anno lxxiii n. 4 aprile 2020 rivista istituzionale dell

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C IL ARABINIERE Rivista Istituzionale dell’Arma dei Carabinieri ANNO LXXIII N. 4 APRILE 2020 ENTE EDITORIALE PER L’ARMA DEI CARABINIERI € 2,50 - In caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Roma Romanina per la restituzione al mittente previo pagamento resi BEETHOVEN, L’IDEA IN MUSICA

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CIL ARABINIERERivista Istituzionale dell’Arma dei CarabinieriANNO LXXIII N. 4 APRILE 2020

ENTE EDITORIALEPER L’ARMA DEICARABINIERI

€ 2,

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BEETHOVEN, L’IDEA IN MUSICA

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IL CARABINIERE - APRILE - 2020 5

Carissimi Lettori,questo numero della Rivista porterà in sé l’istantanea di un eventostorico, epocale, che ha coinvolto l’umanità intera. L’epidemia di Co-vid19 che sul finire dello scorso anno aveva contagiato la città diWuhan in Cina e che poi si è estesa a macchia d’olio dall’Europa agliStati Uniti, dall’Australia all’Asia, divenendo pandemia, ha precipitato

la Terra in una crisi sanitaria ed economica paragonabile soltanto all’ultimo conflitto mondiale. Gliabitanti dell’intero Pianeta stanno vivendo tutti, nessuno escluso, un’esperienza che, ci auguriamopresto, ci lasceremo alle spalle, ma che sicuramente non verrà più dimenticata: mesi e mesi in cui siè combattuto giorno dopo giorno, ora dopo ora, contro un nemico invisibile e sconosciuto. Incampo sono scese tante forze, a cominciare dai medici e dal personale sanitario, ma anche Protezionecivile e Forze dell’Ordine con i nostri Carabinieri, di cui purtroppo già contiamo le vittime. Uominie donne che, con la consueta abnegazione, si sono messi al servizio della comunità per assicurare lemisure disposte dalle Autorità e far sì che il rischio del contagio si diffonda il meno possibile, per-mettendo così al Servizio Sanitario Nazionale di non collassare.Nel momento in cui scriviamo la situazione, inutile negarcelo, è ancora drammatica, ma siamoconvinti che il nostro Paese troverà la forza di reagire e di risorgere, soprattutto se tutti si atterrannoa quelle indicazioni che certamente appaiono restrittive, ma sono essenziali per proteggere se stessi ele categorie deboli, i nostri anziani in primo luogo e le persone affette da gravi patologie, chesappiamo essere i bersagli principali del micidiale virus.Tra le prime e fondamentali indicazioni emanate c’è quella di “restare in casa”. E dentro le mura do-mestiche si possono riscoprire cose molto spesso trascurate per mancanza di tempo: come adesempio la lettura. Ci auguriamo dunque che anche sfogliare le pagine di questo numero dellarivista, in un frangente così drammatico, possa aiutarvi a passare qualche momento di serenità. Troverete ad esempio un suggestivo articolo su Ludwig van Beethoven, di cui si celebrano i 250anni dalla nascita, un genio della musica sinfonica che, colpito dalla sordità quando aveva solo 27anni, trascorse gran parte della vita senza poter ascoltare i suoi capolavori.Capolavori – anche se qualcuno non era d’accordo, definendolo “il poeta da cioccolatini” – sono iversi scritti da uno tra i più amati scrittori del Novecento: Jacques Prévert. L’amore, secondo lui, erail più libero e spontaneo dei sentimenti, quel supremo stato d’animo, quella gioia che coincide conla rinascita, che ha il potere di salvare il mondo. Rileggendo le sue bellissime poesie, soprattutto inun momento come questo, quanti si trovano lontani dagli affetti più cari potranno accorciare le di-stanze e trovare un po’ di conforto. Lontananze e distanze non solo tra le persone, ma anche dal posto in cui milioni di esse trascorronogran parte della loro vita. Parliamo ovviamente del luogo di lavoro, che proprio per evitare il più pos-sibile il contagio in molti non frequentano più. A tal proposito viene incoraggiato lo smart working,quel lavoro “intelligente” che si può svolgere ovunque, anche a casa. Un approfondito articolo ce neillustra i molti aspetti.Concludiamo celebrando un anniversario a noi particolarmente caro: la nascita, cento anni orsono, della Scuola Allievi Sottufficiali Carabinieri di Firenze. Dal lontano 1920 vi sono stateaddestrate generazioni di Comandanti di Stazione, colonna portante dell’Arma. Figure che, anchein questo difficile frangente, sapranno rassicurare, aiutare e proteggere, ne sono certo, le comunitàa loro affidate. Gen. C.A. Teo Luzi

IN PRIMO PIANO

Editoriale

005_editoriale_car04 24/03/20 17.28 Pagina 5

8 Posta in arrivo

10 L’Osservatoriodi F. de Bortoli

12 Fatti & Personedi M. Valeri

14 Scenaridi A. Margelletti

16 Dipende tutto da noidi A. Barbano

18 Quel che ha visto Lilibethdi A. Angela

22 Musica come idea del mondodi A. Onorati

26 Dormire, forse sognaredi M. Mataluno

30 Musei e Campanilidi A. Paolucci

34 L’amore salveràil mondodi C. Colombera

38 Tempi da riscopriredi M. Conti

42 Bulli con le alidi G. Parisi

46 “Houston, abbiamo un problema”di P. Perruccio

92 Elogio del tubinodi M. Lamesta

94 Inviata speciale per Viaggi specialidi L. Colò

96 L’altra metà del coraggiodi N. D’Amico

102 Settima Artedi G. Barlozzetti

104 Hobby

106 Spiritualitàdi V. Paglia

108 Fuori Campodi G.P. Galeazzi

110 QuesitiAmministratividi D. Benedetti

112 Le Vostre Domande

116 In punta di pennadi F. Sabatini

118 Le Rubriche

126 La salute vien mangiandodi R. Lambertuccie F. Campoli

50 Inviato speciale per Reparti specialidi V. Staffelli

54 La culla dei Maresciallidi A. Della Nebbia

60 L’estremo sacrificiodi M. Patricelli

62 Eventi

66 Zona Rossadi A. Forte

68 Cronache dal territorio

70 L’Angolo della MemoriaENRICO BARISONEdi G. Barbonetti

72 La Stazionedi N. Archilei

74 Rosso & Blu

78 Sport

80 Carabinieri nelle “nuvole”di B. Burgio

87 La Storiadi L. Berni

88 Borse di Studio

90 La Bacheca

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80

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Pagine dell’Arma

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10 IL CARABINIERE - APRILE - 2020

Nel giornale dell’Arma parliamo di... Arma. Nel senso diGennaro, il Comandante della Diamond Princess, la naveda crociera dell’americana Carnival rimasta bloccata persettimane nel porto giapponese di Yokohama con più di

700 casi di contagio da Coronavirus. Cinque, purtroppo, i deceduti. Un“lazzaretto” sull’acqua con più di 3.700 passeggeri (obbligati a restare nelleloro cabine e a provarsi la febbre ogni quattro ore). Una vacanza trasformatasidi colpo in un’interminabile quarantena. L’ultimo a scendere, quando tuttoè finito, è stato lui, il Comandante Gennaro Arma, napoletano. Come vuolela legge del mare. Ha lasciato la sua nave con la mascherina e il doppiopettoin divisa – un’eleganza inappuntabile e non necessaria per il reduce da uninferno viaggiante, per il sopravvissuto a un incubo – a passo svelto. Quasinon volesse nemmeno essere fotografato. Quell’immagine è un balsamonazionale. Riscatta la pessima figura del suo collega – peraltro della penisolasorrentina come lui – che dalla Costa Concordia, finita sugli scogli del Giglio,non scese per ultimo. Una vergogna nazionale. Arma si è tenuto distante da telecamere e taccuini. La moglie Mariana haparlato per lui. «Non è un eroe, ha fatto solo il suo mestiere». Il ComandanteArma ha ringraziato i suoi colleghi definendoli i suoi «gladiatori». The bravecaptain, il capitano impavido. I passeggeri lo hanno ringraziato non solo perla competenza e la freddezza nell’affrontare un’emergenza sanitaria ineditama anche per l’umanità, la disponibilità e la simpatia. Ha svolto al meglioun ruolo di leadership che va molto al di là delle prerogative del perfettoComandante. È stato – come riferiscono molti testimoni – anche unintrattenitore, uno psicologo, un amico. Ha confortato i passeggeri e lepersone dell’equipaggio. Non li ha solo guidati, li ha protetti. Si è preoccupatoanche del loro umore. Un’Italia che affronta il nemico invisibile del contagioringrazia il Capitano Arma per la sua serietà e per la sua umanità. I buoniesempi non fanno, purtroppo, il giro del mondo come quelli negativi. Manoi, guardando quella foto di lui che lascia per ultimo la nave, ci sentiamodecisamente meglio, anche se forse una crociera non l’abbiamo mai fatta enon la faremo mai. E di questi tempi non è poco.

L’Osservatorio

L’ESEMPIO DI UNCOMANDANTE

di Ferruccio de Bortoli

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14 IL CARABINIERE - APRILE - 2020

Quelli della mia generazione, nati e cresciuti in piena Guerra Fredda, hannoconvissuto con la paura che la nostra civiltà dovesse affrontare il mostro dell’olocaustonucleare e dell’invasione sovietica. Le paure della mia generazione erano benrappresentate da film come Mad Max e The Day After – Il giorno dopo. Annidopo, davanti alla crescita tecnologica e alle scoperte del cosmo, le inquietudinihanno preso la forma dell’arrivo degli omini verdi o della rivolta delle macchinedi Terminator. Oggi, le mie paure hanno la forma microscopica di un virus e di

quello che l’epidemia è stata capace di fare finora: uccidere innocenti, mettere in ginocchio intere nazioni, fardubitare delle certezze della nostra civiltà. In ginocchio, non sconfitte. Pronte a rialzarsi più forti, più determinate e migliori. Oltre che cambiare le nostre abitudini e la percezione delle nostre paure, il coronavirus potrebbe cambiaremolti degli scenari geopolitici che si davano per scontati fino a poco tempo fa e sconvolgere ogni previsione.L’impatto di questo virus ha colto oggi le autorità nazionali e sovranazionali impreparate ma pronte, domani,insieme ai popoli, a fare tesoro delle lezioni apprese e a preparare adeguati piani di contingenza.Si cade per rialzarsi. Sempre. Mentre l’Italia affronta il dramma del contagio, dovendo scoprirsi più unita e rigorosa che mai, il fantasmadell’emergenza sanitaria si avvicina agli Stati Uniti, dove l’assistenza medica non è pubblica e il rischio è statoinizialmente sottovalutato. Trump, che correva spedito verso la rielezione dopo aver dichiarato guerracommerciale alla Cina, ucciso il Califfo al-Baghdadi e il Generalissimo dei Pasdaran Soleimani, oggi rischiadi uscire malamente dallo Studio Ovale se il coronavirus si trasformerà da pandemia ad olocausto. Questa èla battaglia peggiore per un leader populista che, volente o nolente, non ha messicani, iracheni, iraniani,russi, democratici o alieni contro cui puntare il dito. L’epidemia non si combatte a colpi di tweet. Vedremo sedavvero l’America è “great again”. Se Sparta piange, Atene non ride. La Cina che festeggia la chiusura degli ospedali da campo a Wuhan e cercadi tornare alla normalità ora deve pagare il conto dell’assordante silenzio delle prime settimane, quando avevacercato di fare come i sovietici a Chernobyl nel 1986, ossia tacere fino all’inevitabile deflagrazione della verità.Il conto è salato: il popolo cinese, ferreo nell’osservanza del credo del Partito da Mao a Xi Jinping, chiedechiarimenti alle autorità. Il mondo intero osserverà come la leadership rinegozierà il patto sociale con i propricittadini per continuare a crescere e farlo meglio di prima. E l’Europa? Come ci sveglieremo la mattina dopo la fine del contagio? Il virus ci ha insegnato che i patogenivivono in un’eterna Schengen e che la salute pubblica vale più dei vincoli di bilancio e dei patti di stabilità, comeha fatto capire il nostro Capo dello Stato con fermezza. Senza salute non c’è stabilità. Il progetto europeo è al suopunto di svolta, come lo fu dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Quando questo incubo finirà, comefinì l’incubo nazista, nuovo entusiasmo e volontà dovranno scorrere nelle vene di Bruxelles e nuova solidarietàtra i popoli. Quando la quarantena finirà, dovrà rimanerci dentro lo spirito di solidarietà sociale che ci spinge arimanere a casa. Proteggere noi stessi per proteggere tutti. Che la prossima immunità di gregge sia anche politica.

CORONAVIRUS,UNA RIFLESSIONEGEOPOLITICA

Scenari

di Andrea Margelletti

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16 IL CARABINIERE - FEBBRAIO - 2020

In questo tempo di clausura coatta, ciascuno di noicoltiva il sogno di ritornare alle vecchie abitudini.È un balsamo dell’animo che ci rende meno penose

le rinunce imposte dai divieti. Ma è anche un’illusione.Perché dalle grandi crisi, quelle in grado di mettere indiscussione interi sistemi sociali, si esce cambiati. E noi,probabilmente, cambieremo.L’emergenza ha ridisegnato il nostro modo di vivere. Inuna forma così radicale che già facciamo fatica a rico-noscerci. Il primo cambiamento è stato un ritrovare ladimensione del tempo. Nelle vite in cui impegni epiaceri si assemblavano senza soluzione di continuità,

16 IL CARABINIERE - APRILE - 2020

Focus

di ALESSANDRO

BARBANO

DIPENDETUTTO DA NOI

La clausura forzata impostadallo spettro del COVID-19ci ha cambiato in manieraprofonda: la domanda checi poniamo oggi è se,quando tutto sarà finito, ci ritroveremo più uniti o più divisi

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accadeva in un locale affollato, in una sala da ballo opiuttosto in un cinema? E se la prudenza di oggi diven-tasse, anche per noi popoli latini, adusi al contatto sen-sibile, una cifra della nostra futura identità? La nuovapeste ci ha messo di fronte a una fragilità sconosciutada generazioni. Per intanto la parola è tornata al centrodel nostro universo. Ci sono emozioni, ricordi, espe-rienze che fino a ieri non avrebbero trovato un ascolto eche oggi invece hanno la giusta forza per essere comu-nicati. Se tutto l’istinto che ci resta viene declinato, nonpiù nei gesti, ma nelle parole, le parole tornano a essereazioni sfidanti. È un’occasione da non perdere.È cambiato anche il nostro modo di lavorare. Il telela-voro fino a ieri era un’esperienza d’avanguardia, oggi èuna consuetudine dell’emergenza. E domani potrebbeessere un’abitudine del nuovo modo di produrre e dioffrire servizi. Il virus potrebbe avere la forza di sdoganarele più avveniristiche opportunità della tecnologia nelleprassi organizzative di una comunità. Ma come si ride-finiranno, nel lavoro a distanza, le nostre relazioni, lenostre alleanze e perfino i nostri conflitti? La crisi sani-taria potrebbe coincidere con una transizione economicae sociale, oltre la quale si riavvicinano il pubblico e ilprivato, il lavoro e il tempo libero, le affermazioni indi-viduali e le relazioni di prossimità. Una sorta di riconci-liazione tra carriera ed affetti, mediata dalla tecnologia.È forse un sogno o un’utopia, ma nei tempi bui, in cuiscriviamo, di questo c’è bisogno.C’è un punto finale su cui l’epidemia agisce, stratto-nando la società e muovendo leve contrapposte. Ri-guarda il rapporto con l’alterità. Il virus sembra essersiincuneato tra le nostre contraddizioni e ci offre buonimotivi per chiuderci in un fortino e difenderci con inostri soli mezzi, e altrettanti motivi per aprirci a un’al-leanza con chi, come noi, vive nell’assedio e nella paura.L’esito di questa battaglia, che si gioca sul piano dellerelazioni personali, ma anche nel rapporto tra istituzionie popoli, ci dirà se vincerà un’ideologia o piuttostoun’idealità, se alla fine ci scopriremo più divisi o piuttostopiù uniti. Come tutte le creazioni della natura e dellatecnica, e non sappiamo ancora quale sia la sua realeprovenienza, il coronavirus è neutro. S’impasta con lenostre debolezze e ne fa una poltiglia esplosiva, o piut-tosto soccombe al nostro coraggio. Dipende ancora unavolta da noi.

hanno rifatto comparsa lunghe pause che avevamo di-menticato. Per molti è stata l’occasione di ritrovarsi neirapporti più intimi, per altri è stata solo causa di insof-ferenza, ma in un caso e nell’altro il tempo è tornato apesare nella vita di ciascuno di noi. Così un mese fa cipare già distante quanto un anno. Gesti e riti che erano il nostro pane quotidiano sonoconsiderati ormai azzardi, come sarebbe stringersi lamano, abbracciarsi, per non dire baciarsi. Torneremo afarlo, e ci piace pensare che ciò accadrà presto. Maquanto tempo ci vorrà per tornare a tuffarci in una folladi sconosciuti e condividerne il respiro, come da sempre

IL CARABINIERE - APRILE - 2020 17

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di ALBERTO

ANGELA

Vite straordinarie

QUEL CHE HA

In un momento in cui il Regno Unito viveimportanti cambiamenti, a non mutare è lei, Elisabetta II, che dasessantotto anni non smettedi fare quello che il suo ruolole impone: “consigliare,incoraggiare, avvertire”

regina da ben sessantotto anni: la grandezza, la stranezza,l’unicità della Gran Bretagna. Il suo regno è cominciatocon Winston Churchill e continua oggi, dopo la Brexit,con il Primo ministro Boris Johnson. Quante cose hanno visto gli occhi di questa piccola,grande regina, dall’aria imperturbabile e la voce flebile?Hanno visto la nazione uscire dalla guerra e gettare lebasi dello stato sociale. Hanno visto i conflitti, le crisieconomiche, il terrorismo. Il suo cuore ha sopportato ipettegolezzi, il divorzio di tre dei suoi quattro figli, lamorte di Diana Spencer, l’uscita di scena del nipoteHenry e della sua consorte Meghan Markle, che hannoda poco rinunciato al titolo di “Altezze reali”. Eppure Elisabetta è ancora, fermamente lì, sul trono.Un’icona perfetta, vagamente caricaturale, superba-mente demodé. Lo sguardo da vegliarda di oggi noncorrisponde a quello tranquillo della bambina di ieri.

Londra, 27 luglio 2012. In mondovisione va inonda la cerimonia d’apertura della XXX Olim-piade. Dietro la macchina da presa di Danny

Boyle, il regista di Trainspotting, una breve sintesi dellalunga storia del Regno Unito. Un viaggio acceleratolungo il Tamigi: Londra, la città medioevale, la moder-nissima city, un maialino che sorvola la centrale elettricadi Battersea, riferimento all’Inghilterra industriale evocatanella mitica copertina di Animals, dei Pink Floyd. E poi,come si addice solo a una grande protagonista: lei. La regina Elisabetta. Quando vede Daniel Craig varcarela soglia di Buckingham Palace, dice: «Buonasera, SignorBond». Il resto è trovata cinematografica: i due prendonoun elicottero e da lì sembrano catapultarsi nello StadioOlimpico. In questo gioco audace di realtà e finzione, Elisabetta IIincarna tutte le caratteristiche della nazione di cui è

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Una bambina che non era nata per fare la regina, al-meno fino a quando la ruota del destino ha invertitomarcia e l’ha travolta. È solo terza in linea di succes-sione al trono, in quanto primogenita di Alberto edElizabeth, duchi di York. Lilibeth, così la chiamanoin famiglia, è disciplinata, forse eccessivamente re-sponsabile. Ha quattro anni quando, nel 1930, nascela sorella Margaret e viene assunta una bambinaiascozzese, Marion Crawford, detta Bobo. Sarà la donnache le rimarrà accanto una vita intera, la sua più in-tima confidente. Sempre in quel 1930 il nonno, reGiorgio V, le regala un pony. Nasce così la grandepassione della sua vita: i cavalli. Millenovecentotrentasei, muore Giorgio V. Inizia ilregno di Edoardo VIII. Brillante, atletico, coraggioso,popolarissimo. Spera di passare alla storia come Edo-ardo l’innovatore. Si permette di ignorare il divieto

imposto ai reali di sposare pretendenti cattolici o di-vorziati, come l’americana Wallis Simpson, di cui siinnamora perdutamente. Edoardo, in quanto re, è an-che il capo della Chiesa anglicana, per cui non potrebbemai sposare Wallis e sedersi sul trono. Messo di frontea una scelta, sceglie l’amore. Elisabetta ha solo diecianni e la sua vita sta per cambiare radicalmente. Suopadre Albert, fratello di Edoardo VIII, diventa ReGiorgio VI. E lei, l’erede presunta (potrebbero nascereeredi maschi). Il nuovo re – timido, impacciato, bal-buziente, Colin Firth vinse un Oscar interpretandolo –ha la fortuna di avere accanto una donna dal carattered’acciaio che lo sostiene e lo consiglia. La loro è unafamiglia modello che proietta un’immagine di rispet-tabilità e senso del dovere, che deve far dimenticare i325 tumultuosi giorni di regno di Edoardo VIII. So-prattutto dovrà affrontare la prova più dura: la Secondaguerra mondiale. La famiglia reale rimane accanto alsuo popolo. Anche sotto le bombe.Nel 1940, così, la quattordicenne Elisabetta parlaalla radio rivolgendosi ai bambini: «A centinaia sietestati costretti a lasciare le vostre case, a separarvi daivostri genitori, non ci dimenticheremo di voi». Sonogli anni del suo apprendistato da regina. Rinunce,studio, in una parola: sobrietà. A 19 anni, addirittura,si arruola. Elisabetta Windsor, matricola 230873.Primo e unico membro femminile della famiglia realea prestare servizio nell’Esercito. È una semplice “se-conda subalterna”. Ha mansioni di autista: impara aguidare camion e ambulanze, a riparare motori. Lanotte del Victory Day usa la divisa come travestimentoper unirsi ai festeggiamenti. Non ne avrà bisognopoco più tardi, quando sposerà un lontano cugino,Philip Mountbatten. La leggenda racconta di unamore a prima vista tra Elisabetta appena tredicennee Filippo, ufficiale di Marina, povero ma “bello comeun vichingo”. Si scrivono durante tutto il conflittoma si rivedono solo dopo quattro anni. Un incontroche sfocia in un matrimonio da fiaba.Quello del 1947 è un inverno rigido, l’Inghilterra hafreddo. L’orologio del Big Ben è fermo, gli ingranaggi

VISTO LILIBETH

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su tutto per poter esercitare le sue tre prerogative: con-sigliare, incoraggiare, avvertire. Ovunque è accolta con grande entusiasmo. Nel 1961compie un memorabile viaggio in Italia. A Roma sireca al Quirinale e a Piazza San Pietro, dove incontraPapa Giovanni XXIII. Nell’ultima tappa, a Torino,visita i padiglioni dell’Esposizione Universale, in com-pagnia dell’avvocato Gianni Agnelli. In ogni circostanzai suoi doveri diventano routine. Dovunque si trovi –in giro per il mondo, in vacanza o a Buckingham Pa-lace – la regina deve leggere e siglare la corrispondenzacontenuta nelle red boxes. Sono semplici valigette macon dentro i documenti di Stato, i dossier dei Servizisegreti e le carte del Commonwealth. Poi, ogni martedìdi ogni settimana, sempre immancabilmente alle 18.15,una macchina lascia il numero 10 di Downing Street esi dirige a Buckingham Palace. Il Primo ministro, chiun-que esso sia, è ricevuto in udienza privata dalla regina.L’hanno incontrata in molti, ben quindici. Elisabetta ha concepito la monarchia come un’aziendaa conduzione familiare nella quale tutti i membri dellaRoyal Family devono darsi da fare per l’Istituzione.Farsi trovare pronti, sempre. Anche quando l’avversarioha un soprannome che intimidisce: la “lady di ferro”,Margaret Thatcher, la prima donna a entrare al numero10 di Downing Street. Non sarà un’esperienza passeg-gera: rimarrà al potere per undici anni, vincendo treelezioni consecutive. Due donne alla guida dell’Inghil-terra. Due donne spesso in disaccordo. Il 1986 saràpoi l’anno del muro contro muro tra Elisabetta e laThatcher. Margaret rifiuta di applicare le sanzioni in-

sono ghiacciati. La sposa è scortata dalla cavalleria reale.Nell’abbazia di Westminster, 2.500 invitati aspettanogli sposi. Il primo grande momento di gioia di un’interanazione, forse di un impero, dopo la tragedia dellaguerra. Dall’unione nasceranno Carlo, Anna, Andreaed Edward. Nessuno terrà testa alla madre, anzi sarà lei,più volte, a dover digerire l’inadeguatezza dei figli. Lofarà senza mostrare segni di cedimento: da vera sovrana.È il 6 febbraio del 1952, Carlo e Anna sono bambini,Giorgio VI muore nel sonno. Si racconta che Elisabettasia diventata regina durante un safari in Kenya. Una grigia mattina di febbraio, Elisabetta scende lascaletta dell’aereo che la riporta in patria, vestita a lutto.Sola. Indietro di quattro passi la segue Filippo. Ad at-tenderla c’è Winston Churchill, tornato da poco allaguida del governo. La successione al trono avviene au-tomaticamente. Gli araldi, semplicemente, annuncianola notizia. Lilibeth, una giovane donna di 26 anni conun marito ufficiale di Marina e due bambini piccoli,viene proclamata regina: Elisabetta II. Lei prende ilsuo ruolo molto seriamente. Quasi una sorta di voca-zione. Churchill ne diventa subito il mentore. Dopo16 mesi di lutto, arriva il fatidico giorno dell’incorona-zione. Un’antica cerimonia dai fasti medievali. L’evento,ripreso dalla televisione, consente a milioni di sudditidi seguire ogni gesto: il giuramento di fedeltà, l’unzionecon l’olio santo, le spade, lo scettro, la sfera, la corona.Filippo è il primo a sottomettersi inginocchiandosi egiurando fedeltà. Non è un gesto simbolico. Deve ri-nunciare a molto, alla sua brillante carriera in Marina.Al suo ruolo di capofamiglia. Deve sottomettersi a unarigida etichetta di corte nella quale le emozioni nonsono più concesse. Tutto ciò si ripercuote sul loro ma-trimonio. Da quell’anno i due cominciano a condurrevite separate. Lui da scapolo, lei da moglie rassegnata,tutta presa dai suoi impegni ufficiali. Secondo la stampascandalistica, Elisabetta sarebbe arrivata sull’orlo dellarottura sessantatre volte. Una cifra che corrisponde adaltrettante voci su relazioni proibite di Filippo. I primi dieci anni di regno Elisabetta li passa in giroper i quattro angoli del globo. Visita ogni paese affiliatoal Commonwealth, e quello che rimane dell’immensoimpero coloniale inglese. “La regina regna ma non go-verna”, questo è il ruolo della monarchia nel sistema li-berale inglese. Però deve essere costantemente informata

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ternazionali al Sudafrica per la sua politica di apartheided Elisabetta, come capo del Commonwealth, poneuna ferma opposizione. È uno strappo senza precedentinei rapporti tra Buckingham Palace e Downing Street. Ma è un’altra Lady, Diana, a offuscare forse come mainessuno aveva fatto il cielo di Elisabetta. Diciannoveanni, bella, aristocratica. La donna ideale per il ruolodi moglie del futuro re, il principe Carlo. E DianaSpencer vuole diventare la principessa del Galles a tuttii costi. Anche quando scopre, pochi giorni prima delmatrimonio, che Carlo continua a frequentare CamillaParker Bowles, una vecchia fiamma. L’epilogo lo conosciamo. Il matrimonio del secolo andràin pezzi, nonostante la nascita di William ed Henry.La favola si trasformerà rapidamente in un incubo, an-che per Elisabetta. Diana reagisce all’infedeltà di Carloaumentando gli impegni pubblici, diventa la donnapiù fotografata del Pianeta. La regina non approva, masi illude che il matrimonio possa reggere. Si sbaglia eDiana lo griderà al mondo intero. Nel 1992, l’annus horribilis della famiglia reale, divampaun incendio al castello di Windsor. La regina accorresconvolta, bruciano i ricordi di una vita. Il giornalistaAndrew Morton dà alle stampe una biografia su Dianache fa scandalo. Si parla di una donna depressa che hatentato due volte il suicidio e di un marito indifferentee infedele. I tabloid raggiungono tirature da record: ri-portano testi di conversazioni intime, foto, rivelazioni.È la guerra dei Galles. L’intervista alla BBC di Diana èpane per il gossip: “Il nostro matrimonio è troppo af-follato”. Quando arriva il divorzio, Diana ha ormai

conquistato il cuore del popolo. Non ha né la forza nél’intelligenza di Elisabetta, ma ha il dono dell’empatia.Capisce chi soffre, scavalla ogni formalità e agisce. Agliaiuti umanitari e alle campagne di sensibilizzazione percontrastare l’HIV alterna amanti e prime cinematogra-fiche. Le donne inglesi vogliono essere come lei. Iconafashion, sempre pronta a lanciare il cuore oltre l’ostacolo.La sua morte improvvisa in un incidente stradale a Pa-rigi, il 31 agosto del 1997, probabilmente la renderàimmortale. Con lei, il suo ultimo imbarazzante amore,il miliardario egiziano Dodi Al Fayed. La Gran Bretagna è sotto shock, eppure BuckinghamPalace tace. La regina rimane chiusa nel suo castello inScozia. Il Primo ministro Tony Blair, dopo molte pres-sioni, la convince a tornare a Londra e ad abbassare labandiera a mezz’asta in segno di lutto. In realtà è unabandiera che si è inventato per l’occasione, quella diStato. Perché mai lo stendardo reale viene posto a mez-z’asta: il re c’è sempre, il re è morto, viva il re! Si rivelauna mossa astuta. È un momento drammatico. I son-daggi rivelano che i Windsor stanno perdendo l’affettodei propri sudditi. La regina non vuole il funerale diStato, previsto solo per i sovrani e gli eroi nazionali.Per Lady D ci sarà solo un grande funerale “di popolo”nell’abbazia di Westminster. Cala il sipario su Dianadel Galles, ma la Corona da lei prenderà un grande in-segnamento: quello di non nascondere le emozioni. A modo loro, Kate Middelton e Meghan Markle, moglidi William ed Henry, la emulano. Nella dolcezza e nel-l’empatia la prima, nella ribellione la seconda. La stessaluce di Diana, però, stenta ancora a vedersi. E oggi, ultranovantenne, anche se rimane sempre unadonna molto riservata, Elisabetta sorride in pubblicomolto più che in passato. Con sorpresa di molti, è statavista anche commuoversi. I cappelli bizzarri, i colorisgargianti dei suoi tailleur, gli adorati cani Welsh Corgi. L’ultima regina è un secolo di Storia inglese che si fondecon un secolo di moderno costume. Film, Oscar, per-sino un romanzo in cui Elisabetta è una irresistibileSovrana Lettrice per Alan Bennet. Il tempo sembra ar-retrare al suo cospetto, rigorosamente senza voltarle laschiena. A tutt’oggi quello di Elisabetta II è il regnopiù lungo di qualsiasi altro sovrano inglese. Quelli chela conoscono bene affermano che intende regnare finoalla sua morte. Difficile pensare il contrario.

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INVIATO SPECIALE per REPARTI SPECIALI

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SICURI NELLA CITTÀ DELL’AMOREIl nostro tour all’interno dell’Arma questa volta ci ha

condotto a Verona, nel cuore del Comando Provin-ciale. Per la mia giornata da “Carabiniere” è stato

scelto il Nucleo Radiomobile e le sue attività con unsalto sul Lago di Garda per verificare l’operato delle Sta-zioni sulle sponde lacustri del lato veronese. Anche questavolta siamo partiti da Milano ancora con il buio, perpoter vivere più turni possibile. Una volta giunti al Co-mando siamo stati accolti da tutti gli ufficiali, guidati dalloro Comandante, il Colonnello Pietro Carrozza.Dopo aver fatto conoscenza con tutti gli Ufficiali delComando, davanti a una splendida colazione, siamo “en-trati in servizio”. Quale miglior modo per dare il via allanostra giornata, se non quello di partecipare all’alzaban-diera, tutti schierati a cantare l’Inno di Mameli? Nessuno,ovviamente… così, dopo aver salutato tutti gli uominiche si apprestavano a montare servizio, sono stato insi-gnito del celeberrimo patch del Nucleo Radiomobile e

sono partito alla via del Lago di Garda. Una volta giuntia destinazione, abbiamo potuto constatare il lavoro si-nergico effettuato dai Carabinieri che lavorano sullesponde del lago. Mentre le pattuglie operano posti dicontrollo sulla strada gardesana, gli uomini imbarcati ve-rificano le acque adiacenti, entrambi pronti a interventidi supporto reciproco. I militari ci hanno raccontato chespesso sono queste le strade che percorrono le personeche non vogliono essere intercettate, quindi il lavoro me-todico e costante porta di frequente ad arresti eccellenti.Per il servizio “imbarcato” abbiamo avuto l’onore di na-vigare sulla famosa Motovedetta classe 600, il cui equi-paggio ci ha condotto nel lavoro quotidiano di controlloe ci ha mostrato anche l’operatività in coppia delle pat-tuglie di terra. Abbiamo fatto ritorno alla base per pran-zare verso mezzogiorno, poi alle 14 è iniziato il lavorocon il Radiomobile.La prima fase è stata il controllo delle zone di possibile

Insieme agli uomini del Nucleo Radiomobile di Verona per raccontare l’impegno dei Carabinieri che operano su un territorio che arriva sin sulle sponde del Lago di Garda

di VALERIO

STAFFELLI

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spaccio di droga. Gli operatori che abbiamo seguito eranoin borghese, coadiuvati da motociclisti abilissimi. La co-noscenza del territorio e dei movimenti di soggetti a ri-schio ci ha consentito di documentare diversi fermi perpossesso di sostanze stupefacenti. Pensate che in un con-trollo effettuato sulle sponde del fiume Adige i fermi ef-fettuati sono stati talmente elevati che per il trasporto incaserma è stato richiesto l’intervento di un pulminionove posti... Davvero encomiabile il lavoro svolto daquesti Carabinieri, con fiuto e abilità, per rendere lenostre città più sicure per tutti... Bravi!Oramai era giunta sera, così abbiamo fatto ritorno alComando per mangiare qualcosa e prepararci al turnonotturno. Appena entrati in servizio, siamo stati chiamatida un ragazzo addetto alla consegna di cibo a domicilioche non era stato pagato dai clienti. Appena arrivati da-vanti alla casa dalla quale era provenuta la segnalazione,abbiamo potuto constatare che i due “furbetti” che ave-vano preso il cibo senza pagare non rispondevano al ci-tofono per evitare ulteriori richiami da parte del malca-pitato rider. La pattuglia del Radiomobile è dovuta quindiricorrere a uno stratagemma per entrare e, con l’aiuto dialtri condòmini, siamo poi riusciti a salire sino al pianodei due insolventi. Ovviamente, appena arrivati all’uscio,alla parola “Carabinieri” la porta, come per magia, si èsubito aperta e, in men che non si dica, i due hanno pa-gato quello che dovevano al ragazzo. Inutile dirvi chepoi, al controllo dei documenti, si è appreso che entrambiavevano precedenti penali e non era la prima volta chefacevano questo “giochino”.La chiamata seguente ci ha condotto in un locale gestito

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da persone straniere che avevano chiamato perché vole-vano allontanare clienti che, alticci, molestavano gliastanti. Anche in questo caso l’intervento dei ragazzi del-l’Arma è stato provvidenziale: pochi minuti dopo il loroarrivo tutto si è placato, i Carabinieri hanno evidenziatoi soggetti “pericolosi” e, con la giusta misura di contatto,hanno risolto il problema. È davvero incredibile vederecome un Carabiniere che poco prima ha dimostrato diessere fermo e severo nel far rispettare la legge da parte dichi non lo fa, si possa trasformare subito dopo in unconsulente “familiare” per portare pace e stabilità. Com-plimenti, ragazzi, davvero. Non è mancato poi il consueto passeggio per le viecentrali della città con le SOS, le Squadre Operative diSupporto, provenienti dal 7° Reggimento "Laives",che pattugliano e sono pronte a intervenire in caso diemergenze sul territorio, quali ad esempio attacchiterroristici e affini… Alle 23 abbiamo dato il via aicontrolli alcool test: dopo un’accurata preparazionedel luogo di lavoro, i Carabinieri del Nucleo Radio-mobile di Verona hanno dato il via alle verifiche, checome vi ricordo sempre servono per la sicurezza ditutti e non devono essere visti come repressivi bensìcome un bene per la circolazione.Dopo una serie di verifiche che hanno dato esito negativo,purtroppo un controllo ha riscontrato un ragazzo conun tasso di alcool nel sangue pari a 0,94, quasi il doppiodi quello di legge fissato a 0,50 (esclusi ovviamente ineo-pantentati, per i quali, quando si guida, la percentualesangue/alcool deve essere pari a zero). Per questo ragazzoche, oltretutto, viaggiava a velocità sostenuta, sono scattatele sanzioni previste dal Codice della Strada, che vi ricordo:mettersi alla guida con un tasso alcolemico compreso tra0,81 e 1,5 grammi per litro costituisce reato penale pu-nibile con l’arresto fino a 6 mesi, una multa che va da800 a 3.200 euro e la sanzione accessoria della sospensionedella patente per un periodo che va da sei mesi a un

anno. Direi che non ne vale la pena, e non solo perquesto, ma anche per quello che si può combinare allaguida di un mezzo in quelle condizioni. Bene, a questo punto, raggiunta quasi l’una del mattino,ci apprestavamo a smontare tutto e tornare a dormire incaserma, quando è giunta una chiamata insolita dallacentrale radio: un dipendente di una nota casa di super-mercati era stato sorpreso mentre effettuava un furtoconsistente di merce... In un minuto siamo giunti davantial punto vendita, dove abbiamo trovato il responsabiledel furto circondato da altre persone che ne avevano im-pedito la fuga. Eccovi la storia: dopo accurati controllifatti nei mesi precedenti, che riportavano ammanchi im-portanti di merce, la direzione del supermercato ha ini-ziato a indagare e, stringi stringi, hanno scoperto che unresponsabile addetto alla chiusura, quando finiva il lavoro,riempiva il bagagliaio della sua auto di prodotti e se liportava a casa… Pensate che solo quella sera quest’uomosarebbe riuscito a portarsi a casa quasi 600 euro di prodottialimentari! Ai militari non è restato altro da fare che rac-cogliere tutto il materiale e portare in caserma la persona,in arresto per furto. Con questo intervento si è conclusala nostra giornata da “Carabinieri”. Anche in questa oc-casione abbiamo conosciuto uomini valorosi e straordinariche, in maniera silente, compiono la loro attività perrendere il nostro Paese un luogo sicuro e vivibile. Permettetemi ancora una conclusione. Le vicende cheabbiamo raccontato risalgono ai giorni precedenti ildrammatico esplodere del COVID-19. Oggi è tutto cam-biato, ma anche in questa difficile situazione i nostri mi-litari sono dispiegati sul territorio per far rispettare lalegge e proteggerci da tutto e da tutti. Ricordatevi, però,che ci sono uomini come noi, dietro la divisa, esseriumani che per l’ennesima volta mettono a repentaglio lasalute personale e quella delle loro famiglie per aiutarci. Rammentatelo, quando li incontrerete la prossima volta...Viva l’Arma dei Carabinieri!

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Anniversari

di ALESSANDRO

DELLA NEBBIA

LA CULLA DEI MARESCIALLICompie un secolo la Scuola fiorentina riservata ai sottufficiali dell’Arma che dal 1920 addestra generazioni di Comandanti di Stazione, colonna portante della Benemerita

Era l’11 aprile 1920 quando veniva inaugurataa Firenze la “Scuola Allievi Sottufficiali Ca-rabinieri Reali”, nella splendida cornice del

Chiostro Grande dell’antico e monumentale com-plesso monastico di Santa Maria Novella, un luogoparticolarmente caro alla memoria di migliaia di Ca-rabinieri, in servizio e in congedo, di ogni età. L’allora Comandante Generale dell’Arma, Carlo Pe-titti di Roreto, aveva stabilito che la cerimonia sisvolgesse “con la massima solennità militare”, ma an-che con l’ordine “tassativo” che fosse osservata “lapiù stretta e coscienziosa economia, come necessarioelemento di ricostituzione del Paese”. Un Paese reducedal lungo Conflitto Mondiale e soprattutto turbatoda quelle laceranti tensioni sociali che infiammaronola Penisola in quello che sarebbe passato alla storiacome “biennio rosso”. La solennità del momento fu sottolineata dallo sco-primento di una lapide, la cui epigrafe, dettata dalparlamentare toscano Giovanni Rosadi, annunciavacon fierezza che dalla Scuola “gli Allievi SottufficialiCarabinieri Reali moveranno araldi consapevoli dellalegge e della civiltà in ogni angolo d’Italia”.

Allievi nel Chiostro di Santa Maria Novella, storica sededella Scuola Marescialli e Brigadieri

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LE ORIGINI. L’idea di una “Scuola unica per gli aspirantisottufficiali” risaliva già ai primi anni di quel secolo, persoddisfare “l’imprescindibile necessità di avere idoneielementi e di curarne in modo particolare la educazione”con il “mezzo maggiormente adatto per conseguirequella unicità di indirizzo che è indispensabile pel buonandamento delle cose”. Perché “al buon andamento diogni ramo del servizio, specie nell’Arma dei CarabinieriReali, frazionata in numerosi e piccolissimi reparti, con-tribuisce grandemente la buona costituzione dei quadridei sottufficiali che rappresentano la forza morale edintellettuale delle singole stazioni isolate”.In precedenza, nei primi decenni di vita dell’allora Corpodei Carabinieri Reali, la promozione al grado di ViceBrigadiere era direttamente conferita agli Appuntati eai Carabinieri più meritevoli da parte dei singoli Co-mandanti di Legione territoriale, premiandone il ren-dimento in servizio o valorizzando il possesso di com-petenze culturali oltre la media dell’epoca. Soltanto neglianni Ottanta dell’Ottocento, a fronte della tumultuosaevoluzione della società italiana e della conseguente cre-scente complessità dei compiti cui erano chiamati i Ca-rabinieri, si era avvertita la necessità di una più specificapreparazione professionale per coloro cui erano affidateresponsabilità di comando. Una circolare del novembre1883 del Comando Generale aveva dunque dispostoche tutti i militari proposti per l’avanzamento al gradodi Vice Brigadiere frequentassero, prima della promo-zione, un corso teorico-pratico della durata di due mesi,più tardi portati a quattro, da organizzarsi però semprea livello di ciascun comando di Legione. Il primo studio concreto per l’istituzione di una scuolaunitaria, presentato nel 1909, rimase senza seguito an-cora per alcuni anni, complice lo scoppio della guerraitalo-turca del 1911, fino a quando proprio le esigenzedettate da un nuovo conflitto, la Grande Guerra, dalleproporzioni inaspettate e drammatiche, indussero il Go-verno all’adozione del decreto-legge luogotenenziale 5ottobre 1916 n. 1314, che, tra gli altri provvedimentidi potenziamento dell’Arma, prevedeva, all’articolo 1,l’istituzione di “una Scuola Allievi Sottufficiali Carabi-nieri”. I corsi si sarebbero dovuti avviare entro i primimesi del 1917, ma non mancarono le difficoltà, essen-zialmente di carattere logistico.Scartate alcune ipotesi iniziali di allocare la nuova scuola

in strutture presenti nella Capitale, nel febbraio del1917 si offrirono di ospitare la nuova scuola le città diLucca, di Pistoia – che fece giungere “premure” diretta-mente al Presidente del Consiglio dei Ministri – e diCapua, disponibile a stanziare anche un contributo fi-nanziario. Mentre già si lavorava a tali soluzioni, tuttavia,un telegramma del 21 luglio del citato On. Rosadi, di-retto al Ministro della Guerra Gaetano Giardino, pre-annunciava a sorpresa la volontà del Comune di Firenzedi rendere disponibile un “ampio e adattissimo locale”,costituito da una porzione del complesso di Santa MariaNovella e dall’attiguo, seicentesco Monastero Nuovo, odella Santissima Concezione. Il 3 agosto seguì in effettila deliberazione d’urgenza della Giunta comunale e il23 dello stesso mese giunse la comunicazione del Mini-stro della Guerra che indicava in Firenze la sede prescelta,condividendo le valutazioni dell’Arma circa l’idoneitàdei locali ad essere riadattati in pochi mesi. Ottenere l’effettiva disponibilità della struttura si rivelòtuttavia meno semplice del previsto. I locali erano oc-cupati da alcune scuole, tra le quali il Regio Liceo“Dante” e la Regia Scuola tecnica “Sassetti”, i cui presidi,sostenuti dal Ministero dell’Istruzione, chiesero di po-sticipare il trasferimento. Ma soprattutto l’edificio ospi-tava l’Asilo profughi, aumentati dopo la ritirata di Ca-poretto, e altri enti facenti capo alla Prefettura e alMinistero dell’Interno. Un accordo per lo sgomberodegli uffici e delle altre strutture non legate all’ospitalitàdei profughi fu trovato con il Ministero dell’Internosoltanto all’inizio dell’estate 1918 e la Direzione del Ge-nio Militare di Firenze riuscì ad avviare i primi lavori diadeguamento della porzione già liberata dello stabilesoltanto nel successivo mese di novembre.Mentre gli ultimi lavori proseguivano, con soluzionitecniche e standard funzionali piuttosto elevati per

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1924: gli allievi del Corso Sottufficiali del ruolo specializzato

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principalmente rispettarla e farla rispettare”.Ai corsi si accedeva dagli Appuntati e dai Carabinierieffettivi previo concorso basato sullo svolgimento didue temi scritti: le prove erano sostenute presso i Co-mandi di Divisione (i Comandi Provinciali dell’epoca),ma i compiti erano poi corretti unitariamente a Firenze.Erano ammessi di diritto i Carabinieri “forniti di licenzaginnasiale, tecnica o di altro titolo di studio equipollente”e i Carabinieri provenienti dai sottufficiali delle altreArmi dell’Esercito e della Marina (l’Aeronautica Militaresarà istituita come forza armata autonoma soltanto nel1923), ai quali durante i primi anni successivi alla guerrafu aperto il transito nei carabinieri effettivi.

LA “SCUOLA CENTRALE CARABINIERI REALI”.Dall’Anno accademico 1927-1928, a seguito della sop-pressione della Scuola Allievi Ufficiali di Roma, furonoaffidati alla Scuola di Firenze anche corsi di aggiorna-mento e di cultura professionale per Ufficiali superiorie per Capitani, i corsi semestrali di abilitazione per i Te-nenti di Fanteria, Cavalleria, Artiglieria e Genio aspirantial passaggio nell’Arma dei Carabinieri e i corsi per iMarescialli d’alloggio maggiori da promuovere al gradodi Sottotenente. Di qui la nuova denominazione di“Scuola Centrale Carabinieri Reali”, assunta con Regiodecreto del marzo 1928.Insegnanti civili trattavano materie particolari comel’agraria, l’igiene e l’insegnamento delle lingue straniere.Professori universitari erano chiamati per le lezioni agliufficiali superiori. Negli anni Trenta, “per l’attuazionedel suo vasto programma, la scuola dispone: di una im-portante biblioteca; di gran copia di materiali didattici:strumenti geografici, carte, disegni, modelli, diapositiveper proiezioni; di un museo d’armi; di sale di schermaper ufficiali e sottufficiali... di un cinema sonoro”.Con Regio decreto del 17 ottobre 1930, alla ScuolaCentrale fu concesso anche il privilegio della Bandiera,consegnata nel corso di una solenne cerimonia il 18gennaio dell’anno seguente. Questa resterà sino aglianni Sessanta l’unico drappo assegnato a reparti dei Ca-rabinieri oltre la Bandiera dell’Arma, custodita presso laLegione Allievi Carabinieri di Roma. La Bandiera ori-ginaria, sostituita da quella repubblicana il 4 novembre1947, è oggi esposta nel Salone d’Onore del MuseoStorico dell’Arma dei Carabinieri a Roma.

l’epoca, il Comando della Scuola si insediò nello stabileil 5 gennaio 1920. La caserma era intitolata a VittorioEmanuele I, il sovrano cui si doveva l’istituzione delCorpo dei Carabinieri Reali nel 1814; intitolazione chesarà poi mutata nel secondo dopoguerra in favore delgiovane patriota risorgimentale Goffredo Mameli.Il primo corso fu dunque avviato presso la Scuola di Fi-renze il 1° marzo 1920, per una durata ridotta di circacinque mesi e la frequenza di 682 aspiranti Vice Briga-dieri, inquadrati in un Battaglione allievi su tre Com-pagnie a piedi e uno Squadrone a cavallo. I programmiprevedevano, accanto alle istruzioni e alle materie pro-fessionali, l’italiano, la storia e la geografia, e soprattuttoun programma di educazione morale “che detterà normeed instillerà sentimenti i quali varranno a ben guidare isottufficiali stessi in ogni contingenza della vita comecittadini e come militari dell’arma”. “Chi ha visitato laScuola non può non aver provato un senso di viva am-mirazione per tutto ciò che è disposizione, ordine, igiene,ampiezza di servizi, comodità d’insieme, organizzazionedi esercizi e di coltura”, riportava un giornale fiorentinodell’epoca; un altro descriveva “grandi dormitori, bel-lissimi refettori, linde cucine, ampie aule scolastiche,uffici severi, palestre, cavallerizze, cortili per esercitazioni,grandi impianti per bagni...”; un altro ancora aggiungeva:“Non la fredda e rigida applicazione della disciplina,ma disciplina ragionata e ragionevole, tale che riesca diesempio e sia di insegnamento a coloro cui incombe

Anni ‘40: il Principe di Piemonte in visita alla Scuola

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A seguito dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1940,alcuni corsi per Ufficiali e Sottufficiali vennero soppressio ridimensionati privilegiando gli aspetti pratici. L’allievocertamente più noto della Scuola, il Vice BrigadiereSalvo D’Acquisto, frequentò in questo periodo, dal set-tembre 1942, il 1° Corso “accelerato”, della durata ditre mesi. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’oc-cupazione tedesca, la Scuola continuò a funzionare peralcuni mesi, ma con massicce defezioni di allievi e mili-tari del quadro permanente verso le file della Resistenza,man mano che maturava la consapevolezza della situa-zione. Dopo la Liberazione di Firenze, avvenuta l’11agosto 1944, i corsi ripresero il 26 marzo successivo,con i primi 181 allievi, mentre ancora nei locali eranoalloggiati reparti di carabinieri mobilitati che seguivanol’avanzata alleata verso il Nord Italia. Ripresero dopoqualche anno anche i corsi di applicazione per i Sotto-tenenti provenienti dall’Accademia di Modena e, dal1950, vari corsi informativi per Capitani e Tenenti Co-lonnelli, sino alla ricostituzione, il 1° novembre 1952,di un’autonoma Scuola Ufficiali Carabinieri a Roma ela conseguente ridenominazione dell’istituto di Firenzein “Scuola Sottufficiali Carabinieri”.

UNA PROGRESSIVA ESPANSIONE. Un decreto-leggeluogotenenziale dell’aprile 1946 segnò un elemento disvolta fondamentale nella storia della Scuola, aprendoai giovani civili l’accesso diretto alla carriera di Sottuffi-ciale. Così, ai corsi riservati agli Appuntati e ai Carabi-nieri, circa 500 unità annue, si affiancarono dall’ottobre1948 nuovi corsi di durata biennale, della medesimaconsistenza numerica, riservati per tre quarti dei postidisponibili a civili di età non superiore ai 22 anni, e perun quarto ai militari più giovani già in servizio nell’Arma,di età inferiore ai 28 anni e in possesso della licenza me-dia inferiore (requisito non richiesto ancora ai prove-nienti dagli Appuntati e dai Carabinieri più anziani). Iprogrammi del primo anno di corso erano particolar-mente orientati, allora come oggi, alla formazione mili-tare dei giovani allievi, mentre quelli del secondo annoerano maggiormente incentrati sulla preparazione pro-fessionale specifica del sottufficiale dei Carabinieri. Il nuovo iter formativo richiese maggiori spazi che fu-rono individuati nell’antico castello e residenza sabaudadi Moncalieri (Torino) oggi sede del 1° Reggimento

Carabinieri “Piemonte”. Qui fu istituito un distacca-mento della Scuola Centrale che iniziò le attività adde-strative il 15 ottobre 1948. Il “I Battaglione Allievi”provvedeva al solo primo anno di formazione dei corsidi durata biennale: superati gli esami del primo anno,gli allievi proseguivano il percorso formativo presso lasede di Firenze accanto agli altri allievi sottufficiali pro-venienti dagli Appuntati e Carabinieri ammessi al corsoannuale. Al termine del primo anno, gli allievi prove-nienti dai civili conseguivano il grado di Carabiniere.Altri locali furono acquisiti dalla Scuola anche nellastessa Firenze, all’interno della caserma “Generale An-tonio Baldissera”, sul Lungarno Pecori Giraldi, oggi sededella Legione Carabinieri “Toscana” e del 6° ReggimentoCarabinieri. Entrambe le caserme furono invase dallafuria dell’Arno durante la tragica alluvione che colpì Fi-renze e gran parte della Toscana il 4 novembre 1966.Riportarono danni importanti i locali ai piani bassi egli impianti logistici, ma la Scuola reagì prontamentesia nel ripristino delle proprie infrastrutture interne sianel portare soccorso alla città: al personale del quadropermanente e agli Allievi sottufficiali furono concessidue Medaglie d’Argento e una di Bronzo al Valor Civile,9 Encomi e 763 Attestati di Benemerenza del Ministerodella Difesa. L’esigenza di spazi addestrativi più funzio-nali e moderni e il progetto di raddoppiare il numerodei frequentatori dei corsi formativi biennali spinse allarealizzazione, negli anni Sessanta, di un nuovo grande

Gli Allievi Sottufficiali “angeli del fango” nell’alluvione chedevastò Firenze nel 1966

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polo formativo, questa volta edificato ex novo, nellacittadina di Velletri, a poca distanza dalla Capitale, doveil I Battaglione Allievi fu trasferito da Moncalieri il 1°settembre 1969, mentre diversi cantieri di lavoro eranoancora aperti: l’inaugurazione ufficiale della nuova ca-serma, intitolata al Vice Brigadiere MOVM Salvo D’Ac-quisto, si tenne soltanto il 24 aprile del 1971. Di nuovo, però, i primi anni Ottanta registrarono unincremento significativo delle esigenze, con corsi cheraggiunsero le 2mila unità e richiesero l’istituzione, adecorrere dal 1° settembre 1985, di un terzo BattaglioneAllievi a Vicenza, presso la caserma “Generale AntonioChinotto”, per ospitare durante il secondo anno di corsouna parte degli allievi provenienti da Velletri.

I NUOVI CORSI. A seguito del riordino delle carriere,avvenuto nel 1995 con la soppressione del ruolo deiSottufficiali e la costituzione dei distinti ruoli degli Ispet-tori e dei Sovrintendenti, il 1° settembre 1996 l’Istitutoassunse l’attuale denominazione di “Scuola Maresciallie Brigadieri dei Carabinieri”.Il secondo anno dei corsi biennali, ridenominati corsiAllievi Marescialli, fu riunificato a Firenze, mentre pressoil Battaglione di Vicenza prendeva avvio, il 16 settembre1996, il 1° Corso trimestrale di qualificazione AllieviVicebrigadieri, aperto a 900 frequentatori provenienti,previo concorso interno, dai vari gradi del ruolo Ap-puntati e Carabinieri. Nel contempo a Velletri, accantoallo svolgimento del primo anno dei corsi biennali e ainumerosi corsi aperiodici di aggiornamento professionalee di specializzazione, erano avviati nuovi corsi AllieviMarescialli, semestrali e poi annuali, riservati al passaggiointerno dai ruoli Sovrintendenti e Appuntati e Carabi-nieri. Tra i requisiti per l’ingresso dai civili al ruolo degliIspettori fu introdotto nel 1996 anche il possesso del

diploma di istruzione secondaria di secondo grado, con-sentendo così l’accesso ad insegnamenti di livello uni-versitario. L’estensione, dal 2011, del ciclo formativoordinario dei giovani marescialli a ben tre anni di corso,consente oggi il conseguimento della laurea di I livelloin “Scienze giuridiche della sicurezza”.Con la costituzione a Vicenza del “Centro di Eccellenzaper le Stability Police Units” (CoESPU), il 1° marzo2005, fu necessaria la soppressione del Reggimento Al-lievi Brigadieri e il trasferimento dei relativi corsi trime-strali di qualificazione e di formazione professionalepresso il Reggimento di Velletri, ridenominato “1° Reg-gimento Allievi Marescialli e Brigadieri”.Nel frattempo, fin dal 2001, erano avviati a Firenze, inlocalità Castello, i lavori per la realizzazione di unanuova grande struttura nella quale poter ospitare i fre-quentatori dei corsi pluriennali durante l’intero cicloformativo. La caserma, consegnata nell’aprile 2016 eintitolata alla memoria del Maresciallo Maggiore MOVM

Felice Maritano, caduto nella lotta al terrorismo di ma-trice eversiva, è stata inaugurata dal Ministro della Difesail 24 settembre dello stesso anno, con il definitivo tra-sferimento della Scuola dalle storiche sedi di Santa MariaNovella e della caserma Baldissera. Il 2 dicembre 2008a Velletri, nel corso della cerimonia di Giuramento degliAllievi del 13° Corso biennale Allievi Marescialli, è stataappuntata alla Bandiera d’istituto della Scuola Maresciallie Brigadieri una “Croce d’Oro al Merito dell’Arma deiCarabinieri”, concessa con Decreto del Ministro dellaDifesa per aver la Scuola forgiato nel tempo “innume-revoli generazioni di Comandanti di Stazione e di unitàminori, educandoli alla lealtà e al coraggio, per la difesadella Patria e la salvaguardia delle libere Istituzioni”:come aveva indicato il beneagurante auspicio inciso sulmarmo quel lontano aprile 1920.

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60 IL CARABINIERE - OTTOBRE - 2019

Storia

L’ESTREMOSACRIFICIO di

MARCO PATRICELLI

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Alfonso Bartolini e Alfredo Terrone in I militarinella guerra partigiana in Italia (pubblicato nel 1998dallo Stato Maggiore dell’Esercito - Ufficio Storico) –sono diversi i carabinieri che fanno la scelta di campodella Resistenza, nelle forme che i tempi e le circo-stanze permettevano in un territorio quasi subitooccupato dai tedeschi e dove si sarebbe presto rami-ficato il fascismo di Salò. Tra i militari dell’Arma citati c’è il Generale abruzzeseGiuseppe Dezio (non marchigiano, come erronea-mente riportato nell’elenco dei decorati), «fucilatocome ostaggio a Villatora di Padova». Poche sinteticherighe per un personaggio e una vicenda che ricordanol’assai ben più nota figura del Vice Brigadiere SalvoD’Acquisto, entrato invece nell’immaginario collet-tivo come l’eroe che offrì la sua vita in cambio diquella di ostaggi innocenti e che venne fucilato daitedeschi il 22 settembre 1943. La divisa dei Carabi-nieri, come sottolineato sin dal 1965 dallo storicoEnzo Piscitelli in Storia della Resistenza romana, inquei frangenti di sbando e di dura reazione tedescaappare subito avvolta da un alone di rispetto. L’abruzzese Dezio non era un giovane come D’Ac-quisto, ma un uomo maturo, anziano per quei tempi,che aveva già concluso la sua carriera militare. Eranato a Montesilvano, in provincia di Pescara, nel1877 ed era entrato nell’Arma nel 1900. Aveva at-traversato l’ultimo frangente dell’unità nazionale nel

Ricorrono questo mese i 75 anni dal tragico eccidio di Villa Bauce, Padova, dove 44 innocenti cadderovittime di una rappresaglia nazista. Tra di loro, ancheil Generale Giuseppe Dezio, che aveva tentato in ogni modo di salvarli offrendo in cambio la sua vita

Già all’indomani dell’8 settembre 1943 ilmovimento di liberazione vede schieratidalla sua parte i Carabinieri, fedeli al giu-

ramento al Re e con un senso dello Stato rimastosaldo lì dove era invece crollato in altre espressionidelle Istituzioni. Nel Padovano – come riportato da

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1915-1918, il Ventennio fascista, una guerra perdutae aveva assistito a quella civile, la più spietata di tutte.Il Secondo conflitto mondiale volgeva al crepuscolo,in quell’aprile del 1945 in cui il destino non diede alGenerale di Brigata la possibilità di vedere l’alba dellaLiberazione ormai imminente. Si trovava a Villatora di Saonara, vicino a Padova,paese natale della moglie, quando una banda parti-giana proveniente dal Camin tentò un’azione di di-sarmo del locale presidio, nella convinzione che lanotizia della resa dei nazifascisti in città avrebbe sem-plificato le cose. I tedeschi, invece, reagirono. Neseguì uno scontro a fuoco che lasciò tre soldati dellaWehrmacht a terra (o due feriti secondo altre fontiorali). La rappresaglia era stata immediata, brutalecome poteva essere quella di un esercito in ritirata enella tradizione sanguinaria delle SS. Nelle campagnecircostanti erano stati rastrellati 44 ostaggi e il lorodestino appariva segnato. Dal 1943 i bandi del Feld -maresciallo Albert Kesselring trovavano non solopuntuale ma anche esagerata applicazione: le stragiper vendetta non avevano risparmiato fin allora nes-suna regione italiana, da Pietransieri a Marzabotto,dalle Fosse Ardeatine a Sant’Anna di Stazzema. È a quel punto che sulla scena irrompe il GeneraleDezio, precipitatosi in paese dalla sua villa che, al-l’insaputa dei nazifascisti, era un punto di ritrovodella Resistenza. Per quanto in congedo, conta sulsuo passato, sulle decorazioni, sull’alto grado che nei

militari tedeschi fa sempre un certo effetto e suscitarispetto nonostante i Carabinieri, pur ammirati, sianosempre stati avversati proprio per la loro fedeltà e ilsenso dell’onore. È lo stesso motto delle SS, ma per imilitari di partito è un falso alibi, essendo fanaticinazisti (il Corpo sarà definito e riconosciuto giuridi-camente “criminale” al processo di Norimberga) cheignorano ogni regola cavalleresca. Dezio, visto vano ogni tentativo di salvare la vita degliostaggi, si offre al loro posto. Abbia davvero pronun-ciato le parole che gli sono state attribuite, «Se unarappresaglia si vuole compiere, sia fatta a me, ma siarisparmiato sangue innocente», poco importa. Quelche è certo è che né la sua autorevolezza né le sueparole fanno breccia tra le SS. Il Generale viene subitofreddato con un colpo alla nuca e il suo corpo scara-ventato in un fossato sul ciglio della strada, anticipandoil destino degli ostaggi che aveva tentato di salvare. L’eccidio di Villa Bauce si consumava nelle ultimeconvulsioni del nazifascismo, mentre la guerra volgevaal termine, nel giorno stesso dell’uccisione di Mus-solini da parte di una squadra di partigiani all’ingressodi Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra. Per il suogesto Dezio veniva insignito della Medaglia d’Argentoal Valor Militare “alla memoria”. La motivazione, in-trisa della retorica dell’epoca, ne ricorda il senso deldovere, l’impegno nella lotta per la libertà e l’estremosacrificio. Al suo nome l’Arma ha dedicato, l’11 luglio2006, la caserma sede del Comando InterregionaleCarabinieri «Vittorio Veneto» a Padova; il Comunein cui era nato, Montesilvano, il 21 settembre 2016,una scuola d’infanzia.

IL CARABINIERE - APRILE - 2020 61

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Èavvenuto in una forma a dir poco inedita, loscorso 23 marzo, l’avvicendamento nell’inca-rico di Vice Comandante Generale dell’Arma

tra il Generale di Corpo d’Armata Ilio Ciceri e il Ge-nerale di Corpo d’Armata Gaetano Maruccia. La no-mina era stata deliberata dal Consiglio dei Ministridel 16 marzo, su proposta del Ministro della DifesaOn. Lorenzo Guerini.Per la prima volta e nel rispetto delle misure governativevolte a mitigare la diffusione del virus COVID-19, latradizionale cerimonia ha lasciato il posto a un pas-saggio di consegne avvenuto tramite una videoconfe-renza presieduta dal Comandante Generale GiovanniNistri, che dalla sede di Viale Romania ha formalizzatol’avvicendamento tra i due alti Ufficiali. In collega-mento video, anche gli altri Comandanti di Verticedell’Istituzione.L’emergenza sanitaria ha dunque inciso sulla consuetaparata militare che ha sempre fatto da cornice alla ce-rimonia di cambio del Vice Comandante, ma nulla ècambiato nella sostanza di un evento così importante

per l’Istituzione. I tradizionali discorsi di saluto hannolasciato il posto al dialogo tra i Vertici dell’Arma, mo-mento durante il quale il Generale Nistri ha rivoltoparole di apprezzamento e gratitudine al GeneraleCiceri per l’importante apporto fornito, augurandoglidi proseguire l’ottimo lavoro nell’incarico che man-tiene al Comando Interregionale “Podgora”, con com-petenza sulle regioni del Centro Italia. Al GeneraleMaruccia il Comandante Generale ha formulato levivissime felicitazioni per l’alto traguardo raggiunto,ringraziandolo anticipatamente per tutto quel chefarà per sostenerlo nella delicata azione di comando.Il mandato di Vice Comandante Generale dell’Arma,che per legge viene conferito per la durata di unanno al più anziano tra i Generali di Corpo d’Ar-mata, sarà rivestito dal Generale Maruccia congiun-tamente al proprio incarico di Comandante Inter-regionale “Pastrengo” a Milano. Città in cui rimarràancora a causa di un’emergenza sanitaria che vedeproprio questa città, con la Lombardia tutta, sulfronte più difficile.

di ORAZIO

IANNIELLO

Eventi

IL CARABINIERE - APRILE - 202062

PASSAGGIODI CONSEGNE

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L’emergenza

Come ci si sente ad essere Carabiniere, a lavorarein prima linea nel bel mezzo di quella che l’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità ha qualifi-

cato come un’emergenza pubblica di rilevanza interna-zionale? Lo chiediamo a uno dei nostri ragazzi, unodegli oltre 200 Carabinieri che da giorni sono impiegatisenza risparmio tra i rinforzi inviati nelle zone più colpitedel Nord Italia, quelle che sono diventate Zone Rosseprima che il Paese intero lo divenisse, costringendo mi-lioni di persone a un’inedita forma di solitudine. “Mi sento orgoglioso di essere qui, a fianco della miagente, a confortarla col calore della mia uniforme e delmio sorriso anche in questi momenti di smarrimento edi sconforto. È il senso profondo del nostro essere, delnostro lavoro di ogni giorno. Con e senza un virus adiffondere nell’aria quell’invisibile minaccia davanti allaquale ci siamo scoperti tutti inermi”.

Ci saranno stati, immagino, anche dei momenti dipaura… essere Carabiniere non significa esserne im-muni…“Certamente. Ne ho avuta la sera che ho ricevuto la te-lefonata del mio Comandante che mi preannunciaval’imminente impiego a Codogno dalla mattina succes-siva. Ero a cena a casa con mia moglie e i miei due figli,aspettavo di godermi un turno di riposo con la mia fa-miglia. Li ho guardati, ho pensato a cosa sarebbe acca-

duto in caso di un mio contagio, all’ipotesi che lo avessitrasmesso anche a loro. Li ho baciati in silenzio e hopreparato i bagagli. La paura, in realtà, ce l’ho tuttora.Mi accompagna silenziosa in ogni ora trascorsa in ser-vizio. Ogni giorno, a inizio e fine turno, ci sottopongono

di ANTONIO

FORTE

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ZONA ROSSAESSERE CARABINIERE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

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a uno scrupoloso screening presso i nostri comandi.Misuriamo la nostra temperatura corporea almeno duevolte al giorno, controlliamo i kit di protezione indivi-duale e l’equipaggiamento, sanifichiamo i nostri mezzi.È come un rito propiziatorio: ci guardiamo negli occhie quel silenzio basta a darci la carica per iniziare le nostregiornate ai margini delle Zone Rosse. Per rendere il mi-glior servizio possibile e regalare serenità alla popolazione.È in quei momenti che, assieme ai miei colleghi, com-prendiamo che affrontare la paura, in fondo, è il destinodi ogni Carabiniere: il segreto sta nel non temerla, maabbracciarla e lasciarla fluire dentro di noi affinché di-venti motore per il nostro cuore e il nostro coraggio.Così ho fatto”.

Quali sono stati i momenti più duri del tuo servizio?“È stato difficile, ad esempio, essere costretto a impedirea tante persone, padri e figli, mogli e mariti, fidanzati efidanzate, di incontrarsi in Zona Rossa. Impedire lorodi entrare e uscire dalle aree chiuse. Le regole di preven-zione e profilassi, del resto, sono fondamentali in questasituazione di emergenza, che comporta grandi sacrificiper tutti. La nostra umanità, la nostra vicinanza allepersone, sono cardini del nostro operato. Ma altrettanto

IL CARABINIERE - APRILE - 2020 67

deve esserlo il rigore e la cura nel tutelarle al meglio. Hoparlato tanto con la gente, per consigliarla, informarla,indirizzarla verso i comportamenti corretti da adottare.E ho ricevuto tanta gratitudine. Avrei voluto stringerletutte, quelle mani che la gente istintivamente mi porgeva;avrei voluto prenderli tutti, quegli abbracci di affettoche nascevano spontanei per essere poi, quasi con ver-gogna, repressi. Perché è sempre questa, e ancor piùoggi, la più grande ricompensa per il lavoro che svol-giamo insieme ai colleghi delle altre Forze di polizia eForze Armate, medici, infermieri, volontari: l’affettodelle persone che ci sentono presenti accanto a loro.Oggi come sempre”.

E quelli più emozionanti?“Durante i quotidiani posti di controllo e il presidio aivarchi, i cittadini ci hanno portato caffè e bevande calde,cibo, sorrisi. Il loro grazie si mescolava al nostro, e inentrambi i casi era un grazie che veniva dritto dal cuore.Era come far parte di una grande famiglia. La nostraforza. Ma c’è un momento, in particolare, che non scor-derò mai. Quello in cui, sotto la pioggia battente, hoconosciuto il piccolo Luca. Frequenta la prima elemen-tare, questo piccolo ometto di Somaglia, in Provinciadi Lodi. Pur di venire a salutarci, non si è fatto scorag-giare dal maltempo e si è fatto accompagnare dallanonna presso il varco dove eravamo impegnati per uncontrollo. Inaspettato, gradito, commovente il disegnoche ci ha donato: raffigura una nostra automobile e unCarabiniere che tiene per mano un bambino. Il tuttoaccompagnato da tre parole apparentemente semplici,ma in realtà capaci di provocare nei nostri cuori un ef-fetto dirompente: GRAZIE PER TUTTO”.

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72 IL CARABINIERE - APRILE - 2020

«Sono nata, per uno strano gioco del destino, il5 giugno, giorno della Festa dell’Arma, e vis-suta da sempre all’interno di un Comando

dell’Arma, poiché mio padre, per oltre trent’anni, è statoun Comandante di Stazione. Sono appassionata di scialpino, sport che amo condividere nel tempo libero conil mio compagno, anch’egli Carabiniere, e inoltre sonouna maestra di sci civile e Istruttore militare di sci. Ar-ruolata nel 2009, dopo la scuola di Velletri e Firenzesono stata destinata alla Stazione di Canazei (Tn) comesottordine per poi passare, per scelta, nei Comandi Sta-zione di Vigo di Fassa e Cavalese. Nel 2015 mi è statoproposto il Comando della Stazione di Molina diFiemme, occasione che ho deciso di accettare con molto

di NICOLETTA

ARCHILEI

MOLINA DI FIEMME. UNA DONNA AL COMANDO

entusiasmo, nonostante i timori iniziali derivanti dallamia giovane età. E così, dal primo gennaio del 2016, co-mando la Stazione di Molina di Fiemme e a tutt’oggisono l’unica donna Comandante di Stazione nell’ambitodella Legione Carabinieri “Trentino Alto Adige”».Così, con le sue parole vogliamo presentarvi il MarescialloOrdinario Paola Maddalozzo, la prima donna Coman-dante che ospitiamo nella nostra rubrica; con lei, allaStazione Carabinieri di Molina di Fiemme, in provinciadi Trento, troviamo il Brigadiere Capo Raffaele Caccia-puoti, l’Appuntato Scelto Daniela Iellici e l’AppuntatoAlfonso Landi. Il territorio di questo Comando ha unavastità di circa 106 kmq, la gran parte dei quali ricopertida boschi e ha competenza su tre Comuni: Castello-

La Stazione

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IL CARABINIERE - APRILE - 2020 73

Comando è impiegato anche nei servizi di soccorso e vi-gilanza sulle piste da sci.Un territorio da fiaba, quello della Val di Fiemme, ma incui non mancano criticità. Basti pensare a quando, nel-l’ottobre del 2018, è stato colpito dalla “tempesta Vaia”che, a causa di una forte perturbazione atlantica con ventiche hanno soffiato per diverse ore tra i 100 e i 200 km/h,ha provocato lo schianto di milioni di alberi e la distru-zione di decine di migliaia di ettari di foreste alpine. Pro-prio a questo episodio è legato un ricordo del MarescialloMaddalozzo: «Dopo due giorni nei quali, a causa di uncontinuo peggioramento delle condizioni atmosferiche,il personale di questo Comando ha collaborato ininter-rottamente con il Corpo dei Vigili del Fuoco nel moni-toraggio e nella messa in sicurezza delle aree sensibili delterritorio, nella serata del 29 ottobre 2018, a seguito diuna riunione d’urgenza effettuata con il Sindaco e con iVigili del Fuoco e la Protezione Civile, abbiamo dovutoevacuare, in condizioni di grande pericolo per l’incolumitàdegli operatori e degli abitanti, parte dell’abitato di Molinadi Fiemme. Il paese era gravemente minacciato dalla pos-sibile esondazione del fiume Avisio, che aveva raggiuntouna portata mai riscontrata prima».Per concludere la nostra conoscenza con la ComandanteMaddalozzo, inevitabile e forse persino scontata la do-manda su cosa significhi, per una donna, rivestire il suoruolo: «Il fatto di essere la prima Comandante di Stazionedi questa Legione – ci ha confidato – ha ovviamente su-scitato curiosità, forse persino un po’ di diffidenza nellapopolazione, ma solo all’inizio del mio mandato. Ora,dopo circa quattro anni, posso ritenermi molto soddi-sfatta del rapporto che ho instaurato con i miei concit-tadini e con i miei colleghi, che ringrazio di cuore perquanto si sono dimostrati collaborativi e rispettosi delmio ruolo».

Molina di Fiemme, Capriana e Valfloriana. La realtà del meraviglioso paesaggio montano in cui sitrovano a operare i Carabinieri della Stazione di Molinadi Fiemme, che deve il suo nome ai mulini spinti dalleacque dell’Avisio, è caratterizzata, oltre che dall’artigianatolegato alla lavorazione del legno, soprattutto dal turismo,presente sia nella stagione estiva sia in quella invernale, equesto impone al personale una costante attività di pre-venzione e di repressione contro i reati di microcrimina-lità. «Oltre che nei servizi di prossimità e vicinanza allapopolazione, i nostri militari sono impegnati anche nelcontrasto ai reati connessi allo spaccio e all’assunzionedi sostanze stupefacenti, fenomeni che non hanno ri-sparmiato nemmeno questo territorio apparentementelontano dalle malattie del nostro tempo». Un impegno,quello profuso dagli uomini del Maresciallo Maddalozzo,che recentemente ha portato alla chiusura di un eserciziopubblico che era divenuto un importante centro di spac-cio, con il conseguente arresto di diciotto persone. Du-rante la stagione invernale, poi, il personale di questo

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LA BELLEZZA MINACCIATA

INVIATA SPECIALE per VIAGGI SPECIALI

Dalle calli di Venezia alle spiagge della Sardegna, passando per laForesta amazzonica, sono tanti

i tesori del mondo che rischiano discomparire: visitiamoli con rispetto,perché conoscere sia anche tutelare

di LICIACOLÒ

Che cosa hanno in comune le affascinanti pi-scine naturali di Vulcano nelle isole Eolie, lacittà di Venezia con le sue strade d’acqua e la

fitta e profonda vegetazione della foresta amazzonica?A un primo sguardo si potrebbe rispondere poco oniente, a parte il fatto di essere, ognuno in un mododiverso, ambienti di rara bellezza. Perché ve ne parlo,allora? Perché a rendere questi luoghi distanti così si-mili è un destino comune: il rischio di scomparire. Ilmotivo è tristemente noto: il cambiamento climatico,oltre all’incuria di noi umani che troppo spesso ci il-ludiamo che le nostre azioni non abbiano conseguenzeper la natura. Sappiamo che non è così. Le scelte che

facciamo oggi avranno effetti più o meno visibili do-mani. E il problema è che i grandi ritardi accumulatiin passato oggi rischiano davvero di farci perdere al-cuni luoghi della terra. Luoghi che però andrebberodifesi e valorizzati anche scegliendoli come mete diun viaggio consapevole e rispettoso: quello di chi vain un luogo non solo per prendere o ricevere qualcosa,ma anche per dare e soprattutto per conoscere la realtàe le problematiche del luogo. Le mete non mancano di certo. Se parliamo di luoghia rischio, nessuna area geografica è al sicuro. Il pro-blema riguarda tanto posti e paesi distanti quantocittà a pochi passi da casa nostra. Basta pensare a Ve-

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nezia. L’acqua alta straordinaria di 187 centimetridello scorso dicembre ha fatto aprire gli occhi ancheai più scettici. Questa città nata sull’acqua è un labi-rinto di calli strette, ponti e piazzette dall’aspetto sug-gestivo che si aprono quasi per magia davanti ai nostriocchi increduli. Perdercisi è quasi un piacere, un’espe-rienza da fare. Nessuna città le assomiglia. Si dice chesia “la città più romantica del mondo”, che visitarlasia un’esperienza che non si dimentica. Eppure proprioquesto luogo che sembra lontano dal mondo e daltempo fa i conti con il pericolo dell’innalzamento dellivello del mare. E non è il solo. Numerosi rapportiscientifici, tra cui uno curato dall’ENEA, hanno previ-sto che entro il 2100 il livello del Mediterraneo po-trebbe alzarsi di un metro. E lo stesso potrebbe avve-nire dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. Un altro luogo esemplare di questa situazione, anchese meno conosciuto, sono le pozze di Vulcano nelleIsole Eolie. Si tratta per me di un luogo del cuoreperché legato a ricordi d’infanzia e di vita, come suc-cede a ognuno di noi. È qui che passavo le mie estati

IL CARABINIERE - APRILE - 2020 95

di bambina ed è qui che ho scoperto le pozze di fango:piscine naturali a pochi metri dal mare, dove ci sipuò immergere. Vi sono tornata molti anni dopo edè con grande stupore che ho visto le pozze quasi pro-sciugate. Il motivo? Le troppe persone che prendonoil fango e se lo portano a casa, come fosse un souvenir.La stessa cosa che accade su tante spiagge della Sarde-gna, tanto che da alcuni anni all’aeroporto di Cagliarivengono fatti dei controlli proprio per vedere se i tu-risti hanno nascosto qualche campione di sabbia nellavaligia. Pensate che solo nel 2019 ne sono stati trovatiben 250 kg, nei bagagli dei viaggiatori. E poi c’èl’Amazzonia: il grande polmone della terra, dove tragennaio e agosto 2019 il numero di incendi è au-mentato del 145% (rispetto all’anno precedente) nellaquasi totale indifferenza. Eppure conoscere questa fo-resta, visitarla, scoprire le storie degli indios che laabitano è il primo modo per non rimanere indifferentie sentirsi ognuno di noi responsabile per questo im-menso tesoro di ossigeno e biodiversità. Non si trattadi un viaggio dedicato solo ai più avventurosi e atletici.Oggi ci sono tantissime realtà che consentono di visi-tarla in modo confortevole, facendosi guidare daglistessi indios che in questo modo possono contare suun piccolo reddito che però consente loro di rimanerea proteggere la foresta. Anche per loro credo che viaggiare, conoscere, fareesperienza del mondo sia il primo antidoto all’incuria,la prima scintilla di un cambiamento necessario.

Sopra: le pozze di fango di Vulcano subiscono l’assalto deituristi che amano asportarne i preziosi sedimenti. A fianco: la splendida, fragilissima Venezia

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102 IL CARABINIERE - APRILE - 2020

suggerirgli di cambiarlo perché ricordava troppo labattaglia napoleonica. Aveva dimostrato subito unapropensione per il ballo, era approdato a Broadway edi lì a un contratto con la casa di produzione RKO.Anche Ginger Rogers aveva messo a frutto il suotalento per la danza e, dopo un passaggio a Broadway,era stata scritturata dalla Paramount nel 1930 e in treanni aveva svolto un apprendistato tra musical e com-medie di poco conto. Poi, l’incontro decisivo.In Cappello a cilindro sono indiscussi protagonisti. Latrama inizialmente non aveva convinto troppo Astaire.Geloso com’era della sua immagine, vedeva dellenegatività nel suo personaggio di scapestrato e libertino.Il suo ruolo è quello di Jerry Travers, galante ballerinoche sta per esibirsi su un palcoscenico londinese, quando

C appello a cilindro di Mark Sandrich è statorealizzato nel 1935, nell’epoca d’oro diHollywood, ed è esemplare di un genere, il

musical, e del talento artistico di una coppia, FredAstaire e Ginger Rogers, ancora oggi capace distupire per il virtuosismo, l’intesa e la magicaatmosfera che la circonda.Fanno parte dell’Olimpo del divismo hollywoodiano,Ginger e Fred, per sempre coppia, a evocare subito iltip tap, quello strano modo di danzare con la punta eil tacco delle scarpe, presi in ritmi che, per quanto ac-celerati, non perdono mai la grazia. Ultima, affascinanteespressione di un rituale erotico di corteggiamento incui il maschile e femminile si provocano fra loro, simettono in scena e si scelgono. Fred e Ginger si sonoscelti e non a caso hanno girato insieme dieci film insedici anni, l’ultimo, I Barkleys di Broadway nel 1949,l’unico in Technicolor. Per noi restano immersi nelbianco e nero, nel bianco dei salotti delle suite artdéco dello scenografo Van Nest Polglase, tagliato dalnero degli smoking e dei cappelli a cilindro. Biancocome Ginger e nero come Fred, gli opposti che sitoccano e si fondono in un vortice meraviglioso.Quando interpretano Cappello a cilindro (Top Hat), iloro percorsi si sono già incontrati da due anni. Lihanno messi insieme in Flying Down to Rio, dove sisono fatti notare prima con il numero di ballo e cantoCarioca, e poi in Cerco il mio amore e Roberta. ConCappello a cilindro, l’alchimia è completa. Fred eGinger sono all’unisono: ballando e cantando nonfanno solo spettacolo, si raccontano.Fred si chiamava Austerlitz di cognome: fu la madre a

SettimaArte

di GUIDO

BARLOZZETTI

CON LA PUNTA E CON IL TACCO

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IL CARABINIERE - APRILE - 2020 103

in un albergo incontra lei, Dale Tremont, nel modo piùcoerente con la sua passione. Sta infatti ballando in unasuite, al punto da disturbare lei che sta dormendo nellacamera al piano di sotto. Parte di lì una serie di equivoci,perché l’infatuazione reciproca è istantanea, ma inmezzo ci si mette che lei lo scambia per il marito diun’amica e dunque lo ritiene un conquistatore sleale.Fino a che si ritrovano al Lido di Venezia e lì, nelpanorama fiabesco che si poteva ricostruire in unostudio di Hollywood, gli equivoci si sciolgono, in unarutilante successione di situazioni pochade. Vi inter-vengono l’impresario di Fred, il compassato HoraceHardwick di Edward Everett Horton, marito diMadge/Helen Broderick, l’amica che ha invitato Dale araggiungerla con Alberto Beddini (Erik Rhodes), ilfocoso stilista spagnolo che non solo le disegna i vestiti,ma vorrebbe anche sposarla. C’è anche il maggiordomodi Horace, che si traveste per pedinare Dale. Inevitabilmente, le barriere cadono e Fred e Ginger siuniscono nell’ultimo numero musicale, una coreografiacon schiere di ballerini che passa da un piano all’altrodel set veneziano al passo del Piccolino. Ma la trama non rende conto del ritmo del film, del-l’alternarsi di blocchi di scene comedy con le canzonie il ballo. Fred e Ginger saltano nella dimensione delmusical, guidati dalle coreografie di Hermes Pan esulle note di Irving Berlin, dal No Strings iniziale, incui Fred professa la sua libertà rispetto al matrimonio,

a Isn’t This a Lovely Day?, insieme, per la primavolta con lei, nel parco, sotto la pioggia, poi

due numeri memorabili: Top Hat, WhiteTie and Tails, in cui Fred finge di

“sparare” con il bastone a uno stuolodi ballerini, e Cheek to Cheek, in cui il

trasporto fra i due è pieno. Insomma, un miracolo di cinema, realiz-

zato grazie alla regia di Mark Sandrich,ritmo, movimenti della camera nello spazio,

riprese no-stop dei numeri musicali, e a unasquadra di professionalità straordinarie dietro

la macchina da presa.Le riprese durarono poco più di un paio di mesi. Il

film uscì nell’estate e fra Stati Uniti e Canada registròun incasso record di più di tre milioni di dollari. Ilpiù bello, elegante e travolgente cappello a cilindroche si sia mai visto sullo schermo.

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108 IL CARABINIERE - APRILE - 2020

Un’uscita di scena alla Greta Garbo, trarose scarlatte e trionfi passati, una let-tera e qualche accenno alla commo-

zione. Di rimpianti, però, per una come lei, ne-anche l’ombra.Diva e divina Maria Sharapova, la bionda Venereha detto addio per sempre al tennis. Un pezzo divita incastrata tra sogni, sconfitte e vittorie, chese ne va. Trentatré anni il prossimo 19 aprile, finoa qui vissuti da vera imperatrice, nel bene e nelmale... Dentro l’Inferno e il Paradiso che abitanol’incredibile sport del tennis.Con una lettera aperta pubblicata su Vogue, allastessa maniera con cui nel 2016, in conferenzastampa, annunciò al mondo il suo doping che hapagato con una squalifica di 15 mesi, la pluricampio -

nessa russa, ex numero uno, vincitrice di cinqueslam, ha annunciato che non è più questo iltempo per le sfide, non è più questo il tempodi riprovarci. A bloccarla, ormai da diversestagioni, un brutto problema alla spalla.«Come fai a lasciarti alle spalle l’unica vita chetu abbia mai conosciuto? Come ti allontani daicampi su cui ti sei allenata da quando eri bambina,il gioco che ami – che ti ha portato dolori e felicitàincredibili – uno sport in cui hai trovato unafamiglia, insieme ai tifosi che ti seguono da sempre?Sono nuova a questa sensazione, quindi per favoreperdonami. Tennis, ti sto dicendo addio».Con eleganza e con quella forza mentale che sulcampo l’ha resa unica e immortale agli occhidel mondo, la Sharapova ricorda quello che ha

LA ZARINA DEL TENNIS

FuoriCampo

Gian Piero Galeazzi

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IL CARABINIERE - APRILE - 2020 109

dato, vinto e costruito nella sua incredibilecarriera. Malgrado i numerosi infortuni, è statauna delle giocatrici più longeve del circuitofemminile, avendo vinto almeno un torneosingolare per 13 anni consecutivi. Di certo,anche la più competitiva di sempre... hannodichiarato leggende del passato come MonicaSeles e John McEnroe.Bellissima, discussa, amata e odiata, per tantiuna leggenda vivente: ha conquistato a 17 anniWimbledon (prima di lei solo Martina Hingis)scalando in poco meno di un anno le classifichemondiali: numero 1 a 18 anni compiuti. Secondola rivista Forbes è stata la tennista più pagata almondo, il suo patrimonio netto si aggirerebbeattorno ai 195 milioni di dollari, 37 solo dimontepremi. E ancora (se non bastasse) è statainserita nella lista delle celebrità più potenti delpianeta. Sponsor, contratti milionari, un branddi abbigliamento sportivo che vale oro, uno dicaramelle e una tavoletta di cioccolata che portail suo nome. Cura un blog personale e vanta

diverse collaborazioni nella moda: possiamodormire sonni tranquilli, insomma... il futurodella siberiana è assicurato!La Sharapova si è fatta da sola. Il destino non sisceglie ma lei se l’è costruito, indossandolo conquell’arroganza che a molti non piace ma senzapaure (per questo non è stata mai molto amatadalle sue colleghe). Maria, per tutti Masha, hasolo sei anni quando incontra la campionessaMartina Navratilova: sarà allora che i venti freddidella Siberia la porteranno tra gli allori del grandetennis. Vola in America, qui le prime lezionicon Nick Bollettieri, i primi test sul campo, itornei, i riflettori che pian piano illuminerannola strada di questa stella appena nata. Il resto è storia. Una storia che riempirà gliannali e consacrerà giovani leggende del tennis,aspettando di vedere una nuova Masha sventolare,tra urla graffianti e spalti pieni, quella lungatreccia bionda sui magnifici campi di tutto ilmondo.

(Con la collaborazione di Iacopo Mirabella)

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126 IL CARABINIERE - APRILE - 2020

Mai come in questo pe-riodo abbiamo bisognodi prenderci cura di noi

stessi, fisicamente e psicologica-mente. La pandemia del Coronavi-rus ci ha davvero feriti nel profondoe penso che, quando finalmenteusciremo dal tunnel, nessuno di noi

sarà più come prima. Passerà alla storia, questa veratragedia di proporzioni inimmaginabili. L’unica cer-tezza, oggi, è che il nostro fisico meglio sta e megliopuò riuscire a sconfiggere i virus e i batteri con cuiviene a contatto; che mantenerci in salute è fonda-mentale, anche per avere una forza maggiore per di-fenderci quando siamo sottoposti ad attacchi esterni. In questo nostro nuovo appuntamento non potevonon parlarvi di virus, batteri e alimentazione. È dav-vero importante conoscere approfonditamentequanto ciò che mangiamo possa aiutarci o al con-trario indebolirci. Quel che portiamo sulla nostratavola è fondamentale per la salute del nostro corpo.Ormai lo sappiamo: non bastano i farmaci, sonodeterminanti anche il nostro stile di vita e la dietaquotidiana. La scelta degli alimenti, la loro giustacombinazione, così come la qualità dei cibi non an-drebbero mai sottovalutati. Anzi!

Lasalute vienmangiando

di ROSANNA

LAMBERTUCCI

GLI ALIMENTI?CHE COMBINAZIONE!

Ho chiesto aiuto, per trattare questo delicato argo-mento, al dottor Fausto Aufiero, esperto in Bioterapianutrizionale. Di cosa si tratta? Di una metodica tera-peutica che utilizza gli alimenti e le loro associazioniper prevenire e curare le malattie, fatta eccezione perquelle particolarmente gravi. Il che non vuol dire tra-scurare o abolire i farmaci! Ma possiamo sostenere ilnostro organismo con gli alimenti e le loro giustecombinazioni. Il cibo, lo ricordo, insieme al movi-mento è la nostra prima medicina.Lascio la parola al dottor Aufiero: «Scegliendo deter-minati alimenti e associandoli insieme, è possibile at-tenuare, ma anche risolvere le sindromi microbiche emigliorare le difese organiche. Sono tanti i cibi chehanno un potere antibatterico e antivirale. Per esem-pio, numerose spezie come il peperoncino, i chiodidi garofano, la cannella, la noce moscata, la curcumasono alleate dell’organismo. Anche l’aglio e la cipollanon dovrebbero mancare nella nostra dieta abituale.Così come gli alimenti ricchi di vita-mina C e acido citrico. In questoperiodo dell’anno troviamotanta vitamina C non solonella frutta, ma nel magicomondo dei vegetali, ricchianche di sali minerali. Ricor-

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La ricetta dello chef Fabio Campoli

MINESTRA DI SPAGHETTI CON LENTICCHIE, GAMBERI E BROCCOLI

INGREDIENTI (per 4 persone)

diamo però che la C è una vitamina termolabile, sidistrugge cioè con il calore e si perde anche conser-vando troppo a lungo frutta e vegetali. Quindi sce-gliamoli sempre freschissimi, meglio se “a km 0”, econsumiamoli il prima possibile».Tra la frutta, quale privilegiare? «Le fragole, i frutti dibosco e tutti gli agrumi, con l’acido citrico del limonee del pompelmo in particolare: tutti agiranno in si-nergia per potenziare le capacità di difesa nella lottadell’organismo contro i microbi. Ottimo anche l’avo-cado, sia condito con sale e limone, sia sotto forma dicrema con l’aggiunta di aglio crudo. Mentre le verdureè ideale consumarle in maniera semplice: per esempioripassate in padella con olio extravergine di oliva,aglio e peperoncino. Meno adatte le cotture con be-sciamella o altre ricette al forno troppo elaborate». Dottore, può darci altri consigli pratici per portare intavola piatti gustosi e al tempo stesso in grado di rin-forzare il nostro fisico? Come possiamo, ad esempio,cucinare la tanto amata pasta, piatto prediletto di noiitaliani!, e al tempo stesso aumentare le energie di di-fesa? «Ci sono degli ottimi abbinamenti dei carboidraticon alcuni alimenti per ottenere una preparazioneantibatterica e antivirale», ci spiega. «Spaghetti aglio,olio e peperoncino, oppure una pasta con le cipolle,o ancora all’arrabbiata o alla marinara. Benissimo an-che la pasta con il cavolfiore o con i fiori di zucca, ola tradizionale pasta e lenticchie». E infine, preparazioni alimentari naturali che ci pos-sono essere d’aiuto se non ci sentiamo bene? «Soprat-tutto, nei momenti critici, meglio limitare il consumodelle proteine: faciliteremo il lavoro del fegato e deireni. E poi possiamo scegliere rimedi bionutrizionalicome il brodo di pollo, la mela caramellata o al forno,le patate bollite con aglio crudo, la tisana di limone eaglio, quella di cipolla con lo zucchero o magari dichiodi di garofano e cannella, che ha un’azione disin-fettante, antibiotica e antivirale».Come si prepara quest’ultima? Fate bollire per cinqueminuti due chiodi di garofano e un centimetro di

stecca di cannella in un bicchiere d’acquascarso. Realizzerete così una tisanache filtrerete e berrete durante la

giornata. Magari unpo’ lunga…

IL CARABINIERE - APRILE - 2020 127

Fate rinvenire le lenticchie in acqua tiepida per non più di 10 minuti, poi versatelein una piccola pentola e copritele con il brodo di pesce, aggiungendo il sedano,la carota e la cipolla tagliate a brunoise. Inserite anche il mazzetto di erbearomatiche e portate in cottura con un coperchio a fiamma bassa, lasciandocuocere le lenticchie delicatamente, schiumando la superficie dalle impurità ditanto in tanto. Salate la preparazione solo al termine della cottura, e lasciateriposare le lenticchie immerse nel proprio liquido di cottura fuori dal fuoco.A parte, tagliate le cimette cotte di broccolo romanesco a pezzetti più piccoli, inmodo che siano di dimensione idonea ad essere raccolta con il cucchiaio. Preparateanche i gamberi, tagliandoli a pezzettini, riponendoli in una ciotolina e condendolicon un pizzico di sale e pepe.Infine, spezzate gli spaghetti aiutandovi con un canovaccio e metteteli in cotturain abbondante acqua salata. 30 secondi prima di scolarli, aggiungete nell’acquaanche le cimette di broccolo, per scaldarle insieme alla pasta. Scolate quindi iltutto e aggiungete spaghetti e broccoli alla zuppa di lenticchie. Riportatela sulfuoco, mescolate e aggiungete i gamberi spezzettati, lasciandoli cuocere perpochissimi minuti a fiamma bassa. Lasciate riposare la zuppa coperta per almeno10-15 minuti prima di servirla in fondine ben calde, completandola con pocoprezzemolo tritato al momento e della ricotta salata grattugiata.

PROCEDIMENTO

• Spaghetti, 160 g• Lenticchie secche, 160 g• Gamberi puliti, 150 g• Brodo di pesce, 500 ml• Sedano, carota e cipolla, 100 g• Mazzetto guarnito di erbe aromatiche (alloro, prezzemolo, salvia)

• Cimette cotte di broccolo romanesco, 150 g• Olio extravergine d’oliva• Sale

Per completare• Prezzemolo e ricotta salata

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