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Abbiamo già descritto gli eventi che vanno dall’inizio del 1701 (scoppio della Guerra di Successione
Spagnola, per l’accettazione di Luigi XIV del trono di Spagna per il nipote Filippo) alla fine del 1703.
Per quasi tutto questo periodo il Ducato di Savoia ha combattuto in Italia a fianco del blocco Francia-
Spagna e contro la coalizione formata da Impero, Inghilterra e Olanda. L’esercito imperiale, comandato
da Eugenio di Savoia, è sceso nel Milanese e si è installato in zona, senza riuscire però a prevalere, a
causa della superiorità numerica dei Franco-Spagnoli.
Nel settembre 1703 è avvenuto il passaggio da un fronte all’altro del Ducato di Savoia, segnato dalla
cattura del contingente sabaudo ad opera dei Francesi e dalla successiva reazione di Vittorio Amedeo
II; il Duca si organizza per non cedere le sue terre ai Francesi e riceve aiuto dall’esercito imperiale.
Sugli altri fronti europei si è combattuto, ma non ci sono state azioni decisive; sul fronte del Reno la
prevalenza è stata leggermente francese, nelle Fiandre è stata invece degli Inglesi. Sui mari, Inglesi e
Olandesi tendono a prevalere.
Nel 1704 vedremo una successione di fatti incalzanti, con la presa di numerose fortezze del Ducato, che
viene così a trovarsi in grande difficoltà.
L’Imperatore invia il Principe Eugenio in soccorso al Ducato, ma l’esercito imperiale verrà per il
momento bloccato dai Francesi.
Nel 1705 vedremo cadere gli ultimi ostacoli, in particolare la fortezza di Verrua, e vedremo i Francesi
arrivare vicino a Torino. Per il Piemonte sono due anni terribili.
Per quanto riguarda il resto dell’Europa, i fatti più importanti che vedremo sono:
- l’occupazione di Gibilterra da parte degli Inglesi;
- l’occupazione di Barcellona da parte degli Inglesi, accompagnati da Carlo di Asburgo e appoggiati
dalla popolazione locale, ribellatasi a Filippo V;
- la grave sconfitta subita dai Franco-Bavaresi (a Höchstädt) che libera la Baviera dai Francesi;
- la morte di Leopoldo I e l’ascesa al trono imperiale del figlio primogenito Giuseppe I.
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La campagna del 1704 si presenta come potenzialmente decisiva per la guerra nel Nord Italia: i Franco-
Spagnoli, che si sentono superiori di forze, sperano di dare un colpo decisivo al Ducato di Savoia.
Vittorio Amedeo spera di riuscire a organizzare una resistenza che regga sino a quando le sconfitte
francesi su altri fronti o l’arrivo in Piemonte di eserciti di soccorso non ponga fine alla superiorità
francese. L’esercito ducale ha approssimativamente 20000 soldati, ai quali si sono aggiunti i circa
10000 forniti dallo Starhemberg. Il duca di Vendome ha forze leggermente superiori, poco di più di
35000 uomini, ma è prevedibile un consistente arrivo di truppe dalla Francia.
Come già detto, la pronta azione del duca Savoia e l’arrivo in Piemonte del corpo di spedizione dello
Starhemberg ha fatto tramontare per i Francesi la possibilità di prendere Torino con un colpo di mano.
Essi sono costretti a pianificare un regolare assedio, con necessità logistiche e di trasporto materiali.
In queste operazioni sono di grande ostacolo per i Francesi le piazzeforti di Vercelli e, soprattutto, di
Verrua. Questa sbarra infatti il corso del Po: via fondamentale per far giungere dalla Lombardia
cannoni e materiali d’assedio. La presa di Verrua appare necessaria ai Francesi anche perché essa non
diventi un punto di appoggio per un possibile esercito di soccorso, alle spalle dei Francesi.
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Sulla sponda Nord del Po, a circa 40 chilometri da Torino e 30 chilometri da Casale, in una zona
completamente pianeggiante, si trova la cittadina di Crescentino. Proprio di fronte a Crescentino,
sull’altra sponda del Po, ai margini delle colline del Monferrato, si trova uno sperone scosceso, sulla
cima del quale nel 1704 sorge una grande fortezza, che già nel passato ha avuto importanza strategica
ed è stata centro di atti bellici: oggi si vedono solo più poche rovine. Poco distante si trovava il paese di
Verrua (oggi Verrua Savoia).
All’inizio del ‘700, la piazzaforte di Verrua non è costituita solo dalla fortezza sulla cima della collina,
ma anche dal paese di Crescentino, ben protetto da mura, da triceramenti e dalla natura del terreno,
vagamente paludoso e inondabile all’occorrenza.
Le due unità sono collegate da una strada protetta che attraversa il Po su un ponte di barche. A
protezione di questa via, sull’isola in mezzo al Po, c’è un fortino (forte di Ognissanti) e alla base della
collina di Verrua un altro fortino.
La fortezza in cima alla collina è protetta da due lati da pendii scoscesi, e dall’altro lato da un ampio
“campo trincerato”: una serie di fortini e di trinceramenti che si estendono in particolare nella conca di
Garbignano, appena alla destra della fortezza per chi la guarda da Crescentino.
Questo campo trincerato tiene gli attaccanti lontano dalla mura della fortezza, e dovrà quindi essere
conquistato prima di poter attaccare la fortezza vera e propria con mine e cannoni. Ricordiamo che i
cannoni di allora sparavano palle piene e, per demolire i bastioni di una fortezza, dovevano essere usati
a una distanza di 100-200 metri dalle mura. Un tiro più di lontano poteva essere un flagello per i
difensori, ma non apriva in genere brecce nelle mura.
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Qui vediamo la fortezza in una stampa del Theatrum Sabaudiae; in basso a sinistra si vede Crescentino.
Su questa altura, che domina il Po in posizione strategica, esisteva dal medioevo un castello, poi
diventato fortezza. La località era passata ai Savoia verso la metà del 1300, ai tempi di Amedeo VI, il
conte Verde. Da allora, per i Savoia la fortezza di Verrua era sempre stata una sentinella avanzata nel
territorio dei Monferrato.
Al continuo miglioramento della fortezza contribuirono diversi architetti, da Ercole Negro di St. Front
(nel ‘500) a Carlo di Castellamonte (nella prima metà del ‘600) a Maurizio Valperga (seconda metà del
‘600). Alle migliorie apportate da quest’ultimo contribuirono anche i suggerimenti dati dal grande
Vauban quando venne in visita a Torino nel 1670.
Numerosi erano stati in passato gli atti di guerra contro questo punto strategico. Il più importante fu
l’assedio che vi portarono gli Spagnoli nel 1625. Il Ducato di Savoia, con Carlo Emanuele I, alleato alla
Francia di Luigi XIII e Richelieu, era in guerra contro la Spagna e la Repubblica di Genova. Il duca di
Feira, governatore di Milano, venne nell’autunno del 1625 ad assediare Verrua, difesa da un presidio
Sabaudo. L’assedio durò circa tre mesi; a soccorrere la fortezza venne il duca Carlo Emanuele I con il
figlio Vittorio Amedeo e con l’aiuto dell’esercito francese. Attestato a Crescentino, il Duca riuscì a far
togliere l’assedio, con grave scorno degli Spagnoli (a quel tempo l’esercito spagnolo era ancora
sinonimo di invincibilità).
La fortezza fu di nuovo centro di combattimenti nelle guerra civile (o guerra dei cognati): nel 1639 il
principe Tommaso la tolse alla cognata, con l’aiuto degli Spagnoli e con la complicità del comandante
della fortezza. Nel 1642 le forze madamiste appoggiate dai Francesi ripresero la fortezza con relativa
facilità.
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Un’altra immagine della fortezza di Verrua, questa volta vista da Crescentino.
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L’altura della fortezza come appare oggi, con in cima i poche resti dell’antica fortezza. Una grande
cava ha provocato anche la riduzione della massa della collina.
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La pianta dell’antica fortezza sovrapposta agli attuali resti.
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I resti della fortezza.
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Il Vendome fa a Luigi XIV due proposte alternative per la campagna del 1704:
- stare sulla difensiva il Italia e invadere di nuovo il Tirolo,
- eliminare subito Verrua e poi passare a Torino.
Luigi XIV è però di parere diverso e mette due priorità operative in Piemonte:
- l’occupazione della valle di Aosta;
- l’occupazione di Nizza e Oneglia;
Lo scopo è quello di isolare il Piemonte, chiudendo le uniche due vie verso territori non controllati da
Francia e Spagna.
Una è la via verso la Svizzera (Gran San Bernardo) da dove passavano uomini e materiali e da dove
avrebbero potuto arrivare dei soccorsi. (Il Duca aveva cercato di portare gli Svizzeri, timorosi di una
eccessiva potenza francese, decisamente dalla sua parte: questi si erano mantenuti neutrali, senza però
bloccare le vie attraverso la Svizzera). L’occupazione della valle d’Aosta avrebbe aperto ai Francesi
anche la via del Piccolo San Bernardo, essendo la Savoia già occupata dai Francesi.
La seconda via da chiudere è quella del mare, da dove potrebbero arrivare materiali e soccorsi,
soprattutto dagli Inglesi.
L’occupazione della valle d’Aosta è affidata al Vendome, che riceverà anche l’aiuto di forze
provenienti dalla Francia.
L’occupazione della via del mare è affidata a un corpo militare proveniente dal Delfinato, al comando
di un giovane generale: il duca de La Feuillade.
Il Re chiede inoltre ai suoi generali:
- l’occupazione della valle di Susa, per agevolare l’accesso delle truppe Francesi in Piemonte; per
questa azione è pronto un esercito guidato dal generale Tessé;
- la cacciata degli Imperiali dalla pianura veneta; questa azione è compito del fratello del duca di
Vendome, Filippo di Vendome (detto il Gran Priore) al quale il Duca fratello affiderà quella parte del
suo esercito non impegnata verso la valle di Aosta.
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Abbiamo nominato il duca de La Feuillade; si tratta precisamente di Louis d'Aubusson duca de La
Feuillade (1673-1725). A quell’epoca era un generale molto giovane (31 anni) e molto ambizioso, che
doveva buona parte della sua fortuna a due fatti:
- essere il figlio di François de la Feuillade, maresciallo di Francia e ricco imprenditore edile e delletappezzerie;
- avere sposato Marie-Thérèse Chamillard, figlia del ministro della Guerra di Luigi XIV, Michel
Chamillard.
I questa guerra ottiene il comando delle truppe francesi in Delfinato e Savoia. La presa di Susa e poi
l’assedio di Nizza gli fruttano la promozione a Luogotenente generale. L’occupazione della Val
d’Aosta e altre operazioni, condotte con tempismo e coraggio, gli faranno meritare il comando delle
operazioni per l’assedio di Torino alla giovane età di 33 anni. Ma l’ambizioso generale, che brama al
bastone di Maresciallo di Francia, ha probabilmente troppa fiducia in se stesso, e questo lo porterà al
disastro di Torino. Dopo la rovinosa sconfitta che i Francesi subiranno in questa occasione, la
reputazione di La Feuilliade subirà un duro colpo, e gli si attribuiranno molte cattive qualità (ignorante,
incapace, troppo ambizioso, raccomandato, ecc…). In realtà La Feuillade non era peggio di tanti altri
generali francesi, ma a Torino si troverà davanti a un compito molto difficile: per avere successo
sarebbe stato necessario un uomo davvero geniale, e sino a questo punto La Feuillade non arrivava.
Per non essere riuscito a prendere Torino, La Feuillade cadrà in disgrazia presso Luigi XIV, ma dopo la
morte del Re riuscirà comunque a diventare maresciallo di Francia, nel 1724.
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Anche Vittorio Amedeo e lo Starhemberg, con poche forze a disposizione, impostano la loro strategia:
- stare sulla difensiva in Piemonte, disturbando per quanto possibile l’avversario con scorrerie di
cavalleria;
- scompigliare i piani del nemico con una spedizione in Savoia per soccorrere Montmelian, che è sotto
assedio dalla fine dell’anno precedente.
A fine marzo due corpi di spedizione si dirigono in Savoia:
- Uno attraverso il Moncenisio, comandato dal generale Renato de Blagnac, con il barone di St. Remy
Pallavicini. Di passaggio in val di Susa attaccano anche Chiomonte, avamposto francese al confine.
- Uno attraverso il Piccolo San Bernardo, comandato dal generale imperiale Schulemberg.
Le truppe sabaude e imperiali raggiungono Montmelian e la liberano dall’assedio, poi tentano di
liberare Chambery. La forte reazione francese, da parte delle truppe guidate da La Feulliade
(comprendenti anche quelle assegnate per la val di Susa al Tessè, momentaneamente ammalato) blocca
la spedizione sabauda e costringe tutti a rientrare in Italia, a fine aprile. Montmelian è stata rifornita, ma
si troverà presto di nuovo sotto assedio.
Unico risultato raggiunto dai Sabaudi, a parte il rifornimento di Montmelian che così terrà occupate
ancora per un poco truppe francesi, è il rallentamento delle operazioni contro Nizza e le valli di Aosta e
di Susa. Sabaudi e Imperiali hanno avuto circa 1000 caduti.
Vittorio Amedeo e lo Starhemberg concentrano nelle piazzeforti di Crescentino-Verrua e di Vercelli
(seconda città del Ducato) circa 20000 uomini.
Il 26 aprile arriva a Crescentino anche Vittorio Amedeo, rimasto sino a quel momento a Torino. Prima
di partire ha presenziato a tutte le funzioni religiose delle settimana santa, anche per cementare il suo
rapporto con i sudditi. Rimarrà al campo circa undici mesi.
Siamo alla fine di Aprile, 35000 Francesi sono vicino a Casale pronti a muoversi contro le truppe del
Duca, altrettanti uomini conta l’esercito di La Feuillade in Delfinato.
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La fortezza di Montmelian in una stampa dell’epoca
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La fortezza di Montmelian in un plastico che fa parte della collezione del Musée des Plan-Reliefs,
all’Hôtel des Invalides di Parigi.
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I Francesi si muovono verso la fine di maggio e la prima città sotto attacco è Susa, con le forze
comandate dal La Feulliade (Tessè è sempre ammalato).
Susa era difesa dal forte di S. Maria, quello stesso che nel 1691 non aveva resistito granché a Catinat.
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Il comandante del Forte è Giuseppe Bernardi, che ha ricevuto da Duca l’ordine di resistere il più
possibile.
I Francesi occupano in breve tempo la città di Susa, che è davvero poco difendibile, poi assediano il
forte di S. Maria.
Truppe sabaude mandate dal Duca cercano di portare aiuto a Susa, ma sono respinte dai Francesi e
devono tornare ad Avigliana.
Il forte resiste dal 25 maggio al 12 giugno (meno di 20 giorni), poi il comandante chiede
inaspettatamente di capitolare.
In base agli accordi di resa che sono stabiliti, la guarnigione del forte può uscire libera e dirigersi verso
Torino. Vittorio Amedeo indignato per la poca resistenza manda sotto inchiesta il Bernardi: il
comandante sarà addirittura condannato a morte. Bernardi sarà poi graziato dal Duca, ma solo
all’ultimo minuto, quando è già giunto sul patibolo.
La Feulliade occupa poi Avigliana e Pinerolo. Cerca anche di occupare le valli Valdesi, ma ne è
respinto. Solo nella valle di S. Martino (la valle che sbocca nella valle Chisone presso Pinerolo) riesce
ad ottenere dagli abitanti la formazione di un repubblica filofrancese.
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A giugno si muovono anche le truppe del Vendome e lo fanno attaccando Vercelli, secondo i piani di
Luigi XIV, che prima di correre verso Torino vuole:
- liberare la strade per la valle d’Aosta;
- occupare una zona con buona possibilità di rifornimento.
Il Vendome deve accettare, ma non è d’accordo: preferirebbe attaccare subito Verrua, per non perdere
tempo nella strada verso Torino.
Il 5 giugno inizia l’assedio di Vercelli.
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Vercelli è difesa da robusti bastioni e da una cittadella; la piazzaforte è presidiata e da ben 6000 uomini,
con 72 cannoni e 5 mortai.
Il comandante è il Desays, personaggio del quale si già parlato descrivendo la Guerra del Sale e di
origini francesi. Desays ha l’ordine di resistere quanto possibile: l’unica strategia del Duca in questo
momento è quella di tenere i Francesi lontano da Torino il più a lungo possibile.
Gli attaccanti francesi hanno circa 20000 uomini e discrete artiglierie. Cominciano un assedio regolare,
scavando trincee.
Lo scavo delle trincee viene fatto eseguire dai Francesi alle popolazioni locali, usando la forza: gli
scavatori sono fatti lavorare legati a due a due perché non possano scappare.
Attaccanti e difensori lavorano anche con la guerra di mina, quella che vedremo vicino a Torino; il
terreno semi-paludoso la rende qui poco efficiente.
Vittorio Amedeo resta chiuso in Crescentino: se accorresse a Vercelli sarebbe probabilmente
sopraffatto, e soprattutto sarebbe costretto a sguarnire Verrua, che potrebbe essere presa dal nemico.
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Il Desays non sa organizzare bene la difesa, in particolare non fa quello che dovrebbe fare il
comandante di una piazzaforte assediate e presidiata truppe più numerose di quelle occorrenti alla
semplice difesa delle mura: lavorare con sortite che scompiglino i lavori del nemico e lo demoralizzino.
Tenere troppe truppe ferme nella piazza serve solo a consumare viveri.
È organizzata una sola sortita, con lo scopo di deviare il Sesia e allagare le trincee nemiche; il risultato
è però deludente. I Francesi aprono qualche piccola breccia e per di più si diffonde un’epidemia di
febbri tra i soldati; anche il Desays cade ammalato.
Il 20 luglio il comandante chiede la capitolazione, anche se molti ufficiali vorrebbero ancora resistere:
la piazzaforte potrebbe tenere probabilmente ancora per un mese (l'assedio dura da un mese e mezzo).
Il Desays ha chiesto di poter uscire dalla piazzaforte libero e con l’onore delle armi. Il Vendome non ha
problemi ad accettare che la guarnigione esca sfilando con le armi alla mano, ma si rifiuta di lasciarla
andare libera. Questa concessione si può fare ai pochi difensori estremi di una fortezza, oppure in
presenza di un nemico che altrimenti sarebbe ben determinato a resistere, ma lasciare andare 5000
nemici, quando in fondo si capisce che il comandante ha già deciso di arrendersi non sarebbe un’azione
saggia. Il Desays accetta le condizioni del Vendome e il 24 luglio la guarnigione esce sfilando, salutata
dai Francesi: subito dopo depone le armi ed è fatta prigioniera.
Anche in questo caso l’indignazione di Vittorio Amedeo contro il Desays è grande: lo fa incriminare,
ma poi non dà seguito alla cosa. Il generale piemontese Solaro della Margarita, che ritroveremo alla
difesa di Torino e che già aveva disapprovato l’aver affidato la difesa di Vercelli al Desays, così
commenta in una lettera: “Il buon governatore non si è fatto seppellire sotto le macerie come aveva più
volte promesso, ma, prigioniero sulla parola, se ne è andato con la giovane moglie a Gattinara, dove
sappiamo esserci anche un vino buono.”
Luigi XIV inizia subito a far demolire le fortificazioni di Vercelli. L’idea di far demolire le fortezze
conquistate sarà una regola che Luigi XIV seguirà per tutte le fortezze del Piemonte (escluse quelle
poche che servono per sistemarci le sue truppe); avrebbe certo voluto farlo anche per Torino.
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A metà dal 1704 le cose vanno piuttosto male per il Ducato; due delle “porte” del territorio sono cadute
resistendo meno del previsto: Susa combattendo per meno di un mese e Vercelli resistendo poco più di
un mese. Due fatti vengono però a rincuorare il Duca.
Il 13 agosto, in Baviera sulle sponde del Danubio (a Höchstädt) il duca di Marlborough e il principeEugenio sbaragliano Francesi e Bavaresi guidati dal maresciallo Tallard. Riparleremo di questa
battaglia (battaglia di Bleinheim) quando esamineremo l’andamento della guerra in Europa in questidue anni. Per ora limitiamoci a dire che questa battaglia scaccia i Francesi dalla Baviera e elimina il
pericolo di una loro incursione verso l’Austria. Si rendono perciò libere truppe imperiali da avviare in
Italia.
Il 4 agosto è firmato il trattato di alleanza diretto tra Ducato di Savoia e Inghilterra. E’ un fatto
importante per Vittorio Amedeo perché:
- assicura direttamente il contributo economico al Ducato per la prosecuzione della guerra;
- garantisce ulteriormente le promesse territoriali che l’Imperatore ha fatto al Duca di Savoia e che
l’Imperatore avrebbe sempre potuto rimangiarsi;
- una delle idee degli Inglesi era l’invasione della Francia fatta a partire dal Sud (territorio con simpatie
ugonotte); questo rende il Piemonte strategicamente importante. Un soccorso al Ducato sarebbe
potuto allora venire non sono dall’Imperatore, ma anche da truppe inglesi. Non sarà così, ma
l’Inghilterra contribuirà in modo determinante al finanziamento del futuro corpo di spedizione
imperiale che salverà Torino. Nel contesto di questo trattato Vittorio Amedeo si impegna ad
acquistare stoffe dall’Inghilterra e prende impegni nei confronti dei Valdesi.
Il 25 giugno Maria Adelaide (19 anni) dà alla luce il primo figlio: il duca di Bretagna; è una maternità
relativamente tardiva (lei è nata che Anna aveva 16 anni) dovuto al tardo sviluppo di Maria Adelaide,
che ha fatto temere fosse inadatta alla maternità. Purtroppo perderà il figlio l’anno successivo, senza
avergli neanche dato un nome (il nome veniva dato al battesimo, dopo circa un anno, mentre il titolo
nobiliare era dato subito).
Queste notizie arrivano alla Duchessa Anna, sempre in contatto con le figlie attraverso corrieri da
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Parigi e Madrid (via Parigi). Sono lettere dove si parla prevalentemente di piccole cose e non di guerra.
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Il 30 agosto inizia l’assedio di Ivrea, porta della valle di Aosta. La piazzaforte è relativamente debole
ed è comandata da un generale imperiale, il barone Kriechbaum (il governatore è il Perrone di San.
Martino, militarmente sottoposto al primo).
Incontriamo il primo caso di piazzaforte affidata a un generale dell’Imperatore, che ritroveremo nel
seguito. La cosa provoca qualche malumore tra i militari sabaudi: sembra che il Duca non si fidi di loro;
questo può essere in parte vero, ma la scelta di uomini dell’Imperatore è suggerita a Vittorio Amedeo
da due altri motivi:
- rassicurare l’Imperatore sul fatto che il Duca non stia pensando ad un ulteriore voltafaccia, che lo
porti ad accettare un altro “perdono” francese;
- impegnare maggiormente gli Imperiali nella difesa delle piazzeforti, perché comandate da uno dei
loro.
Inoltre Vittorio Amedeo saprà sempre scegliere tra gli imperiali ottimi comandanti.
Nonostante la debolezza Ivrea riesce a resistere un mese, poi il 29 di settembre si arrende, alle stesse
condizioni di Vercelli. Il Duca questa volta non se la prende con il comandante: un poco per non
offendere l’Imperatore, un poco perché ha effettivamente fatto quello che poteva (ha resistito un mese).
Invia persino al comandante prigioniero del denaro perché possa alleviare la prigionia ai suoi uomini.
Nel corso del mese di lotta intorno ad Ivrea le truppe sabaude e imperiali fanno un tentativo, senza
successo, di riprendersi Vercelli.
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Eliminata Ivrea tocca ora al forte di Bard: i Francesi vogliono per avere libero il passaggio dalla valle di
Aosta per collegarsi con la Savoia attraverso il Piccolo S. Bernardo.
Il forte di Bard era più piccolo di quello attuale (che è ottocentesco) ma, situato in una posizione
elevata, era considerato ben difendibile, tanto che nel forte molte famiglie del paese avevano portato i
loro averi.
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La fortezza di Bard è investita dal basso dall’esercito del Vendome proveniente da Ivrea, e dall’alto da
un esercito guidato dal duca de La Feuillade, che ha passato il Piccolo San. Bernardo, invano
contrastato presso La Thuile dalle modeste truppe sabaude del barone St. Remy Pallavicini.
Il forte di Bard è difeso dal reggimento di mercenari svizzeri del colonnello Reding: un uomo che a su
tempo aveva già combattuto per la Francia. A queste truppe si uniscono anche quelle del St. Remy.
Il giorno 3 ottobre il forte è attaccato dalle due parti. Mentre i cannoni pesanti sono ancora in via di
allestimento, il Reding si incontra con il suo ex collega Vendome e decide di arrendersi; il 7 ottobre
consegna il forte ai Francesi, intatto e con tutto il suo contenuto (il forte ha resistito solo quattro giorni).
Il Reding passerà poi al servizio della Francia. Sarà ovviamente considerato da tutti un infame traditore.
Luigi Gramegna nel suo romanzo Dragoni Azzurri, che narra l’assedio di Torino caricandolo di episodi
di fantasia, fa del Reding il “cattivo” della storia (facendolo persino venire a tramare aTorino). In realtà
il pessimo comportamento del Reding era anche dovuto a vecchi motivi di risentimento contro il Duca,
in parte giustificati, legati ad una fallita iniziativa per stabilire una colonia svizzera nel Vercellese.
La Feuillade torna in Delfinato, lasciando qualche truppa in rinforzo al Vendome.
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E’ ormai ottobre, e il Vendome, anziché prepararsi per l’inverno, decide di attaccare la piazzaforte di
Verrua. Si sente forte e pensa di poter prendere anche quella in circa un mese, così da poter poi correre
a Torino all’inizio dell’anno successivo, prima che il Piemonte possa ricevere rinforzi: per il momento
gli Imperiali sono troppo occupati in Germania presso Landau per poter soccorrere il Piemonte.
Il comandante della fortezza di Verrua è il conte Pierre Lucas de La Roche d’Allery, un ottimo generale
savoiardo che aveva già combattuto sotto le mura di Vienna nel 1683 e che ritroveremo poi a Torino (è
che infine sarà sepolto a Torino, nella chiesa di S. Barbara).
A Crescentino ci sono Vittorio Amedeo e lo Starhemberg; il campo di Garbignano è comandato dal
generale imperiale Virico Daun, che ritroveremo anche lui a Torino.
Verrua si rivelerà un osso duro, che farà perdere ai Francesi tempo e risorse; questo li porterà poi a non
riuscire a prendere Torino. L’assedio inizia il 14 ottobre e si mostra subito per i Francesi più lento e
difficile di quanto non si aspettassero, anche perché c’è da eliminare il campo trincerato di
Garbignano, prima di poter attaccare la fortezza vera e propria.
Il novembre Vittorio Amedeo fa però una mossa che si rivelerà poi errata: saputo di un progettato
attacco in forze a Crescentino, per meglio difendere la città vi concentra le truppe e fa abbandonare e
distruggere il campo di Garbignano.
L’attacco non vi sarà per il sopraggiungere del maltempo e della piena del Po, ma Garbignano, la cui
difesa ere costata circa 800 uomini, è ormai abbandonata al nemico, che è così ormai sotto le mura della
fortezza.
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L’inverno non ferma la guerra.
Mentre la cavalleria francese fa scorrerie di in Monferrato, continua il bombardamento di Verrua, con
l’apertura di alcune brecce (vi sono batterie da 29 pezzi messe davanti ai bastioni) e il lavoro dei
minatori di ambedue le parti.
La pioggia allaga sovente le trincee, aiutando i difensori, mentre la nebbia aiuta gli attaccanti.
Nel corso di un episodio di lotta presso il fossato, è ferito a morte e preso prigioniero il colonnello
Renato de Blagnac, che l’anno prima era entrato in Montmelian per soccorrerla.
Il giorno di Natale del 1704, sabaudi e imperiali organizzano una grande sortita di sorpresa per
distruggere le trincee e le batterie che i Francesi hanno installato nell’ex campo di Garbignano.
Il Duca e lo Starhemberg sono sui bastioni ad osservare.
La sorpresa riesce; le opere francesi sono in parte devastate, ma poi la reazione in massa dei francesi
costringe gli attaccanti a ritirarsi.
Purtroppo i danni fatti si rivelano meno gravi del previsto, in particolare l’inchiodatura dei cannoni non
li ferma che per pochi giorni (chiodi troppo piccoli per i foconi).
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All’inizio dell’anno 1705 cominciano a manifestarsi contrasti tra il Duca lo Starhemberg:
- lo Starhemberg non si fida pienamente di Vittorio Amedeo;
- inoltre soffre a dover fare la parte del perdente, circondato dai Francesi e con poche risorse, meno di
5000 uomini, mentre altri generali imperiali sono vittoriosi in patria.
Il Principe Eugenio vorrebbe sostituirlo con un altro generale, ma per momento non può farlo.
Il 7 gennaio il comandante della fortezza, De la Roche D’Allery è ferito al braccio da un colpo di
carabina, mentre sta osservando il campo di battaglia dai bastioni della fortezza; è sostituito, prima da
St. Remy Pallavicini, poi dal barone colonnello Cristian Ernest von Fresen, delle truppe imperiali.
All’inizio di febbraio, mentre forti nevicate ostacolano gli attaccanti, arriva a Verrua l’ingegnere
militare Louis Laparà de Fieux. Nel viaggio verso Verrua la cavalleria imperiale gli porta via i bagagli.
Laparà de Fieux era nato nel 1652, aveva già partecipato alla guerra contro l’Olanda e alle campagne
del Catinat in Piemonte nel corso della guerra dei nove anni. Nel 1697 aveva diretto come ingegnere
l’assedio di Barcellona, che era stata presa. Ingegnere di grande abilità, era anche molto coraggioso e
amava partecipare direttamente ai combattimenti, esponendosi più del dovuto. Aveva già ricevute
numerose ferite; l’ultima, mortale, la riceverà nel 1706 assediando di nuovo Barcellona. Non era molto
amato dal Vauban, che riteneva troppo dispendiosi in termini di uomini i suoi metodi. (Avrebbe dovuto
dirigere l'assedio di Torino, ma morirà prima).
Laparà capisce che per far cadere la fortezza è necessario tagliare il cordone che la lega a Crescentino,
così da toglierle i rifornimenti e prenderla per fame. È abbastanza strano che nessuno ci avesse pensato
prima. Probabilmente non ci aveva pensato neanche il Duca. Quando nella notte del 1° marzo il Laparà
scaglia il suo attacco al forte sull’isola coglie di sorpresa i difensori: duecento di essi sono catturati e il
forte occupato. Un tentativo di riprenderlo fallisce per la copertura di artiglieria subito predisposta dai
Francesi sulla riva destra del fiume.
Il Duca, furibondo, giunge sino a ordinare la decimazione (o meglio l’impiccagione di uno su dodici)
dei sopravvissuti, accusati di essersi arresi troppo facilmente.
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La fortezza si trova ben presto a corto di viveri e munizioni (il che conferma che il Duca non ci aveva
pensato). Le comunicazioni con Crescentino avvengono con biglietti posti in palle di cannone cave.
Il 4 marzo il Vendome invita il Von Fresen a mandagli un parlamentare che conoscesse il francese per
discutere della resa della fortezza. Von Fresen risponde che nella fortezza nessuno parla francese, e
comunica che le trattative possono essere fatte solo con il Duca, a Crescentino.
Il 13 marzo il Duca e lo Starhemberg giudicano pericoloso restare a Crescentino: il nemico ha iniziato
ad attrezzarsi per il passaggio in massa del Po ed essi temono di rimanere intrappolati in un assedio.
Il giorno dopo, l’armata sabauda e imperiale, composta da qualche migliaia di uomini, abbandona
Crescentino. Un ultimo messaggio al Von Fresen gli chiede di resistere sino al 10 aprile: circa un mese.
Il Duca con i suoi uomini va a rinforzare linea Chivasso-Castagneto, altro catenaccio sul Po, e
soprattutto ordina di accelerare le migliorie alle difese di Torino.
Il 6 aprile, con i viveri quasi alla fine, Von Fresen annuncia di voler capitolare, chiedendo di uscire
libero dalla fortezza con i suoi uomini: Vendome risponde di accettare solo una resa senza condizioni;
saputo inoltre che è intenzione dei difensori distruggere la fortezza prima della resa, minaccia di
ucciderli tutti se ciò dovesse avvenire.
Un’ora prima dell’alba del giorno 8 aprile i difensori si ritirarono nel “Castello”, la parte più alta della
fortezza, e danno fuoco a tutte le mine predisposte: i bastioni della bella fortezza rovinano in macerie,
causando anche parecchi danni agli assedianti. La mattina del giorno dopo la guarnigione, circa 1200
uomini, esce dalla fortezza sfilando davanti al nemico e viene presa prigioniera.
Il Vendome “grazia” i difensori, affermando che l’ordine di Parigi era comunque quello di distruggere
la fortezza: i difensori non hanno quindi distrutto un bene del Re, ma hanno solo risparmiato a lui la
fatica di distruggere la fortezza.
Il costo della presa di Verrua per i Francesi è alta: 200000 palle, 50000 bombe, 6 generali, 500 ufficiali,
30 ingegneri, 12000 uomini, e soprattutto sei mesi di tempo.
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Mentre si lottava intorno a Verrua, La Feuillade ha attaccato Nizza.
La piazzaforte di Villefranche, con il porto, si arrende presto ai Francesi, mentre il castello di Nizza, al
comando di Carlo Maurizio Isnardi marchese di Caraglio, resisterà ancora per mesi, sino alla fine
dell’anno.
Bloccato il porto di Villefranche, e quindi esclusa la possibilità di un rifornimento inglese, i Francesi
non hanno fretta di prendere il castello di Nizza, e quindi la lotta si affievolisce; viene addirittura
concordato un patto, per cui i sabaudi evitano di bombardare la città di Nizza, dove si trovano i
Francesi, mentre i Francesi si impegnano a non bombardare il castello dalla città. Si evita così la
distruzione della città.
Il La Feulliade lasciata parte della truppa a completare l’assedio, abbandona la zona e si mette in
cammino per il Piemonte, per organizzare l’assedio di Torino.
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Il porto di Villefranche e la zona del castello di Nizza, come appaiono oggi.
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Presa Verrua, Vendome concede un periodo di riposo alle sue truppe, mentre prepara l’artiglieria per
attaccare Chivasso e Torino: ha ancora circa 30000 uomini.
Il punto di resistenza per la marcia verso Torino è ora il sistema Chivasso-Castagneto, che sbarra il Po.
Il 13 giugno, inizia l’attacco del Vendome a Chivasso. I Francesi cercano anche di interrompere il
ponte sul Po, per ripetere il gioco fatto a Crescentino, ma il colpo questa volta non riesce.
La conquista di Chivasso va per le lunghe, sia per la resistenza di Sabaudi e Imperiali, sia per il fatto
che Louis de Vendome si è spostato, con parte delle sue truppe, in Lombardia per appoggiare il fratello
Filippo (detto il Grande Priore) che deve contrastare Eugenio; quest'ultimo è tornato in Italia e si trova
in Lombardia. Il comando in Piemonte passa per il momento a La Feuillade.
La Feuillade, non riuscendo a conquistare Chivasso e Castagneto, attraversa l’Orco e si predispone a
circondare le due località, in modo da tagliare i loro collegamenti verso Torino.
Per non essere imbottigliati a Chivasso, Il 30 luglio Vittorio Amedeo e Starhemberg abbandonano la
città ai Francesi: li hanno comunque fermati per 40 giorni!
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L’assedio di Chivasso in un affresco dell’epoca, a Chivasso.
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Il aprile il Principe Eugenio riprende il comando dell’armata d’Italia, l’esigenza di un buon soccorso al
Piemonte e a Torino è importante per evitare la rovina dei Savoia.
A fine aprile, a Rovereto, passa in rassegna le sue truppe, che comprendono un contingente prussiano di
circa 10000 uomini, pagato dall’Inghilterra e comandato dal Principe Leopoldo di Anhalt. Scende poi
allo sbocco della valle in pianura.
Vittorio Amedeo informa Eugenio di avere, tra Ducali e Imperiali, solo più circa 10000 uomini, ma
non rinuncia a far compiere scorreria della cavalleria imperiale verso Milano, facendo molto bottino.
Eugenio procede verso Ovest, puntando al cuore della Lombardia, ma il 16 agosto 1705, a Cassano
d’Adda, si scontra con i Francesi dei due fratelli Vendome.
La battaglia, che avviene nel tentativo di passare l’Adda da parte di Eugenio, è lunga e sanguinosa.
Eugenio perde 4000 uomini ed è leggermente ferito; i Francesi hanno perdite ancora superiori.
Ciascuna delle due parti dice di avere vinto, ma lo sconfitto è sostanzialmente Eugenio, poiché questo
episodio ferma per quell’anno la sua avanzata. Eugenio è costretto ad un parziale ritirata e va a
sistemarsi a Gavardo, non lontano da Salò sul Garda: per il momento Torino non può essere soccorsa.
Vendome non se la sente di incalzarlo e si fortifica presso Cassano.
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Cassano è sull’Adda, emissario del lago di Como, circa a metà strada tra Milano e Bergamo.
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Ai primi di agosto del 1705 La Feuillade pone il suo campo a Venaria e si prepara ad assediare Torino,
come d’ordine del Re; l’armata franco-spagnola di circa 20000 uomini si sta portando presso la città.
Il 10 agosto i primi Francesi sono avvistati dalle mura di Torino e suscitano un grande timore.
Si predispone tutto quanto serve per un assedio, che sarà condotto secondo il piano studiato dal Laparà
de Fieux, con un attacco diretto alla cittadella. Il 15 aprile 1706 Laparà, nel corso dell'Assedio di
Barcellona, sarà ucciso da un colpo di fucile. Alla direzione dell’assedio di Torino sarà allora nominato
Rémy Tardiff, uomo meno abile, anche oerché ancora carente di esperienza.
Il grande Vauban, che era venuto a suo tempo a esaminare la zona, suggerisce invece un attacco dalla
collina, seguito da un altro nella zona di Vanchiglia. Non è però ascoltato da La Feuillade e Vendome.
L’attacco diretto alla cittadella è senz’altro più difficile, essendo la cittadella il punto più forte. Presenta
però alcuni punti positivi:
- va diretto all’obiettivo, cosa interessante se ci si sente molto forti;
- è condotto in una zona (attuale barriera di Francia) che permette un facile rifornimento dalla Francia;
- il terreno sembra leggermente elevato rispetto alla cittadella, il che può avvantaggiare le artiglierie;
- rispetto ad un attacco dalla collina evita di dover andare a conquistare fortificazioni arroccate in
collina, cosa che a Verrua e a Castagneto si è rivelata non semplice.
La Feuillade fa presente al Re la difficoltà di prendere Torino con le truppe che ha: forse è un
accorgimento per avere rinforzi, forse è davvero dubbioso si essere all’altezza di quel compito, anche
perché vede a Torino fervere lavori di miglioria alle fortificazioni.
Il Re di Francia ordina allora di sospendere l’assedio, in modo da poter impiegare parte delle truppe per
prendere finalmente Nizza, e contro gli imperiali in Lombardia. L’assedio è rimandato alla primavera.
La Feuillade e il Vendome protestano e chiedono di continuare. Vendome scrive: « si Votre Majesté
manque à présent l’occasion de prendre Turin, elle ne la retrouvera jamais »; e poi: « que Votre
Majesté me fasse couper le cou si je ne prends Turin contre le règles ». Ma il Re è irremovibile.
Il 13 ottobre l’assedio è sospeso; le trincee sono colmate e La Feulliade si ritira per l’inverno a Venaria.
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Alleggerita la situazione presso Torino, Vittorio Amedeo e lo Starhemberg vanno a liberare Asti
(occupata dai Francesi dal novembre 1703) che sarà poi invano attaccata poco dopo dai Francesi; questi
riusciranno a prenderla solo nel luglio del 1706.
Il 16 novembre lo Starhemberg è richiamato a Vienna, secondo i suoi desideri, e sostituito da Virico
Daun (in tedesco: Wierich, 1669-1741): ha 36 anni, tre meno del Duca, ed è uomo abile e di ferrea
onestà, che agirà nei mesi seguenti in ottimo accordo con il Duca.
Alle truppe imperiali giunge qualche rinforzo, inviato alla spicciolata da Eugenio.
Il 17 dicembre 1705 Montmelian si arrende (dopo quasi due anni di assedio, sia pur con l’interruzione
del marzo 1704). Il governatore Carlo Benso e la guarnigione escono liberi, con due cannoni, e possono
riunirsi alle forze ducali.
Luigi XIV fa distruggere completamente la fortezza di Montmelian, che non risorgerà più come prima.
Siamo alla fine del 1705 e a Torino fervono i lavori per potenziare le difese e le scorte in vista
dell’assedio.
Il 1° dicembre 1705, la duchessa Anna dà alla luce un maschio, che ha il titolo di Duca del Chiablese. Il
bambino sopravvive solo sino al 20 dicembre; è l’ultimo figlio di Anna, che ora ha 36 anni.
Anno 3 Lez 7 35
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Nel dicembre il Daun con 3500 soldati organizza un spedizione per soccorrere Nizza: giunge oltre il
colle di Tenda (a Saorgio) e viene a sapere che Nizza si è appena arresa. Il 6 gennaio il presidio
comandato dal marchese di Caraglio è uscito libero ed è tornato in Piemonte con bagagli e armi.
Entrambe le fortezze appena conquistate, Montmelian e Nizza, sono distrutte dai Francesi. (Il castello
di Nizza era già stato danneggiato nella guerra precedente; nel suo recinto si trovava anche la
Cattedrale, con la tomba della duchessa Beatrice, madre di Emanuele Filiberto).
Il generale francese che ha preso il castello di Nizza è il duca di Berwick James FitzJames Stuart (1670-
1734), figlio naturale di Giacomo II d’Inghilterra (allora duca di York) e della sua amante Arabella
Churchill, sorella di John. Nato in Francia è divenuto un importante generale dell’armata francese, e lo
vedremo più volte all'opera in questa guerra. Morirà nel 1734 nell’assedio di Philippsburg, durante la
Guerra di Successione Polacca.
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Tornano leggermente indietro nel tempo e vediamo quali cose sono accadute in Europa nel 1704-1705.
Nel marzo 1704 la flotta inglese, comandata da Sir George Rooke, porta a Lisbona Carlo d’Asburgo,
figlio di Leopoldo I, proclamato Carlo III di Spagna (ricordiamo che il Portogallo è passata dalla parte
di Impero e Inghilterra nel maggio del 1703).
Rinforzata da altre navi, questa flotta va poi ad attaccare Gibilterra, difesa da meno di 300 uomini e
con la squadra navale francese lontana. La rocca resiste tre giorni e cade il 14 agosto 1704. Gli inglesi
la occupano nel nome di Carlo III, e non la restituiranno mai più.
Poco dopo, il 24 agosto, vi è un importante scontro navale presso Malaga tra le flotte inglese e francese
(ciascuna con una cinquantina di navi). Il vantaggio della battaglia è essenzialmente francese; i
Francesi non insistono nel cercare la distruzione della flotta britannica e la cosa si chiude così quasi alla
pari. Perdite: 3000 inglesi, 1700 francesi.
Nell’ottobre del 1705 una squadra navale inglese, al comando di Lord Peterborough e che porta anche
Carlo III, occupa Barcellona dopo una ventina di giorni di assedio. Questa occupazione induce la
Catalogna, l’Aragona e Valencia a ribellarsi a Filippo V e a riconoscere Carlo III come legittimo re di
Spagna; questi pone la nuova capitale proprio a Barcellona, che verrà poi messa sotto assedio dai
Franco-Spagnoli desiderosi si riconquistarla.
Anno 3 Lez 7 37
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Nell’estate 1704 gli l'esercito inglese, comandato da Churchill duca di Marlborough, e quello imperiale,
comandato dal principe Eugenio, si uniscono per far fronte alla minaccia di una marcia su Vienna
dell’esercito franco-bavarese, comandato dal maresciallo Tallard e dall’elettore Massimiliano
Emanuele.
I due eserciti si scontrano il 13 agosto a Höchstäd, sul Danubio, in Baviera. E’ più o meno lo stessoluogo dove circa un anno prima i Francesi comandati dal maresciallo Villars avevano vinto. Questa
volta i Francesi sono pesantemente sconfitti, soprattutto per merito del duca di Marlborough
La battaglia di Höchstäd, nella quale si scontrano circa 50000 uomini per parte, è molto cruenta e haimportante risultati.
I Franco-Bavaresi perdono, tra morti, feriti e sbandati, più di 35000 uomini (praticamente hanno
l’esercito distrutto) ; i loro avversari poco più di 10000.
Il maresciallo Tallard è fatto prigioniero; starà in Inghilterra libero sulla parola e sarà liberato solo nel
1711. Nella battaglia muore il conte Manfredo Scaglia di Verrua, marito separato della ex preferita di
Vittorio Amedo, passato al servizio della Francia (la ex moglie può uscire dal convento).
I Francesi, considerati sino a quel momento quasi invincibili hanno subito una rovinosa sconfitta. La
Baviera è privata di ogni difesa, l’Austria è salva.
Con questa battaglia la Francia e suoi alleati sono cacciati dalla Baviera e finiscono di minacciare da
quella parte l’Impero. Massimiliano Emanuele è cacciato dalla sua casa ed è costretto ad andarsene in
esilio in terra francese; paga così la sua ribellione all’Impero. Solo nel 1715 potrà tornare a casa. La
stessa fine che i Francesi avrebbero voluto far fare a Vittorio Amedeo.
Gli inglesi chiamano questa la battaglia di Blenheim, storpiatura di un villaggio presso Höchstädt.
Anno 3 Lez 7 38
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Dopo questa vittoria il nome Blenheim diventa assai popolare in Inghilterra:
- John Churchill duca di Marlborough dà questo nome al suo castello in Inghilterra: oggi ha ancora lo
stesso nome e appartiene ancora ai duchi di Marlborough (vi nacque il celebre Winston Churchill).
- Una città della Nuova Zelanda, capitale della Contea di Marlborough, ha preso il nome di Blenheim
- Una razza di cani (della famiglia degli Spaniel) ha nome Blenheim (probabilmente perché selezionata
nei canili dell’omonimo castello)
- Un bombardiere leggero della fabbrica Bristol, molto usato nella seconda guerra mondiale, ha nome
Blenheim
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Il 5 maggio 1705 muore l'imperatore Leopoldo I e gli succede il figlio primogenito Giuseppe I.
L'avvicendamento della corona imperiale non porta alcun mutamento nella strategia perseguita fino a
quel momento da Leopoldo.
Giuseppe conferma la fiducia che il padre aveva nei confronti del principe Eugenio.
Anno 3 Lez 7 40