominale (70 CV). E’
costituita da un cingolo metallico costituito da 42 maglie. All’interno di ogni
maglia è fissato un cilindro del diametro di 5 cm nel quale scorre un pistone
caratterizzato da una corsa di 23 cm. Quando la maglia si trova nella parte
superiore il pistone scorre verso il basso per peso proprio permettendo
all’addetto di introdurre la talea nel cilindro.
Nel corso del rotolamento, il pistone si sposta progressivamente verso il
basso per effetto di uno scivolo collegato al telaio conficcando la talea nel
terreno. Il cantiere risulta composto da cinque unità lavorative: una alla
guida del trattore, due sulla macchina trapiantatrice e due a bordo campo
che provvedono al riempimento dei vassoi e al rifornimento della macchina
trapiantatrice.
La velocità di avanzamento della macchina trapiantatrice è risultata essere
di 0,5 Km/h e una capacità di lavoro operativa di 8,81 h/ha.
3.3.2 LE CURE COLTURALI
Il diserbo si esegue con interventi di tipo chimico e meccanico. Per
eseguire l’operazione di diserbo chimico si utilizza una botte da diserbo con
irroratrice dotata di una barra di 9 m. Anche in questo caso si usa una
macchina di media potenza (80 CV). I tempi di lavoro sono stati di 2 h per
una superficie di 10092 m2 di superficie.
Il tempo richiesto è dunque di 1,98 h/ha. Il diserbo è da considerare in pre
emergenza poiché viene effettuato una sola volta dopo l’impianto delle talee
e dopo ogni ceduazione. Il diserbo è stato effettuato con pendimetalin +
linuron e metolaclor alle dosi di 0,8 Kg/ha + 0,5 Kg/ha + 1,7 Kg/ha.
Capitolo 3
75
L’operazione di diserbo meccanico si intende sulla fila o nell’interfila.
L’operazione lungo la fila richiede un tempo di 5,1 h/ha con una sola unita
operativa, cioè con un solo addetto, utilizzando un trattore con la potenza di
50 CV che trascina una fresa con una larghezza di 1,7 m. L’operazione
nell’interfila ha una durata più breve, pari a 2,22 h/ha e viene eseguita da un
trattore di bassa potenza di 35 CV che trascina una fresa. In totale vengono
eseguiti due trattamenti interfila e un trattamento sulla fila. Il trattamento
viene ripetuto dopo ogni ceduazione.
Gli Interventi insetticidi sono dovuti all’alta densità di impianto e al
risultante microclima molto umido che si crea all’interno delle piantagioni
SRF, sono condizioni favorevoli allo sviluppo di parassiti come l’afide
lanigero del pioppo e le cocciniglie che sono in grado di compromettere la
vitalità dei giovani ricacci. Gli ambienti umidi sono anche favorevoli ad alcuni
defogliatori come Phyllodecta vitellinae e a malattie fogliari come le ruggini
(Melampspora) e la bronzatura (Marssonina brunnea), che possono
provocare importanti perdite di produzione. Le frequenti ceduazioni
favoriscono l’insediamento sulle ceppaie di consistenti popolazioni di insetti
corticicoli e xilofagi tra i quali il più importante è il punteruolo del pioppo
(Cryptorhynchus lapathi). Con il passare degli anni, la piantagione
ripetutamente sottoposta a ceduazione può subire fenomeni di stress che
possono predisporre le piante ad attacchi di parassiti fungini corticali, quali
Phomopsis spp, Cytospora spp. e, in modo particolare Discosporium
Populeum. I teneri ricacci delle ceppaie costituiscono il cibo favorito della
Chrisomela populi, le cui defogliazioni possono avere pesanti ripercussioni
in relazione alla delicata fase vegetativa della pianta.
Il controllo fitosanitario dei parassiti nelle piantagioni presenta problemi di
ordine economico, ambientale e tecnico. Infatti l’alta densità ostacola il
movimento dei mezzi e la distribuzione dei prodotti antiparassitari sui fusti e
sulle chiome. Inoltre è problematico raggiungere i parassiti xilofagi che
vivono all’interno delle ceppaie. Per questo motivo occorre evitare siti di
Capitolo 3
76
impianto con condizioni pedoclimatiche sfavorevoli o prossime a sorgenti
naturali di infestazione quali possono essere pioppeti o saliceti abbandonati.
Con adeguate cure colturali le piante vengono mantenute in condizioni di
vigoria, condizione che in molti casi è sufficiente a limitare le conseguenze
degli attacchi. Il Cryptorhynchus lapathi è l’unico insetto che è consigliabile
controllare innanzitutto utilizzando effettuando un’attenta sorveglianza in
modo da poter intervenire tempestivamente con un trattamento chimico in
caso di necessità, dato che l’insetto ha una capacità di spostamento di un
centinaio di metri all’anno, il trattamento può essere circoscritto alla sola
zona infetta e alle zone limitrofe. Nell’esperimento di Coltano non sono mai
stati effettuati trattamenti di controllo su questo tipo di insetto. La mancanza
di qualsiasi trattamento ha generato la presenza del tarlo vespa e la
presenza di ruggine. L’osservazione fondamentale però è che la densità
influenza in modo positivo le infezioni, per cui ci si può aspettare che a
densità più elevate si rendano necessarie piccole operazioni di disinfezione
da effettuarsi con gli stessi mezzi utilizzati per i trattamenti erbicidi. Si
considera che vengano effettuati solo in caso di necessità.
Interventi irrigui: negli esperimenti eseguiti a Coltano non si sono verificate
differenze fra la realizzazione di piantagioni in regime irriguo e non irriguo; in
ogni caso un intervento di soccorso potrebbe rendersi necessario dopo la
messa a dimora, in questo caso viene eseguito con il metodo a pioggia. Non
deve quindi considerarsi come una cura colturale vera e propria ma come
un’operazione che consente l’attecchimento delle talee. Viene eseguita con
una motopompa della potenza di 75 Kw per la messa in pressione
dell’acqua e un carro bobina che alimenta, per mezzo di un tubo flessibile,
un irrigatore mobile. Nei terreni dove la falda è accessibile alle radici del
pioppo non si rendono necessari interventi di irrigazione.
Nelle parcelle dove è stata effettuata ha richiesto un tempo di 7 h/ha tre
delle quali necessarie per l’installazione dell’impianto.
Capitolo 3
77
La concimazione in copertura viene eseguita tutti gli anni dopo ogni
ceduazione distribuendo urea (46% di azoto) in copertura, in quantità di
circa 50 kg/ha/anno; quest’operazione si ripete ad ogni taglio in modo che i
quantitativi di azoto siano limitati e non subentri una percolazione in falda.
3.3.3 La RACCOLTA e il TRASPORTO
La raccolta della biomassa può essere effettuata ogni 2, 3, 4 anni a
seconda della densità di impianto e della fertilità della stazione. Il limite
massimo dimensionale delle piante o dei polloni per poter utilizzare le
cippatrici semoventi attualmente disponibili è di 10 cm da terra.
Il periodo di raccolta corrisponde al periodo di riposo vegetativo, infatti una
raccolta dopo la germogliazione può causare un indebolimento della vitalità
delle ceppaie. Nel periodo invernale in Italia i suoli sono normalmente umidi
o molto umidi, raramente gelati e l’utilizzo dei prototipi esistenti piuttosto
pesanti, realizzati per le condizioni climatiche del nord Europa (terreni
gelati), possono incontrare difficoltà perché affondando nel terreno possono
modificarne la struttura e rovinarne le ceppaie.
I principali metodi di raccolta che sono stati messi a punto nel nord Europa
dove le coltivazioni a rapido accrescimento vengono effettuate ormai da
molti anni vengono brevemente descritte. Accanto a queste viene anche
descritto il prototipo messo a punto dalla ditta Berni in Italia.
Tutte le macchine si distinguono in due categorie, quelle che effettuano il
semplice taglio della pianta e la legatura del materiale raccolto e quelle che
eseguono anche la cippatura della materia prima. La scelta di una o
dell’altra modalità di raccolta dipende da come si intende eseguire
l’essiccazione della biomassa e dai pesi massimi delle macchine che
possono calpestare il terreno senza provocare eccessivo compattamento,
danneggiando gli apparati radicali.
Capitolo 3
78
• Autosoft 7700: è una macchina prodotta in Australia dove viene
prodotta per la raccolta della canna da zucchero e successivamente
adeguata alla raccolta delle colture legnose a rapido accrescimento. La
macchina ha un apparato frontale di 0,9 m ed è in grado di raccogliere
file binate ed è regolata in altezza idraulicamente. Le caratteristiche della
macchina sono di avere elevata potenza (motore Caterpillar di 176 Kw) e
una massa notevole (12,5 ton). La macchina è munita di due coclee
elevatrici e spartitrici che convogliano le piante verso l’apparato di taglio
costituito da due seghe circolari di 750 mm. Il prodotto passa poi
attraverso due lame montate longitudinalmente, che trinciano le piante in
pezzi di dimensioni tra i 4 e i 6 cm detti “chunk”. Il prodotto viene
scaricato su un carro che procede affiancato alla raccoglitrice da un
tappeto elevatore che può essere orientato a destra o a sinistra della
raccoglitrice. La velocità di raccolta è di 3-4 Km/ora e una capacità di
lavoro tra 0,4 e 0,6 ha/h.
• Pulvtech: è una raccoglitrice trainata da un trattore, monta però un
trattore proprio che alimenta con trasmissione idraulica gli apparati di
raccolta e cippatura. La macchina raccoglie file binate, trincia il prodotto
e lo scarica su un carro trainato posteriormente.
• MBB Biber: La macchina è cingolata in gomma, larga 1,81 m con una
massa di 4,3 ton. Monta un motore da 51,4 KW che alimenta tutti gli
organi della macchina eccetto la cippatrice fornita di motore proprio.
L’apparato di taglio è posto sulla sinistra della macchina, tra i cingoli, ed
è costituito da due lame circolari di 300 mm di diametro che effettuano il
taglio delle piante su una singola fila. Successivamente una coppia di di
catene di 2 m trasportano ed elevano le piante fino ad un’altezza di 1,05
m da terra, mantenendole in posizione verticale. Le piante vengono
convogliate in questo modo verso l’apparato cippatore costruito dalla
Capitolo 3
79
ditta Jensen e munito di una doccia di scarico che procede lateralmente
alla raccoglitrice.
• Mahcksler: è in grado di raccogliere una fila alla volta e scarica il
prodotto di dimensioni di circa 100 mm su un carro ribaltabile
lateralmente della capacità di 5 t, trainato dal trattore stesso. L’organo di
taglio è costituito da una lama a spirale terminante in coltello verticale
che agisce contro un incudine.
• Claas Jaguar 695: la testata è in grado di raccogliere file binate a 0,75 m
di distanza. L’organo di taglio è costituito da due lame circolari di 700 mm
di diametro e 5 mm di spessore contro rotanti. Il prodotto tagliato è
forzato a passare all’interno della testata da tamburi rotanti dalla parte
basale e viene quindi sospinto verso l’apparato trinciante costituito da
coltelli mobili fissati su un tamburo rotante e da un controcoltello fisso. La
velocità effettiva di avanzamento è di 5,6 Km/h, il rendimento di impiego è
di 0,84 rispetto al tempo operativo. La macchina è ovviamente
accompagnata da un carro che raccoglie lateralmente il prodotto cippato.
• Bender 125 Kw: questa macchina è portata anteriormente da una
trattrice JCB Fastrac, equipaggiata con un container ribaltabile con la
capacità di 13 m3. La macchina raccoglie due file binate a distanza di
0,75 m di distanza. La caratteristica fondamentale è che le piante
vengono forzate ad entrare all’altezza di 1,5 m e non dalla parte basale.
• Loughry (Inghilterra): la macchina è trainata da una trattrice di almeno
80 KW, dalla quale deriva il moto degli organi di raccolta. Dopo aver
attraversato l’apparato di taglio, viene convogliato ad una tramoggia a
forma di v collocata posteriormrnte. Una volta riempita la tramoggia, il
prodotto viene legato in fasci e successivamente scaricato a terra.
Capitolo 3
80
• Nicholson: è trainata da un trattore di almeno 80KW. Le piante vengono
afferrate, tagliate alla base e poi trasportate verso la camera di legatura
dove vengono formati e legati i fasci.
• Prototipo Ditta Berni: è montato in posizione posteriore-laterale ad un
trattore che deve essere di almeno 77 kW di potenza; l’apparato di
raccolta è nella parte laterale, costituito da un organo tastatore che ha la
funzione di posizionare la macchina sulla fila delle piante da raccogliere,
un organo di taglio costituito da una sega circolare di 500 mm di diametro
e 4 mm di spessore e un organo di trasporto lungo 2,2 metri posto
superiormente alla macchina e costituito da una coppia di cinghie
gommate controrotanti. Le cinghie sono spinte una contro l’altra da otto
coppie di rulli per parte grazie a delle molle d’acciaio ed hanno la
funzione di afferrare la pianta, una volta tagliata dall’apparato di taglio, e
trasportarla in posizione eretta verso la parte posteriore della macchina
dove cadrà su un carro trainato dalla macchina stessa.
La caratteristica delle macchine raccoglitrici è quella di scaricare le piante
tagliate e rilegate in fasci direttamente sul suolo, col risultato di dover
intraprendere costose operazioni di raccolta successive utilizzando
macchine forestali munite di braccio idraulico. Il prototipo della ditta Berni ha
il pregio di accumulare le piante su un carro posteriore che può essere
periodicamente svuotato, che però provoca un aumento dei tempi accessori.
Si è considerato che il modello colturale preveda la raccolta con una
macchina che esegue solo il taglio, e che il cantiere comprenda anche un
trattore munito di rimorchio ribaltabile a due assi e elevatore a forca che
trasporta le piante intere nel punto dove avviene l’essiccazione e forma i
cumuli.
Capitolo 3
81
In tabella 3.5 sono mostrati i tempi di taglio e raccolta misurati a Casale
Monferrato utilizzando la macchina della ditta Berni e un trattore con la
potenza di 80 kW.
Dicioccatura: e’ una operazione necessaria per ripristinare le condizioni
colturali preesistenti la coltivazione del pioppo. Per l’esecuzione di tale
operazione si usa un erpice rotante a denti orizzontali con una larghezza di
lavoro di 1,5 m abbinato a un trattore di potenza nominale di 80 kW che
procede con una velocità di circa 1 km/h. Il tempo operativo di questo
cantiere, gestito da un unica persona è di 4,9 h/ha.
3.3.4 ESSICCAZIONE
Se si effettua la cippatura del materiale durante la raccolta si devono
realizzare dei cumuli di materiale granulare con altezza di 3,5 m. Altezze
superiori non sono consentite dalle attrezzature normalmente utilizzate nelle
aziende agricole. La lunghezza del cumulo è di 15 m e la larghezza è di 9 m,
mentre la distanza fra due cumuli adiacenti non può essere inferiore ai 6 m.
Sperimentazioni eseguite dal C.T.I. (Comitato Termotecnico Italiano) hanno
individuato i tempi e le modalità migliori che consentono di effettuare
l’esecuzione dell’operazione di essiccazione.
Quattro alternative sono state messe a confronto, in presenza o meno di
copertura e di apparato di ventilazione. L’aerazione viene ottenuta
utilizzando tubi in PE del diametro di 0,3 m fessurati trasversalmente
mediante motosega, interessando un arco di circa 120° e distesi con un
interasse di 1m. La copertura è invece ottenuta con un film opaco di colore
bianco in PVC zavorrato con pneumatici di scarto.
Capitolo 3
82
ALT.1 Cumulo non ventilato scoperto
ALT.2 Cumulo non ventilato coperto
ALT.3 Cumulo ventilato scoperto
ALT.4 Cumulo ventilato coperto
Tab. 3.4 - Alternative di essiccazione del cippato di pioppo.
Le sperimentazioni sono state eseguite in modo da poter rilevare, su base
trimestrale, la perdita di sostanza secca e il procedere dell’essiccazione
mediante il rilievo delle temperature interne dei cumuli. L’andamento
registrato ha indicato un contributo poco significativo sulla velocità di
essiccazione della copertura nella tesi ventilata.
Rispetto ai cumuli non ventilati la copertura ha avuto effetto addirittura
negativo, rallentando notevolmente l’essiccazione rispetto alla tesi scoperta.
La rimozione finale dei cumuli, avvenuta dopo 10 mesi di essiccazione ha
consentito un’analisi dettagliata delle perdite di sostanza secca (s.s.) e di
distribuzione dell’umidità.
Umidità iniziale(%)
Umidità finale(%)
∆∆∆∆s.s.
(%)
Alt.1 58,2 62,1 12,7
Alt.2 58,2 61 22,6
Alt.3 58,2 60,5 12,3
Alt.4 58,2 55,3 12,3
Tab. 3.5 - Rendimenti di essiccazione
Come si osserva tutte le tesi ad eccezione dell’ultima al termine della
sperimentazione presentavano un valore di umidità superiore a quello
Capitolo 3
83
iniziale. Ciò è dovuto al fatto che circa il 50 % del cumulo ha abbassato il
suo tenore di umidità mentre la rimanente parte (porzioni esterne e a
contatto con il terreno) lo ha incrementato.
In termini di massa volumica apparente, i cumuli sono da considerare
standard, in quanto, rapportando massa e volume si ottiene un valore di
circa 325 Kg/m3 per il tal quale e di 130 kg/m3 per la sostanza secca.
Bisogna sottolineare che l’essiccazione del cippato non è da scartare a priori
in seguito ai risultati di questi esperimenti perché se attuati sotto tettoia e
con pavimentazione che eviti l’imbibimento degli strati a contatto col terreno
determinano una diminuzione dell’umidità entro valori accettabili entro 1,5
mesi come indicato dall’andamento delle temperature registrate per gli
stessi cumuli esaminati in questi esperimenti prima che si verificassero
piogge tali da determinare un recupero del tenore di umidità.
In alternativa al metodo appena descritto è possibile effettuare cumuli di
piante intere. I cumuli hanno dimensioni di 15m di lunghezza, 7 di larghezza
e 3,5 di altezza. In questo caso le perdite di sostanza secca e di umidità
sono risultati essere:
Umidità iniziale
(%)
Umidità finale
(%) ∆s.s.
(%)
61 19 21,6
Tab. 3.6 - Efficienza di essiccazione di cumuli di piante intere
I valori elevati di perdita di sostanza secca ottenuti sono dovuti alla
lunghezza della prova (1 anno e due mesi), ma i valori di temperatura
registrati indicano che valori medi di umidità attorno al 20% sono ottenibili in
intervalli di tempo più brevi (4 mesi), con perdite di sostanza secca del 10 %.
Miglioramenti significativi si potrebbero ottenere sollevando da terra il
cumulo delle piante in modo da evitare l’imbibizione dello strato a contatto
con il terreno. Tale sollevamento potrebbe essere costituito dalle stesse
Capitolo 3
84
piante lasciate in loco e consente di ottenere valori di umidità attorno al 15
%. I tempi di lavoro dell’operazione di cippatura non sono stati rilevati, di
conseguenza si è considerato il tempo necessario per eseguire la raccolta e
la cippatura in campo con una falciatrinciacaricatrice (modello bender 125).
Nel seguito del lavoro questo stesso dato è stato usato per valutare i costi
economici ed energetici delle operazioni di raccolta e cippatura, nell’ipotesi
che eseguirli contemporaneamente o in due fasi distinte comporti gli stessi
costi. Nella tabella 3.7 sono riportate tutte le operazioni colturali eseguite e i
tempi di realizzazione.
OPERAZIONI 1° ANNO
(n° di operazioni)
ANNO della CEDUAZIONE
(n° di operazioni)
Aratura 1
Erpicatura 2 2
Concimazione di fondo 1
Concimazione in copertura 1 1
Diserbo chimico 1 1
Diserbo meccanico 2 2
Impianto 1
Raccolta 1
Trattamenti insetticidi 1 1
Taglio 1
Raccolta 1
Essiccazione 1
Dicioccatura 1 (Alla fine del ciclo)
Tab. 3.7 – Modello colturale adottato
3.4 RILIEVO dei TEMPI di LAVORO
Capitolo 3
85
Come già detto di tutte le operazioni svolte durante la coltivazione sono stati
rilevati i tempi di esecuzione e il numero di persone che gestiscono il
cantiere. I tempi determinati sono il tempo effettivo e quello accessorio la cui
somma è il tempo operativo di cantiere, che è il parametro utilizzato per
valutarne la capacità operativa. I risultati che si sono ottenuti sono riportati in
tabella 3.8.
Tempo effettivo (Te) = tempo macchina
Tempo accessorio (Ta) = tempo necessario per lo scarico, il carico, le
voltate, i tempi morti e le manutenzioni; in genere i tempi morti vengono
scorporati dal tempo accessorio ma nel nostro caso erano rilevati in
un’unica grandezza.
Operazione Tempo
accessorio
(h/ha)
T effettivo
(h/ha)
T operativo
(h/ha)
n. operatori T uomo
(h/ha)
Aratura 0,5 1,48 1,98 1 1,98
Erpicatura 0,19 1,1 1,29 1 1,29
Affossatura 0,37 0,74 1,11 1 1,11
Concimazione di fondo 0,19 1,11 1,3 2 2,6
Messa a dimora 0,37 4,44
4
4,81
4
3
2
14,43
8
Diserbo 0,37 1,11 1,98 1 1,98
Diserbo interfila 2,22 2,22 1 2,22
Trattamenti insetticidi 0,37 1,11 1,98 1 1,98
Concimazione di
copertura
0,25
0,25
0,6
0,75
0,85
1,1
1
1
0,85
1,1
Taglio
(se effettuato con
raccolta di piante intere)
0,52 0,78 1,3 2 2,6
Formazione dei cumuli 2,87 2,63 5,5 1 5,5
Capitolo 3
86
Cippatura 0,56 0,94 1,5 3 4,5
Dicioccatura 0,1 4,8 4,9 1 4,9
** si tratta dei valori di cippatura e raccolta cumulati
Tab. 3.8 - Tempi di lavoro registrati
3.5 CARATTERISTICHE del PRODOTTO FINITO
Il prodotto finito è caratterizzato dalla distribuzione nelle classi diametriche
delle particelle raccolte, dalla quantità di sostanza secca presente e dal
potere calorifico inferiore.
• Distribuzione nelle classi diametriche
Distribuzione percentuale nelle classidiametriche
8,2
45,840
5,3
Mat. Fine (0-5 mm) Chip piccolo (5-25 mm)
Chip medio (25-50 mm) Chip largo (50-75 mm)
Capitolo 3
87
• Il potere calorifico inferiore del materiale cippato è stato determinato
dopo l’essiccazione in cumuli interi e del materiale alla raccolta. La
materia secca è definita come la percentuale in massa dopo la
permanenza in stufa a 105 °C per un punto sufficiente a stabilizzare la
massa.
LHV (MJ/kg di s.s.) Massa volumica tal quale (kg/m3) s.s. %
17,24 (17,2-17,34) 150,2 80-85%
Tab. 3.9 – Caratteristiche del prodotto finito
Capitolo 4
88
4 Il MODELLO della COLTURA
4.1 PRODUTTIVITA’ della COLTURAIl metodo generalmente seguito per la determinazione della produttività di
una coltura arborea è quello delle tavole alsometriche, che riportano i metri
cubi di materiale prodotto per ettaro in funzione del tempo. Queste tavole
sono costruite a partire da piante campione, rappresentative della fertilità
dell'area e della coltura che si sta esaminando, devono dunque essere
prelevate da aree che rappresentano la fertilità media della zona e devono
essere sufficientemente rappresentative di tutte le classi diametriche
presenti. Il campionamento deve essere ripetuto per ciascuna delle età a cui
si vogliono calcolare i volumi, generalmente con un intervallo variabile dai
due ai cinque anni. I volumi sono calcolati molto semplicemente
moltiplicando il volume della pianta media del campione per il numero di
piante presenti.
La scelta di stimare la produzione volumetrica piuttosto che quella massica
è dovuta al fatto che il prezzo di vendita varia con le dimensioni del
materiale prodotto. Per questo motivo la produzione è spesso suddivisa in
tre assortimenti mercantili, tronchi (diametro maggiore o uguale a 22 cm.),
tronchetti (con diametri compresi fra i 12 e i 22 cm.) e cimale (con diametri
inferiori ai 12 cm.).
Le curve alsometriche hanno un tipico andamento ad "S", che volge
inizialmente la convessità verso l'asse delle ascisse per divenire, dopo il
punto di flesso, concava rispetto allo stesso asse.
Sulla curva alsometrica si eseguono le seguenti elaborazioni:
Capitolo 4
89
### calcolo dell'incremento corrente, definito come l'aumento di volume fra
due anni consecutivi;
### calcolo dell'incremento medio, definito come il volume complessivo
diviso il numero di anni trascorsi;
### calcolo dell'incremento percentuale, definito come il rapporto tra
incremento corrente e incremento totale.
Le curve alsometriche seguono le leggi dell'auxonomia:
### l'incremento corrente culmina sempre prima dell'incremento medio;
### quando l'incremento medio è crescente, massimo o decrescente,
l'incremento corrente risulta, rispettivamente, maggiore uguale o minore
dell'incremento medio;
### l'incremento percentuale è sempre decrescente e presenta concavità
rivolta verso l'alto.
Il turno di taglio si stabilisce nell'anno in cui l'incremento medio raggiunge il
suo valore massimo, attendere ulteriormente significherebbe solo avere
delle perdite rispetto alla massima produttività potenziale (ottima).
Anche per le coltivazioni arboree ad uso energetico si può usare la
metodologia descritta per la selvicoltura tradizionale, sostituendo al volume
le tonnellate di sostanza secca raccolta. I rilevamenti vengono inoltre
effettuati annualmente a causa del brevissimo ciclo di taglio cui sono
sottoposte le piantagioni, infatti l’incremento medio raggiunge il massimo in
un numero limitato di anni (2-4anni).
La saturazione così rapida delle crescite è da attribuire alla reciproca
interferenza fra le piante, poste a distanze molto ravvicinate. Nella
selvicoltura tradizionale, dove i sesti d'impianto sono molto ampi (4 x 4, 5 x
5), questi problemi non si presentano e la curva alsometrica si può ritenere
Capitolo 4
90
quella di crescita fisiologica della pianta in quella località. Nelle figure
seguenti 4.1 e 4.2 sono riportate alcune produttività rilevate a Coltano.
Fig. 4.1 – Crescita fino al terzo anno di età di due cloni per la densità di
5700 talee/ha
Fig. 4.2 – Crescita fino al terzo anno di età di due cloni per la densità di
7100 talee/ha
Curve alsom etriche - densità 5700
0
5
10
15
20
25
30
0 1 2 3 4
anni
Lux L.Avanzo
Curve alsom etriche - densità 7100
0
5
10
15
20
25
30
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5
anni
Lux L.Avanzo
Capitolo 4
91
Il metodo classico dell’auxonomia poc’anzi descritto, considera come unica
variabile di decisione il turno di taglio che deve essere stabilito in modo da
massimizzare le produzioni ottenibili.
Nel caso delle coltivazioni energetiche esiste anche un’altra grandezza
fondamentale che deve essere fissata, la densità di impianto iniziale.
Questa variabile infatti determina gli effetti competitivi tra le pioppelle e può
fare in modo che a fronte di un aumento dell’investimento per i costi di
impianto, non corrisponda una crescita adeguata della produttività.
Per questo motivo si è deciso di affrontare il problema usando due obiettivi,
la produttività ottenibile e i costi di investimento e gestione della coltivazione,
da ottimizzare rispetto alle variabili di decisione.
La formulazione degli obiettivi è contenuta nel capitolo 5, mentre nei
paragrafi successivi viene elaborato un semplice modello per la descrizione
del sistema, necessario per affrontare il problema in questo modo.
4.2 MODELLO del SISTEMA
Il sistema viene descritto con un’unica variabile di stato, la quantità di
biomassa secca presente, che evolve seguendo un modello tempo discreto
non lineare. La scelta di considerare la biomassa secca piuttosto che quella
verde non è dovuta a motivi concettuali, ma al fatto che tutti i dati rilevati
sono espressi in funzione di questa variabile.
Xt+1 = xt + xt * g (t, xt ) (4.1)
xt = quantità di biomassa secca presente
g (t, xt) = coefficiente di crescita
t = età della piantagione
Capitolo 4
92
Questa rappresentazione è approssimata, perchè volendo descrivere il
sistema con esattezza si dovrebbe determinare il tasso di crescita in
funzione dell'età e della densità di impianto iniziale d, ottenendo le curve di
crescita nel tempo, tradizionalmente considerate con i metodi
dell'auxonomia:
xt+1 = xt + xt * g (t, d)
xt = quantità di biomassa secca presente
g (t, d) = coefficiente di crescita
d = densità di impianto
t = età della piantagione
Il problema non è affrontabile in questo modo poichè non sono disponibili
dati sufficienti, per questo motivo si ricorre ad una descrizione semplificata
del sistema in cui l'accrescimento viene determinato in funzione della
biomassa presente e dell'età della pianta.
La scelta dell'età è ovvia poichè da questa dipende la capacità di sviluppo
delle pioppelle, mentre l’introduzione della biomassa per ettaro viene fatta
per comprendere nel sistema gli effetti competitivi. E' intuitivo infatti che, a
parità di età, tanta più biomassa per ettaro è presente nella piantagione
tanto più elevati sono i fenomeni di interferenza reciproca fra gli individui.
Un'ulteriore semplificazione viene introdotta considerando separabile la
funzione g(t, xt) in modo da poter scrivere:
xt+1 = xt + xt * g (t) * g (xt) (4.2)
g(t) = coefficiente di crescita generazionale
g(xt) = coefficiente di crescita competitivo
L'ipotesi fondamentale di questo modello è di trascurare la mutua
dipendenza della densità e dell'età sull'accrescimento della pianta, e di
Capitolo 4
93
considerarli invece agenti separatamente. L'assunzione riguardante il
comportamento delle piante che si formula in questo modo è quella di
considerare i fenomeni di competizione indipendenti dall'età e funzione solo
della quantità di biomassa presente per ogni ettaro di piantagione. Questa
assunzione è supportata da una serie di osservazioni sperimentali effettuate
in passato su vivai di pioppo e ripetuti in questa circostanza, e dal fatto che
la crescita prosegue per un numero breve di anni in cui il comportamento
della pianta si può considerare paragonabile.
La prima dimostrazione della validità di queste assunzioni si ha dalle prove
effettuate in regime irriguo: somministrando volumi di acqua sufficienti per
mantenere durante tutto il periodo vegetativo l'umidità del terreno su valori
idonei per la crescita delle piante (intorno al 60-70% della capacità di
campo), anziché effettuare una sola irrigazione all’inizio del periodo
vegetativo, non si sono evitati gli effetti negativi dovuti all'alta densità.
Non si può dunque interpretare questo tipo di competizione soltanto in
termini di concorrenza idrica e/o nutrizionale, ma si deve portare l'attenzione
sul fatto che si tratta di piante costrette a vivere in condizioni di spazio e di
luce inadeguate ad un loro armonico sviluppo. La limitata disponibilità di
questi ultimi fattori vitali non può essere compensata da abbondanza di
acqua e di elementi nutritivi.
Avendo eliminato la competizione idrica e nutrizionale non si sono ottenuti
aumenti statisticamente significativi della produttività, dunque i fattori
determinanti per generare la competizione sono lo spazio e la luce. La
carenza di questi due fattori è ben rappresentata dalla quantità di biomassa
presente.
Per quanto riguarda la competizione per i nutrienti si può fare riferimento
all'analisi fogliare effettuata sulle piante a diverse età. Il risultato è espresso
nella tabella 4.1.
Si deve notare che il fabbisogno di nutrienti è espresso per unità di sostanza
secca presente e che la differenza fra due anni consecutivi non è marcata.
Capitolo 4
94
Dunque se esiste competizione per i nutrienti si può affermare che è ben
rappresentata dalla densità di biomassa indipendentemente dall'età della
pianta.
Anni N2 (Kg/tss) P2O5 (Kg/tss) K2O (Kg/tss)
1 6,9 3,1 5,2
2 5,6 2,1 4,2
3 4,7 2 3,9
4 4,1 1,7 3,6
Tab. 4.1 - Richiesta di nutrienti nel tempo
Il fatto di confrontare due anni consecutivi e non la variazione complessiva
sui quattro anni non deve stupire: nell’intervallo di impianto considerato
(2500-20000 piante /ettaro), non succede mai che la biomassa presente
all’anno t+1 per la densità più bassa sia inferiore a quella presente all’anno t
per la densità più elevata. Questo significa che aumentando la densità di
impianto si riesce ad anticipare la quantità ottenibile di un anno al massimo.
Si tenga conto però che questo tipo di competizione viene mitigato dalla
concimazione iniziale che è una delle cure colturali fondamentali eseguite
prima dell'impianto.
L'ultima verifica indiretta possibile è legata al rapporto di snellezza che è il
rapporto fra l'altezza e il diametro della pioppella, e che nelle rilevazioni di
vivaio è considerato il miglior parametro per definire la competizione.
Quando la pianta si trova a crescere in condizioni non adeguate, presenta
uno sviluppo insufficiente del diametro che determina un aumento del
rapporto H/D. Anche l’altezza totale tende a diminuire ma in misura molto
minore, probabilmente per la tendenza degli individui a crescere il più
possibile in cerca di luce.
Questo parametro è stato determinato in vivaio in funzione della densità di
impianto facendo uso delle rilevazioni che seguono.
Capitolo 4
95
Per il clone Luisa Avanzo si dispone di una prima serie di prove che va
dalle 4545 alle 15000 talee per ettaro di densità iniziale, sperimentate in
stazioni di diversa fertilità situate in differenti località italiane, Casale
Monferrato, Giarole (Alessandria), Sarmato (Piacenza), Palazzolo (Udine),
Casalotti (Roma). Una seconda serie di prove è stata effettuata a Casale
Monferrato con densità comprese fra le 14500 e le 25000 talee per ettaro su
un terreno molto fertile.
Le densità sperimentate e i sesti d'impianto corrispondenti sono indicati
nella tabella 4.2.
densità sesto d'impianto
(larghezza fila x distanza sulla fila)
Serie 1 4545 2,20 x 1
5050 2,20 x 0,9
5700 2,20 x 0,8
6500 2,20 x 0,7
7600 2,20 x 0,6
9090 2,20 x 0,5
11000 2,20 x 0,4
15000 2,20 x 0,3
Serie2 densità sesto d'impianto
(larghezza fila x distanza sulla fila x
distanza tra le bine)14492 1,1 x 0,8 x 0,6
16667 1,1 x 0,6 x 0,6
21738 1,1 x 0,4 x 0,8
25000 1,1 x 0,4 x 0,6
Tab. 4.2 - Sperimentazioni effettuate in vivaio
Capitolo 4
96
Le piantagioni sono state seguite per due anni consecutivi. I risultati di
queste prove sono presentati nelle figure 4.3, 4.4, 4.6 e 4.7, in cui sono
riportate le grandezze rilevate.
Fig. 4.3 - Diametri a 10 cm dal suolo al termine del primo anno di vita
Fig. 4.4 - Altezze totali nel primo anno di vita
H per diverse stazioni e diverse densità
1
2
3
4
5
0 5000 10000 15000 20000 25000 30000
Densità
media
Casale
Giarole
Sarmato
Palazzolo
Casalotti
D 10 in diverse stazioni e per diverse densità
1
1,5
2
2,5
3
3,5
0 5000 10000 15000 20000 25000 30000
Densità (talee/ha)
media
Casale
Giarole
Sarmato
Palazzolo
Casalotti
Capitolo 4
97
La figura 4.5 mostra una prima elaborazione effettuata su questi dati, il
calcolo del rapporto di snellezza per la stazione più fertile, quella di Casale,
per una delle meno fertili, Giarole e per la media dei dati di tutte le stazioni.
Fig. 4.5 - Rapporto di snellezza per il primo anno del clone Luisa Avanzo
L’osservazione fondamentale riguardante questa prima elaborazione è che
la competizione nel primo anno di vita è fortemente influenzata dalla fertilità
della stazione.
Nella coltivazione di Casale Monferrato, dove gli accrescimenti sono i più
grandi in assoluto, i rapporti di snellezza si mantengono notevolmente al di
sotto della media mentre in quella di Giarole, rappresentativa delle stazioni
meno fertili, i valori sono sempre superiori a quelli della media.
Il secondo anno della coltivazione è caratterizzato da una grandezza
differente rispetto al primo, il diametro a 130 cm da terra. Il suo andamento
è riportato in figura 4.6 e mostra una dipendenza ancora più netta con la
densità. Anche l’altezza delle piante mostra una dipendenza maggiore con
la densità (fig.4.7).
Rapporto di snellezza - 1°anno
0,9
1,1
1,3
1,5
1,7
1,9
0 5000 10000 15000 20000
D ensità (talee/ha)
media
Casale
Giarole
Capitolo 4
98
I dati riportati, esattamente come nel primo anno di vita, si riferiscono alle
medie su campioni statisticamente significativi, in cui si è osservato un
aumento della frequenza nelle classi diametriche più elevate al diminuire
della densità.
Fig.4.6 - Diametro a 130 cm dal suolo per il 2° anno del clone Luisa Avanzo
Fig.4.7 - Altezza totale al termine del 2° anno di vita del clone Luisa Avanzo
D 130 in diverse stazioni e per diverse densità
22,53
3,54
4,55
5,56
6,57
0 5000 10000 15000 20000
Densità (talee/ha)
media
Casale
Giarole
Sarmato
Palazzolo
Casalotti
H per diverse stazioni e densità
44,55
5,56
6,57
7,58
8,59
0 5000 10000 15000 20000
Densità
media
Casale
Giarole
Sarmato
Palazzolo
Casalotti
Capitolo 4
99
Fig. 4.8 - Rapporto di snellezza al secondo anno del clone L.Avanzo
Dal confronto delle figure 4.5 e 4.8 si nota che la stazione di Casale, che il
primo anno ha un valore del rapporto di snellezza molto inferiore rispetto
alle altre stazioni, nel secondo anno si attesta a valori paragonabili a quelli
medi.
Questo significa che nonostante la quantità di biomassa sia maggiore per
via della più alta fertilità, le piantagioni più fertili hanno subito maggiore
competizione durante il secondo anno per via della maggiore quantità di
biomassa presente. Ancora una volta si conferma che l’elemento
fondamentale che determina la competizione è la quantità di biomassa
presente.
L'applicazione del modello descritto è possibile solo se si dispone delle
condizioni iniziali del sistema, cioè della quantità di biomassa prodotta il
primo anno in funzione della densità d'impianto e dei coefficienti di crescita
R apporto di snellezza - 2°anno
0,9
1,1
1,3
1,5
1,7
1,9
0 5000 10000 15000 20000
D ensità (talee/ha)
media
Casale
Giarole
Capitolo 4
100
generazionale e competitivo che abbiamo appena definito, la loro
determinazione e i loro andamenti sono descritti nei paragrafi successivi.
4.3 DETERMINAZIONE della CONDIZIONE INIZIALE
La condizione iniziale è espressa dal peso fresco individuale in funzione
della densità per le piante di un anno, ed è diversa a seconda che ci si trovi
nell'anno dell'impianto delle talee o nell'anno che segue una ceduazione. Il
comportamento delle piante ceduate è infatti molto diverso poichè da
ciascun apparato radicale vengono emessi più polloni (fusti) che competono
fra loro oltre che con i polloni delle ceppaie a loro vicine.
4.3.1 PRODUZIONE nell’ANNO dell’IMPIANTO dei DUE CLONI
La condizione iniziale per l'anno dell'impianto si determina dai rilevamenti
effettuati in vivaio, che non sono altro che coltivazioni in cui si raggiungono
densità molto elevate al fine di produrre fusti di uno o due anni di età che,
tagliati in tronchetti di circa 20 cm di lunghezza, forniscono le talee
necessarie per iniziare una nuova coltivazione.
Capitolo 4
101
Clone Luisa Avanzo
Per il clone Luisa Avanzo si dispone delle prove effettuate in stazioni di
diversa fertilità situate in differenti località italiane, Casale Monferrato,
Giarole (Alessandria), Sarmato (Piacenza), Palazzolo (Udine), Casalotti
(Roma) descritte nel paragrafo 4.1.
I risultati di queste prove sono presentati nelle figure 4.3 e 4.4 in cui sono
riportate le due grandezze rilevate, il diametro a 10 cm da terra e l'altezza
totale il primo anno.
In entrambe le prove gli accrescimenti diametrici al diminuire delle densità
sono significativi, sia per intervalli sulla fila molto stretti (da 30 a 40 cm, da
40 a 50 cm, da 50 a 60 cm), ma anche per intervalli relativamente molto
larghi (da 60 a 70 cm, da 70 a 80 cm, da 80 a 90 cm e perfino da 90 a 100
cm), con variazioni percentuali dell'ordine del 20-25% tra le densità più
distanti sperimentate (fig.4.3). Non sono state saggiate spaziature superiori
a 100 cm (densità inferiori alle 4545 talee/ettaro), ma dall'andamento delle
curve ci si può aspettare un ulteriore incremento del diametro, in particolare
con cloni molto vigorosi come ad esempio il Luisa Avanzo.
Le altezze risultano disperse intorno ad un valore medio indipendentemente
dalla densità (fig.4.4).
La fertilità influisce fortemente sull'accrescimento della pioppella e sulla
dipendenza dalla densità, infatti le linee rilevate sono poste a quote differenti
a seconda della stazione considerata e presentano inclinazioni maggiori
nelle stazioni più fertili. Le stazioni di Casale e Casalotti si possono
considerare di alta fertilità; le altre stazioni sono di bassa fertilità, la
produttività è nettamente inferiore e la dipendenza da densità scarsa. La
stazione di Coltano si colloca a cavallo della linea media sia per quanto
riguarda i diametri che le altezze.
Capitolo 4
102
Sulla base di questa osservazione il metodo seguito è quello di applicare un
procedimento di regressione sui dati medi delle diverse stazioni, in modo da
determinare l'equazione della curva media e di traslarla successivamente
alla quota corrispondente alla fertilità della nostra stazione, che come è
detto è situata in provincia di Pisa.
• Determinazione della dipendenza da densità: si può ottenere dai dati
medi della prima serie e dai dati della seconda serie (fig.4.3). La
seconda serie è stata rapportata alla fertilità media della prima
moltiplicando per un "coefficiente di fertilità f" dato dal rapporto fra il
diametro medio rilevato alla densità di 15000 talee/ha e il diametro
misurato a 14500 talee/ha nella seconda serie di dati.
Per i diametri, il tipo di curva che sembra adattarsi meglio ai dati è una
potenza decrescente con la densità; mentre per le altezze si considera il
valore medio dei rilevamenti effettuati a Coltano, in quanto si notano
delle differenze non significative in funzione della densità. Il
procedimento di regressione applicato ai dati fornisce la relazione:
D d100 223716 308= −, * , con R2 = 0,9722 (4.3)
I dati misurati e interpolati sono mostrati in figura 4.9 e 4.10.
Il comportamento per valori più bassi della densità dovrebbe tendere ad
una saturazione, mentre per valori più alti dovrebbe tendere lentamente
a un valore limite approssimandosi al numero massimo di piante che si
possono porre una vicina all'altra. Al diminuire della densità infatti gli
effetti competitivi diminuiscono e si tende alle dimensioni fisiologiche
della pianta; per densità più elevate iniziano fenomeni di mortalità delle
talee e degli astoni che fanno in modo che le piante rimaste si trovino a
Capitolo 4
103
una spaziatura maggiore di quella prevista e la loro dimensione non
decresce mai al di sotto di un certo valore.
Per questo motivo l'andamento del diametro con la densità viene fatto
saturare per valori inferiori alle 1000 talee/ha e per densità superiori alle
25000 tallee/ha. La scelta del limite inferiore è dovuta al raggiungimento
del limite fisiologico in terreni di media fertilità (2,8 cm.).
Il limite superiore corrisponde al valore massimo mai sperimentato nelle
prove a nostra disposizione (vedi serie 2).
In figura 4.9 è rappresentato l'andamento del diametro in funzione della
densità, ottenuto interpolando i dati sperimentali e imponendo la
saturazione.
Fig. 4.9 - Diametri medi misurati e loro interpolazione, con dati di Coltano
relativi al primo anno
D10 interpolato
11,21,41,61,82
2,22,42,62,83
0 5000 10000 15000 20000 25000 30000
D ensità (talee/ha)
Capitolo 4
104
Come si può vedere, la saturazione della curva per densità elevate è giàben rappresentata dall'equazione interpolante, mentre per basse densitàdeve essere inserita la seguente modifica:
D10 = min [16,308 d(-0,2237) ; 2,8]
Fig. 4.10 – Altezze medie misurate e dati di Coltano del primo anno
• Determinazione della fertilità: nota la dipendenza da densità, si ottiene
traslando la curva dei diametri di fig.4.9 alla quota delle rilevazioni
effettuate a Coltano alle densità di 5700 talee/ettaro e 7100 talee/ettaro.
Si ottiene l’equazione:
D d100 223716 308 0 1125= −−, * ,, (4.4)
• Stima del peso fresco: per calcolare il peso fresco di ogni pioppella si
deve conoscere quello che viene generalmente definito il modello della
pianta, che si può considerare lo strumento fondamentale per prendere
Altezze m edie
2
2,2
2,4
2,6
2,8
3
3,2
3,4
0 5000 10000 15000 20000
Densità
H sperim H Coltano
Capitolo 4
105
decisioni riguardanti l'utilizzo della biomassa da coltivazione a scopo
energetico.
I modelli più sofisticati mettono in relazione la distribuzione della
biomassa nelle diverse componenti della pianta (fusto, chioma, rami,
radici e ceppo), con delle variabili indipendenti facilmente osservabili,
quali le dimensioni del fusto a 130 cm dal suolo o l'altezza complessiva
della pianta. Queste grandezze si riferiscono alle dimensioni del fusto,
della chioma o complessive di un appezzamento di terreno e possono
essere così raggruppate:
1. dimensioni del fusto:
diametro a petto d'uomo
altezza totale dell'albero
volume del fusto
età dell'albero
2. dimensioni della chioma:
lunghezza della chioma
diametro del fusto alla base della corona
area della superficie della corona
3. indicatore dell'appezzamento
età
densità
tipo di suolo
Il diametro a petto d'uomo è la più appropriata variabile indipendente per
predire la biomassa verde o secca mediante una relazione di tipo
esponenziale
P.F. = b1 Db2
Capitolo 4
106
D = diametro a petto d'uomo (130 cm)
P.F. = peso fresco della pianta
Un valore di b2 usato frequentemente è 2.0, che presuppone la biomassa
proporzionale all'area basale dell'albero. La varianza dei dati attorno al valor
medio aumenta con il diametro, il modello può essere linearizzato con una
trasformazione logaritmica che determina anche una riduzione della
varianza, producendo una relazione del tipo:
log P.F. = b0 + b1 log D;
Altre formule sono state proposte e testate con successo per la stima della
biomassa delle diverse componenti della pianta (chioma, fusto) e includono
una componente formata dalla somma del diametro e di una costante.
Un'altra grandezza del fusto usata per predire la biomassa della pianta o
delle sue componenti è l'altezza totale o l'altezza a un dato diametro di
cima, tuttavia il diametro a petto d'uomo generalmente interpola meglio le
differenze da albero ad albero.
Utilizzando l'altezza unitamente al diametro si possono ottenere piccoli
miglioramenti della predizione della biomassa fresca: per esempio, la
migliore correlazione per i dati di dodici specie di alberi è stata ottenuta in
Quebec utilizzando la formula:
log P.F. = b0 + b1 log D + b2 log H
Per le pioppelle di Coltano di un anno è disponibile una formula di questo
tipo in cui le grandezze selezionate, misurate su un campione significativo di
300 piante, sono l'altezza e il diametro a 10 cm da terra, mentre i coefficienti
b1 e b2 sono uno doppio dell'altro.
log P.F. = b0 + b1 log (D102 H) (4.5)
Capitolo 4
107
P.F. = peso fresco di ogni pianta (Kg);
D10 = diametro a dieci cm da terra (cm);
H = altezza totale della pianta (cm);
b0 = 2,188
b1 = 1,7
Come si osserva dalla figura 4.11, il peso fresco di ogni pioppella è molto
diverso al variare della densità, nell'intervallo sperimentato (4000 - 25000
talee/ettaro) è più che dimezzato, evidenziando la competizione delle piante
per lo spazio in piena luce e in parte per i fertilizzanti e l’acqua. Presenta un
andamento decrescente con la densità e concavità rivolta verso l'alto,
stando ad indicare una maggiore influenza della densità per valori bassi
delle talee impiantate.
Fig. 4.11 - Peso fresco stimato per le pioppelle di un anno del clone Luisa
Avanzo
Peso fresco individuale stim ato
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
1,8
0 5000 10000 15000 20000 25000 30000
D ensità (talee/ettaro)
Capitolo 4
108
• Stima della sostanza secca: si ottiene dal peso fresco tenendo conto
del numero di piante presenti, della sopravvivenza e dell'umidità
contenuta nel legno (fig.4.12).
s s P F U Sop d. . . .*( ) * *= −1 (4.6)
P.F.= peso fresco di ogni pianta (Kg);
U = umidità del legno (0,54 );
Sop = sopravvivenza delle talee (0,971);
d = densità di impianto (talee/ha);
Si può osservare nella curva il primo tratto lineare in cui non ci sono
effetti di densità e il secondo tratto con la concavità rivolta verso il basso.
La curva è sempre crescente perché non si sono manifestati fenomeni di
mortalità differenti fra le diverse densità. Questo stesso fatto non si
verifica negli anni seguenti il primo o negli anni dopo una ceduazione. In
questi casi la mortalità si manifesta in modo evidente sulla curva di
crescita e sulla condizione iniziale delle piante ceduate come viene
spiegato nei paragrafi successivi.
Capitolo 4
109
Fig. 4.12 - Sostanza secca stimata alla fine del primo anno
Clone Lux
In questo caso la costruzione della curva della sostanza secca in funzione
della densità di impianto è più semplice da ottenere, si dispone infatti di
rilevazioni dirette effettuate su coltivazioni appositamente realizzate per lo
studio della competizione fra le piante.
Queste osservazioni sono disponibili per il primo anno di vita dopo l'impianto
e dopo la ceduazione, avvenuta negli stessi appezzamenti l'anno seguente.
La piantagione è stata costituita alla fine di Marzo del 1996 a Coltano (PI),
presso la tenuta gestita dalla cooperativa Le Rene. I fattori studiati sono il
sesto d'impianto, a file singole e binate, con larghezza tra file singole e bine
di 2 m e tra le due file della bina di 0,75 m, e la densità d'impianto (5000,
7576, 10000, 15152, 20000 talee/ha).
Il sesto d'impianto è stato assegnato alla parcella e la densità alla sub-
parcella avente le superficie di 180 m2. Come materiale d'impianto sono
state utilizzate talee del clone di Populus Deltoides 'Lux' di lunghezza di 20
Sostanza secca ottenibile il prim o anno.
0
1
2
3
4
5
6
7
0 5000 10000 15000 20000 25000 30000
D ensita (talee/ettaro)
Capitolo 4
110
cm e diametro compreso tra 15 e 25 mm. Prima della messa a dimora le
talee sono state immerse in acqua per almeno due giorni al fine di favorire la
formazione delle radici.
Dopo la messa a dimora è stato effettuato il diserbo il cui effetto è durato
fino all'inizio di giugno.
I dati rilevati sono l'attecchimento e la produzione di sostanza secca, e sono
riportati in tabella 4.3 dove si evidenzia una saturazione della produzione al
crescere del numero di talee. Passando da 5000 a 20000 talee per ettaro,
quadruplicando quindi il numero di individui presenti, la produzione passa da
3,25 tonnellate ettaro a sole 7,34 tonnellate ettaro. La diminuzione della
produzione non è dovuta ad una più elevata mortalità delle ceppaie, che si
mantiene inalterata tra il 15 e il 20 %, quanto alla presenza di molte piante
dominate.
Negli appezzamenti più densi l'altezza media degli individui e i diametri sono
molto inferiori a quelli delle piante dominanti, determinando la diminuzione
della produzione prima descritta.
Per il clone Luisa Avanzo si è ottenuta una variazione del peso fresco con la
potenza della densità, di conseguenza anche per il Lux i punti sperimentali
sono stati interpolati con una legge di quel tipo ottenendo la curva di figura
4.13, la cui equazione è:
s.s. = 0,0319*d0,5517 con R2 = 0,9242 (4.7)
L'impianto è stato ceduato alla fine (Dicembre) del 1996.
Densità (talee/ha) s.s. (t/ha)
5000 3,25
5700 3,91
7100 4,79
Capitolo 4
111
7500 4,30
10000 4,59
15000 6,83
20000 7,34
Tab. 4.3 - Quantità di biomassa per il clone Lux nell’anno dell’impianto
Fig.4.13 - Interpolazione dei dati sulla sostanza secca ottenuti il primo anno
4.3.2 EFFETTO della CEDUAZIONE
Sostanza secca prodotta il primo anno
0
1
2
3
4
5
6
7
8
0 5000 10000 15000 20000 25000
D ensità (talee/ha)
Capitolo 4
112
Clone Lux:
Lo studio delle piante ceduate è stato possibile proseguendo le osservazioni
sulla piantagione effettuata nel 1996 a Coltano.
Nel 1997, prima della ripresa vegetativa è stato fatto un diserbo e una
concimazione, mentre nel corso della stagione vegetativa si è resa
necessaria un’irrigazione effettuata con il metodo a pioggia.
Le grandezze rilevate sono le sopravvivenze delle ceppaie, il numero di
polloni vivi e la loro altezza totale; su un campione per spaziatura sono stati
rilevati anche i diametri a 10 e a 130 cm da terra e il peso dei polloni. Nel
corso dell'anno si è avuta una lieve diminuzione della sopravvivenza delle
ceppaie, del 3% rispetto all'anno precedente in modo generalizzato in tutte
le parcelle. Le differenze tra le tesi per questo parametro non sono
significative, mentre il numero di polloni vivi per ceppaia con altezza
superiore ai 150 cm è influenzato in modo statisticamente significativo dalla
densità d'impianto: si passa da 4,3 polloni per ceppaia nelle parcelle con
5000 piante/ha a 2,9 polloni per ceppaia nelle parcelle con densità di 20000
piante/ha.
La sostanza secca prodotta è influenzata in modo statisticamente
significativo dalla densità d'impianto: si passa da 6 t/ha alla densità di 5000
piante/ha a 16,8 t/ha alla densità di 20000 piante/ha.
A queste prove si aggiungono i dati rilevati a 5700 e 7100 talee/ha negli
impianti del 1994 a Coltano, nel complesso si ottengono i risultati della
tabella 4.4.
La curva di crescita è ottenuta interpolando le sostanze secche rilevate in
funzione degli individui vivi sopravvissuti per ettaro. Questa scelta è dovuta
al fatto che la stessa curva deve essere utilizzata anche nei cicli produttivi
seguenti il primo, non avendo a disposizione alcun dato ad essi relativo.
Capitolo 4
113
L’unica rilevazione fatta per i cicli successivi è quella della mortalità delle
ceppaie in seguito al taglio, sinteticamente descritta nel paragrafo
successivo.
Quest’ultimo dato è però importantissimo se si ipotizza che la produzione
nel primo anno di vita di una piantagione ceduata sia funzione solo delle
piante vive rimaste e non del passo a cui ci si trova. Sapendo il numero
reale di individui rimasti, si conosce infatti la reale densità di quel ciclo e
dalla curva interpolata si può determinare la sostanza secca che si può
ottenere. Per questo l’interpolazione dei dati rilevati è effettuata in funzione
dei sopravvissuti. La formula interpolante ottenuta è:
Sop = ceppaie sopravvissute (4.8)
Il tipo di formula utilizzato è tale da saturare rapidamente con il numero di
ceppaie vive presenti, in accordo a quanto osservato in tabella 4.4. I dati
riportati mostrano infatti come la competizione fra gli individui sia molto più
spinta a causa del numero molto più elevato di individui presenti. Ciascuna
ceppaia infatti emette più polloni, determinando una densità reale molto
superiore a quella iniziale. Queste condizioni estreme generano una
diminuzione dei polloni vivi per ceppaia che nel complesso provoca una
saturazione della quantità ottenibile di biomassa secca. In ogni caso, alle
densità analizzate, questo effetto non è così spinto da determinare una
diminuzione della materia prima prodotta come si può vedere dalla fig. 4.14.
Clone Luisa Avanzo
)1(1000/*35,4
)1000/*0711,0 SopeSopss
+=
Capitolo 4
114
Gli esperimenti sui cedui del clone Luisa Avanzo sono stati compiuti in parte
a Casale Monferrato e in parte a Coltano.
In provincia di Pisa sono state saggiate le densità di 5700 e 7100 con la
rilevazione completa del numero di polloni vivi maggiori e minori di 150 cm,
le sopravvivenze e le sostanze secche ottenute. Per gli esperimenti di
Casale si dispone solo della produzione ottenuta alle densità di 14500,
16700, 21700 e 25000 talee per ettaro. Le produzioni sono paragonabili
perché realizzate in regime non irriguo nella stazione più fertile di Casale
Monferrato.
La formula interpolante scelta è una potenza del numero degli individui vivi
presenti, determinata su un campione statisticamente significativo di polloni
rilevato a Coltano; per i cloni Euroamericani si può infatti osservare una
minore sensibilità alle densità più elevate.
ss = 0,0445 * Sop0,59 R2 = 0,92 (4.9)
Dall'analisi dei dati ottenuti per i due cloni si conclude che la densità ha un
effetto determinante sull'accrescimento delle pioppelle ceduate, in quanto
determina in modo statisticamente significativo il numero di polloni vivi con
altezza superiore ai 150 cm e la produzione di sostanza secca complessiva.
La densità non influisce in modo significativo sull'accrescimento in altezza
dei polloni sia dominati che dominanti e sulla sopravvivenza delle ceppaie.
L'influenza della densità è inoltre più marcata per i cloni più vigorosi, come
già messo in evidenza in precedenti esperienze in vivaio; in particolare in
una seconda serie di prove realizzate a Casale Monferrato, con densità
variabili da 9090 a 15150 è stata confermata la correlazione negativa tra
accrescimento diametrico dei polloni e la densità. Questa conoscenza
acquisita in passato permette di affermare che la densità influisce in modo
statisticamente significativo anche sulla crescita diametrica dei polloni,
Capitolo 4
115
grandezza che non è stata rilevata in questa serie di esperimenti, in cui si è
preferito rilevare una grandezza aggregata, la produzione di sostanza secca
per ettaro, che tiene conto di tutte le caratteristiche della piantagione, le
sopravvivenze, il numero medio di polloni e le loro dimensioni. Un'ultima
serie di prove, realizzata sempre a Casale Monferrato, ha identificato la
densità di 10410 piante/ha come l'impianto che garantisce un compromesso
ottimo tra i costi fissi legati alla realizzazione di un vivaio e i proventi che ci si
può attendere.
Lux Densità Sop p P H Hdom S.S.
5000 0,79 1,7 4,3 249 309 6,44
5700 0,82 9,3
7100 0,8 11,9
7500 0,78 1,0 4,0 268 343 10,08
10000 0,85 0,9 3,7 259 322 13,16
15000 0,77 1,2 3,3 244 296 13,32
20000 0,74 0,8 2,9 264 317 15
media 78,8 0,95 256,7 256,7 317,2 11,3
TEST F Densità 0,1 n.s. 0,9 n.s. 5,8 ** 0,5 n.s. 0,6 n.s. 9 **
L. Avanzo5700 0,94 2,9 5,8 297 7,2
7100 0,96 3,2 5,2 262 6,16
14500 0,8 12,33
16700 0,8 12,64
21700 0,8 13,14
25000 0,8 13,75
Tab.4.4 - Rilevazioni sui polloni dei due cloni (** significatività α ≤ 0,01)
Capitolo 4
116
Fig. 4.14 - Produzione di sostanza secca nel primo anno seguente una
ceduazione del clone Lux
Fig. 4.15 - Produzione di sostanza secca nel primo anno seguente una
ceduazione del clone L. Avanzo
Produzione delle piante ceduate - Lux
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
0 5000 10000 15000 20000
Sopravvissuti
Produzione delle piante ceduate - L.Avanzo
02468
1012141618
0 5000 10000 15000 20000 25000Sopravvissuti
Capitolo 4
117
4.4 DETERMINAZIONE dei COEFFICIENTI di CRESCITA
Coefficiente di crescita generazionale
Per quanto riguarda la dipendenza della crescita dall'età, si dispone di curve
di crescita registrate per un numero di anni elevato (8 anni), in impianti
tradizionali in cui si possono escludere fenomeni di interferenza per
vicinanza. Le spaziature utilizzate normalmente sono infatti dell'ordine dei
metri, raggiungendo in questo caso il valore 6m x 6m per il clone Lux.
Facendo uso del primo tratto della curva, cioè dell'arco di tempo di nostro
interesse (3-4 anni), è dunque possibile conoscere la crescita della
piantagione in assenza di fenomeni di interferenza.
Il parametro da inserire nel modello, chiamato tasso generazionale di
crescita, è definito come :
(4.10)
xt = biomassa presente all’anno t.
Per determinarlo si è fatto uso dei dati di crescita relativi a 2 cloni diversi, il
Dvina e il Neva, che hanno caratteristiche produttive simili al Lux e al Luisa
Avanzo. Il Dvina come il Lux appartiene alla specie Populus Deltoides,
mentre Neva è un Populus x Euramericana come L. Avanzo.
Alcune importanti considerazioni si possono fare rispetto ai due cloni
analizzati: il Luisa Avanzo ha continuità nella crescita fra il secondo e il
quarto anno superiore a quella del Lux, mentre negli anni successivi hanno
incrementi paragonabili. Si deve considerare però che i Deltoidi sono molto
più produttivi nell’anno dell’impianto come è già stato mostrato nelle
condizioni iniziali.
t
tt
xxxtg
−= +1)(
Capitolo 4
118
Fig. 4.16 - Tassi di crescita in assenza di densità
Coefficiente di crescita competitivo
La dipendenza da densità può essere determinata disponendo dei dati
rilevati per le piantagioni di Coltano da cui si può esprimere il tasso di
crescita delle piante in funzione della biomassa presente per ettaro. Questa
dipendenza è espressa come percentuale del tasso di crescita fisiologico di
ogni età in funzione della sostanza secca presente, in accordo con quanto
detto nel primo paragrafo rispetto alla struttura del modello.
(4.11)
xt = biomassa presente al tempo t
g(t) = coefficiente di crescita generazionale definito nel punto precedente
Per poter determinare questa funzione i dati rilevati a Coltano devono
essere depurati della componente sovrapposta legata all'età della pianta. I
dati vengono quindi divisi per il coefficiente di crescita generazionale
Tassi fisiologici
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
0 1 2 3 4 5
anni
Lux
L.Avanzo
)(1*)( 1
tgxxxxg
t
ttt
−= +
Capitolo 4
119
descritto nel punto precedente e successivamente interpolati rispetto alla
sostanza secca presente. L'andamento che si ottiene è indicato in figura 17
e 18 per i due cloni.
Fig. 4.17 - Tasso di crescita competitivo per L.Avanzo
Fig. 4.18 - Tasso di crescita competitivo del Lux
Le interpolazioni ottenute si possono considerare buone se si pensa che
sono riferite a coltivazioni effettuate con densità di impianto molto diverse.
I punti che più si discostano sono quelli delle piantagioni ceduate che sono
molti più bassi degli altri e indicano una capacità di crescita inferiore dei
Lux - tasso com petitivo
y = -0,2941Ln(x) + 1,1613
R2 = 0,8018
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
0 5 10 15 20 25 30 35 40
sostanza secca xt (t/ha)
L. Avanzo - tasso com petitivo
y = -0,2569Ln(x) + 1,0762
R2 = 0,7178
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
0 10 20 30 40 50
sostanza secca xt (t/ha)
Capitolo 4
120
polloni. L’allineamento ottenuto conferma che l’ipotesi di considerare la
competizione indipendente dall’età è verificata con buona approssimazione.
Le differenze fra i due cloni è evidente confrontando le figure 4.17-4.18. Il
Lux è molto più sensibile alle elevate densità e infatti la curva di crescita
competitiva tende più rapidamente ad abbassarsi.
Questo comportamento conferma le esperienze fatte in vivaio e può essere
dovuto alla forma geometrica del Lux, che lo porta a competere
maggiormente per la luce di quanto non faccia il Luisa Avanzo.
Questa sottolineatura non è solo descrittiva del comportamento dei due
cloni, ma è fondamentale nel comprendere il risultato dell’ottimizzazione
nella scelta del turno di taglio. Il Luisa Avanzo fornisce continuamente turni
di taglio più lunghi proprio per la sua capacità di mantenere elevata la
produttività anche negli anni più avanzati e risultando così superiore al Lux
allo scopo di produrre biomassa per uso energetico.
La differenza nel comportamento evidenziata è alla base della scelta dei
cloni da mettere a confronto, e proprio per questo motivo sono stati scelti
dall’I.S.P. per essere confrontati nella tenuta di Coltano.
4.5 MORTALITA’ delle CEPPAIE
L’ultimo elemento necessario per costruire il modello del sistema è quello
della mortalità delle ceppaie. I fenomeni più rilevanti riguardanti la mortalità
si verificano a causa dell’attecchimento poiché, con le cure colturali di
riferimento, le sopravvivenze durante tutto il periodo vegetativo sono
Capitolo 4
121
elevatissime e in alcuni casi unitarie. Si riportano come esempi gli
attecchimenti e le sopravvivenze rilevati a Coltano negli impianti del 1994.
anni1994 1995 1996 1997
densità specie5700 Lux 0,85 0,85 0,8 0,8
L.avanzo 0,97 0,97 0,90 0,90
7100 Lux 0,85 0,84 0,84 0,8L.Avanzo 0,98 0,98 0,94 0,94
Tab. 4.5 - Sopravvivenze rilevate a Coltano.
La ceduazione provoca la morte di molte ceppaie, in parte per motivi
fisiologici, in parte a causa del passaggio dei mezzi di raccolta che
provocano la rottura e il danneggiamento delle stesse ceppaie.
Questo effetto è stato studiato in piantagioni del clone I214, adottando
rotazioni annuali o multiannuali, ceduando ogni anno tra la fine di Febbraio e
i primi giorni di Marzo a 5 cm dal livello del suolo. Il tasso di mortalità delle
ceppaie cresce progressivamente fino a raggiungere 84% alla fine del
decimo anno. Questo è un valore molto elevato, da attribuire ai valori elevati
di densità e ai frequenti tagli.
La fertilità del terreno non influisce sulla sopravvivenza come è stato messo
in evidenza in un esperimento simile svoltosi su un terreno privo di qualsiasi
fertilizzazione e impoverito dalla coltivazione di Sorgo da fibra nei due anni
precedenti.
I risultati ottenuti sono indicati in tabella 4.6, dove la mortalità è espressa in
percentuale rispetto al numero di talee iniziale.
Capitolo 4
122
anni 1 2 3 4 5 6 7 8 9Mortalità 14,30 28,60 39,25 50,05 57,19 71,46 76,79 82,14 84,11
Tab. 4.6 – Mortalità causata da ceduazione annuale.
Nella simulazione i valori sono stati abbassati per includere l’effetto dovuto
al passaggio dei mezzi di raccolta.
4.6 ANALISI STATISTICA dei DATI
Nel corso del capitolo si è spesso affermato che i dati disponibili sono
statisticamente rilevanti. Questa affermazione è possibile perché le
rilevazioni sono sottoposte a un test statistico usualmente impiegato in
ambito agricolo per verificare se diversi possibili trattamenti influenzano o
meno il raccolto.
I diversi trattamenti corrispondono a diverse popolazioni, quando si verifica
che non esiste differenza fra le popolazioni, si dimostra che non esiste
effetto di trattamento. Il caso brevemente illustrato si verifica nel caso delle
colture energetiche quando si vuole mettere a confronto la densità, il clone
utilizzato e il sesto d'impianto.
La modalità prescelta è quella di eseguire il test sulla media che si basa sul
seguente principio.
Si suppone di avere K campioni casuali di n osservazioni ciascuno, estratti
da ciascuna delle popolazioni che si desidera confrontare. Si assume che la
distribuzione di partenza delle popolazioni sia di tipo normale con media µ e
varianza σ2. Lo scopo è quello di verificare l'ipotesi nulla, cioè che le medie
delle popolazioni siano le stesse in alternativa all'ipotesi che non tutte siano
uguali.
H0 = ipotesi nulla : n1=n2=n3=.....=nk;
Capitolo 4
123
Si definisce un test di rapporto di verosimiglianza generalizzato definito dalla
seguente relazione:
rn x x k
x x n k
jj
k
i j ji
n
j
k=− −
− −
=
−
==
∑
∑∑
* ( ) / ( )
( ) / ( )
_ _
,
1
2
2
11
1
Si dimostra che se l'ipotesi H0 è vera la variabile r è distribuita come una F
di Fischer con k-1 e n-k gradi di libertà. Di conseguenza si accetta l'ipotesi
se r ≥ αc dove c è definito in modo tale che :
P[r ≥c /H0] =α
α è l'ampiezza del test e viene posto uguale a 0,5 se si desidera una bassa
significatività e 0,01 se si desidera ottenere elevata significatività.
4.7 ANALISI ECONOMICA
COSTI di PRODUZIONE
Per l’analisi economica delle coltivazioni a breve rotazione di pioppo si
considerano i costi di produzione della biomassa legnosa relativi alle attività
dell’intero ciclo produttivo (orizzonte temporale di T anni), descritte nel
paragrafo 3.2.
Capitolo 4
124
I costi sono stimati sulla base delle esperienze al momento disponibili in
Italia, acquisite prevalentemente presso i campi sperimentali realizzati
dall’ENEL e dall’Istituto per la Pioppicoltura in Piemonte e Toscana. Questa
valutazione è stata realizzata considerando le tariffe di conto-terzisti sul
mercato agricolo, cioè il costo dell’operatore (20000 £/h) e della macchina
per conto terzi.
Le macchine utilizzate sono infatti disponibili sul mercato e comunemente
utilizzate in campo agricolo. Nel caso della macchina raccoglitrice invece il
costo orario è stato stimato in 100000 £/h da chi ha realizzato le
sperimentazioni, ipotizzando 500 h annue di utilizzo. Questo genere di
macchina infatti è realizzata appositamente per questo tipo di colture ed è in
fase prototipale.
Dati i tempi operativi di ogni attività sono stati valutati i costi complessivi
tenendo conto dei costi della manodopera e dell’affitto della macchina.
Si ipotizza un ciclo di rotazione biennale, triennale o quadriennale (con
ceduazione rispettivamente ogni 2, 3 o 4 anni) in quanto il limite
dimensionale massimo delle piante e dei polloni per poter utilizzare la falcia-
trincia-caricatrice è di 10 cm di diametro rilevato a 10 cm da terra
(raggiungibile a 2, 3 o 4 anni a seconda della densità d’impianto e della
fertilità della stazione).
La decisione relativa al turno di rotazione influenza il numero e quindi i costi
delle cure colturali, mentre i costi di acquisto delle talee dipendono
ovviamente dalla densità della coltivazione.
Il costo di trapianto invece non dipende dal numero di talee da impiantare in
quanto la macchina procede con velocità praticamente uguali impostando i
meccanismi della macchina su distanze di impianto diverse, come spiegato
nel paragrafo 3.2; si impiegano così tempi uguali per ettaro su campi con
densità diverse.
Capitolo 4
125
Per quanto riguarda i costi di raccolta e cippatura, sono state realizzate delle
prove di raccolta di pioppi a Coltano con un prototipo di falcia-trincia-
caricatrice (BERNI prodotto dalla ditta svedese Salix Maskiner AB) su due
campi con densità di 5700 e 7800 talee/ha. Sono stati rilevati i tempi
operativi e la produzione raccolta, quindi è stata determinata la produttività
netta della macchina espressa in termini di tonnellate di sostanza secca
raccolta per ora di lavoro.
I dati disponibili per i due esperimenti sono riportati in tabella 4.7.
Parametri Unità di misura 5700 7800
Produzione raccolta tss/ha 1,941 2,660
Tempo operativo (To) h/ha 0,68 0,74
Capacità di lavoro operativa ha/h 1,47 1,35
Produttività della macchina Tss/h 2,8 3,6
Tab. 4.7 – Tempi di lavoro e produttività della falcia-trincia-caricatrice per
densità diverse.
Si può notare quindi che i tempi di raccolta per ettaro variano in funzione
della quantità di sostanza secca raccolta, aumentando con il crescere della
densità a causa della minore velocità di avanzamento e delle maggiori
dimensioni dei fusti.
Si ipotizza che le capacità operative, definite come l’inverso dei tempi
operativi, abbiano un andamento lineare decrescente con la sostanza secca
presente al momento del taglio. I costi di taglio sono quindi dipendenti dalla
produzione totale di biomassa nell’anno del taglio e, indirettamente, dalla
densità.
Per quanto riguarda la fertilizzazione, la valutazione della necessità di
concime delle piante è realizzata tramite l’analisi fogliare; i dati sono relativi
a sperimentazioni vivaistiche.
Capitolo 4
126
La quantità di nutrienti assorbiti e rimossi dal suolo per pioppeti tradizionali è
correlata all’età e alle dimensioni della pianta alla raccolta. Si nota infatti una
forte dipendenza dalla percentuale di corteccia variabile a seconda delle
dimensioni dei fusti che, a loro volta, sono funzione della densità e della
rotazione adottata.
D’altra parte nei primi 3-4 anni della coltivazione, i diametri relativi a diverse
densità variano del 20-30%; quindi lo spessore della corteccia, la struttura e
le dimensioni complessive delle piante non variano in modo da influenzare
significativamente le esigenze nutritive per tonnellata di sostanza secca.
I quantitativi di nutrienti sono considerati solo funzione del turno di rotazione.
Per determinare le necessità complessive, si deve considerare la quantità di
sostanza secca al momento del taglio, dipendente dalla densità.
I dati disponibili (tab.4.8) sono relativi a quantitativi di nutrienti contenuti in
una tonnellata di biomassa secca per diversi turni di rotazione. Gli esperti
ritengono inoltre ragionevole aspettarsi che, per rotazioni di 5-6 anni, le
quantità di nutrienti rimosse siano intermedie tra quelle relative agli anni
sperimentati. Per coltivazioni di quest’età quindi una tonnellata di sostanza
secca dovrebbe contenere circa 3.5 kg di N2, 1.5 di P2O5, 3.5 di K2O e 6.5 di
CaO.
Nutrienti (kg/tss)
Turno di rotazione N2 P2O5 K2O CaO
1 6,9 3,1 5,2 9
2 5,6 2,1 4,2 7,5
5-6 3,5 1,5 3,5 6,5
13 1,6 0,7 2,4 5,7
Tab. 4.8 – Nutrienti in funzione del turno di rotazione
Capitolo 4
127
Le regressioni logaritmiche realizzate per la determinazione dei nutrienti in
funzione degli anni soddisfano queste previsioni, rappresentate nelle figure
4.19, 4.20 e 4.21.
In generale, la scelta di periodi più lunghi tra due ceduazioni successive
comporta un minor controllo delle infestanti, minori costi di raccolta, più
produzione, inferiore mortalità dei polloni e meno esigenze nutritive, per una
certa densità.
Fig. 4.19 - Quantitativi di N2 necessari in funzione del turno di taglio
Fig. 4.20 – Quantitativi di P2O5 necessari in funzione del turno di taglio
Quantità di P2O5
y = -0,8965Ln(x) + 2,9403
R2 = 0,9735
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
0 2 4 6 8 10 12 14
anni
Quantità di N2
y = -2,0811Ln(x) + 6,9601
R2 = 0,9993
01
23
45
67
8
0 2 4 6 8 10 12 14
anni
Capitolo 4
128
Fig. 4.21 – Quantitativi di K2O necessari in funzione del turno di taglio
All’impianto si opera solo una concimazione potassica e fosfatica (in media
circa 60 kg/ha/anno) in quanto al 1° anno l’azoto favorisce le infestanti, con
attenzione al fatto che il quantitativo di fertilizzante a base di P e K deve
‘coprire’ l’intero ciclo di vita della coltivazione (T anni). E’ possibile distribuire
il quantitativo di fertilizzante P2O5 e K2O necessario complessivamente alla
coltura esclusivamente nell’anno dell’impianto in quanto il potassio e il
fosforo sono elementi poco mobili nel terreno, al contrario dell’azoto, e
quindi non c’è pericolo di dispersione in falda. Questi fertilizzanti possono
essere interrati con i lavori di preparazione del terreno (concimazione di
fondo). In alcune coltivazioni sperimentate si utilizza un concime complesso
8-24-24 (% N-P2O5-K2O per 100 Kg di concime), quindi con un basso
quantitativo di azoto, ma si devono operare più erpicature aumentando i
costi senza particolari benefici per la coltura.
Negli anni del primo ciclo di crescita, le piante infatti asportano l’azoto già
presente nel suolo. Dopo ogni ceduazione invece si distribuisce l’urea (46%
di azoto) in copertura, circa 50 kg/ha/anno; quest’operazione si ripete ad
ogni taglio in modo che i quantitativi di azoto siano limitati e non subentri
una percolazione in falda.
Quantità di K2O
y = -1,0645Ln(x) + 5,0894
R2 = 0,9908
0
1
2
3
4
5
6
0 2 4 6 8 10 12 14
anni
Capitolo 4
129
I dati utilizzati sono validi per una definizione approssimativa dei fertilizzanti
necessari a coltivazioni a breve rotazione (SRF). La quantità di nutrienti
rimossi dal suolo può variare anche in funzione della fertilità del suolo e
delle richieste del clone considerato; non si è ritenuto opportuno inserire
questo aspetto nello studio, data la mancanza di dati per esplicitare queste
dipendenze e comunque la scarsa significatività delle variazioni sui costi.
Anche se diversi studi hanno dimostrato che l’influenza della fertilizzazione è
notevole per coltivazioni a breve rotazione rispetto a cicli di taglio più lunghi;
è anche vero che un eccessivo apporto di nutrienti, oltre le reali necessità,
non favorisce ulteriormente la crescita.
L’utilizzo di concimi chimici è abbastanza ridotto, considerando la possibilità
di recuperare K e Ca dalle ceneri, quali residui di combustione delle
biomasse stesse. Si può inoltre osservare il basso impatto dei fertilizzanti
confrontando le asportazioni medie annue calcolate per SRF (60 kg/ha/anno
di P2O5 + K2O e 50 kg/ha/anno di N) con i valori indicativi delle colture
arboree da frutto (200 kg/ha/anno di P2O5 + K2O e 122 kg/ha/anno di N).
A fine ciclo la piantagione viene estirpata e il terreno ripristinato.
I costi relativi alla preparazione del terreno, al diserbo e al ripristino finale
sono ‘fissi’ per ettaro.
Viene infine considerato un costo annuo del terreno (beneficio fondiario) di
400000 £/ha, variabile a seconda della produttività del sito.
Tutti i costi considerati e riportati in tabella 4.9 sono riferiti ad 1 ha di
piantagione. I costi attualizzati (per anni successivi al 1°) sono stati valutati
considerando un tasso di sconto R pari a 0.03, relativo al rendimento
fondiario.
Capitolo 4
130
ATTIVITA’ Quantità per ettaro Prezzi per ettaro
h
Uomo Macch.
Mater. Manod
K£/ha
Macch
K£/ha
Materiale
K£/kg
PREPARAZIONE del
TERRENO
1. Assolcatura 1,11 1,11 28 81
2. Aratura 1,98 1,98 50 101
3. Discatura –
erpicatura 2,58 2,58 65 214
IMPIANTO
4. Acquisto talee n°talee 0,2
k£/talea
5. Trapianto 22,43 4,81 562 240
CURE COLTURALI
6. Diserbo meccanico 4,44 4,44 111 266
7. Diserbo chimico 1,98 1,98 6 kg 50 134 30
8. Controllo
fitosanitario 1,2 1,2 30 60
Fertilizzazione:
9’ e 9’’. Concimazione
di fondo 2,6 1,33
kg/tss di
(P,K)i,d,t 65 66 0,42
9’’’ e 9’’’’. Concimaz.
di copertura 1,95 0,98
kg/tss di
(N)i,d,t 49 49 0,47
RACCOLTA
10. Raccolta -
cippatura hd/ha hd/ha 25 * hd 100*hd
11. Ripristino finale 4,9 4,9 123 294
12. BENEFICIO
FONDIARIO
Tab.4.9 – Tempi lavorativi e materiali di ogni attività per ettaro con relativi
costi
Capitolo 4
131
ATTIVITA’ ANNO
1 Anno precedente
al taglio
Anno del
taglio
… T
PRERAZ. TERRENO
1. Assolcatura 109
2. Aratura 151
3. Discatura - erpicatura 279
IMPIANTO
4. Acquisto talee …
5. Trapianto 802
CURE COLTURALI
6. Diserbo meccanico 377 377
7. Diserbo chimico 364 364
8. Controllo fitosanitario 150
Fertilizzazione:
9’ e 9’’. 1° anno … + 131
9’’’ e 9’’’’. Altri anni … + 98
RACCOLTA
10. Raccolta - cippatura … …
11. Ripristino finale 417
12. BENEFICIO
FONDIARIO
400 400 400 400 400
Tab. 4.10 - Costi (migliaia di lire) per 1 ha di piantagione suddivisi per tipo di
attività e anno
Capitolo 4
132
COSTI COMPLESSIVI:
Il totale dei costi di produzione si può esprimere come la sommatoria dei
costi di ogni singola attività, opportunamente attualizzati a seconda dell’anno
in cui l’attività viene realizzata, per tutto il ciclo produttivo (sull’orizzonte
temporale T):
CTOT (i,d,k) = ∑ (C1, C2, C3, C4 * d, C5, C6ATT, C7ATT, C8ATT,
C9’ * (kg di P2O5+K2O)/tSS * tSS/ha + C9’’,
(C9’’’ * (kg di N)/tSS * tSS/ha) ATT + C9’’’’ATT,
(C10 * tss /ha) ATT, C11ATT, C12ATT)
dove Cn: costo dell’n-esima attività per ettaro - prezzi unitari del materiale
e della macchina per la raccolta (per n = 4, 9’, 9’’’, 10) -
riportati in tabella 4.9 e 4.10
i: clone
d: densità – n°talee/ettaro
t: turno di 1, 2, 3 o 4 anni
kg di P2O5 e K2O: quantitativo di nutrienti necessario in funzione di i,
d e t
kg di N: quantità di azoto in funzione di i, d e t
tSS/ha: produzione in funzione di i, d e t
Costi attualizzati:
Capitolo 4
133
I costi sono riportati all’anno 0 (1°anno di coltura) e sono espressi in termini
di VAN (valore netto attualizzato) tramite la seguente formula:
Cn(a)
Cn ATT(0) = dove R = 0,03
(1 + R)a a: anno
Le attività che vengono espletate in anni successivi all’anno di impianto
riguardano le cure colturali (diserbo e fertilizzazione) e la raccolta e
dipendono da quando e quante volte si decide di ceduare (ved. tab.4.6).
I costi corrispondenti quindi sono attualizzati rispetto al primo anno a
seconda della lunghezza t (variabile di decisione) del ciclo produttivo.
Vengono di seguito riportate le formule per attualizzare i costi di tali attività
su un orizzonte temporale T.
Costi Attività
(T/t )-1 1
C6ATT = C6 * [1 + ∑ ] 6. Diserbo meccanico
a =1 (1 + R)a*t
(T/t )-1 1
C7ATT = C7 * [1 + ∑ ] 7. Diserbo chimico
a =1 (1 + R)a*t
(T/t )-1 1
C8ATT = C8 * [ ∑ ] 8. Controllo fitosanitario
a =1 (1 + R)(a*t-1)
(T/t )-1 1
Capitolo 4
134
C9’’’ATT = C9’’’TOT * [ ∑ ] 9’’’. Fertilizzante
a =1 (1 + R)a*t
(T/t )-1 1
C9’’’’ATT = C9’’’’TOT * [ ∑ ] 9’’’’. Fertilizzazione
a =1 (1 + R)a*t (costo macchina)
T/t 1
C10ATT = C10TOT * [ ∑ ] 10. Raccolta-cippatura
a =1 (1 + R)(a*t-1)
1
C11ATT = C11 * [ ] 11. Ripristino finale
(1 + R)(T-1)
T-1 1
C12ATT = C12 * [ ∑ ] 12. Beneficio fondiario
a =0 (1 + R)a
Capitolo 5
137
5 Il PROBLEMA di OTTIMIZZAZIONE
Nel capitolo precedente si è visto come la crescita delle piante dipende da
una serie di variabili di decisione facilmente controllabili, quali il turno di
taglio, la densità di impianto e l’orizzonte temporale.
In questo capitolo si è ottimizzata la scelta di queste variabili rispetto a due
obiettivi, quello economico e quello produttivo, ottenendo un possibile
modello colturale da adottare nelle coltivazioni energetiche da pioppo.
Gli obiettivi scelti sono quelli più adatti in un problema di questo tipo dove si
vuole conoscere la potenzialità di una risorsa rispetto allo sforzo che si deve
sostenere per ottenerla, e la loro definizione è contenuta nel paragrafo 3.1.
L’obiettivo produttivo viene espresso come la quantità di sostanza secca
ottenibile, che è direttamente collegata all’energia prodotta attraverso il suo
potere calorifico inferiore, mentre il costo è l’onere da sostenere per
l’impianto e la gestione del pioppeto.
Nel capitolo 6 viene descritta una possibile tecnologia per lo sfruttamento
del prodotto ai fini di produrre energia elettrica, consentendo di quantificare
in modo più corretto il quantitativo di energia effettivamente producibile da
un ettaro di piantagione. La tecnologia individuata è quella che si ritiene più
adatta per la produzione di elettricità da questa fonte, e prevede l’uso di un
gassificatore accoppiato a un ciclo combinato.
L’analisi a molti obiettivi che si è eseguita consente di ottenere una frontiera
di Pareto, che permette di porre in relazione gli effetti che le decisioni hanno
sugli obiettivi del problema presi separatamente e non mediante un unico
indice di merito (per esempio il profitto). L’operazione è stata ripetuta per
ciascun clone considerato.
5.1 Gli OBIETTIVI
Capitolo 5
138
Obiettivo produttivo
L'obiettivo produttivo può essere espresso in questa forma:
T
xgtgxdxp
k
j
t
i
ji
ji
j∑∑=
−
=+
= 1
1
00 )(*)(*)(
(5.1)
xi+1 j = xi
j + xij * g(t) *g(xi
j)
t = lunghezza di un turno;
k = n° di turni;
T = orizzonte temporale;
x0j (d) = è la condizione iniziale determinata nel capitolo precedente e
introduce la dipendenza della produttività dalla densità di impianto d. Anche
l'effetto della ceduazione è espresso da questa variabile che infatti dipende
dall'indice j, cioè dal ciclo produttivo in cui ci si trova. Si ricorda che la
dipendenza dalla ceduazione è determinata dalla mortalità delle ceppaie.
g(t)*g(xt) = è il coefficiente di crescita, introduce la dipendenza della
produttività dal turno di taglio.
La produttività è espressa in termini di produzione media annuale, cioè della
produzione totale diviso il numero di anni di durata della piantagione.
Se si esclude il primo ciclo di lunghezza diversa, l’obiettivo è equivalente alla
media delle produttività di ogni ciclo. La scelta della media impedisce di
prendere come decisioni ottime quelle che comportano basse realizzazioni
produttive nei turni più alti. Questa situazione si verifica se anziché utilizzare
l’obiettivo medio si introduce la produzione complessiva e l’obiettivo
economico. La produzione è infatti decrescente ad ogni passo che segue
una ceduazione, a causa della mortalità delle ceppaie. Formulazioni diverse
Capitolo 5
139
di questo obiettivo sono possibili facendo ipotesi particolari riguardanti il
comportamento del sistema.
1. Se l'orizzonte temporale T fosse fissato e la ceduazione ininfluente sulla
produttività, la massimizzazione di questo obiettivo si otterrebbe con il
metodo classico dell'auxonomia, poichè l'obiettivo produttivo sarebbe la
produttività su un turno. Si dovrebbe però ipotizzare che il primo ciclo
produttivo abbia una differenza trascurabile rispetto agli altri e che
l'imprenditore agricolo sia obbligato per qualche vincolo esistente a
rimpiazzare la coltivazione dopo un certo numero di anni, circostanza
questa che non si è riscontrata in pratica. Il vincolo di durata non
dovrebbe essere troppo lungo, infatti anche la mortalità delle ceppaie
deve potersi considerare trascurabile per poter considerare tutti i cicli
produttivi uguali. Si è deciso di scartare questa formulazione perché
troppo distante dal modello della coltura descritto nel capitolo
precedente.
2. Se si fissa l'orizzonte temporale e si considera l'influenza della
ceduazione, l'obiettivo produttivo cambia e diviene la produzione
complessiva sull'intero arco di tempo. Questa formulazione appare più
corrispondente alla realtà di quanto non lo siano le altre, poichè avvicina
l'obiettivo al comportamento reale del sistema, l'unica ipotesi da
verificare è la possibilità che esista a priori un limite temporale cui
l'imprenditore agricolo deve attenersi. Questa circostanza non si è
riscontrata in pratica, ma potrebbe dipendere dal tipo di contratto che il
contadino firma con il committente. Anche le sovvenzioni garantite dal
Regolamento 2080/92 della Comunità Europea non impone un limite
temporale all’uso del suolo, ma soltanto alla lunghezza del turno di taglio
che non può eccedere i 15 anni.
Capitolo 5
140
3. Se non si fissa l'orizzonte temporale e si considera l'influenza della
ceduazione sulla produttività, si ottiene la formulazione più completa
dell'obiettivo produttivo, che diventa la produzione media sull'orizzonte
temporale considerato. Si tiene conto in questo modo sia del
deperimento della risorsa durante l’orizzonte temporale che della
variazione rispetto al turno di taglio. La sua espressione matematica è
data dalla formula 5.1.
Obiettivo economico
Il secondo obiettivo è quello dei costi. I costi di produzione in parte sono
indipendenti dall'investimento (costi fissi) ma in parte (costi variabili) sono
strettamente dipendenti dal numero di piante prodotte per ettaro. Tra i costi
fissi vanno considerati tutti quelli riguardanti l'unità di superficie (beneficio
fondiario, preparazione del terreno, ripristino);
Tra i costi variabili si annoverano invece quelli relativi alla singola pianta
(acquisto e impianto delle talee, concimazione, lavorazioni, irrigazioni,
diserbo, trattamenti antiparassitari e raccolta).
Come già detto nel capitolo 4, i costi devono essere attualizzati con un tasso
d'interesse del 3% (pari al rendimento fondiario), perchè l'orizzonte
temporale previsto è considerevolmente lungo. L'operazione di
attualizzazione consente di riportare tutti i costi al valore attuale, cioè
all'istante di realizzazione della coltivazione (VAC = valore attualizzato del
costo), ma non tiene conto del fatto che questo valore deve essere ripartito
su un numero di anni pari all'orizzonte temporale.
La grandezza che consente di considerare anche la ripartizione negli anni è
il costo medio annuale (CAM), ottenuto dividendo il CAV per l’orizzonte
temporale.
Capitolo 5
141
L’obiettivo scelto, che deve essere massimizzato rispetto alle variabili di
decisione è proprio il costo medio annuo così calcolato.
∑= +
=T
aa
a
idtTC
TCAM
1 )1(),,(1 (5.2)
Ca = costo in ogni anno
CAM = costo medio annuo
A proposito dei costi medi unitari si possono fare le seguenti considerazioni
che permettono di capire la struttura del problema.
Il costo medio unitario fisso, cioè per unità di materia prima prodotta,
aumenta al diminuire della densità perchè è proporzionale alla superficie
investita per talea; si deve notare però che non aumenta proporzionalmente
alla densità perchè la produzione individuale aumenta al diminuire della
densità. Inoltre è fortemente dipendente dalla lunghezza dell’orizzonte
considerato.
Costo fisso = C(T,d)
Il costo unitario variabile, cioè per unità di materia prima prodotta, aumenta
con la densità in modo più che proporzionale; questo tipo di costo è infatti
proporzionale al numero di individui messi a dimora, che però producono
una quantità individuale di sostanza secca che diminuisce con la densità.
Questi costi introducono inoltre la dipendenza dal turno di taglio.
Costo unitario = C(T,t,d)
Le considerazioni fatte sul costo unitario ci consentono di capire come si
prende la decisione ottima rispetto al costo.
Tra tutte le decisioni che consentono di mantenere la produttività media a un
livello stabilito, la decisione ottima deve essere presa in modo da avere un
costo ottimo, cioè che bilanci l'effetto dei costi unitari fissi e variabili.
Capitolo 5
142
Per valori bassi della produttività i costi unitari variabili hanno peso ridotto
rispetto a quelli fissi: per questo motivo si deve tendere a prendere valori
elevati dell'orizzonte temporale, in modo da riuscire a bilanciare i costi unitari
fissi che come si è visto sono funzione solo di questa variabile. Il turno di
taglio tende ad essere lungo perchè per valori bassi della densità cui ci
troviamo non si risente dell'effetto di saturazione nella crescita.
Per valori elevati della produttività i costi unitari variabili hanno peso
determinante rispetto a quelli fissi, di conseguenza la tendenza è quella di
assumere il turno di taglio più lungo possibile in modo da avere minori spese
legate al taglio e alla concimazione e l'orizzonte temporale più breve. La
soluzione è però fortemente influenzata dalla densità, parametro che agisce
in modo determinante sull'ammontare dei costi variabili unitari. La soluzione
migliore dovrebbe essere quella di abbassare il più possibile la densità,
compatibilmente con la necessità di mantenere la produttività ai livelli
desiderati.
Il costo medio annuo può essere formulato in due modi differenti:
1. si considera il costo medio unitario.
Costo medio unitario = costo medio unitario fisso + costo medio unitario
variabile.
Questo modo di procedere include nell'obiettivo economico la variazione di
produttività propria del sistema espressa dal primo obiettivo, perchè i costi
sono divisi per la produzione ottenuta. Questo modo di procedere è adatto
se si utilizza il metodo dei vincoli per la generazione della frontiera di Pareto.
2. si considera il costo medio totale:
Capitolo 5
143
In questo caso il costo è espresso come la somma di costi fissi e costi
variabili totali e consente la generazione di una frontiera di Pareto
utilizzando il metodo dei pesi
La formulazione definitiva del problema diventa:
max [α1* O1 - α2* O2](k,t1,t2,d)
O1= T
xgtgxdxxgtgxdxk
j
t
i
ji
ji
ji
t
ll ∑ ∑∑
=
−
=
−
=+++
2
1
020
11
1
0
110
21
)(*)(*)()(*)(*)(
O2 = ( ∑= +
T
aa
a
rdtTC
T 1 )1(),,(1 )
xi+1 j = xi
j + xij * g(t) *g(xi
j)
t 1= lunghezza del primo turno
t2 = lunghezza del secondo turno
k = n° di turni;
T = orizzonte temporale;
a = anno considerato;
soggetta ai vincoli:
t1 ≤ 4t2 ≤ 4k ≤ 71000 ≤ d ≤ 20000
Capitolo 5
144
Il vincolo sul turno di taglio è posto pari a quattro per evitare la crescita del
diametro basale oltre i 10 cm.
Il numero massimo di tagli massimo è 7 perché oltre questo valore si
verificano mortalità troppo elevate delle ceppaie. Al settimo turno si attesta
al 8% delle ceppaie iniziali per il Luisa Avanzo e al 10% per il Lux.
Il vincolo sulla densità si impone sulla base delle considerazioni fatte nel
quarto capitolo sulla validità delle curve iniziali e delle curve di crescita. In
particolare la dipendenza della diminuzione diametrica dalla densità non è
più valida al di fuori di questi limiti.
5.2 ALGORITMO di OTTIMIZZAZIONE
Gli algoritmi risolutivi disponibili su supporto informatico per l’ottimizzazione
di un sistema non lineare sono l’algoritmo di Newton e dei gradienti
coniugati.
L’algoritmo utilizzato per la determinazione delle condizioni ottime del
sistema è quello di Newton.
Il tempo massimo a disposizione del processo risolutivo può essere fissato;
è stato scelto un valore di 100 secondi adeguato per la maggior parte dei
problemi non complessi. Il tempo dipende anche dal numero di iterazioni,
stabilito intorno ai valori di 100 -150, sufficienti per determinare la soluzione.
Il valore definito per l’approssimazione è di 10-6 e controlla la precisione
delle soluzioni determinando se il valore impostato per il vincolo soddisfa un
obiettivo o un limite superiore o inferiore. Più alta è la precisione richiesta,
maggiore sarà il tempo necessario per raggiungere la soluzione.
La tolleranza è la percentuale per la quale la soluzione che soddisfa i vincoli
interi può differire dal valore ottimale ed essere considerata comunque
Capitolo 5
145
accettabile, una maggiore tolleranza tende a velocizzare il processo
risolutivo; in questo caso si è ritenuto accettabile un valore dell’1%.
Quando la variazione relativa del valore dell’obiettivo è minore del numero
specificato per la convergenza, per le ultime cinque iterazioni, il processo si
arresta. Il valore fissato è di 0,0001; più piccolo è il valore di convergenza,
maggiore sarà il tempo necessario per raggiungere una soluzione.
5.3 METODOLOGIA
Il problema è stato impostato esplicitando gli obiettivi di produzione e dei
costi in funzione delle variabili decisionali: la lunghezza del turno di taglio t
(da 1 a 4 anni), il numero di tagli k (al massimo 6) e la densità d. Anche
l’orizzonte temporale T della coltura, dato da Σk k*t + t0 (lunghezza del
1°ciclo), risulta ottimizzato dall’algoritmo.
Le variabili taglio e orizzonte vengono espresse in forma in modo da poter
selezionare automaticamente i corrispondenti valori delle funzioni per ogni
passo di implementazione, secondo il metodo esposto di seguito.
L’algoritmo risolutivo può quindi scegliere se fornire il valore 1 o 0 alla
variabile per ottimizzare le funzioni obiettivo.
La schematizzazione è stata realizzata, per entrambi i cloni, suddividendo i
vari cicli di crescita per determinare la produzione complessiva al termine di
ogni ciclo e specificando i relativi costi.
VARIABILI DECISIONALI:
La variabile decisionale orizzonte temporale è espressa in forma binaria
attraverso 7 variabili:
Capitolo 5
146
k1 k2 k3 k4 k5 k6 k7
0 0 0 0 0 0 0
1 1 1 1 1 1 1
Ogni ciclo è quindi caratterizzato dalle variabili binarie kc (dove c: numero di
ciclo, da 1 a 7) che valgono 1 se il ciclo viene considerato, 0 in caso
contrario.
La variabile decisionale turno di taglio è espressa in forma binaria attraverso
4 variabili:
x1 x2 x3 x4
0 0 0 0
1 1 1 1
Anche in questo caso le variabili valgono 0 o 1 a seconda che il taglio venga
effettuato oppure no.
Il primo ciclo è comunque realizzato (k1=1) e può avere durata diversa
rispetto a quella dei cicli successivi (dopo ceduazione).
I vincoli imposti alle variabili binarie permettono di soddisfare la successione
cronologica degli eventi, quindi di evitare di conteggiare anni o cicli
successivi a uno precedente inesistente:
kc+1 ≤ kc
xt+1 ≤ xt
Il valore delle variabili decisionali k (numero di cicli) e t (lunghezza del ciclo)
è determinato sommando le singole variabili binarie kc di ogni ciclo e xt di
ogni anno del ciclo.
Capitolo 5
147
La densità d è una variabile intera; si ipotizza di non considerare densità
inferiori a 1000 p/ha e superiore a 20000 p/ha perché le curve di crescita
mantengano la loro validità.
Quindi il vincolo per la scelta del numero di talee da impiantare il primo anno
è: 1000 ≤ d ≤ 20000
Ad ogni ciclo, dopo la ceduazione, il numero di ceppaie presenti è
determinato tramite la funzione di mortalità descritta nel paragrafo 4.5.
OBIETTIVO PRODUTTIVITA’:
La funzione produttività sull’intero ciclo di vita della coltivazione è calcolata
sommando le produzioni totali di tutti i cicli considerati e dividendo per
l’orizzonte temporale differente a seconda dei valori delle variabili k e t.
(5.3)
Ciascun addendo viene selezionato solo se le variabili binarie corrispondenti
kc e xt sono uguali a 1.
OBIETTIVO COSTO:
I costi sono stati valutati per ogni anno di ciascun ciclo considerando tutte le
attività relative alla coltivazione e selezionandole a seconda del valore delle
variabili binarie kc e xt che permettono di stabilire quanti cicli sono stati scelti
e la loro durata.
∑ ∑
∑ ∑
= =
= =
+= 7
1
4
11
7
1
4
1
)*(
*),,(*
c ttc
c ttc
xxk
xktdpkP
Capitolo 5
148
Per quanto riguarda i costi di preparazione del terreno e di impianto (Ca per
a=1,2,3,4,5) vengono conteggiati solo nel primo anno del primo ciclo e
dipendono in parte dalla densità iniziale (ved.formula 5.5).
Il diserbo meccanico e chimico (C6 e C7) vengono realizzati al primo anno di
ogni ciclo, subito dopo la messa a dimora delle talee e dopo ogni
ceduazione; per i cicli successivi al primo si tiene conto della possibilità della
scelta o meno di un ciclo moltiplicando i costi relativi a queste operazioni per
la variabile binaria kc (ved. formule 5.5 - 5.6).
Le cure colturali comprendono anche il controllo fitosanitario (C8) nell’anno
del taglio per evitare l’insediamento sulle ceppaie di consistenti popolazioni
di insetti in questo momento delicato della crescita. In un ciclo qualsiasi c è
possibile dover conteggiare questo costo in un certo anno t solo se la
variabile binaria dell’anno successivo xt+1 è nulla e quella attuale xt è uguale
a 1, quindi se si è nell’anno del taglio, moltiplicando sempre per kc (=1 se il
ciclo è selezionato). Ovviamente si deve tagliare e quindi eseguire la
disinfestazione nell’ultimo anno se non è già stata valutata questa
operazione negli anni precedenti (ved. formule 5.5 - 5.6 - 5.7 - 5.8).
Si deve fare un discorso a parte per la fertilizzazione (C9), in quanto il
quantitativo di fertilizzante per tonnellata di sostanza secca per ogni ciclo
dipende dall’anno del taglio. Per ottenere il fertilizzante complessivo si deve
moltiplicare questo valore valutato in corrispondenza dell’anno considerato
per la produzione totale del ciclo (ved. formule 5.5 - 5.6).
Per il fertilizzante a base di fosforo P2O5 e potassio K2O si sommano i
contributi derivanti da tutti i cicli produttivi e si considera questo costo
applicato al primo anno del primo ciclo, in quanto la distribuzione di questo
concime è realizzata con i lavori di preparazione del terreno.
Per quanto riguarda l’azoto N, si procede ad una distribuzione frazionata in
copertura dopo ogni ceduazione, quindi si valuta il fertilizzante totale
Capitolo 5
149
necessario per ogni ciclo e si inserisce il costo corrispondente nel primo
anno del ciclo stesso.
Non è necessario moltiplicare per le variabili binarie xt e kc in quanto la
dipendenza dei costi dalle variabili decisionali t e k è già compresa nel
termine di produzione.
I costi relativi all’operazione di taglio (C10) dipendono dal sostanza secca
presente per ettaro, variabile a seconda della densità e del ciclo in cui si
considera, come descritto nel paragrafo 4.7. Il numero di operazioni di
raccolta e di cippatura del materiale sono funzioni anche delle variabili
decisionali dell’orizzonte temporale e del numero di cicli; il ragionamento
applicato è analogo a quello relativo al controllo fitosanitario (ved. formule
5.5 - 5.6 - 5.7).
Al termine del ciclo produttivo della coltivazione, si devono valutare i costi di
ripristino finale (C11) : la piantagione viene estirpata e il terreno ripristinato.
Si considera questo costo in un dato anno t di un ciclo c solo se la variabile
binaria del ciclo successivo kc+1 è nulla e quella attuale kc è uguale a 1
(quindi se si è nell’ultimo ciclo), contemporaneamente la variabile binaria
dell’anno successivo xt+1 deve essere nulla e quella attuale xt uguale a 1 (se
si è nell’anno del taglio). Ovviamente si deve tagliare nell’ultimo anno e/o
nell’ultimo ciclo se non è già stata considerata questa operazione negli anni
e/o cicli precedenti (ved. formule 5.5 – 5.6 – 5.7).
Infine per ogni anno di utilizzo del terreno si deve considerare il beneficio
fondiario (C12) , moltiplicando per kc e per xc in modo da non conteggiare il
costo relativo agli anni non selezionati durante la procedura risolutiva.
L’attualizzazione dei costi totali sull’orizzonte temporale T è descritta nel
paragrafo 4.1.4; nell’impostazione del problema per la procedura risolutiva,
per valutare a quale anno corrispondono i costi calcolati si deve tenere
Capitolo 5
150
conto di quanto sono lunghi i cicli precedenti e incrementare del numero di
anni t a cui corrisponde il costo considerato in quel ciclo.
Per determinare il costo complessivo per anno sull’orizzonte temporale T si
divide il costo totale, dato dalla somma dei costi attualizzati, per l’orizzonte
temporale stesso (ved. formula 5.4).
CTOT = C’(t=1,k=1) + C’’(t=1,k>1) + C’’’(t>1,k) + C’’’’(t=4,k) (5.4)
dove
5C’(t=1,k=1) = ∑ Ca(d) + C6 + C7 + C9 + C8*(xt+1 –1) + C10(tss/ha)*(xt+1 –1) +
a=1
+ C11*(kc+1 –1)*(xt+1 –1) + C12*kc (5.5)
7C’’(t=1,k>1) = ∑ [(C6 + C7 + C9)*kc + C8*(xt+1 –1)*kc + C10(tss/ha)*(xt+1 –1)*kc +
k=2
1+ C11*(kc+1 –1)*(xt+1 –1)*kc + C12*kc] * -------- (5.6)
(1 + 0.03) (∑x(t)*k(c-1) + 1)
3 7C’’’(t>1,k) = ∑ ∑ [C8*(xt+1 –1)*xt*kc + C10(d)*(xt+1 –1)*xt*kc +
t=2 k=1
1+ C11*(kc+1 –1)*(xt+1 –1)*xt*kc + C12*kc] * --------
(5.7) (1 + 0.03) (∑x(t)*k(c-1) + 1)
Capitolo 5
151
7C’’’’(t=4,k) = ∑ [C8*xt*kc + C10(d)*xt*kc + C11*(kc+1 –1)*xt*kc +
k=1
1+ C12*kc] * -------- (5.8)
(1 + 0.03) (∑x(t)*k(c-1) + 1)
5.4 FRONTIERE di PARETO
Le frontiere ottenute hanno un andamento corrispondente a quello previsto.
Per valori bassi della densità, la decisione ottima consiste nell’adozione di
turni lunghi e orizzonti temporali elevati; il turno di taglio individuato per
entrambi i cloni è il più lungo possibile (4 anni) e il ciclo produttivo è di 24
anni, prossimo al vincolo imposto di 28 anni. In corrispondenza di tali valori,
si ha un numero complessivo di cicli pari a 6, valore elevato non atteso a
causa dell’incidenza delle mortalità. Questo comportamento è dovuto al
contributo dei costi fissi unitari.
Per valori più elevati delle densità si nota una diminuzione della lunghezza
dei turni successivi al primo e dell’orizzonte temporale, a causa del maggior
peso dei costi variabili unitari.
Capitolo 5
152
Clone Lux
Per questo clone la scelta del turno di 4 anni per tutti i cicli e dell’orizzonte di
24 anni si verifica per densità comprese tra 1000 e 15000 talee/ha. In
corrispondenza le produttività variano tra 5 e 10,6 t/ha, mentre i costi medi
passano da 480000 a 730000 £/anno. Fino a 10000 talee/ha la frontiera è
debolmente inclinata in quanto i costi aumentano poco al crescere della
produttività.
La densità scelta dagli sperimentatori e ritenuta ottimale è di 10300 talee/ha
(con file binate 2 x 0.75 x 0.7m), proprio in corrispondenza dell’incurvarsi
della frontiera. Se ne deduce che il criterio decisionale è quello di dare
importanza maggiore ai costi che non alla produttività, in quanto si
prevedono prezzi di mercato bassi, intorno alle 100000 £/t per la biomassa
secca in azienda (escluso quindi il trasporto).
Il turno di 4 anni è dovuto ai bassi effetti competitivi di queste densità.
Per densità più elevate (16000 –20000 talee/ha) diminuiscono il turno di
taglio e l’orizzonte; il taglio è di 4 anni per il primo ciclo e di 3 per i
successivi, mentre l’orizzonte è di 19 anni. Le produttività variano da 11,85 a
12,31 t/ha e i costi da 900000 a 980000 £/anno, l’inclinazione della frontiera
aumenta.
Alla densità di 20000 talee/ha è anche possibile adottare un turno di 3 anni
nel primo ciclo e di 2 nei successivi per un orizzonte di 13 anni, ottenendo
una produzione media di 14,5 t/ha a fronte di una spesa di 1480000 £/anno.
Quest’ultima soluzione determina un incremento elevato dei costi rispetto
agli aumenti di produttività che si ottengono, di conseguenza è stata usata
come limite nella determinazione della frontiera di Pareto.
I risultati dell’ottimizzazione per il clone Lux sono riportati in tabella 5.1 e la
frontiera di Pareto è rappresentata in figura 5.1.
Densità Turno Passo T Produttività Costi
Capitolo 5
153
t/ha £/anno (x1000)1000 4 - 4 1 + 5 24 5,04 4842104 6,59 5084102 8,07 5446202 8,96 5797986 9,46 6089538 9,79 632
10911 10,03 65411745 10,15 66612504 10,25 67813250 10,34 68915784 10,59 72816089 4 - 3 1 + 5 19 11,86 90117791 12,08 93519456 12,26 96820000 12,31 97820000 3 - 2 1 + 5 13 14,49 1480
Tab. 5.1 – Decisioni ottime e valori degli obiettivi per il clone Lux
Fig. 5.1 – Frontiera di Pareto per il clone Lux
FR O N TIER A di PAR ETO - Lux
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
1600
0 2 4 6 8 10 12 14 16
Produttività (t/ha)
Capitolo 5
154
Clone L. Avanzo
Anche per il L. Avanzo si ottiene un turno di 4 anni per tutti i cicli e un
orizzonte di 24 anni per densità variabili tra 1000 e 13000 talee/ha. Le
produttività aumentano partendo da un valore di 4,97 fino a 11,63 t/ha,
mentre i costi corrispondenti variano tra 483000 a 688000 £/anno.
Incrementando la densità fino a circa 17500 talee/ha, la scelta del turno
rimane invariata, mentre diminuisce il numero di cicli selezionati e di
conseguenza l’orizzonte temporale si riduce a 20 anni. Si può notare inoltre
che al cambio dell’orizzonte può risultare conveniente diminuire la densità,
infatti il valore ottimo è di circa 12200 talee/ha. Le produttività determinate
risultano comprese tra 12,2 e 13 t/ha, con una variazione dei costi tra
734000 e 820000 £/anno.
Anche in questo caso l’inclinazione della frontiera inizia ad essere evidente
intorno alla densità di 11000 talee/ha, per aumentare poi con il crescere
della densità.
Per le densità comprese tra le 17800 e 20000 talee/ha, diminuiscono
ulteriormente il turno di taglio a 3 anni per il primo passo e a 4 per i cicli
successivi; si riduce anche il numero di cicli selezionati determinando un
orizzonte temporale di 16 anni. Le produzioni medie sono comprese tra
14,7 e 15 t/ha, corrispondentemente anche i costi presentano un certo
incremento tra 1100000 e 1160000 £/anno.
I risultati dell’ottimizzazione per il clone L. Avanzo sono riportati in tabella
5.2 e la frontiera di Pareto è rappresentata in figura 5.2.
Densità Turno Passo T Produttivitàt/ha
Costi£/anno (x1000)
1000 4 - 4 1 + 5 24 4,97 483
Capitolo 5
155
2571 7,34 5175242 9,24 5648187 10,44 612
10782 11,15 65212240 11,46 67513104 11,63 68812232 4 - 4 1 + 5 20 12,16 73413184 12,34 75015564 12,71 79216289 12,81 80417080 12,91 81717280 12,93 82017859 4 - 3 1 + 4 16 14,78 110817942 14,79 111018459 14,88 112319362 15,03 114620000 15,12 1163
Tab. 5.2 – Decisioni ottime e valori degli obiettivi per il clone L. Avanzo
Fig. 5.2 – Frontiera di Pareto per il clone Lux
Confronto tra le frontiere di Pareto dei due cloni
FRONTIERA di PARETO - L.Avanzo
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
0 2 4 6 8 10 12 14 16
Produttività (t/ha)
Capitolo 5
156
Si può notare che la frontiera di Pareto relativa al clone Lux risulta dominata
da quella del L. Avanzo, soprattutto per le densità elevate in quanto il Lux
risente maggiormente dell’effetto di competizione tra le piante presentando
una diminuzione della produzione media. La scelta di turni lunghi e di un
ciclo produttivo prolungato non è in grado di compensare l’aumento dei costi
unitari. La differenza dei costi medi infatti, a pari produttività, è di circa
200000 £/anno dove le frontiere presentano la maggior inclinazione.
Alle basse densità, per le quali il Lux è più produttivo, le due frontiere sono
praticamente sovrapposte; in entrambi i casi un leggero aumento dei costi
permette di ottenere una crescita notevole della produttività.
Si osserva che esistono delle discontinuità nelle frontiere dovute al cambio
del turno di taglio e dell’orizzonte temporale, in corrispondenza di tali
variazioni si ha un “salto” nelle prestazioni del sistema.
Fig. 5.3 – Confronto tra le frontiere dei due cloni
5.5 SCELTA dei PUNTI sulla FRONTIERA
FRONTIERA di PARETO - L.Avanzo e Lux
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
1600
0 2 4 6 8 10 12 14 16
Produttività (t/ha)
L. Avanzo Lux
Capitolo 5
157
La decisione fatta dagli sperimentatori è di adottare una densità in cui la
frontiera di Pareto inizia ad incurvarsi. Il motivo di questa scelta è giustificato
dall’osservazione che a densità più elevate iniziano fenomeni di mortalità
delle piante poiché queste densità sono mal sopportate dal pioppo. Si
avrebbero quindi aumenti di costo non bilanciati da un adeguato
miglioramento della produttività. Il criterio seguito appare sbilanciato verso i
costi, e potrebbe adattarsi alla decisione dell’imprenditore agricolo, che
dovrebbe fronteggiare un prezzo di vendita previsto molto basso (circa 100
£/Kg). Avendo a disposizione estensioni di terreno elevate prossime
all’impianto, a causa del set-aside comunitario, può essere presa la
decisione di destinarli a queste coltivazioni, a patto di avere costi unitari
bassi.
Nell’ottica di decidere rispetto alla produzione energetica, il criterio di scelta
di un punto sulla frontiera di Pareto può essere quello di considerare
l’insieme delle soluzioni dove cambiano le variabile discrete “turno di taglio”
e “orizzonte temporale”, adottando un principio simile a quello della
massima curvatura. Le soluzioni così individuate corrispondono infatti a
punti di discontinuità rispetto agli obiettivi scelti, poiché la frontiera è
strutturata per insiemi distanziati fra loro. Si selezionano così i punti dove si
hanno dei “salti” nella prestazione del sistema, e si valuterà poi l’opportunità
di passare da un livello all’altro. Con questa operazione si scelgono tre
valori della variabile continua densità della coltivazione, uno per ogni
possibile turno di taglio e corrispondenti all’estremo superiore di ogni
insieme individuato. I punti così selezionati sono:
Produttivitàt/ha
Costi£/anno (x1000)
Densità Turno Passo T
11,63 688 13104 4 - 4 1 + 5 2412,93 820 17280 4 - 4 1 + 5 2015,12 1163 20000 4 - 3 1 + 4 16
Capitolo 5
158
Tab. 5.3 – Punti selezionati rispetto alla densità per il clone L.Avanzo
Produttivitàt/ha
Costi£/anno (x1000)
Densità Turno Passo T
10,6 727 15784 4 - 4 1 + 5 2412,31 978 20000 4 - 3 1 + 5 1914,49 1480 20000 3 - 2 1 + 5 13
Tab. 5.4 – Punti selezionati rispetto alla densità per il clone Lux
Per poter scegliere fra i punti selezionati ci si può affidare alla realizzazione
di un obiettivo diverso, che è l’effettiva efficienza energetica del sistema
produttivo. A seconda delle decisioni prese si determinano infatti dei
consumi legati alle attività necessarie per ottenere il prodotto, all’uso di
pesticidi e alle ore di lavoro degli automezzi in campo.
Riassumendo, sono state scelti tre valori della densità per ogni clone, con
un criterio simile a quello della massima curvatura, individuando i punti di
discontinuità della frontiera. La scelta di uno di questi, e quindi di un
particolare turno di taglio, può essere effettuata confrontandone l’efficienza
energetica dei punti individuati.
5.6 EFFICIENZA ENERGETICA del SISTEMA
Rispetto ai 3 punti selezionati secondo le modalità indicate nel paragrafo 5.5
e riportati in tabella 5.3, è possibile determinare un valore dell’efficienza
energetica del sistema, considerando i consumi energetici relativi alle attività
di realizzazione e di conduzione della coltivazione e il contenuto di energia
della materia prima prodotta. L’efficienza energetica può divenire un criterio
di confronto fra i punti selezionati.
Capitolo 5
159
Per determinare il dispendio energetico di ciascuna attività coinvolta nella
coltivazioni si è fatto ricorso alle rilevazioni effettuate dal C.T.I (Comitato
Termotecnico Italiano) su piantagioni sperimentali realizzate a Casale
Monferrato.
Durante la campagna sperimentale sono stati rilevati i consumi di
carburante degli automezzi coinvolti nelle fasi colturali e i tempi operativi
realizzati. I mezzi impiegati e le tecniche di coltivazione sono molto simili a
quelli descritti nel Cap. 3, che si riferiscono agli esperimenti di Coltano (il
gruppo di ricerca era lo stesso). Per questo motivo si è ipotizzato che si
realizzino gli stessi valori di consumi orari (gasolio e lubrificante dei mezzi
impiegati) in entrambi i casi.
Conoscendo i tempi operativi realizzati a Coltano, riportati in tabella 3.5, si
ottengono i consumi per ettaro riportati in tabella 5.5.
Come già detto l’elaborazione è attendibile poiché è stato seguito lo stesso
modello colturale e utilizzate macchine analoghe, ad esclusione di piccole
eccezioni ritenute trascurabili.
Per il calcolo del consumo di olio lubrificante si è ipotizzato che sia pari allo
0,5% del consumo di gasolio (CTI).
Attività Motrici operatrici Pot.Nom.(kW)
Consumi tot.(kg/ha)Gasolio Olio Materiale
Aratura M.M.+ Aratro trivomere 80 27,31 0,14Erpicatura M.M.+ Erpice 80 8,28 0,04Concimazionedi fondo
M.M.+ Spandiconcime 51 2,03 0,01 444 kg difertiliz.
Concimazionedi copertura
M.M.+ Spandiconcime 51 3,74 0,02 218 kg diurea
Capitolo 5
160
Impianto M.M.+ Trapiantatrice 51 19,2 0,096 5700talee/ha
Diserbomeccanico
M.M.+ Erpice a dischi 51 3,3 0,02
Diserbochimico
M.M.+ Irroratrice 51 0,97 0,048 6,5 kg. dierbicida
Raccolta Falcia-trincia-caricatrice 228 95,3 0,47Dicioccatura M.M.+ Fresatrice 80 51,1 0,25
Tab 5.5 – Consumi determinati dalle rilevazioni temporali di Coltano
Le ipotesi che si sono dovute formulare per adattare le osservazioni di
Casale sono le seguenti:
• Nel modello colturale considerato l’operazione di cippatura viene
eseguita dopo l’essiccazione in campo delle piante intere, mentre a
Casale sono stati rilevati i consumi di una macchina raccoglitrice che
effettua la cippatura in campo al momento della raccolta. Si è ipotizzato
che il consumo energetico dell’operazione di cippatura eseguita in
campo sia lo stesso di quello necessario per cippare le piante essiccate.
• L’operazione di impianto delle talee non viene energeticamente
aggravata dall’aumento della densità per via delle caratteristiche della
macchina piantatalee, in grado di procedere alla stessa velocità
indipendentemente dal numero di talee da impiantare. Infatti si agisce su
dei blocchi che determinano la distanza minima sulla fila fra le talee
impiantate.
• Il consumo energetico delle operazioni di preparazione del terreno si
considerano indipendenti dalla densità di impianto, ad eccezione della
quantità di fertilizzanti. Come già visto, infatti, la quantità di fertilizzanti da
Capitolo 5
161
utilizzare dipende strettamente dalla materia prima che si vuole ottenere
per ettaro e quindi dalla densità e dal turno adottato.
• L’operazione di raccolta procede a una velocità diversa a seconda della
dimensione del diametro delle piante, che dipende dalla densità e dal
turno di taglio; inoltre i consumi aumentano con la quantità di materiale
raccolto, a causa del trasporto più frequente a bordo campo e della
maggiore quantità di materiale da cippare. Purtroppo mancano
rilevamenti del tempo di lavoro della trinciafalciacaricatrice su tutte le
densità considerate, e per questo motivo si sono ipotizzati andamenti
lineari dei tempi (e quindi dei consumi) con il materiale raccolto.
Dopo aver calcolato i consumi di ogni operazione, conoscendo i contenuti
energetici primari dei vari materiali impiegati (ved.tab.5.6, fonte C.T.I), è
stato possibile determinare i consumi energetici di ciascuna delle attività
eseguite per le alternative esaminate, rappresentate nelle figure 5.4-5.5-5.6.
Per contenuto energetico primario si intende l’energia consumata per
ottenere l’unità di massa del materiale consumato. Questo valore viene
ottenuto moltiplicando il consumo di risorse per il loro contenuto energetico.
I consumi energetici totali, diretti e indiretti, relativi alle operazioni colturali
per il clone Luisa Avanzo nei tre casi considerati sono riportati in figura 5.7.
Materiale Contenuto di energia primaria (MJ/kg)
Gasolio 51,5
Olio lubrificante 83,7
Urea 73,3
P2O5 13,4
K2O 9,2
Fitofarmaci 82
Talee 0.054 MJ/talea
Capitolo 5
162
Tab. 5.6 – Contenuto di energia primaria dei fattori di produzione.
Fig. 5.4 – Consumi energetici annuali di ogni attività per l’alternativa ‘Luisa
Avanzo 1’
Consum i energetici annuali per Lav1
52 16 4 35 36 75 11
1260
97
651
30131
3121
0
500
1000
1500
2000
2500
attività
diretti indiretti
Consum i energetici annuali per Lav2
62 19 5 34 44 75 11
1399
116
724
47131
3310
0
500
1000
1500
2000
2500
Capitolo 5
163
Fig.5.5 – Consumi energ. annuali di ogni attività per l’alternativa ‘L.Avanzo 2’
Fig 5.6 – Consumi energ. annuali di ogni attività per l’alternativa ‘L.Avanzo 3’
Consum i energetici annuali per Lav3
78 24 6 43 55 93
2044
145
847
68 14163
4151
0
500
1000
1500
2000
2500
attività
diretti indiretti
Consumi energetici complessivi
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
8000
9000
LAV1 LAV2 LAV3
indiretti
diretti
Capitolo 5
164
Fig 5.7 – Consumi energetici totali annuali per ettaro per tutte le attività
produttive, divisi in diretti e indiretti, per i tre casi studiati
Dopo aver determinato il consumo energetico complessivo per ettaro
(ingresso di energia al sistema), è possibile calcolare l’efficienza energetica
(output/input) del sistema produttivo, considerando un contenuto energetico
della biomassa prodotta (LHV) pari a 17,7 MJ/kg. Si determina inoltre il
quantitativo di energia prodotta per anno con un bilancio energetico tra
energia in uscita e in ingresso.
I risultati per le alternative considerate sono riportati in tabella 5.7.
Luisa Avanzo 1 Luisa Avanzo 2 Luisa Avanzo 3
Consumi totali 5518 MJ/ha 5974 MJ/ha 7728 MJ/ha
Contenuto
energ.biomassa/ha 174973 MJ/ha 194700 MJ/ha 228330 MJ/ha
Efficienza 31 31,6 28,5
Bilancio energetico 169,3 GJ/ha 188,5 GJ/ha 220,32 GJ/ha
Tab. 5.7 – Efficienza del sistema produttivo e bilancio energetico per le
alternative considerate del clone L.Avanzo
Dalle elaborazioni effettuate si può notare che l’efficienza di sistema migliore
è quella relativa al caso del Luisa Avanzo 2, pari a 31,6.
Le produzioni ottenute con il terzo punto sono caratterizzate da una netta
diminuzione dell’efficienza rispetto agli altri due casi, dovuto all’eccessivo
sforzo che si deve sostenere su un orizzonte breve.
Capitolo 5
165
Da un punto di vista energetico appare non conveniente adottare uno
schema produttivo corrispondente a orizzonti molto corti con turni più brevi
(Luisa Avanzo 3), in quanto l’aumento della produttività è ottenuto con un
aggravio energetico (in termini di efficienza) ed economico notevolmente
superiore agli altri due punti.
Capitolo 6
166
6 TECNOLOGIE e MODELLIZZAZIONE
della GASSIFICAZIONE
Dopo aver valutato le potenzialità produttive di un pioppeto a breve turno di
taglio nel caso in cui si prendano decisioni ottime, si è eseguita una
valutazione delle potenzialità di utilizzo di questa risorsa. Quest’ultimo
risultato è ottenibile solo facendo delle ipotesi sul particolare tipo di
installazione da realizzare, per questo si è deciso di fare riferimento ad un
impianto per la produzione di energia elettrica di 12 MW. Questa potenza
corrisponde a quella della prima realizzazione in Italia che dovrebbe essere
alimentata con colture energetiche, in corso di realizzazione a Cascina
(Pisa).
Le caratteristiche dell’impianto di riferimento sono state fornite dal Professor
Manfrida dell’Universita di Firenze.
Capitolo 6
167
6.1 Le POTENZIALITA’ ENERGETICHE delle
BIOMASSE
6.1.1 La SITUAZIONE ATTUALE
In Italia esistono attualmente più di 20 installazioni in funzione, tutte di
compagnie private, che producono una quantità totale di 17 MWe. La
soluzione generalmente adottata è quella della cogenerazione.
Molte installazioni usano come carburanti i residui provenienti da processi di
distillazione, dalla produzione di olio e dal trattamento del legno. Impianti
che usano solo biomassa ottenuta all’esterno sono molto rari; questa
applicazione è limitata alla lolla di riso che ha il vantaggio di essere
localizzata nell’area di produzione, di avere costi favorevoli e un mercato
interessante per le ceneri.
Chiaramente esistono installazioni che usano biomassa per produrre
energia termica soltanto; in Italia ne esistono 40-50 con una capacità
termica di 12-14 MWth.
Un esempio rilevante è quello degli Stati Uniti dove l’uso di biomasse è più
diffuso: dal 1973 ad oggi si è avuto un notevole aumento nell’uso di
bioenergia negli U.S.A. soprattutto per quanto riguarda l’uso degli scarti del
legno, tanto che nell’industria di carta e legno si è arrivati ad un auto
sostentamento del 70%.
Questo aumento si è avuto a seguito della Federal Tax Policies che
garantiva ai piccoli produttori di elettricità un prezzo di acquisto favorevole
per la potenza venduta alle utilities (servizio pubblico).
Capitolo 6
168
Negli U.S.A esistono 1000 impianti alimentati a legno con dimensioni pari a
10-25 MWe. Un terzo di questi produce elettricità da vendere, generalmente
con cogenerazione di vapore.
Con il finire degli incentivi della Federal Tax, molti impianti rischiano la
chiusura se non si aumenta il rendimento.
6.1.2 TECNOLOGIE
1) Combustione: ossidazione della biomassa con eccesso d’aria e utilizzo
diretto dei fumi in una caldaia a ciclo Rankine. Viene prodotta solo elettricità
in un ciclo a vapore a condensazione, elettricità più calore in un ciclo con
estrazione (cogenerazione).
2) Gassificazione: parziale ossidazione della biomassa in condizioni sub-
stechiometriche in genere in presenza di vapore che fornisce l’energia per
trasformare anche la biomassa rimanente in gas e vapore organico. Il gas è
utilizzato o direttamente in caldaia o in turbina.
3) Pirolisi: riscaldamento indiretto mediante una fonte di calore esterna. Il
prodotto primario del processo è vapore condensabile.
4) Gassificazione indiretta: riscaldamento indiretto in presenza di vapore
con produzione di gas.
COMBUSTIONE
• Pile burners: è costituito da una camera a combustione a due stadi
seguita da una caldaia collocata al di sopra della camera di seconda
combustione. Le ceneri sono rimosse isolando la camera di combustione
dalla caldaia e scaricandole manualmente dalle grate. Il sistema ha bassa
Capitolo 6
169
efficienza e funzionamento ciclico a causa dello svuotamento della grata
dalle ceneri.
• Stoker Grate: è dotato di griglia mobile che permette di raccogliere in
modo continuo le ceneri eliminando il problema del funzionamento ciclico.
Inoltre il fuel è sparso uniformemente con uno stoker pneumatico
migliorando l’efficienza di combustione. L’aria è insufflata da sotto le grate
mobili e funge da raffreddamento. Il quantitativo d’aria insufflata
determina infatti la massima temperatura raggiungibile dalla griglia e
l’umidità ammissibile nell’alimentazione.
• Bubbling fluid bed : esiste un gas che passa attraverso un letto costituito
da materiale granulare libero di fluire. La velocità del gas è tale che le
particelle solide sono ampiamente separate e circolano liberamente nel
letto. Il letto fluido appare come un liquido bollente e ha le proprietà di un
fluido. Nella combustione a letto fluido l’aria funge contemporaneamente
da gas bollente e da comburente. In pratica un letto fluido è un recipiente
con dimensioni tali che la velocità superficiale del gas mantiene il letto in
condizioni fluidizzate sul fondo del recipiente, con una variazione della
sezione trasversale sopra il letto che abbassa la velocità superficiale del
gas al di sotto della velocità di fluidizzazione. La biomassa è introdotta o
attraverso uno scivolo di alimentazione nell’alto del letto o attraverso una
trivella nel letto. L’introduzione nel letto assicura un tempo di residenza
per la frazione fine che in caso contrario sarebbe trattenuta nel gas
fluidizzante e non bruciata nel letto. Il letto è generalmente preriscaldato
usando un bruciatore esterno alimentato a gas naturale, propano o olio. Il
gas preriscaldato è usato per portare il letto alla temperatura di ignizione.
A questo punto la biomassa viene introdotta lentamente per portare il
letto alla temperatura desiderata (790°C - 870°C). La temperatura del
letto è determinata dalle due esigenze opposte di garantire la
combustione completa e di non superare la temperatura di fusione delle
Capitolo 6
170
ceneri della biomassa combusta. Appena introdotta nel letto la frazione
organica volatilizza per via pirolitica e viene parzialmente combusta dalla
temperatura presente nel letto mediante una reazione esotermica. Il
calore prodotto mantiene il letto a temperatura elevata e volatilizza altra
biomassa. La combustione è completata nella parte superiore dall’aria
aggiuntiva. La scelta del letto fluido è giustificata dall’ottima miscelazione
che garantisce e dall’ottimale trasferimento di calore, che generano
condizioni uniformi all’interno del letto.
GASSIFICAZIONE
La gassificazione prevede la conversione e la volatilizzazione della
biomassa in un ambiente che comprende aria e vapore per produrre un gas
con proprietà calorifiche intermedie. Gli organici presenti reagiscono con
l’ossigeno dell’aria e la reazione esotermica produce calore necessario per
devolatilizzare la biomassa e convertire il residuo carbonioso. I gas prodotti
hanno un potere calorifico secco di 4,9 - 5,9 MJ/m3.
Oltre al tipo di agente gassificante, ciò che determina l’efficienza del sistema
di gassificazione è la pressione. Una pressione elevata è auspicabile perchè
permette di alimentare direttamente il ciclo di una turbina a gas: questa
condizione di funzionamento genera però la presenza di char e tar. Questi
devono essere eliminati senza scendere al di sotto della temperatura di
rugiada dei tar e per questo si utilizza un sistema di pulizia dei fumi ad
elevata temperatura.
Il primo elemento di questo sistema di pulizia dei fumi è un sistema catalitico
o termico di scissione dei tar (catalitico = 825 °C, termico = 871 °C - 982
°C). A valle del tar cracker il gas viene raffreddato parzialmente (538 °C -
649°C), quindi i prodotti passano in un filtro a ceramica per rimuovere i
solidi. La configurazione alternativa è a bassa pressione per la produzione
dei gas con successiva pressurizzazione. Anche in questo caso è
necessario un tar cracker che fornisca una quantità di tar tale che la
Capitolo 6
171
pressurizzazione alla pressione desiderata non provochi condensazione. Il
tipo di reattore può essere: letto fisso, letto fluido bollente, letto fluido con
ricircolo.
6.1.3 PROPRIETA’ delle BIOMASSE come COMBUSTIBILI
I combustibili indicati con il termine biomassa possono essere così
classificati:
• Erbosi e paglia
• Nocciuoli, gusci, buccia (di cereali) o combustibili legnosi di provenienza
agricola
• Legno
Questi combustibili sono usati in genere in piccoli impianti (50 MW net
output) alimentati con materiale locale. Generalmente si usa legna nei limiti
stabiliti da queste esigenze:
• disponibilità;
• costo;
• convenzioni;
• i problemi collegati alla combustione (scorie, corrosione, ecc.) nella
caldaia.
I problemi di combustione in caldaia sono dovuti alle specie inorganiche
formate dalla combustione di biomassa, che si depositano in una serie di
forme differenti sulle superfici. Le scorie contenenti silicio frequentemente si
formano nella zona ad elevata temperatura del forno dove gli alcali
reagiscono con il silicio o lo zolfo per formare vetri fusi. Le masse di scorie
possono formarsi e accumularsi sulle grate o sui muri, specialmente sui muri
refrattari con elevata temperatura superficiale. Le scorie possono avere
struttura rocciosa, a nastro, a capello o altra forma. Si possono formare
Capitolo 6
172
anche agglomerati, composti di sabbia (mezzo fluidificante) e ceneri legate
per fusione.
L’agglomerazione è un problema comune nei combustori a letto fluidizzato,
dove le reazioni nel letto possono formare aggregati di ceneri e di mezzo
fluidificante.
Le scorie si formano su tutte le superfici con trasferimento di calore, ma
specialmente sui tubi posti nella caldaia attraversati dal flusso convettivo;
anche i separatori di particelle come i cicloni, localizzati all’uscita del forno,
sono soggetti a sporcamento.
I meccanismi di formazione delle scorie sulle pareti della caldaia includono:
• la condensazione di vapori inorganici;
• la compressione inerziale;
• lo stricking (appiccicamento);
• la reazione per via chimica;
Gli effetti indesiderati delle scorie sono:
• il ritardo nel trasferimento di calore nei tubi della caldaia;
• i depositi possono crescere fino al punto di impedire il flusso;
• i depositi sulle grate possono condurre allo spegnimento;
• corrosione;
Gli elementi:
• silicio;
• potassio;
• calcio;
• cloro;
• zolfo;
sono i principali elementi coinvolti nello sporcamento delle superfici .
Capitolo 6
173
La tabella riportata mostra le analisi elementari effettuate su alcuni
combustibili.
Paglia di
frumento
Lolla di
riso
Gusci di
mandorle
Noccioli di
olive
Pioppo
Analisi elementare
(% su s.s.)
Carbonio C 44,92 38,83 49,30 52,80 50,18
Idrogeno H 5,46 4,75 5,97 6,69 6,06
Ossigeno O 41,77 35,47 40,63 38,25 40,43
Azoto N 0,44 0,52 0,76 0,45 0,60
Zolfo S 0,16 0,05 0,04 0,05 0,02
Cloro Cl 0,23 0,12 < 0,01 0,04 0,01
Ceneri 7,02 20,26 3,29 1,72 2,70
Composizione
elementare delle
ceneri (%)
SiO2 55,32 91,42 8,71 30,82 5,90
Al2O3 1,88 0,78 2,72 8,84 0,84
Fe2O3 0,73 0,14 2,30 6,58 1,40
CaO 6,14 3,21 10,50 14,66 49,92
MgO 1,06 < 0,01 3,19 4,24 18,40
Na2O 1,71 0,21 1,60 27,80 0,13
K2O 25,60 3,71 48,70 4,40 9,64
P2O5 1,26 0,43 4,46 2,46 1,34
Tab. 6.1 – Composizione di alcuni tipi di biomasse
Si nota il basso contenuto di composti inorganici che caratterizza la
biomassa legnosa rispetto a quella degli scarti agricoli.
Capitolo 6
174
6.2 MODELLISTICA della COMBUSTIONE e della GASSIFICAZIONE
La maggior parte degli articoli trovati in letteratura esegue un’analisi di tipo
statico del fenomeno della combustione, mirata soprattutto a stabilire come
le componenti presenti nel combustibile si suddividono fra le emissioni
liquide, gassose e solide.
Solo pochi articoli fanno una descrizione di tipo dinamico del problema,
basandosi sui bilanci di massa ed energia della materia coinvolta. Questo
tipo di approccio è molto complesso perchè non può prescindere
dall’aspetto fluidodinamico del problema, indispensabile per poter svolgere il
bilancio energetico. In ciascun punto del dominio e in ogni istante di tempo
si realizzano infatti delle condizioni determinate non solo dalle reazioni che
si svolgono all’interno della materia in combustione, ma anche dalla velocità
che questa possiede.
E’ infatti intuitivo comprendere che, a parità di condizioni, una massa
gassosa veloce (tempo di residenza minore) raggiunge un grado di
combustione minore di una massa gassosa lenta. La ricostruzione dei campi
di velocità e’ operazione assai complessa, perchè necessita la formulazione
di ipotesi riguardanti il tipo di moto che si instaura nella camera di
combustione, e la scrittura di equazioni differenziali alle derivate parziali di
difficile integrazione.
Un ulteriore problema consiste nella taratura e validazione del modello.
Probabilmente per questo motivo tutti i modelli trovati tentano una
descrizione del fenomeno il più vicino possibile alla realtà fisica e non
mediante modelli concettuali o empirici da tarare.
Capitolo 6
175
Questo tipo di approccio, se da un lato evita di dover compiere l’operazione
di taratura, dall’altro impone una sofisticata ricerca bibliografica del valore
numerico dei parametri fisici contenuti nel modello.
Il problema viene di solito aggirato eseguendo una semplice operazione di
validazione sui dati di temperatura della camera di combustione, in genere
disponibili grazie alla presenza di termocoppie sulle pareti della camera di
combustione stessa.
6.2.1 STRUTTURA di un MODELLO all’EQUILIBRIO
La combustione della biomassa in appositi reattori avviene con il seguente
meccanismo: inizialmente evapora l’acqua contenuta nel combustibile, poi la
parte organica volatilizza a causa dell’elevata temperatura e viene
parzialmente combusta per via pirolitica (in difetto di ossigeno) con una
reazione esotermica. Il calore prodotto mantiene la temperatura del letto e
volatilizza dell’altra biomassa che alimenta il processo. La combustione si
ultima nella parte superiore del reattore grazie all’aria aggiuntiva (980°C).
Le reazioni coinvolte sono:
Cs + O2 = CO2 (1)
Cs + ½ O2 = CO (2)
H2 + ½ O2 = H2O (3)
½ N2 + ½ O2 = NO (4)
S + O2 = SO2 (5)
NO + ½ O2 = NO2 (6)
SO2 + ½ O2 = SO3 (7)
La reazione (1) e (5) sono in fase eterogenea e coinvolgono il combustibile
carbonizzato in seguito alla evaporazione della parte volatile.
Capitolo 6
176
Le reazioni (6) e (7) sono caratterizzate da un valore basso della costante di
equilibrio soprattutto alle alte temperature che si verificano durante la
combustione; a temperature elevate il rapporto [NO2 / NO] è trascurabile.
Per le reazioni poc’anzi scritte si suppone il raggiungimento della condizione
di equilibrio (si tratta infatti di un equilibrium model) caratterizzato dai valori
delle costanti K.
KCO 2 = XCO 2 / XO2 (1)
KCO = [XCO 2 / n] / [n / XO 2]1/2 (2)
⇒ KCO / KCO 2 = XCO 2 / XCO [n / XO2]1/2
Questi due equilibri, come già detto, sono in fase eterogenea e quindi nella
definizione della costante di equilibrio non compare la concentrazione della
frazione solida che si suppone costante.
Per gli altri 5 equilibri (gas ideali) si suppongono valide le relazioni:
KH2 O = XH2 O / XH2 [n / XO2]1/2 (3)
KNO = XNO / (XO2 XN2)1/2 (4)
KSO2 = XSO2 / XO2 (5)
KNO 2 = XNO 2 / XNO [n / XO2]1/2 (6)
KSO3 = XSO3 / XSO2 [n / XO2]1/2 (7)
Le incognite del modello sono: XCO2 , XCO , XH2 , XH2O , XN2 , XNO , XNO2 , XO2 ,
XSO2 , XSO3 , n, dove n è il numero totale di moli nel flusso di gas.
Le equazioni disponibili sono:
• 6 equazioni che definiscono le costanti di equilibrio;
• 5 equazioni che definiscono il bilancio di massa del processo;
Le 5 equazioni di bilancio si basano sulla conoscenza della composizione
sperimentale del combustibile e sul tipo di prodotti di reazione.
Capitolo 6
177
La struttura del modello è generalizzabile aumentando gli ingressi a diverse
alimentazioni e a diverse possibili reazioni.
Il modello per la gassificazione utilizzato nelle simulazioni ha questa stessa
struttura ed è descritto nel prossimo paragrafo.
6.2.2 Il MODELLO all’EQUILIBRIO ANALIZZATO per la GASSIFICAZIONE
Il gassificatore viene descritto come un sistema che include diversi blocchi,
quali un reattore e degli scambiatori di calore, rappresentato in fig.6.1.
uscita del gassificatore
scambiatore vapore di calore
biomassa gas di sintesi prodotto acqua
aria / ossigeno
Fig. 6.1 – Schema per la modellizzazione del gassificatore
Il modello di calcolo prevede la simulazione del caso non adiabatico, cioè
con cessione di calore verso l’esterno e del gassificatore adiabatico che
può utilizzare una parte del calore di reazione per produrre vapore in modo
rigenerativo all’interno del gassificatore stesso.
Il codice di calcolo è realizzato in linguaggio Fortran ed è stato ottenuto
adattando un programma esistente che simula la gassificazione del
carbome (Manfrida e Bidini, 1990); per il funzionamento con biomassa sono
Capitolo 6
178
state introdotte specie chimiche aggiuntive (Manfrida e Ruggiero, 1998). I
risultati sono stati confrontati dagli stessi autori con dati pubblicati sulla
gassificazione di biomasse di natura diversa (da colture energetiche a RDF).
In genere si è verificata una buona rispondenza ai dati sperimentali, in
particolare, relativamente alla stima del potere calorifico e per tipologie di
gassificatori a letto fluidizzato o trascinato, che meglio corrispondono ad un
reattore chimico omogeneo.
Il modello all’equilibrio permette di determinare la composizione del gas in
uscita dalla gassificazione della biomassa, la relazione tra tale composizione
e quella della biomassa di origine, l’influenza delle portate dei diversi
reagenti e le caratteristiche energetiche del gas prodotto.
Si trattano equilibri chimici in fase gassosa a pressione costante (come sono
ipotizzabili nei gassificatori) secondo uno schema ‘black-box. Il modello
zero-dimensionale assume il comportamento di gas perfetto per i reagenti e
per i prodotti.
Si suppone inoltre il tempo di residenza sufficientemente lungo rispetto
all’intervallo necessario per completare le reazioni, in questo modo la
modellizzazione all’equilibrio risulta appropriata.
Come per tutti i modelli all’equilibrio, si prendono in considerazione la
conservazione delle specie chimiche (C, O, H, N, S), descritta da un insieme
di equazioni non lineari, e l’equilibrio delle reazioni, corrispondente alla
minimizzazione dell’energia libera di reazione.
L’analisi dei processi di produzione del gas sintetico da biomassa non si
realizza mediante l’applicazione di semplici calcoli stechiometrici, in quanto
risulta determinante l’influenza degli equilibri chimici simultanei.
Le temperature a cui avvengono le reazioni di gassificazione sono alquanto
elevate (superiori spesso a 1000°C), e le condizioni riducenti favoriscono la
Capitolo 6
179
formazione di specie normalmente classificate come prodotti di combustione
incompleta (CO, idrocarburi incombusti CnHm). Lo scopo finale è quello di
ottenere un gas costituito essenzialmente da H2, CO e idrocarburi gassosi.
Un altro fattore determinante della composizione del gas è costituito dalla
cinetica delle reazioni. Alcune reazioni (ad esempio l’ossidazione di CO in
CO2) sono estremamente lente, mentre altre (come la formazione di H2O da
H2) risultano più rapide e possono influenzare la composizione del gas. La
carenza di ossigeno tipica di tutte le reazioni di gassificazione rallenta
fortemente la formazione di specie completamente ossidate.
VARIABILI in INGRESSO
Le variabili di ingresso per la simulazione di un gassificatore sono
essenzialmente le seguenti:
• Portata in massa dei reagenti (kg/s): aria/ossigeno puro, acqua/vapore e
biomassa; la portata degli agenti ossidanti, aria e ossigeno, sono
alternative
• Composizione della biomassa da analizzare: si richiede l’analisi
elementare con riferimento alla biomassa priva di sostanza inerti, cioè la
percentuale in massa di carbonio fisso C, di ossigeno O2, dell’umidità
H2O, dell’azoto N2, dell’idrogeno H2 e dello zolfo S.
• I parametri operativi del gassificatore:
- temperatura di reazione (K)
- pressione di reazione (atm): intervallo di 1-25 atm
- temperatura di ingresso acqua/vapore (K)
- calore da scambiare con l’esterno (Kcal) nel caso non adiabatico
VARIABILI in USCITA
Capitolo 6
180
Gli output della simulazione con questo modello riguardano i seguenti
aspetti:
Composizione in massa del gas prodotto
Rendimento energetico
Cold gas efficiency: rapporto tra energia entrante ed uscente in
condizioni standard
Potere calorifico inferiore (PCI) del gas depurato
Calore scambiato
REAZIONI CHIMICHE
Si ipotizza che i 5 reagenti considerati (C, O2, N2, H2, S) diano luogo alle
seguenti 19 specie chimiche prodotte: CO2, H2O, CO, OH, H, O, CH4, N,
NO, SO2, SO, COS, H2S, NH3, C4H4, C6H6, HCN, C2H4, C2H6.
L’analisi è stata limitata alle specie precedenti poichè comprendono i
normali prodotti della combustione completa, le specie chimiche riportate in
letteratura come componenti dei gas sintetici prodotti dalla gassificazione
del biomassa e alcune specie chimiche importanti dal punto di vista
ambientale.
Dalle simulazioni effettuate si nota la presenza degli idrocarburi e di altri
prodotti in percentuali molto ridotte con valori dell’ordine di 10-4 – 10-5, per
questo sono stati riportati i dati relativi alla composizione in uscita (% in
massa) del gas depurato costituito da CO2, H2O, CO, CH4, N2 e H2.
Le reazioni di formazione delle 19 specie analizzate a partire dai 5 reagenti
indicati sono le seguenti (completate dai calori di reazione in kcal/mole a
298K):
C(s) + O2 ↔ CO2 – 94,054 kcal/mole
H2 + ½ O2 ↔ H2O – 57,798 kcal/mole
C(s) + ½ O2 ↔ CO – 26,417 kcal/mole
½ O2 + ½ H2 ↔ OH + 9,33 kcal/mole
Capitolo 6
181
½ H2 ↔ H + 52,102 kcal/mole
½ O2 ↔ O +59,559 kcal/mole
C(s) +2 H2 ↔ CH4 – 17,89 kcal/mole
½ N2 ↔ N + 112,965 kcal/mole
½ N2 + ½ O2 ↔ NO + 21,58 kcal/mole
S + O2 ↔ SO2 – 70,947 kcal/mole
S + ½ O2 ↔ SO + 0,519 kcal/mole
C + ½ O2 + S ↔ COS – 33,08 kcal/mole
H2 + S ↔ H2S – 4,615 kcal/mole
½ N2 + 1,5 H2 ↔ NH3 – 11,04 kcal/mole
4C + 2 H2 ↔ C4H4 + 19,8 kcal/mole
6 C + 3 H2 ↔ C6H6 + 19,8 kcal/mole
½ H2 + ½ N2 + C ↔ HCN + 135,143 kcal/mole
2 C + 2 H2 ↔ C2H4 + 12,496 kcal/mole
2 C + 3 H2 ↔ C2H6 + 11,012 kcal/mole
E’ necessario considerare la presenza tra i prodotti di reagenti residui che
portano a 24 il numero complessivo di specie da considerare nei prodotti
(‘prodotti’ in senso stretto e ‘reagenti nei prodotti’).
Il bilancio delle masse impone che si debba conservare, tra prodotti e
reagenti, il numero di moli di ciascuno dei 5 elementi considerati come
reagenti.
ASPETTI ENERGETICI
Avendo calcolato la composizione all’equilibrio alla temperatura data di
reazione, è possibile calcolare l’energia sviluppatasi nella reazione
complessiva. Si suppone per semplicità che i reagenti entrino nel sistema
nelle condizioni di riferimento (298.16 K), la loro entalpia molare standard di
formazione è perciò nulla.
Capitolo 6
182
Si determina inoltre il rendimento energetico del gassificatore che, nei due
casi, è dato da:
rnon-adiabatico = (EU + Q + q)/EI
radiabatico = (EU + Q)/(EI-q)
dove
EU: energia del gas depurato
Q: calore di reazione q: calore ceduto all’esterno (caso adiabatico) o
rigenerativamente (caso non adiabatico)
EI: energia in ingresso
La cold-gas efficiency si esprime come il rapporto tra energia uscente ed
entrante in condizioni standard.
Il potere calorifico è stimato per il gas depurato utilizzando i calori di
formazione JANAF.
6.3 SIMULAZIONI EFFETTUATE e VALUTAZIONE deiRISULTATI
Nelle simulazioni realizzate si è considerato il caso del gassificatore non
adiabatico senza immissione di vapore, perché l’umidità contenuta
nell’alimentazione è già sufficientemente elevata (15-20%), e alla pressione
di 15 bar.
Capitolo 6
183
Le simulazioni effettuate sono inoltre a composizione fissata poiché lo scopo
è di determinare le prestazioni del gassificatore nel caso in cui il
combustibile sia costituito da cippato di pioppo.
La composizione (percentuale in massa) su base secca adottata è la
seguente, tratta dalla pubblicazione “Combustion properties of biomass”:
Umidità C H2 O2 N2 S
15 % 0.4118 0.0497 0.3713 0.0171 0.0001
20 % 0.3876 0.0468 0.3495 0.016 0.0001
Tab. 6.2 – Composizione della biomassa percentuale in massa
Si sono impostati valori sperimentali di temperatura T e rapporto equivalente
f (definito come il rapporto tra il peso dell’ossidante e quello del combustibile
usato diviso per lo stesso rapporto in condizioni stechiometriche) trovati in
letteratura. Sapendo che quando la gassificazione con aria avviene ad
elevata temperatura (circa 900°C) esiste un fenomeno di tar cracking e il
contenuto di tar è più basso, si sono scelti valori di f = 0,3. Se la
gassificazione avviene a T < 850°C, il contenuto in tar è elevato e il rapporto
equivalente f va aumentato a 0,4.
Valori di f superiori a 0,45 generano un gas non utilizzabile, mentre valori
minori di 0,18 producono quantità eccessive di tar.
Le temperature imposte sono basse rispetto a quelle usate nella
gassificazione del carbone (> 1100°C). Ciò è dovuto all’elevato contenuto di
sostanze volatili e all’alta reattività della biomassa.
Per questi valori di pressione e di temperatura si possono escludere
fenomeni rilevanti di fusione delle ceneri (<1100°C, Joule II Program).
La portata di biomassa in ingresso è pari a 1 kg/s.
Capitolo 6
184
Come già detto le uscite che si ottengono dal modello sono la composizione
del gas in termini percentuali in massa, il valore del potere calorifico e il
rendimento energetico del sistema.
Tenendo conto di quanto detto sul comportamento del sistema le
simulazioni effettuate sono:
T=1050 K T=1125 K T=1200 K
f 1 f 2 f 1 f 2 f 1 f 2
p=15 atm 0,35 0,4 0,3 0,35 0,25 0,3
L’altro parametro che è stato fatto variare è l’umidità del combustibile. Il
valore di U% è stato fatto variare tra il 15% e il 20%, che sono i valori tipici
contenuti nel cippato di pioppo dopo essiccazione in campo.
E’ stato anche utilizzato ossigeno come agente gassificante, anche se per
impianti di piccola e media scala, quale quello in esame, l’unità di
separazione dell’aria per produrre ossigeno non è economicamente
conveniente.
Il risultato ottenuto è che si ha una debole dipendenza dall’umidità negli
intervalli considerati e una grande influenza di parametri quali la temperatura
(fra le escursioni massime simulate) e il rapporto equivalente f. Le
simulazioni effettuate vengono di seguito descritte a seconda del parametro
variato.
SIMULAZIONE con variazioni rispetto al rapporto equivalente f
Per tutte le temperature e le umidità considerate si riscontrano variazioni
notevoli per il potere calorifico modificando il valore del rapporto equivalente
f. In tutti i casi analizzati la differenza tra i valori a f diverse è più rilevante
Capitolo 6
185
quando l’agente ossidante è l’aria. Il PCI varia del 15% diminuendo
all’aumentare del rapporto equivalente.
Per dare un’idea dell’ordine di grandezza dei risultati ottenuti si riportano i
valori del PCI relativi alla temperatura intermedia di 1125 K e all’umidità del
15%:
PCI (f=0,3, aria)=4708 KJ/Kg
PCI (f=0,35, aria)=3975 KJ/Kg
I valori che si ottengono per l’ossigeno sono molto più alti e variano da 8446
a 8915 KJ/kg.
Le portate del gas in uscita subiscono variazioni lievi con f, ovviamente
crescendo con l’aumentare del rapporto.
Il rendimento energetico diminuisce al diminuire di f: infatti, nonostante
l’aumento del potere calorifico, si ha una diminuzione dei valori di portata di
gas che si ottengono.
Una rappresentazione delle variazioni di PCI in funzione del rapporto
equivalente è riportata nella seguente figura:
Variazione del PCI in funzione di f
01000200030004000500060007000
0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5
f
PCI (
KJ/K
g)
aria(T=1050K) aria(T=1200K)
Capitolo 6
186
Fig. 6.2 – Andamento del potere calorifico in funzione di f, fissata l’umidità al
15% e per le due temperature estreme
SIMULAZIONE con variazioni rispetto all’agente ossidante
A parità di tutti gli altri parametri considerati, passando da aria ad ossigeno,
si ha un aumento del potere calorifico ma una diminuzione della portata del
gas e dell’efficienza energetica. La composizione del gas inoltre è
caratterizzata da una quantità inferiore di N2 e da valori leggermente
superiori per gli altri elementi. Alcuni valori di queste simulazioni sono
riportati in tabella 6.3.
fissate T=1050 K e U=15%
R=0,35 R=0,4 R=0,3 R=0,35CO2 0,2165 0,2199 0,419769 0,416178H2O 0,0828 0,0838 0,152901 0,152712CO 0,1486 0,13 0,29336 0,283575CH4 0,0057 0,00343 0,030792 0,028141N2 0,5188 0,5406 0,012749 0,013937H2 0,01193 0,0104 0,025284 0,024599et 0,9 0,9123 0,835 0,8372pcio 3572,9 3025,7 7895,43 7469,782fgs 2,7719 3,049 1,2252 1,284
Aria Ossigeno
Capitolo 6
187
Tab. 6.3 – Simulazione con umidità al 15% e T=1050K
SIMULAZIONE con variazioni rispetto alla temperatura
La temperatura influenza il potere calorifico solo per variazioni elevate,
passando dai 1050 a 1200 K che è la massima escursione possibile si
hanno variazioni dell’ordine del 15%. Variazioni significative del rendimento
energetico (+5%) si ottengono aumentando la temperatura dal valore
minimo a quello massimo. I valori simulati sono riportati in tabella 6.4; una
rappresentazione delle variazioni del PCI è data in figura 6.3.
Tab. 6.4 – Variazioni della composizione del gas rispetto alla temperatura
con umidità al 20%
SIMULAZIONE con variazioni rispetto all’umidità
L’effetto dell’umidità è quello di variare la composizione del gas e di essere
quasi ininfluente sul valore del potere calorifico inferiore per entrambi gli
agenti ossidanti.
In ogni caso i valori ottenuti mostrano come si tratti di un gas con basso
valore del potere calorifico.
fissata U = 20%
R=0,35 R=0,4 R=0,3 R=0,35 R=0,25 R=0,3 R=0,25 R=0,3CO2 0,22367 0,22592 0,426844 0,422501 0,15256 0,16423 0,187487 0,191154H2O 0,09394 0,09453 0,173052 0,172144 0,08422 0,08857 0,113368 0,115113CO 0,14197 0,124 0,275029 0,266343 0,28576 0,24308 0,511686 0,492686CH4 0,00547 0,00328 0,028786 0,026414 0,0016 0,00081 0,011232 0,009749N2 0,5085 0,53078 0,01222 0,013343 0,44847 0,48165 0,009578 0,010957H2 0,01252 0,01089 0,027184 0,026449 0,02028 0,01685 0,046181 0,044291et 0,9046 0,9147 0,8492 0,8508 0,9497 0,9536 0,9059 0,9096pcio 3601 3048 7557,24 7173,627 5949 4999 9376 8901fgs 2,6348 2,8927 1,1944 1,2473 2,1765 2,4246 1,1624 1,2183
Aria OssigenoT=1050 K T=1200 K
Aria Ossigeno
Capitolo 6
188
Il valore massimo del rendimento energetico è pari a 0,95 con una portata di
2,55 Kg/s e si ottiene usando l’aria come ingresso ad un valore di f di 0,3
con umidità del 15% e temperatura massima di 1200 K.
Per innalzare il PCI a scapito del rendimento energetico conviene
mantenersi su valori elevati di temperatura e abbassare, nei limiti consentiti,
il rapporto equivalente.
Le simulazioni effettuate permettono di determinare delle linee di tendenza
della composizione del gas e delle caratteristiche energetiche in funzione
dei parametri, ma non sono utilizzate per formulare una decisione
riguardante le condizioni di processo.
6.4 ANALISI dell’IMPIANTO di RIFERIMENTO
L’impianto di conversione della biomassa per la produzione di energia cui
facciamo riferimento è basato sulla tecnologia IGCC (Integrated
Gassification Combined Cycle), ormai affermata in tutto il mondo, che
prevede la gassificazione del combustibile solido con aria oppure ossigeno
e l’eventuale aggiunta di vapore, con formazione di gas, a potere calorifico
variabile a seconda dell’agente ossidante, da espandere in turbine
appositamente progettate e recupero del calore del gas in uscita con ciclo a
vapore combinato.
Capitolo 6
189
Fig. 6.3 –Schema dell’impianto di gassificazione e conversione della
biomassa
La gassificazione avviene in un gassificatore a letto fluido in pressione. Tale
tecnologia è stata largamente sviluppata negli ultimi anni e molti sistemi
sono presenti sul mercato. In Europa ci sono almeno 4 compagnie che
forniscono gassificatori e sono Ahlstrom, Gotaverken, Lurgi, TPS.
L’agente ossidante può essere sia aria che ossigeno; all’uscita del letto
fluido il gas incontra un primo stadio in cui le particelle fini (sabbia) del letto
che viene trascinato sono rimosse da un separatore meccanico o ciclone. In
genere si prevede un secondo stadio con un ciclone che provvede a
un’ulteriore pulizia. Quindi il gas in uscita avrà un basso contenuto di polveri
soprattutto di piccole dimensioni.
La delicata palettatura delle turbine richiede un’ulteriore filtrazione del gas,
effettuata a caldo, che comporta il notevole vantaggio di poter utilizzare in
modo completo anche il calore sensibile del biogas stesso.
Capitolo 6
190
La possibilità di operare in questo modo deriva dalla scelta di non
comprimere il biogas prima di inserirlo in camera di combustione. Infatti uno
dei problemi di una TAG che lavori con bassi valori del potere calorifico è
proprio quello di dover utilizzare volumi elevati di combustibile. Di
conseguenza si pone il problema di comprimere questi volumi prima
dell’inserimento in camera di combustione. Questo sottrae una notevole
potenza alla Tag e richiede che il gas venga raffreddato per ottenere un
efficienza accettabile del compressore. L’unico vantaggio è di poter lavorare
con filtrazione a freddo del gas, che è un procedimento più conosciuto.
La filtrazione a caldo consente di sfruttare la pressione che il gas possiede
all’uscita del gassificatore e di inserirlo direttamente in camera di
combustione, determinando l’abbassamento del rapporto di compressione
della turbina. Il gas in uscita dal filtro a caldo viene convogliato nella camera
di combustione dove si combina con l’aria proveniente dal compressore.
Successivamente questa miscela raggiunge la turbina dove avviene
l’espansione con produzione di energia elettrica tramite un alternatore. Una
parte della potenza sviluppata dalla turbina viene utilizzata dal compressore
dell’aria comburente.
Dopo la fase di espansione si incontra la parte di impianto che recupera il
calore in una caldaia con produzione di vapore che in un ciclo combinato
espande in turbina, con produzione di energia elettrica.
I fumi in uscita dall’economizzatore raggiungono il camino senza essere
ulteriormente trattati, poiché si ipotizza che la formazione di NOx in camera
di combustione sia pari a 70 ppm, e che non sia quindi necessario alcun
trattamento aggiuntivo per rientrare nei limiti di legge. Si fa anche l’ipotesi
che l’emissione di CO2 sia nulla poiché la stessa quantità viene riassorbita
dalle piante per la ricrescita.
Capitolo 6
191
Il calcolo della turbina a gas con ciclo a vapore che recupera il calore dei
fumi è stato fatto presso l’Università di Firenze (Manfrida et al.)
Le condizioni generali di esercizio ipotizzate per l’impianto sono:
Pressione uscita gassificatore 15 bar
Temperatura biogas uscita gassificatore 800 °C
Pressione del biogas dopo il filtro 13,5 bar
Temperatura di biogas all’uscita del filtro 700 °C
Rapporto di compressione TAG 12
Temperatura max Tag 1077 °C
Pressione vapore in uscita dal surriscaldatore 70 bar
AT approach in uscita dal surriscaldatore 30 °C
Pressione in uscita economizzatore 1,013 bar
Pressione vapore uscita dalla TV 0,1 bar
Temperatura vapore uscita surriscaldatore 532 °C
Lo stesso impianto è stato simulato in differenti condizioni di alimentazione
(umidità) e di agente gassificatore (aria o ossigeno), secondo le seguenti 4
ipotesi di funzionamento.
Umidità (%) Ossidante Temperatura (K) Pressione (bar)
15 Aria 1050 15
20 Aria 1050 15
15 Ossigeno 1050 15
20 Ossigeno 1050 15
Capitolo 6
192
Le differenze maggiori, già messe in evidenza nel paragrafo precedente, si
ottengono a seconda dell’agente ossidante.
Fissata la potenza da produrre a 12 MW elettrici, i risultati ottenuti con la
simulazione descritta forniscono i seguenti risultati:
Umidità e
ossidante
Compressore TG TV Pompa Potenza
totale
15% aria 1220,4 1558,8 726,4 -4,331 2281
15% oss 2875,7 2837,4 1502,8 -8,950 4331
20% aria 1174,8 1523,4 712,5 -4,241 2232
20% oss 2715,4 2713,1 1442,5 -8,578 4147
Tab. 6.5 – Potenza in KW sviluppate e assorbite nei vari componenti del
ciclo combinato per 1 kg/s di biogas
In corrispondenza di queste possibili alternative, con il modello descritto nel
paragrafo 6.2 e utilizzato per le simulazioni descritte precedentemente, si
determinano le portate di biomassa in ingresso e del biogas.
Umidità e
ossidante
Portata di
biomassa
Portata di biogas Potenza elettrica
(MW)
15% aria 1,85 5,3 12
15% oss 1,99 2,77 12
20% aria 1,95 5,38 12
20% oss 2,11 2,89 12
Tab. 6.6 – Portate di biomassa e di biogas (kg/s) a potenza fissata
Capitolo 6
193
Si osserva che, in corrispondenza dell’alternativa migliore per l’impianto
(15% ossigeno), si hanno portate di biomassa elevate in ingresso ad
indicare la bassa efficienza di funzionamento del gassificatore.
6.5 OCCUPAZIONE di AREE ed EFFICIENZA ENERGETICA
Il caso di gassificazione con aria al 20% di umidità corrisponde alle
caratteristiche più probabili per un impianto di questa taglia, non essendo
economicamente conveniente utilizzare ossigeno come agente gassificante.
Con questa ipotesi è possibile stabilire quale sia l’occupazione di aree
necessarie per alimentare l’installazione, nel caso in cui si adottino le
decisioni ottime relative alla coltivazione e che consentono di posizionarsi
sulla frontiera di Pareto.
Se il tempo effettivo di esercizio è di 7200 ore l’anno, si determina la
relazione tra i costi ottenuti da una gestione ottimale di una coltivazione
energetica e le relative aree occupate, rappresentato in figura 6.4.
Frontiera di Pareto - costi-aree
0
2000
4000
6000
8000
10000
12000
200 400 600 800 1000 1200 1400
Aree occupate (ha)
Capitolo 6
194
Fig. 6.4 – Frontiera di Pareto in termini di aree occupate
L’operazione fatta è semplicemente una trasformazione di scala della
frontiera di Pareto originale, ma ha il pregio di mettere in evidenza una
differenza fondamentale fra le decisioni possibili dopo aver integrato il
sistema a monte e a valle, la necessità di reperire ampie estensioni di
terreni di media fertilità.
Nonostante quanto detto sulla politica comunitaria di set-aside, questo
potrebbe essere il più grande fattore limitante per la realizzazione delle
colture energetiche.
L’esigenza di reperire spazi più grandi determina anche una efficienza
energetica più bassa dell’intero sistema a causa dei consumi legati al
trasporto di ingenti quantità di materiale per distanze elevate. Si è cercato di
valutare l’efficienza del sistema in modo approssimativo ipotizzando una
legge di variazione della distanza media da percorrere con la necessità di
area da utilizzare.
L’elaborazione è stata fatta rispetto ai tre punti individuati sulla frontiera di
Pareto del clone Luisa Avanzo nel capitolo precedente, riportati in tabella
6.6. Il clone Lux non è stato analizzato perché come visto è dominato
rispetto a tutte le soluzioni.
Luisa Avanzo1 Luisa Avanzo 2 Luisa Avanzo 311,63 t/ha 12,93 t/ha 15,12 t/ha
688 £/annox1000) 820 £/anno(x1000) 1163 £/anno(x1000)4-4 T=24 anni 4-4 T=20 anni 4-3 T=16 anniD=13104 D=17280 D=200004435 ha 3989 ha 3411 ha
Capitolo 6
195
Tab 6.6 - Punti selezionati sulla frontiera di Pareto
La legge di variazione della distanza media da percorrere con la domanda di
area è ottenuta ipotizzando una distribuzione uniforme delle coltivazioni in
un’area circolare attorno alla centrale. Con il termine distribuzione uniforme
si intende che la percentuale di superficie coltivata rispetto a quella totale
(coefficiente di copertura) è costante allontanandosi dalla centrale.
All’aumentare della distanza percorsa, l’area intercettata aumenta con il
quadrato della distanza stessa. Di conseguenza, se la distribuzione delle
coltivazioni è uniforme, la probabilità di intercettare una coltivazione
energetica aumenta con il quadrato della distanza.
Ciò implica che, fissata l’area necessaria, la distanza media da percorrere
vari con la radice quadrata dell’area. Di conseguenza la legge di variazione
ipotizzata è:
dmedia = α *√ Aoccupata
Si deve sottolineare che questo tipo di analisi è molto approssimativo,
poiché è più probabile che gli spazi necessari si dispongano a macchia di
leopardo, cioè addensate in grandi estensioni localizzate a distanze anche
molto elevate dalla centrale.
Il tipo di analisi condotta è inoltre fortemente dipendente dal valore assunto
per il coefficiente di copertura. Il valore di questo rapporto può essere fissato
a 0,1 (10% delle aree occupate da coltivazione) sia per la difficoltà a
reperire aree idonee in quantità sufficiente sia per limitare l’impatto
paesaggistico. Le distanze medie ottenute sono :
L. Avanzo 1 L. Avanzo 2 L. Avanzo 37,9 7,5 6,9
Capitolo 6
196
Per il trasporto del cippato di biomassa su lunghe distanze si ipotizza di
utilizzare camion a rimorchio ribaltabili della capienza di 25 – 50 ton
normalmente utilizzati per i cereali. Il consumo ipotizzato, imponendo un
carico medio del 50 % è di 1,17 MJ / t km.
Le elevate distanze da percorrere possono influire sulle efficienze
energetiche delle coltivazioni per cui si è ritenuto opportuno ricalcolarla
considerando anche questo fattore. In questo caso l’efficienza è calcolata
considerando l’unità di superficie inserita in una coltivazione di area estesa.
Egenerata
Efficienza =
Eingresso + Etrasporto
Ricorrendo nuovamente al contenuto energetico primario del gasolio (HHV
51,5 MJ) si ottengono:
L. Avanzo 1 L. Avanzo 2 L. Avanzo 315,6 16,2 15,97
Tab. 6.7 – Efficienze energetiche di sistema
Come si osserva l’efficienza del terzo punto diventa maggiore di quella del
primo per la minore distanza da percorrere.
In conclusione è possibile affermare che la costituzione di un impianto di
piccole dimensioni (12 MW) implica una notevole occupazione di aree. Ciò
Capitolo 6
197
determina distanze elevate da percorrere, con aumento dei costi, degli
impatti ambientali e diminuzione dell’efficienza energetica.
Il modello colturale individuato risulta comunque valido, per le elevate
produttività che è in grado di assicurare e per il costo relativamente basso
della sua realizzazione. Ulteriori meccanizzazioni del processo produttivo,
che consentono la diminuzione dei costi colturali, soprattutto quelli
dell’impianto, verranno sicuramente raggiunti in futuro. E’ attualmente in
studio la possibilità di adottare un processo speditivo di suddivisione degli
astoni in talee, che dovrebbe consentire notevole risparmio sulla
manodopera.
Questo tipo di coltivazione risulta attuabile per l’alimentazione di un impianto
di produzione di energia elettrica se utilizzato unitamente a scarti di origine
forestale e comunque con caratteristiche pregiate e paragonabili a quelle del
pioppo.