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Anno XI - Semestre II n. 4 Luglio -Agosto 1995 - Sped. abb. post. - (Pub. inf. 50 % - TO) - N. 41

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EditorialeEditoriale“Imponiamo loro con minacce di non

parlare più in quel nome a personaalcuna”. Fu questa la decisione

presa dagli uomini del Sinedrio nei confrontidegli apostoli; ed infatti, richiamatili, “inti-marono loro di assolutamente non parlare enon insegnare nel nome di Gesù” (Atti IV,17-18). Il motivo del divieto, lo espresserochiaramente quando convocarono nuova-mente gli apostoli davanti al loro tribunale,poiché questi ultimi avevano disobbedito aquell’ordine severo: “Voi - dissero i sinedri-sti - mirate a far ricadere su di noi il sanguedi quell’uomo!” (Atti V, 28). Nei due casi, larisposta apostolica fu simile: “Giudicate voistessi se sia giusto, dinanzi a Dio, l’ubbidire avoi anzi che a Dio! Quanto a noi, non pos-siamo non parlare di quel che abbiamo vistoe udito” (Atti IV, 19-20); “Bisogna ubbidirea Dio più che agli uomini. Il Dio dei padrinostri, ha risuscitato Gesù che voi uccidesteappendendolo a un legno” (Atti V, 29-30).Scontata la reazione dei sinedristi: “essi fre-mevano dalla rabbia e si proponevano dimetterli a morte” (Atti V, 33).

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I redattori di Sodalitium non voglionocerto paragonarsi agli apostoli, e neppure vo-gliono paragonare alcuno ai sinedristi.Queste parole della Scrittura sono però diesempio per noi, come per ogni cristiano: achi intima con minacce di non parlare più nelnome di Gesù, si deve rispondere, umilmentema fermamente: “non possiamo non parla-re”. Che importa se queste parole ci costasse-ro dei patimenti? “Chi ci separerà dall’amoredi Cristo? la tribolazione o l’angoscia o lafame o la nudità, o il pericolo, o la persecuzio-ne, o la spada?” (Rom VIII, 35); poiché, losappiamo, “quanti vogliono vivere piamentein Cristo Gesù, saranno perseguitati” (II TimIII, 12). Sappiamo che questa è l’ultima beati-tudine: “Beati voi quando vi oltraggeranno, ementendo, diranno ogni male di voi per causamia; rallegratevi ed esultate, perchè grande è lavostra ricompensa nei cieli; poiché così hannoperseguitato i profeti che vi precedettero” (MtV, 11). Questo deve essere il nostro statod’animo in tutta la vita terrena, senza vittimi-smo, ma con esultanza; senza odio, ma conamore: “amate i vostri nemici, fate del bene achi vi odia e pregate per quelli che vi persegui-tano e vi calunniano, affinché siate figli delPadre vostro che è nei cieli” (Mt V, 44).Questo, e non altro, l’ideale che ci anima.

Sommario

“Sodalitium” Periodico - Organo Ufficiale dell’Istituto Mater Boni Consilii - Loc. Carbignano, 36.10020 VERRUA SAVOIA (TO) - Telef.: 0161/839335; Fax: 0161/839334 - C/CP 24681108 -Dir. Resp.: don Francesco Ricossa - Aut. Trib. di Ivrea n. 116 del 24-2-84 - Stampa: TECA - Torino

Editoriale pag. 2Fede, morale e riti della religione Giudaica pag. 4L’Osservatore Romano pag. 12Sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra pag. 29“Il Papa del Concilio”. XVIII puntata pag. 42L’Infallibilità della Chiesa pag. 57RECENSIONI: M. Blondet: Gli Adelphi della Dissoluzione pag. 75

A proposito di Opus Dei pag. 77Vita dell’Istituto pag. 79

In copertina: Una seduta del Concilio di Trento, iniziato 450 anni fa. Alla fine dell’ultimaseduta, i Padri conciliari acclamarono: “Anathema cunctis hæreticis” (Scomunica a tutti glieretici).

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Questo ideale è perlomeno incompreso.“C’è ancora libertà di parola per i cattoli-ci?”, ci chiedevamo nel n. 39 del bollettino,dopo la denuncia, poi archiviata, contro unnostro articolista. La società liberale haemarginato il cattolico, creando una “ci-viltà” nella quale è sempre più difficile sal-varsi, eroico conservare la fede, miracolosopraticare la virtù... Però, ci veniva detto,essa ci garantiva, a parità con tutti gli altri, lalibertà: “non condivido le tue idee, ma dareila vita perché tu possa esprimerle”; quantevolte abbiamo dovuto sorbirci il motto diVoltaire? Scopriamo adesso che questa re-gola ha le sue eccezioni: non vale per i catto-lici, specialmente per quelli che non abbrac-ciano le conclusioni liberali ed ecumenichedel Vaticano II.

Alcuni esempi. Il signor Junin, dopo unaprima assoluzione, è stato condannato alprocesso d’appello per aver citato il Vangelosecondo Matteo, ed espresso il parere chesan Pietro manifesta nel versetto succitato(V, 30) degli Atti degli apostoli (una curio-sità: questo parere è sostanzialmente condi-viso anche dal presidente uscente di Francia,Mitterand, nel suo libro-intervista con EliaWiesel!). Un sacerdote argentino, direttoredella rivista cattolica Pugna, è stato denun-ciato questo 17 maggio dalla Daia(Delegaciòn de Asociaciones IsraelitasArgentinas) per violazione della legge23.592, l’equivalente della “Legge Mancino”in Argentina. Pugna aveva pubblicato un ar-ticolo tratto da Sodalitium... Numerose asso-ciazioni cattoliche veronesi sono sotto in-chiesta (ci sono stati sequestri di materiale,perquisizioni...), sempre per violazione della“Mancino”; avevano distribuito dei volanti-ni sui pericoli per la religione dell’immigra-zione incontrollata, sui sacrilegi del gruppoBenetton e contro l’ipotesi di una legalizza-zione dei “matrimoni omosessuali”. Unaloro denuncia, però, contro questi sacrilegianticattolici, è stata prontamente archiviatadal giudice.

Se le leggi attuali non bastano, se ne in-vocano delle nuove. A Torino, il 13 aprile,in una conferenza tenuta alla Galleria d’artemoderna, Tullia Zevi, avrebbe parlato diSodalitium, ed auspicato la costituzione diuna sorta di comitato di polizia europea chedovrebbe occuparsi del controllo di tutte lepubblicazioni e manifestazioni di carattere“antisemita”. La cosa non dovrebbe riguar-darci, se non fosse che per alcuni, come il

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rabbino Henry Siegman, “i vangeli restanosempre una forma importante di antisemiti-smo” (dichiarazione fatta nel 1976). Siccomecrediamo nel Vangelo, questa nuova poliziasi occuperà anche di noi? Parlavamo di idea-le incompreso: è impressionante fino a chepunto! Sarebbero istigatori all’odio, gli apo-stoli dell’Amore? Impossibile crederlo, senon si sostiene, come è stato detto a propo-sito del cardinal Lustiger, che la conversioneal cristianesimo può essere grave quantouno sterminio (cf a pag. 25).

Vogliamo concludere con una parola disperanza. Dopo la Croce, c’è la Risur-rezione. Gli spazi di libertà si restringonosempre più, per noi. Ma tra poco, verrà ilturno di tutti i cattolici, non solo più dei“tradizionalisti”. Non basta chiedere perdo-no per i “crimini” della Chiesa contro la li-bertà e l’unità: le abiure non sono mai suffi-cienti. È il Vangelo stesso che deve scompa-rire; è quel Nome che non deve più esserepredicato. Più gli uomini di Chiesa umilianola Chiesa, più essa (e loro) sono disprezzatida tutti i nemici della Chiesa. Tra gli occu-panti delle sedi episcopali, qualcuno ha cre-duto in buona fede che l’apertura conciliareavrebbe portato le anime smarrite all’unicoovile. Dio voglia che le amare esperienze diquesti trent’anni e, forse, le future persecu-zioni, aprano gli occhi a qualcuno, e faccia-no abbandonare una via che si è rivelata di-sastrosa per la Chiesa cattolica.

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FEDE, MORALE E RITIDELLA RELIGIONE

GIUDAICAdon Curzio Nitoglia

INTRODUZIONE

Nell’intraprendere questo breve articoloper mostrare al lettore quale sia ancora

oggi il cerimoniale e la morale del Giudaismoin quanto religione, mi servirò soprattuttodelle opere del rabbino veneziano Leon daModena (1), del rabbino convertito al cattoli-cesimo Paolo Medici (2), di JohannesBuxtorfius (3) e di don Giulio Bartolocci (4).

Questo articolo nasce dall’esigenza dicompletare gli studi sulla questione ebraicae di illustrare ulteriormente al lettore la reli-gione del Giudaismo post-cristiano A PAR-TIRE DAL SUO STESSO RITUALE edalla morale che ne segue. Per questo e peruna necessaria obiettività mi sono avvalsodelle opere di un rabbino, di un ebreo con-vertito al Cristianesimo, e di due cattolici.

L’ebreo convertito Paolo Medici scrivevanella sua opera: “Mi sono… risolto di pre-sentarvi questo libro… di utilità, sommini-strandovi brevi e chiari motivi per confutaree porre in chiaro LA FALSITÀ DEI RITIGIUDAICI dei quali gli ebrei ne vannogonfi e superbi, millantandosi falsamente diessere osservatori di quello che prescrive lasanta Legge” (5). Egli confutava il trattatodel rabbino Leon da Modena, il quale, a suoavviso, “tace maliziosamente buona partedelle cerimonie che pratica l’ebraismo, persfuggire lo scorno e la confusione che allanazione giudaica avvenir ne potrebbe” (6) (7).

La descrizione di alcuni riti, in Leon daModena, è tuttavia caricata di orpelli quasi anasconderne il fondo superstizioso e perquesto vedremo “gli strani riti che pratica, alpresente, la misera sinagoga, priva della co-gnizione di Dio e da Lui, in pena del deici-dio, abbandonata e riprovata” (8).

Può valere anche per noi la RACCO-MANDAZIONE che il Medici fa nell’intro-duzione del suo libro: “Caro amico lettore,vi prego a RATTENERE LE RISA, che inleggendo cose così stravaganti potrebbero

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per avventura in voi risvegliarsi. EC-CITATEVI piuttosto al PIANTO, conside-rando a qual grado di miseria ridotta sia lainfelicissima sinagoga” (9).

Lo stesso Medici, in una lettera introdut-tiva “all’ebreo lettore”, asserisce che ilGiudaismo post-biblico per mero suo capric-cio vuol persistere volontariamente in unainfelice cecità, per cui egli si risolve a scrive-re con l’intento di far capire ai suoi ex corre-ligionari che quanto osservano del Ceri-moniale non è nient’altro che una mera SU-PERSTIZIONE, perché con la venuta delMessia il Cerimoniale dell’Antica Alleanzaha cessato di essere in vigore. Protesta inol-tre che nella narrazione dei Riti e dei costu-mi ebraici non vi sarà parola che non sia fe-delissimamente tratta dai libri più autorevolied autentici della sinagoga giudaica stessa,cioè il Magazor (o Rituale), il Sulchanharuhe il Talmùd.

IL PASSATO: LA NASCITA PRESSOGLI EBREI

Ai quattro angoli del letto delle puerpe-re vengono scritte in carattere ebraico le pa-role: “Sanvi, Sansanvi, Samangalef, Adamo,Eva, fuori Lilit”.

Sanvi, Sansanvi e Samangalef sono per gliebrei i nomi di tre angeli; Lilit invece sarebbeuna strega: quando Dio creò Adamo, moltoprima di creare Eva, gli diede per compagnauna donna di terra che chiamò Lilit. Secondoquesta credenza Lilit litigò con Adamo, nonvolendo essergli sottoposta, bestemmiò ilnome ineffabile di Dio e fuggì. Dio alloraspedì questi tre angeli per convincere Lilit a ri-tornare da suo marito, e, nel caso avesse obbe-dito, tutto sarebbe finito bene, mentre se aves-se disobbedito, ogni giorno sarebbero morticento diavoli da lei stessa partoriti (cioè i suoifigli). Ella rifiutò di obbedire e disse che la suamissione sarebbe stata quella di uccidere ineonati (dieci giorni dopo la loro nascita i ma-schi e trenta le bambine), tranne quelli i cuinomi fossero scritti su qualche cèdola. Accettòquindi la pena comminatale, che cioè sarebbe-ro morti quotidianamente cento dei suoi figli.È per questa credenza che gli ebrei scrivononelle stanze delle partorienti i nomi degli an-geli, per obbligare Lilit a non portare alcunnocumento al nascituro. Questa pratica evi-denzia l’ACCECAMENTO del Giudaismotalmudico, che attribuisce ad diavolo, puro spi-rito, la facoltà di morire (10).

La questione ebraica

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DELLA CIRCONCISIONE

La notte precedente la circoncisione si ra-dunano numerosi uomini e donne nella casadove la mattina seguente deve compiersi ilrito. Dopo un breve discorso del rabbino inlode della circoncisione, tutti suonano, balla-no, mangiano, bevono. Poi, mentre alcunifanno ritorno alle loro case, gli altri rimango-no tutta la notte per custodire il bambinodalle insidie della strega Lilit. La stanza adi-bita alla circoncisione è addobbata con moltesedie, tra le quali ve n’è una speciale su cuinon siede nessuno; vi è deposto solo il volu-me dell’Antico Testamento aperto perché gliebrei credono che nell’ora della circoncisionevenga a sedervisi il profeta Elia (11).

Anche Leon da Modena conferma que-sto cerimoniale. “La mattina [della circonci-sione] sono apparecchiate due sedie ornatedi seta, una pel compare, l’altra, alcuni dico-no, a nome di Elia profeta, che sempre invi-sibile si ritrova in tutte le circoncisioni” (12).

Il circoncisore (Mohel) deve essere unmaschio ed è riconoscibile in quanto ha leunghie dei pollici più lunghe di quelle dellealtre dita. È lui ad intonare l’inno della cir-concisione che canta con gli astanti. Finitol’inno, il compare si siede sulla sedia a lui ri-servata; entra allora nella sala della circonci-sione la comare col bambino sulle braccia,accompagnata da molte altre donne, vaverso la sedia preparata per il profeta Elia,creduto già lì presente e lo saluta con unprofondo inchino. Lasciata quindi la sedia diElia la comare porta il bambino al luogodella circoncisione, lo porge al compare chelo prende, se lo pone sulle ginocchia ed ini-zia l’operazione per la quale si serve anchedelle unghie lunghe dei pollici (13).

L’EDUCAZIONE DEI FIGLI

A dodici anni i fanciulli ricevono la spie-gazione di qualche passo dell’AnticoTestamento e vengono istruiti nello studiodel Talmùd: i più dotati sono applicati allostudio della Càbala.

Nel Talmùd sono contenute bestemmiecontro Dio, e non solo contro Nostro SignorGesù Cristo (14), ma anche contro Dio Padre:“Dio fa orazione, …gioca tre ore al giorno,DISPUTA COI RABBINI E RESTAVINTO, i beati in cielo non gli credono,…DIO PUÒ PECCARE…”! Queste cose ilMedici afferma non di averle lette nei libri

degli autori cristiani, bensì di “averle nella miafanciullezza apprese nei libri [ebraici]” (15).

L’AUTORITÀ DEI RABBINI

I giovani ebrei che hanno proseguito glistudi vengono chiamati Maschil (dotto), oCaver de Rab (compagno del rabbino); ad unlivello più elevato Chaham, cioè rabbino o sag-gio. È fra questi che viene eletto per ogni cittàun rabbino della comunità (Chaham de Kaàl),con il compito di decidere i dubbi circa le coselecite, di celebrare i matrimoni, di dichiarare idivorzi e di scomunicare i delinquenti (16).

I SACERDOTI E I LEVITI

Prima che gli ebrei adorassero il Vitellod’oro nel deserto, mentre Mosè parlava conl’Onnipotente (1280 a. C. circa), tutti i primoge-niti erano sacerdoti consacrati al culto di Dio,ma dopo il peccato di idolatria furono eletti alloro posto i LEVITI (della tribù di Levi), con ladiscriminante che erano destinati al sacerdozioAaron, i suoi figli e i loro discendenti; mentre imembri delle altre famiglie della tribù restaro-no semplici chierici consacrati al culto di Dio.Questo sacerdozio della FAMIGLIA di Aarondella TRIBÙ di Levi durò fino alla venuta diNostro Signor Gesù Cristo. “Non mancanoanche ai nostri tempi ebrei bugiardi, i qualivantano falsamente di essere discendenti dellacasa di Aaron, si spacciano per sacerdoti…

È falsissimo questo poiché COLLA DI-STRUZIONE DI GERUSALEMME e del

Il Frontespizio della “Bibliotheca magna rabbinica” di don Giulio Bartolocci

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Tempio HANNO [gli ebrei] PERSO LACOGNIZIONE DELLA TRIBÙ, dimodo-ché non vi è alcuno che possa dire con veritàdi essere di quella o di quell’altra tribù” (17).

LE PREGHIERE

Gli ebrei sogliono recitare il Cadish, cheè una “lode” a Dio, al termine della quale gliastanti rispondono: ‘Amen’. I talmudisti inse-gnano che in quel momento Dio scuote ilcapo e dice “Guai al Padre che ha mandato ifigli nella schiavitù e guai ai figli che sonoprivi della mensa del loro Padre” (18). È que-sta un’abitudine tipicamente talmudica digiudicare Dio come impotente e incapace diliberare un popolo dalla schiavitù (19)!

Quanto al MODO DI PREGARE gliebrei non hanno la maniera di cantare alter-nativamente con due cori distinti, come in-vece ha la Chiesa, e mentre pregano nonstanno mai fermi con il capo sempre muo-vendolo avanti e indietro, o a destra e a sini-stra. Nella sinagoga non si tolgono il cappel-lo e praticano un’orazione esclusivamentevocale, non esistendo l’orazione mentale. IlMedici parla anche (confermandolo)dell’omicidio rituale (20).

I SOGNI

“È cosa incredibile quanta fede prestinogli ebrei ai sogni. Credono che la bontà o lamalvagità del sogno consista nell’essere beneo male interpretato… Il metodo che seguonoper annullare la malvagità di un sogno, quan-do è infausto, è il digiunare il giorno seguen-te… Tutto quel giorno digiuna chi ha sognato,e verso la sera va alla presenza di tre rabbini…ai quali dice sette volte…: “Io ho veduto unbuon sogno”. Ed essi altrettante volte rispon-dono “Tu hai veduto un buon sogno, e buonosia, Dio lo faccia buono” …Sono gli ebrei cosìcreduli ai sogni che non è loro permesso inconto alcuno di giurare in giorno di Sabato,eccetto che per causa dei sogni…” (21).

La teoria dei sogni ha anche un ruolofondamentale nella psicanalisi freudiana, diorigine talmudico-cabalistica (22).

IL GIURAMENTO

I rabbini asseriscono nel Talmùd che Diodomanda per sé l’assoluzione dal giuramentoche avrebbe fatto di tenere come schiavo trale nazioni del mondo il popolo israelitico (23)!

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LA CONFESSIONE

Gli ebrei non hanno confessione aurico-lare come i cattolici, ma possiedono unacerta formula che procede per ordine alfabe-tico, nella quale sono descritti tutti i vizi ed ipeccati che si possono commettere. I rabbiniesortano i fedeli, qualora abbiano commessoun peccato, affinché, giunti nella lettura dellaformula alla designazione del peccato stesso,lo confessino a Dio senza che nessuno liascolti. La formula della confessione vienerecitata due volte al giorno, la mattina edopo il pranzo, con la testa alquanto chinatae la mano sinistra distesa sugli occhi (24).

LA FESTA DEL SABATO

Nella sua analisi il Medici ci informa chegli ebrei “intendono cosa sia celebrare ilSabato, ma non già cosa sia SANTIFICAREil Sabato…Il modo col quale…si preparanonon è un prepararvisi con atti meritori e vir-tuosi, ma bensì riprovevoli, poiché vannocercando in tutto il decorso della settimana,quale sia il cibo più gustoso al palato e l’ani-male più pingue…” (25). E ancora, secondol’insegnamento dei rabbini, il Sabato ogniebreo avrebbe un’anima in più (26), per cui sigiustifica il consiglio di mangiare di più (peralimentare l’anima supplementare!) (27).

L’INFERNO E IL PARADISO

La sinagoga, a causa della perdita dell’assi-stenza di Dio, ha perso anche l’unità della fede,per cui è molto difficile trovare concordanzatra i rabbini anche sulle dottrine religiose.

Il Frontespizio della “Synagoga Judaica” di Giovanni Buxtorfio

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Questo è evidente, ad esempio, riguardoall’inferno; le teorie ed opinioni su di essosono assai varie e pochi ne ammettonoL’ETERNITÀ. Il Talmùd (28) nega l’eternitàdelle pene per gli ebrei, destinati tutti alla sal-vezza; i rabbini insegnano comunemente chepurché si persista nel Giudaismo, UN GIOR-NO le pene dei peccatori morti nel peccatoDOVRANNO TERMINARE. Altri inveceaffermano che la pena dell’inferno dura soloDODICI MESI!

Quanto poi agli angeli e ai demoni, per irabbini sono creature corporee e materialiche si macchiano di peccati di libidine.

IL PRESENTE

“Ma oggi - si domanderà il lettore - lecose stanno ancora così?”. Naturalmentel’ebreo talmudista ortodosso la pensa anco-ra così e provarlo non è difficile: anche semanca un “catechismo” della Sinagoga giu-daica attuale, oltre ai trattati fondamentaligià citati, si segnalano alcuni libri di recentepubblicazione che toccano alcuni degli argo-menti oggetto del presente studio.

Sulla strega Lilit si può leggere nellaPiccola Enciclopedia dell’Ebraismo: “LILIT,demone di sesso femminile, …ricorre spessonella letteratura talmudica… Ha la doppiafunzione di sedurre gli uomini (anche contro illoro volere…) e di mettere in pericolo ledonne gravide cercando di provocare la mortedei figli appena nati… L’uso di servirsi di amu-leti per proteggersi da LILIT è assai diffu-so…” (29). Resta attuale l’assurdità di un de-mone (che è puro spirito) di sesso femminile ela sua capacità di forzare la volontà dell’uomo.

Sulla seconda anima del Sabato si puòleggere ancora oggi: «Dall’entrata dello“Shabbath”, l’ebreo risplende di una luceparticolare: Dio gli concede infatti un’“ANIMA SUPPLEMENTARE”» (30); einoltre: “Si ritiene anche possibile cheUN’ANIMA POSSA ESSERE COMPLE-TATA DA UN’ALTRA. Così si affermòl’idea dell’ANIMA DEL SABATO, che ve-niva aggiunta all’anima che l’uomo possede-va tutti gli altri giorni” (31). E, secondo ilGugenheim, “l’officiante recita la benedizio-ne sul vino… il cui profumo ha lo scopo ditrattenere L’ANIMA DI TUTTI I GIORNIche vorrebbe seguire… L’ANIMA DELLOSHABBATH, quando se ne va” (32).

Sulla presenza del profeta Elia ad ogni cir-concisione si legge: “Una SEGGIOLA SPE-

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CIALE viene preparata PER IL PROFETAELIA, …che presiede invisibile alla cerimo-nia…” (33); ed anche “una sedia libera (…LASEDIA DI ELIA) simboleggia la sua presen-za alla circoncisione di un neonato…” (34).

Sulla religione ebraica attuale sono illu-minanti, poi, le parole di Elia S. Artom, scrit-te una cinquantina di anni fa e destinate “adindirizzare nella pratica della vita ebraica”(35): «Israele è [tuttora, n.d.r.] reame di sacer-doti e nazione consacrata. …Israele è sacer-dote in quanto gli è affidata una funzione daadempiere… in mezzo a tutti gli uomini;ISRAELE è consacrato in quanto è COL-LOCATO AD UN GRADO PIÙ ELEVA-TO DELLE ALTRE GENTI… La funzioneche Israele deve compiere è… quella di pre-parare con i suoi atti… la venuta del tempoin cui tutti gli uomini riconosceranno di fattoquello che si chiama… “regno celeste”, cioèla sovranità dell’unico Dio [che noi sappia-mo essere Gesù stesso, n.d.r.]» (36).

Da questo principio etnico della missionedi Israele (37) discende conseguentementeche: “Il matrimonio non può aver luogo chetra ebrei. Qualunque unione tra ebreo… conpersone estranee all’Ebraismo è… vietata…È questa una delle norme che hanno più po-tentemente contribuito a mantenere salda lacompagine d’Israele: l’inserzione nella fami-glia ebraica di elementi, sia pur ottimi, dialtra origine… non può che contribuire all’as-similazione di Israele e quindi… alla sua di-struzione… Gli ebrei [quindi], in quanto sa-cerdoti dell’umanità, debbono SEMPRE co-stituire un’ELETTA MINORANZA inmezzo agli altri. Anzi, condizione necessariaper far parte dell’Ebraismo è, di regola, quel-la di appartenervi fin dalla nascita. L’opera didiffusione di quei principi… che, per mezzod’Israele, dovevano estendersi… a tutti gliuomini, non può consistere in una propagan-da fatta con la parola per indurre gli altri adabbracciare l’Ebraismo, ma nell’azione sì daraggiungere un alto grado di santità, DA IM-PORCI quindi all’ammirazione degli altri eda FAR NASCERE in loro IL DESIDERIODI SEGUIRE LE NOSTRE TRACCE” (38).

Si può dire che oggigiorno questa aspira-zione si è ampiamente realizzata.

IL SISTEMA GIURIDICO

Il sistema giuridico del Giudaismo è fon-dato essenzialmente sul Talmùd babilonese;nel corso dei secoli, tuttavia, esso ha subito

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codificazioni e semplificazioni ad opera dialcuni celebri talmudisti che sono riusciti atrasmettere fedelmente il SIGNIFICATOdel testo originario, non sempre accessibilea tutti a causa della sua complessità (39).

Il dottor Israel Shahak, presidente dellaLega Israeliana dei diritti dell’uomo, ha scrit-to un’interessante appendice all’articolo Lareligione giudaica e le sue attitudini rispettoalle altre Nazioni (40), dal titolo Leggi talmu-diche e rabbiniche contro le Nazioni (41). Nelsuo scritto Shahak, fondandosi sul Talmùd esulle sue migliori codificazioni puntualmentecitate, afferma che se l’uccisione di un ebreoè un crimine capitale, la situazione cambiaradicalmente se la vittima è un goj (42); infattiun ebreo che uccide un non ebreo è colpevo-le solo davanti a Dio, e tale peccato non èpunibile da un tribunale umano.

Già David Halévi (43), nel XVII sec.,aveva scritto sullo stesso tema che, quando sitratta di un pagano, “… non bisogna alzare lamano col fine di fargli del male, ma gli si puònuocere indirettamente, per esempio ritiran-do la scala se è caduto in un crepaccio” (44).

Quando in guerra ci si imbatte in un civiledi parte avversa, si può, anzi si deve ucciderlo(45). Così se è primordiale il dovere di salvarela vita ad un ebreo secondo la Halakhah (46),non lo è affatto per i pagani (47), benché siaproibito ucciderli direttamente.

Quest’obbligo di nuocere ai non ebrei su-bisce delle limitazioni nel caso in cui, unavolta scoperto, possa suscitare ostilità controgli ebrei: ad esempio un medico ebreo che sirifiutasse di salvare la vita a un non ebreo (48).

La violazione del Sabato è lecita per sal-vare la vita di un ebreo, mentre il Talmùdproibisce di salvare la vita a un goj anchedurante la settimana (49); vi sono poi varicasi di coscienza risolti secondo la casisticagiudaica, come, ad esempio, la possibilità diviolare il Sabato per salvare la vita di piùpersone nell’eventualità che tra di esse vi siaun ebreo (50).

Seconda la Halakhah, gli ebrei non de-vono permettere ad un goj di diventare su-periore di un ebreo, e questa disposizione siapplica anche ai convertiti al Giudaismo e ailoro discendenti fino alla decima generazio-ne (51).

I regali ai gojim sono proibiti, salvo cheservano per ottenere qualche profitto, nelqual caso perdono la loro illeicità, mentresempre sono doverose le critiche sulla con-dotta e sull’abbigliamento del goj.

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ESSERE EBREO... OGGI

L’autorevole voce del Rabbino capo diRoma Elio Toaff ha recentemente confer-mato ed approfondito quanto fin qui espo-sto, in una intervista rilasciata ad AlainElkann (docente di letteratura italiana allaColumbia University di New York), nellaquale risponde ad alcune domande: chisiano gli ebrei, se un popolo o una religione,in che cosa credano, ecc.

Le risposte di Toaff sono di grande rile-vanza per comprendere l’essenza dell’ebrai-smo attuale.

Innanzi tutto il prof. Toaff afferma che“gli ebrei… sono un popolo che ha una suareligione” (52); LE DUE COSE, POPOLO ERELIGIONE EBRAICA, NON VANNOMAI DISGIUNTE, poiché gli ebrei sono le-gati tra loro non tanto dalla lingua, quantodalla “religione e [dal] l’appartenenza al po-polo ebraico” (53). L’IDENTITÀ EBRAI-CA È COSTITUITA SOPRATTUTTODALL’APPARTENENZA AL POPOLOEBRAICO, e anche quegli ebrei che nonsono religiosi mantengono un saldo vincolocon il Giudaismo, proprio “in quanto appar-tenenti al popolo ebraico” (54).

Essere ebreo ortodosso significa accetta-re “tutto quello che è scritto nella Torà etutto quello che è scritto nel Talmùd” (55).

Il punto fondamentale dell’Ebraismo è, ov-viamente, il monoteismo, interpretato in chia-ve antitrinitaria. “L’unità di Dio …l’unitàdell’umanità” sono, secondo Toaff, il fonda-mento del Giudaismo. Alla luce di ciò è per-tanto facile comprendere cosa si celi dietrol’odierno ecumenismo, secondo cui cattolici,ebrei e musulmani adorerebbero un solo Dio edovrebbero perciò formare un solo popolo (56).

Il popolo ebraico è ancor oggi il popoloeletto ed ha «la missione [di essere] “unreame di sacerdoti, una gente consacrata”,SACERDOTI DELL’UMANITÀ e consa-crati alla diffusione del monoteismo nelmondo» (57). I sacerdoti dell’umanità, chedebbono diffondere nel mondo intero l’ideadel monoteismo antitrinitario, si servono dei“proseliti della porta” (coloro che non ap-partengono al popolo ebraico ma ne abbrac-ciano il “credo”) per diffonderlo ovunque.

“Il popolo ebraico è sacerdote di questareligione monoteistica che deve portare atutti, NON la religione EBRAICA, ma lareligione del Dio unico. Nel Talmùd si diceche quando tutti i popoli saranno monotei-

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sti, sulla terra verrà il Messia, cioè l’epocadella fratellanza universale” (58).

La religione del Dio unico (o delG.A.D.U.) non è quindi quella ebraica, maquella dei noachiti e la realizzazione dellareligione massonico-filantropica di universa-le fratellanza segnerà non l’avvento delMessia ma dell’Anticristo! Lo conferma larisposta alla domanda di Elkann, se non sa-rebbe meglio che ci fosse una sola religione:“È il NOSTRO SCOPO. La speranzadell’ebraismo è di arrivare a questa grandereligione universale” (59), ma salvaguardan-do l’ebraismo: “Gli ebrei non vogliono por-tare l’ebraismo a tutti i popoli. LA RELI-GIONE EBRAICA È PER IL POPOLOEBRAICO E BASTA!” (60).

Gli ebrei non possono mangiare carne dimaiale, “…per una SEPARAZIONE, per-ché devono ESSERE SEPARATI daglialtri”, con una sorta di discriminazione etni-ca e religiosa, e quelli che non seguono iprecetti o che non sono praticanti non cessa-no per questo di essere ebrei, solo “rinuncia-no ad essere un popolo di sacerdoti” (61).

Per Toaff il Messia è un’epoca (62).Persiste lo stesso errore che causò il rifiuto diGesù Cristo: se il Messia è il popolo ebraico,chi - come Gesù - voglia predicare il Regnodei Cieli aperto a tutti, senza distinzioni dirazza, “è reo di morte”, perché, come affermail prof. Toaff: “L’epoca messianica è… il con-trario di quello che vuole il Cristianesimo:NOI VOGLIAMO RIPORTARE DIO INTERRA, E NON L’UOMO IN CIELO. Noinon diamo il regno dei cieli agli uomini, mavogliamo che Dio torni a regnare in terra”(63). Perché il Messia arrivi tra noi “basterebbeche tutti gli ebrei, come è scritto nel Talmùd,rispettassero ed osservassero due Sabati con-secutivi tutti insieme una volta nella loro vitae il Messia sarebbe già arrivato” (64).

Per il Giudaismo, religione, popolo e Diosono un’unico oggetto di fede: “Per rimanerebuoni ebrei, bisogna avere fede non soltantoin Dio, ma anche nel POPOLO ebraico” (65).

Entrare nella religione ebraica è difficile,perché implica l’accettazione di “tutte le rego-le del popolo ebraico contenute nella Torà”,mentre chi è già ebreo può, pur rimanendotale, non seguirle tutte: “UNO CHE ÈEBREO PUÒ FARE QUELLO CHEVUOLE. Uno che non è ebreo e lo vuol di-ventare deve accettare tutto” (66). È questo ilpunto nodale dello scontro che oppose duemi-la anni fa i Farisei a Gesù Cristo. Già

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Giovanni Battista ammoniva i Farisei ed iSadducei dicendo: “Razza di vipere, chi vi hainsegnato a fuggire l’ira che vi sovrasta? FATEDUNQUE FRUTTI DEGNI DI PENITEN-ZA, e non vogliate dire tra voi stessi: ‘NOI AB-BIAMO ABRAMO PER PADRE’, poiché Iovi dico che Dio può da queste medesime pietresuscitare figli ad Abramo. Ormai la scure èposta alla radice degli alberi; ogni albero dun-que CHE NON DARÀ BUON FRUTTO saràtagliato e gettato nel fuoco” (Mt III, 7-10).

Sul concetto di aldilà Toaff afferma che“la Torà parla di questa vita e NONPARLA MAI DELL’ALDILÀ” (67). D’al-tronde anche Werner Sombart scrive: “Ènoto che … l’Ebraismo ignora l’Aldilà. Ilbene e il male l’uomo può quindi provarlisolo in questo mondo. Dio, se vuole punireo ricompensare, può farlo solo finchél’uomo vive sulla terra. Quaggiù, dunque, ilgiusto deve prosperare, quaggiù l’empiodeve soffrire” (68).

Gli ebrei poi “hanno fiducia in quello spiri-to divino che è in ognuno di noi. Nel momentoin cui l’individuo nasce …noi riceviamo qual-che cosa che ci unisce a Dio” (69). Sembraquasi di leggere Gaudium et Spes n° 22: “Pelfatto stesso che il Verbo si è incarnato, haunito a sé, in qualche modo, ogni creatura”.

Per quanto riguarda poi il rapporto traFede ed opere, il Giudaismo attribuisce mag-gior valore alle opere che alla fede (70). Noicattolici sappiamo però che se “la fede senzale opere è morta” (contro l’eresia luterana),altrettanto vero è che “senza la fede è impos-sibile piacere a Dio” (contro il Farisaismotalmudico). Toaff insiste su questo punto:

Sedia di Elia, usata du-rante la cerimonia dellacirconcisione. (Questa

sedia si trova nellaSinagoga di BevisMarks, Londra)

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“L’uomo si salva attraverso le opere; se c’è lafede è meglio, ma se NON C’È LA FEDE EL’INDIVIDUO SI COMPORTA BENE SISALVA UGUALMENTE” (71).

Dio non è il Dio personale e trascendente,è piuttosto l’anima mundi immanente almondo e che fa una sola cosa con esso: “Ilconcetto di dio è un concetto molto largonell’Ebraismo, non è una persona” (72). E an-cora: “Il peccato originale nell’Ebraismo nonesiste. Esiste il primo peccato di trasgressione,che è stato compiuto da Adamo ed Eva…Non è che noi oggi subiamo le conseguenzedel peccato originale. Perché il PECCATOORIGINALE È SOLTANTO PER CHINON È EBREO” (73). Sembra quasi insinuarel’immacolata concezione del popolo ebraico!

“Le radici di quello che è l’Ebraismo at-tuale si trovano nel Talmùd”, che però nonè un libro religioso, perché “…è soltantostudio. …Non c’entra col rito, non c’entracon la preghiera” (74); è inoltre un testo chesi inizia a studiare a dieci anni.

Toaff passa poi a parlare dellaCÀBALA, il cui fine è di scoprire il sensorecondito nelle parole dello Zohar, testo mi-stico e commento dogmatico alla Torà.Secondo Toaff non vi è più un Sinedrio ge-nerale (il Kahal) che possa obbligare tutto ilpopolo ebraico, però esistono tribunali loca-li. Studiare la Càbala può talora essere peri-coloso, come avvenne a quel rabbino, il cuicaso è citato nel Talmùd, che “è andato suuna strada sbagliata” (75), [forse perché è ri-salito alla Càbala pura che Dio consegnò adAdamo e che è pervenuta fino a Gesù Cristoe, tramite gli Apostoli ed i Papi, fino a noi,come Tradizione orale con pari valore diquella scritta].

Lo Zohar, che è la codificazione cabali-stica più importante ed i libri che ad esso sirifanno, come ad un testo fondamentale,non sono dei dogmi per l’Ebraismo:“Questa è la bellezza dell’Ebraismo. Se ionon sono soddisfatto e rifiuto qualche spie-gazione… dello Zohar, non vado fuoridell’Ebraismo, sono liberissimo di accettarloo di non accettarlo” (76). Sembra quasi unasorta di LIBERO ESAME luterano.

Lo Zohar fu compilato e trascritto inPalestina da Rabbi Shimon Bar Yohai; Toaffspiega tuttavia che “c’è una quantità di teo-rie su questo, perché qualcuno dice che laCOMPILAZIONE è una cosa, e le TRADI-ZIONI altro”. Pertanto la teoria di Drach (edi moltissimi altri studiosi) circa l’esistenza

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di una Càbala pura data da Dio ad Adamo etrasmessasi oralmente in ogni epoca, corrot-ta poi dai Farisei a partire dal II secolo a. C.fino a divenire la Càbala spuria del Giu-daismo post-biblico, sembra accreditata daToaff, che avanza anche una distinzione trastudiosi di Càbala e cabalisti. Questi ultimiinfatti applicano le teorie mistiche dellaCàbala alla propria vita (77) per raggiungeredeterminati risultati che sorpassano la natu-ra: “Di Kabalisti cosiddetti pratici [maghi oluciferini n.d.r.] ne sono rimasti pochi…, per-ché applicare queste leggi… non è così sem-plice. …Ma IO QUI PARLO DI KABALAE NON DOVREI. …Certe cose non si inse-gnano, ognuno le studia da sé” (78). E mentreconferma che la Càbala (spuria) non è unarivelazione divina ma “il frutto della specula-zione mistica dell’ebreo”, rivela anche chenulla ha appreso della Càbala dal padre, chepure era un profondo studioso di Càbala.

CONCLUSIONE

Da quanto detto si può evincere quantosia falsa l’affermazione di Giovanni Paolo IIfatta nella Sinagoga di Roma il 13 aprile1986 che gli ebrei sono “nostri fratelli mag-giori NELLA FEDE di Abramo”, quandoquella fede essi l’hanno invece rinnegata colDeicidio, come lo ha mostrato chiaramenteun ebreo convertito sinceramente alla reli-gione di Cristo, Paolo Medici. L’attualeEbraismo, come abbiamo visto, non è la con-tinuazione dell’Antico Testamento, e non èin nessun modo conciliabile con il Nuovo.

Preghiamo quindi Dio Onnipotente chesi degni di illuminare gli israeliti e di acco-glierli nella Chiesa di Cristo.

Che la Madonna Santissima, debellatricedi tutte le eresie voglia schiacciare il capo delserpente infernale che è riuscito in questi ulti-mi tempi, a penetrare fin dentro il Santuario.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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ed. Paoline, Milano 1988.BEN ZION BOKSER, Il giudaismo. Profilo di

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Synagogue, P. Mellier edit., Paris, 1844

Note

1) LEON DA MODENA, Historia di riti hebraici, Venezia1678, (ristampa fotolitografica Forni, Bologna 1979).

2) PAOLO MEDICI, Riti e costumi degli ebrei, Torino1737, VI, ed. 1874.

3) JOHANNES BUXTORFIUS, Synagoga judaica,Basilea 1680, (ristampa fotolitografica, Hildesheim-Zürich- NewYork 1989).

4) DON GIULIO BARTOLOCCI, Bibliotheca magna rabini-ca, Roma 1675-83, 4voll. ed Propaganda Fide. Quest’operaè di capitale importanza. Il Bartolocci, (Viterbo 1616 -Roma 1687) fu un insigne orientalista. Fu allievo dell’ebreoconvertito Giovanni Giona Galileo Battista, professore diebraico all’Università di Roma. Entrò nell’ordine cistercen-se con il nome di Giulio di S. Anastasia e insegnò l’ebraicoper trentasei anni nel Collegio dei Neofiti a Roma. (Cf. E.FLORIT, voce “Bartolocci Giulio”, in EnciclopediaCattolica, Citttà del Vaticano 1949, vol, II, col. 914).

5) PAOLO MEDICI, op. cit., pag. IV.6) ibidem, pag. IV.7) «Anche il Graetz - scrive Adolfo Ottolenghi -

…rimprovera al Da Modena questo libro: l’Historia,secondo lui, ha reso un cattivo servizio all’ebraismo».ADOLFO OTTOLENGHI, Rassegna mensile di Israele, sez.2°, voll. VII. N° 7-8, nov.-dic. 1932, pag. 289.

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8) PAOLO MEDICI, op. cit., pagg. IV-V.9) ibidem, pag. V.10) Cfr. PAOLO MEDICI, op. cit., pagg. 3-6. J.

BUXTORFIUS, op. cit., cap. 4, pag. 85. DON GIULIO

BARTOLOCCI, op. cit., pagg. 70-71. LEON DA MODENA,op. cit., parte IV, cap. V, pag. 94.

11) Cfr. Rituale ebreo, Amsterdam, 1649, pag. 39.12) L. DA MODENA, op. cit., parte 3a, cap. 7, pag. 100.13) PAOLO MEDICI, op. cit., pagg. 6-18.14) Cfr. Sodalitium, n° 36, pagg. 14-21.15) PAOLO MEDICI, op. cit., pag. 27. Vedasi anche le

opere di SISTO DA SIENA ovvero GIROLAMO DA SANTA

FEDE, Bibliotheca Patrum.16) PAOLO MEDICI, op. cit., pagg. 34-36.17) Ibidem, pagg. 44-45. Cfr. M. BLONDET, I fanati-

ci dell’Apocalisse, ed. Il Cerchio, Rimini 1992, pag. 135.18) Ibidem, pag. 65.19) Cfr. JONA, Il concetto di Dio dopo Auschwitz,

ed.il Melangolo, 1991, Genova.20) PAOLO MEDICI, op. cit., pag. 75.21) Ibidem, pagg. 99-101.22) Cfr. LEON DA MODENA, op. cit., cap. 4°, n° 5.23) PAOLO MEDICI, op. cit., pag. 108.24) ibidem, pagg. 109-112.25) Ibidem, pag. 117.26) Cfr. Talmùd, trattato Schabbat, cap. 4°.27) cfr. J. BUXTORFIUS, Sinagoga judaica, cap. 16, “De

anima judeorum sabbatina”; e don GIULIO BARTOLOCCI,Bibliotheca magna rabbinica, tomo 3, pag. 412.

28) Trattato “Sanhedrin”, cap. “Chelec”.29) J. MAIER- P. SCHÄFER, Piccola Enciclopedia

dell’Ebraismo, Marietti, Casale Monferrato 1985, pag. 369.30) C. SZLARMANN, L’Ebraismo per principianti,

Giuntina, Firenze 1987, pag. 112.31) J. MAIER - P. SCHÄFER, op. cit., pag. 29.32) E. GUGENHEIM, L’Ebraismo nella vita quotidia-

na, Giuntina, Firenze 1994, pag. 73.33) Ibidem, pag. 147.34) J. MAIER - P. SCHÄFER, op. cit., pag. 202. Vedasi

anche sull’argomento:G. FOHRER, Fede e vita nel giudaismo, Paideia,

Brescia 1984 e L. SESTRIERI, La spiritualità ebraica, ed.Studium, Roma 1987.

35) ELIA S. ARTOM, Vita d’Israele, ed. Israel, Roma1993, 4a ed., prefazione.

Un mohel che esegue la circoncisione mentre il sandek tiene il bambino

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36) Ibidem, pagg. 1-2.37) Cfr. Sodalitium, n° 26, pagg. 22-46.38) ELIA S. ARTOM, op. cit., pagg. 172-193, passim.39) Il più antico codice talmudico è la Misneh

Torah di Mosé Maimonide (1180) mentre il più autore-vole, ancora utilizzato come manuale è lo Shulan Aruk,composto dal rabbino Yosef Karo alla fine del XVI sec.

40) Khamsin, n° 9, 1981, Ithaca Press, Londra.41) Ci si è avvalsi della traduzione francese apparsa nel

libro L’azime de Sion, del gen. Moustafa Tlass, Damasco 1990.42) ISRAEL SHAHAK, op. cit., pag. 311.43) Fu uno dei più importanti commentatori dello

Shulan Aruk.44) ‘Tourey Zahav’, Yoreh Deah’ 158.45) ISRAEL SHAHAK, op. cit., pag 314.46) Ibidem, pag. 322.47) Talmud, Trattato ‘Abodazgza’, 26b.48) ISRAEL SHAHAK, op. cit., pag. 323.49) Ibidem pag. 323.50) Ibidem, pag. 327.51) Ibidem, pag. 341.52) ELIO TOAFF - ALAIN ELKANN, Essere ebreo, ed.

Bompiani, Milano 1994, pag. 13.53) ibidem, pag. 14.54) ibidem.55) Ibidem, pag. 22.56) Si pensi ad Assisi 1986!57) E. TOAFF - A. ELKANN, op. cit., pag. 34.58) Ibidem, pag. 56.59) Ibidem, pag. 59.60) Ivi.61) Ibidem, pag. 36.62) Ibidem, pag. 38.63) Ibidem, pag. 40.64) Ivi.65) Ibidem, pag. 46.66) Ibidem, pag. 49.67) Ibidem, pag. 86.68) WERNER SOMBART, Gli ebrei e la vita economi-

ca, Padova 1989, vol. II, pag. 80.69) E. TOAFF - A. ELKANN, op. cit., pag. 86.70) Cfr. Ibidem, pag. 87.71) Ibidem, pag. 88. È quindi il Talmud la fonte

della teoria del “cristiano anonimo”?72) Ibidem, pag. 93.73) Ibidem, pag. 96.74) Ibidem, pag. 107.75) Ibidem, pag. 110.76) Ibidem, pag. 111.77) Iidem, pag. 113.78) Ibidem, pag. 114.

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LA “NUOVA ÈRA” DI GIOVANNIPAOLO II (Seconda parte)

La preparazione immediata. Prima fase: lecolpe dei cattolici, la santità degli eretici

Il Vaticano II ha segnato l’inizio della pre-parazione prossima al fatidico 2000. Ma bi-

sogna andare oltre. Gli anni dal 1994 al 1999ne vedranno la preparazione immediata (ca-pitolo quarto della “Lettera Apostolica”). Diessa si è parlato nel Concistoro straordinariodel 13 e 14 giugno 1994, di cui abbiamo giàriferito in Sodalitium (n. 38, pagg. 2-3), e acui rimandiamo. I “cardinali” erano un po’scettici, ma Giovanni Paolo II non si è fattoarrestare da alcuna considerazione. Da qui al2000, pertanto, ci dovremo preparare, ed indue fasi: una prima fase “antepreparatoria”(1994-1996), ed una seconda fase “propria-mente preparatoria”. Ci troviamo dunquenella fase “antepreparatoria” del nuovoAvvento, che è una fase di “sensibilizzazionedei fedeli” (n. 30, pag. 38). Sensibilizzare i fe-deli, a cosa? All’idea che i cattolici sonopieni di colpe, e gli eretici pieni di santi.

Innanzitutto, prima di accostarci alla cele-brazione del 2000, i cattolici devono ricono-scere i propri peccati, quelli passati e quellipresenti. Quanto al passato, “è giusto pertantoche, mentre il secondo Millennio del cristiane-simo volge al termine, la Chiesa si faccia ca-rico con più viva consapevolezza del peccatodei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circo-stanze in cui, nell’arco della storia, essi si sonoallontanati dallo spirito di Cristo e del suoVangelo, offrendo al mondo, anziché la testi-monianza di una vita ispirata ai valori dellafede, lo spettacolo di modi di pensare e diagire, che erano vere forme di antitestimonian-za e di scandalo. La Chiesa, pur essendo santaper la sua incorporazione a Cristo, non si stan-ca di fare penitenza: essa riconosce semprecome propri, davanti a Dio e davanti agli uo-mini, i figli peccatori. (...) Essa non può varca-re la soglia del nuovo millennio senza spingerei suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da er-rori, infedeltà, incoerenze, ritardi. Riconoscerei cedimenti di ieri è un atto di lealtà e di corag-gio (...)” (n. 33, pagg. 40-41). O di rinnega-mento? Qui Wojtyla è straordinariamente

CURIOSITÀ

Secondo un decreto del gran rabbino d’Israele, gliebrei praticanti possono uccidere le pulci durante ilsabato, senza trasgredire il giorno di riposo. Ma uni-camente se il parassita si trova sulla testa di un esse-re umano. È tuttavia proibito pettinarsi per isolarela pulce, poiché la legge proibisce formalmente ognilavoro dal venerdì sera al sabato sera. Al contrariose la pulce si trova in un vestito, bisogna prenderla egettarla via “senza farle del male”. Così per i topi, èproibito formalmente di ucciderli durante il sabato,bisogna prenderli per la coda e “lanciarli lontano”.

Le Progrès, 14.2.95

LL’’OOSSSSEERRVVAATTOORREE RROOMMAANNOO

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ambiguo. È di fede che la Chiesa include deigiusti e, come membra morte, dei peccatori.Nessuno nega, pertanto, che dei cattolicisiano stati peccatori e causa di scandalo. Maoccorre ricordare che molti altri furono santi,e motivo di credibilità! Di più. I peccatori fu-rono tali perché agirono contro la morale in-segnata dalla Chiesa, o pensarono contro lafede insegnata dalla Chiesa, al punto che, neicasi più gravi, essi venivano separati dallaChiesa con la scomunica. Quindi, la Chiesanon si fa carico del peccato dei suoi figli sna-turati, come Dio non è responsabile del pec-cato delle sue creature. Ma questo è il punto:Giovanni Paolo II intende parlare dei peccati,errori, infedeltà commessi da dei cattolici inquanto individui, contro la dottrina dellaChiesa, oppure commessi da dei cattolici inquanto tali, che agivano secondo i dettamidella Chiesa “preconciliare”? Nel secondocaso, colpevole sarebbe la Chiesa stessa, chenon sarebbe più santa nella sua dottrina, nellasua morale, nella prassi di questa dottrina. SeGiovanni Paolo II insinua questo, bestemmiala Chiesa di Cristo. Ma quali sarebbero mai lecolpe passate dei cattolici? Giovanni Paolo IIne cita solo due: i peccati contro l’ecumeni-smo (n. 34) e quelli contro la libertà religiosa(n. 35). Cominciamo dal delitto di leso ecu-menismo: «Tra i peccati che esigono un mag-giore impegno di penitenza e di conversionedevono essere annoverati certamente quelli chehanno pregiudicato l’unità voluta da Dio peril suo Popolo [quindi, il “Popolo di Dio”, laChiesa, non è una, come invece dice il Credo].Nel corso dei mille anni che si stanno conclu-dendo, ancor più che nel primo millennio, lacomunione ecclesiale, “talora non senzacolpa di uomini d’entrambe le parti”(Vaticano II, Unitatis redintegratio, 3), haconosciuto lacerazioni che contraddiconoapertamente alla volontà di Cristo e sono discandalo al mondo. Tali peccati del passatofanno sentire ancora, purtroppo, il loro peso epermangono come altrettante tentazioni anchenel presente. È necessario farne ammenda, in-vocando con forza il perdono di Cristo” (n.34, pagg. 41-42). Questa frase, in quanto tale,è malsonante e sospetta di eresia. In quantoattribuisce indifferentemente alla Chiesa cat-tolica ed ai dissidenti lo scandalo della separa-zione, è scandalosa ed ingiuriosa alla Chiesa.Infatti, dato e non concesso che i cattolici sisiano comportati male, la colpa della dissiden-za ricade sui dissidenti, poiché non c’è motivovalido per lasciare la Chiesa o cadere nell’ere-

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sia! Ma, per il Concilio ed il Vaticano II,“l’unità dei cristiani” è “un problema crucialeper la testimonianza evangelica nel mondo”(n. 34, pag. 42) perché la divisione tra i cristia-ni sarebbe “per il mondo un oggetto di scan-dalo” e farebbe “ostacolo alla più santa dellecause: la predicazione del Vangelo a ognicreatura” (Unitatis redintegratio, n. 1).Commentano i teologi della Lettre à quelqueévêque: questa frase, in quanto afferma che ladissidenza dei non-cattolici nei confronti dellaChiesa compromette la credibilità delVangelo e della Chiesa cattolica, favoriscel’eresia sulla natura della Chiesa e conduce anegare la realizzazione, nella Chiesa cattolica,della nota divina di unità e a negare la dottri-na cattolica che afferma che la Chiesa è dota-ta delle “note manifeste della sua divina isti-tuzione”. In altre parole, gli scismatici e glieretici sono i soli responsabili delle loro colpecontro la Chiesa e dello scandalo dato, e laChiesa stessa è riconoscibile da tutti comel’unica vera Chiesa di Cristo, anche se dei di-sgraziati, per loro rovina, se ne sono separati.Ben lontano da questa idea, Giovanni PaoloII inculca invece l’errore ecumenico; anzi, “sipuò dire - scrive - che tutta l’attività delleChiese locali e della Sede Apostolica” abbia-no “assunto in questi anni un respiro ecume-nico. Il Pontificio Consiglio per la promozio-ne dell’unità dei cristiani è divenuto uno deiprincipali centri propulsori del processo, versola piena unità” per cui, grazie ad un buon“esame di coscienza” ecumenico, al “dialogodottrinale” e alla “preghiera ecumenica” alGrande Giubileo ci si potrà presentare “senon del tutto uniti, almeno molto più prossimia superare le divisioni del secondo millennio”(ibidem).

Passiamo ora ai peccati contro la libertàreligiosa: «Un altro capitolo doloroso, sulquale i figli della Chiesa non possono non tor-nare con animo aperto al pentimento, è costitui-to dall’acquiescenza manifestata, specie in alcu-ni secoli, a metodi di intolleranza e persino diviolenza nel servizio della verità. È vero cheun corretto giudizio storico non può prescinde-re da un’attenta considerazione dei condiziona-menti culturali del momento, sotto il cui influs-so molti possono aver ritenuto in buona fedeche un’autentica testimonianza della veritàcomportasse il soffocamento dell’altrui opi-nione o almeno la sua emarginazione.Molteplici motivi convergevano nel creare pre-messe di intolleranza, alimentando un’atmosfe-ra passionale alla quale solo grandi spiriti ve-

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ramente liberi e pieni di Dio [diteci chi eranoquesti “grandi spiriti”, da quale loggia usciva-no!] riuscivano in qualche modo a sottrarsi.Ma la considerazione delle circostanze atte-nuanti non esonera la Chiesa dal dovere dirammaricarsi profondamente per le debolezzedi tanti suoi figli [chi sono? Dateci dei nomi!]che ne hanno deturpato il volto, impedendoledi riflettere pienamente l’immagine del suoSignore crocifisso, testimone insuperabile diamore paziente e di umile mitezza. Da questitratti dolorosi del passato emerge una lezioneper il futuro, che deve indurre ogni cristiano atenersi ben saldo all’aureo principio dettato dalConcilio: “La verità non si impone che in forzadella stessa verità, la quale penetra nelle mentisoavemente e insieme con vigore” (Dignitatishumanæ, n. 1)» (citazione integrale del n. 35).Non c’è dubbio che la dottrina e la prassi dellaChiesa cattolica “preconciliare” comportasse-ro il soffocamento dell’altrui opinione (le ere-sie) o almeno la loro emarginazione. LeCrociate, le guerre di religione, il Tribunaledell’Inquisizione, furono “metodi di violenza”nel servizio della verità (esattamente come losono l’esercito, la polizia, i tribunali e le carcerinella società civile!). Le costituzioni degli staticattolici e persino molti concordati, reprime-vano, su volontà della Chiesa, o emarginavanosocialmente le comunità non cattoliche.Quindi, sarebbe la Chiesa stessa, e non deifigli degeneri, ad essere responsabile, secondoGiovanni Paolo II, della deturpazione del pro-prio volto, che non rifletteva più quello diCristo! E ciò durante “dei secoli”! E da partedi tutti i cattolici (a parte i “grandi spiriti vera-mente liberi”). Tra Lutero che afferma (a pa-role!) che “bruciare gli eretici è contro loSpirito Santo” e Papa Leone X che lo condan-na anche per questa affermazione, chi, perGiovanni Paolo II, deturpava il volto dellaChiesa con la violenza e l’intolleranza, e chi in-vece era un grande spirito libero? Vorremmouna risposta sincera a questa domanda. Certo,la verità non si può imporre con la forza. Ma sipuò difendere con la forza. E la si deve favori-re con le leggi. Affermare il contrario significaconcepire l’uomo come privo del peccato ori-ginale, pronto ad abbracciare la verità appenane viene a conoscenza. Un’idea contraria allafede e alla realtà di tutti i giorni.

Quanto ai peccati del presente, GiovanniPaolo II parla sì dell’indifferenza religiosa edello sbandamento disciplinare e dottrinaledel momento (n. 36, pagg. 44-45), (e, natu-ralmente, della violazione dei diritti umani),

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ma poi non ne trova la radice nel VaticanoII, che ne è la causa. Tutt’altro. “L’esame dicoscienza non può non riguardare anche laricezione del Concilio, questo grande donodello Spirito alla Chiesa sul finire del se-condo millennio.” (ibidem, pag. 46). Edelenca: “la Parola di Dio più pienamenteanima della teologia” (Dei Verbum), “la li-turgia” come voluta dalla SacrosantumConcilium, “l’ecclesiologia di comunionedella Lumen gentium”, il “dialogo aperto”voluto dalla Gaudium et spes...

Se i cattolici sono carichi di peccati (con-tro l’ecumenismo, la tolleranza, il ConcilioVaticano II...) fino a sfigurare il volto dellaChiesa, gli eretici invece possono essere santi.“La testimonianza resa a Cristo sino allo spar-gimento del sangue è divenuta patrimonio co-mune di cattolici, ortodossi, anglicani e prote-stanti, come rilevava già Paolo VI nella ome-lia per la canonizzazione dei martiri ugandesi[AAS 56 (1964), 906]. È una testimonianza danon dimenticare. (...) Come è stato suggeritonel Concistoro, occorre che le Chiese localifacciano di tutto per non lasciare perire la me-moria di quanti hanno subito il martirio, rac-cogliendo la necessaria documentazione. Ciònon potrà non avere anche un respiro ed unaeloquenza ecumenica. L’ecumenismo deisanti, dei martiri, è forse il più convincente.La communio sanctorum parla con voce piùalta dei fattori di divisione” (n. 37, pagg. 47-48). Abbiamo già ricordato le parole di sanCipriano: “Non può essere martire chi non ènella Chiesa”. Il martire, infatti, è testimonedella fede, per la quale dà la vita praticandola carità al più alto grado. Ora, lo scismaticonon ha la carità, perché lacera la Chiesa, el’eretico non ha la fede. Anche se fossero inbuona fede, non possono essere modello daimitare (come ogni santo deve poter essere)essendo visibilmente separati dalla Chiesa.L’ecumenismo dei santi è pertanto impropo-

Fotomontaggio de “L'Osservatore Romano”: ilGiubileo del 2000 ha due poli: Roma e la Terra Santa

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nibile, e le canonizzazioni fatte dagli “orto-dossi”, di cui parla Wojtyla (ibidem), nonhanno alcun valore. Di più. La santità è unanota per riconoscere la vera Chiesa di Cristo.Ammettere la santità nelle sétte separatedalla Chiesa Romana, significa dare anche adesse la qualifica di vera Chiesa. Infine, comesi può dire che cattolici eretici siano uniti inuna “comunione dei santi” e, per giunta, chequesta “comunione dei santi” parli “con vocepiù alta dei fattori di divisione”? Cosa sono,difatti, questi “fattori di divisione”? Né più némeno che le verità di fede negate da “orto-dossi, anglicani e protestanti”: l’infallibilità delPapa, la presenza di Cristo nell’Eucarestiamediante le parole della consacrazione, ilPurgatorio, il valore delle buone opere (per iprotestanti), l’indissolubilità del matrimonio,i dogmi mariani, la struttura monarchica dellaChiesa ecc. ecc. In una parola: la fede (poichérifiutare una sola verità di fede significa nonavere la fede). L’ecumenismo (dei santi) èdunque, per Giovanni Paolo II, più importan-te della fede cattolica.

La preparazione immediata. Seconda fase: lo“spirito di Assisi” a Betlemme, Gerusalemmee sul Sinai

Gli ultimi tre anni (il “tempo” dell’anticri-sto!) prima del 2000 costituiranno la seconda eultima fase del nuovo “Avvento”: il 1997 saràdedicato a Gesù Cristo, il 1998 allo SpiritoSanto, il 1999 a Dio Padre. Il 2000, infine, saràl’anno del Grande Giubileo. L’anno del Figlioricorderà la centralità del battesimo, che, se-condo il Catechismo della Chiesa Cattolica,«costituisce “il fondamento della comunione tratutti i cristiani, anche con quanti non sono anco-ra nella piena comunione con la Chiesa cattoli-ca” (n. 1271)» (n. 41, pag. 52), dimenticandoche l’eresia, lo scisma o la scomunica distruggo-no totalmente la comunione creata dal battesi-mo (cf Sodalitium, n. 38, pagg. 8-11). L’annodello Spirito Santo vedrà i cristiani intenti ameditare sull’ecclesiologia della Lumen gen-tium (cf n. 47, pag. 57). L’anno di Dio Padrefarà riscoprire “ogni giorno l’amore incondi-zionato [di Dio] per ogni creatura umana” (n.49, pag. 58); qui Giovanni Paolo II dimentica didire che l’amore di Dio per ogni creaturaumana è invece condizionato per lo meno allapossibilità di conversione di questa creatura (ameno di voler sostenere che Dio ama i danna-ti) e che la Sacra Scrittura parla frequentemen-te dell’ “odio” di Dio nei confronti del peccato

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e dei peccatori (cf Gen 25,23; Ps 5,7; Mal 1, 2-3;Rom 9,13) in quanto tali. Per la fine del secon-do millennio poi, aspettiamoci le più terribilimanifestazioni dello “spirito di Assisi”. Infatti,“la vigilia del Duemila sarà una grande occasio-ne (...) anche per il dialogo interreligioso, secon-do le chiare indicazioni date dal ConcilioVaticano II nella Dichiarazione Nostra Ætatesulle relazioni della Chiesa con le religioni noncristiane”. (n. 53, pag. 61). “In tale dialogo -prosegue Giovanni Paolo II - dovranno avereun posto preminente gli ebrei e i musulmani.Voglia Dio che a sigillo di tali intenzioni si pos-sano realizzare anche incontri comuni in luoghisignificativi per le grandi religioni monoteiste.Si studia, in proposito, come predisporre sia sto-rici appuntamenti a Betlemme, Gerusalemme esul Sinai, luoghi di grande valenza simbolica,per intensificare il dialogo con gli ebrei e i fe-deli dell’Islam, sia incontri con rappresentantidelle grandi religioni del mondo in altre città”(ibidem). Il Giubileo dell’anno 2000 dovrebbericordare, a rigor di logica, l’Incarnazione delFiglio di Dio, mistero che gli ebrei e i “fedeli”(senza fede) dell’Islam considerano una be-stemmia inaccettabile. Giovanni Paolo IImette invece Giudaismo, Islamismo eCristianesimo nel calderone comune delle“grandi religioni monoteiste” e sostituisce allapredicazione del Vangelo il dialogo interreli-gioso! Certo, egli invita a “far attenzione a noningenerare pericolosi malintesi, ben vigilandosul rischio del sincretismo e di un facile e ingan-nevole irenismo” (ibidem). Si potrebbe rispon-dere che i malintesi sono già diffusi tra i fedeli,e nessuno ha mai fatto nulla per dissiparli. Ma,andando più in profondità, occorre ricordareche con queste parole Giovanni Paolo II nondà una interpretazione cattolica ed ortodossadelle riunioni ecumeniche; egli, infatti, dicequalcosa che qualunque Gran Maestro dellaMassoneria potrebbe sottoscrivere! Parlandodella tolleranza massonica, infatti, l’ex GranMaestro Di Bernardo scriveva che essa consi-ste “in un atteggiamento che, pur respingendoin linea di principio un modo di pensare ritenu-to erroneo, lo lascia sussistere per un motivo dirispetto verso la libertà degli altri”. Nessun sin-cretismo, dunque, e nessun irenismo anche peri Massoni: “la Massoneria non è indifferentenei confronti di altri modi di pensare; laMassoneria non è tutto e il contrario di tutto”.Se quindi Giovanni Paolo II non predica l’in-differentismo, il sincretismo o l’irenismo tra lereligioni (benché questo capisca la gente daisuoi “incontri comuni” sullo stile di quello di

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Assisi), non per questo si allontana dallo spiri-to massonico, a condizione di conservare,come di fatto conserva, il non-esclusivismo, lapratica del dialogo, il rispetto dell’altro, della li-bertà di religione e di coscienza, la considera-zione di ciò che ci unisce piuttosto che di ciòche ci divide... (cfr Sodalitium, n. 24, pp. 3-7).Come certamente avverrà a Betlemme,aGerusalemme e sul Sinai...

Terza fase: il Grande Giubileo “pancristia-no” ed il ritorno a Gerusalemme

Dopo i tre anni di preparazione immedia-ta, verrà infine il 2000, dedicato a tutta laTrinità, e consacrato dal Grande Giubileo.Due le novità rispetto agli altri del passato.Innanzitutto, il Giubileo non è più legato aRoma: esso “avverrà contemporaneamente inTerra Santa, a Roma e nelle Chiese locali delmondo intero” (n. 55, pag. 62). La TerraSanta, Gerusalemme, riprendono il soprav-vento su Roma, ove Pietro ha stabilito la Sededel Vicario di Cristo. Il Giubileo perde così ilsuo carattere “romano”, di pellegrinaggiocioè di tutti i cattolici a Roma, la “CittàSanta” del Nuovo Testamento, dopo che Diostesso ha definitivamente abbandonato laGerusalemme terrena (cf Gal 4, 22-31). Laseconda novità è che si tratterà di un Giubileo“pancristiano”: “La dimensione ecumenica eduniversale del Sacro Giubileo, potrà opportu-namente essere evidenziata da un significativoincontro pancristiano” (n. 55, pag. 63). Il ter-mine “pancristiano”, di origine protestante, èstato correntemente sostituito con quello di“ecumenico”, forse perché pesava troppo lacondanna che Pio XI fece, nella sua enciclicaMortalium animos, delle riunioni “pancristia-ne”. Ora, a trent’anni e più dal Concilio edall’ “enciclica” Ecclesiam suam di Paolo VI,la condanna di Papa Ratti non fa più paura, eGiovanni Paolo II può pertanto riesumare,senza timore alcuno, il termine proscritto di“pancristiano”. Noi, sinceramente, preferia-mo restare solamente cristiani.

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SANTA CATERINA HA DETURPATO IL VOLTODELLA CHIESA?

Nella “Lettera Apostolica” Tertio millen-nio, al n. 35, Giovanni Paolo II parla dei“tanti figli” della Chiesa “che ne hanno detur-pato il volto, impedendole di riflettere piena-

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mente l’immagine del suo Signore crocifisso”,ma non fa nomi. Finalmente ne conosciamouno: Santa Caterina da Siena. Sì, anche lei,infatti, ha incitato a far uso di “metodi di in-tolleranza e persino di violenza nel serviziodella verità” (ibidem) predicando una crocia-ta contro gli infedeli. Lo ricorda GiovanniPaolo II nel suo Angelus del 12 febbraio(O.R., 13-14 febbraio 1995, pag. 4): “Certo,bisogna riconoscere che anch’essa era figliadel suo tempo allorché, nel pur giusto zeloper la difesa dei luoghi santi, faceva sua lamentalità allora dominante, secondo cui talecompito poteva esigere persino il ricorso allearmi” (n. 2). Giovanni Paolo II concede le“circostanze attenuanti” alla Santa senese,per usare le parole di Tertio millennio, maessa non era di quei “grandi spiriti veramenteliberi e pieni di Dio” che, come Lutero, chealle Crociate si opponeva (Denz. 774), “riu-scivano in qualche modo a sottrarsi” allamentalità allora dominante. “Oggi - ha dettoancora Giovanni Paolo II all’Angelus - dob-biamo essere grati allo Spirito di Dio, che ciha portato a capire sempre più chiaramenteche il modo più appropriato, e insieme piùconsono al Vangelo, per affrontare i problemiche possono nascere nei rapporti tra i popoli,religioni e culture, è quello di un paziente,fermo quanto rispettoso dialogo” (ibidem).Resta un dubbio: come mai lo Spirito di Diosi è contraddetto, spacciando, per bocca ditanti Papi, un peccato come le crociate inun’opera santa e indulgenziata? Se ne saràaccorto, anche Lui, solo oggi?

GIOVANNI PAOLO II E GLI “ORTODOSSI”

Dobbiamo tornare su questo argomento(cf. Sodalitium, n. 37, pagg. 28-29: “Gli ereticiorientali? Sono fratelli, e non separati!”), tra ipiù cari a Giovanni Paolo II; egli stesso, infat-ti, vi ha dedicato almeno tre discorsi merite-voli di particolare attenzione. Il primo è del28 giugno 1994, rivolto “alla Delegazione delPatriarca Ecumenico di Costantinopoli”(O.R., 29 giugno 1994, pag. 5), l’eretico e sci-smatico Bartolomeo I, autore del testo dellaVia Crucis recitato da Giovanni Paolo II nelVenerdì Santo del medesimo anno. Il discorsoin questione (pronunciato in francese) non èsolo (!) contrario alla fede, ma anche grave-mente offensivo verso gli apostoli Pietro ePaolo, e ciò proprio in occasione della loro fe-stività. Infatti, secondo Giovanni Paolo II,“Pietro e Paolo, senza mai cessare di essere

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fratelli, erano molto diversi (...) per la loro ori-gine (...) per la loro storia spirituale (...). Ma,malgrado i percorsi diversi e, talvolta, dellerudi opposizioni, la loro ‘ambizione’ è unica:‘piacere al Signore’ (cf. 2 Co 5, 9). (...) La loroorigine li divide, la loro missione li unisce:Pietro e Paolo ‘piaceranno’ al Signore con laloro comune testimonianza” (n. 1). Ebbene?In che modo Giovanni Paolo II avrebbe offe-so gli Apostoli? Presto detto. Per lui Pietro ePaolo, con le loro origini diverse e persinodelle rudi opposizioni, ma con la loro fede emissione comune, egualmente gradita alSignore, sono il simbolo della Chiesa cattolicae della Chiesa ortodossa! Se non ci credete,leggete voi stessi le parole del presunto suc-cessore di san Pietro: “Una analoga comple-mentarietà esiste nelle nostre tradizioni orienta-le e latina, ma, come per Pietro e Paolo, al ser-vizio della stessa e unica missione. Per cuinutro la grande speranza che il mio prossimoincontro con il Capo della Chiesa sorella diCostantinopoli piaccia ugualmente al Signore”(n. 2). Giovanni Paolo II come san Pietro,dunque, e Bartolomeo I come san Paolo. Lavera Chiesa ed una comunità caduta da novesecoli nell’eresia e lo scisma sarebbero “sorel-le” ed egualmente gradite al Signore. Le ve-rità di fede che ci dividono (e sono molte; lapiù nota, ma non la sola, è il primato di giuri-sdizione del Sommo Pontefice negato dagli“ortodossi”) sarebbero solo delle “tradizioni”diverse. Tale è il pensiero di Karol Wojtyla.Lo stesso concetto si ritrova in un altro discor-so, del 28 agosto 1994, “ai giovani solisti del

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programma di beneficanza internazionale‘Novye Imena’” (O.R., 29-30 agosto 1994,pag. 4). “Roma guarda con amore e con spe-ranza verso il popolo russo - ha dettoGiovanni Paolo II ai giovani solisti (e fin qui,nulla di male) - verso la Chiesa ortodossa, e ilPapa di Roma guarda con speranza verso ilsuo Fratello Patriarca di Mosca, Alessio II”.Ma si può guardare con amore a una“Chiesa” separata dall’unico ovile e dall’unicoPastore? Certamente, almeno per una perso-na che mette Soloviev tra “i grandi pensatori”(ibidem). Ma le parole più sconvolgenti(anche se, purtroppo, non sono più una no-vità) sono quelle pronunciate l’11 marzo 1995da Giovanni Paolo II in Vaticano, a conclu-sione della settimana degli Esercizi Spiritualipredicatigli da Padre Tomás Spidlík (O.R., 12marzo 1995, pag. 5). Dopo aver detto che “ilpiù citato durante i nostri santi spiritualiEsercizi” è stato Soloviev, Giovanni Paolo IIha immediatamente aggiunto, parlando diPadre Spidlík: “Per questo lo ringraziamomolto, lo ringraziamo anche nel nome dellanostra buona volontà ecumenica. Noi voglia-mo avvicinarci sempre più ai nostri fratelliorientali, bizantini, russi, perché siamoprofondamente convinti che ci unisce la stes-sa fede. Sono due tradizioni molto ricche emolto utili per la Chiesa, ma è la stessafede”. Quando parla dei “fratelli orientali, bi-zantini, russi”, Giovanni Paolo II non intenderiferirsi agli orientali cattolici (gli “Uniati”),giacché accenna alla sua “buona volontà ecu-menica”; si tratta dunque degli “ortodossi”russi o greci, coi quali si dice unito dalla “stes-sa fede”. Ora, la fede cattolica e la “fede”

Padre Spidlik e Giovanni Paolo II uniti dalla dottrinagnostica di Soloviev

“La Chiesa Romana - scrive Mons. A. Semenoff-Tian-Chansky nel suo “Cathéchisme Orthodoxe” (YmcaPress, Parigi, 1984, pag. 70 e segg.) - si è progressi-vamente allontanata dalla vera dottrina ortodossa.Queste deviazioni si sono espresse soprattutto nelleseguenti dottrine:

a) la processione dello Spirito Santo non solodal Padre ma anche dal Figlio;

b) il potere ed il ruolo del vescovo di Roma, acui sono collegate delle deformazioni concernenti lanozione di Chiesa e di alcuni sacramenti;

c) nella Chiesa romana dominano ancora, ben-ché esse siano fortunatamente in declino, delleconcezioni erronee sull’uomo e la caduta [origina-le], e conseguentemente, sulla redenzione, i meritidei santi e la vita dell’aldilà;

d) l’immacolata concezione della Madre di Dio”.

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degli “ortodossi” non coincidono.Lo stesso teologo “ortodosso” spiega che

la sua Chiesa ammette il divorzio (pag. 78) eche l’opinione comune rifiuta, a propositodella presenza reale di Cristo nell’eucarestia(realizzata non dal sacerdote con le paroledella consacrazione, ma da tutta la Chiesa,inclusi i fedeli, con l’epiclesi, o invocazionedello Spirito Santo), la transustanziazione,per accettare l’impanazione luterana.

Poiché, a detta degli stessi “ortodossi”, lecose stanno così, e poiché Giovanni Paolo IIafferma di avere la medesima fede degli “or-todossi”, due sole conclusioni sono possibili:

1) o Giovanni Paolo II, in accordo con lafede “ortodossa”, nega il primato e l’infallibi-lità papale, l’immacolata concezione, ecc. ecc.;

2) oppure Giovanni Paolo II crede nell’im-macolata concezione, nel primato papale ecc.ecc., ma considera queste verità come opinionio tradizioni diverse, estranee alla fede (o almassimo verità “di serie B”, secondo la teoriadella gerarchia delle verità) che si possono ne-gare senza attentare alla fede stessa.

In entrambi i casi, la posizione diGiovanni Paolo II è inconciliabile con lafede cattolica.

ORIENTALE LUMEN

Le righe che avete appena letto erano giàstate scritte, quando L’Osservatore Romanodel 2-3 maggio 1995 ha pubblicato la “LetteraApostolica” Orientale Lumen di GiovanniPaolo II, datata 2 maggio, “per la ricorrenzacentenaria della Orientalium dignitas delPapa Leone XIII”. Una conferma, se mai cene fosse bisogno, di quanto l’Oriente“Ortodosso” attiri Giovanni Paolo II.

Il contesto della “Lettera”L’anniversario della Lettera Apostolica di

Leone XIII è, chiaramente, un pretesto.Innanzitutto, perché il centenario è già passa-to (Orientalium dignitas è datata 30 novem-bre 1894). Poi, perché, se si vuol commemo-rare l’opera di Leone XIII verso gli Orientali,non mancano documenti più importanti dellaOrientalium dignitas. Infine, perché la teolo-gia espressa dalla Lettera di Leone XIII è ra-dicalmente opposta a quella della “Lettera”di Giovanni Paolo II; non per niente, laOrientale Lumen non cita una sola volta laLettera Apostolica di Leone XIII. In realtà,più Giovanni Paolo II esalta gli scismaticigreci o moscoviti, più riceve, da essi, degli af-

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fronti (o meglio: la Chiesa cattolica riceve gliaffronti). In Grecia il clero “ortodosso” chie-de al governo limitazioni alla libertà religiosadei cattolici, in Serbia ed in Bosnia il clero“ortodosso” ha lanciato una “guerra santa”contro i cattolici; nei paesi (più o meno) ex-comunisti, la gerarchia “ortodossa” gridacontro gli Uniati (Orientali cattolici) e si ri-fiuta di restituirgli le chiese dategli dai gover-ni comunisti. Ciononostante, si continua lapolitica ecumenista, che prevede l’umiliazio-ne degli Uniati (i quali mostrano, a volte,segni di insofferenza).

Cattolici ed eretici, portatori viventi di unamedesima tradizione!

La “Lettera Apostolica” Orientale Lumenva nel senso di questa deriva ecumenista. La“Lettera” è composta da una introduzione,un capitolo dedicato alla conoscenzadell’Oriente cristiano, ed uno dedicato all’in-contro ecumenico tra Oriente ed Occidente.Perché conoscere la tradizione orientale?“Per favorire (...) il processo dell’unità” (n. 1)che “non può conoscere ripensamenti, ma èirreversibile, come l’appello del Signoreall’unità” (n. 2). Di questa tradizione “i nostrifratelli orientali cattolici sono ben coscienti diessere i portatori viventi, insieme con i fratelliortodossi” (n. 1); non c’è differenza, quindi,tra gli orientali cattolici e quelli eretico-sci-smatici? I “fratelli ortodossi” non sono “por-tatori viventi” della tradizione orientale, poi-ché di essa hanno rinnegato una parte note-vole, perdendo la fede cattolica!

Senza gli “ortodossi” la Chiesa non manife-sta pienamente la sua cattolicità, e non èquindi pienamente credibile

Ma per Giovanni Paolo II i cattolici di ritolatino dovrebbero studiare questa ambiguatradizione, comune a cattolici e non cattolici,per “sentire così, insieme con il Papa, la pas-sione perché sia restituita alla Chiesa ed almondo la piena manifestazione della cattoli-cità della Chiesa, espressa non da una solatradizione, né tanto meno da una comunitàcontro l’altra” (n. 1). Gravissima affermazio-ne! Come se la Chiesa romana non rappre-sentasse, anche da sola, la Chiesa universale...Come se, in ogni caso, gli orientali uniti aRoma non manifestassero che la Chiesa è cat-tolica, se non si aggiungono a loro quelli sepa-rati... Come se, senza gli eretici e gli scismati-ci, la Chiesa non manifestasse pienamenteuna di quelle note essenziali che la contraddi-

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stinguono! Il medesimo errore è ripetutonell’appello finale della “Lettera”: “L’eco delVangelo, parola che non delude, continua a ri-suonare con forza, indebolita solo dalla no-stra separazione: Cristo grida, ma l’uomostenta a sentire la sua voce perché noi non riu-sciamo a trasmettere parole unanimi.Ascoltiamo insieme l’invocazione degli uominiche vogliono udire intera la Parola di Dio.Le parole dell’Occidente hanno bisogno delleparole dell’Oriente (...). L’uomo del terzomillennio possa godere di questa scoperta, fi-nalmente raggiunto da una parola concorde eper questo pienamente credibile...” (n. 28). Lostesso si può leggere al n. 19: “Come possiamoessere pienamente credibili se ci presentiamodivisi davanti all’Eucarestia, se non siamo ca-paci di vivere la partecipazione allo stessoSignore che siamo chiamati ad annunciare almondo?”. Certo, lo scisma del 1054 ha grave-mente danneggiato la propagazione delVangelo e, al contrario, un ritorno dei dissi-denti all’unico ovile sotto l’unico Pastore lafavorirebbe. Ma Giovanni Paolo II non parladi questo; per lui, dopo lo scisma, la Chiesanon farebbe più udire tutta “intera” la Paroladi Dio (ne avrebbe solo un pezzo, quello “oc-cidentale”) ed Essa non sarebbe più “piena-mente credibile” (e quindi è permesso noncrederle?). Tutto ciò si oppone alla dottrinadel Concilio Vaticano I (Dei Filius, sess. III,cap. 3) e del Giuramento antimodernista, se-condo i quali la Chiesa cattolica è dotata delle“note manifeste della sua divina istituzione”,è essa stessa “un grande e perpetuo motivo dicredibilità” ed i segni dell’origine divina dellareligione cattolica sono “del tutto adattatiall’intelligenza di tutti i tempi e di tutti gli uo-mini, anche di quelli di oggi”.

Il peccato gravissimo della Chiesa catto-lica: lo scisma!

Ma, chi sono gli scismatici? Al contrario diLeone XIII, che parlava di “ricondurreall’unica Chiesa tutti quegli Orientali, qualiche siano, che se ne sono separati” (Enc.Christi nomen, del 24 dicembre 1894),Giovanni Paolo II non parla né di scisma, dicui sarebbero colpevoli gli “ortodossi”, né diritorno di questi ultimi nella Chiesa cattolica.Non si parla del peccato di scisma nellaOrientale Lumen... Innanzitutto, perché, perprincipio, bisogna purificarsi “da quel gelosoattaccamento ai sentimenti e alle memorie (...)delle vicende umane di un passato che pesa an-cora fortemente sui nostri cuori” (n. 4); in se-guito, perché il peccato di scisma... sarebbe co-

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mune ai cattolici ed agli “ortodossi”. Se non cicredete, leggete: “Il peccato della nostra se-parazione - scrive Giovanni Paolo II dopoun’ampia citazione del Vaticano II (UR 3) e diTertio Millennio adveniente n. 34 - è gravissi-mo: sento il bisogno che cresca la nostra comu-ne disponibilità allo Spirito che ci chiama aconversione...” (n. 17); “la nostalgia santa deisecoli vissuti nella piena comunione della fede edella carità ci urge, ci grida i nostri peccati, lenostre reciproche incomprensioni” (n. 28). Equi, o ha ragione Giovanni Paolo II, oppureha ragione Pio IX, che condannò nel Sillaboquesta proposizione erronea: “I soverchi arbi-tri dei Romani Pontefici produssero la divisio-ne della Chiesa in orientale ed occidentale”(prop. 38). Gli scismatici saranno dunque stati(anche) i Papi? “Il peccato gravissimo della se-parazione” deve essere attribuito anche alPapa regnante a quell’epoca, San Leone IX?Certo, dato che Paolo VI, come ricordaGiovanni Paolo II (cf n. 18) ha sentito l’esigen-za di farsi togliere la “scomunica” inflitta dalPatriarca di Costantinopoli al Papa nel 1054!D’altra parte, lo scisma non fu consumato daFozio prima e Cerulario poi “per una semplicequestione di preminenza” (n. 18) (a tanto è ri-dotta la verità di fede sul primato di giurisdi-zione del Papa: una “semplice questione dipreminenza”!), ma - secondo Giovanni PaoloII - “da un progressivo estraneamento, sicchél’altrui diversità non è più percepita come ric-chezza comune, ma come incompatibilità” finoa giungere a un “indurimento nella polemica enella divisione, quanto più cresce l’ignoranzareciproca ed il pregiudizio” (ibidem).

La Chiesa indivisa e divisaLo scisma fu comune, dunque, e lacerò la

Chiesa che, nel primo millennio, era ancora“indivisa” (n. 9). Dopo lo scisma la Chiesa èdunque divisa, priva perciò della sua divinanota di unità? Per Giovanni Paolo II laChiesa è ancora unita, ma non nel senso chela Chiesa cattolica romana è l’unicaChiesa..“Oggi sappiamo che l’unità può essererealizzata dall’amore di Dio solo se le Chiese[notare il plurale!] lo vorranno insieme, nelpieno rispetto delle singole tradizioni e dellanecessaria autonomia. Sappiamo che questopuò compiersi solo a partire dall’amore diChiese che si sentono chiamate a manifestaresempre maggiormente l’unica Chiesa diCristo, nata da un solo battesimo e da una solaeucarestia, e che vogliono essere sorelle. Comeebbi modo di dire, ‘è una la Chiesa di Cristo;

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se ci sono divisioni si devono superare, ma laChiesa è una, la chiesa di Cristo fra l’Oriente el’Occidente non può essere che una, una eunita’” (n. 20). Quindi, per Wojtyla, c’è unasola Chiesa di Cristo, fondata sul battesimo esull’eucarestia. Essa non è la Chiesa cattolica.La Chiesa cattolica (che chiama “Chiesa diRoma”) è una delle Chiese, Chiese “sorelle”,che purtroppo sono separate da alcune divi-sioni, che compongono l’unica Chiesa. La“Chiesa di Roma” ha “una convinzione: chePietro (cf Mt 16, 17-19) intende porsi al servi-zio di una Chiesa unita nella carità” (n. 20).Ma allora il Vangelo di Matteo attribuisce aPietro un primato di giurisdizione? Oppuresolo di onore? È il primo tra eguali al serviziodei fratelli col “carisma” dell’unità nella ca-rità ecumenica? Leggendo Orientale Lumen èimpossibile trovare il Primato di giurisdizionedel Sommo Pontefice.s

I Cristiani di tutte le confessioni hanno la gra-zia, la fede, e camminano insieme verso ilSignore

Sì, non stupiamocene, giacché le Chiesefanno parte della Chiesa! Da questo principioGiovanni Paolo II ne deduce logicamente ladottrina di questo capoverso: “Trent’annisono trascorsi da quando i Vescovi dellaChiesa cattolica, riuniti in Concilio [ilVaticano II] con la presenza di non pochi fra-telli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali[gli osservatori ‘ortodossi’ e protestanti],hanno ascoltato la voce dello Spirito che illu-minava verità profonde sulla natura dellaChiesa, manifestando così che tutti i credentiin Cristo si trovavano molto più vicini diquanto potessero pensare, tutti in camminoverso l’unico Signore, tutti sostenuti e sorret-ti dalla sua grazia. Emergeva di qui un invitosempre più pressante all’unità” (n. 17; stessoconcetto alla fine del n. 28, ove questa dottri-na è definita una “scoperta”). Al Vaticano IIlo Spirito Santo ha dunque parlato, dando aiPadri una nuova rivelazione sulla naturadella Chiesa: anche i non cattolici sono “cre-denti” in Cristo (hanno la fede), camminanoverso di Lui (si salvano) ed hanno la grazia;sono quindi più vicini di quel che si credevaprima del Concilio, quando si pensava esatta-mente il contrario! Il cambiamento lo dob-biamo all’ecumenismo (e allo “SpiritoSanto”): “Nel primo intreccio del dialogo ecu-menico lo Spirito Santo ci ha consentito di rin-saldarci nella fede comune, perfetta conti-nuazione del kerygma apostolico” (n. 18). In

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questo modo, Giovanni Paolo II, per far usodi una celebre espressione con la quale PioXII condannava questo errore, riduce ad“una vana formula la necessità di appartene-re alla Chiesa per giungere alla salvezza eter-na” (Enc. Humani generis).

Gli Uniati: relitto di una mentalità e di unaecclesiologia abbandonata

Il Vaticano II, dunque, nel pensiero diKarol Wojtyla stesso, ha profondamente mo-dificato l’ecclesiologia, la dottrina cioè dellaChiesa sulla propria natura. Lo conferma ilgiudizio che, nell’Orientale Lumen, egli portasui tentativi di unione del passato. DueConcilii infatti, quelli di Lione (nel 1274) equello di Firenze (1439), realizzarono una,purtroppo effimera, unione con gli Orientali;altri trattati di unione si ebbero in seguito, ilpiù noto dei quali è quello di Brest-Litovskdel 1596, stipulato con gli ucraini. Nonostantetutto, molte Chiese orientali sono pertantoancor oggi unite a Roma, il che disturba assaii “fratelli ortodossi”. Essi, infatti, si rallegra-rono quando i governi stalinisti nei paesidell’Est dichiararono illegali le Chiese cattoli-che orientali (“uniate”), costringendone i fe-deli ad aderire alla “Chiesa Ortodossa”, men-tre oggigiorno si preoccupano del fatto chegli “uniati”, dopo la caduta dei regimi comu-nisti, sono di nuovo riconosciuti dalla legge.Per Giovanni Paolo II questo crimine com-messo dai “fratelli ortodossi” non esiste: lecolpe, se ci sono, sono reciproche: “se talvoltanei loro rapporti con le Chiese ortodosse -scrive Wojtyla a proposito degli uniati - sisono manifestati malintesi e aperte contrappo-sizioni, tutti sappiamo di dover invocare inces-santemente la divina misericordia, e un cuorenuovo capace di riconcilazione, oltre ognitorto subito o inflitto” (n. 21). Bisogna che levittime chiedano perdono ai carnefici, insom-ma! Il fatto è che i cattolici orientali pongonoun problema non soltanto agli “ortodossi”,ma anche a Giovanni Paolo II: essi, infatti,non hanno fatto dell’ecumenismo: hannoabiurato, nel passato, lo scisma, per rientrarenel seno della Chiesa cattolica! Ma oggi, nonbisogna più fare così: “I tentativi [di unione]del passato avevano i loro limiti derivantidalla mentalità dei tempi e dalla stessa com-prensione delle verità sulla Chiesa” (n. 20;stesso concetto all’inizio del n. 21, che riman-da al Messaggio di Giovanni Paolo IIMagnum Baptismi donum del 14 febbraio1988). Nei Concilii di Lione e di Firenze,

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dunque, si capivano le verità sulla Chiesa (idogmi ecclesiologici) diversamente da comesono stati capiti nel “Concilio” Vaticano II.Come volevasi dimostrare... Però... è possibi-le che sia lo stesso Spirito che ha parlato aLione, a Firenze e nel Vaticano II, dando unaidea così diversa della Chiesa?

Il metodo ecumenico: badare solo all’essen-ziale (ma la fede è essenziale?)

Oggi, per raggiungere lo scopo del-l’unità, sono necessari atteggiamenti diversi;ad esempio, “concentrarsi sull’essenziale” (n.4). Ma, la fede fa parte dell’essenziale? Si di-rebbe di no, poiché Giovanni Paolo II escla-ma: “Un legame particolarmente stretto già ciunisce. Abbiamo in comune quasi tutto (cfVaticano II, UR 14-18)” (n. 3). “Quasitutto”... ma non la fede, poiché chi negaanche una sola verità di fede non ha più lafede! Quindi è proprio “l’essenziale” che,purtroppo, fa loro difetto. Allora, si passa adun altro metodo ecumenico: conoscere i“fratelli” ed esaltare la loro “tradizione”.

La “tradizione ortodossa” esaltata, quellaromana umiliata

Giovanni Paolo II ci invita così a conosce-re l’Oriente cristiano. Ottima cosa, senzadubbio. Ma questa conoscenza, in OrientaleLumen, si fonda, come abbiamo visto, su diuna ambiguità di fondo: la “tradizione” chesiamo chiamati a conoscere (dopo che ilVaticano II ha buttato a mare le tradizioni la-tine!) è quella dell’Oriente cattolico o quelladell’Oriente scismatico? Per Wojtyla, cattoli-ci e “ortodossi” sono, entrambi, “portatori vi-venti” di questa “tradizione”. Non stupiamo-ci, quindi, se in essa, con le perle cattolichetroveremo il fango scismatico! Ma questo è ilvecchio modo di ragionare: “allo sguardoodierno appare che una vera unione era possi-bile solo nel pieno rispetto dell’altrui dignità,senza ritenere che il complesso degli usi e con-suetudini della Chiesa latina fosse più comple-to o più adatto a mostrare la pienezza dellaretta dottrina” (n. 20). Quindi, a Lione, aFirenze, la Chiesa non rispettò pienamentel’altrui dignità. E gli usi della Chiesa latinanon sono più adatti a mostrare la pienezzadella retta dottrina, anche se essa, al contra-rio di quella orientale, non si è mai staccatadal seno della Chiesa. Non solo gli usi latininon sono più adatti, ma è vero il contrario.Wojtyla, che si mette “in ascolto delle Chiesed’Oriente” (n. 5), non può che riportare la

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loro voce, che è una voce di superiorità: “ri-spetto a qualsiasi altra cultura, l’Oriente cri-stiano ha infatti un ruolo unico e privilegiato,in quanto contesto originario della Chiesa na-scente” (n. 5). Poco conta che Roma sia stataevangelizzata immediatamente, e consacratadagli Apostoli Pietro e Paolo! Leone XIII,nella sua Lettera Apostolica, ricordava cheRoma è “la Città Signora delle Genti” e chela Chiesa di Roma è “Capo di tutte le altre”,che a lei erano sottomesse. Anche GiovanniPaolo II parla di un primato... ma diGerusalemme, definita “madre di tutte leChiesa” (n. 2)! Non potremo soffermarci alungo sulla descrizione che Giovanni Paolo IIfa della dottrina e della spiritualità orientale,che tanta influenza ha sul suo pensiero. Perora ci attarderemo solo su alcuni punti.L’“inconoscibilità della divina essenza” percui è “impossibile sapere ciò che Dio è” (n.6) sarebbe il caposaldo della dogmaticaorientale, cui corrisponderebbe, nella vitaspirituale, “l’apofatismo” (n. 16). Senza dub-bio, solo in Paradiso vedremo l’essenza diDio, e neppure allora comprehensive, ovverotanto quanto essa è conoscibile. Tuttavia, nonè vero che sia ammissibile solo una teologianegativa (che ci dica di Dio solo quello cheEgli non è); esiste anche una teologia positi-va, che ci fa conoscere gli attributi di Dio(Verità, Sapienza, Giustizia, Bontà ecc.) e,quindi, anche qualche cosa della sua essenza.Presa in tutto il suo rigore, l’affermazione diGiovanni Paolo II ci conduce all’agnostici-smo. Anche la vita spirituale orientale sem-bra essere superiore a quella latina: “inOriente il monachesimo ha conservato unagrande unità, non conoscendo, come inOccidente, la formazione dei diversi tipi divita apostolica” (n. 9). Non può mancare iltema “Dio-Madre”: “il carisma della monaca(...) è segno visibile di quella maternità diDio alla quale sovente si richiama la Scritturasanta” (n. 9). La Chiesa orientale, e non quel-la latina, sarebbe mirabile esempio di incultu-razione; citando l’esempio dei Santi Cirillo eMetodio, che abbandonarono la lingua litur-gica per introdurre quelle volgari nella litur-gia, Giovanni Paolo II scrive: “la rivelazionesi annuncia in modo adeguato e si fa piena-mente comprensibile quando Cristo parla lalingua dei vari popoli, e questi possono legge-re la Scrittura e cantare la liturgia nella lin-gua e con le espressioni che sono loro pro-prie, quasi rinnovando i prodigi dellaPentecoste” (n. 7). A parte il fatto che le tra-

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duzioni non hanno nulla a che vedere coiprodigi della Pentecoste, questa frase è diuna estrema gravità. Tutti sanno, infatti, chela Chiesa romana ha sempre imposto il latinonella liturgia e vietato, nel Concilio di Trento,in mancanza di una sua speciale autorizzazio-ne, la lettura della Scrittura in lingua volgare.Bisogna concludere allora che essa non haannunciato in modo adeguato la rivelazione,rendendola parzialmente incomprensibile?Badate bene: Giovanni Paolo II non dice che,per motivi pastorali, può essere opportunol’uso delle lingue volgari (tesi discutibile manon condannata in quanto tale); dice che nonsi può annunciare adeguatamente la rivela-zione senza l’uso delle lingue volgari, nella li-turgia e nella lettura della Bibbia. Non èforse questa la tesi luterana anatemizzata dalConcilio di Trento (Denz. 956)? Altro tema:la “teologia della divinizzazione”, “una delleacquisizioni particolarmente care al pensierocristiano orientale” (n. 6) e, bisogna dirlo, aquello di Karol Wojtyla. È certamente veroche, mediante la grazia, gli uomini possonodiventare partecipanti alla natura divina, edessere figli adottivi di Dio. Ma certo colpisco-no espressioni come quelle del n. 15 (“perchél’uomo diventasse Dio, il Verbo ha assuntol’umanità”) o la citazione di Nicola Cabasilas(eretico del XIV secolo, che scrisse importan-ti opere contro la Chiesa cattolica e sanTommaso, ed aderì all’eresia palamita, se-condo la quale la Grazia non è qualche cosadi creato ma è Dio stesso) ove dice chel’uomo è innalzato a un tale grado di gloria“da essere ormai uguale in onore e deità allanatura divina” (nota 15)! Et de hoc satis!

La “Chiesa ortodossa”: una, santa, cattolicae apostolica (per K. Wojtyla)

Si può concludere che, per K. Wojtyla, laChiesa “ortodossa” è veramente ortodossa.Essa ha la vera fede (benché non la “piena”comunione). Essa ha, perlomeno quanto laChiesa cattolica, le quattro note della veraChiesa: una, santa (ci sono i “santi ortodos-si”; cf nn. 22 e 24), cattolica e apostolica(“perfetta continuazione del kerygma aposto-lico”). Ha quindi per sé, con la Chiesa cattoli-ca, i “motivi di credibilità”. I cattolici romanidevono quindi abbeverarsi da quella fonteorientale, ove attinge lo stesso “papa”; fonteinquinata, però, perché dal 1054 vi sono con-fluite le acque dell’eresia e dello scisma.Quest’acqua inquinata vorrebbe farci bereGiovanni Paolo II, spacciandola per pura

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dottrina degli antichi Padri. Al seguito diGiovanni Paolo II dovremmo tornare “allefonti”: quelle di Costantinopoli, quelle diMosca, quelle, soprattutto, di Gerusalemme.Malgrado la nostra grande ammirazione estima sincera per l’autentica tradizione delleChiese orientali cattoliche, preferiamo atte-nerci all’autentica tradizione della Roma im-mortale, di cui non si parla più da trent’anni aquesta parte, e restare, soprattutto, veramen-te ortodossi (senza virgolette!).

COI LUTERANI “non c’è più contrasto sulleragioni teologiche dello scisma”(RATZINGER)

Dopo lo “scisma d’Oriente”, lo “scismad’occidente”..., cioè quello... luterano. Le cosevanno bene: i luterani hanno tolto la “scomu-nica” ai cattolici! “Il vescovo [luterano] delBaden, Klaus Engelhardt ha consegnato alpapa un documento sottoscritto dagli evange-lici tedeschi in cui si afferma precisamente chele ‘scomuniche’ e le ‘condanne dottrinali’espresse dai luterani nel sedicesimo secolo‘non possono essere applicate oggi alla Chiesacattolica’” (Avvenire, 17 dicembre 1994, pag.16). Per loro, pertanto, è la “Chiesa cattolica”che è cambiata, tanto che auspicano “l’appro-vazione da parte cattolica di un documentoanalogo”, ovvero la revoca della scomunica aLutero. La si aspettava in occasione del viag-gio di Giovanni Paolo II a Trento, ma non c’èancora stata; in quell’occasione egli si è accon-tentato di patrocinare la canonizzazione di DeGasperi e Rosmini (dall’Indice all’altare!). Ipresupposti per l’annullamento della scomu-nica ci sono però tutti. Nel discorso per laconclusione della “Settimana di preghiera perl’unità dei cristiani” (25 gennaio), GiovanniPaolo II ha ricordato le parole di Gesù: “Iosono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e ioin lui, fa molto frutto, perché senza di me nonpotete far nulla” (Gv 15, 5). I tralci sono i “di-scepoli di Cristo”, uniti a Gesù e uniti tra loroin comunione di vita e di amore: “essi sonotutti redenti da un solo Signore” (n. 2). Ora, ci-tando il Vaticano II (UR n. 22) GiovanniPaolo II ricorda che “il battesimo è il vincolosacramentale dell’unità esistente tra i discepolidi Cristo”, per cui tutti i battezzati sono incor-porati a Cristo, sono tralci legati alla vite (n.3). Anche i luterani? Certo! “Nel corso dei se-coli, le divisioni hanno purtroppo introdottoun profondo turbamento nella comunità cri-stiana. Esse hanno provocato incrinature e di-

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stacchi a volte gravi e drammatici, causa nonraramente di penose sofferenze. Nessuna divi-sione però ha potuto infrangere la comunio-ne fondamentale che permane tra coloro che‘invocano la Trinità e professano la fede inGesù, Signore e Salvatore’ (Vat. II, UR n. 1)”(n. 3). Luterani, “ortodossi”, cattolici ecc.sono tutti dei tralci fra i quali scorre “la linfavitale (...) che proviene loro dalla vite” (n. 5)(cf Avvenire, 26/1/95, pag. 16). A febbraio,altri due incontri, con i delegati della“Evangelical Lutheran Church in America”e con “l’Istituto ecumenico di Bossey”, delConsiglio Ecumenico delle Chiese (O.R., 14-15 febbraio 1995, pag. 10). A marzo, nelCentro Internazionale Brigidino di FarfaSabina, ha avuto luogo il Simposio su “Le re-lazioni Cattolico-Luterane a tre decenni dalVaticano II” (O.R., 16 marzo 1995, pag. 6). Inquesto Simposio, Ratzinger ha pronunciato lafrase da noi riportata (da Avvenire, 14 marzo1995, pag. 16). “L’argomento sul quale si ritie-ne ormai non ci siano quasi più differenze - haaggiunto Ratzinger - è proprio la dottrinadella giustificazione” (ibidem). I luteraniavranno accettato il Concilio di Trento? C’èda dubitarne! Ma tutto si risolve: basta usareil sofisma di Giovanni XXIII. Ricevendo inudienza i cattolico-luterani del Simposio diFarfa il 14 marzo, Giovanni Paolo II ha detto:“Quello che abbiamo in comune è molto dipiù di quello che ci divide” (n. 3). Basta “dareil giusto peso alle realtà che ci uniscono e met-tere da parte le abitudini profondamente radi-cate di enfatizzare i punti” di divisone, ed ilgioco è fatto: anche Lutero è cattolico (e vice-versa, i cattolici sono “luterani”).

RELAZIONI CON GLI EBREI

Non è diminuito, in questa prima partedel 1995, l’impegno di Giovanni Paolo II sulfronte delle relazioni con il giudaismo. Il 50°

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anniversario della “liberazione dei lager diAuschwitz-Birkenau da parte delle trupperusse” (cf Avvenire, 28 gennaio 1995) le quali,occorre ricordarlo (ma nessuno lo dice), co-prirono il mondo di lager dal 1917 al 1989, hadato occasione a nuovi pronunciamenti. Lecommemorazioni ebbero già inizio l’annopassato, con il concerto per ricordare la“Shoah” tenuto in Vaticano il 7 aprile allapresenza di Giovanni Paolo II, del RabbinoCapo Toaff, del presidente della RepubblicaScalfaro e dell’allora presidente del Senato,Spadolini; in quell’occasione, Giovanni PaoloII pronunciò due discorsi, uno alla Comunitàebraica (O.R., 8 aprile 1994, pag. 6) ed unaltro al termine del concerto (O.R., 9 aprile1994, pag. 4). A ricordo dell’arrivo delle trup-pe sovietiche ad Auschwitz, Giovanni PaoloII ha consacrato l’Angelus del 29 gennaio(O.R., 30-31 gennaio 1995, pagg. 1 e 5), dicen-do, tra l’altro: “Ad Auschwitz, come in altricampi di concentramento, morirono tanti in-nocenti, di diverse nazionalità. In particolare, ifigli del popolo ebraico, di cui il regime nazistaaveva programmato il sistematico sterminio,subirono la drammatica esperienza dell’‘olo-causto’. (...) Mai più l’antisemitismo! Mai piùl’arroganza dei nazionalismi! Mai più genoci-di”. Il 27 gennaio si erano svolte in Polonia lecerimonie commemorative della liberazione,alla presenza di sedici capi di stato e del ve-scovo di Bielsko Biaca, Mons. Rakokzy. Ilquotidiano cattolico Avvenire ha riportato inprima pagina il testo dell’“appello alla pace”sottoscritto dagli statisti e “premi Nobel” pre-senti, nel quale, tra le altre affermazioni, sidice: “ci riuniamo per ricordare il più grandecrimine della storia, il crimine che nelle inten-zioni dei responsabili avrebbe dovuto portarealla ‘soluzione finale’, il crimine contro gliebrei”. L’uccisione di un innocente, chiunqueegli sia, grida vendetta al cospetto di Dio. Sitratta però pur sempre di una creatura.Quando è stato crocifisso Gesù Cristo, veroDio e vero Uomo, è una persona divina che èstata messa a morte ingiustamente. Ci sembrache, in gravità, questo crimine non abbia pa-ragoni (ma, a nostra conoscenza, nessuno haavuto il coraggio di dirlo). Il 6 febbraio se-guente Giovanni Paolo II ha nuovamente ri-cevuto in udienza in Vaticano i rappresentan-ti dell’American Jewish Commitee (O.R., 6-7febbraio 1995, pag. 5). Ricevendoli, GiovanniPaolo II ha detto loro: “La vostra visita aRoma coincide, quest’anno, con il 30° anniver-sario della promulgazione della dichiarazione

Pastori e “Pastore” luterani in udienza in Vaticano

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Nostra Ætate da parte del Concilio VaticanoII. (...) Come risultato del dialogo e della coo-perazione portati avanti con pazienza e in unaatmosfera di rispetto e di buona volontà, le ul-time tre decadi, in verità, attestano il profondocambiamento intervenuto nelle nostre recipro-che relazioni. I malintesi e le difficoltà deitempi passati sono stati gradualmente sostituitidalla fiducia e dalla stima reciproca. Chi puònegare che questi cambiamenti positivi sonoopera dell’Onnipotente, che rinnova tutta lacreazione e distoglie il nostro sguardo dallecose del passato (cf Is 65, 17)? (...) In questomomento, cinquant’anni dopo la liberazionedi Auschwitz, non possiamo non ricordare in-sieme gli orrori della Shoah. (...) Il ricordodell’Olocausto dovrebbe spingerci a rinnovareil nostro impegno a lavorare insieme in ar-monia per soddisfare la fame e la sete di giu-stizia innata in ogni essere umano creato aimmagine di Dio (cf Gn 1, 26-27). (...) Grazieper la vostra visita. Shalom!” Vera Haller, perl’Agenzia Stampa Reuters Ltd, riferisceanche il tenore del discorso tenuto dal presi-dente dell’American Jewish Committee(AJC), Robert S. Rifkind, a Giovanni PaoloII. Rifkind, a capo di una delegazione di 40ebrei americani, “ha chiesto al Papa di pub-blicare un’enciclica che condanni l’antisemiti-smo” risorgente dopo la caduta del comuni-smo. Rifkind ha detto a Giovanni Paolo IIche “un’enciclica che condannasse ogni formadi antisemitismo ‘rappresenterebbe un contri-buto duraturo al bene dell’umanità ed il coro-namento del suo ministero’ (...) Rifkind hadetto che il Papa polacco ha assicurato la de-legazione che il Vaticano studierà attenta-mente queste proposte, inclusa la richiestafatta alla Chiesa cattolica di dare un maggiorecontributo alla lotta contro il terrorismo in-ternazionale”. Nell’attesa della nuova encicli-ca, accontentiamoci di un altro Angelus, quel-lo di domenica 26 febbraio, sulla carmelitanaEdith Stein. Non solo Giovanni Paolo II laloda come “donna di pensiero, capace di uti-

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lizzare con saggio discernimento gli apportidella filosofia contemporanea” (la fenome-nologia soggettivista!) ma afferma pure: “Fuuccisa, come tante altre vittime della ferocianazista, nel lager di Auschwitz. Per lei, di ori-gine ebraica, ed educata alla tradizioni deiPadri, la scelta del Vangelo, cui giunse doposofferta ricerca, non significò il rifiuto dellesue radici culturali e religiose” (O.R., 27-28febbraio 1995, pag. 6). Questa affermazione èinaccettabile. La conversione di un ebreo alcristianesimo non lo mette certo in contrastocon l’Antico Testamento, ma lo mette però intotale opposizione alle tradizioni dei padri,nelle quali anche la Stein fu educata. Cosascrive San Paolo ai Galati? “Avete certo sen-tito parlare di come mi comportavo nel giu-daismo; perseguitavo accanitamente laChiesa di Dio e la devastavo (...) essendogran zelatore delle tradizioni paterne” (Gal1, 13-14)! Certo, perché, come disse Gesù, letradizioni rabbiniche sono in contrasto con laDivina Rivelazione, con lo stesso AnticoTestamento: “rendete vana la parola di Diomediante la tradizione che voi insegnate”(Mc, 7, 13). La conversione di un ebreo dalgiudaismo al cristianesimo comporta quindi,contrariamente a quanto affermano GiovanniPaolo II ed il cardinal Lustiger, una abiuradel giudaismo stesso. È questo il pensierodegli stessi rabbini, manifestato in occasionedella visita di Aaron Lustiger in Israele: per ilRabbino Capo Lau la conversione degli ebreial Cristianesimo è grave quanto il loro stermi-nio da parte dei nazisti: “Entrambe le strade -ritiene il Rabbino Capo - vanno nella direzio-ne della soluzione finale della questioneebraica” (La Stampa, 26 aprile 1995, pag. 10).Commenta Barbara Spinelli (di madreebrea): “Per essersi convertito al cattolicesi-mo negli anni del nazismo, l’arcivescovo diParigi Jean-Marie Lustiger è stato dichiaratopersona di troppo in Israele: persona non gra-dita per aver tradito la sua religione, il suopopolo, la sua nazione, come si è espresso neigiorni scorsi il rabbino Ashkenazi, Meir Lau.È peccaminosa la conversione, ed è tuttorascellerata la nuova fede scelta dall’adolescen-te polacco cinquantacinque anni fa: per defi-nizione, l’arcivescovo ‘incarna la via dellosterminio spirituale, che ha condotto, esatta-mente come la distruzione fisica, alla soluzio-ne finale del problema ebraico’, e questovieta a Lustiger di partecipare alle odiernecommemorazioni del genocidio. La voce delrabbino Lau non è isolata, in Israele. Si sono

I rappresentanti dell’American Jewish Commitee da Giovanni Paolo II

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associati il rabbino Rosen, il ministrodell’educazione Rubinstein, il presidente delMuseo dell’Olocausto, Burg. Il risentimentoebraico verso Roma cattolica è qualcosa cheresiste al tempo, alle aperture di GiovanniPaolo II, al riconoscimento dello Stato diIsraele. (...) Lo stesso rabbino Rosen sembraadombrare tale riduzione [al ‘formalismo fari-saico’] quando dice, a proposito della conver-sione, che per l’ebreo essa ‘non è un proble-ma teologico, ma un atto di tradimento’. Ilche apparentemente vuol dire: non la religio-ne è messa in causa dal convertito, ma l’ap-partenenza a un popolo, un’etnìa, forse addi-rittura a una razza. (...) C’è del farisaismonelle loro reazioni, ma è un farisaismo nuovo:un farisaismo etnico, non più religioso” (LaStampa, 27 aprile 1995, pagg. 1 e 6). Si notiche sia il rabbino Lau (assiduo frequentatoredi logge massoniche) sia il rabbino Rosen (delB’naï B’rith) sono stati ricevuti calorosamen-te da Giovanni Paolo II! Nella stessa occasio-ne il rabbino Moshe Zeev Feldman ha dichia-rato: “Durante l’Olocausto, la Chiesa si mac-chiò di una apatia sadica e scellerata di fronteal genocidio del popolo ebraico. E ancoranon ha nemmeno fatto ammenda”. “Piuttostoche soffermarsi sul silenzio di Dio” ha dettoLau, Lustiger “farebbe bene a spiegare il si-lenzio di un uomo in carne ed ossa, di papaPio XII, che non mosse un dito per impedireil genocidio” (La Stampa, 26 aprile 1995).Commento di Lustiger: “La responsabilità ri-cade anche sulla Chiesa” (La Stampa, 27 apri-le, pag. 7). Naturalmente, chi crede nel “ma-gistero” di Giovanni Paolo II deve pensareche ora, dopo il Vaticano II, vigono tra ebreie cristiani “fiducia e stima reciproca”!

IL NUOVO CATECHISMO GIUDICATO DAIRABBINI

Riportiamo fedelmente da L’OsservatoreRomano (16 marzo 1995, pag. 6) la seguentenotizia: “Il nuovo Catechismo della ChiesaCattolica segna un passo grandemente inno-vativo e importante nella trattazione del temadell’Ebraismo. A sottolinearlo è stato il rabbi-no Jack Bemporad, Direttore del ‘Center ofChristian Jewish Understanding’ dell’Univer-sità del Sacro Cuore, in Farfield (Connecti-cut), durante una conferenza svoltasi il 2 feb-braio scorso a Manhattan, alla quale hannopreso parte il Cardinale John JosephO’ Connor, Arcivescovo di New York, (...) e irabbini Lawrence e Barry Friedman. Questo

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incontro ha costituito un significativo puntodi incontro fra cattolici ed ebrei. I diversi ora-tori intervenuti sono stati concordi sul fattoche il Catechismo della Chiesa cattolica sotto-linea gli sviluppi nei rapporti tra cattolici edebrei alla luce del Concilio Vaticano II edhanno espresso riconoscenza verso GiovanniPaolo II per il suo impegno nel campo deldialogo tra cattolicesimo ed ebraismo. IlCatechismo, è stato ricordato tra l’altro, pren-de una decisa posizione verso certe incom-prensioni del passato ed indica chiaramente iprincipi di una nuova èra di rispetto e di dia-logo tra cattolici ed ebrei”.

«I BUDDISTI ITALIANI: “GRAZIE WOJTYLA”»(AVVENIRE, 9.2.1995)

Il quotidiano “dei vescovi italiani”,Avvenire, ci informa di una udienza privataconcessa da Giovanni Paolo II ad AjhanTavanaro, Massimo Corona, Vincenzo Pigae Angela Falà. Che c’è di male? Il fatto che ilquartetto, che presumiamo composto da cri-stiani battezzati, costituisca la delegazioneufficiale dell’UBI, ovvero Unione buddistaitaliana. Avvenire ci informa che l’UBI“conta circa 25 mila seguaci in Italia” (pag.15). Vale a dire... 25 mila apostati che hannorinnegato Gesù Cristo e le promesse del bat-tesimo! E quattro di questi sventurati sonostati ricevuti in udienza, durante la quale nonsono stati certamente rimproverati per il lorotradimento del Signore, giacché hanno di-chiarato il loro «“apprezzamento” per le pa-role di stima e di amicizia espresse dal Papaverso il buddismo in occasione del suo ultimoviaggio internazionale» sottolineando «“il ri-conoscimento” del Papa “che l’impegno al-truistico è il grande valore dell’insegnamentodel Budda e della pratica dei suoi discepoli”».Naturalmente, “la presidenza dell’UBI di-chiara di condividere l’auspicio di GiovanniPaolo II che possa avanzare il dialogo inter-religioso...”. Commento di Sodalitium: “Ènecessario infatti che avvengano scandali,guai però all’uomo per causa del quale avvie-ne lo scandalo!” (Matteo, 18, 7).

GIOVEDI SANTO: “L’IMPORTANZA DELLADONNA NELLA VITA DEL SACERDOTE”!

Nello scorso numero di Sodalitium (pagg.40-42), commentando la Lettera alle famiglie diGiovanni Paolo II, avevamo sottolineato comeil personalismo di Karol Wojtyla lo conduca ad

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una nuova concezione della castità e del celi-bato sacerdotale, in sintonia col pensiero pan-sessualista del gesuita apostata Teilhard deChardin. Per meglio propagandare questanuova concezione, Giovanni Paolo II l’ha spie-gata, seppur velatamente, ai sacerdoti delmondo intero nella sua Lettera ai sacerdotiper il Giovedì Santo, datata 25 marzo 1995(O.R., 8 aprile 1995, pagg. 1, 4-5). L’occasioneper ritornare sull’argomento gli è stata offertadella “festa del sacerdozio” (il Giovedì Santo,appunto) e dalla “Conferenza internazionaleconvocata dall’Organizzazione delle NazioniUnite a Pechino per il prossimo settembre” chesarà dedicata alla donna (n. 2). San Paolo rac-comanda al giovane vescovo Timoteo “di trat-tare le donne anziane come madri e le più gio-vani come sorelle in tutta purezza” (1 Tm 5,2).Nulla di strano, quindi, se in “una Lettera sulrapporto tra il sacerdote e la donna” (n. 2)Giovanni Paolo II invita a considerare le fedelidi sesso femminile come “madri” e “sorelle”nel Signore, senza alcuna deprecabile misogi-nia. E come temere, se Giovanni Paolo II, perillustrare l’aspetto “materno” delle donneverso il sacerdote, fa riferimento alla Madredel Sommo Sacerdote, la Vergine Maria?(Anche se egli non si limita ad analizzarel’aspetto teologico della questione, per divaga-re invece su quello “storico, antropologico eculturale” n. 2). Solo che anche Teilhard na-scondeva le sue aberrazioni sotto il mantodella Madonna (Cf Sodalitium n. 40, pag. 41)...Giovanni Paolo II fa osservare che, senza lemadri, non ci sarebbero i sacerdoti; la cosa èovvia, poiché il sacerdozio è conferito a uomininati da donna! Ma sembra esagerato conclu-derne con lirismo: “Oh, quanto realmente e altempo stesso discretamente è presente la mater-nità e, al tempo stesso, grazie ad essa, la femmi-nilità nel sacramento dell’Ordine, di cui rinno-viamo la festa ogni anno il Giovedì Santo!” (n.

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3). Esagerato, perché il sacerdozio è una realtàdi ordine sovrannaturale, ben diversa dallamaternità (pur presupposta come condizionesine qua non) di ordine prettamente naturale.Dopo la “donna-madre”, Wojtyla si attarda sulconcetto di “donna-sorella” del sacerdote (daln. 4). Il passaggio da un concetto all’altro na-sconde un primo, visibilissimo, sofisma. Perdire che siamo tutti fratelli e sorelle, GiovanniPaolo II scrive: “La famiglia di Dio infatticomprende tutti gli uomini: non soltanto quan-ti mediante il Battesimo diventano figli adottividi Dio, ma in un certo senso l’intera umanità,giacché Cristo ha redento tutti gli uomini e tuttele donne, offrendo loro la possibilità di diventa-re figli e figlie adottivi dell’eterno Padre. Tutti,così, diventiamo in Cristo fratelli e sorelle. Edecco così emergere all’orizzonte della nostra ri-flessione sul rapporto tra il sacerdote e ladonna, accanto alla figura della madre, quelladella sorella. Grazie alla Redenzione, il sacer-dote partecipa in modo particolare alla relazio-ne di fraternità offerta da Cristo a tutti i redenti”(n. 4). In queste poche righe il vero ed il falsosi susseguono e si intrecciano (ma non si me-scolano) continuamente. Sono falsissime la tesi(“la famiglia di Dio comprende tutti gli uomi-ni”) e la conclusione del ragionamento (“Tutti,così, diventiamo in Cristo fratelli e sorelle”).L’errore è lampante nel ragionamento stesso,ove Giovanni Paolo II passa, indebitamente, aposse ad esse, dalla potenza o semplice possibi-lità all’atto, o realtà di fatto. I battezzati sonoin atto figli adottivi di Dio, e quindi fratelli trasé e con Gesù Cristo. I non-battezzati non losono ancora, benché possano diventarlo, fin-ché vivono. Essi sono redenti oggettivamente(Cristo ha pagato per loro) ma non soggettiva-mente (sono ancora nei loro peccati e la pas-sione di Cristo non è stata applicata alle loroanime). Tutti gli uomini (e le donne!) sonochiamati ad entrare nella “famiglia di Dio”, manon tutti ne fanno parte! Lo dice chiaramentela divina Rivelazione (cf Ef 2, 19; Gal 6, 10): i“famigliari” di Dio sono solo i cristiani! Maper Giovanni Paolo non è così: tutte le donne,cristiane o meno, sono “sorelle” dei preti, rap-presentando “una specifica manifestazionedella bellezza spirituale della donna” (n. 5).Come rinunciare a questa bellezza (spirituale,beninteso)? Non si deve, non si può; nemmenoi preti, soprattutto i preti. “Molti tra noi sacer-doti hanno in famiglia delle sorelle. In ognicaso, ciascun sacerdote sin da bambino haavuto modo di incontrarsi con ragazze, se nonnella propria famiglia, almeno nell’ambito del

“L'importanza della donna nella vita del sacerdote”.Secondo il quotidiano dei vescovi “Avvenire”, la dottrina

di Teilhard è “in armonia” con la “Mulieris dignitatem” diGiovanni Paolo II. Nella foto Lucile Swan e P. Teilhard

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vicinato, nei giochi d’infanzia e a scuola. Untipo di comunità mista possiede un’importan-za enorme per la formazione della personalitàdei ragazzi e delle ragazze” (n. 4). ASodalitium non siamo certo malati di una pato-logica fobia del devoto femineo sexu...Tuttavia, ci ricordiamo che, su questo punto, iSommi Pontefici non sono d’accordo conGiovanni Paolo II. La coeducazione dei sessiè, infatti, condannata dalla Chiesa cattolica: daPio IX (Istruzione del Santo Officio del 24nov. 1875, Insegnamenti Pontifici,L’Educazione, n. 55) e da Pio XI (EnciclicaDivini illius Magistri, del 31 dicembre 1929, ibi-dem, 284). Questo metodo educativo viene de-finito dal Papa Pio XI come “erroneo e perni-cioso” fondato per molti “sul naturalismo ne-gatore del peccato originale” o, per lo meno,“su una deplorabile confusione di idee, chescambia la legittima convivenza umana con lapromiscuità ed uguaglianza livellatrice”. PioIX rincara la dose: “Sono minacciati da certacorruzione (...) gli adolescenti dei due sessi”che “ sono adunati in una stessa aula per assi-stere alle lezioni, e fanciulli e fanciulle” che“devono sedersi negli stessi banchi. Il risultatodi tutto questo è di esporre disgraziatamente lagioventù (...) a mettere in pericolo i buoni co-stumi”. Se questo vale per gli studenti che nonsi destinano al celibato, che dire dei seminaristie del clero? Ma per Giovanni Paolo II è nellaRivelazione stessa che troveremmo la consa-crazione di quella coeducazione che, invece, laChiesa condanna: “Tocchiamo qui - proseguela Lettera ai sacerdoti parlando dell’importanzadella promiscuità tra uomini e donne - il dise-

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gno originario del Creatore, il quale in princi-pio creò l’uomo ‘maschio e femmina’ (cfr Gen1, 27)” (n. 4). Né vale obiettare che ciò valgasolo per chi si destina al matrimonio: “Il librodella Genesi ne parla nel contesto della voca-zione al matrimonio” che “suppone ed esigeche l’ambiente in cui si vive sia composto di uo-mini e di donne”. Ma... “in tale contesto nasco-no però non soltanto le vocazioni al matrimo-nio, ma anche quelle al sacerdozio e alla vitaconsacrata. Esse non si formano nell’isola-mento. (...) Per vivere nel celibato in modo ma-turo e sereno, sembra essere particolarmenteimportante che il sacerdote sviluppi profonda-mente in sé l’immagine della donna come sorel-la” (n. 4). Se sviluppiamo logicamente il pen-siero di Karol Wojtyla, anche i seminari ed iconventi dovrebbero essere misti, naturalmen-te “in tutta purezza”, giacché le vocazioni “nonsi formano nell’isolamento” e la “comunitàmista ha un’importanza enorme nella forma-zione della personalità”. La Lettera opera per-tanto una rottura decisa con tutta l’ascetica cri-stiana, fondata sulla stessa Rivelazione (Eccli3, 27; 9, 5; 21, 2; Iob 1, 31...), sugli scritti deiPadri, dei Santi e dei Dottori che tutti, unani-mamente, insegnano, specialmente ai sacerdo-ti, la separazione dall’altro sesso e la fuga dellafamigliarità. Sant’Alfonso riassume incisiva-mente questa dottrina riportando le parole diun altro Dottore, San Bernardo, secondo ilquale “ci vuole meno virtù a risuscitare unmorto che a mantenersi casto frequentando lafamigliarità con una donna” (S. Alfonso, Selvadi materie predicabili, p. II, istruzione III, n.10). A quella dei santi, Wojtyla preferisce la“dottrina” di Teilhard, secondo il quale “peraccedere alla maturità e alla pienezza spiritua-le (...) nessun uomo può (è di una evidenzaogni giorno più clamorosa) fare a meno delfemminino”. Come Teilhard, Wojtyla invita isacerdoti cattolici ad abbandonare una “perfe-zione religiosa sempre presentata, teologica-mente, in termini di separazione” per percor-rere una nuova via, quella dell’“evoluzionedella castità”. Wojtyla ha sempre vissuto, dasacerdote, la dottrina, che ora insegna ai preti,della famigliarità con le donne. Dove essa con-duca, lo mostra il triste esempio di Teilhardstesso, il quale dal 1925 fino alla morte (1955)fu amante (platonico!) della scultrice LucileSwan, protestante e divorziata (cf FabioMantovani. Il casto segreto di Teilhard. inAvvenire, 14 febbraio 1995, pag. 17). Una pa-rola, infine, sui capitoli conclusivi della Lettera,dedicati ad una sproporzionata esaltazione del

“L’importanza della donna nella vita del sacerdote”(Giovanni Paolo II a Manila, 14/1/1995)

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“sacerdozio universale dei fedeli” e della loro“dignità regale” (n. 6) La Chiesa, nella visionedel Concilio (Lumen gentium, capp. II e III) è“anzitutto Popolo di Dio, giacché quanti la for-mano, uomini e donne, partecipano - ciascunonel modo che gli è proprio - alla missione sacer-dotale, regale e profetica di Cristo”. Solo secon-dariamente essa sarebbe “struttura gerarchica”(n. 6). Al seguito del “Cristo-Servo” (n. 8;“Servo dell’uomo” nel n. 7) e di “Maria serva”(n. 8), i sacerdoti destinatari della Lettera sonoal servizio del “Popolo di Dio” e della “suamissione” (n. 7). Poveri preti, scandalizzati dachi dovrebbe edificarli, esortati nello stessotempo al celibato (sacrosanto) ed alla famiglia-rità con le “sorelle”, sacerdotesse, regine eprofetesse. Riusciranno a risuscitare i morti?

LA VIA CRUCIS DEL 1995

A proposito di scandali: la Via Crucis pre-sieduta, ogni Venerdì Santo, da GiovanniPaolo II, è ormai divenuta fonte di scandalo enon, come dovrebbe, di edificazione.Innanzitutto, “le 14 stazioni della Via Crucis1995 seguono lo schema maggiormente rispon-dente alla narrazione evangelica della Passione,già usato nella Via Crucis al Colosseo neglianni 1991, 1992 e 1994” (O.R., 10-11 aprile1995, pag. 6), creando confusione nei fedeli edimostrando una sospetta simpatia per la sen-sibilità luterana che esclude tutto ciò che non èscritturale. Di poi, per la prima volta, tredonne, tra le quali la luterana “suor” Maatj,hanno portato la Croce (quando Gesù è, inve-ce, un Uomo). Ma, fin qui, non varrebbe lapena di soffermarsi. Il fatto è che, dall’annoscorso, la Via Crucis è divenuta, anch’essa, “unevento ecumenico”, come sostiene PietroMarini, “Maestro delle Celebrazioni Litur-giche Pontificie” (ibidem). Infatti, ci dice ilMarini, le meditazioni nel 1994 “furono detta-te da S.S. Bartolomeo I, Arcivescovo diCostantinopoli e Patriarca Ecumenico (...). Inquel Venerdì Santo, nelle antiche vie di Roma,Giovanni Paolo II e Bartolomeo I, la Chiesa diPietro e la Chiesa di Andrea, si trovaronounite nella meditazione della Passione del lorounico Signore e Redentore” (in realtà,Bartolomeo I usurpa la sede di Costantinopoli,e non è il successore di S. Andrea, ma degli sci-smatici Fozio e Cerulario). “Nel 1995 - prose-gue Marini - le meditazioni della Via Crucissono state affidate a una donna, sorella Minkede Vries, monaca della comunità protestantedi Grandchamp, nella Svizzera francese. (...)

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...l’invito a lei rivolto costituisce, come nel casodell’invito a Bartolomeo I, un gesto di grandesignificato ecumenico: la comunità ecclesiale diRoma, presieduta dal suo Vescovo GiovanniPaolo II, medita la Passione del Signore contesti sgorgati dal cuore di una figlia dellaRiforma”. Siccome la sventurata è luterana,non stupiamoci se “dal suo cuore” non sgorga-no sentimenti cattolici. L’Osservatore Romanone pubblica il testo alle pagg. 6-7 del 16 aprile1995; ad un lettore attento non sfugge l’eco lu-terano di frasi come qualla della prima neo-stazione (“dopo... aver inaugurato la SantaCena”) o della undicesima (“oggi accogli neltuo Regno, solo per tua grazia e per sempre, ilbuon ladrone, l’omicida che si apre alla fede”).“Suor” Minke interpreta alla maniera calvini-sta (come Ratzinger e Giovanni Paolo II) ildogma della “discesa agli inferi” (cf. nona sta-zione), semplice discesa nella tomba, nellamorte o nel peccato degli uomini. Ma, soprat-tutto nella terza neo-stazione (“Gesù è con-dannato dal Sinedrio) l’eresia tocca il sommo.Declama “suor” Minke, mentre GiovanniPaolo II annuisce e medita: “... tu non hai mairinnegato il tuo popolo: ‘Padre, perdonali, per-ché non sanno quello che fanno’. E ciò che essihanno fatto, noi, la tua Chiesa, lo facciamo daquasi duemila anni... Padre, perdonaci: tantevolte facciamo della fede una nostra proprietà,un privilegio che ci appartiene. Ma solo pertua grazia possiamo riconoscere Gesù come ilCristo, tuo figlio, nostro Signore. Perdonacianche di aver rifiutato il tuo popolo, di averloschernito, persino nelle nostre liturgie”.Secondo la luterana (e Giovanni Paolo II):

1) Gesù non ha mai rinnegato il popolodi Israele, che resta quindi il popolo “predi-letto dal Padre”;

2) “Ciò che essi hanno fatto” (non rico-noscere Gesù come Messia e come Dio, di-chiaralo reo di bestemmia e degno di morte,chiederne le crocifissione a Pilato...) laChiesa lo fà da quasi duemila anni;

3) Tutti quelli che hanno celebrato la litur-gia cristiana hanno commesso un peccato, delquale devono chiedere perdono, per aver rifiu-tato e schernito il popolo d’Israele. Na-turalmente, la principale responsabile di questopeccato è la Chiesa, ovvero i Papi che ordina-vano questi “scherni” liturgici (fino a Pio XIIincluso). D’altra parte, per “suor” Minke (eGiovanni Paolo II), la Chiesa si distingue per“le sue infedeltà e i suoi tradimenti” (Quartaneo-stazione: Gesù è rinnegato da Pietro).

Di fronte a queste empie e sacrileghe be-

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stemmie, pronunciate proprio a Roma, ed ilVenerdì Santo, prendiamo le difese di no-stra Madre, offesa, calunniata e vilipesa, laSanta Chiesa cattolica, e le difese del NostroSignore Gesù Cristo, tradito, rinnegato ecrocifisso, il quale ha detto (e nessuno puòvietare per legge il Vangelo, speriamo!):“Perciò io vi dico che il Regno di Dio vi saràtolto e sarà dato a un popolo che lo farà frut-tificare” (Mt 21, 43).

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(P.S.: Naturalmente, “suor” Minke spez-za una lancia in favore di Giuda Iscariota:“Chi può escludere - dice - che anche di luiDio abbia avuto misericordia?”. cf. Avve-nire, 14 aprile 1995, pag. 17).

Il commento delle “Encicliche” “Evange-lium vitæ” e “Ut unum sint” sarà pubblicatoin un prossimo numero di Sodalitium.

SIA FATTA LA TUAVOLONTÀ COME IN CIELO

COSÌ IN TERRAdon Ugolino Giugni

Ogni uomo, ogni cristiano, deve tenderealla perfezione poiché il tempo che egli

trascorre sulla terra è un tempo di prova chedeve servire a preparargli (se avrà fatto ilbene quaggiù) la vita eterna in Paradiso. Perpotere conseguire questa ricompensa,l’uomo deve santificarsi e correggere i difettidella propria anima, poiché ci ammoniscel’apostolo S. Paolo: “Questa è la volontà diDio la vostra santificazione” (I Tess IV, 3). Sipone subito il problema: in cosa consiste lasantità, come santificarsi e raggiungere que-sta perfezione facilmente e rapidamente?

Alcuni faranno consistere la santità nellemortificazioni e penitenze, altri nelle moltepreghiere, altri nelle opere di carità ed ele-mosine verso il prossimo. Tutte queste sonocertamente cose buone e lodevoli (1) chepiacciono a Dio; ma la santità non si trovaessenzialmente in esse. Essa è al di sopra ditutte queste cose ed è in tutte queste cose in-sieme se sono conformi alla volontà di Dio.Dio aborrisce invece queste stesse operebuone, se non sono secondo la sua santa vo-lontà. La perfezione, quindi, consistenell’amare Iddio poiché “la carità è vincolodi perfezione” (Col. III, 14), ma la perfezio-ne della carità (cioè dell’amore di Dio) con-siste nell’unire la nostra alla sua santissimavolontà. Perciò dice S. Alfonso Maria deiLiguori: “quanto più uno sarà unito alla di-vina volontà tanto sarà maggiore il suo

amore” ed ancora: “tutta la santità consistenell’amare Dio, e tutto l’amore a Dio consi-ste nel far la sua volontà”.

L’esempio di Gesù, nostro modello

Dio Padre ci ha dato il Suo FiglioUnigenito: Gesù Cristo incarnato, affinchéEgli sia “sapienza per noi, e giustizia e santifi-cazione e redenzione” (I Cor. I, 30); in Luinoi troviamo la pienezza della grazia ed unmodello sicuro da seguire (in quanto Egli èuomo come noi). Vediamo quindi che cosaha fatto per poterlo imitare. In ogni momen-to della Sua vita terrena Gesù fece sempre ladivina volontà del Padre suo; essendo scesodal cielo per obbedirGli, ecco come si rivolgea Lui: “per qual cosa entrando nel mondo,dice: Non hai voluto ostie, né oblazione: ma ame hai formato un corpo: non ti sono piaciutigli olocausti per il peccato. Allora io dissi:ecco io vengo (…) per fare, o Dio, la tua vo-lontà” (Ebr. X, 5-8). E parlando con gliApostoli, per dare a loro ed a noi l’esempio,disse: “Son disceso dal cielo non per fare lamia volontà, ma la volontà di Colui che mi hamandato” (Giov. VI, 38); “Io mi devo occu-pare di quanto riguarda il Padre mio” (Luc.II, 49); “Io faccio sempre quello che è di Suobeneplacito” (Giov. VIII, 29); “Il mio cibo èfare la volontà di Colui che mi ha mandatoe portarne l’opera a termine” (Giov. IV, 34).

Gesù disse agli apostoli nel Cenacolo,prima di andare incontro ai suoi nemici ed allamorte: “Affinché il mondo sappia che amo ilPadre e che faccio quello che il Padre mi hacomandato, levatevi ed andiamo via di qui”(Giov. XIV, 31) e l’esattezza con cui egli ob-bediva alla volontà del Padre, sino a morire in

Vita Spirituale

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croce per la salvezza degli uomini, era laprova dell’amore che il Figlio portava alPadre. Questa perfetta carità e sottomissionealla volontà di Dio si manifestò inoltre insommo grado nel momento culminante dellaprova, nel giardino degli ulivi, durante l’ago-nia: “Abba Padre, tutto ti è possibile.Allontana da me questo calice; tuttavia nonquello che voglio io ma quello che vuoi Tu”(Mc. XIV, 36); egli pregò così tre volte:“Padre, se Tu vuoi allontana da me questo ca-lice! Però si faccia non la mia, ma la Tua vo-lontà” (Luc. XXII, 42). Gesù affermò, semprenel Vangelo, che “chiunque fa la volontà delPadre mio, che è nei cieli, qu’egli mi è fratello,e sorella e madre” (Matt. XII, 50). E insegnan-doci a pregare nel Pater Noster, ha voluto chechiedessimo al Padre: “Sia fatta la Tua volontàcome in cielo così in terra” (Matt. VI, 10).

La volontà del Padre fu quindi per Gesù« “principio e fine, causa e sostegno, luce edolce riposo, nutrimento e ricompensa attesa;in essa si riposò; e quando compì le sueopere, sublimi, inaudite, sovrumane, non fecealtro che questa cosa molto semplice, chesanno fare anche i bambini: la volontà delPadre che è nei cieli. Ad essa si consegnò,senza riserve; e così visse, perdutamente ab-bandonato in Dio”. Questa obbedienza equesto abbandono hanno la loro sorgente nelsuo amore per il Padre; vi è pienezza di ab-bandono perché vi è pienezza d’amore:amore filiale, fiducioso, disinteressato, gene-roso, senza riserva; amore traboccante di ri-conoscenza per tutti i beni ricevuti nella suasanta umanità… » (2). L’Apostolo delle gentifa notare che Gesù per eseguire la volontàdel Padre “umiliò se stesso, fattosi obbedientefino alla morte, e alla morte di croce. PerciòIddio Lo esaltò, e gli diede un nome che èsopra di ogni nome, affinché nel nome diGesù si pieghi ogni ginocchio…” (Fil. II, 8-9);allo stesso modo saremo ricompensati anchenoi se avremo fatto la volontà del Padre. Cosìagiva la beatissima Vergine Maria: “Ecco laserva del Signore sia fatto di me secondo latua parola” (Luc. I, 38), e tutti i santi hannoseguito l’esempio di Gesù e di Maria.

Gesù Cristo, nostro Salvatore quindi èsceso dal cielo ed è venuto in terra, per com-piere la santa volontà del Padre, e questa fula sua principale preoccupazione durante lasua vita. Poiché Egli è il nostro modello, fa-cendo anche noi in ogni momento la volontàdi Dio, avremo una regola certa per tendere(ed arrivare) alla perfezione.

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Che cos’è la volontà di Dio

Dio, essere perfettissimo, puro spirito,ha una volontà, che pur essendo semplicissi-ma in sé stessa, si manifesta in maniera di-versa, in relazione alle creature, come dicel’Apostolo: “affinché possiate ravvisarequal’è la volontà di Dio” (Rom. XII, 2). Iteologi sono soliti distinguere la volontà as-soluta, quando Dio vuole qualche cosa senzanessuna condizione (come la creazione delmondo) e la volontà condizionata, quandoDio vuole con qualche condizione (come lasalvezza del peccatore se fa penitenza deisuoi peccati). Si distingue ancora la volontàantecedente, che riguarda una cosa in se stes-sa o assolutamente considerata (come la sal-vezza di tutti gli uomini in generale), e la vo-lontà conseguente, riguardante una cosa ri-vestita di tutte le circostanze particolari econcrete (come per esempio la dannazionedi un peccatore che muore impenitente).

Ma la distinzione che più ci interessa, peril seguito del nostro articolo, è quella tra vo-lontà di segno e volontà di beneplacito.« Per volontà divina significata (o volontà disegno) s’intendono certi segni della volontàdi Dio, come i precetti, le proibizioni, lo spi-

“Padre, tutto ti è possibile. Allontana da me questocalice; tuttavia non quello che voglio io ma

quello che vuoi Tu” (Mc. XIV, 36)

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rito dei consigli evangelici, gli avvenimentivoluti o permessi da Dio. La volontà divinasignificata in questa maniera, specialmentequella che si manifesta nei precetti, appar-tiene al dominio dell’obbedienza (3). A essaci rifacciamo, secondo S. Tommaso (I q. 19a. 11) quando diciamo nel Padre nostro: Fiatvoluntas tua. Per volontà divina di benepla-cito s’intende l’atto interno della volontà diDio non ancora manifestato né dato a cono-scere. Da essa dipende l’avvenire ancora in-certo per noi: i successi futuri, le gioie e leprove di breve o di lunga durata, l’ora e lecircostanze della nostra morte, ecc. (…) Lavolontà di beneplacito appartiene al domi-nio dell’abbandono nelle mani di Dio » (4).

Fondamento dell’obbedienza alla volontà diDio

Quali sono i principi teologici sui quali sideve appoggiare questa illimitata sottomissionee conformità con la volontà di Dio? Secondo ilPadre Garrigou-Lagrange o.p. sono i seguenti:

« 1) Non succede nulla che da tuttal’eternità Dio non abbia previsto o voluto operlomeno permesso.

2) Dio non può volere né permettere cosaalcuna che non sia conforme al fine che sipropose quando creò, cioè, alla manifestazio-ne della sua bontà e delle sue infinite perfe-zioni e alla gloria del Verbo incarnato, GesùCristo suo Figlio Unigenito (I Cor. III, 23).

3) Sappiamo che “ogni cosa concorre albene di coloro che amano Dio, di coloro chesecondo il suo disegno sono chiamati” (Rom.VIII, 28) e perseverano nel suo amore.

4) Tuttavia, l’abbandono alla volontà diDio non dispensa nessuno dallo sforzarsi dicompiere la volontà di Dio significata neicomandamenti, nei consigli e negli avveni-menti, abbandonandosi quanto al resto allavolontà divina di beneplacito per quanto mi-steriosa ci possa sembrare, evitando ogni in-quietudine e agitazione » (5).

« Quattro sono (…) le cose principali chesono contenute nella volontà significata: 1) icomandamenti di Dio e della Chiesa; 2) i con-sigli evangelici; 3) le ispirazioni della grazia; 4)le costituzioni e le regole, solo però per le co-munità religiose. Essendo Dio il nostroSignore e creatore ha il diritto di comandarci;e poiché egli è infinitamente saggio e buono,nulla ci comanda che non sia utile e alla suagloria e alla nostra beatitudine; dobbiamoquindi con semplicità e docilità sottometterci

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alle sue leggi, legge naturale o divina positiva,legge ecclesiastica o civile; poiché come diceS. Paolo: ogni autorità legittima viene da Dio,ed obbedire ai superiori che comandano neilimiti dell’autorità che è stata loro concessa èobbedire a Dio, allo stesso modo che resistereloro è come resistere a Dio stesso. (…)Aggiungiamo che i doveri di stato rientranonella categoria dei comandamenti: sono comedei precetti particolari che incombono ai cri-stiani in ragione della vocazione speciale edelle funzioni che Dio ci assegna » (6).

Perciò la sottomissione e l’obbedienza aDio si manifestano nella conformità alla vo-lontà significata e a quella di beneplacito.

La volontà significata

La conformità alla volontà significata diDio consiste nel volere tutto ciò che Dio cisignifica essere la sua intenzione. Dice S.Francesco di Sales: “La dottrina cristianachiaramente ci propone quelle verità cheDio vuole che noi crediamo, quei beni cheegli vuole che noi speriamo, quelle pene cheegli vuole che temiamo, quel che vuole chenoi amiamo, quei precetti che egli vuole chenoi osserviamo e quei consigli che egli desi-dera che noi seguiamo. E tutto questo sichiama volontà di Dio significata perché Eglici ha significato e manifestato essere sua in-tenzione e volontà che tutto ciò sia creduto,operato, temuto, amato e praticato. (…)

La conformità dunque del nostro cuorealla volontà significata di Dio consiste in que-sto: che noi vogliamo tutto quello che la divi-na bontà ci significa essere di sua intenzione,credendo secondo la sua dottrina, sperandosecondo le sue promesse, temendo secondo lesue minacce, amando e vivendo secondo isuoi ordini e avvertimenti” (7). Inoltre « iodebbo agire ed esercitare le mie facoltànell’esecuzione degli ordini e dei desideri diDio; debbo camminare nella via che mi è trac-ciata (…) mediante le tre facoltà che sono inme. Posso conoscere amare ed eseguire (…).Se debbo conoscere il mio fine e la mia via ese debbo amare la mia meta debbo ancheamare il cammino che ad essa conduce. Sedebbo cercare la vetta, debbo anche cercare isentieri che ad essa vi conducono. La gloria diDio è il mio fine; la sua volontà è la mia via.Ora, la gloria di Dio richiede alla mia intelli-genza, di essere conosciuta; alla mia volontà,di aderire ad essa; e alla mia azione di ricer-carla. Questo triplice obbligo si impone in

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modo identico anche per la volontà di Dio. Lamia intelligenza deve conoscerla; la mia vo-lontà deve rispettarla ed amarla; la mia azionedeve eseguirla. La cognizione, l’amore e la ri-cerca della gloria di Dio costituiscono l’essen-za della pietà; la cognizione, l’amore e l’esecu-zione della volontà di Dio ne sono la via.

Prima di tutto debbo conoscere la vo-lontà di Dio, se voglio eseguirla senza cam-minare nelle tenebre e senza espormi amancare di prudenza e di sapienza. Perciòdebbo chiedere al Maestro Divino che mifaccia conoscere pienamente la sua volontàcon ogni sapienza ed intelligenza spirituale,affinché possa camminare in modo degno diLui, piacergli in tutte le cose (…). Bisognache “come gli occhi dei servi sono volti allamano dei loro padroni, come gli occhidell’ancella sono volti alla mano della suapadrona, così gli occhi nostri stan volti alSignore Dio nostro” (Ps. 122, 2) » (8).

Se questa è la volontà significata di Dionon ci si può santificare senza osservare i co-mandamenti e i doveri di stato (che sono laregola morale delle nostre azioni). Più fedel-mente e più cristianamente noi osserviamole leggi di Dio e più ci avviciniamo a Lui,poiché la legge è l’espressione della sua vo-lontà (“Chi mi ama osserva i miei comanda-menti”, Giov. XIV, 21).

« Bisogna qui notare in particolar modociò che è detto nel vangelo di S. Luca (XVI,10): “Colui che è fedele nelle piccole cose saràfedele anche nelle grandi”; se noi facciamo,ogni giorno, tutto il possibile per essere fede-li al Signore nelle cose ordinarie della vita,dobbiamo aver fiducia che Egli ci accorderàla grazia per essergli fedeli nelle circostanzeestreme, se permetterà che noi ci troviamo inesse; confidiamo che ci darà la grazia di mo-rire eroicamente piuttosto che di arrossire diLui e di tradirLo, se un giorno o l’altro do-vremo soffrire qualcosa per il suo nome.

(…) Questi principi sono su questopunto come l’espressione della fede cristia-na. Si trova così l’equilibrio al di sopra didue errori (…). Tramite la fedeltà al doveredi momento in momento si evita la falsa epigra quiete dei quietisti, e tramite l’abban-dono confidente si sfugge alla vana inquietu-dine e alla sterile agitazione. Questo abban-dono sarebbe pigrizia se non supponesse lafedeltà quotidiana, che è come un trampoli-no per lanciarsi, in modo sicuro, nell’ignoto.Questa fedeltà quotidiana alla volontà signi-ficata dà come il diritto di abbandonarsi pie-

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namente, per l’avvenire, alla volontà di be-neplacito non ancora manifestata » (9).

È questo il primo passo necessario ed in-dispensabile sulla strada della perfezione,senza il quale intraprendere la via dellaconformità alla volontà di beneplacito sareb-be una vana e pericolosa illusione. E ahimé« su nessun punto l’illusione è tanto frequen-te e funesta quanto su quello della volontà diDio. Si ha grande interesse a non conoscerlao a conoscerla appena sufficientemente pertranquillizzare la coscienza senza troppo ag-gravarla!… Come sono abituato a vedere at-traverso il prisma dell’interesse personale ead adattare i miei doveri all’arbitrio delle mieconvenienze! Prima della volontà di Dio in-terrogo il mio interesse: è così vicino e urgen-te! (…) Esso è sempre il primo oggetto che sipresenta ai miei occhi, e mi è difficile sorpas-sarlo per vedere direttamente la volontà diDio. Quando i miei occhi scorgono questa di-vina volontà attraverso il prisma ingannatoredella mia sensualità, la mia vista si inganna,gli oggetti non mi appaiono più come sono inrealtà ed io cado nell’illusione. E quantevolte vi cado!… I miei lombi sono pieni di il-lusioni (Ps. 37, 8); i miei lombi, ossia la miasensualità. (…) Quanto ho bisogno di cingerei miei lombi, perché il serbatoio non riversi lasua triste pienezza nell’anima mia, e di averesempre in mano la lampada accesa (Lc. XII,35) che mi aiuti a vedere chiaro!… Signoreche io veda! (Lc. XVIII, 41) » (10).

La volontà di beneplacito

La conformità alla volontà di beneplacitoconsiste nel sottomettersi a tutti gli avveni-menti e disegni che la divina Provvidenzapermette per il nostro maggior bene e soprat-tutto per la nostra maggior santificazione.

Se, come abbiamo visto, il fondamento ditale obbedienza sta nel fatto che nulla avvie-ne senza il permesso di Dio e che tutto coo-pera al bene di coloro che Lo amano, ne con-segue che essendo Dio infinitamente sapien-te e infinitamente buono, nulla vuole e nullapermette se non per il bene delle anime,anche quando noi non riusciamo a renderce-ne conto. Come diceva Tobia in mezzo alleafflizioni ed ai rimproveri della moglie: “Tusei giusto, o Signore, e giusti sono i tuoi giudi-zi, e tutte le tue vie sono misericordia, verità egiustizia” (Tob. III, 2); ed il santo Giobbe:“Se abbiamo ricevuto i beni dalle mani diDio, i mali perché non dovremmo riceverli?”

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(Job. II, 10). È dunque per noi un doveresottometterci a Dio in tutti gli avvenimentilieti o tristi, è dovere di obbedienza e di giu-stizia poiché Egli è il nostro SupremoPadrone (Egli è il Signore) che ha sopra dinoi ogni autorità; è dovere di sapienza per-ché sarebbe follia volersi sottrarre all’azionedella Provvidenza mentre è proprio nell’umi-le rassegnazione che troveremo la pace; è an-cora nel nostro interesse poiché la volontà diDio ci mette alla prova affinché ci esercitia-mo nella virtù acquistando dei meriti, ed èinfine manifestazione d’amore perché il veroamore è nel dono di sé fino all’immolazione(come ha fatto Gesù per noi!).

Secondo un’espressione di san Francescodi Sales, se nella volontà significata “Diovuole che io faccia i miei piccoli passi”, ades-so nella volontà di beneplacito « “Dio miporta fra le sue braccia”; queste parole le tro-viamo nella sacra scrittura: sarete portati sulseno ed accarezzati sulle ginocchia. Come lamadre accarezza il suo bimbo così io conso-lerò voi. “Può forse una madre dimenticare ilsuo bambino, e non aver compassione delfrutto del suo seno? Ma se anche essa lo di-menticasse, io non potrò dimenticarti” (Is.LXVI, 12). Mi poteva presentare, con un’im-magine più espressiva, l’amorosa tenerezzadella sua volontà interamente dedicata allamia santificazione? E quante altre immaginiegli presenta nei libri sacri, per farmi sentirele sue sollecitudini per me! Quella di piccolipasseri, cinque dei quali non valgono più didue soldi, e tuttavia neppure uno di essi è di-menticato da Lui. Che deve allora temereun’anima che vale più di molti passeri? (Luc.XII, 6-7). Quella della chioccia che radunasotto le ali i suoi pulcini (Matt. XXIII, 37).Quella del pastore che prodiga le sue atten-zioni e dà la vita per le sue pecore (Giov. X,11). Inoltre, i rimproveri, i pianti e le minaccecontro le prevaricazioni del peccato,anch’essi manifestazione delle sollecitudini diDio, si trovano nella sacra scrittura poco piùdelle attestazioni di paterna bontà verso isuoi figli. E, nonostante tutto, le infedeltà e leresistenze alla sua azione sono ben più nume-rose che non la sottomissione e la fedeltà,anche tra i privilegiati delle sue tenerezze.(…) La sua Provvidenza, che governa imondi e gli atomi, pone in rapporto con lamia vita, moltitudini di esseri, di movimenti edi influssi di cui suppongo appena l’ordina-mento; in tutto egli è presente, ovunquemette in atto la sua opera per me. (…) Sulla

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mia vita non vi può essere che la sua volontàe la mia; tutte le altre volontà dipendonodalla sua… Non cadrà neppure un capellodella vostra testa, perché anche i capelli dellavostra testa son contati (Matt. X, 30; Luc.XXI, 18). I capelli: la cosa più accessoria tragli elementi del corpo; il loro numero: ciò chevi è di più insignificante come costitutivo; lacaduta di uno solo: ciò che vi è di più inosser-vato come avvenimento! Ecco fino a qualpunto arriva la cura del mio Padre celeste.V’è dunque qualche oggetto, disposizione oavvenimento che sfugga alla sua attenzione?

E meraviglia più sorprendente ancora,con quale arte infinita la Sapienza divina uni-sce il soprannaturale al naturale, incorpora lasua grazia persino negli avvenimenti di ordi-ne temporale, prende le vie, sceglie i mezzi,coglie i momenti! Con quale delicatezza saconformarsi ai vari stati dell’anima… giunge-re al punto, all’istante adatto nel modo pro-pizio, affrettare e moltiplicare i suoi tocchiallorché sono accettati, variarli, pazientare,ritirarsi se sono rifiutati, cambiare modo diprocedere, usare dolcezza e rigore ecc.! Qua-li meraviglie avrò da contemplare quandolassù egli mi svelerà i segreti accorgimentidella sua azione!… Quaggiù Dio manifestapochissimo l’economia delle sue vie…L’operazione che dispone e conduce tutto albene degli eletti, i risultati di santificazione,queste profondità misteriose in cui egli velaagli occhi nostri il cammino della sua sapien-za, le conosciamo noi? (…) Se la pienezzadella luce è riservata al giorno delle grandimanifestazioni, è altrettanto vero che Dio sicompiace di svelare, fin dal presente, secon-do le esigenze del mio progresso, qualcunodei misteri della sua azione, affinché vi corri-sponda. Ed io posso vederli, e devo rendermiattento a riconoscerli, nella misura in cui aLui piace svelarmeli e con l’intenzione diconformare la mia opera alla sua » (11).

Che cosa vuol dire “conformarsi alla vo-lontà di Dio”?

Fino ad ora abbiamo esposto il principio“bisogna fare sempre la volontà di Dio” av-valorandolo dei fondamenti teologici edall’esempio di Gesù Cristo. Vediamo ora inche cosa consiste questa “conformità” allavolontà di Dio.

“La conformità con la volontà di Dioconsiste in un’amorosa, intera e intima sotto-missione e concordia della nostra volontà

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con quella di Dio in tutto quello che di noidispone o permette. Quando è perfetta, è co-nosciuta piuttosto sotto il nome di santo ab-bandono alla volontà di Dio. Nelle sue ma-nifestazioni imperfette si suole darle il nomedi semplice rassegnazione cristiana” (12).

La nostra santificazione si realizzerà secoopereremo all’azione divina, come dice ilP. Lehodey: “Dal momento che Dio lavoracon noi alla nostra santificazione, bisogna cheabbia la direzione dell’impresa; tutto dovràessere fatto secondo i suoi piani, sotto i suoiordini e gli impulsi della sua grazia. Egli è ilprimo principio e l’ultimo fine; noi siamo natiper obbedire alla sua volontà” (13).

S. Alfonso dei Liguori ha parole, come suosolito, belle e semplici insieme, per spiegarecosa sia questa conformità alla volontà di Dio:« Qual’è la maggior gloria che noi possiamodare a Dio? L’adempiere in tutto i suoi santivoleri. Il nostro Redentore che venne in terra astabilire la divina gloria, questo principalmentevenne ad insegnarci col suo esempio. (…) Cheservono l’opere nostre alla gloria di Dio, quan-do non sono secondo il suo beneplacito? Nonvuole il Signore sacrifici, disse il Profeta a Saul,ma l’ubbidienza ai suoi voleri: “gradisce forse ilSignore le offerte e i sacrifici più dell’obbedien-za alla parola? La disubbidienza è come il pec-cato di idolatria” (I Re XV, 22-23). L’uomoche vuole operare per propria volontà senzaquella di Dio, commette una specie di idola-tria, poiché allora invece di adorare la volontàdivina adora in certo modo la sua. (…) Se maivi sono due servi, l’un dei quali fatica tutto ilgiorno senza riposare, ma vuol fare ogni cosa asuo modo; l’altro fatica meno, ma ubbidisce intutto; certamente il padrone amerà questo se-condo e non il primo (…).

In questa terra dobbiamo apprenderedai beati del cielo come dobbiamo amareDio. L’amor puro e perfetto che i beati incielo hanno per Dio è l’unirsi perfettamentealla sua volontà. Se i serafini intendesseroesser suo volere che si impiegassero pertutta l’eternità ad ammucchiar le arene deilidi o a svellere l’erba dei giardini, volentierilo farebbero con tutto il lor piacere. Più seDio facesse loro intendere che andassero adardere nel fuoco dell’inferno, immediata-mente si butterebbero in quell’abisso perfare la divina volontà.

(…) Quegli che dà la sua volontà a Dio,gli dà tutto; chi gli dà le robe colle limosine,il sangue col flagellarsi, i cibi coi digiunidona a Dio la parte di ciò che tiene; ma chi

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gli dona la sua volontà, gli dà tutto: ondepuò dirgli Signore io son povero ma vi donotutto quel che posso; dandovi la mia vo-lontà, non ho più che darvi.

Ma questo appunto è il tutto che da noipretende il nostro Dio: “Figliuol mio dammi iltuo cuore” (Prv. XXIII, 26). Figlio dice ilSignore a ciascuno, figlio dammi il tuo cuore,cioè la tua volontà. Parla S. Agostino: “nonpossiamo offrire a Dio cosa più cara, che nondirgli: Signore possedeteci voi; noi vi doniamotutta la nostra volontà; fateci intedere quelloche da noi volete, e noi lo eseguiremo”.

Se dunque vogliamo compiacere appienoil cuore di Dio, procuriamo in tutto diconformarci alla sua divina volontà, e nonsolo di conformarci ma di uniformarci aquanto Dio dispone. La conformità importache noi congiungiamo la nostra volontà allavolontà di Dio; ma l’uniformità importa dipiù che noi della volontà divina e della no-stra ne facciamo una sola, si che non voglia-mo altro se non quello che vuole Dio, e lasola volontà di Dio sia la nostra » (14).

La volontà di Dio e l’indifferenza ignaziana

Fare la volontà di Dio in ogni circostanzacoincide con la disposizione di “santa indiffe-renza” di cui parla S. Ignazio di Loyola nel“Principio e fondamento” dei suoi “EserciziSpirituali”. Al n. 23 leggiamo: « …per questo ènecessario renderci indifferenti a tutte le cosecreate, in tutto quello che è lasciato alla libertàdel nostro libero arbitrio e non le è proibito; dimodo che non vogliamo da parte nostra salutepiuttosto che infermità, ricchezza piuttosto chepovertà, onore piuttosto che disonore, vita

Sant’Ignazio di Loyola

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lunga piuttosto che breve, e così per tutto il ri-manente, desiderando e scegliendo unicamenteciò che ci conduce più sicuramente al fine percui siamo creati ». Quest’indifferenza si riferi-sce a quelle cose che non cadono sotto la vo-lontà espressa (cioè significata) di Dio, poiché“tutto quello che è lasciato alla libertà del nostrolibero arbitrio” esclude l’osservanza dei coman-damenti che abbiamo comunque il dovere mo-rale di osservare; si tratta quindi piuttosto dellavolontà di beneplacito che abbraccia ciò cheper disposizione divina “ci conduce più sicura-mente al fine per cui siamo creati”, cioè accetta-re i disegni (la volontà) del Signore su di noi.

L’indifferenza presuppone nell’animaun’intima persuasione del potere edell’amore di Dio, la convinzione che da Luidovrà aspettarsi la soluzione dei suoi proble-mi, e che l’amore di Dio le darà la felicità.Essa è ancora una disposizione della volontà,che è ben determinata ad abbracciare in ognicaso ciò che meglio conduce al fine. E cosaconduce meglio al fine se non quei mezzi cheDio da tutta l’eternità le ha preparato e chesono espressione della sua volontà?

“È evidente, che se la volontà divina è lacausa suprema di tutto quanto avviene seessa è infinitamente santa, sapiente, potentee amabile, quanto più la mia volontà coinci-de con quella di Dio, tanto più sarà santa,potente ed amabile. In tal modo non ci potràmai accadere nulla di male, perché gli stessimali che Dio permette nella nostra vita, con-tribuiranno al nostro maggior bene se sapre-mo approfittarne nella forma prevista e volu-ta da Dio. (…) Lo scopo della santa indiffe-renza è quello di spingere l’uomo a darsi to-talmente a Dio, uscendo da sé stesso. Non sitratta di un disinteresse stoico ed irrazionaledi fronte a quanto ci può accadere, ma delmezzo più efficace per far aderire completa-mente la nostra volontà a quella di Dio” (15).

Questa indifferenza ignaziana va riferitaunicamente alla parte superiore dell’anima,cioè alla volontà dell’uomo, e non può esclu-dere che la parte inferiore, cioè l’inclinazionenaturale, senta della ripugnanza ed accusi icolpi della disgrazia. Non si può chiedere allasensibilità di non sentire nulla (essere impas-sibile) di fronte al dolore [come qualunqueuomo avrebbe paura davanti ad un leone in-ferocito!] e di non provare ripugnanza, ma ènecessario che la volontà sia disposta ad ac-cettare quel dolore come proveniente dallamano di Dio nonostante tutte le protestedella sensibilità. Questo fu l’esempio che ci

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diede Nostro Signore Gesù Cristo il quale de-siderava ardentemente la sua passione: “devoancora essere battezzato da un battesimo, ecome sono angustiato finché esso non si com-pia” (Luc. XII, 50), “ho desiderato di un grandesiderio…” (Luc. XXII, 15); e dall’altra sen-tiva il dolore nella parte sensibile della suanatura umana: “l’anima mia è triste fino allamorte” (Matt. XXVI, 38), “Dio mio perchémi hai abbandonato?” (Matt. XXVII, 46).

“Questa indifferenza infine non è pura-mente passiva, ma veramente attiva, ancorchédeterminata soltanto dalla volontà di Dio. Neicasi in cui questa volontà divina appare giàmanifesta (volontà di segno), la volontàdell’uomo la compie con generosità rapida eardente. E in quelli in cui la divina volontà nonsi è ancora manifestata (volontà di beneplaci-to) è in stato di perfetta disponibilità per accet-tarla e compierla appena si manifesta” (15).

È utile ed anche necessario uniformarsi allavolontà di Dio

Da quanto abbiamo esposto appare chia-ra la necessità e l’utilità di questa “confor-mità” alla volontà di Dio che, se praticata inmaniera più perfetta, ci potrà santificaresempre più poiché ella unisce la nostra vo-lontà, e con essa tutte le nostre facoltà, aColui che è la fonte di ogni santità. Come fanotare il P. Lehodey: “ciò che forma l’eccel-lenza del santo abbandono, è l’incomparabi-le efficacia che possiede per togliere gli osta-coli alla grazia, per far praticare alla perfe-zione le più alte virtù, e per stabilire il regnoassoluto di Dio sulla nostra volontà” (16).Facendo la volontà di Dio facciamo anche ilnostro bene perché « che altro insommavuole il nostro Dio se non il nostro bene?Chi mai possiamo trovare che ci ami più diDio? Altra non è la sua volontà, non soloche nessuno si perda, ma che tutti si salvinoe si facciano santi (17): “vuole che nessuno dinoi si perda, ma che tutti si volgano a peni-tenza” (II Pt III, 9). “Questa è la volontà diDio, la vostra santificazione” (I Tess. IV, 3).(…) Abbandoniamoci dunque in tutto al be-neplacito di quel Signore, che essendo sa-pientissimo conosce il meglio per noi, ed es-sendo amantissimo, poiché ha data la vitaper nostro amore, vuol anche il meglio pernoi. Siam pur sicuri e persuasi, dice S.Basilio, che senza comparazione meglio pro-cura Dio il nostro bene, di ciò che noi pos-siamo mai fare e desiderare » (18).

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Unire la nostra volontà a quella divina èper l’uomo estremamente utile poiché que-sta conformità esercita un triplice ruolosull’anima, purificandola, riformandola econformandola a Gesù Cristo.

a) La conformità purifica l’anima.Nell’Antico Testamento, Dio fa spesso nota-re che egli è pronto a perdonare tutti i pecca-ti e a rendere all’anima la sua primitiva pu-rezza, se ella cambia di cuore e di volontà:“Lavatevi, mondatevi, togliete via dagli occhimiei la malizia delle vostre intenzioni… im-parate a fare il bene… se i vostri peccati fosse-ro pur come uno scarlatto, diventino bianchicome la neve” (Is. I, 16-18). Conformare lapropria volontà a quella di Dio, è certamentemutare di cuore, cessare di fare il male, edimparare a fare il bene. Ed è questo il signifi-cato del testo, tante volte ripetuto: “meliorest enim obædientia quam victimæ?” (II ReXV, 22). Nel Nuovo Testamento NostroSignore dichiara, fin dal suo primo ingressonel mondo che con l’ubbidienza rimpiazzeràtutti i sacrifizi dell’Antica Legge (…) (Ebr.X, 5-8), Gesù infatti ci redense con l’ubbi-dienza spinta fino all’immolazione di sé nelcorso di tutta la vita e principalmente sulCalvario: “fatto obbediente fino alla morte ealla morte di Croce” (Phil. II, 8). Con l’ubbi-dienza dunque e con l’accettazione delleprove provvidenziali, espieremo anche noi inunione con Gesù i nostri peccati e purifiche-remo la nostra anima.

b) La conformità riforma l’anima. « Ciòche ci deformò è l’amore disordinato del pia-cere, a cui cedemmo o per malizia o per fra-gilità. Ora la conformità alla volontà divina ci

guarisce da questa doppia causa di ricadute.(…) Conformando infatti la nostra volontà aquella di Dio, accettiamo i giudizi suoi comeregola dei nostri, i suoi precetti e i suoi consi-gli come regola della nostra volontà; ci distac-chiamo quindi dalle creature e da noi stessi edalla malizia che da questi attacchi derivava.

Essa rimedia alla nostra fragilità, fonte ditante miserie; invece di appoggiarci su noistessi che siamo così fragili, con l’ubbidienzaci appoggiamo su Dio che, essendo onnipo-tente, ci fa partecipare alla Sua forza e resi-stere alle più gravi tentazioni: “posso tutto incolui che mi fortifica” (Phil. IV, 13). Quandonoi facciamo la sua volontà, Dio si compiacedi fare la nostra, esaudendo le nostre pre-ghiere e reggendo la nostra debolezza.

Liberi così dalla malizia e dalla debo-lezza, cessiamo d’offendere deliberatamen-te Dio e veniamo a riformare a grado agrado la nostra vita » (19).

c) La conformità conforma l’anima aGesù Cristo. Non ci può essere conformitàpiù grande, intima e profonda di quella cheesiste tra due volontà. « Ora con la confor-mità alla volontà di Dio, noi assoggettiamo euniamo la volontà nostra a quella di Gesù…come Lui e con Lui, noi non vogliamo senon ciò che vuole Dio (…): abbiamo quindifusione di due volontà in una sola, unumvelle, unum nolle; non facciamo più che unasola cosa con Lui, ne abbracciamo i pensieri,i sentimenti, i voleri: “abbiate in voi quelsentire che era anche in Gesù Cristo” (Phil.II, 5); onde potremo presto ripetere la paro-la di San Paolo: “vivo non già più io, ma vivein me Cristo” (Gal. II, 20) » (19).

Poiché la volontà è la più alta delle facoltàdella nostra anima ne consegue che, assogget-tandola alla volontà di Dio, ad essa sottomet-tiamo anche tutte le altre facoltà sulle quali lavolontà ha il dominio; quindi l’anima intera siconforma a Cristo, prendendo i sentimenti, ivoleri e i desideri di Nostro Signore, e poco apoco l’anima acquista tutte le virtù del divinMaestro. Così giustamente afferma S.Francesco di Sales: “L’abbandono è la virtùdelle virtù; è il fiore della carità; l’odoredell’umiltà; il merito, a quanto pare, della pa-zienza; e il frutto della perseveranza” (20).

Altre ragioni che mostrano la necessitàdella “conformità alla volontà di Dio” sonole seguenti: come servi di Dio che ci ha crea-to, redenti, destinati a Lui come ultimo fine,a Lui apparteniamo ed a Lui dobbiamo es-sere sottomessi. Come Figli e amici di Dio: il

Sant’Alfonso Maria dei Liguori

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figlio deve rimanere sottomesso al padre peramore, mentre l’amicizia deve produrre laconcordia della volontà. L’esempio di GesùCristo è infine un altro motivo che ci deveconvincere ad abbracciare questa via.

I frutti che produrrà in noi la vita diconformità perfetta (o santo abbandono)alla volontà di Dio, sono inestimabili: ci faràvivere in dolce intimità con Dio come unbambino tra le braccia della propria madre;l’anima non desiderando altro che quanto èvoluto da Dio vive con la semplicità e la “li-bertà dei figli di Dio”; essa è serena e co-stante in tutte le circostanze, poiché nullapuò venire a turbare la sua pace ed infinel’anima godrà di una santa morte in pacecon Dio, perché in cielo Egli compirà la vo-lontà di coloro che avranno fatto in terra laSua santa volontà.

Pratica della conformità alla volontà di Dio

In che cosa, in quali circostanze ed avve-nimenti bisogna uniformare la propria vo-lontà a quella divina? La risposta è semplicein sé: sempre ed in ogni circostanza, necessi-ta tuttavia di una spiegazione.

È necessario conformarsi anzitutto allavolontà significata di Dio osservando i suoicomandamenti e i precetti della Chiesa; sesiamo religiosi praticando i consigli evange-lici e le regole della nostra congregazione edaccogliendo le ispirazioni della grazia.

Secondo la dottrina di S. Tommaso (I q.19, a. 12) la volontà di Dio ci viene manife-stata o significata almeno in quattro maniere.

Quando Dio agisce direttamente (“Ope-ratio”), vuole sempre positivamente ciò che faper sé, perché si riferisce sempre al bene ed èordinato a sua maggior gloria. Si tratta quindidi tutti gli avvenimenti individuali, familiari esociali, che sono stati disposti da Dio stesso enon dipendono dalla volontà degli uomini; di-nanzi ad essi, che siano prosperi o avversi, èsolo possibile l’attitudine cristiana del fiat vo-luntas tua, poiché provengono direttamentedalla mano di Dio. Alcune volte questi avveni-menti sono piacevoli, e ci riempiono di gioia;altre volte sono amari, e ci possono precipitarenella più grande tristezza, se non vediamo inessi Dio stesso, che dispone tutto per la sua glo-ria e il nostro maggior bene.

Quando Dio permette qualcosa (“per-missio”) cioè non impedisce che qualcosa siafatto, non lo vuole mai positivamente perchési riferisce a un male, e Dio non può volere il

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male. Però l’onnipotenza e la sua infinita sa-pienza sanno convertire in un bene più gran-de lo stesso male che permette, e per questolo permette. Ad esempio Dio permise il piùgrande e grave peccato che fu mai commes-so, la Crocifissione di Gesù Cristo, preveden-do che all’umanità ne sarebbe venuto il piùgrande bene, cioè la redenzione.

Quando Dio comanda (“Præceptum”)qualcosa: si tratta dei comandamenti di Dio odella Chiesa, i precetti dei superiori, i doveridel proprio stato. Essi devono essere compiu-ti fino nei minimi particolari se ci si vuoleconformare con la volontà di Dio manifesta.

Infine vi è la proibizione (“Prohibitio”),che è il passo più elementare per conformarela nostra volontà a quella di Dio cioè di evi-tare diligentemente il peccato che lo offende.

Per S. Tommaso quindi, bisogna innanzi-tutto osservare i comandamenti e non violarlicon il peccato. In seguito il volere di Dio èmanifestato chiaramente dagli avvenimentinaturali, familiari, individuali che ci circonda-no e dalle prove e croci che Dio permette,dalle circostanze nelle quali ci troviamo a vi-vere nel momento presente, per “operare contimore la nostra salvezza” (Phil. II, 12), se-condo le parole dell’apostolo. Sbaglierebbegravemente chi pensasse di trovare la suasantificazione altrove, come ad esempio unsacerdote fedele che oggi in piena crisi dellaChiesa volesse fare il parroco di campagna:per fare ciò dovesse accettare dei compro-messi sulla fede [se tale incarico comportasseil dover dire la “Nuova Messa”, ed accettaregli errori del Concilio Vaticano II ecc.] an-dando quindi contro la volontà significata diDio nei primi tre comandamenti del decalo-go. Oppure una giovane che, per esempio,volesse farsi religiosa tra le visitandine e nontrovando un convento tradizionale decidessedi entrarvi presso i modernisti, mettendo inserio pericolo la sua fede. Possiamo dire, anostro conforto, che il Signore oggi non dàvocazioni che sarebbe impossibile realizzaresenza andare contro la sua volontà significa-ta! Se Egli ci chiede qualche cosa o ci dà unacerta vocazione, è di fede, poiché “Dio è fe-dele” (Hebr. X, 23), che ci dà anche le grazienecessarie e sufficienti per realizzarla.

Vediamo ora nella pratica, in quali cosedobbiamo uniformarci alla volontà di Dio.

In primo luogo dobbiamo uniformarcinelle cose naturali che avvengono nel mondo:quando fa molto caldo, molto freddo, pioggia,carestia, pestilenza e cose simili. General-

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mente l’uomo mormora sempre in queste cir-costanze: vuole il sole quando piove… poiquando c’è il sole si lamenta per la siccità… Sinarra, a questo proposito nella vita di S.Francesco Borgia, che una notte mentre nevi-cava fortemente, egli bussò più volte allaporta di una casa della Compagnia ma poichéi padri dormivano nessuno gli aprì. Il mattinoseguente, ai suoi figli che pieni di rammaricogli chiedevano scusa di averlo fatto attenderefuori in una notte di tormenta, S. Francesco ri-spose di aver ricevuta invece una grande con-solazione nel pensare che era Dio che gli get-tava addosso quei fiocchi di neve.

In secondo luogo nelle cose che avven-gono nel nostro essere, come quando patia-mo la fame, la sete, la povertà, le desolazio-ni, i disonori. In tutto ciò dobbiamo sempredire: fate voi o Signore, ed io son contento.« I beni e i mali temporali sono dunque benie mali relativi. Degli uni e degli altri si puòfare il più santo uso o il peggior abuso.Avremo il buon senso di approfittarne perdistaccarci dalla terra e attaccarci semprepiù ai soli beni del cielo? “Passeremo tra ibeni temporali in modo da non perdere glieterni?” (21). Non diventeremo come gli in-sensati che dimenticano Dio nella prosperitàe mormorano nell’avversità? » (22).

Nei talenti e difetti naturali dell’anima, edel corpo. Non lamentiamoci se abbiamocattiva memoria, mente tarda, poca abilità,membro storpio, salute debole. Come S.Alfonso, a tale proposito, fa notare: « Chemerito avevamo noi e qual obbligo avea Diodi darci una mente più sublime, un corpomeglio fatto. (…) Ringraziamolo dunque diciò che per sua mera bontà ci ha donato, econtentiamoci del come ci ha fatti. Chi sa cheavendo maggior talento, sanità più forte, visopiù grazioso, ci avevamo a perdere? A quan-ti il loro talento e scienza è stata occasione diperdersi coll’invanirsene e dispregiare glialtri. (…) A quanti altri la bellezza o la for-tezza del corpo è stata occasione di millescelleraggini? E all’incontro quanti altri peresser poveri o infermi o deformi di fattezze sisono fatti santi e salvati, che se fossero statiricchi, sani o belli d’aspetto si sarebbero dan-nati. E così contentiamoci di quel che Dio ciha dato “una sola cosa è necessaria” (Luc. X,42) (…) solo il salvarci è necessario » (23).

Bisogna essere specialmente rassegnatialla volontà divina nelle infermità corporali,e dobbiamo abbracciarle volentieri nel modoe nel tempo in cui vuole Dio. « Dobbiamo

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sibbene adoperarvi i rimedi ordinari, perchécosì vuole ancora il Signore, ma se quelli nongiovano uniamoci alla volontà di Dio, che cigioverà più della sanità. Signore, diciamo al-lora, io non voglio guarire né stare infermo;voglio solo quel che volete voi. Certo è mag-gior virtù nelle malattie il non lamentarsi de’dolori, ma allorché questi fortemente ci af-fliggono, non è difetto il palesarli agli amicied anche il pregare il Signore che ce ne libe-ri. (…) Del resto anche Gesù Cristo veden-dosi vicino alla sua amarissima Passione, pa-lesò la sua pena ai discepoli; “L’anima mia ètriste fino alla morte” (Mt. XXVI, 38), epregò suo Padre a liberarnelo: “Padre mio,se è possibile, passi da me questo calice” (Mt.XXVI, 39). Ma Gesù stesso c’insegnò quelche dobbiamo fare dopo simili preghiere,cioè rassegnarci subito nella divina volontà,col soggiungere: “però non come voglio io,ma come vuoi tu” (Mt. XXVI, 39).

Quale sciocchezza è poi quella di coloroche dicono di desiderare la salute non giàper non patire, ma già per maggiormenteservire il Signore (…) servir la comunità, farla comunione, far penitenza, studiare, impie-garsi alla salute delle anime confessando,predicando!

Ma io domando devoto mio, dimmi, perchétu desideri di far queste cose? Per dar gusto aDio? E che vai cercando quando sei certo che ilgusto di Dio non è che tu faccia orazioni, co-munioni, penitenze, studi o prediche, ma che tusoffri con pazienza quell’infermità e quei doloriche ti manda? Unisci allora i tuoi dolori conquelli di Gesù Cristo. (…) Eh che questi desi-deri e lamenti non nascono dall’amore di Dio,ma dall’amor proprio che va cercando pretestiper allontanarvi dalla volontà di Dio. Vogliamodar gusto a Dio? Diciamo allora al Signorequesta sola parola: sia fatta la tua volontà, equesta replichiamo sempre cento e mille volte,che con questa sola daremo più gusto a Dio,che non gli daremo con tutte le mortificazioni edivozioni che possiamo fare. Non c’è migliormodo di servire Dio, che abbracciando allegra-mente la sua volontà. (…) Il tempo dell’infer-mità io lo chiamo la pietra di paragone deglispiriti, perché in quello si scopre di qual caratoè la virtù che possiede un’anima. Se non si in-quieta, non si lamenta, non cerca, ma ubbidisceai medici, ai superiori e se ne sta tranquilla,tutta rassegnata nella divina volontà, è segnoche in lei v’è fondo di virtù » (23).

Dobbiamo uniformarci alla volontà diDio anche nella perdita che talvolta subiamo

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delle persone care ed utili al nostro profittotemporale o spirituale. « Le anime divotespesso fanno gran difetti circa questo puntonon rassegnandosi alle divine disposizioni. Lanostra santificazione non ci ha da venire da’padri spirituali, ma da Dio. Vuol egli già chenoi ci avvagliamo de’ direttori per la guidadello spirito quando ce li dà; ma quando ce litoglie, vuole che ce ne contentiamo ed accre-sciamo la confidenza nella sua bontà, dicendoallora: Signore, voi me l’avete dato questoaiuto, ora me l’avete tolto, sia sempre fatta lavostra volontà; ora supplite voi ed insegnate-mi quel che debbo fare per servirvi.

E così similmente dobbiamo accettaredalle mani di Dio tutte le altre croci che cimanda. Ma tanti travagli, direte voi, son ca-stighi. Ma i castighi che Dio manda… inquesta vita sono grazie e benefizi. Se l’ab-biamo offeso, dobbiamo soddisfare la divinagiustizia in qualche modo in questa onell’altra vita » (24). S. Agostino diceva: “Quibrucia qui taglia, qui non risparmiarmi, af-finché mi salvi in eterno”.

Nelle desolazioni di spirito. Quandoun’anima si dà alla vita spirituale, il Signorela colma, al principio, di consolazioni, perstaccarla dai piaceri del mondo; ma poiquando la vede più solida nello spirito, ritirala sua mano insieme alla consolazione sensi-bile, per provare il suo amore e vedere se Loserve ed ama senza cercare qui in terra il suogusto sensibile. Diceva S. Teresa: “Mentre sivive non consiste il guadagno in procurare digodere più Dio ma in fare la sua volontà”; eche: “non consiste l’amor di Dio in tenerez-ze, ma in servire con fortezza ed umiltà”, e“con aridità e tentazioni fa prova il Signoredei suoi amanti”. L’anima, quando si vedeaccarezzata da Dio con dolcezze Lo ringrazie se ne professi indegna, ma non si affliggacon impazienza, quando si trova in desola-zione. Il tempo migliore per esercitare la no-stra rassegnazione alla volontà di Dio, èquando siamo nell’aridità. La terra è luogodi merito, dove si merita patendo; il cielosarà invece il luogo della ricompensa eternae della gioia (che non finirà mai…). Dice S.Alfonso che “il fervore dello spirito col pati-re è quello che han desiderato e cercato isanti”. “Con la prova del patire si distinguela paglia dal grano nella Chiesa di Dio: chinelle tribolazioni si umilia e si rassegna al di-vino volere è grano per il paradiso; chi si in-superbisce e si adira, e perciò lascia Dio, èpaglia per l’inferno… chi porta la croce con

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pazienza si salva, chi la porta con impazienzasi perde” (25). I due ladroni crocifissi a fiancodi Gesù subirono la stessa identica pena: unoè santo l’altro è dannato, uno si salva affin-ché tu non disperi, l’altro è dannato affinchétu non presuma, dice S. Gregorio.

Nelle tentazioni. « Dobbiamo noi procu-rare di schivar le tentazioni; ma se vuole Dioo permette che noi siamo tentati contro lafede, contro la purità o contro altra virtù, nondobbiamo lamentarci, ma anche in ciò rasse-gnarci al divino volere. A S. Paolo che prega-va d’esser liberato dalla tentazione… risposeil Signore: “ti basta la mia grazia” (II Cor.XII, 9). Così anche noi, se vediamo che Dionon ci esaudisce in esimerci da qualche tenta-zione molesta, diciamo: Signore, fate voi epermettete quel che vi piace; mi basta la vo-stra grazia; ma assistetemi acciò non la perdamai. Non la tentazione ma il consenso allatentazione ci fa perdere la divina grazia » (23).

Infine bisogna che ci uniamo alla volontàdivina in punto di morte: in quel tempo edin quel modo che Dio ce la manderà. Si rac-conta che S. Geltrude scivolò un giorno, sa-lendo su una collina, cadendo a valle. Le suecompagne le chiesero poi se avesse avutopaura di morire senza sacramenti? La santarispose: “Io desidero molto di morire coi sa-cramenti, ma fo più conto della volontà diDio, perché tengo che la migliore disposizio-ne che possa aversi per morire sia sottoporsia ciò che Dio vorrà; perciò desidero qualun-que morte che piacerà darmi il Signore”.(…) « Diceva il P. M. Avila che chiunque sitrovasse con mediocre disposizione dee de-siderar la morte per ragion del pericolo inche si vive di perder la divina grazia. Checosa più cara e desiderabile che con unabuona morte assicurarci di non poter piùperdere la grazia del nostro Dio! » (23).

S. Paolo sbalzato da cavallo sulla via di Damasco ri-sponde al Signore: “Signore, che volete che io faccia?”

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Se ci uniformeremo alla volontà di Dioin tutte queste cose, o almeno in qualcuna diesse, nelle croci di ogni giorno (che sono poialtrettante grazie se guardate con sguardo difede…), potremo raggiungere facilmentequella santità alla quale siamo chiamati, e inParadiso ringrazieremo il Signore per avercidato un ricompensa così grande per quel“poco” che avremo sofferto in terra unendola nostra volontà alla Sua; poiché veramente“Ciò che occhio non vide né orecchio udì, néascese al cuor dell’uomo è ciò che Dio hapreparato per coloro che lo amano” (I Cor.II, 9) dice S. Paolo.

Conforto nelle prove ed esempio dei santi

Per progredire nella conformità alla vo-lontà di Dio, soprattutto quando le prove ele croci pesano sulle nostre spalle, sarà utile(e a volte necessario) prendere alcuni rimedispirituali. Innanzi tutto vi è la tattica di nonaggravarsi la mente pensando a tutti i“mali” passati presenti e futuri, facendoneun fardello insopportabile anche per le per-sone più virtuose; bisogna invece fare esat-tamente il contrario poiché come dice Gesù“ad ogni giorno basta la sua pena” (Matt.VI, 34). Quanto ai mali del passato nonserve più pensarci, se non per vedere i meri-ti e i vantaggi che ne abbiamo tratto, l’au-mento di virtù e di pazienza. Il male pungesolo quando vi si fissa l’attenzione, quindinon dobbiamo più pensarci ma rallegrarcisolo di aver adempiuto la volontà di Dio.

Quanto all’avvenire sarebbe una folliaimpensierircene. Si possono prudentementepensare e prevedere le cose alfine di predi-sporle per quanto è nelle nostre possibilità;ma pensare in anticipo ai “mali” futuri peresserne tristi e preoccupati è uno spreco ditempo e di forze che va solo a nostro danno.Infatti questi “mali” possono anche non ac-cadere e dipendono dalla volontà di benepla-cito di Dio che, come un buon padre, tuttoordina per il miglior bene dei suoi figli, e poi-ché “siamo nelle mani di Dio” è certo cheEgli al momento opportuno ci darà la grazianecessaria per affrontarli. Non pensiamoquindi ai dolori passati nè a quelli futuri.

Nel presente, quando si soffre qualchecosa per il Signore, dobbiamo invece positi-vamente pensare ai grandi vantaggi di talisofferenze. Il dolore (ben accettato peramore di Dio) ci educa ricordandoci chequaggiù siamo in esilio “in una valle di lacri-

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me” che la nostra patria è il cielo e che qui interra non dobbiamo cercare le consolazioni,bensì il Dio delle consolazioni. Il dolore an-cora ci fa praticare la virtù di forza poichénella reazione che esso provoca in noi, tendea far aumentare le nostre energie e ci fa eser-citare la virtù: “non c’è legno più idoneo aconservare l’amore verso Dio quanto il legnodella croce” affermava S. Ignazio. Infine èfonte di grandissimi meriti, poiché, se sop-portato pazientemente per il Signore, ci me-rita un paradiso eterno di gloria, come dice-va la beata M. Maddalena Postel: “Unacroce di più; ringraziamo il buon Dio; egli ciama molto: se ci prova è per meglio ricom-pensarci”. Le anime generose, soffrendo conGesù qualche pena, compiono in sé la di Luipassione, si conformano di più al DivinoMaestro e contribuiscono enormemente albene della sua Chiesa. In questo senso vannointese anche le parole di S. Giovanni dellaCroce: “Patire, Signore, ed essere disprezza-to per te”, quelle di S. Teresa: “O morire, opatire”, ed il gemito di S. Maria Maddalenade’ Pazzi: “Non morire ma patire”.

I santi avevano capito bene queste ve-rità. S. Francesco d’Assisi diceva: “tanto ègrande il ben che aspetto che ogni pena mi èdiletto”; e S. Filippo Neri “in questo mondoo vi è Paradiso o inferno: chi sopporta le tri-bolazioni con pazienza gode il Paradiso; chino, patisce l’inferno” poiché: “chi abbracciale croci che Dio gli manda non le sente” (S.Teresa). S. Vincenzo de Paoli affermava che“la conformità alla volontà di Dio è il tesorodel cristiano ed il rimedio ad ogni male, poi-ché essa implica l’abnegazione, l’unione aDio e tutte le virtù”.

Tutto dunque ci invita a conformare lanostra volontà a quella di Dio, anche inmezzo alle più grandi tribolazioni.

Conclusione

In apertura di questo articolo, citando S.Alfonso, abbiamo visto che: “Tutta la san-tità consiste nell’amare Dio, e tutto l’amorea Dio consiste nel far la sua volontà”; finire-mo da dove abbiamo incominciato sperandoche il lettore si sia convinto della necessitàdella conformità alla volontà di Dio, e che altempo stesso non esiste via migliore di que-sta per raggiungere la santità.

Gesù ci ammonisce: “Se vuoi entrare nellavita, osserva i comandamenti” (Mt. XIX, 17);non è dunque sufficiente dire “Signore

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Signore” per essere ammessi nel regno deicieli; bisogna fare la volontà del Padre che ènei cieli, poiché “chi sta unito alla volontà diDio, vive e si salva; chi da quella si divide,muore e si perde” (26). « “Se vuoi essere per-fetto, va, vendi ciò che hai… poi vieni e segui-mi” (Mt. XIX, 21). Fa’, cioè, maggiormentela volontà divina, aggiungi all’osservanza deicomandamenti quella dei consigli.

Se vuoi salire le vette della perfezione,compi la volontà di Dio, sempre più e sempremeglio. Progredirai nella misura in cui la tuaobbedienza diventerà più universale nel suooggetto, più esatta nella sua esecuzione, più so-prannaturale nei suoi motivi, più perfetta nelledisposizioni della volontà… Sarai perfettonella misura in cui farai la volontà di Dio » (27).

L’uomo, senza l’aiuto di Dio, è nell’im-potenza radicale a fare qualcosa di benenell’ordine soprannaturale: “Senza di menon potete fare nulla” (Giov. XV, 5), ma conl’aiuto del Signore realmente “io posso tuttoin colui che mi dà forza” (Fil. IV, 13). Chel’uomo si affidi tutto a Dio, sottometta lapropria volontà a quella di Dio dandoGli ladirezione dell’opera della sua santificazioneaffinché Gesù, che già ci ha salvati sullacroce a prezzo del suo sangue, sia veramente“l’autore della nostra salvezza” (Ps. 89, 27)anche nella vita quotidiana.

Padre nostro che sei cieli… Sia fatta latua volontà come in cielo così in terra; per-ché chi compie la volontà di Dio non sbagliamai. « Signore Dio, la tua volontà nessuno lapuò compiere se non per un tuo dono; poiché“nessuno viene a te se tu non lo attiri” (Giov.VI, 44). Compi dunque in noi la tua volontà,cioè dona tu a noi con la tua grazia di compie-re sulla terra la tua volontà, come ai beati èconcesso di compierla mediante la tua gloria.

Provvedi a noi tuoi figli, o Padre nostro;compi in noi quello che piace a te, poichéviene da un tuo dono che i tuoi fedeli ti ser-vano in modo degno e lodevole. Purifica i no-stri cuori o luce beatissima, perché scacciamoperfettamente l’amor proprio e respingiamole nostre proprie voglie, in modo che in noi lavolontà tua si compia pienamente e la nostraperisca. Avvenga così perfettamente che innoi non ci sia più niente di noi stessi, ma checi domini in tutto la tua volontà.

Purifica, o Padre, la nostra mente, perchénon amiamo niente di terreno; perché soggio-ghiamo la nostra carne; perché escludiamo danoi la gloria del mondo; perché riconosciamoperfettamente che tu operi in ognuno di noi

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tutto il bene, e che noi siamo nulla, non pos-siamo nulla, e non sappiamo nulla; affinché ciriconosciamo vili ai nostri occhi, e amiamo teperfettamente con tutto il cuore, con tuttal’anima, con tutta la mente e con tutte le no-stre forze e amiamo il prossimo nostro comenoi stessi. Così infatti noi osserveremo i tuoicomandamenti e compiremo la tua volontà;poiché “in questi due precetti si riassume tuttala legge e i profeti” (Matt. XXII, 40) » (28).

Insegnateci, o Signore, a fare sempre esolo la Vostra santa volontà… Noi vi dicia-mo, come S. Paolo sbalzato dal cavallo sullavia di Damasco: “Signore, che volete che iofaccia?” (Act. IX, 6), dateci la grazia dirisponderVi come rispose all’Angelo la vo-stra santissima madre Maria: “sia fatto di mesecondo la tua parola” (Luc. I, 38).

Doce nos facere voluntatem tuamDomine… fiat voluntas tua… non come vo-gliamo noi ma come volete voi.

Note1) Sarebbe temerario negare la bontà di tutte queste

opere buone di supererogazione, come fa magistralmentenotare S. Ignazio di Loyola in appendice ai suoi “EserciziSpirituali” nelle “Regole per sentire nella Chiesa” (nn.352-370). Queste “regole” possono essere considerateuna “patente di ortodossia e cattolicità” mentre la loronegazione è sempre quanto meno sospetta…

2) Cfr DOM VITAL LEHODEY, Le saint abandon, p.II, cap. VII, che cita L. Gay. Questo libro di DomLehoedy è stato pubblicato quest’anno in italiano: “Ilsanto abbandono”, ed. San Paolo Alba 1995. Vedi ed.italiana pag. 136-137.

3) In quanto l’uomo ha l’obbligo morale di obbedi-re ai comandamenti di Dio, che sono la sua volontà si-gnificata, pur restandogli la libertà fisica di disobbedirecommettendo in questo caso un peccato.

4) ANTONIO ROYO MARIN, Teologia della perfezio-ne cristiana, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1987,pag. 938.

5) Cfr. P. GARRIGOU-LAGRANGE, La providence et laconfiance en Dieu, Desclée de Bouwer Paris 1932, p. 4acap. I. Citato anche da ROYO MARIN op. cit., pag. 939.

“Padre Nostro che sei cieli… sia fatta la tua volontàcome in cielo così in terra”

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6) A. TANQUEREY, Compendio di teologia asceticae mistica soc. St Jean evang. Desclée Paris Roma 1927,n. 480-481.

7) S. FRANCESCO DI SALES, Teotimo o trattatodell’amor di Dio, L. VIII, c. 3.

8) FRANCESCO POLLIEN, La vita interiore semplifi-cata, Paoline Roma 1969. P. II l. 1 cap. III, pagg. 276-278. I neretti sono stati aggiunti da noi.

9) P. GARRIGOU-LAGRANGE, op. cit., pagg. 235-236.10) FRANCESCO POLLIEN, op. cit., pagg. 279-280.11) F. POLLIEN, op. cit., pag. 310-314. (P. II, l. II c. 1).12) A. ROYO MARIN, op. cit., pag. 937, n. 490.13) Cfr DOM VITAL LEHODEY, Il santo abbandono,

p. I., cap. I., pag. 22.14) S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, Uniformità

alla volontà di Dio. I neretti sono stati aggiunti da noi.15) A. ROYO MARIN, op. cit., pag. 945 -946..16) Op. cit, p. 4 a c.17) S. Alfonso fa qui riferimento alla volontà ante-

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cedente di Dio che vuole la salvezza di tutti gli uominisenza aver considerato ancora le circostanze.

18) S. ALFONSO, op. cit.19) Cfr. A. TANQUEREY, op. cit., pagg. 312-314, n.

494 - 496 .20) Trattenimento XI citato anche in A.

TANQUEREY, op. cit., pagg. 314-315.21) Messale Romano; Colletta della terza domeni-

ca dopo Pentecoste.22) Dom LEHODEY, op. cit., P. III, cap. II, pag. 153.23) S. ALFONSO, Uniformità… op. cit.24) S. ALFONSO, Uniformità… op. cit.25) S. ALFONSO, Pratica di amar Gesù Cristo, c. V par I.26) S. ALFONSO M. DE’ LIGUORI, La via della

salute, pt. I, med. 97.27) DOM LEHODEY, op. cit., P. I, c. I, pagg. 24-2528) GIROLAMO SAVONAROLA, Esposizione del

Pater noster, in “G. Savonarola. Itinerario spirituale”,Ed. Studio Domenicano, Bologna 1993, pagg. 242-243.

DICIOTTESIMA PUNTATA. GIOVANNI XXIII EGLI EBREI. SECONDA PARTE: DA JULESISAAC A NOSTRA ÆTATE.

don Francesco Ricossa

Il “fratello” Jules Marx Isaac aveva dun-que lasciato il Vaticano per tornare in log-

gia con “più di una speranza”: aveva la pro-messa da parte di Giovanni XXIII di una re-visione della dottrina cristiana sui rapportitra Chiesa e giudaismo. Si trattava di con-cretizzare questo impegno solenne. Questoarticolo cercherà di seguire passo a passo glisviluppi di questa manovra seguendo tretracce: l’azione diretta e pubblica diGiovanni XXIII, quella del cardinale Bea,da lui delegato il 18 settembre 1960 alle rela-zioni giudeo-cristiane, e “l’accordo segreto”concluso nel 1962-1963, sfociato nella di-chiarazione conciliare Nostra ætate.

Due allocuzioni ed una benedizione

Se si cercasse nei discorsi ufficiali diGiovanni XXIII la prova del decisivo cambia-mento di attitudine del Vaticano nei confrontidel giudaismo, si resterebbe parzialmente de-lusi. In cinque anni di pontificato, GiovanniXXIII ha rivolto solo due allocuzioni a delleassociazioni ebraiche, il 18 gennaio 1960 alCongresso Mondiale Ebraico ed il 17 ottobredello stesso anno all’associazione statunitense

United Jewish Appeal (1). Abituati al ritmo at-tuale degli incontri giudeo-cristiani, ci stupia-mo di tanta discrezione! Il discorso rivolto ai130 ebrei dell’United Jewish Appeal guidatidal rabbino Herbert Friedman rivela tuttaviadi già degli errori dottrinali importanti; poichého già commentato questa allocuzione, nonmi ci soffermerò ulteriormente (2). Più che leelaborazioni teologiche, Giovanni XXIIIamava i gesti simbolici, che fanno maggioreimpressione alla gente, si imprimono più facil-mente nella memoria e non hanno bisogno diuna rigorosa giustificazione dottrinale... Fucosì che, “il 17 marzo 1962, Giovanni passò inmacchina per i Lungotevere. All’altezza dellaSinagoga, chiese all’autista di fermare e di ac-costare verso il marciapiede: era la mattina diun sabato, e gruppi di Ebrei stavano uscendodal tempio dopo la preghiera. Il papa fece sco-perchiare l’auto e li benedisse: nessun papa loaveva fatto prima di lui” (3). Il gesto vale piùdi mille discorsi; la benedizione accordata agliebrei fuori dalla Sinagoga (in maniera pocoortodossa, poiché si benedicono solo i fedeli)è stata vista a ragione da Giovanni Paolo IIstesso come una simbolica anticipazione dellasua visita all’interno del Tempio israelitico:“l’eredità che vorrei adesso raccogliere è quel-la di Papa Giovanni, il quale una volta, pas-sando di qui - come ha ora ricordato ilRabbino Capo - fece fermare la macchina perbenedire la folla di ebrei che uscivano da que-sto stesso Tempio. E vorrei raccogliere l’ere-

“Il Papa del Concilio”

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dità in questo momento, trovandomi non piùall’esterno, bensì, grazie alla vostra generosaospitalità, all’interno della Sinagoga di Roma.Questo incontro conclude, in un certo modo,dopo il pontificato di Giovanni XXIII e ilConcilio Vaticano II, un lungo periodo sulquale occorre non stancarsi di riflettere pertrarre gli opportuni insegnamenti...” (4).

La riforma del rito del battesimo degli adulti

Un altro gesto di apertura nei confronti delGiudaismo, fu compiuto da Giovanni XXIIIcon la riforma del rito del battesimo per gliadulti. Io non ne avevo mai sentito parlare, edevo questa informazione al già citato (nellescorse puntate) Paul Giniewski, un autoreebreo radicalmente anticristiano, che scriveperò con la prefazione, seppur imbarazzata, dipadre Jean Dujardin, segretario del comitatoepiscopale francese per le relazioni con il giu-daismo (5). A pagina 130 del suo libro, elen-cando i meriti di Giovanni XXIII nei confrontidegli ebrei, Giniewski parla di questa riformaliturgica: “(Giovanni XXIII) purgò il ritò delbattesimo, sopprimendo le formule che con-cernevano l’incredulità giudaica e l’erroreebraico”. Ecco di cosa si tratta. Il 16 aprile1962, la Sacra Congregazione dei Riti pro-mulgò un decreto sul nuovo rituale del battesi-mo degli adulti [AAS, 54, 1962, 315-338] nelquale, praticamente, si restaurava l’antico ca-tecumenato, prevedendo un battesimo confe-rito a tappe. C’è tuttavia, in questa riforma,una dichiarazione di principio dal sapore ecu-menista. Il nuovo rituale soppresse infatti laraccomandazione dell’antico (titolo II,Capitolo III, numero 12) ove si avvertiva il mi-nistro del sacramento di “far conoscere e dete-stare la pravità dei suoi errori” all’eretico chesi convertiva al cattolicesimo (6). Nel rito stes-so del battesimo, il convertito doveva abiuraree detestare gli idoli, se veniva dal paganesimo,la “perfidia maomettana”, se era musulmano,“l’eretica pravità” e le “nefarie sette”, se eraprotestante. Infine, doveva dichiarare avere inorrore la perfidia giudaica, e di rigettarel’ebraica superstizione, se il neofita veniva dalgiudaismo (7). Queste parole del sacerdotebattezzante, furono soppresse in base al prin-cipio precedentemente enunciato, secondo ilquale il catecumeno doveva essere istruitodella religione cattolica, ma non doveva riget-tare i suoi precedenti errori, dimenticandocome la professione della verità e la detesta-zione dell’errore sono correlativi: l’uno richie-

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de l’altro. Come conciliare questa decisionecon la dottrina cattolica secondo la quale nonvi può essere nulla nella liturgia di contrarioalla fede o alla morale, o di nocivo alle anime?

Soppressione del culto del Beato Andrea

Giniewski segnala un’altra iniziativa diGiovanni XXIII, fino ad ora poco conosciuta.I lettori di Sodalitium conoscono già il temadell’ “omicidio rituale” (8). In tre casi laChiesa si è pronunciata con una Bolla di bea-tificazione. Uno di questi è quello del BeatoAndrea da Rinn, in Tirolo, martirizzato nel1462. Papa Benedetto XIV ne approvò ilculto nel 1755 con la Bolla Beatus Andreas.“Nel 1961 - ci informa Giniewski, che cita glistudi di una religiosa, suor Maria Despina,pubblicati nel 1971 dalla rivista Rencontre -Jules Isaac aveva trasmesso al cardinal Bea(...) un dossier completo sulla chiesa di Rinn,ove figuravano sempre le statue rappresen-tanti, in maniera caricaturale, i mercanti ebreiaccusati di avere assassinato Andrea (...), edove si diffondevano sempre dei foglietti conl’imprimatur, nei quali si raccontava il crimi-ne. Simon Wiesenthal e molte organizzazioniebraiche e cristiane erano, anch’essi, interve-nuti. Questi passi sfociarono il 5 maggio 1961ad una lettera segreta di Giovanni XXIII alsuperiore del convento di Wilten, e a dellemisure: soppressione delle statuette, dellaprocessione annuale e della messa in memo-ria di Andrea, apposizione di una lapideall’entrata della chiesa che precisasse che “ilpopolo ebraico non ha nulla a che vedere conil caso del beato Andrea, poiché si tratta solodi una leggenda”. Tuttavia, in un primotempo, l’episcopato avrebbe eluso la doman-da di Giovanni XXIII. Quanto alla popola-zione, “i fedeli in cuor loro non avevano ac-cettato l’ordine papale, sentendosi oggetto diuna reprimenda ottenuta sotto pressionedegli ebrei” (9). Possiamo dare torto al popolofedele? Vox populi, vox Dei!

Sempre Giniewski, al seguito della succitatasuor Despina, rivela un altro intervento diGiovanni XXIII relativo ad un caso simile aquello dell’“omicidio rituale”, la profanazionedelle ostie consacrate; “una di queste leggendefaceva la prosperità della piccola cittadina diDeggendorf in Baviera, ove nella chiesa c’eranodegli affreschi che illustravano un immaginariocrimine ebraico risalente al 1337. Il papa or-dinò, nel 1960, la soppressione degli affreschi ela soppressione del pellegrinaggio...” (10).

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Il cardinal Bea e Nahum Goldman (26 otto-bre 1960)

Quanto abbiamo finora riportato è perònulla al confronto del lavoro infaticabile chesvolse il cardinal Bea, espressamente delega-to da Giovanni XXIII, intrecciando stretticontatti col mondo ebraico. Per farsi un’ideadel fenomeno, basti pensare che l’anzianoporporato dalla salute malferma, nel periodoche va dal 1960 al 1964, ebbe ben 30 “contattipersonali, con singoli o gruppi, in rappresen-tanza di diverse organizzazioni ebraiche” (11).Il primo della lista, probabilmente, ebbeluogo solo un mese dopo aver ricevuto l’inca-rico da Giovanni XXIII. “Senza aspettareche le Commissioni preparatorie [al Concilio]nonché il Segretariato iniziassero il loro lavo-ro” (12), il cardinal Bea ebbe il primo incontroal vertice con Nahum Goldman, presidentedel Congresso Mondiale Ebraico. L’incontroavvenne a Roma, su domanda di Bea, il 26ottobre 1960. Riporto, dal racconto che ne fàil Goldman stesso, i passi più significativi:“Mi disse di aver chiesto di vedermi perché ilPapa intendeva proporre all’ordine del gior-no del Concilio il problema delle relazionicristiano-ebraiche e aveva incaricato lui dipreparare la cosa. (...) Fin dal primo collo-quio, egli dimostrò di comprendere profon-damente l’importanza storica e politica dellerelazioni cristiano-ebraiche; mi manifestò al-tresì la sua convinzione che in queste relazio-ni si esigeva un radicale cambiamento daparte della Chiesa, anche se il processo sareb-be stato difficile e lungo. Da parte sua, purprevedendo una violenta opposizione daparte dei suoi colleghi di Curia, egli avrebbefatto di tutto per indurre il Concilio ad unnuovo e positivo atteggiamento. A suo mododi vedere, il primo passo doveva essere que-sto: le organizzazioni ebraiche dovevano in-viare suo tramite al Papa un memorandum,chiedendo che il problema venisse propostoall’ordine del giorno del Concilio. Mi pregòdi adoperarmi a costituire un unico fronteebraico (...). Mi pregò in particolare di indur-re anche le organizzazioni ebraiche non ap-partenenti al Congresso Mondiale Ebraico adare il proprio appoggio al memorandum. Glidissi che era difficile, e gli feci presente, inparticolare, la mia preocupazione che l’orto-dossia ebraica potesse opporsi ad un similepasso presso il Vaticano, il che avrebbe resola cosa più difficile ancora. Anzi, se ne fossenata una violenta polemica all’interno

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dell’ebraismo, il tentativo di avvicinamento sisarebbe risolto a danno delle reciproche rela-zioni. Ad ogni modo gli promisi di fare tuttoil possibile, e di restare in contatto con lui”(13). Il testo è rivelatore. Innanzitutto, si trattadi una novità, di “un radicale cambiamentoda parte della Chiesa”. Di questo “cambia-mento”, è responsabile Giovanni XXIII chelo ha voluto, dirigendo il Concilio verso quel-la strada di rottura dichiarata con la tradizio-ne ecclesiastica, malgrado la prevedibile “vio-lenta opposizione” dei cardinali. Di questavolontà di Giovanni XXIII fu strumento Bea,il quale non era poi così a digiuno sulla que-stione ebraica, come vuol far credere il Sidic(Servizio internazionale di documentazionegiudeo-cristiana) (14). Quanto alla tattica pro-posta, è sempre la stessa, già collaudata per lacreazione del Segretariato: l’invio a GiovanniXXIII di un memorandum apparentementespontaneo, che era stato invece pilotato e sol-lecitato dagli stessi Rocalli & Bea. Infine gliostacoli, da parte degli intransigenti dei duecampi: gli “ortodossi” ebraici, ed i cattolici...ortodossi! Questi ultimi, però, erano sconfittiin partenza: contro di loro c’era il potere as-soluto di Giovanni XXIII in persona. Più dif-ficile convincere l’ortodossia ebraica!

Ostilità degli ebrei ortodossi al “dialogo”

Prova ne sia che ancora un anno dopol’incontro Goldman-Bea, il 18 novembre1961, il quotidiano israeliano Jerusalem Postriferiva: “Da parte ebraica, non si farà facil-mente un passo nel senso di un riavvicina-mento. La diffidenza nei confronti dei cattoli-ci è grande soprattutto presso gli ebrei orto-dossi, ma il Comitato permanente dellaConferenza dei rabbini europei consacrerà trapoco la sua attenzione al problema che èstato sollevato [dell’invio al Concilio di osser-vatori ebrei]. Il più desideroso di promuovereuna cooperazione è il rabbino capo di Roma,Toaff, mentre il gran rabbino del Com-

Nahum Goldman

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monwealth britannico, rabbino Brodie, haespresso la sua opposizione a ogni contattocol Concilio ecumenico, il cui fine è definirequestioni che concernono solo la Chiesa cat-tolica” (15). La III Conferenza dei rabbini eu-ropei, tenutasi a Parigi dal 14 al 16 novembre1961, sotto la presidenza del rabbino Brodie,non fu certo un capolavoro di ecumenismo! Irabbini ricordarono “le conseguenze disastro-se dei matrimoni contrattati al di fuori dellalegge giudaica, e che hanno per effetto di di-sgregare la famiglia ebraica e di dissolvere lenostre comunità. La conferenza ha considera-to con particolare attenzione il grave proble-ma delle domande di conversione (...).Custodi e difensori della Tradizione, i rabbiniriuniti in conferenza dichiarano solennemen-te, per prevenire irreparabili drammi fami-gliari e per preservare l’unità delle comunità,che matrimoni, divorzi o conversioni nonavranno validità e non potranno essere rico-nosciuti, se non sono conformi, in ogni detta-glio, alle disposizioni del nostro codice reli-gioso. La Conferenza scongiura i fedeli dinon ricorrere, per matrimoni, divorzi o con-versioni, a ministri del culto riformato, libera-le o di ogni altra tendenza, che non si sentanotenuti a seguire la tradizione autentica delgiudaismo come è definita dall’Halakha”.Mentre i cattolici aprivano le porte, colConcilio, ai matrimoni misti ed alla correnteliberale, i rabbini chiudevano ogni porta alleinnovazioni contrarie alla più stretta tradizio-ne! Quanto alle avances dei conciliari, la ri-sposta era altrettanto chiara: “In ragione dialcune dichiarazioni rilasciate alla stampa, au-spicanti una participazione ebraica alConcilio ecumenico, la Conferenza pensa cheè suo dovere ricordare che il giudaismo nonpuò intervenire in alcuna maniera nel proble-ma dell’unità cristiana, oggetto del Concilio, eche, per definizione, non può interessare che icristiani. In accordo con l’insieme del giudai-smo, la conferenza ha preso atto con soddi-sfazione delle modifiche introdotte recente-mente da Papa Giovanni XXIII nella liturgia,tendenti a sopprimere il carattere offensivoper gli ebrei e la religione ebraica di certi testidella liturgia cattolica. Queste modifiche ma-nifestano ai suoi occhi la volontà sincera eben determinata del Vaticano di eliminare ipregiudizi ed i malintesi” (16). Il messaggio deirabbini è chiaro: noi siamo i custodi dellaTradizione giudaica, e da lì non ci muoviamo;se i cattolici vogliono cambiare e fare am-menda, facciano pure: a noi sta bene così (17).

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Giovanni XXIII chiede a Bea uno schemaconciliare sugli ebrei... (1 febbraio 1962)

Dopo questa digressione sull’attitudinedell’ortodossia ebraica, ritorniamo al lavorodi Bea. Dei trenta incontri registrati tra il 1960ed il 1964, molti devono aver avuto luogo du-rante il 1961, ma di essi non ci è rimasta trac-cia (almeno, io non ne ho trovate, se si esclu-de l’intervento di Isaac per l’affare di Rinn).Ma il 25 dicembre 1961, con la lettera aposto-lica Humanæ Salutis (sulla quale ritornere-mo), Giovanni XXIII convoca il ConcilioVaticano II, che inizierà l’11 ottobre dell’annoseguente. Il tempo stringe... e Bea intensifica icontatti. Ancora una volta, l’ordine viene daGiovanni XXIII in persona. “Fin dall’aprile1961, il Segretariato aveva concluso gli schemisu quattro importanti temi: l’appartenenza deibattezzati non cattolici alla Chiesa, la struttu-ra gerarchica della Chiesa, il sacerdozio ditutti i fedeli e la posizione dei laici nellaChiesa e, finalmente, gli aspetti ecumenici dialcune formule liturgiche”. Gli schemi, però,furono trasmessi alle Commissioni conciliaricompetenti, che dovevano esaminarli.Tuttavia, “nell’udienza concessa al cardinale il1° febbraio 1962, il Papa [Giovanni XXIII]decide che il Segretariato proponga gli schemisulla libertà religiosa e quello riguardante gliebrei direttamente alla Commissione centralepreparatoria, senza che vi intervenga alcunaltra Commissione” (18). Giovanni XXIII, per-tanto, ha voluto i testi conciliari sulla libertàreligiosa (Dignitatis humanæ) e sugli ebrei(Nostra ætate). Li ha voluti nella forma piùestrema (gli schemi del Segretariato furonopiù volti emendati e moderati prima di essereapprovati definitivamente), ed ha voluto peressi un trattamento di favore, “appaltando” lamateria esclusivamente al Segretariato diBea, con l’esclusione della Commissione dot-trinale del Cardinal Ottaviani.

...ed il B’nai B’rith ne scrive la traccia! (27febbraio 1962)

Poco dopo, “il Memorandum che ilCardinale aveva richiesto a NahumGoldman” il 26 ottobre 1960 “fu consegnatoil 27 febbraio 1962 e presentato dal dr.Goldman del Congresso Mondiale Ebraico eda Label A. Katz, della Benai Berîth, a nomedella Conferenza Mondiale delleOrganizzazioni Ebraiche” (19). Certo, i “sug-gerimenti” elaborati nelle Logge del B’nai

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B’rith saranno stati tenuti in debito conto,per la preparazione di Nostra ætate, da partedi Bea e Roncalli che li avevano sollecitati! Isacerdoti autori del testo riservato ai PadriConciliari, L’azione giudaico-massonica nelConcilio, sostengono che il memoriale “con-tiene integralmente le tesi del decreto sugliebrei presentato dal segretariato per l’Unionedei Cristiani al consesso plenario delConcilio” (20). In attesa di leggere (o pub-blicare) il Memorandum presentato dal B’naiB’rith a Bea, contentiamoci dell’affermazionedel noto quotidiano parigino Le Monde:“L’organizzazione ebraica internazionaleB’nai B’rith ha manifestato il desiderio di sta-bilire relazioni più strette con la ChiesaCattolica. Tale Ordine ha sottomesso ora alConcilio una dichiarazione nella quale si af-ferma l’intera responsabilità dell’umanità perla morte di Cristo. Se tale dichiarazione verràaccettata dal Concilio - ha dichiarato LabelKatz, presidente del Consiglio Internazionaledei B’nai B’rith - le comunità giudaiche cer-cheranno i mezzi per collaborare con le auto-rità della Chiesa” (21). Non è temerario per-tanto, dopo l’udienza a Jules Isaac e la pre-sentazione del Memorandum Goldman-Katz,scrivere che il documento conciliare Nostraætate è stato ispirato e commissionato dallelogge massoniche del B’nai B’rith.

Il caso Chaim Wardi (Giugno-Agosto 1962)affossa il decreto sugli ebrei

Tutto procedeva a gonfie vele, quindi,per il quartetto Roncalli-Bea-Goldman-Katz. Per concretizzare i loro disegni, gli ulti-mi tre si incontrarono a Roma il lunedì diPentecoste che, quell’anno, cadeva l’11 giu-gno. L’agenzia di stampa Kipa riferì il 12 giu-gno che “il professor Nahum Goldman, pre-sidente del Congresso Mondiale Ebraico, hareso visita, il lunedì di Pentecoste, al cardina-le Agostino Bea, presidente del Segretariatopreparatorio del Concilio (sic) per l’unionedei cristiani. L’incontro si è svolto nella resi-

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denza romana del cardinale ed è duratoun’ora. Non si ha finora alcun dettagliosull’incontro” (22). La medesima agenzia pro-seguiva con un’altra notizia importantissima,che svela parzialmente l’oggetto delle discus-sioni di Bea, Goldman e Katz: “Si viene a sa-pere, d’altra parte, che il dott. Chaim Wardi,finora direttore del dipartimento degli Affaricristiani al ministero israeliano agli Affari re-ligiosi, si stabilirà a Roma nel mese di luglio.Egli avrà il compito di seguire da vicino losvolgimento del Concilio Vaticano II e, piùparticolarmente, informarsi di tutte le que-stioni riguardanti gli ebrei che potrebberoessere trattate dal Concilio. Come si sa, ilcardinal Bea ha recentemente dichiarato allastampa straniera a Roma, che il segretariatoche dirige si era occupato, nel corso di cin-que sessioni, di qualche problema concer-nente il giudaismo” (23). Già dal dicembre1960, Bea si stava dando da fare, infatti, perrealizzare, per usare le sue stesse parole, “ilfatto che si dimostrò semplicemente deter-minante per l’aspetto ecumenico che dominòil Concilio e che contribuì grandemente aisuoi risultati ecumenici”, ovvero “la presen-za di osservatori di Chiese e Comunità eccle-siali non cattoliche” (24). Giovanni XXIII,con la bolla di convocazione del Concilio,Humanæ salutis (25 dicembre 1961), annun-ciava pubblicamente la decisione di far par-tecipare al Concilio questi “osservatori” noncattolici. Ci sarebbero stati anche degliebrei? Un articolo del Jerusalem Post del 14gennaio 1962 faceva capire di sì: “certi am-bienti ebraici - scriveva il quotidiano israelia-no a firma di Geoffrey Wigoder - più politiciche religiosi, hanno inviato qualche emissa-rio discreto per sapere se il Concilio non po-trebbe essere il segnale di un certo riavvici-namento. Papa Giovanni ha già dimostratocoraggio e indipendenza di carattere facendosopprimere diverse tracce di antisemitismoche sussistevano nella liturgia cattolica ed èconosciuto per la sua attitudine aperta neiconfronti dei non-cattolici. Benché non ci siaspetti che gli Ebrei siano invitati a prendereparte al Concilio, la stampa ha parlato dellapossibilità di vedervi assistere degli osserva-tori ebrei; secondo il Vaticano, questi osser-vatori non sarebbero portaparola di qualcheorganizzazione determinata, ma ‘degli esper-ti della legge e della religione ebraica’ (...). Sinoti che molti membri del Segretariato (perl’unione dei cristiani) sono degli esperti nellerelazioni giudeo-cristiane. In particolare,

Label Katz,presidente del

ConsiglioInternazionale dei

B’nai B’rith

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Mons. Oesterreicher, direttore di un istitutodi studi giudeo-cristiani negli Stati Uniti; donLeo Rudof, della chiesa della Dormizionesul monte Sion, ed il Padre Demann, france-se, che ha iniziato una inchiesta sui 2000 libriscolastici in francese per studiarne la posizio-ne su quel che concerne gli ebrei” (23).Mentre il Segretariato lavorava incessante-mente all’“operazione invito osservatori”, eraccoglieva adesioni dagli eretici e gli scisma-tici del mondo intero, anche il governo israe-liano volle inviare il proprio, con l’accordodel solito Bea. Perché preoccuparsi? Il pianosembrava riuscito appieno! A marzo,Giovanni XXIII aveva benedetto i fedeli cheuscivano dalla sinagoga. Gli ambienti ebraiciitaliani esultavano. Riunita a Castiglioncello,in Toscana, dal 29 aprile al 1° maggio, laFederazione Giovanile Ebraica d’Italia di-scusse di “Vaticano e Ebraismo”. “L’impor-tante iniziativa di invitare i protestanti a par-tecipare al prossimo Concilio ecumenico -disse in quell’occasione Enrico Modigliani -riveste, a mio avviso, un profondo significa-to: la volontà del cattolicesimo di riaprire ildialogo con i non-cattolici in genere...Questa linea di condotta della Chiesa roma-na può trasformare la sua attitudine nei con-fronti degli ebrei, riconsiderando i rapportitra la Chiesa ed il Giudaismo. Potremmocosì assistere ad un dialogo che non abbiaper fine la conversione degli interlocutori mail chiarimento delle reciproche posizioni.Perché un simile dialogo possa istituirsi el’opinione pubblica lo capisca, naturalmentesenza cambiare la sua teologia, occorre chela Chiesa sfrondi il suo insegnamento di queltanto di avversione agli Ebrei che spessodiede origine a delle forme di antisemitismo,e che è contingente, estrinseca e, mi sia per-messo di dirlo, anticristiana. In altri tempi sa-rebbe stato folle chiedere alla Chiesa un talecomportamento. Oggi no. Dai primi anni delsuo pontificato, Giovanni XXIII ha dimo-strato una generosa sensibilità nei confrontidel problema ebraico. Tutti conoscono, tral’altro, la correzione che ha fatto fare alla li-turgia del Venerdì santo. Certo, questo nonè che un inizio, ma permette di sperare che sicontinuerà su questa via...” (25). In questoclima, Bea, Goldman e Katz avevano pensa-to che l’invio di un osservatore ebreo alConcilio sarebbe passato... inosservato! Lascelta, però, non poteva essere peggiore.Inutilmente Bea voleva far passare la que-stione ebraica come esclusivamente religio-

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sa; abbiamo visto che lo stesso JerusalemPost dichiarava che l’interesse degli Ebreiverso il Concilio veniva dagli ambienti politi-ci e non da quelli religiosi. Ed infatti, l’osser-vatore prescelto da questi ambienti era nonsolo un membro del Consiglio MondialeEbraico, ma anche un funzionario del gover-no israeliano appartenente al Ministero deiCulti. Certo, Wardi aveva dato, per l’occasio-ne, opportune dimissioni dal ministero, ma lamanovra non ingannava nessuno... Fu cosìche l’annuncio dell’arrivo di Wardi, sollevò“una tempesta di proteste da parte degliStati Arabi” (26), che temevano un’ingerenzadel governo sionista nei lavori conciliari.L’esito fu disastroso per gli interessi ebraici.La prima conseguenza, fu che lo schemasugli ebrei preparato da Bea con due anni dilavoro andò “incontro, da un giorno all’altro,addirittura a un crollo” (26). Il 20 giugno, in-fatti, si riunì la Commissione centrale prepa-ratoria al Concilio. Il Cardinal Bea temeva,in effetti, di incontrare alcune difficoltà, ecercò di prevenirle. Preparò pertanto unabreve relazione sullo schema De Judæis.Riferisce Padre Schmidt: “In essa, ilCardinale menziona l’esplicito incarico con-ferito al segretariato da parte del Papa, quel-lo cioè di occuparsi dei molti pregiudizi, dif-fusi anche tra i cattolici, riguardanti gli ebrei,soprattutto il fatto di considerarli ‘deicidi’ e‘maledetti da Dio’. (...) Il Cardinale aggiungepoi, ovviamente con riferimento alla tempe-sta in arrivo: ‘È una questione del tutto di-versa stabilire se nelle circostanze concretesia opportuno e prudente proporre questodecreto’ e accenna alle predette inimicizietra ebrei e arabi, una situazione ‘su cuil’Em.mo Cardinale Segretario potrà riferiremaggiori particolari’. È chiaro che il presi-dente del Segretariato, preparando la sua re-lazione, prevedeva già quel che sarebbe suc-cesso...” (27) e metteva le mani avanti, co-prendosi con l’autorità di Giovanni XXIII.“L’Em.mo Cardinale Segretario” di Stato,però, non si lasciò impressionare. «Il verbaledella Commissione centrale del 20 giugno ri-ferisce in modo quasi glaciale una propostadel Cardinale Segretario di Stato AmletoCicognani: “Si è discusso con l’Em.moCardinale Bea se convenisse presentare aquesta Commissione centrale e annoverarenegli Atti del Concilio Ecumenico il ‘decretosugli ebrei’ preparato con tanta carità dallostesso Cardinale. È sembrato inopportuno...Perciò si propone che il Concilio non tenga

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conto di questo decreto e che esso non ap-paia negli Atti conciliari” (26). Cicognanidava due motivazioni di questa inopportu-nità: che il decreto non si atteneva allo scopodel Concilio (l’unità dei cristiani non riguar-dava gli ebrei) e che poteva essere interpre-tato come un appoggio politico a Israele,provocando la reazione degli stati arabi: “giàse ne sentono i rumori”, aggiunse, alludendoalle proteste per l’invio di Chaim Wardi aRoma in qualità di osservatore. Così, “loschema riguardante le relazioni col popoloebraico veniva senz’altro radiato dal pro-gramma del Concilio” (28). La disfatta diven-ne pubblica nel mese di agosto, quando lastessa agenzia di stampa Kipa, che avevafatto menzione trionfante della calata aRoma di Chaim Wardi, dovette annunciareche l’israeliano se ne sarebbe rimasto a casa:«Contrariamente a quanto è stato annuncia-to precedentemente, Israele non invierà os-servatori al Concilio. In effetti, il dott. ChaimWardi (...) avrebbe dovuto seguire i lavoridel Concilio, e soprattutto tenersi al correntedi tutte le questioni che potrebbero riguarda-re il giudaismo. Questa decisione era statapresa dal governo israeliano. In seguito adalcune reazioni di paesi arabi, il governoisraeliano ha revocato la sua decisione ed hadichiarato di non essere in grado di inviareun osservatore al Concilio. Così - si dicenegli ambienti bene informati - sarà evitataal Vaticano una “situazione imbarazzante”»(29). Non si poteva sostenere, col cardinalBea, che lo schema sugli ebrei aveva sola-mente un interesse religioso, se il JerusalemPost e lo stesso governo israeliano facevanocapire esattamente il contrario!

Prime opposizioni all’apertura agli ebrei:politiche o religiose?

Quella del Cardinal Cicognani fu la primaopposizione manifesta contro lo schema con-ciliare sugli ebrei. Bea ci tenne a precisare che«lo schema era stato tolto dal programma delConcilio “non per le idee e la dottrina che viera esposta, ma solo per talune sfortunate cir-costanze politiche di quei giorni”» (26). Il suosegretario e biografo, Padre Schmidt, è dellastessa opinione: “È senza fondamento - scrive- l’affermazione di R. Kaiser secondo cui fu ilSant’Uffizio a sobillare i Paesi arabi” (30).Certo, i paesi arabi non avevano bisogno delSant’Uffizio per essere “sobillati” controIsraele! Tuttavia, hanno ragione il Cardinal

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Bea e Padre Schmidt nel sostenere che l’oppo-sizione manifestatasi allo schema sugli ebreinon ebbe motivazioni dottrinali, ma solo diopportunità politica? In effetti, è quanto sem-bra dire lo stesso Cardinal Cicognani...Eppure, è permesso dubitarne. Così PadreSchmidt descrive sia l’importanza religiosadello schema, sia le “immani” opposizioni adesso: “tutti i documenti preparati e sostenutidal Segretariato sono costati non poche fati-che e hanno comportato molte ansie - il chevale in modo particolarissimo per il documen-to sulla libertà religiosa. Ora, per nessuno diessi il Cardinale si era impegnato così perso-nalmente come per la suddetta dichiarazione[Nostra ætate], specie per la parte riguardanteil popolo ebraico. (...) Così, la lotta per questodocumento e le drammatiche vicende attra-verso le quali esso dové passare si ripercosseromolto più profondamente nel suo intimo” alpunto che egli stesso dichiarò: “se avessi potu-to prevedere tutte le difficoltà che avremmoincontrate, non so se avrei avuto il coraggio diintraprendere il cammino”. Si trattava, comedisse ancora Bea, del “bimillenario problema,vecchio quanto il cristianesimo stesso, dellerelazioni della Chiesa con il popolo ebraico”:questione dogmatica e religiosa per eccellen-za, anche se l’impellenza di parlarne veniva daun motivo politico, “lo spaventoso sterminiodi milioni di ebrei da parte del regime nazistain Germania”. Il Concilio, ricorderà Bea, nonsi è limitato “a un decreto puramente praticoo a una semplice condanna dell’antisemiti-smo” ma ha impostato il problema e la sua so-luzione “su profonde basi bibliche” (31). Datal’importanza vitale per il cristianesimo di talemateria, come non stupirsi se vi furono “im-mani difficoltà e ostacoli che avrebbero tenta-to di impedire che il Concilio si pronunciassesu tale delicata materia”? (32). Tutte difficoltàpolitiche? Schmidt stesso si smentisce quandoriferisce le parole (già citate) che Bea rivolse aGoldman, con le quali prevedeva violente op-posizioni da parte dei colleghi della Curia. Percui, per una volta, mi sembra che non abbiatorto Zizola quando, riferendosi alle motiva-zioni di Cicognani per sopprimere lo schemasugli ebrei, scrive: “La rapidità con cui talemotivazione politica venne colta per scartarelo schema, la sproporzione tra la premessa po-litica e la conclusione - non il rinvio, ma lacancellazione pura e semplice del testodall’orizzonte conciliare - sembrerebbero piut-tosto segnalare l’esistenza di altre e più corpo-se difficoltà interne”. A riprova di ciò, Zizola

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cita due testi, del 1948 e del 1950, che il Car-dinale Ottaviani aveva preparato per ilConcilio che Pio XII aveva pensato di convo-care; in essi gli infedeli sono chiamati a ritor-nare “all’ovile di Pietro” e gli ebrei “a ricono-scere in Cristo il loro Messia universale eRedentore”. Evidentemente, si trattava di“una visione che lo schema di Bea aveva net-tamente ripensato” (33). Al di là di Ottavianiperò (che non era particolarmente sensibilealla questione ebraica, e che anzi manifestòuna certa simpatia per Israele in chiave anti-comunista) (34) e dei Patriarchi di rito orienta-le (che potevano essere più sensibili alle moti-vazioni politiche, vivendo in paesi arabi), l’op-posizione ci fu soprattutto da parte di laici esacerdoti cattolici (specie messicani e francesi)e, tra i Padri conciliari, da parte di Mons. LuigiCarli, allora Vescovo di Segni (trasferito in se-guito all’arcidiocesi di Gaeta) coadiuvato daMons. Marcel Lefebvre e da Mons. Geraldode Proença Sigaud. Su di essi non faceva presala motivazione politica, per cui l’opposizioneera verso lo schema stesso, piuttosto che versola sua opportunità politica (ma questo nonrientra veramente nel nostro tema, poiché loschema sugli ebrei fu discusso in Conciliodopo la morte di Giovanni XXIII).

L’astuzia di Bea

A riprova del fatto che l’intervento delCardinal Cicognani non fosse solo dettato daltimore di irritare la diplomazia araba, vi è unsecondo intervento dello stesso presule.“Proprio mentre accadevano queste cose [laradiazione, cioè, dello schema conciliare sugliebrei] egli [Bea] stava preparando uno studioche doveva introdurre soprattutto gli am-bienti cattolici nel cuore del problema. Essoportava il titolo: Sono gli Ebrei un popolo‘deicida’ e ‘maledetto da Dio’?, e doveva esse-re pubblicato nella nota rivista dei gesuiti ita-liani, La Civiltà Cattolica, che in quel tempoaveva una tiratura di circa 16.000 copie.Quando si arrivò alle seconde bozze, il cardi-nale Segretario di Stato pregò Bea di sopras-sedere alla pubblicazione per non irritare ul-teriormente gli Stati Arabi” (35). In questocaso, il problema arabo sembra sempre piùuna scusa: un articolo su di una rivista non hacerto il valore di un documento conciliare!Mons. Willebrands ha recentemente rivelatoche Bea decise di sottomettersi “solo per ilmomento”, per paura di compromettere glialtri schemi che il suo Segretariato stava pre-

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parando, quello sull’ecumenismo e quellosulla libertà religiosa. Poi, astutamente, trovòuna soluzione... «Il card. Willebrands così de-scrive i fatti: “Oltre che ne La CiviltàCattolica, lo studio del Cardinale sarebbe do-vuto uscire anche nella rivista tedescaStimmen der Zeit e in quella belga NouvelleRevue Théologique di Lovanio. Sospesa lapubblicazione ne La Civiltà Cattolica, la reda-zione di Stimmen der Zeit insistette per aver-ne il testo. Le fu risposto che glielo si sarebbemesso a disposizione, a condizione che qual-cun altro firmasse l’articolo” (35). Così,nell’ottobre 1962, (l’11 ottobre si era aperto ilConcilio) l’articolo proibito di Bea uscì, allafaccia del cardinal Cicognani, sotto il nomedel padre Ludwig von Hertling (anch’egli ge-suita). “Le cose non si fermarono qui”, conti-nua Willebrands. Guarda caso, “l’articolo fuscovato da un ebreo di Genova, sig. RaffaeleNahum, e questi ottenne l’autorizzazione difarlo tradurre e diffondere in diverse lingue.Lo fece tradurre in inglese, francese e italia-no. Nell’autunno 1963, lo si fece diffonderetra i Padri Conciliari, sul cui orientamento,per questa via, la sostanza del lavoro delCardinale esercitò di fatto un notevole influs-so” (35). Tuttavia, Bea non si contentò di averraggirato il Cardinal Cicognani servendosi diHertling e di Nahum; voleva farlo diretta-mente, usando il suo nome prestigioso. Così,“non si diede per vinto” e, un mese dopo ildivieto, si recò a Londra. Fu così che, nelmese di agosto, quando fu di pubblico domi-nio che il dott. Wardi era stato rispedito almittente, Joel Cang, redattore di JewishChronicle, chiese di intervistare il vecchio maarzillo cardinale. Bea, ligio al dovere, di-chiarò che “non intendeva concedere una in-tervista propriamente detta”... però... egli“era pronto a spiegare perché e in che modola Chiesa Cattolica sia decisa (...) a trattare laquestione riguardante il popolo ebraico” (35).Naturalmente, Bea non disse la verità. Nondisse che lo schema era stato cestinato. Anzi,affermò il contrario, sostenendo che «l’inci-dente riguardante l’invio del dott. Wardi (...)“non cambierà per nulla l’atteggiamento fon-damentale e la politica della ChiesaCattolica”» (35). Quanto al “perché la Chiesasi sia decisa a parlare del problema ebraico”raccontò che la Chiesa Cattolica non volevaessere da meno del Consiglio Ecumenicodelle Chiese, che aveva appena condannatol’antisemitismo, nascondendo invece chequesta decisione sorse su iniziativa dei mas-

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soni del B’nai B’rith. Infine, nel corso dellaintervista-non-intervista, espose la sua tesi sul“deicidio”, che era né più né meno quella diJules Isaac, che il Cardinal Cicognani gliaveva proibito di divulgare (36)!

Giovanni XXIII rilancia lo schema sugliebrei (13 dicembre 1962)

A questo punto, da agosto a dicembre del1962, sostenitori ed avversari del decretosugli ebrei giocarono le loro carte per far pas-sare o, al contrario, annullare definitivamentelo schema e, contestualmente, il piano che ilB’nai B’rith aveva concepito ed iniziato conla visita di Jules Isaac a Giovanni XXIII. Itempi stringevano, poiché l’11 ottobreGiovanni XXIII inaugurò la prima sessionedel Concilio (con un celebre discorso checommenterò in futuro), l’unica che egli dires-se. Quando, l’otto dicembre dello stessoanno, si chiuse il primo periodo conciliare,nulla era mutato sullo schema sugli ebrei, daquando Cicognani lo aveva fatto sopprimere;la questione ebraica, quella che stava più acuore a Bea, non era stata neppure trattata inConcilio, se si esclude un intervento delVescovo messicano di Cuernavaca, MendezArceo, che richiese un documento dellaChiesa di riconciliazione con gli ebrei e lamassoneria (37)! Per il momento, però, la si-tuazione tutta del Segretariato di Bea eraestremamente delicata, ed il cardinale dovevaagire, come è stato detto, con “prudenza eduttilità” (38). Siccome non si poteva più pre-sentare uno schema separato, Bea pensò diinserire quello bocciato in altri schemi, comequello sulla Chiesa o quello sull’ecumenismo:“per quanto riguarda lo schema sugli ebrei -recita il verbale della riunione del Segre-tariato per l’unità dei cristiani del 26 ottobre,poco dopo l’apertura del Concilio - SuaEminenza [Bea] pensa che si potrà inserire inun appropriato luogo quanto era stato dettonel nostro schema” (39). Pochi giorni prima, il19 ottobre, Giovanni XXIII aveva dato nuo-vamente ragione al Segretariato di Bea, con-fermando che esso era competente per pre-sentare degli schemi durante il Concilio, enon solo nella ormai conclusa fase preparato-ria (40). Il momento era venuto per recupera-re tutte le posizioni perse con lo sventurato“caso Wardi”; Bea pensò così, a dicembre, diappellarsi a Giovanni XXIII per poter pro-porre di nuovo lo schema sugli ebrei bocciatoa giugno. Nello stesso tempo, “il 3 dicembre

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1962 - scrive Zizola - tornando alle proprieresidenze, i Padri conciliari avevano trovatoun grosso volume di 617 pagine, che ignotiavevano loro indirizzato. Sulla fascetta ester-na della copertina, si ‘raccomandava rispetto-samente agli illustri Padri l’immediata letturadella Prefazione e dell’Indice’. Il volume sca-gliava un attacco contro pretesi ‘poteri occul-ti’ miranti a manovrare il Concilio, a lorovolta manipolati da forze ebraiche (41). Il tito-lo era Complotto contro la Chiesa e l’autoreera tale Maurice Pinay, evidentemente unopseudonimo” (42). Contemporaneamente, vifu “una campagna anticristiana esplosa nelloStato di Israele sotto forma di complesso ‘an-timissionario’. Tutta la stampa, da quella disinistra a quella della destra politica e dei cir-coli ebrei più ortodossi, denunciò i mezzi‘scandalosi’ impiegati dai missionari per ‘con-vertire’ gli Ebrei. (...) Un progetto di leggevenne presentato allo scopo di ridurre ai solicristiani le attività delle diverse Chiese” favo-rito dallo stesso ministro dei Culti che avevadeciso l’invio a Roma di Chaim Wardi (43).Giovanni XXIII, in quel dicembre 1962,aveva quindi in mano tutti gli elementi perdecidere con cognizione di causa. Fu allorache, come detto, Bea “tornò alla carica dopola conclusione del primo periodo delConcilio” (avvenuta l’otto dicembre). «Nellarelazione ufficiale con cui nel 1963 egli pre-sentava in aula conciliare lo schemasull’Atteggiamento dei cattolici verso i non cri-stiani e principalmente gli ebrei, [Bea] riferi-sce in proposito: “Nel mese di dicembredell’anno scorso, esposi per iscritto tutta que-sta questione sugli ebrei al Sommo PonteficeGiovanni XXIII di felice memoria. Già dopopochi giorni, il Papa mi significò la sua pienaapprovazione”. Come si vede, il Papa avevarisposto con la stessa prontezza con la qualeaveva proceduto nell’istituzione delSegretariato. In un foglio non intestato, data-to 13 dicembre, scritto interamente di suopugno, il Papa diceva: “Letto con attenzionequesto rapporto del cardinale Bea, ne condi-vidiamo perfettamente la gravità e la respon-sabilità di un Nostro interessamento. IlSanguis ejus super nos et super filios nostrosnon attribuisce ad alcun credente in Xto ladispensa dall’interessarsi dal problema edall’apostolato per la salvezza di tutti i figli diAbramo egualmente che di ogni vivente sullaterra. Te ergo quæsumus Tuis famulis subve-ni, quos prætioso sanguine redemisti. IoannesXXIII PP.”» (44). Questo testo di Giovanni

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XXIII è ambivalente. La seconda parte ha sa-pore ortodosso e, come scrive Padre Schmidt,“contiene certo qualche elemento che po-trebbe turbare il lettore ebreo”. Ma, comespiega lo stesso Schmidt, al seguito diOesterreicher, “chiunque poi conosce papaGiovanni XXIII, comprenderà senz’altro chesi tratta di una espressione della sua carità,formulata con la sua abituale semplicità, benlontana da qualsiasi mira proselitistica”. Laprima parte è, invece, per un cattolico, asso-lutamente sconcertante, poiché con esso egli“condivide perfettamente” un testo di Bea“letto con attenzione”, e che è inconciliabilecon la dottrina cattolica! Per cui a giusto tito-lo, Padre Schmidt conclude: “l’importante èche con questo semplice scritto papaGiovanni XXIII poneva di nuovo il problemaall’ordine del giorno del Concilio, diventandoper la seconda volta il padre spirituale del fu-turo documento conciliare” Nostra ætate (44).

Sviluppo delle relazioni giudeo-cristiane finoalla morte di Giovanni XXIII (giugno 1963)

Questa importante decisione di GiovanniXXIII fu presa, lo abbiamo visto, dopo lachiusura della prima sessione conciliare. Nonne avrebbe presiedute altre; la seconda sessio-ne, nella quale si discusse in aula, per la primavolta, lo schema sugli ebrei, si svolse sotto ilsuo successore Paolo VI. Giovanni XXIII eramorto nel frattempo, nel giugno 1963. Ci re-stano da esaminare, quindi, gli ultimi sei mesidi governo di Giovanni XXIII, dal punto divista delle relazioni col giudaismo. Furonomesi di intensa attività del cardinal Bea, inte-ramente appoggiato ed incoraggiato daRoncalli. Il 16 febbraio 1963, ad esempio, Beasi incontrava nuovamente a Roma colPresidente dei B’nai B’rith, Label Katz permodificare, alla luce dei nuovi avvenimenti, “ilpiano iniziale stabilito nel giugno 1962” (45).Secondo alcuni autori, in questa o in un’altraoccasione, lo stesso Giovanni XXIII ricevettein udienza Katz (46). Dei molti che vi furono inquei mesi, l’incontro “più importante e signifi-cativo” (47) fu quello avvenuto a New York il31 marzo 1963 nel quadro di una visita di Beanegli Stati Uniti che fu “il culmine dell’attivitàpersonale del Cardinale” in quel periodo (48).Culmine della sua attività, perché “in essa -prosegue lo Schmidt - sono rappresentati tuttii vari campi dell’attività del Presidente delSegretariato per l’unione dei cristiani finora il-lustrati: sia l’ecumenismo, sia le relazioni della

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Chiesa col popolo ebraico” sia il “nuovotema” del “problema dell’incontro degli uomi-ni in quanto uomini, sotto la sovranità di unDio personale e, come conseguenza, il proble-ma dell’unità dell’umanità anche a livello sem-plicemente umano” (48); chiarendo il concetto,questo viaggio include l’apertura agli eretici,ai giudei ed ai massoni. Vista la sua importan-za, ci attardiamo su di esso. Innanzitutto, no-tiamo con lo Schmidt, che “sull’intero viaggioesiste una relazione riservata e che per oraresta tale”; vi sono fatti, pertanto, che ancoranel 1987, data del libro dello Schmidt, non po-tevano essere rivelati! Contentiamoci di quel-lo che è di pubblico dominio (il che non vuoldire che sia conosciuto da tutti, tutt’altro!).L’origine della visita sarebbe da ricercarenelle attività dell’ “Incontro Agape”. “Di checosa si tratta”? «Bea stesso ne spiega così ilconcetto: “Si tratta di una iniziativa che inten-de promuovere il superamento di pregiudizi,sospetti e risentimenti, di qualunque origineessi siano, a mezzo di fraterni incontri ispiratial mutuo rispetto, fondato questo a sua voltasul riconoscimento della dignità della personaumana, dei suoi diritti e doveri, sotto laSovranità di un Essere Supremo Personale,Dio, Padre provvido e benevolo di tutti gli uo-mini.”». Non si potrebbe meglio descriverel’attività di una venerabile Loggia anglosasso-ne! Solo, prosegue Bea, che l’Agape «si rifà,tra l’altro, anche all’idea espressa da papaGiovanni XXIII nel radiomessaggio della vigi-lia del Concilio (11/9/1962), cioè all’idea “dellafraternità e dell’amore, che sono esigenze na-turali dell’uomo, imposte al cristiano come re-gola di rapporto tra uomo e uomo, tra popoloe popolo”». Bea fu invitato per la prima voltaalla VII Agape, tenuta a Roma il 14 gennaio1962 ed organizzata dall’Università di StudiSociali Pro Deo, il cui presidente era il padredomenicano belga Felix Morlion, una figuraenigmatica e molto interessante, sulla quale ri-torneremo (49). Alla VII Agape parteciparonoesponenti di 17 religioni o Confessioni religio-se diverse; tema dell’incontro: “Il superamen-to dei pregiudizi, dell’incomprensione, degliantagonismi nazionali, razziali, religiosi e poli-tici”. “Per la parte ebraica italiana - scriveToaff - la delegazione era composta da me,dal presidente e dal vicepresidente del-l’Unione delle Comunità israelitiche italiane,mentre gli organismi ebraici internazionalierano rappresentati dall’American JewishCommitee. Nel discorso di apertura il cardina-le disse che la ragione di quell’incontro era di

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cercare la collaborazione di tutti i credenti inDio (...) citando papa Giovanni XXIII (...).Era questo un linguaggio nuovo che suonavamolto gradito alle orecchie degli ebrei...” (49 bis).“Partecipando l’anno seguente, il 13 gennaio,all’ottava Agape” per la prima volta Bea“parla esplicitamente di incontri e collabora-zione tra appartenenti a diverse religioni, sullabase della comune fede in Dio e nel reciprocorispetto della libertà religiosa di ciascuno”. Lereligioni rappresentate erano salite a 21, cosìBea fece un salto di qualità, parlando per laprima volta in pubblico “del problema della li-bertà religiosa”. A questa conferenza seguì,anche sulla stampa romana, una furiosa pole-mica, poiché tutti si erano accorti della con-traddizione tra la posizione di Bea e quelladella Chiesa (50). Come reagì Giovanni XXIII?Dopo la VII Agape riferisce P. Schmidt, inviòuna lettera di plauso firmata dal Segretario diStato (50). Dopo la VIII, fece di peggio, poiché,passati pochi mesi fece sua la posizione etero-dossa di Bea sulla libertà religiosa nella famo-sa enciclica Pacem in terris. Che GiovanniXXIII approvasse le Agapi di Morlion, è con-fermato dal suo appoggio al viaggio di Beanegli Stati Uniti. Sì, perché (finalmente ci arri-viamo) l’occasione del viaggio fu data da unanuova Agape da organizzare non più a Romama a New York e di cui Bea sarebbe stato ilPresidente. Per evitare nuove critiche, Bea di-chiarò che non presiedeva l’incontro nella suaqualità di presidente del Segretariato perl’unità dei cristiani, “bensì a solo titolo perso-nale, di chi ama l’uomo e l’umanità e desiderapromuovere la fraternità tra gli uomini” (51).«Alla vigilia della partenza per gli Stati Uniti,Bea viene ricevuto in udienza da papaGiovanni XXIII. Alla fine dell’udienza eglichiede la benedizione. Sorpreso, nella suanota modestia, il Papa rispose imbarazzato:“Benedizione... benedizione, si può fare: Cibenedica Dio onnipotente...”. Egli però ac-compagnò il Cardinale con la sua preghiera.Infatti, dopo la morte del Papa, riceviamo dalsuo fedele segretario, Mons. Loris F.Capovilla, la fotocopia di un foglio di calenda-rio da tavola, datato 23 marzo, con il seguenteappunto: “Sempre buon lavoro del Card. Bea,degnissimo Presid. del segretariato per l’unitàdei cristiani, benemerentissimo, che ora parteper l’America, dove l’attendono occasioni difare molto bene. Mi è bisogno del cuore di ac-compagnarlo con particolare unione di spiritoe di preghiere”» (52). Il viaggio durò dieci gior-ni, dal 27 marzo al 5 aprile del 1963, toccando

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Harvard, Boston, New York, Baltimora eWashington (53). Per quel che concerne il no-stro argomento, due sono gli incontri significa-tivi, svoltisi entrambi a New York. La sera del31 marzo, Bea si riunì nella sede del ComitatoEbraico Americano (54) con i rappresentantidelle organizzazioni ebraiche, “una dozzina dipersonalità (...) un po’ di tutte le varie corren-ti”. “Anche in questa occasione l’atmosferaera veramente eccellente e fraterna” (55), poi-ché Bea non faceva altro che ripetere le tesi diJules Isaac: nessuna responsabilità per lamorte di Gesù, nessun castigo divino nell’esi-lio del popolo eletto, nessuna riprovazione delsuo popolo da parte di Dio . Come potevanonon essere contenti nel sentire un cardinalesmentire la Chiesa, facendosi eco delle tesipreconfezionate dal “fratello” Isaac? Il giornodopo, 1 aprile, ebbe luogo l’Agape, riunendoun migliaio di personalità, tra le quali, oltre aBea, il sindaco di New York, Wagner, il go-vernatore Rockfeller, il pastore H. P. Dusen(protestante), Rabbi Abraham J. Heschel,professore al seminario Teologico Ebraico, ilmusulmano Zafrulla Khan ed il buddista UThant, entrambi delle Nazioni Unite, ed ilPadre Morlion. Tema (massonico) dell’incon-tro: Civic Unity and Freedom under God:Unità civica e Libertà sotto l’autorità di Dio.La presenza di Rabbi Heschel (56) è significati-va. Heschel ammirò Bea al punto di dire di lui,quasi canonizzandolo: “La rara combinazionedi saggezza, sapere e santità di questo uomoveramente grande ne hanno fatto una dellepiù ricche sorgenti di consolazione inun’epoca colma di tenebre. (...) Il suo nomesarà tenuto caro dal popolo ebraico, e da tuttigli uomini di buona volontà, in quanto ispiratoartefice della comprensione religiosa, e resteràuna benedizione per sempre” (57). Tanta am-mirazione presuppone una profonda cono-scenza! Infatti, scrive Schmidt: “A. J. Heschel,fin dal novembre 1961, fu ripetutamente rice-vuto dal Cardinale a Roma” e, “come collegascientifico di Bea ed anche lui esegeta, eser-citò un notevole influsso sulla elaborazione diNostra ætate” (58). Per la seconda volta, abbia-mo una ammissione di capitale importanza,secondo la quale sono stati gli ebrei a scrivereil documento conciliare che tutti i cattolici do-vrebbero credere opera dello Spirito Santo!La collaborazione di Heschel col suo “colle-ga” Bea è stata recentemente confermataanche da fonte ebraica. Scrive rabbiRosenberg: “Nella sua esperienza di vita,Heschel applicò gli ideali di cui scriveva. Fu in

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prima linea negli Stati Uniti nella lotta per idiritti civili e come avversario pubblico dellaguerra del Vietnam. Ebbe anche una parteimportante come consulente del Vaticanonegli anni sessanta, quando la Chiesa cattolicastava sviluppando le sue attuali opinioni sul-l’Ebraismo e sulle altre religioni e sul modo ditrattarle negli insegnamenti della Chiesa”(59).Nessun dubbio, quindi, sulla vera originedell’importante documento del ConcilioVaticano II...

Nel sottosuolo della Sinagoga di Strasburgo

Quando il cardinale Bea tornò dagli StatiUniti, trovò Giovanni XXIII in cattive con-dizioni di salute: questi aveva meno di duemesi di vita. L’esame dei rapporti traAngelo Giuseppe Roncalli e le comunitàebraiche dovrebbe, pertanto, concludersicon questo viaggio del cardinale Bea. Inrealtà, vi sono ancora molte cose da dire.Finora, abbiamo parlato solo di fatti ed av-venimenti di pubblico dominio, o che, comela visita di Jules Isaac raccontata nella scor-sa puntata, lo sono diventati in seguito.Tuttavia, molte cose sono ancora nascoste, esolo poco a poco, ed in maniera frammenta-ria, vengono a conoscenza di un numero ri-stretto di attenti lettori. Solo negli anni1986-1987, ad esempio, si è avuta notizia diquello che Jean Madiran ha chiamato “l’ac-cordo segreto di Roma con i dirigenti ebrei”(60), richiamandosi al più noto accordo“Roma-Mosca”, avvenuto anch’esso sottoGiovanni XXIII. Madiran fa riferimento adue articoli di Lazare Landau, pubblicati sulsettimanale di Strasburgo-Parigi, diretto dalrabbino Jacquot Grunewald, Tribune Juive.

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Il primo articolo si trova nel N. 903 (17-23gennaio 1986), il secondo, più dettagliato,nel n. 1001 (25-31 dicembre 1987). Sareb-bero da citare interamente... Limitiamoci aduna parte del secondo articolo: “In una bru-mosa e glaciale serata dell’inverno 1962-1963 - scrive Landau - mi recai ad un invitostraordinario del Centro comunitario dellaPace di Strasburgo. I dirigenti ebrei riceve-vano in segreto, nel sottosuolo, un inviatodel papa. Alla fine dello shabbath, eravamouna diecina a ricevere un domenicano dibianco vestito, il R. P. Yves Congar (61), in-caricato dal cardinal Bea, a nome diGiovanni XXIII, di chiederci, alle porte delconcilio (62), ciò che ci aspettavamo dallaChiesa cattolica (...). Gli ebrei, tenuti daquasi venti secoli ai margini della società cri-stiana, trattati spesso da subalterni, da nemi-ci e deicidi, chiedevano la loro completa ria-bilitazione. (...) Il bianco messaggero (...)tornò a Roma, portatore di innumerevoli[altre] richieste che confortavano le nostre.Dopo difficili discussioni (...) il concilio con-sentì ai nostri auspici. La dichiarazioneNostra ætate n. 4 costituì - me lo hanno con-fermato Padre Congar ed i tre redattori deltesto - una vera rivoluzione nella dottrinadella Chiesa sugli ebrei (...). Dai tempi dellavisita segreta di padre Congar in un luogonascosto della sinagoga, in una fredda notteinvernale, la dottrina della Chiesa aveva co-nosciuto effettivamente una mutazione tota-le” (60). Quanti altri incontri nei sottosuolidelle sinagoghe, quanti altri accordi segretiper “cambiare totalmente la dottrina dellaChiesa” ci furono in quegli anni, sotto la re-sponsabilità di Giovanni XXIII?

Responsabilità di Giovanni XXIII

Quale fu, appunto, la responsabilità diGiovanni XXIII? Si rese conto di quel chefaceva, sostenendo ed approvando il cardi-nale Bea? Oppure lo fece per malintesa ca-rità? O per desiderio di piacere e compiace-re? Le intenzioni di Giovanni XXIII ci sfug-gono, e sono note solo a Dio, che già ha giu-dicato. Restano i fatti. Quali che siano le in-tenzioni, ci si può chiedere come possa unautentico successore di Pietro:

1) Aver mutato la liturgia cattolica insenso ecumenista, sopprimendo sistematica-mente ogni riferimento liturgico (e devozio-nale) ad una dottrina sostenuta dall’unani-mità dei Padri?

New York, 31 marzo 1963: il cardinal Bea in compagnia di rabbi Abraham J. Heschel

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2) Aver collaborato e favorito delle asso-ciazioni oggettivamente anticristiane e lega-te alla massoneria?

3) Aver approvato la dottrina contenutanello schema del cardinal Bea, ancora piùesplicita di quella poi effettivamente “pro-mulgata” dal Vaticano II nella Dichia-razione conciliare Nostra ætate (63)?

Poco prima della approvazione definitivadella Dichiarazione Nostra ætate, dei cattolici“tradizionalisti” fecero circolare tra i Padriconciliari un documento di quattro pagine sot-toscritto da 31 associazioni, intitolato: “Nessunconcilio, nessun papa possono condannareGesù, la Chiesa cattolica, apostolica e romana,i suoi pontefici ed i più illustri Concilii. Ora, ladichiarazione sugli ebrei comporta implicita-mente una tale condanna e, per questa eccel-lente ragione, deve essere rigettata”. Nel testosi poteva leggere, tra l’altro: “Gli ebrei deside-rano adesso spingere la Chiesa a condannarsitacitamente ed a smentirsi davanti al mondointero. È evidente che solo un antipapa o unconciliabolo potrebbero approvare una dichia-razione di questo genere” (64).

Giovanni XXIII non la promulgò uffi-cialmente, ma la approvò, come abbiamo di-mostrato, totalmente. Il che pone, per lomeno, un problema meritevole di ulterioriapprofondimenti.

San Giovanni XXIII e San Jules Isaac

Se le cose stanno così, capiamo l’entusia-smo di uno come Paul Giniewski. Ad unanuova dottrina corrisponde una nuovaChiesa, coi suoi nuovi Santi. Il Concilio fusolo l’inizio; come dice Giovanni Paolo II essoè come l’Avvento rispetto agli avvenimentidel Terzo Millennio. Per questo ormai prossi-mo futuro, ecco cosa propone Giniewski:“Una Chiesa che abolisca la santità diGiovanni Crisostomo, dalla lingua di vipera;di San Luigi, che preconizzava il dialogo congli ebrei passandoli a fil di spada; rimpiazzan-do i santi fanatici, persecutori e omicidi, condei nuovi santi: san Jules Isaac e san GiovanniXXIII. (...) Nulla vieta di sperare la sua venu-ta, di sognare un nuovo Giovanni XXIII cheprenderebbe un nome-sfida, nome-program-ma, nome-emblema: quello di GiovanniXXIV. Egli convocherebbe il Vaticano III echiederebbe allo Stato di Israele, per alber-garlo, l’ospitalità della sua capitale unificataed eterna. I cristiani amici degli Ebrei si riuni-rebbero nel Concilio di Gerusalemme.

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Giovanni XXIV vi proclamerebbe l’enciclicaPro Judæis affermando chiaramente il legamedel popolo ebraico con la sua terra ritrovata(...). In questo Nuovo vangelo ebraico il fari-seo Jeshua [Gesù] insorgerebbe contro la po-tenza romana e morirebbe per la liberazionedel suo paese, Israele, e del suo popolo, gliEbrei. L’ingiusta crocifissione degli Ebrei, iloro duemila anni di passione, vi sarebberodeplorati. Sarebbe ammesso e sconfessato ciòche è stato perpetrato a Santa Gudula diBruxelles, a Rinn, a Oberammergau, aPulkau, a Segovia, ciò che è stato predicatonei catechismi e nei libri di storia. (...) Tuttosarebbe messo in pratica per riabilitare gliebrei calunniati e vilipesi. Si direbbe chiara-mente chi sono i successori dei crocifissori ro-mani e di Pilato. I Giudei, dall’epoca romana,sono il più antico popolo colonizzato. ConGiovanni XXIV, con il Concilio diGerusalemme, sarebbero venuti i tempi delladecolonizzazione. (...) È utopico, sacrilego,volere questa nuova èra? È necessario per gliEbrei crocifissi come per i discendenti deiloro crocifissori. Sperarlo è una gioia.Aspettare, una grazia. È giusto, appropriato,attuale credere ad una simile trasformazionedei rapporti tra Israele e la cristianità. Forse

Vaticano II: liquidazione« I Padri conciliari hanno assolto gli ebrei dall’accu-sa di deicidio; quindi in omaggio al nuovo principiodella libertà religiosa, questo non serve più».

Una vignetta di Guareschi del settembre 1968.

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Giovanni XXIV scandalizzerebbe, ma solo leanime abitudinarie. Quando sarà compiuta lasua opera, ci si stupirà che ci siano voluti tantisecoli per passare dalla Passione secondoGiovanni alla Passione secondo san JulesIsaac e san Giovanni XXIII” (65).

Note

1) Cf Documentation Catholique, 1960, colonne 382,1419-1420. Vedi anche: Osservatore Romano, 19 /10/1960.

2) In Sodalitium, n. 26, pag. 8. Un piccolo dettaglio:nel suo discorso, Giovanni XXIII si vantò di aver salva-to, durante la guerra, migliaia di bambini ebrei cheviaggiavano su di un piroscafo romeno. In realtà, la suamemoria gli giocò, ancora una volta, un brutto scherzo:i rifugiati ebrei (di ogni età) erano 769, e la nave su cuiviaggiavano non finì in un “porto sicuro”, ma saltò su diuna mina (ibidem, pag. 5).

3) GIANCARLO ZIZOLA. Giovanni XXIII. Laterza,Roma-Bari, 1988, pag. 221.

4) Si tratta, evidentemente, del discorso di GiovanniPaolo II nella Sinagoga di Roma (1986), citato da P.Rosario Esposito in Le grandi concordanze tra Chiesa eMassoneria, ed. Nardini, Firenze, 1987, pag. 397. Cfanche l’intervista del Rabbino Toaff a FrancescoViviano de La Repubblica (4 novembre 1994, pag. 14):“attualmente c’è un’intesa che non c’è mai stata prima e(...) il merito va a Giovanni XXIII, il quale è stato ilprimo papa che ha benedetto gli ebrei che uscivanodalla sinagoga. Io ricorderò quella scena fin che vivo,dice Toaff... Tra i ricordi più belli del Rabbino Toaff inItalia, lo storico ingresso nel 1986 di Giovanni Paolo IInella sinagoga. Fino a quando non siamo entrati dentronon ci credevo - dice Toaff - mi pareva un sogno, poiquando ho visto il papa che entrava al mio fianco, misono rilassato...”. Secondo Mons. Loris Capovilla(Giovanni XXIII nel ricordo del segretario Loris F.Capovilla. Intervista di MARCO RONCALLI con docu-menti inediti. Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1994,pagg. 34-35) Giovanni XXIII “si alzò in piedi sull’auto-mobile, si tolse il cappello in segno di rispetto e solida-rietà”. Non precisa se, si o no, fece il gesto della benedi-zione attestato da tutti gli altri commentatori.

5) PAUL GINIEWSKI, La croix des Juifs, Ed. MJRGenève, 1994.

6) Hæretici (...) rite baptizandi sunt; sed prius erro-rum suorum pravitatem agnoscant et detestentur...

7) ...Sacerdos dicat: (...) Horresce Judaicam perfi-diam, respue Hebraicam superstitionem.

8) DON CURZIO NITOGLIA, L’omicidio rituale, inSodalitium, n. 29, pagg. 35-51.

9) P. GINIEWSKI, op. cit., pag. 270.10) P. GINIEWSKI, op. cit., pag. 330. Non mancano anche

in Italia, ad Alatri, a Trani ecc., dei casi come quelli diDeggendorf. Prima o poi non sfuggiranno agli epuratori...

11) STJEPAN SCHMIDT S.J., Agostino Bea, il cardina-le dell’unità. Città Nuova, Roma, 1987, pag. 568.“L’elenco è stato preparato sulla base delle agende delCardinale e del suo segretario particolare” (ibidem),ovvero lo stesso Padre Schmidt.

12) STJEPAN SCHMIDT S.J. , op. cit., pag. 355.13) NAHUM GOLDMAN. Staatmann ohne Staat.

Autobiographie. Köln-Berlin, 1970, pagg. 378 ss. Citatoda S. SCHMIDT, op. cit., pag. 356. Per ulteriori notizie suGoldman (o Goldmann, secondo altri), cf ENCY-

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CLOPEDIA JUDAICA, Vol. 7, colonne 723-724, vol. 17, col.266. Nacque nel nel 1895 in Lituania; divenne successi-vamente tedesco, honduregno, statunitense, israelianoe svizzero. Fondò l’Encyclopedia Judaica ed ilCongresso Mondiale Ebraico. Morì nel 1982.

14) Cf SODALITIUM n. 38, pag. 6. Lo stessoGoldman, ricordiamolo, aveva inviato un telegrammaal preposito generale dei Gesuiti, in occasione dell’ele-vazione di Bea al cardinalato (cf SODALITIUM, n. 38,pag. 5) ed il rabbino capo di Roma Toaff testimonia cheda tempo conosceva Bea: “Quando mi trasferii a Romada Venezia [ nel 1951 ] cominciai a frequentare per imiei studi la biblioteca dell’Istituto biblico pontificio(sic) diretta da monsignor Agostino Bea, persona disquisita gentilezza, che mi colmò di cortesie. La nostraconoscenza si trasformò ben presto in amicizia...” (inELIO TOAFF, Perfidi giudei. Fratelli maggiori.Mondadori ed., Milano, 1987, pagg. 215). Toaff prose-gue asserendo che Bea, per riparare il male fatto dai te-deschi agli ebrei, ebbe “l’idea di convocare un Concilioecumenico”. Veramente, stupisce tanta ignoranza dellaChiesa in una persona colta come Toaff (solo il Papapuò convocare un Concilio!).

15) Cf LA DOCUMENTATION CATHOLIQUE, 1961, co-lonne 1187-1188.

16) Cf LA DOCUMENTATION CATHOLIQUE, 1962, co-lonne 150-152.

17) Gli anonimi estensori del dossier “riservato esclu-sivamente ai Reverendissimi Padri Conciliari”, intitolatoL’azione giudaico-massonica nel Concilio (sine loco etdata), sottolineano questa attitudine dei rabbini. Il cardinalBea, scrive il dossier, pretende che il suo schema conciliarenon ha finalità politiche ma religiose. Eppure, “risulta assaistrano che il Segretariato per l’unione dei Cristiani nonabbia preso contatto con le autorità religiose del popoloebraico, quali potevano essere i Gran Rabbini di NuovaYork, Londra o Roma, oppure quelli di Gerusalemme oTel Aviv che sono i soli con personalità giuridico-religiosa,per stabilire contatti di tal genere ad alto livello. È successoil contrario: il cardinal Bea stabilì fin dal principio relazionicon alti dirigenti politici massonici come sono Label A.Katz, Presidente mondiale dei B’nai B’rith, ordine masso-nico esclusivo per ebrei, con Nahum Goldman, Presidentedel Consiglio Nazionale Giudaico (sic) e con alti funzionaridel American Jewish Commitee” (pag. 16-17). Il testo con-tinua citando le dichiarazioni contrarie “all’avvicinamentospirituale tra ebrei e cattolici” del “Consiglio Permanentedei rabbini di Europa”, del “Consiglio rabbinicod’America”, dei rabbini statunitensi Feuer e Lelyveld, delGran Rabbino di Gerusalemme ecc. Non bisogna tuttaviacredere ad una opposizione troppo marcata tra rabbini edorganizzazioni ebraiche come il B’nai B’rith; solamente, icompiti erano diversi: mantenere pura la tradizione religio-sa ebraica opponendosi al “dialogo”, per i rabbini, mutarequella cattolica mediante il “dialogo”, per i B’nai B’rith...

18) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 374.19) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 374, nota 68. Il testo del

Memorandum è riprodotto nel “Simposio card. AgostinoBea (16-19 dicembre 1981)”, Roma 1983, pagg. 96s., conuno studio-inchiesta della Lega Anti-Diffamazione diBenai Berîth. Purtroppo non ho ancora potuto consulta-re gli atti di questo interessante Simposio, e prenderecosì diretta conoscenza del Memorandum. Su Label Katz(1918-1975), cf ENCYCLOPEDIA JUDAICA, Vol. 10, col.825-826 e vol. 17 col. 644.

20) Op. cit., pag. 10.21) LE MONDE, 19 novembre 1963; cit. in AA.VV.,

L’azione giudaico-massonica nel Concilio, op. cit., pag. 11.

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22) Cit. dalla DOCUMENTATION CATHOLIQUE, anno1962, col. 1130. La presenza di Katz è attestata daL’azione giudaico-massonica..., pag. 10, che si basa suLA CIVILTÀ CATTOLICA del 18 luglio 1964.

23) Cf DOCUMENTATION CATHOLIQUE, anno 1962,colonne 1130-1131.

24) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 377.25) Testo italiano completo (che non ho consulta-

to) nella CIVILTÀ CATTOLICA del 16 giugno 1962.Traduzione francese parziale nella DOCUMENTATION

CATHOLIQUE, anno 1962, colonne 1131-1132. Testo ita-liano parziale e modificato (senza avvertire il lettore)in: ZIZOLA, op. cit., pag. 221.

26) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 400.27) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 401.28) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 566.29) Agenzia Kipa, 5 agosto 1962. Cit. dalla

DOCUMENTATION CATHOLIQUE, anno 1962, col. 1130.30) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 400, nota 178, con rife-

rimento al libro di ROBERT KAISER, Inside the Council.The story of Vatican II. London 1963, pag. 215.

31) S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 564-565. Non è vero,pertanto, che il Concilio trattò solo di “pastorale”, enon questioni dogmatiche che toccano il dato rivelato!

32) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 566.33) G. ZIZOLA, op. cit., pagg. 222-223.34) Cf. EMILIO CAVATERRA. Il prefetto del

Sant’Offizio. Mursia, Milano, 1990, pagg. 109-110 e 143,ove paragona gli israeliani all’eroe biblico GiudaMaccabeo! Anche Ottaviani, secondo de Poncins (Il pro-blema dei giudei in Concilio. Sine loco et data, pag. 9) siincontrò con Jules Isaac prima della udienza a GiovanniXXIII, anche se questo incontro non ebbe alcun seguito.

35) S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 566-567. L’articolodel cardinal Bea è stato integralmente pubblicato da LA

CIVILTÀ CATTOLICA nel n. 3161 del 6 marzo 1981.MONS. PIER CARLO LANDUCCI, membro della PontificiaAccademia Romana di Teologia, refutò l’articolo diBea con uno scritto intitolato La vera carità verso il po-polo ebreo e pubblicato dalla rivista genovese di teolo-gia fondata dal cardinal Siri, RENOVATIO n. 3 [1982]pagg. 369-363. Il saggio di Landucci è stato pubblicatoanche dalla rivista francese LA PENSÉE CATHOLIQUE n.207 [1983] . Il pensiero del Cardinale Bea sulle relazioni“Chiesa-popolo ebraico” è ampiamente esposto da S.SCHMIDT, op. cit., pagg. 589-613.

36) La DOCUMENTATION CATHOLIQUE (1962, col.1132) riporta il riassunto che dell’intervista del 10 agosto1962 fece, il 16 agosto successivo, l’agenzia stampa K.N.A.

37) L’intervento di Mendez Arceo ebbe luogo il 6dicembre, due giorni prima della chiusura della sessio-ne (cf P. RALPH WILTGEN S.V.D. Le Rhin se jette dans leTibre. Ed. fr. du Cèdre, Paris, 1976, pag. 164). Secondoil citato L’azione giudaico-massonica nel Concilio (pag.2), anche il Vescovo di Cuernavaca era di origine ebrai-ca, “discendente dei sefarditi che tentarono di giudaiz-zare la popolazione di Cotija nel Messico” (pag. 9). Sulfenomeno dei Marrani cf DON CURZIO NITOGLIA in“Sodalitium” n. 39, pag.4 e seg.

38) Cf S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 611-612.39) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 567.40) S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 452-454. Il Segreta-

riato per l’unione dei cristiani appariva come “un orga-no preconciliare, e non un organo eletto dal Concilio.Da qui il quesito: che cosa succederà degli schemi pre-parati dal Segretariato? (...) È significativo che, nono-stante la convulsa attività di quel momento, fin dal 19ottobre il Papa facesse comunicare per mezzo del

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Segretario di Stato la risposta affermativa: quanto allacompetenza per gli schemi, il Segretariato veniva parifi-cato con le Commissioni conciliari”.

41) Naturalmente Zizola vuol suscitare nel lettore in-dignazione verso le calunnie deliranti del libro in questio-ne. Tuttavia, abbiamo visto che gli interventi della loggiamassonica ebraica B’nai B’rith sul Concilio non sono unaleggenda, ma una realtà, a quei tempi sconosciuta ai più,ma oggi pacificamente ammessa dal B’nai B’rith stesso.

42) G. ZIZOLA, op. cit., pagg. 225. Cf anche S.SCHMIDT, op. cit., pag. 612. Il libro di Maurice Pinay fustampato a Roma dalla Tipografia Dario Detti con prefa-zione datata 31 agosto 1962. Nella prefazione stessa si diceche la preparazione del libro è durata 14 mesi. Di questolibro sono state fatte numerose traduzioni in tedesco, spa-gnolo, portoghese ecc. La traduzione spagnola (anche seprobabilmente la lingua originale dello scritto è proprio lospagnolo) fu pubblicata coll’Imprimatur di Mons. Juan deNavarrete, Arcivescovo di Hermosillo (Messico), datato18 aprile 1968. Sul libro di Maurice Pinay, vedi anche: DON

CURZIO NITOGLIA, Il complotto giudaico-massonico con-tro la Chiesa Romana, in SODALITIUM, n. 37, pagg. 33-45.

43) G. ZIZOLA, op. cit., pag. 226.44) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 568.45) L’azione giudaico-massonica nel Concilio. op.

cit., pag. 10.46) E. RATIER, Mystères et secrets du B’naï B’rith

Facta Paris 1993; L’Azione giudaico-massonica nelConcilio, op. cit., pag. 4: “Fu appunto l’attuale suoPresidente [dei B’nai B’rith] Label Katz che si mise incontatto con il Cardinale Bea, che poi lo introdusse allapresenza di S.S. Giovanni XXIII”.

47) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 569.48) Per tutto il viaggio di Bea negli Stati Uniti, cfr.

S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 464-470 e nota 60 pag. 464. 49) Per il lettore curioso anticipiamo: Morlion, pro-

babile spia della C.I.A., fu cacciato da Roma dalCardinal Pizzardo nel 1960. La sua notorietà è dovutaal ruolo che svolse per favorire l’intervento di GiovanniXXIII nello scontro che oppose U.S.A e U.R.S.S. a ri-guardo della crisi di Cuba, e che costituì una tappa im-portante dell’apertura a sinistra di Roncalli; cf PETER

HEBBLETHWAITE, Giovanni XXIII, il Papa del Concilio,Rusconi, Milano, 1989, pagg. 628, 665-666.

49 bis) ELIO TOAFF, op. cit., pag. 215.50) Cf HEBBLETHWAITE, op. cit., pagg. 665-666;

SCHMIDT, op. cit., pag. 468; ZIZOLA, op. cit., pag. 223.Tornerò in seguito sulla questione della libertà religiosa.

51) In quell’occasione, Bea aggiunse: “Lo feci tantopiù che in quel tempo non esistevano ancora i dueSegretariati istituiti più tardi dal Sommo Pontefice[Paolo VI] per i contatti con le religioni non cristiane econ i non credenti”; cf.SCHMIDT, op. cit., pag. 468.

52) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 469.53) Alcune precisioni per i lettori americani. Bea fu

accolto e sostenuto soprattutto dall’arcivescovo di Boston,il cardinale Richard Cushing, poi da quello di Baltimora(che era membro del Segretariato) Mons. Shehan ed infineda quello di Washington, O’Boyle. Ad Harvard, Bea in-contrò congregazionalisti e metodisti (27-29 marzo) ed aNew York, nel Lutheran Center, i rappresentanti delConsiglio Ecumenico delle Chiese (31 marzo).

54) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 569.55) S. Schmidt, op. cit., pag. 466.56) Abraham Joshua Heschel (1907-1972), ebreo

polacco hassidim. Teologo e scrittore, emigrato negliStati Uniti, ove insegnò al Jewish Theological Seminary.Su Heschel cf HANS KÜNG, Ebraismo, Rizzoli, Milano,

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1993, pagg. 451-459; ENCYCLOPEDIA JUDAICA vol. 8, coll.426-427; ROY ROSENBERG, L’Ebraismo, Storia, pratica,fede. Oscar Mondadori, Milano, 1995, pagg. 138-141.

57) S. SCHMIDT, op. cit., pagg. 839 e 841.58) S. SCHMIDT, op. cit., pag. 612, nota 179.59) ROY A. ROSENBERG. L’ebraismo. Storia, prati-

ca, fede. Oscar Mondadori, Milano 1995, pag. 139 (ed.in inglese: Judaism. History, Practice and Faith. 1990).Rabbi Rosenberg non deve essere confuso con l’ideolo-go del nazismo Alfred Rosenberg, condannato a mortea Norimberga (1946), autore del libro violentementeanticristiano Il mito del XX secolo, e neppure coi coniu-gi ebrei Rosenberg, condannati a morte negli U.S.A.(1953) come spie sovietiche.

60) Cf Itinéraires, Autunno 1990, n. III, pagg. 1-20.Tutta l’analisi di Madiran merita di essere letta.

61) Ecumenista, esponente della NouvelleThéologie, fu colpito dalle misure disciplinari seguiteall’enciclica di Pio XII, Humani generis. GiovanniXXIII, invece, lo nominò “esperto” al Vaticano II.Giovanni Paolo II lo ha definito suo maestro in Varcarela soglia della speranza, e lo ha nominato “Cardinale”nel 1994. È morto il 22 giugno 1995.

62) Quindi l’episodio si situa probabilmente primadell’11 ottobre 1962, data di inizio del Concilio, o co-munque poco dopo, quando ancora lo schema sugliebrei era in alto mare... per tutti, tranne che per Bea eGiovanni XXIII!

63) La prima versione del § 4 di Nostra ætate, inclu-sa nel decreto sull’ecumenismo, e presentata nella se-conda sessione del Concilio (19 novembre 1963), la se-conda versione, inclusa al n. 32 della dichiarazione sullereligioni non cristiane, presentata all’inizio della III ses-sione (28-29 settembre 1964), la terza versione, approva-ta come n. 4 de Judæis della Nostra ætate il 20 novembre1964, sono presentate assieme alla versione definitiva,votata il 28 ottobre 1965, nel libro di MARIE-THÉRESE

HOCH e BERNARD DUPUY, Les Églises devant leJudaïsme. Documents officiels 1918-1978, Cerf ed., Paris,1980, pagg. 321-334. Malgrado le attenuazioni ed i cam-biamenti (tra i quali la scomparsa della parola “deicidio”dal testo conciliare) il cardinal Bea ha potuto dire, a ra-gione, che il suo testo è stato, “quanto alla sostanza, fe-delmente conservato” (cf S. Schmidt, op. cit., pag. 585).

64) Testo citato da HENRI FESQUET in: Le journaldu Concile, Robert Morel ed., Forcalquier, 1966, pag.988, che riprende un suo articolo apparso su Le Mondeil 16 ottobre 1965. In questo articolo, Fesquet affermache tra i firmatari c’erano le riviste Itinéraires,Nouvelles de chrétienté, e Verbe della Cité Catholique. Iresponsabili di queste riviste smentirono con sdegno (cfItinéraires, n. 98, dicembre 1965, pagg. 1-32; n. 99, gen-naio 1966, pagg. 4-14) dichiarando che il testo era un“falso” ed una “provocazione” di origine progresssista.Già nel n. 95 di luglio-agosto 1965, pagg. 2-41, Madiranaveva denunciato le dichiarazioni dei progressisti cheannunciavano per dicembre il futuro scisma degli inte-gristi che non avrebbero accettato il Concilio. Tuttavia,non penso che il testo succitato fosse un “falso” fabbri-cato dai progressisti; tutto lascia credere invece ad unaazione dei “tradizionalisti” messicani, all’origine anchedel libro di “Maurice Pinay”. Resta perciò il fatto chefin dal 1965 ci fu chi dichiarò la Sede vacante...

65) PAUL GINIEWSKI, op. cit., pagg. 385-386.Qualche lettore penserà che Giniewski delira. Si ricordile parole di Modigliani, pronunciate nel 1962: “In altritempi sarebbe stato folle chiedere alla Chiesa un talecomportamento. Oggi no. Giovanni XXIII ha dimostra-

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to una generosa sensibilità...”. Impossibile “togliere lasantità” a uomini canonizzati dalla Chiesa? Eppure ilculto di San Simonino, del Beato Andrea da Rinn, delBeato Lorenzino da Marostica, sono stati soppressi.Santa Caterina da Siena e gli altri santi, sono stati criti-cati; dei loro “peccati” si è chiesto scusa... Impossibilecanonizzare Jules Isaac? Eppure, Giovanni Paolo II hapreconizzato l’inserimento dei non cattolici nelMartirologio... Già è dottrina ufficiale della “Chiesa” edello Stato che i crocefissori sono stati solo i Romani. Ideicidi siamo noi, come ricorda il Nuovo catechismodella Chiesa Cattolica. Il Terzo Millennio ci riporta aGerusalemme, lo dice Giovanni Paolo II... No, purtrop-po Giniewski non delira.

L’INFALLIBILITÀ DELLA CHIESA

don Giuseppe Murro

Noi crediamo che Nostro Signore GesùCristo è il Messia atteso, venuto per inse-

gnare la buona novella ai poveri, guarire icontriti di cuore, annunciare la libertà ai pri-gionieri, rimettere in libertà gli oppressi (LcIV, 18): chi crede in Lui conoscerà la verità,che dà la vera libertà (Gv VIII, 31-32), ma chinon crede sarà condannato (1). Questa è inbreve la missione che Nostro Signore avevaricevuto dal Padre (2), e più volte esigerà lafede nel suo insegnamento (3). Per questo haaccettato l’appellativo di Maestro (4), anzi hasottolineato che Egli è l’unico vero Maestro(5) che non solo insegna la verità ma è laVerità (Gv XIV, 6). Gli altri insegnanti meri-tano il titolo di maestri nella misura in cui par-tecipano alla Sua verità: Nostro Signore inve-ce insegna come chi ha autorità (Mc I, 22).

La missione che Nostro Signore svolse, lacomunicò interamente ai suoi Apostoli. Eglistesso istituì il Collegio degli Apostoli: dopoaver trascorso una notte in preghiera scelse iDodici, e diede loro il nome di “Apostoli”(cioè inviati). Durante tutta la sua vita pubblicali istruì e li preparò alla missione che dovevanoricevere. Infine affidò loro la stessa missioneche Egli aveva svolto sulla terra: “Come tu mihai mandato nel mondo, anch’io li ho mandatinel mondo” (6). “Come il Padre ha inviato me,così io invio voi” (7). “Chi riceve voi, riceve me:e chi riceve me, riceve colui che mi ha inviato”.“Chi ascolta voi ascolta me: e chi disprezza voi,

Dottrina

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disprezza me. Chi disprezza me, disprezzacolui che mi ha mandato” (8). Gli Apostoli co-stituivano la stessa persona morale di NostroSignore, avevano incarico e potere uguale alSuo in pienezza ed estensione (9). Questa iden-tità di missione è una verità di fede divina per-ché contenuta nella S. Scrittura, ed è dottrinacattolica, insegnata dal Concilio Vaticano (DS3050) (10), da Leone XIII in “Satis Cognitum” eda Pio XII nella “Mystici Corporis” (11).

In questa maniera Nostro Signore diedeagli Apostoli e ai loro successori l’incarico dicontinuare la sua missione di Maestro infallibi-le, cioè il potere di insegnare infallibilmente:“Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altroParaclito perché rimanga in eterno con voi,Spirito cioè di verità…”; “Quando sarà venutolo Spirito di verità, egli v’insegnerà tutta la ve-rità” (12). Questo magistero infallibile, dureràsempre nella Chiesa: “Andate dunque, ammae-strate tutte le genti… insegnando loro ad osser-vare quanto vi ho comandato. Ed ecco io sonocon voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”(13). E come abbiamo visto prima (8), esigel’obbedienza assoluta a questo Magistero.

Una promessa particolare Egli diede a S.Pietro: Mt XVI, 19: “Tu sei Pietro e su questapietra edificherò la mia Chiesa, e le portedell’inferno non prevarranno contro di essa.Io ti darò le chiavi del regno dei cieli, e tuttociò che tu legherai sulla terra sarà legato neicieli, e tutto ciò che tu scioglierai sulla terrasarà sciolto nei cieli”. Da questa promessa siconclude che N. Signore diede a S. Pietro eai suoi successori la stessa missione e privile-gi che ha dato alla Chiesa (DS 3058, 3074).

Gli Apostoli appariranno consapevoli dellaloro infallibilità (14) e trasmetteranno i loro po-teri ai successori (15). I Padri più vicini agliApostoli ripetono lo stesso insegnamento. S.Ignazio d’Antiochia († 107) afferma che i ve-scovi sono la dottrina stessa del Cristo, comequesti è del Padre e ad essa devono unirsi i fe-deli. Per S. Ireneo la dottrina apostolica, perve-nuta mediante la successione dei vescovi, è ilcriterio per discernere la verità dall’eresia (16).

Nozioni

Quando noi cerchiamo di conoscere unaverità, occorre innanzitutto rivolgersi alMagistero della Chiesa, che è la regola dellaFede. Se la dottrina esposta dal Magisteronon è chiara, bisogna rivolgersi ad altri docu-menti ove il Magistero si è espresso su talequestione. Se si vuol avere una maggior chia-

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rezza, bisognerà anche cercare i testi chehanno preparato la dichiarazione delMagistero: per questo riportiamo alcunespiegazioni dei Padri del Concilio delVaticano. Infine bisognerà rivolgersi ai teo-logi, e là dove non sono d’accordo, occorreràseguire innanzitutto ciò in cui sono unanimio la tesi è considerata più probabile.

Il Magistero è un’istituzione per istruiredelle persone: nella scuola, nelle Università,nei corsi di formazione, nei seminari, lì dovec’è qualcuno che insegna e degli ascoltatoriche vengono istruiti, là vi è un magistero. IlMaestro per eccellenza è Nostro Signore chepossiede la verità, e l’insegna con autorità.

Il Magistero autentico (dal greco“αυτεντια ”, autorità) è il compito che ha lalegittima autorità di trasmettere la dottrina, alquale corrisponde nel discepolo l’obbligo e ildiritto di ricevere l’istruzione. Si suddivide in:

- senso lato: non ha da sé la forza di esige-re dal discepolo l’assenso dell’intelligenza (unprofessore che insegna una teoria personale);

- senso stretto: è tale che ha forza di im-porre la dottrina, così che i discepoli sonotenuti a prestare l’assenso dell’intelligenza acausa dell’autorità del maestro, che è rap-presentante di Dio. L’autorità del Magisterodella Chiesa è fondata sulla missione cheEssa ha ricevuto da Dio.

Il Magistero infallibile: ha il sommogrado di autorità. Si distingue:

- infallibilità di fatto: pura inerranza, sem-plice fatto di assenza di errore (chiunquedica qualsiasi verità, di fatto non sbaglia,anche se non è di fede e morale: 2+2=4);

- infallibilità di diritto: è l’impossibilità disbagliare di principio: l’infallibilità dellaChiesa proviene dall’assistenza dello SpiritoSanto, per cui non può sbagliare.

Papa Pio IX

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Il Magistero si suddivide in:a) Scritto: anche dopo la morte dell’auto-

re, è esercitato dai suoi scritti (ad esempio,Aristotele).

b) Vivo: è esercitato dagli uomini che vi-vono, e può essere:

- tradizionale: deve solo custodire, di-chiarare, spiegare, difendere il deposito;

- inventivo: aggiunge oggettivamentenuove verità.

Definizione

L’infallibilità è quella dote per cui laChiesa gode di un privilegio tale che, permezzo dell’assistenza dello Spirito Santo nonpuò errare in ciò che riguarda la fede e lamorale, sia nell’insegnare sia nel credere (17).

- Dote: la Chiesa è infallibile non ex na-tura sua, ma per partecipazione all’infallibi-lità di N. Signore, che è il Capo della Chiesa.

- Assistenza dello Spirito Santo: non èun’inabitazione speciale dello Spirito Santonell’anima, ma è un’operazione di Dio, attribui-ta per appropriazione allo Spirito Santo È unaiuto speciale ed efficace di Dio, il quale reggela mente di chi insegna, così che costui nel pro-porre una dottrina è conservato sempre immu-ne da errore. Non esclude la ricerca umana, anzil’esige: l’assistenza suppone la cooperazione.

- Fede e morale: l’oggetto dell’infallibi-lità sono i dogmi di fede e morale, e le veritàad essi connesse.

- Sia nell’insegnare sia nel credere: si di-stingue una duplice infallibilità, attiva e passi-va. L’attiva (in docendo) riguarda la Chiesadocente, il corpo dei pastori che non può erra-re nel trasmettere una dottrina di fede o mo-rale. La passiva (in credendo) riguarda l’insie-me dei fedeli (Ecclesia discens), nella misurain cui il loro consenso unanime non può erra-re in ciò che riguarda la fede o la morale.

- Non può errare: l’infallibilità non solo si-gnifica immunità d’errore de facto, chiamatapiuttosto inerranza, ma comporta in più l’im-possibilità di sbagliare. Groot: “La Chiesa nonsolo non sbaglia, che è un fatto, ma anche nonpuò sbagliare, cosa che le spetta di diritto” (18).

Billot: “L’infallibilità è necessaria perl’atto di fede e per la salvezza: la S. Scritturainfatti è insufficiente come criterio”.

Infallibilità positiva e negativa

Nell’infallibilità possiamo distingueredue aspetti: uno che possiamo chiamare po-

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sitivo, quando il Magistero afferma positiva-mente una verità che fino ad allora era solooggetto di opinione (es. Leone XIII stabilìche le ordinazioni anglicane sono invalide)oppure quando dà una definizione solennedi una verità (che non era ancora o era giàdi fede). Queste decisioni sono irreformabi-li. L’aspetto che chiamiamo negativo consi-ste semplicemente nella non-esistenza di er-rore o di nocività, rispetto alla Fede e allamorale, in tutto ciò che la Chiesa insegnacome rivelato o connesso con la rivelazione:es., se il Papa Pio XI promulga la Messa eOfficio del S. Cuore, tutti sono sicuri che ce-lebrando quella Messa e recitando quel-l’Officio non incorreranno in nessun errorecontrario alla fede o alla morale, o in qual-cosa di nocivo per la salvezza eterna. Questedecisioni non sono irreformabili, per cui lostesso Pontefice o un altro, nel caso suddet-to, potrà cambiare o annullare la Messa e/ol’Officio: anche questa mutazione sarà infal-libile negativamente, nel senso che non avrànessun errore contro la Fede o la morale onon nuocerà per la salvezza eterna.

Il Card. Franzelin ne parla a propositodell’infallibilità del Magistero della Chiesaquando dà la nota dogmatica di una propo-sizione come “sicura” o “non sicura”.

“La Santa Sede Apostolica a cui è statoaffidato da Dio la custodia del deposito, edingiunto l’incarico e il dovere (munus et offi-cium) di pascere tutta la Chiesa per la salvez-za delle anime, può prescrivere affinchésiano seguite, o proscrivere affinché nonsiano seguite, le sentenze teologiche, o con-nesse con le cose teologiche, non unicamentecon l’intenzione di decidere infallibilmentecon sentenza definitiva la verità… In tali di-chiarazioni… vi è tuttavia una infallibile si-curezza, nella misura che è sicuro che può es-sere abbracciata da tutti né si può rifiutare diabbracciarla senza violazione della dovutasottomissione verso il magistero costituito daDio. Pertanto l’autorità del magistero costi-tuita da Cristo nella Chiesa, quanto a ciò chetrattiamo ora, può essere considerata sottodue aspetti. Primo, in tanto che per i singoliatti è sotto l’assistenza dello Spirito Santoper la definizione della verità, o in tanto cheè autorità di infallibilità. Secondo o extensive,in tanto che il magistero stesso agisce conl’autorità di pascere le cose affidategli daDio, non tuttavia con tutta la sua intensità secosì si può dire, né per definire una volta pertutte una verità, ma per quanto è apparso

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necessario o opportuno e sufficiente per lasicurezza della dottrina; e questa autorità noipossiamo chiamarla autorità di provvidenzadottrinale. L’autorità infallibile non può esse-re comunicata dal Pontefice agli altri suoiministri che agiscono in suo nome. Ma l’au-torità inferiore di provvidenza dottrinale,come l’abbiamo chiamata, non indipendentema con dipendenza dallo stesso Pontefice ècomunicata con maggiore o minore estensio-ne ad alcune S. Congregazioni… Noi stimia-mo che tali giudizi, anche inferiori alla defi-nizione ex cathedra, possono essere così di-sposti che richiedano l’obbedienza che inclu-de l’ossequio dell’intelligenza: non affinchévenga creduta la dottrina infallibilmente verao falsa, ma affinché si giudichi che la dottrinacontenuta in tal giudizio è sicura, e noi dob-biamo abbracciarla, e rigettare la contraria,per il motivo della sacra autorità, il cui inca-rico è senza dubbio di riguardare alla sicu-rezza della dottrina, da abbracciare con l’os-sequio dell’intelligenza (19).

Così quando la Chiesa ha dichiarato chein morale si può seguire con sicurezza le opi-nioni di S. Alfonso, non vuol dire che tuttisono obbligati a seguire S. Alfonso, ma chenelle sue opere non si trova una dottrinacontraria a quella della Chiesa (20).

Tesi: Nostro Signore ha istituito sugliApostoli un Magistero autentico e infallibile,vivo e tradizionale, perché durasse in perpe-tuo (21)

Dai documenti che seguono, diciamo chequesta Tesi è stata almeno implicitamente de-finita con giudizio solenne al Conc. Vaticano.

Il Concilio Vaticano ha definito (10):1) Il Magistero è stato istituito da Dio

sugli Apostoli:“Dio istituì la Chiesa… affinché possa

essere conosciuta da tutti come custode emaestra della Rivelazione” DS 3012.

“La Chiesa… insieme all’incarico apo-stolico di insegnare ha ricevuto la missionedi custodire il deposito della fede” DS 3018.

2) Il Magistero è autentico o autoritatevole:- per interpretare le S. Scritture: DS 3007;- per proporre ai fedeli le verità da cre-

dersi di fede divina e cattolica: DS 3011;- per giudicare sulle verità scientifiche e

filosofiche che hanno connessione col depo-sito rivelato: DS 3017-8.

3) Il Magistero istituito da NS è perenne:DS 3050; 3071.

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4) È infallibile: DS 3020; 3074.5) È tradizionale: è stato istituito non per

insegnare cose nuove, ma affinché custodisca,difenda e dichiari il deposito ricevuto: DS 3070.

NB: Tra gli schemi preparatori del Conc.Vaticano (interrotto per la presa di Roma),erano stati preparati i seguenti canoni, che ilConcilio avrebbe dovuto definire:

I sch. can. 7: Se qualcuno dice che laChiesa di Cristo può essere offuscata da te-nebre o penetrata dai malvagi così che si al-lontani dalla verità salvifica della fede edella morale: anathema sit.

I sch. can. 9: Se qualcuno dice che l’infal-libilità della Chiesa deve restringersi soloalle cose che sono contenute nella Rive-lazione…: an. sit.

Leone XIII: Satis Cognitum: “… GesùCristo ha istituito nella Chiesa un magisterovivente, autentico e, per di più, perpetuo,che Egli ha investito della propria autorità,ha rivestito dello spirito di verità, ha confer-mato con i miracoli, ed ha voluto e ha seve-rissimamente ordinato che gli insegnamentidottrinali di questo magistero fossero rice-vuti come i suoi propri”.

Vedere inoltre: Leone XIII: SapientiæChristianæ: D 1936 c. Pio XII: Divini illiusMagistri: D 2204 (22); Mystici Corporis;Humani Generis.

Soggetto del Magistero

Il soggetto di questo Magistero infallibi-le, cioè la persona morale o fisica che pos-siede questa funzione di insegnare è:

- il Romano Pontefice, in quanto Suc-cessore formale di S. Pietro nel Primato sullaChiesa, o in quanto Vicario di Nostro Signore;

- Il Corpo dei Vescovi in sottomissione colSovrano Pontefice. I Vescovi possono essere ra-dunati in Concilio oppure dispersi nel mondo.

Nel primo caso si parla di MagisteroPontificio; nel secondo di Magistero universale.

L’infallibilità del S. Pontefice è una veritàdi fede divina definita. È contenuta nellaRivelazione (23), è stata sempre insegnata,creduta, praticata dalla Chiesa (24). Il S.Pontefice gode della stessa infallibilità che hala Chiesa (DS 3074). Quando il S. Ponteficeparla non in tanto che Papa, ma come dotto-re privato non gode dell’infallibilità (25).

L’infallibilità dei Vescovi, è una verità difede implicitamente definita al Conc. Vaticano(DS 3011), e si basa sui documenti della S.Scrittura visti all’inizio di questo articolo.

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Non ci fermiamo ulteriormente su questopunto, che non sembra essere oggetto di di-scussione nell’ambito cattolico.

Oggetto del Magistero

È chiamato oggetto del Magistero l’insie-me delle proposizioni sulle quali esso puòportare un giudizio, positivo o negativo, aseconda che tali proposizioni siano vere ofalse. Si tratta delle verità legate con laRivelazione (dato che il Magistero infallibileè stato dato affinché custodisca, difenda edichiari il deposito della Rivelazione), e chevengono indicate normalmente con la frase“dottrine riguardanti la fede e la morale”.

Tutti i teologi dividono in due classi que-ste verità di fede e morale: primario o diret-to, secondario o indiretto.

S. Tommaso (26): “Per due motivi una pro-posizione può essere di fede: in primo luogo eprincipalmente, come gli articoli di fede, o in-direttamente e secondariamente, come le pro-posizioni la cui negazione comporta la corru-zione di qualche articolo di fede”.

Oggetto primario del Magistero

La prima classe è costituita dalle proposi-zioni che sono contenute formalmente nellaRivelazione, esplicitamente o implicitamen-te: es.: “Gesù è Dio”. Sono chiamate veritàrivelate per sé, e costituiscono l’oggetto pri-mario o diretto del Magistero. Vediamo l’in-segnamento della Chiesa a questo proposito.

Concilio Vaticano:“Devono essere credute di fede divina e

cattolica tutte quelle cose che sono contenu-te nella parola di Dio scritta o tramandata eche sono proposte a credere dalla Chiesacome rivelate da Dio sia con un giudizio so-lenne, sia con il magistero ordinario e uni-versale” DS 3011.

“La dottrina della fede, che Dio ha rive-lato… trasmessa alla Sposa di Cristo comedeposito divino, deve essere custodita fedel-mente e dichiarata infallibilmente”, DS 3020.

«Lo Spirito Santo non è stato promessoai successori di Pietro affinché rivelasserouna nuova dottrina, ma affinché con la suaassistenza custodissero santamente e espo-nessero fedelmente la rivelazione trasmessaper mezzo degli Apostoli cioè il depositodella fede. Tutti i venerabili Padri hanno ab-bracciato e i santi Dottori cattolici hanno ve-nerato ed hanno seguito la dottrina apostoli-

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ca; sapendo benissimo che questa Sede diSan Pietro rimase sempre pura da ogni erro-re, secondo la promessa di Nostro Signorefatta al principe dei suoi Apostoli: “Io hopregato per te, affinché la tua fede non vengameno: e tu quando sarai convertito confermai tuoi fratelli” Lc XXII, 32» DS 3070.

Leone XIII, Sapientiæ Christianæ (27): “Lecose che sono contenute nella rivelazione divi-na, in parte riguardano Dio, in parte riguarda-no l’uomo e le cose necessarie alla salvezzaeterna dell’uomo. Per entrambe, dalla Chiesaè ordinato con diritto divino, e nella Chiesadal Sovrano Pontefice, che cosa bisogna crede-re e che cosa bisogna fare. Per questo motivoil Pontefice deve poter giudicare cosa conten-gono le parole divine [la Rivelazione], qualidottrine concordano e quali discrepano conesse: per lo stesso motivo deve poter mostrarequali cose sono oneste e quali turpi, che cosa ènecessario fare e che cosa è necessario fuggire,per ottenere la salvezza eterna: altrimenti nonpotrebbe essere per l’uomo un sicuro inter-prete delle parole di Dio, né una guida sicuraper vivere”. Con le parole credere e fare, è evi-dente che si tratta della fede e della morale.

Pio XII, Humani generis (28): “Il SacroMagistero, nelle cose di fede e di morale,deve essere la norma prossima e universaledi verità per ogni teologo, al quale CristoSignore affidò tutto il deposito della fede -cioè le Sacre Scritture e la divina Tradizione- per custodirlo, difenderlo e interpretarlo…Dio infatti, insieme alle fonti della rivelazio-ne divina, diede il Magistero vivo della suaChiesa, per illustrare e spiegare quelle coseche sono contenute oscuramente o implici-tamente nel deposito della Fede. Tale depo-sito, il divino Redentore non l’affidò per es-sere interpretato autenticamente né dai sin-goli fedeli né dagli stessi teologi, ma dal soloMagistero della Chiesa… Perciò ilMagistero è stato istituito da Cristo Signore,affinché custodisca e interpreti le verità ri-velate da Dio”.

Il valore dogmatico di queste proposizio-ni a partire dai testi citati è il seguente: è unaverità di fede definita che l’oggetto dell’infal-libilità è costituito dalle verità rivelate per sé(Conc. Vaticano, DS 3011, 3020, 3069-70).

La tesi secondo la quale la dottrina sullafede e la morale costituisce l’oggetto diretto eprimario dell’infallibilità, è contenuta implicita-mente nella definizione della infallibilità ponti-ficia, quando si dice che il suo oggetto è “ladottrina sulla fede o la morale” DS 3074 (29).

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L’oggetto secondario

La seconda classe è costituita dalle proposi-zioni che sono connesse (collegate) in manieranecessaria con la Rivelazione, che servonocioè necessariamente alla ricezione, conserva-zione, comunicazione del deposito rivelato.Infatti vi sono molte verità che “benché nonsiano rivelate in sé stesse, sono tuttavia richie-ste per conservare integro il deposito dellaRivelazione, per spiegarlo convenientemente edefinirlo efficacemente” (30). “Tutti i teologicattolici, aggiunge Mons. Gasser, sono d’accor-do nel riconoscere che queste verità che nonsono rivelate per sé, ma che spettano alla cu-stodia del deposito della fede, sono infallibili”.

È chiamato oggetto secondario, perchéderiva dal primario; è detto oggetto indiret-to dell’infallibilità, perché l’infallibilità nonlo raggiunge in sé stesso, ma a causa dell’og-getto primario.

Include le proposizioni dedotte formalmen-te da quelle rivelate, con una legittima conse-guenza, e le verità necessarie per custodire inte-gro il deposito della Rivelazione (il quale senzadi esse si corromperebbe), per spiegarlo e defi-nirlo meglio (31). Si suole dividerle in più gruppi:

1) Le verità speculative: se vengono ne-gate, si nega una verità di Fede.

- præsuppositivæ: i preambula fidei (32),sono i primi principi della ragione: ad es. senego l’immortalità dell’anima oppure la pos-sibilità della conoscenza intellettuale, nego laRivelazione.

- consecutivæ: è una conclusione metafisica-mente necessaria, dedotta da una premessa ri-velata: Gesù poteva ridere (perché vero uomo).

2) I fatti dogmatici: sono quelli connessicon la Rivelazione:

- simpliciter: es.: legittimità del Conc. diTrento;

- dottrinali: il senso ortodosso di un libro(es.: l’Augustinus di Giansenio).

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3) I decreti disciplinari sono connessi con laRivelazione quanto al suo fine (la salvezza delleanime). Si tratta di leggi ecclesiastiche, non divi-ne; direttamente spettano al potere di governodella Chiesa, il cui proprio è di legiferare (con-dere leges). Indirettamente spettano alMagistero, nella misura in cui i principi dottri-nali presupposti al decreto o legge siano confor-mi al fine ultimo (salvezza delle anime), e in cuiil loro oggetto sia la fede o morale. Questi de-creti vengono suddivisi in giuridici e liturgici.

4) La Canonizzazione dei Santi.5) L’approvazione degli Ordini Religiosi.6) Le note teologicheIl valore dogmatico. L’infallibilità di que-

ste verità è almeno teologicamente certa eprossima alla definizione, secondo quanto ilConcilio Vaticano ha definito.

Conc. Vaticano: “La Chiesa, che con l’in-carico apostolico di insegnare ha ricevutol’ordine di custodire il deposito, ha anche daparte di Dio il diritto e l’incarico di proscri-vere la scienza di falso nome (I Tim. VI, 20),affinché nessuno sia ingannato dalla filosofiae da un vuoto inganno. Per questo motivotutti i fedeli Cristiani non solo hanno il divie-to di difendere come legittime conclusioniquelle opinioni che sanno essere contrariealla dottrina della fede, specialmente se sonostate condannate dalla Chiesa, ma piuttostodevono considerarle come errori, che si pre-sentano sotto l’aspetto di verità” DS 3018.

“Se qualcuno dice che le disciplineumane devono essere trattate con tale li-bertà che le loro asserzioni, anche se sonocontrarie alla dottrina rivelata, possono es-sere considerate come vere e la Chiesa nonha il diritto di proscriverle, an. sit” DS 3042.

Il Teologo del Concilio, P. Kleutgen, cosìsi esprimeva a proposito di questi due testi:“È stato definito nella prima Costituzionede Fide… che è un diritto ed un incaricodella Chiesa di giudicare sulle conclusionidella Filosofia e delle altre discipline” (33).

NB: Come già detto, tra gli schemi prepara-tori era stato preparato il seguente canone, cheil Concilio Vaticano avrebbe dovuto definire:

I schema, can. 9: “Se qualcuno dice chel’infallibilità della Chiesa deve restringersisolo a quelle verità che sono contenute nellarivelazione divina, e non deve anche esten-dersi ad altre verità che sono richieste ne-cessariamente per custodire integro il depo-sito della rivelazione: an. sit” (34).

Pio XII, Humani generis: “Appartiene alMagistero, per istituzione divina, non solo di

Cornelio Giansenio

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custodire ed interpretare il deposito dellaverità divinamente rivelata, ma anche di vi-gilare sulle discipline filosofiche, affinché idogmi cattolici non patiscano nessun detri-mento a causa di opinioni non rette”.

Infallibilità dell’oggetto secondario in particolare

Consideriamo ognuno di questi gruppiseparatamente, e in ciascuno di essi vediamoil motivo per cui la Chiesa è infallibile ecome la Chiesa ne ha rivendicato l’infallibi-lità sia teoricamente che praticamente.

1) Le verità speculative1°) Argomento di ragioneIl Magistero richiede di poter dichiarare

infallibilmente tutto ciò che è necessario acustodire il deposito della fede. Ora è neces-saria l’infallibilità sui preambula fidei e sulleconclusioni teologiche: infatti, se esse ven-gono negate o messe in dubbio, si possonoallora logicamente e necessariamente dubi-tare o negare le verità rivelate.

A proposito della definizione delle conclu-sioni teologiche, Marin-Sola spiega che «que-sto lavoro della Chiesa… è precisamente lacelebre explicatio fidei della teologia tradizio-nale. Che la Chiesa goda di un’assistenza e siainvestita di una missione divina non solo perconservare religiosamente, ma anche peresporre fedelmente e con una autorità dogma-tica il deposito rivelato, senza nuove rivelazio-ni e senza accrescere oggettivamente questodeposito, tutti i teologi l’ammettono e ilConcilio del Vaticano l’ha definito (…) DS3070. Le definizioni dogmatiche non sonodunque delle definizioni di realtà o di dottrinenuove, ma di spiegazioni o esposizioni autenti-camente divine di ciò che c’è di implicito neldeposito rivelato. “E questa fu la causa per cuifu necessario pubblicare più simboli [articolidi fede], che non differiscono in nessun’altracosa se non che in uno è spiegato con più pie-nezza ciò che è contenuto implicitamente inun altro” (S. Th. II II, q. 1, a. 9)» (35).

Nessuno ha mai messo in dubbio l’infalli-bilità della Chiesa nel definire certe conclu-sioni teologiche, quali ad esempio sull’intel-ligenza e volontà di Nostro Signore, sullaMaternità Divina della S. Vergine (36).

2°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàteoricamente:

Pio IX, Gravissimas inter, 11/12/1862,contro Froschammer, che affermava l’indi-pendenza della filosofia dalla fede: D 1674-6.

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Conc. Vat. Costituzione Dei Filius,24/4/1870, contro razionalismo e semi-razio-nalismo: DS 3018; 3042.

S. Pio X, Lamentabili, 3/7/1907: DS 3405,3407, 3424 (37).

Pio XII, Humani Generis, 12/8/1950, DS3893; D 2325 (22).

3°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàpraticamente:

Conc. Laterano V, Apostolici regiminis,19/12/1513, contro gli averroisti che negavanole proprietà dell’anima: “Definiamo che ogniasserzione contraria alla verità illuminatadella Fede è falsa” DS 1441. Tale definizioneè stata ripetuta dal Conc. Vaticano: DS 3017.

Concilio di Vienne, 6/5/1312, De SummaTrinitate et fide catholica, condanna gli erroridi Pier di Giovanni Olivi, 1311-2, D 481 (38).

Clemente VI, condanna di Nicolasd’Autrecourt, 25/11/1347, DS 1028.

2) Infallibilità dei fatti dogmaticiVi sono 3 generi di fatti: a) i fatti espres-

samente rivelati; b) i fatti puramente parti-colari; c) i fatti dogmatici.

a) I fatti espressamente rivelati sono quellicontenuti nella rivelazione, terminata con lamorte degli Apostoli: es.: N. Signore è nato aBetlemme; è risorto; è salito al Cielo;Giovanni Battista fu decapitato in carcere, ecc.Tutti i teologi sono d’accordo nel dire che co-stituiscono non solo l’oggetto dell’infallibilità,ma anche della fede divina, e - se la Chiesa lidefinisce - pure della fede divina e cattolica.

b) I fatti particolari: non solo non sonocontenuti nella rivelazione, ma in più nonhanno nessun rapporto necessario con essané con la dottrina. Hanno una certa relazio-ne con la fede o la morale solo perché inte-ressano delle persone particolari, e non tuttala Chiesa. Perciò non sono assolutamentenecessari per conservare o spiegare il depo-sito della rivelazione. Esempi: i fatti esclusi-vamente profani; la validità di tal matrimo-nio; la colpevolezza di tal persona; la giusti-zia di tal scomunica; la possessione legittimadi un bene da parte di tal persona…

Tutti i teologi sono d’accordo nel dire chenon sono oggetto né di fede divina, né di infalli-bilità: “Nelle altre sentenze invece, che riguar-dano fatti particolari, come quando si tratta diproprietà, o di crimini o di cose di questo gene-re, è possibile che il giudizio della Chiesa sia er-roneo” (S. Tommaso, Quodlibet IX a. 16).

c) Tra questi due gruppi estremi, vi sono ifatti dogmatici, così chiamati dopo la polemica

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con il giansenismo. Non sembrano essere con-tenuti espressamente nel deposito dellaRivelazione, ma hanno una relazione necessa-ria con la conservazione e la spiegazione delladottrina rivelata, relazione che interessa laChiesa universale. Così l’ortodossia o etero-dossia di certi testi o di libri, o sapere se il librodi Giansenio contenga o no le cinque famoseproposizioni eretiche. Così ancora è un fattodogmatico se il Concilio di Trento è regola in-fallibile della fede, se la Volgata è autentica inmateria di Fede e Morale, se Pio XII è veroPapa, se il Papa attuale è vero Papa.

Tutti i teologi sono d’accordo nel dire chepossono essere definiti infallibilmente dallaChiesa. Per quanto riguarda la legittimità diun Papa o di un Concilio, tutti i teologi mo-derni dicono che è infallibile di fede divina.Per gli errori contenuti in un libro, i pareri sidividono: per alcuni è di fede divina, per altridi fede ecclesiastica (38).

1°) Argomento di ragioneIl fine del Magistero infallibile esige che

vi sia l’infallibilità nelle cose necessarie perdirigere con sicurezza i fedeli nella rettaprofessione della fede, ed evitare gli erroricontrari ad essa.

Per svolgere questo fine, è necessarial’infallibilità nel definire il senso ortodosso oeterodosso di un testo e del suo autore.

Se la Chiesa non potesse definire questo,allora nessuno potrebbe costringere a pro-fessare la retta formula di fede, nessuno po-trebbe evitare efficacemente l’introduzione ela diffusione di errori contro la fede. Se poila Chiesa potesse sbagliare in questo, allorasi potrebbe pensare che la condanna portatadalla Chiesa su una dottrina non sia vera, op-pure dei cattolici potrebbero professare unsimbolo di fede contenente degli errori.

2°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàteoricamente

Vediamo la storia dell’“Augustinus” diGiansenio.

Urbano VIII nel 1642 proibì il libro.Seguirono numerose controversie con igiansenisti.

Innocenzo X nel 1653 dichiarò eretiche 5proposizioni tratte dal libro: DS 2001-7. I gian-senisti si opposero dicendo che era giusto con-dannare queste 5 proposizioni, ma cheGiansenio non voleva dare questo senso allefrasi del suo libro.

Alessandro VII nel 1656 dichiarò e definìche quelle proposizioni erano condannate-proprio nel senso che Giansenio aveva inte-

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so dare nel suo libro: DS 2012. Ma i gianse-nisti non vollero sottomettersi, dicendo cheil Papa si sbagliava, che non c’è infallibilitànell’interpretare il senso di un libro e chedunque non poteva esigere l’obbedienza.

Alessandro VII nel 1665 ingiunse ai gian-senisti di sottoscrivere in proposito una for-mula di giuramento: DS 2020. Ma costorotrovarono la scappatoia dicendo che allacondanna di Giansenio non si deve l’assensointerno, ma solo il silenzio ossequioso.

Infine Clemente IX nel 1705 impose l’obbli-go dell’assenso interno, “ore et corde”: DS 2390.

In questa lunga polemica, la Chiesa hadunque rivendicato l’infallibilità nel giudica-re un libro e la sua interpretazione (semprein rapporto alla Fede o alla Morale).

3°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàpraticamente

II Conc. Costantinopoli, nel 553 condan-na “l’empio Teodoro e i suoi empi scritti”DS 435, approvato dal Papa S. Gregorio nel592: DS 472.

Innocenzo II nel 421 condanna PietroAbelardo “con l’autorità dei santi canoni, icapitoli e tutti i dogmi del medesimo Pietro[Abelardo] condanniamo insieme al suo au-tore… come eretico” D 387 (39).

Conc. Costanza nel 1418 fa chiedere ai di-scepoli di Wycleff e Hus “se credi che le con-danne portate alle persone J. Wycleff, J. Hus eGerolamo di Praga, ai loro libri e documenti…siano state fatte rite et iuste, e se devono esseretenute come tali ed asserite con fermezza daqualunque cattolico” e ancora, sempre a propo-sito di loro “se credi che fossero eretici e daconsiderare e chiamare come eretici, e che iloro libri e dottrine fossero e sono perversi” (40).

Pio IX, Gravissimas inter, nel 1862 con-danna la dottrina di I. Froschammer espostain 3 libri come “falsa e erronea (…) estraneaalla dottrina cattolica (…) da rigettare, ri-provare e dannare” (41).

Leone XIII nel 1887 approva (22) la con-danna delle proposizioni di Rosmini, tratteda 8 suoi libri, nel senso inteso dall’autore:DS 3201-41.

Clemente VIII contro Vasquez e i teolo-gi di Alcalà: affermavano che si può negarespeculativamente che il Papa regnante siaPapa, cioè come tesi lecita in astratto.Clemente VIII li fece imprigionare.

3) Infallibilità dei decreti disciplinariSi tratta qui di leggi universali e non parti-

colari, che sono connessi necessariamente, in

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ragione del loro fine, con la rivelazione: ilCodice di Diritto Canonico ed il rito latinosono considerati universali. La loro infallibilitànon comporta che siano le uniche possibili, ole più perfette (vi possono essere più gradi diperfezione), o che contengano tutta la dottrinadel tema che trattano: perciò possono esseremutate dall’autorità. L’infallibilità riguarda ladottrina speculativa e/o morale contenutaesplicitamente o implicitamente in tali decreti;essa però non garantisce la loro opportunità ose siano prudenti. Garantisce la non esistenzadi qualsiasi errore contro la fede e la morale.

Per i decreti liturgici, che costituisconouna parte di quelli dottrinali, valgono gli stessiargomenti. La loro infallibilità non riguarda ifatti storici del Breviario e del Martirologio.

1°) Argomenti di ragioneIl fine del Magistero infallibile esige che

la vita dei fedeli sia ordinata senza errore odanno verso il fine della Chiesa: la vita eter-na. Ora l’infallibilità dei decreti disciplinariè necessaria perché la Chiesa possa senzaerrore dirigere i fedeli verso il fine. Infatti sela Chiesa potesse imporre o permettere aifedeli delle azioni contrarie alle fede o allamorale, non sarebbe più uno strumento disalvezza: la Chiesa sarebbe allora defettibilee veicolo di errore (42).

La Chiesa è Santa: non è dunque possibi-le che faccia delle leggi disciplinari contrarieai suoi principi.

La Chiesa è infallibile non solo nell’inter-pretazione dogmatica della Rivelazione, maanche nell’interpretazione pratica (insegnatead osservare tutte le cose… Mt XXVIII, 20).Ora ciò non sarebbe vero, se la Chiesa potes-se promulgare delle leggi che allontanino i fe-deli dalla rettitudine delle leggi evangeliche.

Mt XVI 19: Dio non potrebbe legare/sciogliere ciò che la Chiesa lega/sciogliesulla terra, se la Chiesa non fosse preservatadall’errore.

Ciò vale anche per gli usi e consuetudinidella Chiesa: S. Agostino dice che dall’usodel Battesimo si potrebbe dedurre il dogmadel Peccato Originale. Ad esempio S.Tommaso, (43): “La consuetudine dellaChiesa ha una massima autorità e deve esse-re sempre seguita in tutte le cose”. Per que-sto motivo nel Sed Contra dei suoi articoli,che corrisponde all’argomento di autorità,spesso cita l’uso della Chiesa: ad esempio, aproposito del Sacramento della Cresima(III, q 72 a. 12), ne dà anche il motivo:“Bisogna tenere con fermezza che gli ordi-

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namenti della Chiesa sono diretti secondo lasapienza di Cristo. E per questo deve esserecerto che i riti che la Chiesa osserva in que-sto e in altri sacramenti, sono convenienti”.

2°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàteoricamente

Pio VI, Auctorem fidei, 1794, condannala 78ª proposizione del Sinodo di Pistoia, se-condo la quale in ciò che riguarda la discipli-na della Chiesa vi possono essere delle coseinutili e anche delle cose pericolose e noci-ve, come “falsa, temeraria, scandalosa, per-niciosa, offensiva delle pie orecchie, ingiu-riosa alla Chiesa ed allo Spirito di Dio da cuiessa è retta, almeno erronea” DS 2678 (44).

Conc. Trento, 1547, Decreto sui Sacra-menti, can. 13: “Se qualcuno dice che i riti rice-vuti e approvati della Chiesa cattolica che sonousati nella solenne amministrazione dei sacra-menti, possono o essere disprezzati, o senzapeccato essere omessi dai ministri a loro piaci-mento, o essere mutati con altri nuovi da unqualsiasi pastore delle chiese: an. sit” DS 1613.

3°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàpraticamente

Conc. Costanza, 1415, Decreto sullaComunione sotto la sola specie del pane,confermato e ripetuto da Martino V nel1425, DS 1198-1200.

Conc. Trento: Decreto sulla SS. Euca-ristia, sull’uso di conservarla e portarla aimalati, DS 1645, 1657. Dottrina sulla comu-nione sotto le due specie e ai bambini, e cano-ni relativi: DS 1727-34. Dottrina sul SS.Sacrificio della Messa: sul canone, sulle ceri-monie, sulla Messa in cui comunica solo il sa-cerdote, sull’acqua aggiunta al vino, sull’usodella lingua volgare, e canoni: DS 1745-59.

Leone XIII, Apostolicæ Curæ, 1896,sull’invalidità delle ordinazioni anglicaneDS 3315-9.

NotaSull’infallibilità dei Decreti disciplinari e

leggi liturgiche, è sorta molta confusione, spe-cie dopo l’apparizione del Novus Ordo Missædel 1969. Arnaldo X. da Silveira in “La nou-velle messe de Paul VI: qu’en penser?” (45)dopo aver citato dei testi a favore dell’infallibi-lità delle leggi liturgiche, finisce per restringer-la. L’autore non riesce a distinguere i dueaspetti dell’infallibilità della Chiesa in questocampo, citati prima: l’infallibilità puramentenegativa, che comporta la validità, la non noci-vità, la non esistenza di errori contro la Fede ela morale nei riti e leggi liturgiche, dall’infalli-

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bilità positiva di una verità dogmatica a partiredai testi liturgici (46). Per quest’ultima, se laChiesa per far conoscere un dogma vuol utiliz-zare la liturgia piuttosto che darne una defini-zione, è necessario che faccia conoscere espli-citamente la sua volontà di voler obbligare acredere la verità dottrinale significata dalla li-turgia. Per la prima infallibilità invece (nonesistenza di errori) non è necessario nessunatto particolare dell’Autorità: essa è inerentealla legge stessa appena è promulgata, come siè visto a causa dell’infallibilità dell’oggetto se-condario. Con questa distinzione si rispondeanche ai casi di apparente errore nell’infallibi-lità in materia liturgica citati dal Da Silveira.

4) Solenne canonizzazione dei SantiPer Canonizzazione solenne si intende

l’ultima e definitiva sentenza della Chiesacon la quale si dichiara che un defunto haraggiunto la santità e ha così conseguito lagloria celeste; può essere quindi invocato evenerato dai fedeli come patrono e modello.Si tratta di una sentenza universale e precet-tiva, che conclude il processo delle virtù eroi-che assieme alle prove dei miracoli, come èin uso nella Chiesa cattolica dal X sec.

1°) Argomento di ragioneIl fine del Magistero infallibile esige l’in-

fallibilità nelle cose necessarie per dirigere ifedeli senza errore alla salvezza, per mezzodel retto culto e l’imitazione degli esempidelle virtù cristiane a causa del potere di san-tificazione che ha la Chiesa. Ora per far ciò ènecessaria l’infallibilità sui decreti solenni diCanonizzazione dei Santi, dato che in essi laChiesa non solo permette ma ordina e racco-manda a tutti i fedeli di venerare alcuni Santideterminati, e li propone come esempi divirtù. Una semplice possibilità di errore intale giudizio solenne comporterebbe che laChiesa propone a venerare ed imitare uominimalvagi o dannati; il culto dei Santi sarebbeprivato del suo fondamento; i fedeli nonavrebbero più fiducia nella Chiesa.

2°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàLa Chiesa rivendica l’infallibilità sui decreti

definiti con giudizio solenne (DS 3011; CJC1323, p. 2). Ora la Chiesa definisce con giudi-zio solenne i decreti di Canonizzazione deiSanti. Ciò risulta dalla lettura dei decreti stessi:

Benedetto XIII, 1726, per la canonizza-zione di S. Giovanni della Croce; e poi di S.Luigi Gonzaga e S. Stanislao Kostka.

Pio XI: “Noi, Supremo Maestro dellaChiesa cattolica, con queste parole diamo

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una sentenza infallibile: In onore, ecc.”.“Noi, ex Cathedra divi Petri, come supremoMaestro della Chiesa universale di Cristo,pronunciamo solennemente con queste pa-role una sentenza infallibile: In onore, ecc.”.

Pio XII: “Noi come supremo Maestrodella Chiesa universale, sull’unica Cattedrafondata su Pietro dalla voce del Signore,pronunciamo solennemente questa sentenzache non conosce errore, con queste parole:In onore, ecc.” (47).

L’infallibilità della Chiesa nella Canoniz-zazione dei Santi, considerata teologicamentecerta, dopo i pronunciamenti di Pio XI e PioXII è considerata implicitamente definita.

5) Approvazione degli Ordini ReligiosiL’Ordine religioso è una società o una con-

gregazione, approvata dalla Chiesa, di indivi-dui che tendono alla perfezione per mezzo deitre voti di obbedienza, castità, povertà, seguen-do una forma di vita data dal fondatore. L’ap-provazione della Chiesa si porta sull’associa-zione stessa, il fine, la regola, le leggi; di essiconsidera solo il lato dottrinale, cioè che il mo-dello di vita proposto è adatto ad acquisire laperfezione evangelica. L’infallibilità non ri-guarda il giudizio prudenziale, cioè se è oppor-tuna e prudente questa approvazione, e riguar-da solo l’approvazione definitiva o solenne.

1°) Argomento di ragioneIl fine del Magistero infallibile esige l’in-

fallibilità nelle cose necessarie per dirigere ifedeli senza errore alla salvezza, per mezzodella perfezione evangelica: è il fine dellaMorale della Chiesa, a cui si estende ilMagistero infallibile. Ora per tale scopo è ne-cessaria l’infallibilità sui decreti che approva-no solennemente gli Ordini religiosi: difattiessi propongono alla Chiesa universale unmodo stabile di vita come via certa per acqui-sire la perfezione evangelica. A causa dell’in-fallibilità della Morale della Chiesa, ripugnache il S. Pontefice possa proporre definitiva-mente alla Chiesa universale come via certaper ottenere la perfezione qualcosa di inutileo contrario alla perfezione evangelica.

2°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàteoricamente

Pio VI, Auctorem fidei, 1794, contro ilSinodo di Pistoia, DS 2682, 2692.

Pio IX, Quanta Cura, 1864, D 1692 (22).3°) La Chiesa rivendica tale infallibilità

praticamenteCiò si nota dal giudizio solenne utilizzato

per l’approvazione degli Ordini Religiosi (48).

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6) Le note teologicheLa Chiesa nell’esercizio del suo ufficio

suole approvare la dottrina vera e condannarela falsa. La nota teologica (o valore dogmati-co) di una proposizione indica positivamenteil grado di certezza che le conviene rispettoalle Fonti della Rivelazione e al Magistero. Lacensura (o proposizione condannata) è il giu-dizio che esprime negativamente il grado difalsità della proposizione rispetto alle Fontidella Rivelazione e al Magistero. Conside-riamo qui le note e censure emesse dallaChiesa, e non quelle dei teologi (49).

Ricordiamo quanto abbiamo già detto aproposito dell’infallibilità positiva e negativa.Quando la Chiesa afferma che una dottrina èdi fede, essa è di fede, e dunque è irreformabi-le. Se invece la Chiesa dà una nota inferiore aquella di fede, allora essa sarà infallibilmentevera, ma non sempre irreformabile. Ad esem-pio, se la proposizione è giudicata “non sicu-ra”, vuol dire infallibilmente che ora non è si-cura, ma non vuol dire che è falsa: un domanila Chiesa potrà dichiararla falsa o erronea, oinvece potrà riconoscere che è vera; ma io oradevo credere che non è sicura, sotto pena dipeccato mortale (50). Quando dice che è certa,non vuol dire che è di fede, ma solo che è certa;e così via. Questo è il pensiero di Billot (51).

1°) Argomento di ragioneIl Conc. Vaticano, a proposito dell’infal-

libilità pontificia, ha definito che lo SpiritoSanto è stato promesso per custodire il de-posito della fede. Per far questo, la Chie-sadeve enumerare e qualificare gli errori.

2°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàteoricamente

Conc. Vaticano, Costit. Dei Filius, “LaChiesa, che con l’incarico apostolico di inse-gnare ha ricevuto l’ordine di custodire il de-posito, ha anche da parte di Dio il diritto el’incarico di proscrivere la scienza di falsonome (I Tim. VI, 20), affinché nessuno siaingannato… Per questo motivo tutti i fedeliCristiani non solo hanno il divieto di difen-dere come legittime conclusioni quelle opi-nioni che sanno essere contrarie alla dottri-na della fede, specialmente se sono statecondannate dalla Chiesa, ma piuttosto devo-no considerarle come errori, che si presenta-no sotto l’aspetto di verità” DS 3018

CJC, can. 1324: “Non basta evitare lamalvagità eretica, ma occorre fuggire dili-gentemente anche quegli errori, che più omeno si avvicinano ad essa; perciò tutti de-vono osservare anche le costituzioni e decre-

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ti, con i quali tali malvagie opinioni sonostate condannate e proibite dalla S. Sede”.

Conc. Costanza, Sessione XV 6/7/1415,confermata dal Papa il 22/2/1418: DS 1214,1219, 1225.

3°) La Chiesa rivendica tale infallibilitàpraticamente

Tutte le volte che la Chiesa ha definitoalcune dottrine o ne ha condannate altre.

Unità del Magistero della Chiesa e del suooggetto

Le divisioni viste finora, non diminuisconol’unità dell’oggetto del Magistero. Che si trattidi oggetto diretto o indiretto, è sempre uno e lasua unità riposa sulla Rivelazione di Dio: anchese queste verità sono incluse nella Rivelazioneo connesse con essa, il Magistero dichiara sem-pre la loro relazione col deposito rivelato.

Il Magistero parla sempre dal punto divista della Rivelazione divina, e non consi-dera le cose che sono al di fuori della fede edella morale.

“Ogni verità virtualmente rivelata appar-tiene direttamente, benché mediatamente, almagistero infallibile. I due ordini di verità,formalmente e virtualmente rivelate, forma-no un corpo unico della dottrina della salvez-za, per la quale il Salvatore ha direttamenteistituito il magistero apostolico. Non si posso-no separare questi due ordini senza distrug-gerli, dato che sono collegati da un’assolutanecessità logica, poiché - pena la contraddi-zione - la mente è obbligata ad ammetterli oa rigettarli entrambi” (52). Perciò il Conc.Laterano V, definì: “Ogni asserzione contra-ria alla verità della Fede è falsa” DS 1441.

Se la Chiesa in alcuni oggetti o in alcunimodi di esercizio (vd paragrafo seguente)non potrebbe raggiungere l’infallibilità, allo-ra si creerebbero nella Chiesa, una e santa,due Magisteri specificatamente distinti: ilche è assurdo. In fondo questa unità dell’og-getto del Magistero riposa sull’unità delMagistero stesso: qualunque sia il soggetto(Papa o Chiesa universale) o l’oggetto o ilmodo, è sempre la voce di Nostro Signore:“Chi ascolta voi, ascolta me” (53).

Il modo di esercizio del Magistero

Benché il magistero sia uno perché speci-ficato da un solo oggetto (la relazione allaRivelazione) ha due modi di esercizio: l’in-segnamento ordinario e il giudizio solenne.

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“La Chiesa è infallibile con il suo magi-stero ordinario, che è esercitato quotidiana-mente soprattutto dal papa, e dai vescoviche aderiscono a lui, e che dunque sono in-fallibili insieme, dell’infallibilità della Chiesache lo Spirito Santo assiste tutti i giorni” (54).

Il giudizio solenne “può essere pronuncia-to sia da un Concilio Ecumenico che dal Papache parla ex cathedra” CJC, c. 1323, p. 2.

Questa distinzione di modi non tocca la so-stanza del magistero, né l’oggetto che defini-sce. Si tratta solo di una qualificazione dell’attocon il quale la Chiesa esercita la sua funzionedi insegnare. Questo modo dell’atto è un qua-lificativo accidentale e non cambia la specifi-cità della funzione. In altri termini, un atto in-fallibile del Magistero ordinario non è menoinfallibile o non domanda un assentimento in-feriore a quello di un giudizio solenne.

I testi del Concilio Vaticano (10)Durante il Concilio Vaticano, il 20/6/1870

a nome della Deputazione della fede, Mons.d’Avanzo dichiarava: «… Permettetemi di ri-cordare come l’infallibilità si esercita nellaChiesa. Di fatto noi abbiamo due testimo-nianze nelle Scritture sull’infallibilità nellaChiesa di Cristo, Lc XXII: Ho pregato per te,ecc., parole che riguardano Pietro senza glialtri; e la fine di Matteo: Andate, insegnate,ecc., parole che sono dette agli apostoli manon senza di Pietro… Vi è dunque un dupli-ce modo di infallibilità nella Chiesa; il primo

è esercitato dal magistero ordinario dellaChiesa: Andate, insegnate… Perciò come loSpirito Santo, spirito di verità, dimora nellaChiesa tutti i giorni; così tutti i giorni laChiesa insegna le verità di fede con l’assi-stenza dello Spirito Santo. Insegna tutte que-ste cose che sono sia già definite, sia conte-nute esplicitamente nel tesoro della rivela-zione ma non definite, sia infine sono credu-te implicitamente: tutte queste verità laChiesa le insegna quotidianamente, sia permezzo del papa principalmente, sia permezzo di ognuno dei vescovi che aderisconoal papa. Tutti, papa e vescovi, sono infallibiliin questo magistero ordinario dell’infallibi-lità stessa della Chiesa: differiscono solo inquesto, che i vescovi non sono infallibili dasé stessi, ma hanno bisogno della comunionecon il papa, dal quale sono confermati; ilpapa ha bisogno solo dell’assistenza delloSpirito Santo che gli è stata promessa (…)».

Questo magistero ordinario infallibilenon sopprime la necessità del giudizio solen-ne: «Anche con l’esistenza di questo magi-stero ordinario, succede a volte che le veritàinsegnate da questo magistero ordinario egià definite siano combattute da un ritornodell’eresia, o che delle verità non ancora de-finite, ma tenute implicitamente o esplicita-mente, devono essere definite; e allora sipresenta l’occasione di una definizione dog-matica». In tal caso i vescovi ricorrono alpapa, che allora svolge la funzione di confer-mare i fratelli e può promulgare una con-danna, o una definizione solenne, da solo oriunendo un concilio ecumenico (55).

Per questo motivo venne definito con solen-nità al Conc. Vat. la seguente proposizione (56):

“Devono essere credute di fede divina ecattolica tutte quelle cose che sono contenu-te nella parola di Dio scritta o tramandata eche sono proposte a credere dalla Chiesacome rivelate da Dio sia con un giudizio so-lenne, sia con il magistero ordinario e uni-versale” DS 3011.

Questo testo fu ispirato dalla LetteraApostolica di Pio IX all’arcivescovo diMonaco, del 1863, contro certi filosofi e teolo-gi tedeschi, nella quale ricordava che non biso-gna essere sottomessi solo al magistero solen-ne, ma anche a quello ordinario: DS 2875-80.

Mons. Martin, a nome della Deputazionedella Fede, lo dichiarò esplicitamente: «LaDeputazione della Fede ha tratto la sua ideadalla Lettera Apostolica di Pio IX all’arcive-scovo di Monaco del 1863, ove è detto:

Papa S. Pio X

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“Perché anche quando si tratta di questa sotto-missione da accordare con un atto di fede divi-na, non bisognerà pertanto limitarla alle veritàdefinite dai decreti espressi dei concili ecume-nici o dei pontefici romani… ma bisogneràanche estenderla a quello che è trasmessocome divinamente rivelato dal magistero ordi-nario di tutta la Chiesa sparsa sulla terra”.Furono queste parole che la Deputazione ebbedavanti agli occhi quando ha definito qual èl’oggetto materiale della fede» (57). Non ripro-duciamo qui la lettera, Tuas libenter, dato chel’essenziale si trova nel testo di Mons. Martin.

Tale dottrina è stata confermata solenne-mente da Pio XII a proposito della definizio-ne del dogma dell’Assunzione. Il Papa affer-ma che prima della promulgazione, questadottrina era già di fede, per il magistero ordi-nario della Chiesa; infatti il Papa aveva invia-to ai Vescovi del mondo intero due domande:

«E coloro che “lo Spirito Santo ha postocome Vescovi a reggere la chiesa di Dio”hanno dato all’una ed all’altra domanda unarisposta pressoché unanimemente affermativa.Questo “singolare consenso dell’Episcopatocattolico e dei fedeli”, nel ritenere definibilecome dogma di fede l’Assunzione corporea alCielo della Madre di Dio, presentandoci ilconcorde insegnamento del Magistero ordina-rio della Chiesa e la fede concorde del popolocristiano, da esso sostenuta e diretta, da sestesso manifesta in modo certo ed infallibileche tale privilegio è verità rivelata da Dio econtenuta in quel divino deposito che Cristoaffidò alla sua Sposa, perché la custodisse fe-delmente e infallibilmente la dichiarasse”. IlMagistero della Chiesa, non certo per indu-stria puramente umana, ma per l’assistenzadello Spirito di Verità, e perciò infallibilmente,adempie il suo mandato di conservare peren-nemente pure ed integre le verità rivelate, e letrasmette senza contaminazione, senza aggiun-te, senza diminuzioni. “Infatti - così insegna ilConcilio Vaticano - ai successori di Pietro nonfu promesso lo Spirito Santo, perché, con lasua rivelazione, manifestassero una nuova dot-trina, ma perché, per la sua assistenza, custo-dissero inviolabilmente ed esponessero con fe-deltà la rivelazione trasmessa dagli apostoli,ossia il deposito della fede”. Pertanto dal con-senso universale del Magistero ordinario dellaChiesa si trae un argomento certo e sicuro peraffermare che l’Assunzione corporea dellabeata Vergine Maria al Cielo - la quale, quan-to alla celeste glorificazione del corpo virgineo

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dell’augusta Madre di Dio, non poteva essereconosciuta da nessuna facoltà umana con lesue sole forze naturali - è verità da Diorivelata, e perciò tutti i figli della Chiesa deb-bono crederla con fermezza e fedeltà».

Pio XII, Humani Generis, (58): «Né si deveritenere che gli insegnamenti delle Enciclichenon richiedano, di per sé, il nostro assenso,col pretesto che i Pontefici non vi esercitanoil potere del loro Magistero Supremo.

Infatti questi insegnamenti sono delMagistero ordinario, di cui valgono pure leparole: “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc X,16); e per lo più, quanto viene proposto e in-culcato nelle Encicliche, è già, per altre ragio-ni, patrimonio della dottrina cattolica. Che sepoi i Sommi Pontefici nei loro atti emananodi proposito una sentenza in materia finoracontroversa, è evidente per tutti che tale que-stione, secondo l’intenzione e la volontà deglistessi Pontefici, non può più costituire ogget-to di libera discussione fra i teologi».

Il S. Officio, il 20-12-1949 (59) si indirizza-va così ai Vescovi: «Si deve anche evitarequel modo di esprimersi da cui hanno origi-ne opinioni false e speranze fallaci, che nonpossono mai attuarsi; come per esempio, di-cendo che non deve essere preso in tantaconsiderazione l’insegnamento dei RomaniPontefici, contenuto nelle encicliche… per-ché non tutto è di fede».

Il Codice di Diritto Canonico ha ripresoil testo del Concilio per definire qual è l’in-fallibilità della Chiesa: can. 1323.

L’obbligo di credere

Alcuni pensano che quando il Magisterodefinisce, deve aggiungere un obbligo di cre-dere. Ma non è vero, come si vede dalla de-finizione vista sopra:

“Devono essere credute di fede divina ecattolica tutte quelle cose che sono contenu-te nella parola di Dio scritta o tramandata eche sono proposte a credere dalla Chiesacome rivelate da Dio sia con un giudizio so-lenne, sia con il magistero ordinario e uni-versale” DS 3011.

Nel testo la frase centrale è “omnia cre-denda sunt”: devono essere credute, si devecredere, bisogna credere. Il Concilio insegnal’esistenza dell’obbligo di credere, obbligofondato su “quelle cose che sono contenutenella parola di Dio”. Quindi è il carattere dirivelato che è alla base dell’atto di fede.Ugualmente il Concilio aveva definito:

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“Poiché l’uomo dipende totalmente daDio come suo Creatore e Signore, e che laragione creata è completamente sottomessaalla Verità increata, siamo tenuti, quandoDio si rivela, di presentargli con la Fede lasottomissione piena della nostra intelligenzae della nostra volontà” DS 3008.

Perciò la fonte, il motivo formale di questoobbligo è la Verità increata che si rivela, laVeracità di Dio, o l’autorità di Dio che si rivela,che non può ingannarci e non può sbagliarsi.

L’intervento infallibile della Chiesa ha ilruolo di determinare con precisione l’ogget-to materiale della fede: cioè di far saperecon certezza quali verità sono rivelate.Dunque il ruolo proprio del Magistero dellaChiesa non è di obbligare a credere, ma dicertificare che questa proposizione appartie-ne al deposito della rivelazione. Il Magisteroin quanto tale non obbliga a credere, mapropone a credere ciò che deve essere cre-duto come divinamente rivelato.

Perciò l’atto della Chiesa è di affermareil carattere rivelato di una proposizione e al-lora ipso facto l’obbligo lega il credente: bi-sogna credere. E non perché la Chiesa creaun obbligo, ma perché il fedele conosce, permezzo della definizione infallibile, che taleproposizione è rivelata, e quindi è legatodall’obbligo generale di credere, che si ap-plica ora a questo caso particolare.

È vero che la Chiesa sovente unisce il po-tere di giurisdizione con quello di magistero,colpendo con le pene ecclesiastiche chi rifiutail suo insegnamento. Ma l’atto di giurisdizioneè formalmente distinto da quello di magistero.

“Si deve la sottomissione di volontà allaChiesa che definisce, anche se non aggiungenessun precetto. Poiché Dio ci ha dato laChiesa come Madre e Maestra per tutto ciòche riguarda la religione e la pietà, siamo te-nuti ad ascoltarla quando ella insegna.Perciò, se il pensiero e la dottrina di tutta laChiesa è mostrata, siamo tenuti ad aderirvi,anche se non vi è definizione: quanto più sequesto pensiero o questa dottrina ci sonomostrate con una definizione pubblica?” (60).

Perciò il divieto o il comando o le penecanoniche possono essere il segno dell’attoinfallibile, ma non ne sono il costitutivo.

Pio IX, Tuas libenter, 21/12/1863: “Anchese si trattasse di quella sottomissione che sideve dare per un atto di fede divina… biso-gna estenderla alle verità che sono trasmessecome divinamente rivelate dal magistero ditutta la Chiesa sparsa sulla terra” DS 2879.

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Considerazioni attuali

Molte teorie sono oggi diffuse a proposi-to del Magistero infallibile. Alcuni diconoche la Chiesa è infallibile solo con ilMagistero solenne; altri affermano che per-ché vi sia Magistero solenne, occorrono dellecondizioni. Secondo alcuni la Chiesa è infal-libile quando non fa altro che ripetere ciòche è già definito; per altri ancora, solo con ilMagistero solenne la Chiesa può dirimeredelle questioni discusse; il Magistero ordina-rio sarebbe infallibile solo quando ripeteininterrottamente la stessa verità. Altri anco-ra: il Magistero solenne sarebbe utilizzatoper le verità rivelate, l’ordinario per le veritàche appartengono all’oggetto secondario (61).

In teologia positiva, per stabilire qualsia-si dottrina bisogna fondarsi sui pronunzia-menti e sulla prassi della Chiesa.

Invece abbiamo visto che la Chiesa ha defi-nito con il Magistero solenne delle verità chefanno parte dell’oggetto secondario; ha defini-to inoltre che è infallibile con il suo magisteroordinario e che il Papa ha la stessa infallibilitàdella Chiesa (62). Pio XII insegna che il Magi-stero ordinario può da solo manifestare in ma-niera infallibile la verità rivelata. Leone XIIIcon il magistero ordinario ha risolto il proble-ma, che era ancora oggetto di discussione, sullavalidità delle ordinazioni anglicane; e lo hafatto senza nessuna ripetizione ininterrotta.

Per quanto riguarda le altre condizioni, sidice che il il Magistero sarebbe infallibile soloquando tratta delle verità legate con la Rivela-zione; si è visto che ciò che esula da questa ma-teria non rientra nell’oggetto del Magisterodella Chiesa. Si dice che deve essere un docu-mento indirizzato a tutta la Chiesa, ma anchequesto criterio è difficile da discernere: un di-scorso di Pio XII alle ostetriche (20/10/’51) èconsiderato da tutti i moralisti come pronuncia-mento infallibile sull’uso dei cosiddetti “metodinaturali”. Per quel che riguarda la volontà diobbligare, si è già osservato che l’interventodella Chiesa comporta di per sé la necessità dicredere: inoltre per l’infallibilità negativa non ènecessario nessun atto particolare o esplicita-zione dell’Autorità.

Altro errore diffuso è la confusione tra re-gola prossima e regola remota della fede:Scrittura e Tradizione sono la regola remotadella fede, il Magistero è la regola prossima. Ildeposito della Rivelazione si trova integronella Scrittura e Tradizione; ma è stato affida-to non ai fedeli o ai teologi, ma al solo

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Magistero della Chiesa, il quale è la regolaprossima e universale delle verità di fede.Sono queste le parole di Pio XII in Humanigeneris, testo già citato a proposito dell’ogget-to del Magistero. Questa distinzione è classicanella teologia cattolica. Basta vedere l’indiceanalitico del Tractatus de auctoritate SummiPontificis, di GIOVANNI DI S. TOMMASO O. P.:bisogna distinguere tra regula fidei in sé stessae per noi. Quella per noi ne ha due inanimateo remote, Scrittura e Tradizione, e due anima-te o prossime, il Concilio Ecumenico e il Papa.La regola prossima non è un giudizio privato;non è la Scrittura e la Tradizione, come dice-vano gli eretici; è visibile ed esteriore per tuttii fedeli; è una regola viva ed umana; richiedeun giudice animato; quando si tratta di questaregola, si parla di tutta la religione cattolica;essa è ragione di sé stessa; deve essere postanel capo supremo, il Vescovo di Roma.

In altri termini la Scrittura e la Tra-dizione costituiscono la fonte primaria dellaRivelazione: là il Magistero ricerca prima dipronunciarsi. Ma quando si è pronunciato,bisogna credere a quel che dice, perché è luila regola prossima della fede per noi, è luiche dice ciò che dobbiamo credere o tenere,è lui che ci significa ciò che è rivelato. Non viè una regola ulteriore o superiore a questa.Né si può fare il contrario: giudicare ilMagistero a partire della Rivelazione, cre-dendo che la regola prossima sarebbe laRivelazione, o meglio il mio giudizio, o quel-lo di una persona di cui mi fido, su ciò che misembra rivelato; sarebbe perdere la regolaprossima, sarebbe non avere più lo spiritocattolico, ma una mentalità eterodossa.

Da questa confusione nasce l’errore dicredere che il magistero ordinario, per esse-re infallibile, deve ripetere quanto è conte-nuto nella Rivelazione, altrimenti è fallibile:lo ha affermato recentemente Hirpinus (63),pensando di poter appoggiare la sua tesi sulDTC, articolo Infaillibilité du Pape, col.1705. Ora nel DTC troviamo esattamente lanostra tesi: “Perché vi sia infallibilità, è ne-cessario che la verità insegnata sia propostacome essendo stata definita precedentemen-te, o come essendo stata sempre creduta oammessa nella Chiesa, o come essendo stataattestata, per il consentimento unanime ecostante dei teologi, come verità cattolica”.In altri termini, l’obbligo di credere deve es-sere significato dal Magistero in una di que-ste maniere: o dicendo che la verità propo-sta è già stata definita, o che è contenuta

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nella Rivelazione, o che è dottrina cattoli-ca… Ma l’autore dell’articolo del DTC nondice che l’obbligo di credere esiste se la dot-trina proposta è giudicata dai fedeli confor-me alla Tradizione, né è questo il suo pen-siero (vd col. 1703): infatti egli invita a far ri-ferimento all’altro suo articolo sull’infallibi-lità del magistero ordinario della Chiesa (64):“Il magistero ordinario e universale può an-cora esercitarsi con l’insegnamento contenu-to implicitamente… nella disciplina e nellapratica generale della Chiesa, almeno intutto ciò che è veramente comandato, ap-provato o autorizzato dalla Chiesa universa-le; poiché in questo insegnamento, appenaesiste veramente, la Chiesa non è meno in-fallibile che nelle definizioni solenni dei con-cili” (col. 2194). Ripetiamo che l’oggetto delMagistero sono le verità rivelate, né trattaaltre verità: nessuna autorità propone qual-cosa che non è legato con la Rivelazione. Eappena lo promulga, noi dobbiamo credere,per il dogma dell’infallibilità: se invece do-vessimo controllare la sua conformità allaTradizione, il magistero non sarebbe più in-fallibile da sé stesso, ma dal fatto che noicontrolliamo la sua conformità con laTradizione! Tale posizione proviene, comediceva Pio XII, da «quella specie di superbiadi un “libero esame”, propria di una menta-lità eterodossa più che cattolica, per cui nonsi rifugge dal sottoporre al vaglio del pro-prio giudizio persino le disposizioni cheemanano dalla Sede Apostolica» (65).

Da questo errore di base, è nata la tesiper cui il magistero ordinario e universalesarebbe infallibile solo quando la suaconformità con la Tradizione sarebbeespressa nei termini del canone di S.Vincenzo da Lerino: cioè quando è confor-me a ciò che tutti, sempre e dappertuttohanno creduto. Questa tesi, già confutata inquesto numero (cfr Vita dell’Istituto), fu so-stenuta dagli anti-infallibilisti al ConcilioVaticano, a cui il Card. Franzelin risposeche tale canone si riporta alla norma ogget-tiva della fede (regola remota) ma non allanorma direttiva (regola prossima): “Si per-vertirebbe questo canone leriniano cercandoin esso allo stesso tempo la norma oggettivae la norma direttiva, come se l’unica normainfallibile della Fede cattolica si trovassenell’accordo costante e universale dellaChiesa; allora, in materia di fede, solo quelche sarebbe stato creduto da un accordo co-stante sarebbe assolutamente certo e infalli-

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bile, e nessuno potrebbe credere nulla, diquesta fede divina che è assolutamente e in-fallibilmente certa, senza che lui stesso vedaquest’accordo costante e universale dellaChiesa (…) Esso è verissimo, se lo si com-prende nel senso positivo, cioè: quel che èstato creduto sempre, dappertutto e da tuttiè divinamente rivelato, e dunque deve esse-re tenuto; ma non nel senso negativo (…)[per cui nulla può essere creduto se] le trenote non militino insieme e simultaneamen-te a suo favore. Che possa accadere, infatti,e questo si è prodotto di fatto, che una dot-trina sia stata sempre creduta, fin dall’origi-ne, e dunque che sia divinamente rivelata,senza essere stata creduta né dappertutto,né da tutti, Vincenzo stesso l’insegna» (66).

Conferme

Leone XIII, Satis Cognitum: «… GesùCristo ha istituito nella Chiesa un magisterovivente, autentico e, per di più, perpetuo,che Egli ha investito della propria autorità,ha rivestito dello spirito di verità, ha confer-mato con i miracoli, e ha voluto e ha severis-simamente ordinato che gli insegnamentidottrinali di questo magistero fossero rice-vuti come i suoi propri. Tutte le volte che laparola di questo magistero dichiara che taleo tale verità fa parte dell’insieme della dot-trina divinamente rivelata, ognuno deve cre-dere con certezza che questo è vero; perchése ciò potesse in qualche maniera esserefalso, ne conseguirebbe, cosa evidentementeassurda, che Dio stesso sarebbe l’autoredell’errore degli uomini… I Padri delConcilio Vaticano non hanno dunque pub-blicato qualcosa di nuovo, ma non hannofatto altro che conformarsi all’istituzione di-vina, all’antica e costante dottrina dellaChiesa e alla natura stessa della fede, quan-do hanno formulato questo decreto:“Bisogna credere di fede divina e cattoli-ca…” [segue la citazione del Cap. 3 dellaDei Filius, DS 3011, nda] (67)».

Pio XII: Nella Munificentissimus Deus,quando ricorda che l’accordo universale deivescovi è un argomento certo per stabilire chel’Assunzione è “una verità rivelata da Dio”,conclude che “deve essere creduta fermamen-te e fedelmente da tutti i figli della Chiesa”.

Dopo la definizione ex cathedra di que-sta verità, Pio XII aggiunge, in un altro pa-ragrafo: “In conseguenza, se qualcuno, cheDio non voglia, osasse volontariamente ne-

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gare o mettere in dubbio quel che Noi ab-biamo definito, sappia che ha totalmente ab-bandonato la fede divina e cattolica”.Questo paragrafo viene dopo la definizione,il Papa non pone censure, ma si limita aenunciare un fatto che proviene dalla defini-zione infallibile: chi la nega o la dubita nonpuò conservare la fede.

Pio IX, Inter gravissimas, 28/10/1870:“Come tutti i fautori di eresia e di scisma, sivantano falsamente di aver conservato l’anti-ca fede cattolica, quando abbattono il fonda-mento principale della fede e della dottrinacattolica. Riconoscono nella Scrittura e nellaTradizione la sorgente della Rivelazione divi-na; ma rifiutano di ascoltare il Magisterosempre vivente della Chiesa, benché risultievidente dalla Scrittura e dalla Tradizione,che fu istituito da Dio come custode perpe-tuo dell’esposizione e della spiegazione infal-libile dei dogmi trasmessi da queste due fonti.In seguito, con la loro scienza falsa e cieca,indipendentemente e anche contro l’autoritàdi questo magistero istituito divinamente, sierigono come giudici dei dogmi contenuti inqueste fonti della Rivelazione. Perché cosafanno d’altro, quando a proposito di undogma di fede definito da Noi, con l’approva-zione del santo Concilio, negano che questasia una verità rivelata da Dio e che esige unassentimento di fede cattolica, solo perché aloro avviso questo dogma non si trova nellaScrittura e nella Tradizione? Come se non vifosse un ordine nella fede, istituito dal nostroRedentore nella sua Chiesa e sempre conser-

Papa Pio XII

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vato, secondo il quale la definizione stessa diun dogma deve essere tenuta da sé sola comeuna dimostrazione sufficiente, sicurissima eadatta a tutti i fedeli, che la dottrina definitaè contenuta nel duplice deposito della rivela-zione, scritta e orale. Per questo infatti talidefinizioni dogmatiche sono sempre state ne-cessariamente una regola immutabile per lafede come per la teologia cattolica, alla qualecompete la nobilissima missione di mostrarecome la dottrina, nel senso stesso della defi-nizione, è contenuta nel deposito rivelato”.

Conclusione

Lo studio dell’infallibilità ci conduce aduna costatazione: molti atti, decreti, riti, leggidegli ultimi 30 anni sono stati promulgaticome infallibili, e il fedele, pertanto, sarebbetenuto a credere al contenuto di questo inse-gnamento. Tuttavia, la nostra intelligenza nonpuò concepire la contraddizione e, oggettiva-mente, il contenuto di questo insegnamento ècontraddittorio con l’insegnamento già infalli-bilmente definito dalla Chiesa. Difatti quelloche la Chiesa ha già definito è infallibilmentevero (68). Come si spiega che l’Autorità ora in-segna “infallibilmente” un errore? Allora, in-vece di sminuire l’infallibilità del Papa e dellaChiesa, occorre risolvere problema principale:chi ha promulgato tale insegnamento ha vera-mente l’Autorità nella Chiesa, è veramente ilVicario di Gesù Cristo, il dolce rappresentantedi Cristo sulla terra? Svolge il suo compito, didifendere e custodire il deposito della Fede?Può il Fondamento, il Clavigero, il Pastoreuniversale sbagliarsi? Risponde alla domandaS. Leone Magno: «La saldezza di questo fon-damento su cui è costruita tutta la Chiesa nellasua altezza, non è mai scossa, per quanto gran-de sia la mole del tempio che la sovrasta. Lasaldezza di quella fede, lodata nel principedegli apostoli è perpetua; e come resta persempre ciò che Pietro credette in Cristo, cosìresta per sempre ciò che Cristo stabilì inPietro… In tutta la Chiesa infatti “Tu seiCristo, figlio del Dio vivo” dice ogni giornoPietro, e ogni lingua che loda il Signore vieneformata dal magistero di questa voce. Questafede vince il diavolo e scioglie i ceppi dei suoiprigionieri. Essa strappa dal mondo e collocanel cielo, e le porte dell’inferno non possonoprevalere contro di essa; è stata divinamentedotata di tale saldezza, che mai potrà corrom-perla la stoltezza degli eretici, né mai potrà su-perarla la perfidia dei pagani» (69).

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BIBLIOGRAFIA

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SALAVERRI, Sacræ Teologiæ Summa,Teologia Fundamentalis, T. III DeEcclesia Christi, B.A.C., Madrid 1962.

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SISTO CARTECHINI S. J., Dall’opinione aldomma, ed. La Civiltà Cattolica, Roma 1953.

L. M. DE BLIGNIERES, A propos de l’objet duMagistère ordinaire et universel, Suppl.doctrinal à Sedes Sapientiæ, Société StThomas d’Aquin, ottobre 1985.

ABBÉ BERNARD LUCIEN, L’infaillibilité duMagistère odinaire et universel de l’Eglise,Documents de Catholicité, Bruxelles 1984.

Di queste opere, sono stati presi liberamen-te alcuni passaggi.

Altri testi utilizzati:I. P. = Insegnamenti Pontifici, Edizioni

Paoline, Roma 1961.DS = Denzinger-Schönmetzer, Enchridion

Symbolorum definitionum et declaratio-num, XXXVI ediz., Herder, 1976.

D = Denzinger-Umberg, è il medesimotesto, in un’edizione anteriore, ediz. 18-20,Herder, 1930.

DTC = Dictionnaire de Théologie Catholique,articoli “Infaibillité du Papa” e “Eglise”.

Note

1) Mt X, 33; Mc XVI, 16.2) Mt X, 40. Lc IV, 43. Gv III, 17; VI, 40; VIII, 293) Qualche esempio: Mc IX, 22-23; XVI, 14; Gv XI,

26; Mt XV, 28.4) Mt VIII, 19; Gv III, 2.5) “Non vogliate farvi chiamare Maestro… uno solo

è il vostro Maestro, il Cristo” (Mt XXIII, 8-10)6) Gv XVII, 6; XIV, 17 (preghiera dopo l’Ultima Cena).7) Gv XX, 21 (dopo la Resurrezione).8) Mt X, 40. Lc X, 16.9) Cfr.: I Cor. I, 17; II Cor. V, 20; X, 4; I Tim. I, 19; I

Gv II, 24; II Gv I, 10.10) In questo articolo, col nome di Concilio

Vaticano indichiamo quello celebrato in Vaticanodall’8/12/1869 al 20/10/1870, comunemente chiamatoConc. Vaticano I.

11) SALAVERRI, op. cit., l. 1, c. 1, a. 2, n. 97, pag. 518-29.12) Gv XIV, 16; XVI, 14. Cfr pure Atti I, 8.13) Mt XXVIII, 18-20. Quando nella S. Scrittura Dio

fa a qualcuno una promessa solenne per compiere un in-carico, allora dà l’aiuto efficace per ottenere l’effetto ri-chiesto (Cfr a titolo di esempio: Es. III, 11-17; Gios. I, 5-9).

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14) Atti V, 32; XV, 28.15) I Tim. IV, 11-16; II Tim. II, 2; Tit. I, 5.16) S. Ignazio d’Antiochia, Ephes. III, 2; Philadelp.

III, 2. S. Ireneo, Adv. hær., I, 10, 1; III, 3, 1; III, 4, 1.Enciclopedia Cattolica, op. cit.

17) V. ZUBIZARRETA O. C. D., op. cit., Q. XIX, Depotestate Ecclesiæ a. 2, Bilbao 1948, n. 453 sq.

18) Summa Apolog. q. 8 a. 3. Bisogna qui rilevarel’errore di molti che affermano che la Chiesa è infallibilequando dice la verità, o quando non proferisce errori.Questa è semplice inerranza che tutti, eretici compresi,possono avere: Ario, Lutero, Calvino hanno affermatoanche cose conformi alla Rivelazione o al Magisteroprecedente a loro. Ciò che è proprio invece dell’infalli-bilità della Chiesa è l’impossibilità di diritto di errore,per cui non può mai sbagliare: questo la contraddistin-gue dall’inerranza di qualsiasi persona o società umana.

19) FRANZELIN, De Traditione, T. XII, Schol. 1.Citato da L. BILLOT, De Ecclesia Christi, T. I, P. II, c. II,q. X pagg. 444-5.

20) DS 2725. CARTECHINI, op. cit., Parte Prima, cap.XI, pag. 155.

21) Questa Tesi è tratta da SALAVERRI, op. cit., T.III, l. II cap. I, nn. 501-580, pagg. 654-665.

22) Soppressi nell’edizione di Denzinger-Schönmetzer.

23) Mt XVI, 18: N. Signore nel promettere ilPrimato a S. Pietro, afferma che sarà il fondamentodella sua Chiesa e che le porte dell’inferno non prevar-rano mai contro di essa. Gv XXI, 15-17: N. Signore dàrealmente a S. Pietro il potere promessogli. Il Papa èdunque Fondamento, Clavigero, Pastore universale. LcXXII, 32: il Conc. Vat., senza voler dichiarare autenti-camente il senso di questo passaggio, fonda il dogmadell’infallibilità sulla preghiera di N. Signore per S.Pietro affinché la sua fede non venga mai meno.

24) SALAVERRI, op. cit., T. III, l. II cap. 2, a. 2 nn.610-636: sono enumerati i documenti dei Papi, Concili,Padri, a partire dal 107 dopo Cristo.

25) L’esempio classico è quello di Giovanni XXII,che pubblicò un’opera contenente un’errore sulla visio-ne beatifica, opera che egli stesso rigettò solennementeprima di morire (DS 990).

26) S. Th. II, II, q. 11, a. 2.27) ASS 22 (1890) 395.28) AAS 42 (1950) 567. 569.563.29) “Il Romano Pontefice, quando parla ex cathe-

dra, cioè quando definisce una dottrina di fede o mora-le da essere tenuta da tutta la Chiesa… gode della stes-sa infallibilità che il Redentore ha voluto dare in manie-ra divina alla sua Chiesa quando definisce una dottrinasulla fede o la morale…”.

30) Mons. Gasser, relatore al Conc. Vat. dellaDeputazione della Fede Mansi 52, 1226 s. Citato da DE

BLIGNIERES, op. cit., pagg. 4-5.31) «Nell’oggetto secondario vengono raggruppate

quelle che con termine generico si chiamano “veritàconnesse”. Le quali formalmente non si trovano nellaRivelazione, ma sono con questa così strettamente le-gate, che vi si possono dire virtualmente contenute.L’errore intorno a queste applicazioni del principio ri-velato scuoterebbe le stesse basi su cui poggiano e met-terebbe in pericolo la fede. Le verità connesse devonoquindi ritenersi presenti nella mente del Divin Maestronell’atto di comunicare la sua Rivelazione, come in ogniessere intelligente sono logicamente presenti le conse-guenze più immediate delle sue affermazioni»ENCICLOPEDIA CATTOLICA, op. cit., col. 1923.

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32) Sono delle verità non di fede ma necessarie perfare l’atto di Fede.

33) J. KLEUTGEN, Annotationes ad schema II deEcclesia: Mansi 53, 325; in SALAVERRI op. cit., T. III, l.2, c. 3, a. 2 , n. 710, pag. 725.

34) Tale canone si ritrovava nello schema riformato inquesto modo: “Se qualcuno dice che la Chiesa di Cristopossa mancare dalla vera fede, o che in nessun altra cosaè certamente immune da errore se non in quello che persé stesso è contenuto nella parola di Dio: an. sit”.

35) F. MARIN-SOLA O. P., op. cit., T. I c. II, sez. II, n.134, pag. 198.

36) Riportiamo, a titolo di esempio, la definizionedella consustanzialità del Padre col Figlio. «La SantaScrittura ci insegna esplicitamente che Gesù Cristo èFiglio unico del Padre, vero Figlio di Dio, vero Diocome il Padre; ma non riporta esplicitamente che sia“consustanziale”… La Chiesa docente si riunisce dun-que nel Concilio di Nicea e, basandosi, come sempre, suidati della Sacra Scrittura e della Tradizione, definisceesplicitamente la consustanzialità del Verbo e aggiungeal Credo tradizionale la celebre formula consubstantia-lem Patri» (MARIN-SOLA, op. cit., n. 202, pag. 300).

37) Riportiamo, a titolo di esempio, la proposizione5 condannata da S. Pio X, DS 3405: “Poiché nel deposi-to della fede sono contenute soltanto le verità rivelate,in nessun modo appartiene alla Chiesa di portare ungiudizio sulle asserzioni delle discipline umane”.

38) MARIN-SOLA, op. cit., n. 253-5, pag. 454-7. Perfede ecclesiastica si indica un atto di fede basatosull’autorità infallibile della Chiesa, anche se non sitratta ancora di un dogma di fede. Cfr: S. CARTECHINI,op. cit., pagg. 50-65. V. ZUBIZARRETA O. C. D., op. cit., n.480-3, pag. 412-5.

39) L’edizione Denzinger-Schönmetzer riassume il testonell’appendice alla condanna di P. Abelardo (DS 721).

40) Prop. 7, 8 e 9, DS 1249-50-5141) D 1669, 73, 75 soppresso in DS [DS 2851, 57].42) “Se la Chiesa nelle sue leggi includesse il pecca-

to mortale, obbligherebbe gli uomini a perdere la vitaeterna” CARTECHINI, op. cit., cap. II, pag. 48.

43) S. Th. II, II, q 10 a 12 in c.44) Come non notare l’affinità di questa proposizio-

ne dei giansenisti con gli argomenti portati da tanti tra-dizionalisti, per poter resistere alle nuove riforme senzatoccare il problema dell’Autorità. Questa condanna limette davanti a una scelta: o accettare le suddette rifor-me, o rifiutarle con spirito giansenista, o prendere posi-zione sull’autorità che li ha legiferati.

45) Diff. de la Pensée Française 1975, pagg. 161-211.46) La Chiesa potrebbe affermare un nuovo dogma

(ad esempio, la Mediazione universale di Maria) isti-tuendo una nuova festa per la Chiesa universale. S.Roberto Bellarmino parlò così al Papa a proposito deldogma dell’Immacolata Concezione, che al suo temponon era stata ancora definito: “Se una definizione forma-le non è data ora, si dovrebbe allora almeno prescriverea tutti gli ecclesiastici secolari e regolari di recitare l’offi-cio dell’Immacolata Concezione come lo fa la Chiesa:così, senza nessuna definizione, otterremo quello che de-sideriamo” citato da DA SILVEIRA, op. cit., pag. 170.

47) Testi citati da SALAVERRI, op. cit., n. 725, pag. 732-3.48) Testi citati da SALAVERRI, op. cit., n. 729, pag. 734.49) Alcuni esempi. Note: di fede, prossima alla fede,

dottrina cattolica, teologicamente certa, sicura. Censura:eretica, errore, prossima all’eresia o all’errore, sospetta oavente sapore di eresia, errore in teologia, temeraria,falsa, offensiva del senso cristiano, scandalosa, non sicura.

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50) Potrà essere peccato mortale indirettamente con-tro la fede per una proposizione dichiarataTeologicamente certa o Dottrina cattolica; peccato mor-tale per temerità per una proposizione dichiarata certa;peccato mortale per disubbidienza per una proposizionedichiarata sicura. CARTECHINI, op. cit., schema all’iniziodell’opera. Vedi anche Parte Prima, c. XI, pagg. 154-8.

51) BILLOT, op. cit., pagg. 445-6 afferma a propositodi una proposizione dichiarata sicura: “Una dottrinaper la quale vi è una solida probabilità che non si oppo-ne alla regola della fede, parlando speculativamenteforse sarà teologicamente falsa, cioè se è consideratasecondo la relazione alla regola della fede considerataoggettivamente in sé stessa. Ma riguardo alla liceità dicredere come opinione la predetta dottrina, essa è cer-tissimamente sicura, e tu puoi abbracciarla con sicurez-za, poiché non ha opposizione, almeno prudentementeattendibile, con quella norma [la fede] contro la qualenon è lecito avere un’opinione contraria”; se invece unadottrina è stata dichiarata non sicura, anche solo proba-bilmente, non si può seguirla.

52) GOUPIL S. J., La règle de la foi, n. 31.53) L. M. DE BLIGNIERES, op. cit., pagg. 6-8.54) Mons. d’Avanzo, relatore della Deputazione

della Fede al Conc. Vat. I, Mansi, 52, 1193. Citato da L.M. DE BLIGNIERES, op. cit., pag. 8. Cf: SALAVERRI, op.cit., n. 544, pag. 666; n. 645-9, pagg. 700-1.

55) Mansi 52, 763-4 e 52, 764 C 1-7. Citati da ABBÉ

BERNARD LUCIEN, op. cit., pagg. 21-3.56) Costituzione dogmatica Dei Filius, Cap. III: De

fide, 24/4/1870.57) Mansi 51, 224 C12- 225 A5: Citato da B. LUCIEN,

op. cit., pag. 39.58) 12-8-1950 (I. P. 1280).59) Istruz. Ecclesia Catholica all’Episcopato cattolico.60) P. Kleutgen, nell’esposto teologico allo schema

sulla Chiesa, al Concilio, Mansi 53, 330 B, Citato da B.LUCIEN, op. cit., pag. 135.

61) Vedere ad esempio gli articoli di ArnaldoVidigal Xavier Da Silveira apparsi su Cristianità, nn. 9,10 e 13 del 1975; 40-41 del 1978. Gli articoli, dovutiall’ottimo intento di provare che si possono rifiutare lenuove riforme senza perdere la fede cattolica, contengo-no purtroppo molti errori, imprecisioni e contraddizioni.

62) Un altro errore afferma che la Chiesa, poiché è in-fallibile per se, può essere fallibile per accidens. Ora laChiesa è infallibile per se in contrapposizione a per alium:nel senso che è per sé stessa infallibile, non ha bisogno diun altro mezzo umano per giungere all’infallibilità.

63) HIRPINUS All’Apostasia per la via dell’«ubbidien-za», in Sì Sì No No, Anno XXI n. 9, 15 Maggio 1995,pagg. 2 e 3.

64) DTC, Eglise, col. 2193 e seguenti.65) Pio XII, Vos omnes, 10/9/1957, I. P. n. 1483.66) Mansi 52, 26-27. Citato da B. LUCIEN, Le canon

de St Vincent de Lérins, in Cahiers de Cassiciacum, n. 6,pagg. 83-95.

67) I. P., La Chiesa, vol. I, n. 571-2.68) ABBÉ H. BELMONT, L’Exercice quotidien de la

Foi, en dépôt chez l’auteur.69) S. LEONE MAGNO, Sermoni, 3, 1-4.

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M. BLONDET E “GLI ADELPHIDELLA DISSOLUZIONE”

Introduzione

L’ultimo libro di Maurizio Blondet è uninteressante saggio sui poteri occulti,

specialmente su quelli economico-culturali.Il saggio inizia con un quadro abbastanza in-quietante in cui il filosofo Massimo Cacciari,intervistato dall’autore, dice esplicitamenteche bisogna togliere di mezzo il “Katéchon”ossia l’ostacolo che trattiene l’Anticristo dalmanifestarsi pienamente, e che è - secondoS. Tommaso d’Aquino - il Papato.

Allora, si domanda un po’ stupito sulleprime il Blondet, Cacciari desidera ACCE-LERARE L’AVVENTO DELL’ANTICRI-STO? Il Nemico finale che si erge contro laChiesa è, per il Cacciari, un SISTEMA ESTE-TICO-ECONOMICO totalmente SECOLA-RIZZATO. È il Supercapitalismo, ulteriore alComunismo. Questa è un’osservazione moltopertinente contro certi liberalconservatori chevogliono vedere nel Comunismo il male ulti-mo e definitivo e, mentre non cercano di risa-lire alla sua causa (il Talmudismo), si ostinanoa negarne il superamento da parte delSupercapitalismo massonico incarnatosi ogginel “Nuovo Ordine Mondiale” (la quarta ri-voluzione). Il Blondet parla esplicitamente di“Capitalismo internazionalista del NuovoOrdine Mondiale tecnocratico”, che è lasomma e il peggio del Liberalismo e del-l’Internazionalismo socialista. “Purtroppo -conclude il Blondet accomiatandosi dalCacciari - credo abbia ragione... Forse vivia-mo davvero sull’ORLO DEI TEMPI ULTI-MI” (M. BLONDET, Gli Adelphi della dissolu-zione, Ares Milano 1994, pag. 13).

Aprire le porte all’Anticristo, favorire ladissoluzione di ciò che lo trattiene, sembra es-sere il programma di un “Ordine delleTenebre” votato ad accelerare la dissoluzione...

La tomba di Mattioli

Raffaele Mattioli, presidente della BancaCommerciale Italiana, aveva deciso, nel 1972, difarsi seppellire nell’abbazia di Chiaravalle, pres-so Milano. Strano, dacché Mattioli era il rappre-

Recensioni

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sentante di quella “religione laica” dellaPlutocrazia liberale che nutriva per ilCristianesimo una profonda ed implacabile ini-micizia. Mattioli amico di Cuccia, Ugo LaMalfa, Malagodi, legato alla Massoneria britan-nica, teorico della dissoluzione di ogni fede, de-cide di farsi seppellire a Chiaravalle! Come mai?

“Che il sacerdote laico della Comit fossegiunto alla conversione, va escluso” (op. cit.,pag. 35). Però sappiamo che il posto scelto daMattioli per esservi sepolto era un’anticatomba svuotata molti secoli fa, per decretodell’Inquisizione. Infatti in essa giacevano iresti dell’eretica Guglielma la Boema mortanel XII secolo; essa era una fanatica della reli-gione femminea e del “DIO ANDROGI-NO”. «Sappiamo... che un identico sentirecova in certa mistica giudaica, anzi è “l’essen-za stessa del giudaismo cabalistico” (G.SCHOLEM, Le messianisme juif, Calmann-Lévy, Parigi 1974, pag. 171)» (op. cit., pag. 37).

Ogni anno, il 27 luglio, sulla tomba che fu diGuglielma e che è di Mattioli, un gruppo di altifinanzieri, si ritrovano a partecipare ad unaMessa e non manca mai Enrico Cuccia. Sonoforse cattolici questi alti plutocrati della finanzalaicista? Il Corriere della Sera (28.07.1994) facapire di no, infatti parla di “un rito privato,quasi SEGRETO”. Il filo conduttore di talerito segreto, andrebbe ricercato nel cultodell’ANDROGINO PRIMITIVO, tanto caroanche a Karol Wojtyla (Cfr. Sodalitium n. 38pagg. 56-59, n. 39 pagg. 36-44, n. 40 pagg. 34-47)

Guénon

René Guénon († 1951), noto negli ambien-ti di certa “destra” esoterico-iniziatica e inqualche Loggia massonica sempre di “destra”,affermava l’esistenza di una Verità iniziaticaantichissima, superiore ad ogni religione.Secondo lui il Re di questo Mondo... può deci-dere di “accelerare la dissoluzione dell’epoca,rompendo gli argini delle forze oscure” (op.cit., pag. 92). Il fatto strano è che un tipo comeSolmi, laico, di sinistra, antifascista, sia un grancultore di Guénon. Blondet risponde a tale in-terrogativo, spiegando che: “Un laicista comeSolmi... può leggere Guénon... per superare lavuota tensione verso il futuro dell’eresiamarxista di Francoforte... Forse, a sedurrecerti potenti di questo mondo è la doppia fac-cia che la gnosi guénoniana attribuisce al redel mondo. Anzi la faccia di ACCELERA-TORE DELLA DISSOLUZIONE... e dellafine dei tempi” (op. cit., pagg. 94-97). Ecco il

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fine (l’accelerazione della fine dei tempi o ladissoluzione finale) che unisce questa settaesoterica di esteti-plutocrati, che associano alculto della magia o della superstizione ance-strale, quello della tecnologia e del progresso.

Roberto Calasso

Il Calasso appartiene all’alta borghesia an-tifascista, che ebbe in Raffaele Mattioli laguida strategica e il protettore influente. Suopadre era un noto massone del Grand’Oriented’Italia. Calasso evoca e desidera “il mondosenza Cristo... UN MONDO FEROCE PERL’UOMO SENZA LUCE DI RISCATTO;ma dipinto come la nostra autentica radice,quella a cui dovremmo tornare” (op. cit., pag.146). Il tessuto cristiano, secondo Calasso, sista strappando e da sotto spuntano gli antichidèi spietati, che ci condurranno alla dissoluzio-ne finale. Secondo Blondet il Calasso “intra-prende la via... luciferina” (pag. 152). “Una viasimile non può concludersi se non con la disin-tegrazione totale dell’essere cosciente e con ladissoluzione senza ritorno, sempre più lontanodal centro principale. Fino a precipitare inquel luogo cui Cristo ha alluso come alleTenebre Esteriori” (pag. 155).

Conclusione

Il libro del Blondet, molto ben documenta-to, ricco di citazioni e riferimenti (anche se in-dulge un po’ troppo verso le religioni e “filoso-fie” orientali), descrive mirabilmente il latooscuro di una lotta che “non è contro creaturedi carne e di sangue, ma contro i Principati e lePotestà, ... contro gli spiriti tenebrosi... che abi-tano nelle regioni celesti” (S. Paolo).

Tale battaglia (da parte nemica) è condot-ta specialmente dalla casa editrice Adelphi,che in greco significa ‘fratelli’. Tale fratellanzasarebbe fondata sullo scopo di dissolvere ciòche è e di preparare l’avvento all’Anticristo(cfr. Sodalitium n. 24, pagg. 3-14) e al diavolo.

Tutto ciò è inquietante e non sarebbeuna buona tattica quella di non voler vedereciò che ci inquieta e che potrebbe portarcidavvero sull’orlo dell’abisso. Occorre farqualcosa: “agere contra per diametrum” di-rebbe S. Ignazio. Per combattere il nemicobisogna conoscerlo e per poterlo conoscerebene, è consigliabile, seppur con alcune ri-serve, la lettura del libro del Blondet.

don Curzio Nitoglia

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…A PROPOSITO DI OPUS DEI

Fondata in Spagna nel 1928 da don Escrivàde Balaguer, l’Opus Dei è, secondo le AP-

PARENZE, un’Opera molto discreta, seria,conservatrice e, in alcuni campi, anche tradi-zionale; tuttavia LA SUA REALTÀ sembrain disaccordo con le sue stesse apparenze.

Per queste brevi note mi baso su un re-cente libro (1) di Arnaud de Lassus che,scartando tutte le altre testimonianze, studiasolo i testi, cioè le Costituzioni, gli Statuti, ilibri, gli opuscoli raccomandati dall’Opusstessa e i Documenti romani sull’Opera.

Le critiche che vengono mosse all’OpusDei nello studio esaminato sono varie, mada esso ne emergono tre in particolare: che“la REALTÀ PROFONDA dell’Opus, na-scosta mediante il segreto, sarebbe molto di-versa dalla sua APPARENZA”, che “…lasua dottrina sociale sarebbe in parte libera-le”, ed infine, che “l’Opera professa unadottrina discutibile in materia di lavoro” (2).

Il primo appunto che le viene mosso è lasegretezza: “Sembra che fino al 1989 gli sta-tuti dell’Opera siano stati tenuti alquanto se-greti (3). L’articolo 189 delle Costituzioni,(anteriori al 1982) recita infatti: “…Insti-tutum, uti tale OCCULTUM VIVERE VULT(L’Istituto come tale vuole vivere occulta-mente)… Data indole Instituti, quod externe,uti societas, apparere non expedit (Data l’in-dole dell’Istituto cui non conviene apparireall’esterno come una società)”.

E l’articolo 190 aggiunge: “Consequenter,vel ipsa aggregatio Instituto nullam externammanifestationem patitur; extraneis celatur nu-merus sociorum: immo de his extraneis nostri-ne colloquantur (Il fatto stesso di essere mem-bro dell’Istituto non permette alcuna manife-stazione esterna; e si celerà agli estranei il nu-mero dei membri dell’Istituto, anzi i nostrinon parleranno di ciò con gli estranei)”.

L’autore ne conclude quindi che l’OpusDei è “un’Opera i cui statuti sono stati divul-gati solo nel 1989 (cioè sessant’anni dopo lasua fondazione) e che ha sempre spintomolto in là la preoccupazione del segreto (4).

Il secondo appunto mosso all’Opus Dei èquello di avere una dottrina sociale liberalee quindi non conforme al Magistero tradi-zionale della Chiesa. Secondo mons. deBalaguer bisogna “evitare l’abuso… di crea-re una sorta di dogmi dottrinali su questionitemporali” (5) e in documenti diversi è datodi leggere lo stesso pensiero del fondatore:

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“Noi ammettiamo il più gran pluralismo intutto ciò che è temporale” (6); “[il membrodell’Opus Dei] non arriverà mai a dire o acredere che discende dal Tempio verso ilmondo per rappresentarvi la Chiesa, né chele soluzioni che dà ai problemi temporalisono le soluzioni cattoliche. No… questonon è possibile. Sarebbe del clericalismo”(7)… E ancora: “Io non parlo mai di politica.Non penso che la missione dei cristiani sullaterra sia di dar vita ad una corrente politico-religiosa (sarebbe una follia)” (8).

Quanto siamo lontani dall’insegnamentodi San Pio X: “Noi non possiamo non farepolitica” e di Pio XII: “Dalla forma data allasocietà dipende la salvezza o la perdita di ungran numero di anime”!

E ancora nelle opere di mons. Escrivà (9)si può trovare un’aperta dichiarazione a favo-re dell’introduzione della libertà di cultodelle false religioni in Spagna; d’altro canto lacosa non deve stupire particolarmente se siconsidera che “l’Opus è la PRIMA organiz-zazione cattolica che …ammette a titolo dicooperatori i non cattolici, cristiani o no” (10).

Nel libro del padre Thierry, raccomanda-to dall’Opus stessa, si legge ancora: “Gli as-sociati all’Opus Dei sono convinti che intutto ciò che è umano: politica, cultura, eco-nomia non vi siano dogmi… Libertà in tuttociò che è scelta d’ordine temporale…” (11); sicomprende quindi l’esclamazione di mons.Escrivà: “Gli insegnamenti promulgati dalVaticano II sulla libertà religiosa non posso-no che rallegrarmi” (12).

Il terzo appunto mosso all’Opus Dei èquello del culto del lavoro come fine ultimodell’uomo, che, per il suo fondatore, è statocreato - in base a Gen. II, 15 - “ut operaretur”.

Per suffragare la sua tesi, mons. Escrivànon esita a forzare il senso della citazione diGiobbe “homo nascitur ad laborem, et avisad volandum”, traducendo laborem con “la-voro”, travisando il senso latino, etimologi-co, del termine che significa fatica, travaglioe alterando quindi il significato della fraseche viene comunemente tradotta dagli ese-geti: “l’uomo nasce per soffrire, faticare, pe-nare…” [non certo “per lavorare”].

Il fine dell’uomo, come insegnaSant’Ignazio, è conoscere amare servire Dioe mediante questo salvarsi l’anima. Tutte lecreature, invece, sono mezzi per cogliere ilfine e le si deve usare tanto quanto ci aiuta-no a cogliere il fine, né più nè meno (com-preso quindi il lavoro).

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La spiritualità cattolica, inoltre, ha sem-pre insegnato che la vita contemplativa è su-periore e più nobile di quella attiva. SanBenedetto diceva: “ora et labora”, cioèprima prega e poi lavora; mons. Escrivà in-vece insegna che “la famiglia, il lavoro,l’amicizia conducono a Dio TANTOQUANTO la vita contemplativa”(13), at-tuando con ciò una sorta di capovolgimentodel motto benedettino (14).

Come si vede, non si tratta di osservazio-ni di poco conto. Il libro del de Lassus, per-tanto, dovrebbe porre dei seri problemi ainumerosi cattolici che cercano nell’OpusDei un punto di riferimento sicuro nell’at-tuale situazione di disgregazione di molteistituzioni ecclesiastiche; sono veramente si-curi di trovare quello che cercano?

di don Curzio Nitoglia

Note

1) A. DE LASSUS, L’Opus Dei, Textes et Docu-ments, Action familiale et scolaire, Paris 1993.

2) op. cit., pag. 5.3) Ibidem. pag. 28.4) Ibidem. pag. 33.5) Lettera del 9 gennaio 1932, citata da J.J. THIER-

RY, L’Opus Dei, mythe et réalité, ed. Hachette, Paris1973, pag. 115.

6) MONS ESCRIVÀ, Intrattenimenti, n° 30.7) Ibidem n° 116-117.8) Omelie, n° 3, pag. 26.9) Intrattenimenti , n° 29.10) Ibidem, n° 44.11) THIERRY, op. cit., pag. 122.12) Intrattenimenti , n° 44.13) J.J. THIERRY, op. cit., pag. 60.14) Chi volesse approfondire il tema può consultare:G. ROCCA, L’Opus Dei. Appunti e documenti per

una storia, ed. Paoline, Roma 1985.D. LE TOURNEAU, L’Opus Dei, que sais-je?, Presses

Universitaires de France, 1991.

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K. STEIGLEDER, L’Opus Dei vista dall’interno, ed.Claudiana, Torino 1986.

RODRIGUEZ, OCARIZ, ILLANES, L’Opus Dei nellaChiesa, ed. Piemme, Casale Monferrato 1993.

V. MESSORI, L’Opus Dei, Mondadori, Milano, 1994.

ABBIAMO RICEVUTO

- PIERO VASSALLO, La gnosi del sotto-suolo, ed. Certamen, Alessandria 1995 (£10.000). In tale libro il dott. Vassallo ap-profondisce le questioni filosofiche trattatedal Blondet; raccomandiamo vivamente lalettura di tale saggio, che può essere richie-sto tramite vaglia postale intestato a: SiroMazza, Piazzetta della lega Lombarda, 14 -15100 Alessandria.

- GENERALE MOUSTAFÀ TLASS, L’azimodi Sion, da richiedere a: Dar Tlass, 78 Bou-levard de Mazzeh, Damasco, Siria (12,50 dol-lari). Esiste in lingua araba, francese e italia-na. Specificare in quale idioma lo si vuol rice-vere. In tale opera si tratta dell’omicidio ri-tuale del padre Tommaso, cappuccino, per-

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Il libro di DON ANTHONY CEKADA

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Visita episcopale. Mons. Dolan si è recatodapprima in Francia a Raveau dove il

sabato 3 giugno e il giorno dopo domenica diPentecoste, accompagnato da don Murro edon Giugni a Tours, nella cappella di padreBarbara, ha amministrato il sacramento dellaCresima a circa quaranta persone. Dopoaver tenuto una conferenza sul suo apostola-to negli Stati Uniti e nel Messico ai nostri fe-deli di Annecy, è venuto, in seguito, in Italia.Sabato 10 giugno a Verrua Savoia ha confe-rito la Tonsura a Crist Van Overbecke eJoseph Hoffman e gli ordini minori dell’esor-cistato e accolitato a Geert Stuyver e JaimeSiordia. Sabato pomeriggio ha amministratola Cresima ai fedeli italiani. Infine, domenica11, festa della SS. Trinità, con una commo-vente cerimonia ha consacrato l’altare e be-nedetto la nuova cappella di Torino, chedopo anni di ricerche abbiamo trovato in viaThesauro 3. Si tratta di un notevole passoavanti per il nostro Istituto a dieci anni dallasua fondazione. Da quando, nel 1982, morìMons. Vaudagnotti, la S. Messa fu celebratain locali di fortuna, prima in via Verdi e poiin via Saluzzo. Finalmente abbiamo quellache si può considerare una vera chiesa per ilculto del vero Dio. Mentre ringraziamo tuttii benefattori che hanno contribuito a questariuscita ci auguriamo di poter un giorno rea-lizzare questo sogno in tante altre città. Unachiesa che si apre è il miglior segno dellacontinuità della Religione cattolica.

Entrate nell’Istituto. Il 25 maggio, festadi San Gregorio VII (e, quest’anno, ricor-renza dell’Ascensione del Signore) si è svol-ta la cerimonia di entrata nell’Istituto MaterBoni Consilii di un nuovo membro: CristVan Overbecke (Belgio).

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Apostolato. Di comune accordo con i fe-deli ferraresi, abbiamo deciso di intensificarela presenza dell’Istituto nell’antica capitaleestense; d’ora innanzi la S. Messa vi sarà cele-brata due volte al mese, seguita da un corso dicatechismo per adulti per i militanti e gli amicidel Centro Culturale san Giorgio. Analoga ini-ziativa a Torino, ove don Nitoglia, oltre alconsueto corso di catechismo per gli adultiche frequentano l’Oratorio del sacro Cuore,assicura dei corsi di formazione ai membri edamici del Centro Studi L’Araldo. Il 30 aprilevicino a Ferrara, il 18 giugno a Urbe (Savona)ed il 25 giugno a Cave (Roma) sono state ce-lebrate delle messe di suffragio per i cadutidell’aprile 1945, vittime dell’odio di partedelle bande comuniste. Numerosi i giovanipresenti ed impressionante l’interesse e lacommozione nel seguire per la prima volta onel ritrovare dopo tanti anni la messa “triden-tina”. Da parte sua, don Murro ha corso unsuo speciale Tour de France (ad aprile) e Girod’Italia (a maggio) ...apostolico, naturalmente,non ciclistico! In Italia, per esempio, ci sareb-bero speranze di lavoro apostolico inRomagna, nelle Marche o in Campania, men-tre in Francia non è escluso che un nostro sa-cerdote vi si stabilisca definitivamente neiprossimi mesi... Tutto ciò deve però ancoraconcretizzarsi. Giovani che leggete questerighe, ricordate l’appello del Signore: la messeè tanta, e gli operai sono pochi! Chi di voisaprà essere generoso?

Buona stampa. Dopo l’edizione italiana, lanostra Cooperativa Editrice ha pubblicatoanche l’edizione francese del libro di donAnthony Cekada su Le preghiere della nuovaMessa. Abbiamo instaurato anche una frut-tuosa collaborazione con altre associazioni.Don Ricossa, per esempio, ha scritto un brevesaggio introduttivo alla traduzione italianadella prima parte del libro (ormai classico) diDa Silveira sul nuovo messale. Egli è ancheautore di una prefazione all’ultima opera diPadre Barbara La Bergerie du Christ et le loupdans la Bergerie (Forts dans la Foi, 16 rue desOiseaux, F - 37000 Tours). Il tema del magiste-ro ecclesiastico e della sua infallibilità è certa-mente dei più attuali ed importanti; era oppor-tuno che, a fianco di opere più strettamenteteologiche, come quella dell’abbé Lucien(L’infaillibilité du Magistère ordinaire et uni-versel de l’Èglise. Association Saint-Herménégilde. 18, Av. Bellevue - F - 06100Nice) o quella del P. de Blignières (A proposde l’objet du Magistère ordinaire et universel.

Vita dell’Istituto

petrato a Damasco da alcuni ebrei nel 1840.- P. LOUIS - MARIE DE BLIGNIERES L’In-

segnamento di Giovanni Paolo II è ancoracattolico? Con prefazione di DON RICOSSA(56 pagine). Disponibile presso la nostra re-dazione.

- Novità: M. BLONDET, Complotti, ed.Minotauro, viale Bligny 47 - Milano, 1995(£ 16.000).

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Supplemento a Sedes Sapientiæ. Société Saint-Thomas-d’Aquin, Chéméré-le-Roi, F-53140Ballée; un’edizione italiana con prefazione didon Ricossa di questo opuscolo è in prepara-zione), ci fosse un libro più divulgativo e di piùampia portata, come quello di Padre Barbara(anche se non tutte le posizioni espresse nellibro sono condivise del nostro Istituto).

Pagine Libere. (via Margutta 19 Roma).Con un articolo intitolato Guerra per pace, donCurzio Nitoglia ha iniziato la sua collaborazio-ne al mensile Pagine libere di azione sindacale(cf n. 2, febbraio 1995, pagg. 52-54). Un’occa-sione preziosa per far conoscere il pensiero to-mista ad un numero sempre più vasto di lettori.

Conferenze. Su invito degli organizzatori,don Ricossa ha partecipato anche quest’anno,al convegno di Civitella del Tronto (10-12marzo), pur non essendo tra gli oratori. In col-laborazione col Centro Studi L’Araldo, e conl’aiuto di altri amici, sono state organizzatedue conferenze a Torino. La prima, il 7 aprile,tenuta dai professori Giacinto Auriti (Uni-versità di Teramo) e Sergio Luppi (UniversitàCattolica di Milano) sul tema La BancaCentrale: da strumento della grande usura aIstituzione di diritto sociale. Prospettive peruna riforma del sistema monetario. La secon-da, il 12 maggio, tenuta dal giornalistaMaurizio Blondet e dal nostro don CurzioNitoglia, sul tema: “Oligarchie finanziarie edelites editoriali: strategie per una cultura delladissoluzione”. Il 29 aprile, a Genova c’è stataun’altra conferenza di don Nitoglia, sempre in-sieme allo stesso giornalista ed a PietroVassallo, intitolata: “Dall’anarchia del pensie-ro alla morale anarchica”. Infine, il 17 giugno aRoma don Curzio Nitoglia ed il prof. AgostinoSanfratello hanno parlato sulla “legge

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Mancino” ai giovani di Militia Christi. A que-sto proposito, il nostro Istituto ha organizzatoun comitato per l’incostituzionalità di questalegge; uno studio al proposito del dottor CarloAlberto Agnoli verrà prossimamente pubbli-cato dalla casa editrice “Civiltà” di Brescia.

Trasmissione televisiva sui trapianti d’or-gani. Il 22 marzo, don Ricossa ha partecipatoalla trasmissione televisiva Parlato semplice(Rai 3), dedicata al problema del trapianto diorgani. La nostra rivista ha già spiegato per-ché questi trapianti sono in contrasto con lamorale cattolica (cf Sodalitium, n. 12, pp. 18-23). È questa posizione che abbiamo difesodurante la trasmissione, citando l’insegnamen-to di Pio XII, secondo il quale si deve presu-mere che il malato è ancora in vita, fino alladefinitiva cessazione delle tre funzioni vitali:nervosa, respiratoria e cardiaca, questo anchese viene mantenuto in vita solo con mezzi arti-ficiali. La trasmissione era naturalmente tuttaorientata in favore dei trapianti di organi.

Dibattiti. Il religioso francescano PadreBonaventura da Gangi ha inviato al direttoredi Controrivoluzione (Piazza Martiri 10,Borgo San Lorenzo, Firenze), Pucci Cipriani,una replica all’articolo di don Ricossa sulmagistero ecclesiastico ed il ConcilioVaticano II, di cui abbiamo riferito nelloscorso numero del bollettino. Il prossimo nu-mero di Controrivoluzione ospiterà pertantosia le critiche di Padre Bonaventura, sia la ri-sposta di don Ricossa. La Contre-RéformeCatholique dell’abbé de Nantes ha dedicatoun nuovo numero (il 310, febbraio-marzo1995, pagg. 1-26, 31-32) a Sodalitium eall’Istituto Mater Boni Consilii. La rivistafrancese pubblica l’editoriale del n. 40 diSodalitium (n. 38 dell’edizione francese), laseconda parte dell’articolo 1994: Anno dellafamiglia o dell’Androgino primitivo, il dos-sier su e dell’abbé Berger, e le parti dellaVita dell’Istituto dedicate al dibattito con laCRC, con una risposta dell’abbé de Nantesin persona. Cosa dire di questo nuovo dos-sier (cf. sulla stessa questione: Sodalitium, n.39, pp. 68-70; n. 40, pp. 72-75)? È innanzitut-to importante, a nostro avviso, spersonalizza-re il dibattito. Un lettore (che ringraziamo)ad esempio, ci ha scritto: “nell’ultimo nume-ro della Contre-Réforme Catholique ho lettocon interesse la vostra corrispondenza colPadre de Nantes. Questo dibattito mi è sem-brato tuttavia sfasato con la dura e tristeprova che agita la CRC da qualche mese...”.In effetti, non ignoriamo totalmente le vicis-

Una vista della nuova chiesa di Torino durante la Messa di Inaugurazione

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situdini cui allude il lettore. Pubblicandonella CRC (n. 310, p. 2) l’articolo di Soda-litium sulla teoria wojtyliana dell’ “Andro-gino primitivo”, l’abbé de Nantes scrive:“Questa morale coniugale [esposta daSodalitium] è la nostra, ed è alla sua luce chesi spiegano le nostre opinioni sullaCircumincessante carità, risolutamente anti-freudiane e che non si possono paragonare,senza un totale equivoco, all’Androginia, allaquale si oppongono assolutamente”. Per laverità (per limitarci all’aspetto dottrinale),leggendo precedentemente le teorie al pro-posito della CRC, avevamo creduto anchenoi che esse combaciassero sostanzialmentecon quelle wojtyliane, tanto più che l’abbé deNantes e Giovanni Paolo II sembrano condi-videre la stessa stima per Soloviev (cf CRC,nn. 131-133, da luglio a settembre 1978).Sodalitium vuol quindi precisare che essonon intende mischiarsi con le vicende dellaCRC. Solo secondariamente, infatti, si trattadi un dibattito tra due riviste, due associazio-ni o più sacerdoti; la questione disputata èoggettiva e suscettibile di interessare tutti icattolici, anche quelli che non sono d’accor-do con noi o con l’abbé de Nantes. Ancorauna volta, delimitiamo i confini della que-stione: come capire, da un lato, una verità difede definita, quale l’infallibilità del magiste-ro universale ordinario [MOU] (ConcilioVaticano I, Denz. B. 1792) e dall’altro comecomprendere una conclusione teologicaprossima alla definizione, quale l’infallibilitàdel magistero ordinario del Papa.

Premesso che Sodalitium pubblica (a pag.57) un articolo di don Murro sul magisterodella Chiesa al quale potete far riferimento,vediamo innanzitutto in cosa la CRC e noisiamo d’accordo. Non c’è disputa sull’oggettodell’infallibilità: tutto quanto è stato rivelatoda Dio, direttamente o indirettamente (ovveroverità naturali connesse col rivelato perché ne-cessarie per difenderlo). Non c’è disputasull’infallibilità del magistero nella sua moda-lità solenne, che si tratti di quello del Papa oquello del Concilio. C’è disputa sull’infallibi-lità del magistero ordinario, sia quello univer-sale (del Papa con i Vescovi) sia quello delPapa da solo. C’è disputa anche sull’obbedien-za dovuta al magistero puramente autentico.Limitiamoci all’infallibilità del magistero ordi-nario universale. L’abbé de Nantes (e final-mente, dopo averlo a lungo negato, anche laFraternità San Pio X) ammette l’infallibilitàdel magistero ordinario universale; natural-

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mente, poiché è una verità di fede cattolica de-finita dal Concilio Vaticano I. Solo, egli dà unainterpretazione errata dei criteri che permet-tono di discernere quando la Chiesa ha fattouso dell’infallibilità del suo magistero ordina-rio. La sua interpretazione (che non è suffra-gata a nostro parere dall’articolo del DTC dalui citato a pag. 32, annesso II) concorda so-stanzialmente con quella della Fraternità sanPio X. Per essere infallibile il magistero ordi-nario della Chiesa non dovrebbe solo essereuniversale nello spazio (ovvero insegnato“ovunque” dal Papa e dai Vescovi in comu-nione con lui) ma anche nel tempo (creduto“sempre” nel passato da “tutti”). Lo dice chia-ramente nel primo annesso di p. 32: “L’infalli-bilità diffusa del Magistero ordinario noncopre che gli insegnamenti di cui nessunomette in discussione che siano stati e siano an-cora quelli di tutta la Chiesa docente, sempree ovunque, ricevuti come tali dal popolo fede-le, secondo il suo ‘senso della fede’, senza con-testazione e violenza”. È chiaro che, con unasimile concezione del “magistero ordinariouniversale”, l’abbé de Nantes non riesca a ve-dere l’utilità e la praticità di questo modo diinsegnamento, per cui, a suo avviso, “la solainfallibilità chiara, decisiva, indiscutibile, èquella delle definizioni dogmatiche accompa-gnate da anatemi, promulgate dal Magisterostraordinario o solenne” (ibidem)! La Chiesaavrebbe solennemente definito l’infallibilità diun magistero oscuro, non decisivo e discutibi-le... Una corrente di pensiero volontaristaspiega come mai tanti teologi (non tutti perfortuna!) hanno a volte le idee confuse in ma-teria. In ogni caso, pur senza citarlo, l’abbé deNantes vede nel famoso canone di SanVincenzo di Lerino il criterio per discernerel’infallibilità del Magistero ordinario universa-le: “bisogna tenere quello che è stato credutoovunque, sempre e da tutti”. Fu la Fraternitàsan Pio X, al seguito di M. Martin-G. Salet(cf., ancora recentemente, l’articolo dell’abbéLaroche su Le sel de la terre, n. 8, primavera1994, pp. 65-66), a sostenere che il criteriodell’infallibilità del MOU sarebbe il canone diSan Vincenzo: se il magistero ordinario ripetela tradizione, quello che già tutti ammettonoda sempre, è infallibile; se insegna cose fino adallora discusse, può errare, e deve ricorrere,per essere garantito dall’infallibilità, alle defi-nizioni solenni. Si tratta di un errore già am-piamente refutato, non solo nel libro succitatodell’abbé Lucien sul MOU, ma anche in variarticoli dei Cahiers de Cassiciacum, ai quali ri-

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mando il lettore (passim, ma soprattutto il n.6). Ci si rende facilmente conto che l’interpre-tazione che la CRC e la Fraternità danno delMOU nega praticamente, svuotandola di ognivalore, la sua infallibilità (che invece è una ve-rità di fede) riducendola ad una semplice iner-ranza di fatto. Non per niente, per la CRC,l’infallibilità del MOU è poco chiara. In effetti,è vero che ciò che è stato creduto “ovunque,sempre e da tutti” non può essere errato; manon c’è un gran bisogno della speciale assi-stenza dello Spirito Santo concessa alla Chiesadocente per ripetere ciò che già è ammesso datutti pacificamente. In breve, questa interpre-tazione erronea aggiunge abusivamente unacondizione all’infallibilità del magistero ordi-nario della Chiesa. In realtà, esso è infallibilese una dottrina è insegnata ovunque come ri-velata anche se non lo è stata sempre e da tuttiin maniera esplicita. Infatti la Chiesa intera,ora, non può errare, spacciando per rivelato oconnesso col rivelato quello che non lo è.Altrimenti le porte dell’inferno avrebbero pre-valso su di essa; la Chiesa non sarebbe, comeinvece è, indefettibile. Un esempio chiarirà laquestione. Pio IX consultò tutti i Vescovi sulladottrina dell’immacolata concezione di Maria(e Pio XII su quella della assunzione in Cielodella Vergine), trovandoli moralmente con-cordi su questa verità. In questa occasione siebbe la certezza che l’Immacolata concezione(o l’assunzione di Maria) era già, prima di ognidefinizione solenne, infallibilmente insegnatadal magistero ordinario della Chiesa. Eppurequeste dottrine, pur contenute nel deposito ri-velato, non sono state ritenute sempre esplici-tamente come rivelate ovunque e da tutti,come sa chiunque si sia occupato della storiadei dogmi! Con ciò non affermiamo, ovvia-mente, che il magistero ordinario possa essereinfallibilmente vero, e nello stesso tempopossa contraddire l’insegnamento tradizionaledella Chiesa. Se questa contraddizione si veri-ficasse, l’unica spiegazione plausibile sarebbeche chi ha preteso far uso della forma ordina-ria (o solenne) del magistero ecclesiastico, erasolo apparentemente il soggetto dell’infallibi-lità, ovverosia non era formalmente ed in attol’Autorità. Il che è esattamente quello che èaccaduto, a nostro parere, in occasione delVaticano II.

Italia-Belgio. Sempre più frequenti le tar-ghe rosse e bianche delle automobili belghenel cortile di Verrua! Un segno della colla-borazione sempre più stretta tra l’Istituto edi fedeli di quel paese. Oltre ai due seminaristi

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che vivono e studiano regolarmente da noi,siamo stati simpaticamente “invasi” da quat-tro spedizioni di soccorso provenienti dalleFiandre; persone volonterose e lavoratrici cihanno aiutato in mille modi nella gestionedella casa. In cambio, se così si può dire, unnostro seminarista (messicano) si è recato aBruxelles per la Settimana Santa, mentredon Curzio Nitoglia ha predicato un ritiro aBruxelles per il mese di maggio. Lo stessodon Curzio si è recato in seguito in Spagna.

Auguri. Il 29 giugno l’abbé GustaveDelmasure ha festeggiato a Cannes i ses-sant’anni di sacerdozio. Don Curzio a nomedi tutto l’Istituto si è recato nella cittadinafrancese per unirsi alla gioia del nostro con-fratello al quale tutti noi assicuriamo il so-stegno delle nostre preghiere.

Prime comunioni. A Verrua, il 19 mag-gio, hanno fatto la loro prima comunioneMaria Bichiri, Maria Vittoria Bichiri,Alessandro Coppellotti e Francesco Lorenzi.Il giorno dopo a Torino, in maniera più di-screta ma non certo meno sentita, la primacomunione di un adulto: Dio sia lodato!

Matrimonio. Il 27 maggio, nella cappelladella fattoria del Colombaio a LoroCiuffenna (Arezzo), don Francesco Ricossaha benedetto le nozze di suo fratello Luca

Un momento della cerimonia di Benedizione della nuova chiesa di Torino

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con la signorina Nadia Adami. Auguri aglisposi da tutto l’Istituto Mater Boni Consilii:che il Signore benedica la loro unione, man-tenendo sempre unita questa nuova famigliacattolica nella fede e nella carità.

Defunti. Il 9 marzo a Valmadrera (Lecco),il Signore ha chiamato a Sé l’anima di MarziaAldeghi ved. Arrigoni. Quasi tutti i membridell’Istituto erano presenti ai funerali celebratiil giorno seguente da don Nitoglia. La cerimo-nia ha edificato molti degli astanti e non è pas-sata inosservata nel comune lombardo, untempo cattolicissimo; il quotidiano locale LaProvincia ne ha dato un resoconto (scambian-doci per “lefebvriani”). Dopo aver dato il suoaiuto e contributo generoso alla vita parroc-chiale di Valmadrera, Marzia Aldeghi, che erauna donna amante della preghiera e di unostile di vita povero e semplice, si trovò a disa-

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gio nel clima postconciliare, per cui, con altri, siavvicinò prima alla Fraternità e poi, dalla suafondazione, all’Istituto. Abbiamo perso una fe-dele ed una benefattrice su questa terra; confi-diamo di avere una protettrice di più in cielo.

La lontananza ci impedisce, a volte, diessere vicini a tanti amici negli ultimi mo-menti. La famiglia ci ha segnalato la morteedificante di un nostro affezionato lettore,Giuseppe Di Natale di Ravanusa; il figlioJean-Charles ci ha fatto sapere della mortedi sua madre, signora Raymonde Ceruti, de-ceduta il 3 marzo u.s all’età di 93 anni, dasempre vicina a Mons. Guérard desLauriers. Assieme, affrontavano grandi sa-crifici (facevano più di tre ore di viaggio)per assistere alla sua Messa a Raveau. Allefamiglie, le condoglianze di Sodalitium e lapromessa delle nostre preghiere.

ESERCIZI SPIRITUALI DI S. IGNAZIO

“Che giova mai all'uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde l'anima? O cosa darà un uomo in cambio della sua anima?” (Matteo XVI, 26).

“Se gli uomini fanno gli esercizi spirituali, e li fanno bene, il mondo è salvo!” (Padre Vallet, C.P.C.R.).

PER GLI UOMINI:dal lunedì 21 agosto, ore 12, al sabato 26 agosto, ore 12. AVerrua Savoia.

dal lunedì 7 agosto ore 12, al sabato 12 agosto, ore 12. ARaveau in Francia (In lingua francese).

PER LE DONNE:dal lunedì 28 agosto, ore 12, al sabato 2 settembre ore 12. AVerrua Savoia.

dal lunedì 31 luglio ore 12, al sabato 5 agosto, ore 12. A Raveauin Francia (In lingua francese).

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SS. MESSE

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Torino: Oratorio del S. Cuore, via Thesauro3/D. S. Messa il primo venerdì del mese etutti i giovedì, alle ore 18,15 e confessionidalle ore 17,30. Tutte le domeniche, con-fessioni dalle ore 8,30, SS. Messa cantataalle ore 9,00; S. Messa letta alle ore 11,15. Catechismo il sabato pomeriggio.

Valmadrera (CO): Via Concordia, 21- Tel.(0341) 58.04.86. SS. Messe la lª e la 3ª do-menica del mese alle ore 10, e confessionidalle ore 9,30.

Marano Vicentino (VI): Via Vittorio Veneto48, presso la famiglia Parolin. SS. Messe la2ª e la 4ª domenica del mese alle ore 18,30.Per informazioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Maranello (MO): Villa Senni - Strada perFogliano - Tel. (0536) 94.12.52. S. Messatutte le domeniche alle ore 11.

Bologna: S. Messa la 3ª domenica del mese.Per informazioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Ferrara: S. Messa la 2ª 4ª domenica del mese.Per informazioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Firenze: Via Ciuto Brandini, 30, presso laProf.ssa Liliana Balotta. SS. Messe la lª e la3ª domenica del mese alle ore 18,15 e con-fessioni dalle ore 17,30.

Roma: S. Messa la 1ª e la 3ª domenica delmese, alle ore 11. Viale Sirtori 50, pressola famiglia Pristerà, Tel. (06) 55.280.224.

FRANCIA

Annecy: 11, avenue de la Mavéria. SS. Messela 2ª e la 4ª domenica del mese alle ore 10e confessioni dalle ore 9,00. Tel. dall’Italia:(0033) 50.57.88.25.

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SPAGNA

Arenas de Iguña: 37450 Carrettera general,n. 90, presso le signore Maria e PilarAlejos. Per informazioni: Tel. dall’Italia(0034) 942.82.66.57.