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ANDRÉ FROSSARD Il Vangelo secondo Ravenna

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  • ANDRÉ FROSSARD

    Il Vangelo secondo

    Ravenna

  • 2 ·

  • A Galla Placidia · 3

    A Galla Placidia

    Noi non siamo qui solo per amore dell’arte, ma per raccogliere,accanto a te, cristiana dei tempi antichi, una scaglia della luce che hai voluto trattenere nelle tue mani, e la pace della fede nella quale ti sei addormentata. Sappi che dopo tanti secoli molti cuori non hanno dimenticato le verità che, grazie a te, hanno imparato dalla bellezza.

  • 4 · A Galla Placidia

    André Frossard Il Vangelo secondo Ravenna

    www.itacaedizioni.it/vangelo-secondo-ravenna-frossard

    Nuova edizione: settembre 2018

    Titolo originale: L’Évangile selon Ravenne © 1984 Editions Robert Laffont, S.A., Paris Traduzione italiana: Cesare Greppi

    © 2018 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati

    ISBN 978-88-526-0572-7

    Itaca srl via dell’Industria, 249 48014 Castel Bolognese (RA) - Italy tel. +39 0546 656188 fax +39 0546 652098 e-mail: [email protected] in libreria: www.itacaedizioni.it/librerie on line: www.itacalibri.it

    Cura editoriale: Cristina Zoli, Isabel Tozzi Progetto grafico e impaginazione: Andrea Cimatti

    Finito di stampare nel mese di settembre 2018 da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)

    In copertina: Mausoleo di Galla Placidia, Il Buon Pastore, particolare Pagina 6: Arcivescovado, Cristo guerriero Pagine 8-9: Battistero degli Ariani, mosaico della cupola, particolare dei santi Pietro e Paolo ai lati del trono Pagina 10: Sant’Apollinare Nuovo, Il porto di Classe, Pagine 88-89: Sant’Apollinare Nuovo, Cristo benedicente in trono

    L’autore ringrazia:il professor Karol Heitz, dell’Università di ParigiDon Giovanni Montanari, esperto di simbologia cristianaIsabelle Frossard, ispettore del Ministero Francese dei Beni Culturali che hanno seguito con interesse il suo lavoro.

    Tutte le immagini del volume provengono dalla campagna fotografica effettuata da Alfredo Dagli Orti, su concessione dell’Opera di Religione della Diocesi di Ravenna, con l’eccezione delle seguenti:

    Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo 8-9, 16-17, 19 (a destra), 126-127, 132, 135, 136-137 Shutterstock.com: Izabela Miszczak 13 · vvoe 14-15 · Massimo Fiorentini 18-19 · GoneWithTheWind 19 (a sinistra), 29 · Claudio Zaccherini 21· Canadastock 22-23 · Borisb17 24 DeAgostini Picture Library/Scala, Firenze 124-125, 138-139 A. Dagli Orti/Scala, Firenze 128 Cameraphoto/Scala, Firenze 130

  • Sommario· 5

    Sommario

    Presentazione 7Per incontrare Ravenna 9Un diluvio di pietre preziose 27Galla Placidia, la fede 37 Sant’Apollinare Nuovo, il Vangelo e la beatitudine 47San Vitale, l’Elevazione 95 Sant’Apollinare in Classe, il paradiso 127 Il segreto di Ravenna 141

  • Presentazione· 7

    Presentazione

    Avvicinandosi il 700° anniversario della morte di Dante a Ravenna, avvenuta nel 1321, in occasione della mostra sul rapporto tra la Divina Commedia e i mosaici, ideata dalla Archi-diocesi, abbiamo ritenuto necessaria una nuova edizione dell’opera di André Frossard Il Vangelo secondo Ravenna, dopo le edizioni della Sei (1985) e di Itaca (2004), esaurite da tempo. Le sue parole accompagnano il breve ma intensissimo viaggio attraverso le imma-gini scelte e le terzine dantesche, arricchendole di significati che permettono di penetrare nel dialogo del Poeta con ciò che vide in quei Templi. Ma questa è stata solo l’occasione esterna. In realtà da qualche tempo sentivamo la richiesta di poter avere di nuovo in mano quel testo così ricco di spiritualità, di cultura e di passione.

    Le immagini di questa terza edizione sono più definite e splendenti, ma il testo è sem-pre quello, quasi insuperabile dell’autore francese, uomo di grande cultura (narratore, biografo, saggista, osservatore politico, uno dei più prestigiosi giornalisti de «Le Figa-ro»), convertitosi dall’ateismo militante alla Luce di Cristo, quasi come Paolo sulla via di Damasco. Le sue riflessioni nate dalla contemplazione ammirata dei mosaici ravenna-ti – il mausoleo di Galla Placidia, le basiliche di Sant’Apollinare Nuovo, di San Vitale, di Sant’Apollinare in Classe – sono ancora attualissime e provocanti. Per esse ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Ravenna e con merito da tutti riconosciuto.

    «Talento, arte, ispirazione, – scrive alla fine della sua opera – c’è tutto questo a Raven-na, e qualcosa in più, qualcosa di misterioso che affascina l’intelligenza e la porta insen-sibilmente a scoprirsi un’anima. Questo qualcosa di misterioso è precisamente il mistero cristiano di una visione «cristocentrica» che dalla croce del Cristo si espande. Una croce su cui egli non sta inchiodato, poiché tutto è compiuto, noi viviamo l’era della Risurrezione».

    Le croci gloriose, che ci avvicinano alla spiritualità delle Chiese orientali e bizantine, si ritrovano in tutte le nostre grandi basiliche per ricordarci che il Mistero di Cristo e quello della vita di ogni cristiano non si ferma alla croce, ma ci fa vivere anche quella esperienza alla luce della Risurrezione. Ad essa è dedicata la nostra cattedrale, la basilica metropoli-tana che pur non avendo più la sua grande decorazione musiva, è l’approdo del percorso ideale che dal Battesimo, all’Eucaristia, alla vita di santità nella sequela del Vangelo, fino all’ultima chiamata, viene illustrato con la ricchezza, la luminosità, la bellezza inimita-bile dei mosaici.

    André Frossard ha visto, ha gustato, ha testimoniato questa esperienza che permette di ricevere il Vangelo, a Ravenna, attraverso le luci delle tessere dorate e multicolori e le immagini raffinate e quasi vive, che parlano prima al cuore e poi all’intelligenza del cre-dente e di chi è in ricerca della Verità attraverso la Bellezza.

    + Lorenzo Ghizzoni, Arcivescovo di Ravenna-Cervia

  • Per incontrare Ravenna

  • Per incontrare Ravenna · 11

    Sulla costa italiana del mare Adriatico, costruita su una laguna invisibile, una città piat-ta e non particolarmente graziosa si ripara dal sole sotto un ombrello di zolfo. È facile che passi inosservata. Un raccordo autostradale la aggira a ovest; a est, un’ampia stra-da costiera che parte da Venezia si restringe per infilarsi nella desolazione dei sobborghi verso la lunga schiera dei pini che vanno a Rimini.

    Si può attraversare questa città senza vederla o senza notarvi altro che qualche pezzo dell’arredo urbano più consueto in Italia, un lembo di muro romano, l’ala di un palazzo, alcune chiese moderatamente barocche, grandi porte blasonate alleggerite ormai delle muraglie, e due o tre campanili pensosi, inclinati sul piccolo flutto delle tegole tonde.

    È Ravenna, già capitale dell’Impero romano, porto mercantile, melanconico capoluo-go di provincia che sonnecchia sotto il lume delle sue raffinerie e meraviglia assoluta del mondo cristiano.

    Chiuso in una rozza e povera scorza di mattoni, il Vangelo è qui, preso alla fonte, splen-dente di luce interiore: la mano rossa e rugosa della città si apre su manciate di zaffiri.

    L’arte è a Firenze, il sogno a Venezia, la gloria a Roma. Nel suo incavo di terracotta, l’ac-qua pura della contemplazione è a Ravenna.

    I dintorni non attraggono la vista. È un immenso stemperarsi vagamente olandese di cielo e terra indecisa, da cui emergono qua e là piloni, tamburi d’acciaio, canne d’orga-no accese, e altre architetture ridotte a scheletro come si incontrano in tutti i complessi industriali.

    Il mare è lontano. Il Po, fiume potente la cui mano si contrae un po’ più su nelle sabbie, l’ha fatto indietreggiare di parecchi chilometri rispetto ai tempi antichi. Il resto, fino alla nuvola grigia dell’Appennino, è una pianura bassa, che ha i colori di una tavolozza appe-na raschiata in vista di una composizione destinata a non realizzarsi. È difficile parlare di paesaggio, se è vero che la parola richiama il combinarsi di attrattive naturali disposte dal caso in un ordine seducente. Si tratta piuttosto di una lenta preparazione al raccoglimen-to attraverso il vuoto e il silenzio. Costruito da Augusto come riparo per la propria flotta orientale, il porto di Classe è scomparso, abbandonato dagli uomini e dal mare. Quello di Ravenna, piantato ben dentro le terre, si lascia indovinare dalle gru, vere e proprie bale-stre di macchinari e vegetazioni di ferro che, in lontananza, sembrano germogliare dai campi.

    Questa terra, serena e discretamente fertile, sembra stranamente inanimata sotto un sole romagnolo troppo dotato per la scenografia che di sera, dopo aver ricoperto con una sfoglia d’oro case, stamberghe e pompe di benzina, annera i pini e fa scivolare alle loro spalle fondali traslucidi di ametista o d’alabastro.

    Quando apparve questa città singolare, Venezia esisteva soltanto allo stato di vapo-re sopra un gregge di isolotti naufragati dietro un cordone litorale, e nessuno avrebbe immaginato che questo vapore si sarebbe un giorno condensato in palazzi o avrebbe preso la forma di bolle dorate in capo a una spiaggia dedicata a san Marco.

  • 12 · Per incontrare Ravenna

    Le città terrestri non hanno stato civile, e i loro inizi sono di solito così misteriosi che alcune si danno un padre di leggenda, come Roma, o una madre in cielo, come Atene, genitori sublimi che presentano il vantaggio di nobilitare la loro discendenza umana, oltre a quello di includere e di bloccare la questione sociale nell’ordine del sacro.

    Ravenna sembra fare eccezione. Non chiama in causa nessun semidio o eroe in esilio. Fondata da anonimi, accolse per qualche tempo degli Etruschi, questa specie di popolo-jolly usato dagli storici ogni volta che manca una carta nel loro gioco di congetture, e forse, prima degli Etruschi, un gruppo di Tessali, attirati dalla protezione che offrivano loro vaste paludi lungo un arco di dune basse, abbozzando sulla costa un’interessante proposta di attività marinara.

    L’Impero romano, che morì molto più lentamente di quanto l’effetto di prospettiva della distanza storica non faccia pensare, sopravvisse per qualche tempo a se stesso con l’aiuto di questo polmone marino, dopo aver abbandonato Roma e Milano alle maree barbariche. Verso l’anno 400, galleggiando come un sughero sopra il suo impero liquefatto, vi arrivò Onorio, che innalzò la città al rango di capitale. Non innalzò null’altro di memorabile, e scomparve sul limitare del «secolo d’oro» di Ravenna, secolo che meglio si chiamerebbe «azzurro» a causa del suo amore per il cielo e del colore dominante delle sue meraviglie. Dopo di lui emergono due personaggi di statura imponente, benché diversi fra loro: sua sorella Galla Placidia e il goto Teodorico. Questa Galla Placidia, la cui vita conobbe alti e bassi, estremi sia gli uni che gli altri, ebbe la sfortuna, presto corretta, di debuttare in politica come indennità di guerra. Versata insieme con altri risarcimenti al barbaro Ala-rico, il quale si faceva pagare le rovine che accumulava sul suo cammino, dovette sposare Ataulfo, cognato del vincitore, e ne fu contenta. Era bello, e poiché lei era una principes-sa, la trovò bella. Malgrado i disastri civili e militari, Roma godeva ancora di un tale pre-stigio che, il giorno del matrimonio, Ataulfo fece salire la sposa su un trono più alto del suo, prima di spandere generosamente ai suoi piedi il frutto delle più recenti rapine, cento bacili d’oro e di pietre preziose. I Goti amavano la splendida prodigalità e sapevano procu-rarsi i mezzi per esercitarla. Fu un matrimonio felice, ma breve. Ataulfo venne assassinato in Spagna dov’era andato a fronteggiare un’incursione di Vandali, e Placidia, il cui piede venerato raramente toccava terra, finì confusa con la folla dei prigionieri e sballottata da un accampamento all’altro davanti al cavallo dell’assassino. La sua rivincita non si fece aspettare. Sconfitto a sua volta l’assassino di Ataulfo, fu restituita insieme con seicento-mila misure di frumento al fratello Onorio, il quale nutriva nei suoi riguardi sentimenti poco chiari, fatti di attaccamento, sospetto e di rabbiosa ostilità. La convinse a sposare il generale Costanzo, in ricompensa di alcune campagne vittoriose. Placidia fece resistenza, cedette, si tenne il suo bravo soldato, e di gradino in gradino riuscì a fargli avere il trono imperiale, in comproprietà con Onorio. Schiacciato dagli onori, Costanzo morì, e Placi-dia lasciò Ravenna per Costantinopoli col figlio Valentiniano. Ma poco dopo – l’esilio fu assai breve – un messo le annuncia la morte di Onorio. Subito si imbarca, rischia durante la traversata di naufragare, e sotto la tempesta formula il voto di costruire una chiesa in

  • Per incontrare Ravenna · 13

    onore di san Giovanni Evangelista. Giunta sana e salva a Ravenna, mantenne la promessa e fece costruire la stupenda chiesa che oggi si vede non lontano dalla stazione, o meglio si indovina, tanto essa è stata distrutta, ricostruita, sepolta, e poi sollevata dai muratori italiani, che non hanno l’eguale nel sollevare una chiesa come se usassero il cric. Infatti il livello del suolo è salito a Ravenna più di un metro dal v secolo, come dimostra qua e là una colonna affondata in un selciato, immersa nel sottosuolo liquido come un’asta che dà conto dei livelli.

    Questi particolari sulla vita di Galla Placidia li troviamo nelle storie ingarbugliate di quei tempi, che non erano certo chiari, quando l’Impero si guadagnava un imperatore tutte le volte che perdeva una provincia. Essi serviranno più avanti per mettere in evi-denza un fatto straordinario che tocca il cuore stesso del nostro tema: l’incredibile per-sistenza del cristianesimo attraverso le catastrofi che avrebbero dovuto annientarlo o soffocarlo.

    Imperatrice ad interim, e preoccupandosi di mantenere il figlio in stato di minorità per regnare senza problemi, Galla Placidia governò trentacinque anni con la dolcezza ferrea che si può leggere sulle monete col suo ritratto: sul diritto, sotto un pesante diadema di perle, un profilo ardente dall’occhio indagatore, dovuto certo a un colpo di bulino accen-tuato di proposito con l’intenzione di far capire al portatore che nulla poteva sfuggire allo sguardo dell’autorità; sul rovescio, sotto la cometa di Betlemme, una croce emblematica fra le mani, un angelo ha le gambe leggermente piegate come se stesse per slanciarsi nell’a-ria. Delle numerose costruzioni della principessa romana non resta, intatto, che il mau-soleo cristiano di una bellezza avvincente e serena dove Galla Placidia non riposerà mai.

    Il mausoleo di Galla Placidia

  • Galla Placidia, la fede

  • 38 · Galla Placidia, la fede

    In conformità col detto «Se il seme non muore…», la messe luminosa comincia in una tomba, il mausoleo di Galla Placidia. In genere lo si scopre dopo aver attraversato, come si passa un fiume, gli archi e le cascate azzurre e verdi della chiesa di San Vitale, costruita su un progetto di una complessità sconcertante in un’epoca in cui non pochi barbari rag-giungevano ancora a nuoto il loro domicilio lacustre. In capo a uno spiazzo verde, sotto una torre bassa e quadrata, è una costruzione in mattoni a forma di croce latina, con gli archetti ciechi, un metro e mezzo sotto il livello del terreno. Il suo slancio contenuto gli dà l’aria d’una stazioncina di campagna con gli sportelli murati. L’interno, che alcune strette finestre d’alabastro color del miele ricavano dalla penombra, è rivestito fino a mezz’altez-za con marmo giallo di Siena, una qualità di marmo rara. Il resto, a partire dagli archi e fino al fondo della cupola, è azzurro, verde e oro, con quanto basta di bianco per orientare lo sguardo e dar ordine alla scena. Questo bianco, di cui tutti i personaggi sono rivestiti, il bianco che risulta dalla fusione di tutti i colori dello spettro solare, non è solo il simbolo della purezza, come si concorda nell’affermare, ma anche dello spirito che unisce tutte le immagini possibili nella sua luce.

    Fin dal primo momento l’incantesimo di Ravenna agisce con la sua sovrana dolcezza: i suoi mosaici si aprono, accolgono, non si comportano al modo dello scudo d’oro che è l’i-cona. Essi esercitano l’irresistibile attrazione del divino su quanto in noi è rimasto sensi-bile alla grazia. Dirimpetto alla porta, alti sopra un umbraculum a forma di conchiglia, due apostoli si fronteggiano ai lati di una fontana la cui acqua attira due colombe.

    Nella lunetta inferiore, il martirio di san Lorenzo testimonia che, insieme a un’altra costruzione, il mausoleo è stato in origine una cappella attigua alla chiesa di Santa Croce. Al centro, la graticola, che imprigiona dense trecce di fiamme, mentre il fuoco sembra attizzato dai quattro Vangeli disposti in un armadio con i battenti aperti. Questo parti-colare fa pensare alla parola del Cristo: «Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che cos’altro posso desiderare se non che bruci?». A destra, con una lunga croce d’oro in spalla e un libro in mano, i lembi del mantello sollevati dal calore del braciere in un movi-mento già curiosamente barocco, il santo va al martirio di buon passo, e, cosa singolare, ci va da solo, senza che nessuna guardia o carnefice ve lo spinga. Questo perché a Raven-na il male o la sventura e i loro agenti non sono mai rappresentati. Perché appartengono alla storia, e la storia qui è finita. Sono stati sciolti o riassorbiti dal bene, e la memoria stessa li ha persi di vista. In questo mondo che vive di grazia e di benedizione, non tro-verete affatto quei demoni, quei funzionari forcuti del peccato o della tentazione di cui è popolata l’arte medioevale. Fra tante immagini di pace non si può osservare che una sola allusione – di qualche decimetro quadrato – ai «capri» del Vangelo, che simboleggiano la caparbietà nel peccato; tra l’altro poi, sono di un bell’azzurro, che non vieta del tutto una speranza di purificazione. Similmente, il martirio di san Lorenzo è la sola scena che evoca

    Lunetta con il Martirio di san Lorenzo

  • 40 · Galla Placidia, la fede

    il ricordo di una violenza; ma questi vortici di fiamme in gabbia ricordano forse meno il supplizio che l’amore da cui il santo era consumato ben prima di dare questa prova di fede «usque ad mortem» che è il martirio.

    Sotto i piedi di san Lorenzo, un sarcofago monumen-tale dagli angoli rilevati, nel quale il defunto non stava disteso ma seduto, è forse il sarcofago che ha contenuto i resti di Galla Placidia. Non lo si saprà mai con certezza. Molto tempo fa, alcuni ragazzi troppo curiosi, infilando delle candele o della carta accesa in un’apertura praticata in una delle pareti, hanno appiccato il fuoco all’interno, sì che tutto fu ridotto in cenere, i resti umani, il seggio e gli oggetti.

    Questa combustione postuma sotto la graticola di san Lorenzo ha qualcosa di strano.

    Tutto il resto è di una bella serenità azzurra, fino alla piccola cupola blu notte, disseminata di novecento stelle d’oro a otto raggi disposte dapprima in cerchi concentrici intorno a una croce. Ma a partire dal settimo cerchio, una leggera sfasatura imprime alle altre centinaia di stelle una sorta di movimento fatto di curve incrociate a forma di rosa. Io suppongo che Dante abbia attinto da qui, forse senza esserne consapevole, l’idea dei nove cori angelici che egli ha visto disegnare come una rosa di neve in para-diso, «in forma dunque di candida rosa». Negli otto raggi

    San LorenzoSan Lorenzo e la sua graticola (qualche lingua di fiamma si vede in basso a sinistra). La presenza di questo martire, dipinto con bella e audace vivacità di tratto, sopra quella che doveva essere la tomba di Galla Placidia, ha indotto a pensare che il mausoleo fosse in origine unito a una cappella a lui dedicata. San Lorenzo, nato in Spagna nel III secolo, diacono a Roma e suppliziato col fuoco, è celebre non soltanto per il suo martirio particolarmente crudele, ma anche per aver distribuito agli indigenti i tesori della chiesa di cui aveva la custodia e che gli sembravano stare al sicuro più presso i poveri che in qualsiasi altro posto. Questo martire compare anche nella teoria dei santi nella basilica di Sant’Apollinare Nuovo, dove la sua tunica d’oro lo segnala in modo particolare all’attenzione dei fedeli.

  • Galla Placidia, la fede · 41

  • Galla Placidia, la fede · 43

    di queste stelle lanciate nell’infinito e ricondotte alla croce quasi da un’incessante pulsa-zione, si possono leggere le iniziali greche di Gesù Cristo, I X, incrociate e attraversate dal braccio orizzontale della croce, il patibulum su cui furono inchiodate le mani del Reden-tore. Detto questo, non è indispensabile vedere simboli ovunque, e basta forse constatare che questa croce d’oro, nel cuore della sua rotazione di stelle, agisce come un trasmetti-tore di onde spirituali che pacificano tutto l’edificio, graticola e san Lorenzo compresi.

    E tuttavia non si sfugge tanto facilmente ai simboli in un monumento cristiano. Ecco dei cervi, attraverso volute d’acanto, che si avvicinano a uno specchio d’acqua: è l’anima

    assetata di Dio del Salmo 41; una vite si avvolge intorno a un’arca: è il Vangelo di Gio-vanni, «Io sono la vite, voi siete i tralci»; al termine di un tunnel azzurro e oro (il braccio maggiore dell’edificio) ricamato di fiori, di stelle e di improbabili cristalli di neve, l’alle-goria del Buon Pastore, pecore bianche, verzura, cielo azzurro. L’atteggiamento del Cri-sto, giovanissimo, seduto un po’ come un violoncellista mentre suona il suo strumento o il poeta antico che sollecita l’accordo della sua lira, l’ha fatto naturalmente paragonare a Orfeo, e certo da questa composizione si leva una tenera musica, come se tutti i desideri

    CupolaLa geometria stellare della cupola di Galla Placidia, la cui croce centrale si irradia in cerchi concentrici, poi intrecciati, fino alle estremità del mondo, e dove la presenza degli emblemi dei quattro evangelisti simboleggia la diffusione universale del Vangelo, scintilla di novecento stelle d’oro. Gli storici antichi tendono a mostrare una certa severità nei confronti dell’imperatrice, il cui regno non sembra loro un modello di saggezza amministrativa. Cassiodoro, in particolare, ha instaurato fra Galla Placidia e Amalasunta, regina degli Ostrogoti, un parallelo che va tutto a favore di quest’ultima. Vero è che egli era al suo servizio. I monumenti sono certo più attendibili dei documenti. Le dimensioni ragionevoli del mausoleo di Galla Placidia, la semplicità dell’esterno, la ricchezza dell’interno dedicata a Dio piuttosto che alla stessa imperatrice, tutto indica un carattere equilibrato, nemico degli eccessi che spesso hanno reso intollerabili i regni di quell’epoca.

  • 44 · Galla Placidia, la fede

    di armonia e di riconciliazione del mondo lacerato che sta intorno si fossero rifugiati nelle chiese e nelle tombe.

    Due osservazioni, a questo punto. La prima è l’estrema abilità dei mosaicisti nel suggerire, con l’impiego di mate-riali quali pezzi di vetro e volgari pietruzze, la morbida densità della lana, la freschezza del lino, la trasparenza del cielo, il calore e la finezza un po’ ruvida di una pelle di cervo. Indubbiamente la memoria visiva e, se esiste, la memoria tattile si affiancano all’abilità dell’artigiano per completare ciò che egli si limita a indicare; ma certo quei mezzi bisogna saperli usare, e non credo che in quest’ar-te i mosaicisti di Ravenna siano mai stati uguagliati. La mia seconda osservazione riguarda la pretesa inesperien-za dei mosaicisti, che non avrebbero avuto nozione delle leggi della prospettiva. Basta, per convincerci del contra-rio, osservare i motivi decorativi di Galla Placidia, quei nastri attorcigliati, o quelle greche illusionistiche, quasi a trompe-l’oeil, e per di più semicircolare. La padronanza tecnica è evidente. Se gli artisti di Ravenna non si cura-vano delle leggi della prospettiva è per una semplicissi-ma ragione pratica: dato che i mosaici sono posti molto in alto sui muri, se voi disegnate a quattro o cinque metri da terra una tavola in prospettiva, nessuno saprà ciò che vi è lassù. E anche per una ragione spirituale che dirò in seguito.

    Ma quando si visita il mausoleo di Galla Placidia, ogni idea di ingenuità o di rozzezza dev’essere scartata. Siamo in un altro mondo, e quest’arte è una preghiera di lode, la più alta forma di attività dello spirito.

    Il Buon PastoreGiovanissimo, imberbe, il Cristo è rappresentato in un atteggiamento che ricorda gli Orfei dell’antichità. Da una parte e dall’altra, due gruppi di tre pecore bianche contribuiscono all’equilibrio della composizione, circondata d’oro e imperniata sulla croce. In alto, i motivi a stella richiamano sia la croce sia il monogramma del Cristo. Da quando il cristianesimo ha cominciato ad esprimere la sua fede in immagini, il tema del Buon Pastore («lo sono il buon pastore, conosco le mie pecore ed esse riconoscono la mia voce», dice il Vangelo) è uno dei più ricorrenti nell’arte, specie durante le prime età della Chiesa. Il suo contenuto, una morale pacifica e dolce, accanto alle sanguinose aberrazioni della storia e gli eccessi dei potenti, produceva un contrasto tale che non poteva non ispirare gli artisti creatori.