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1 Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali CORSO DI ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO MATERIALI INTEGRATIVI (a cura del Docente) PARTE PRIMA: BENI, DIRITTI FONDAMENTALI E DIRITTI DI PROPRIETÀ IMPORTANTE . Questi materiali non costituiscono una sintesi sostitutiva del Libro di testo. Essi vanno invece utilizzati come Guida alla preparazione. Infatti contengono: (a) alcune integrazioni, soprattutto su questa prima parte; (b) indicazioni su come e cosa studiare, con evidenza dei punti cruciali; (c) riferimenti normativi (Costituzione, Codici e Leggi) che è doveroso conoscere. Anno Accademico 2014-2015

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Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali

CORSO DI ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO

MATERIALI INTEGRATIVI

(a cura del Docente)

PARTE PRIMA:

BENI, DIRITTI FONDAMENTALI E DIRITTI DI PROPRIETÀ

IMPORTANTE. Questi materiali non costituiscono una sintesi

sostitutiva del Libro di testo. Essi vanno invece utilizzati come Guida

alla preparazione. Infatti contengono: (a) alcune integrazioni,

soprattutto su questa prima parte; (b) indicazioni su come e cosa

studiare, con evidenza dei punti cruciali; (c) riferimenti normativi

(Costituzione, Codici e Leggi) che è doveroso conoscere.

Anno Accademico 2014-2015

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ISTRUZIONI PER LA PREPARAZIONE DELLL’ESAME

1) Lo studente ha a disposizione il testo L.A. Franzoni, D. Marchesi, Economia e

Politica del Diritto, Il Mulino. Di questo testo non sono state utilizzate le Appendici

che quindi possono essere trascurate ai fini della preparazione. Inoltre i capitoli 7, 11,

12, 13 e 14 contengono riferimenti ad analisi empiriche comparative relative a vari

aspetti degli ordinamenti giuridici di diversi paesi. Di tali parti i Materiali on line

suggeriscono ciò che è necessario sapere e commentare, evitando un superfluo

apprendimento mnemonico delle tabelle e dei grafici

2) Per contro i Materiali, oltre a evidenziare sinteticamente le parti cruciali da

comprendere e argomentare, suggeriscono alcune integrazioni che è bene

conoscere. Essi contengono anche alcune Appendici di richiamo di nozioni di

Microeconomia che si aggiungono a quelle esposte nel Capitolo 1.

3) La prova scritta consisterà nel rispondere a tre domande nel tempo di 75 minuti.

Tali domande hanno una struttura molto simile a quella delle domande che si possono

trovare in PERCORSO DI AUTOVERIFICA alla fine di ciascun capitolo. Esse

saranno tuttavia formulate ciascuna in tre parti: (a), (b) e (c) in modo da guidare la

risposta evidenziando i punti cruciali da esporre e la loro sequenza.

4) La prova orale è facoltativa per chi raggiunge la sufficienza, obbligatoria per voti

compresi tra 15 e 17, mentre non si è ammessi ad essa per voti inferiori a 15.

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Premesse. L’analisi economica del diritto

Questi materiali hanno lo scopo di guidare la preparazione dell’esame di Analisi economica

del diritto, integrando in modo succinto i contenuti del libro di testo consigliato L. A. Franzoni, D.

Marchesi, Economia e politica economica del diritto, Bologna, Il Mulino (d’ora in poi citato

come F&M). Nello stesso tempo essi seguiranno lo schema espositivo delle lezioni del Corso

suggerendo, laddove pienamente esaustivi, i capitoli e paragrafi di F&M da utilizzare sui vari

argomenti, evidenziando punti particolarmente rilevanti e proponendo integrazioni.

Ai fini della lettura si segnala che:

- Le sintesi o conclusioni contenute in riquadri bordati (come questa frase)

evidenziano punti di particolare rilievo ai fini della preparazione.

- In rosso sono evidenziati i riferimenti di articoli della Costituzione, dei Codici o di

Leggi che è importante conoscere.

1.1 Metodo

Nell’introduzione e all’inizio del cap. 1 F&M danno alcune informazioni sull’origine e sul

metodo dell’Analisi economica del diritto. Alla loro trattazione va aggiunta la seguente

considerazione.

Lo scopo dell’Analisi economica del diritto è essenzialmente normativo piuttosto che descrittivo o

interpretativo. Per comprendere questo punto si consideri il seguente esempio riferito ad uno dei

capitoli fondamentali del libro e del corso, quello della responsabilità civile. Al riguardo si possono

porre tre tipi di domande:

a) Come si interpretano le norme circa la responsabilità civile del nostro Codice civile?

b) Come si può spiegare l’origine di queste norme in termini di scelte collettive di un paese?

c) Quale delle tipologie di responsabilità ( oggettiva o per colpa) risulta più efficiente dal punto di

vista del benessere collettivo?

La domanda (a) è tipica del giurista; le (b) e (c) sono tipiche dell’economista (ma

recentemente anche del giurista che interagisce con l’economista). Quanto alle seconde due

domande la (b) riguarda poi gli scopo descrittivi o postivi della disciplina, mentre la (c) riguarda gli

scopi normativi che in Analisi economica del diritto sono prevalenti. Ciò non toglie che nella

letteratura siano presenti contributi di natura prevalentemente descrittiva che spesso costituiscono

un utile supporto alle valutazioni di carattere normativo.

Le valutazioni di carattere normativo si basano su confronti in termini di efficienza come

ben spiegato da F&M. E’ bene precisare che, trattandosi di valutare le conseguenze delle norme in

termini di benessere collettivo, l’efficienza di cui si parla è quella sociale che tiene conto non

solo dei benefici e costi privati ma anche di quelli sociali. Questi ultimi derivano secondo gli

economisti dai noti casi di fallimento del mercato che F&M illustrano nel cap. 1 e che in genere,

nelle lezioni, saranno dati per noti o, comunque verranno richiamati di volta in volta quando

necessario.

Ai costi sociali dovuti ai fallimenti del mercato vanno poi aggiunti quelli dovuti ai fallimenti dei

governi (ad esempio per insufficienza informativa dei legislatori, dei giudici e dei funzionari

pubblici), nonché quelli amministrativi dovuti all’esercizio delle attività pubbliche.

In breve: una norma legale è efficiente quando le sue conseguenze determinano

benefici privati e sociali superiori ai costi privati e sociali.

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Si suggerisce comunque di leggere il capitolo per verificare le proprie conoscenze necessarie per la

comprensione del Corso.

1.2 Beni e diritti: in particolare beni pubblici e privati (e comuni)

L’approccio dell’Analisi economica del diritto richiede dunque di considerare le norme

giuridiche, e i diritti che esse definiscono e tutelano, al pari dei beni. Naturalmente le norme

giuridiche non hanno prezzo né mercato e dunque vanno valutate secondo le loro conseguenze. Ma

in un certo senso questo è vero anche per i beni. Infatti dal punto di vista del benessere collettivo i

beni sono considerati per il surplus, pari alla differenza tra benefici e costi, che essi generano al

consumatore che li acquista e alle imprese (o produttori) che li vendono su un mercato.

Ciò significa che anche nel caso delle norme giuridiche o dei diritti che esse tutelano si ritiene

possibile valutare benefici e costi (naturalmente sociali) poiché, dopotutto, se norme e diritti sono

stati promulgati e tutelati è perché una società attribuisce ad esse un valore.

Da questo punto di vista è possibile una sorta di analogia tra beni e diritti. Una nota

distinzione che sarà molto utilizzata è quella tra beni pubblici e privati. Essa si basa, com’è noto

sulle caratteristiche di escludibilità e rivalità illustrata sotto (rivedere su questo punto il Cap.1,

par.12 di F&M).

Escludibili Non-escludibili

Rivali

Beni Privati cibo, vestiario, auto,

personal computer

Beni Comuni risorse ittiche, fauna,

spiagge, mari, fiumi

e bacini idrici,

internet

Non-rivali

Beni di Club

tv via cavo, campi da

golf, servizi di club

esclusivi

Beni pubblici fari, strade pubbliche,

difesa, giustizia

A ben vedere le due caratteristiche consentono una quadri-partizione dei beni che oltre ai beni

privati (escludibili e rivali) e pubblici (in escludibili e non rivali) prevede anche i beni comuni o

commons ( non escludibili ma rivali) e i beni di club o club goods (escludibili ma non rivali).

In secondo luogo è bene chiarire che la caratteristica di escludibilità può essere fondata su

ragioni tecniche o economiche o legali. Ad esempio l’esclusione dalla luce del faro o dalla difesa

dei confini nazionali è tecnicamente impossibile (in tal caso si può parlare di beni pubblici puri). In

altri casi l’esclusione è socialmente troppo costosa in rapporto ai benefici che ne deriverebbero: si

pensi ad esempio al costo di impedire l’utilizzo dello spazio aereo. (si veda anche Art. 840 c.c. “Il

proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel

sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle”,

dove la frase “non abbia interesse ad escluderle” allude chiaramente all’impossibilità di escludere

perché eccessivamente costoso).

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Al contrario l’accesso alle terre nell’Inghilterra del XVI secolo, prima delle enclosures, era

garantito dalle norme consuetudinarie del paese: In tal caso si tratta di valutare se la regola legale

sottostante fosse efficiente. Molti beni comuni storicamente noti avevano questa caratteristica di

non esclusione basata su norme formali o consuetudinarie, il cui superamento viene spiegato

usualmente con la maggiore efficienza della proprietà e gestione privata che, nell’ipotesi di

comportamento razionale dei proprietari o dei gestori, pone rimedio al sovra-sfruttamento del bene.

Tuttavia in molti altri casi non risulta efficiente la proprietà privata bensì quella pubblica. Il

problema della gestione più efficiente dei beni comuni è stato sollevato da un celebre articolo di un

biologo, Garret Hardin, ed è noto come Tragedia dei commons). (su questo punto si veda F&M ,

Cap.2, par.1, l’Appendice 1 e, più sotto il paragrafo dedicato all’origine della proprietà)

In generale si può dire che un bene è razionalmente escludibile se il costo

dell’esclusione (ad esempio le recinzioni delle terre) è superiore ai benefici che ne

derivano (maggiore prodotto medio per unità di lavoro della stesse)

Va anche aggiunto che l’inescludibilità può essere razionalmente desiderabile e

giustificabile se l’autorità che la istituisce valuta correttamente che il beneficio sociale di certi beni

rivali sia superiore a quello percepito dai singoli e che, dunque, sia opportuno garantire il libero

accesso a tutti per incentivarne l’uso o il consumo: in tal caso si parla di beni meritori (ad esempio

la sanità pubblica, l’istruzione obbligatoria, la previdenza). In genere si ritiene che, in questi casi, il

beneficio sociale sia superiore a quello privato quando questi beni sono in grado di generare

esternalità positive a favore della collettività (ad esempio salute e istruzione favoriscono l’aumento

della produttività e della competitività del sistema economico).

Ma concentriamoci per ora sulla distinzione privati-pubblici. Questa è molto importante per

due ragioni:

a) i beni privati in quanto escludibili danno luogo a diritti esclusivi di proprietà che possono essere

scambiati sul mercato o mediante negozi o contratti, quelli pubblici non possono essere scambiati su

un mercato ma sono forniti attraverso accordi di cooperazione tra gli utilizzatori. I diritti di utilizzo

dei beni pubblici non sono esclusivi: ad esempio nessuno può essere escluso dalla difesa o dall’uso

di una strada pubblica.

b) I beni privati sono scambiati in modo efficiente in assenza di fallimenti del mercato (esternalità.

asimmetrie informative, monopolio), i beni pubblici sono in sé un fallimento del mercato, tant’è che

non possono avere un mercato proprio. In concreto essi devono essere forniti (per lo più) dallo

Stato.

Questa distinzione consente una analogia con i diritti privati e pubblici? A scopo preliminare

e didattico possiamo dare una risposta positiva nel seguente senso: dai diritti pubblici intesi come

diritti stabiliti dalla Costituzione dello Stato (diritti fondamentali, diritti sociali, diritti civili)

nessuno può essere escluso almeno nelle società democratiche moderne, da quelli privati intesi

come diritti su beni scambiabili è possibile l’esclusione;

1.3 Beni pubblici e cooperazione

Prima di entrare nel merito dei diritti e delle loro tutele, ovvero dell’ordinamento giuridico,

conviene pensare che questi regolano l’appartenenza ad uno Stato. In prima istanza il ruolo dello

Stato è, tra l’altro, quello di fornire i beni pubblici sulla cui fornitura i singoli sono incapaci di

accordarsi. Com’è noto ciò deriva dal problema dell’opportunismo che spesso viene illustrato

mediante il gioco del Dilemma del prigioniero (d’ora in poi DP, rivedere su questo punto

l’Appendice al Cap.1 di F&M). Esso è già stato studiato nei Corsi di Microeconomia e può essere

illustrato dallo schema sottostante.

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Indichiamo con i simboli p i payoffs del giocatore di riga e π i payoffs del giocatore di colonna. Il

primo deponente C (coopera) o D (defeziona) di ogni payoff indica la strategia di quello di riga ed il

secondo (con lo stesso significato) di quello di colonna.

Coopera Defeziona

Coopera pCC , πCC pCD, πCD

Defeziona pDC, πDC pDD , πDD

Si ricorda che per ciascun giocatore è dominante la strategia (C o D) che dà allo

stesso il maggior payoff per qualsiasi strategia scelto dall’altro.

Si definisce poi equilibrio di Nash la combinazione delle strategie dominanti dei

due giocatori.

Ad esempio

Per il giocatore riga se pDC > pCC (se colonna coopera è maggiore il payoff di defezionare) e pDD

>pCD (se colonna defeziona è maggiore il payoff di defezionare), la strategia dominante è D

(defezionare)

Per il giocatore colonna se πCD > πCC (se riga coopera è maggiore il payoff di defezionare) e πDD >

πDC (se riga defeziona è maggiore il payoff di defezionare), la strategia dominante è D

(defezionare)

In questo caso l’equilibrio di Nash sarà dunque (D, D) ovvero la defezione generale o di entrambi i

giocatori. Lo studente potrà riconoscere in questo esempio il caso di un DP.

Pere illustrare il caso dei beni pubblici facciamo ora le seguenti ipotesi

- si suppone che il gioco sia simmetrico, ovvero che i due giocatori ottengono lo

stesso payoff quando adottano la stessa strategia

- chi coopera da solo ottiene pCD = πDC= x

- chi defeziona da solo ottiene pDD = πDD= 1

- x < 1, ovvero il payoff o beneficio di chi defeziona da solo è maggiore di quello di

chi coopera da solo

- se entrambi cooperano, ottengono ciascuno 2x > 1, poiché l’inescludibilità del bene

pubblico assicura che il beneficio vada a favore dell’altro

- per la stessa ragione dell’inescludibilità del bene pubblico un giocatore defeziona

mentre l’altro coopera ottiene (1+ x)

- si suppone infine che sia 1> x> 1/2

Quindi la matrice dei payoffs sarà la seguente

IL BENE PUBBLICO COME DILEMMA DEL PRIGIONIERO

Coopera Defeziona

Coopera 2x , 2x x , (1+ x)

Defeziona (1+ x) , x 1 , 1

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Alla luce delle ipotesi verifichiamo ora che si tratta di un DP.

Giocatore di riga: se colonna coopera, cooperando ottiene pCC = 2x e defezionando

ottiene pDC = (1+x) > 2x

se colonna defeziona, cooperando ottiene pCD = x e defezionando

ottiene pDD = 1 > x

=> la sua strategia dominante sarà perciò la defezione!

Giocatore di colonna se riga coopera, cooperando ottiene πCC = 2x e defezionando

ottiene πCD = (1+x) > 2x

se riga defeziona, cooperando ottiene πDC = x e defezionando ottiene

πDD = 1 > x

=> la sua strategia dominante sarà perciò la defezione!

Perciò l’equilibrio di Nash sarà la defezione generalizzata (da parte di

entrambi i giocatori)

Quale combinazione di strategie risulta socialmente superiore (paretianamente

superiore)?

Se adottiamo il criterio di somma dei payoffs vediamo che:

- se entrambi cooperano si ottiene 4x

- se entrambi defezionano si ottiene 2< 4x

- se uno defezione e l’altro coopera si ottiene 1+2x >2 ma < 4x

Ne segue che l’equilibrio di totale defezione è socialmente inferiore alla mutua

cooperazione. Non solo, ma esso è anche il peggior risultato possibile.

Vedremo più sotto, seppure con cenni molto sintetici, che l’origine dello Stato si basa

proprio sulla necessità di far fronte alla produzione di beni pubblici. Per ora poniamoci il seguente

problema: se l’opportunismo impedisce l’accordo per cooperare nella fornitura di beni pubblici,

com’è stato possibile che essi fossero prodotti per consenso tra individui o attraverso un’istituzione

dotata dell’autorità riconosciuta di farlo?

Essenzialmente la risposta risiede in ciò. Un conto è il valore materiale x dei payoffs del

gioco, un altro conto è il valore U(x) ad essi attribuito dalle preferenze dei giocatori (nel nostro caso

gli individui posti di fronte al problema di produrre un bene pubblico). Le scelte strategiche dei

giocatori dipendono dalle seconde che coincidono col valore materiale solo se nelle loro preferenza

coincide con esso, ovvero U(x) = x.

Se ad esempio, nel caso di un DP, i giocatori attribuissero (per altruismo o per avversione

all’ineguaglianza) un valore anche ai payoffs dell’altro e non solo ai propri il gioco potrebbe

cambiare nel senso che l’equilibrio di Nash potrebbe diventare quello in cui tutti cooperano anziché

defezionare. Questo perché chi defeziona potrebbe essere disincentivato dal farlo poiché attribuisce

un valore inferiore alla defezione in quanto tiene conto anche degli svantaggi di chi invece coopera.

Ciò potrebbe avvenire anche per avversione al rischio se i giocatori mettono in conto, in un mondo

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incerto, potrebbero trovarsi con una certa probabilità di trovarsi nella situazione di essere

svantaggiato dalla defezione altrui. In sostanza una possibilità di superamento di un DP potrebbe

consistere in preferenze pro-sociali degli individui.

Una seconda possibile spiegazione consiste nel fatto che l’emergenza dello Stato non può

essere spiegata in termini di un gioco simultaneo in una singola mossa, ma attraverso una sequenza

di interazioni tra i giocatori giocatori che, attraverso esse, imparano a cooperare. Se, infatti, un

giocatore decide di cooperare e l’altro defeziona, allora il primo giocatore replica defezionando

anche lui (in un certo senso punendolo). Ma il secondo giocatore potrebbe valutare la possibilità di

cooperare anziché defezionare e, sotto certe condizioni, ritenere più conveniente questa strategia

(vedere Appendice 2)

1.3 L’interesse generale come criterio di efficienza sociale

Ma il ruolo dello Stato non si limita alla produzione di beni pubblici bensì si estende anche a

interventi volti a porre rimedio agli altri fallimenti del mercato o, in molti casi come quello italiano,

a fornire anche beni meritori. Naturalmente l’intensità della produzione dei beni pubblici o

dell’intervento per porre rimedio ai fallimenti del mercato, e della produzione normativa

conseguente è molto variabile nella storia e nei diversi ordinamenti giuridici.

Il problema dell’analisi economica del diritto è quello di verificare l’efficienza delle norme in

termini di benessere sociale o collettivo. Ma le norme di livello costituzionale o sub-costituzionale

si ispirano a qualche criterio assimilabile a quello degli economisti?

Nelle norme, nella giurisprudenza e nella dottrina i termini più prossimi al concetto di

benessere collettivo sono “interesse generale o pubblico” e “utilità generale o sociale”. L’interesse

pubblico è definito spesso nei dizionari e nelle enciclopedie come sinonimo di benessere generale1.

Il termine interesse generale e utilità sociale sono utilizzati nella Costituzione italiana ad esempio

nel Titolo II art.32 (la tutela della salute è nell’interesse della collettività) e tre volte nel Titolo III

non a caso dedicato ai rapporti economici, nel Codice civile (per giustificare espropri e altre

limitazioni del diritto di proprietà), oltre che richiamati frequentemente nella legislazione e nella

giurisprudenza sia costituzionale che ordinaria e amministrativa. Esistono tuttavia numerose

obiezioni all’idea di assimilare l’interesse generale con il benessere sociale degli economisti. La

principale riguarda la circostanza che l’interesse pubblico spesso non riguarda i rapporti economici

o gli interventi nell’economia.

Ad esempio si può sostenere che l’interesse dell’Italia a pretendere che non siano intercettate

da servizi di sicurezza stranieri le telefonate dei membri del proprio governo abbia a che fare più

con la dignità nazionale che con il benessere del paese. Tuttavia si potrebbe anche sostenere che la

riservatezza dei colloqui telefonici dei ministri costituisce un problema di sicurezza nazionale, e

questa potrebbe essere considerata un bene pubblico al pari della difesa e della giustizia.

Si può assumere ai nostri fini che il perseguimento dell’interesse generale sia

equivalente a perseguimento del benessere sociale.

Inoltre si tenga conto che:

Poiché nella realtà empirica una società non si trova mai in uno stato di massimo

benessere sociale o di “ottimo paretiano” o di first best, i giudizi di efficienza sulle

norme si limitano a valutazioni di mero miglioramento del benessere ovvero di

second best.

1 Si veda ad esempio la definizione di Public Interest nell’analoga voce di Wikipedia.

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2. Ordinamento giuridico e Stato

NOTA BENE: i contenuti di questo paragrafo sono integrativi rispetto al testo. E’

bene ricordarli!

L' ordinamento giuridico, in diritto, indica sia una comunità organizzata in vista del

perseguimento di uno scopo comune (quindi, in questo senso, si può dire che lo Stato è un

ordinamento giuridico), sia l'insieme delle norme che regolano la vita di questa comunità (in questo

senso, quindi, si dirà che lo Stato ha un ordinamento giuridico).

Nei secoli immediatamente anteriori alla formazione degli Stati moderni il dibattito

sull’origine dello Stato ha preso la forma di teoria del Contratto Sociale. L’idea centrale di questa

teoria era che gli uomini sono fuoriusciti dallo stato di natura (pre-statuale) accordandosi tra di loro

nel riconoscere un’autorità cui delegare una parte dei propri diritti, accettando obblighi e divieti,

volti a favorire la cooperazione e la convivenza sociale. In alcuni teorici del Contratto sociale

particolarmente pessimisti sulla natura dell’uomo, come Hobbes, tale accordo aveva la funzione di

vincolare i comportamenti individuali a non danneggiare gli altri (il bellum omnium contra omnes),

sottoponendosi al potere dittatoriale di un sovrano. In altri, meno pessimisti come Locke, gli uomini

già dotati di sentimenti morali erano in grado di accordarsi su una convivenza più democratica

(questa visione è quella che ha ispirato le prime grandi Costituzioni moderne, come quella Francese

e Americana)

2.2.1 Le prime comunità del Paleolitico

Secondo il racconto biblico la prima violazione del più elementare diritto umano, quello alla

vita, avvenne da parte di Caino per gelosia e invidia nei confronti di Abele. La realtà deve essere

stata ben diversa. Mors tua, vita mea era dopotutto una strategia possibile per i primi umani,

costretti alla lotta per la sopravvivenza dalla competizione per il cibo, non solo con i loro simili ma

anche con altre specie cacciatrici.

La prima formazione, durante il Paleolitico, delle bande di cacciatori-raccoglitori è

probabilmente dovuta alla consapevolezza che vita tua, vita mea poteva essere una strategia

migliore. Secondo gli antropologi, l’occasione per imparare ciò si verificò a seguito della scarsità di

cibo procurato cacciando piccole prede: la nuova strategia infatti comportava che, cooperando nella

caccia alle grandi prede anziché lottare da soli e tra di loro per quelle piccole, si ottenevano

maggiori vantaggi per tutti.

Le grandi prede avevano però la caratteristica di dover essere consumate in breve tempo

(con le tecniche di allora) e di non poter essere conservate per essere scambiate con altri beni. Di

conseguenza esse non potevano essere sottratte al consumo di chi non aveva partecipato alla caccia

poiché il costo di escludere qualcuno dal loro consumo superava il beneficio che ne derivava. In

sostanza le grandi prede erano inescludibili, come un bene pubblico, e ciò creava il problema

dell’opportunismo. Sia che gli altri cacciatori decidessero di cacciare da soli le piccole prede, sia

che decidessero di cooperare nella caccia alle grandi prede, al singolo conveniva razionalmente fare

da sé poiché non sarebbe stato comunque escluso dal consumare la grande preda. In sostanza la

situazione era simile a quella di un Dilemma del prigioniero (nel seguito DP) che gli economisti

utilizzano per discutere delle scelte sui beni pubblici.2

2 K. Hawkes, Why hunter-gatherers work: an ancient version of the problems of public goods, “Current

Anthropology”, 4, 1993, pp.341-361

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Sembra che il problema dell’opportunismo sia stato superato grazie ad una sorta di sindrome

egualitaria dei nostri primi progenitori, i quali aborrivano la disuguaglianza e le gerarchie.3 Sarebbe

stato in virtù di queste particolari propensioni o preferenze che si affermarono i primi diritti, oggetto

più di norme morali che di regole giuridiche: quello alla vita e quello, strettamente associato, alla

divisione egualitaria del cibo. Questo tipo do organizzazione sociale potrebbe essere definito ordine

morale4

2.2.2 L’emergenza dell’autorità nelle società pre-statuali

Il successivo avvento dell’agricoltura vide la formazione di comunità più ampie e dei primi

stati che necessitavano, per sopravvivere, di beni pubblici assai più impegnativi, quali la difesa e la

sicurezza, ma caratterizzati essi stessi da un dilemma decisionale simile a quello primitivo circa la

convenienza a cooperare. In genere si ritiene che la soluzione di tale dilemma sia stata trovata

attraverso la sottomissione ad un potere dotato della risorsa della forza. Tale teoria viene sostenuta

ad esempio da Olson con la sua teoria dello stationary bandit .

L’ordine morale può essere mantenuto solo finché una banda rimane abbastanza piccola ,

ma. quando la sua dimensione cresce oltre un certo limite e la sua economia raggiunge un certo

grado di complessità , la mancanza di una struttura di governo diventa un ostacolo insormontabile.

In particolare la complessità economica aumenta quando le bande diventano stazionarie avendo

scoperto, attraverso la domesticazione, i vantaggi dell’agricoltura che poteva fornire risorse

alimentari molto superiori a quelle ricavabili dalla sola caccia e raccolta dei frutti della natura. In

questa situazione secondo Olson qualche “bandito” (nel senso membro della banda) finirebbe per

affermarsi come dittatore (uno "stationary bandit" ) e acquisire il potere. L'autorità di questo

dittatore sarebbe accettata (a differenza che nelle bande originarie) poiché egli è in grado di fornire

sicurezza e protezione contro i banditi nomadi .

Infatti quando il conflitto tra le diverse comunità vicine si intensifica, la difesa militare

acquisisce grande importanza . La principale conseguenza di questo è che i leader della comunità

iniziano a specializzarsi nell’organizzazione delle attività militari e diventano veri e propri capi

Questo processo è generalmente accompagnato da un rafforzamento di autorità dei leader , che

diventa sempre più coercitivo e sostenuto da un’organizzazione militare.

2.2.3 L’emergenza dello Stato e le spiegazioni contrattualiste

I primi stati veri e propri erano essenzialmente agricoli e necessitavano di altri beni pubblici

essenziali come quelli relativi alla regolazione delle acque o alle comunicazioni via terra mediante

strade. Esempi tipici sono costituiti dai regni mesopotamici e dell’Egitto. Ciò comportava una fase

di un’ulteriore centralizzazione del potere coercitivo che assommasse in sé la capacità di imporre la

cooperazione attraverso forme di contribuzione in lavoro, in natura o in maniera fiscale per la

fornitura di beni pubblici non più limitati solo alla difesa militare e alla sicurezza interna, ma estesi

anche a grandi opere pubbliche ad esempio per regolamentare le acque e per irrigare i campi. Nello

stesso tempo lo sviluppo dell’agricoltura determinava la nascita dei primi embrioni di diritti di

proprietà che, per essere tutelati, necessitavano dell’esercizio della giustizia affidato al sovrano o a

suoi delegati e ben presto alla promulgazione di leggi e codici scritti. Uno dei più antichi risale ad

Hammurabi che regnò dal 1792 al 1750 a.C.

Questa storia consente, seppure in modo schematico di concepire la nascita dello Stato come

fornitore di beni pubblici e, in un certo senso, come una sorta di bene pubblico generale. La stessa

sembra aver ispirato le teorie secondo cui i primi Stati, intesi come beni pubblici generali, sino

emersi mediante un Contratto sociale che affidava ad un Sovrano il potere (di organizzare i beni

3 C. Boehm, Impact of human egalitarian syndrome on darwinian selection mechanics, “American Naturalist”, 1997, S

100- S121.

4 Sugden, R. (1986) The Economics of Rights, Co-operation and Welfare. Oxford: Blackwell.

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pubblici e di definire i diritti). Infatti il DP implicito nell’accordo tra i cittadini sarebbe stato

sostanzialmente irresolubile in assenza del potere coercitivo di un Sovrano. Né la perdita della

sindrome egualitaria dei primi umani del paleolitico avrebbe consentito di superare il dilemma

stesso attraverso preferenze pro-sociali.

Sostanzialmente questa è la spiegazione di Hobbes secondo il quale l’incentivo alla

cooperazione e al superamento dello stato di natura, derivava dalla paura piuttosto che da

propensioni e preferenze egualitarie. Né Hobbes poteva ammettere che i sovrani degli Stati

storicamente precedenti al XVII secolo fossero stati investiti del potere sulla base di un consenso di

natura democratica che rispettasse i diritti dei cittadini. Piuttosto il loro potere derivava da una sorta

di sottomissione e di rinuncia ai loro diritti volta allo scopo di evitare il bellum omnium contra

omnes.

Il Contratto sociale basato sul consenso era piuttosto quello concepito da Locke il quale

pensava che nello stato originario gli uomini fossero guidati da una sorta di Legge di natura in loro

innata e ispirata ai tre principi di “ragione, eguaglianza e libertà”. Seppure diversa dalla sindrome

egualitaria dei primi cacciatori raccoglitori del Paleolitico, questa innata moralità era in grado di

favorire l’accordo a cooperare attraverso l’istituzione dello Stato. Locke infatti pensava che gli

individui erano stati capaci di accordarsi nell’istituire lo Stato perché questo avrebbe costituito una

sorta di “giudice neutrale” atto a proteggere le loro vite, la loro libertà e la loro proprietà.

Questa concezione giusnaturalistica del Contratto sociale non poteva certo essere considerata una

spiegazione realistica della formazione degli Stati originari in seguito, costituì la base filosofica

delle prime costituzioni moderne come quella americana e francese

3: Diritti fondamentali e diritti di proprietà: loro rapporti con i beni.

NOTA BENE: i contenuti di questo paragrafo sono integrativi rispetto al testo. E’

bene conoscerli!

Così come, nel campo dei beni si può fare una distinzione tra beni pubblici in capo allo Stato

per loro natura inalienabili e beni privati alienabili, una analoga distinzione può essere fatta tra

diritti alienabili e diritti inalienabili in genere definiti fondamentali (DF) dalle Costituzioni (ed

eventualmente in Dichiarazioni dei diritti separate ma di rango costituzionale). Più discusso e

controverso è l’elenco, piuttosto variabile sia in concreto che in dottrina. Si suole anche distinguere

gli stessi in diritti di libertà (DFL) e diritti sociali (DFS).

Il termine inalienabili trova fondamento non solo nel pensiero giusnaturalistico, basato

sull’idea di una loro pre-esistenza (ad esempio: vita, libertà e proprietà in Locke), ma anche nelle

teorie del diritto di stampo hegeliano secondo cui questi diritti riguardano la sfera di autonomia

delle persone, cioè la personalità dei cittadini in quanto distinta dalle cose che possono essere

invece trasferite da una persona all’altra.

D’altra parte anche i Codici civili che contengono norme di rango sub-costituzionale spesso

prevedono una parte dedicata ai diritti delle persone (e della famiglia) e una parte dedicata ai diritti

alienabili o trasferibili. Nel Codice civile italiano il Libro I porta il titolo “Delle persone e della

famiglia”, mentre i successivi hanno per oggetto successioni, donazioni, obbligazioni, contratti,

crediti ecc. Diversamente dai DF, i diritti di proprietà o patrimoniali (DP), hanno per oggetto

beni o prestazioni e sono singolari o disponibili, alienabili e negoziabili.

Se passiamo ora ai beni possiamo meglio inquadrare le distinzioni di natura economica

tenendo conto della diversa natura dei diritti. Si potrebbe dire anzitutto che ai diritti fondamentali

dovrebbero corrispondere certi beni fondamentali, per loro natura inalienabili, dai quali un

ordinamento giuridico ritiene di non escludere nessuno, mentre ai diritti patrimoniali dovrebbero

corrispondere beni privati alienabili (BPR). Tuttavia incrociando le distinzioni tra diritti e quelle tra

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12

beni (a seconda delle loro caratteristiche di escludibilità/inescludibilità e rivalità/non rivalità),

otteniamo una classificazione più articolata, illustrata dalla Tabella sottostante.

Inescludibilità tecnico

econom/NonRivalità

Inescludibilità

tecnico

econom/Rivalità

Inescludibilità

desiderabile/Rivalità

Escludibilità

/Rivalità

DFL BP BD BPP DFS BM DP PS BPR

Beni economici inalienabili dovrebbero essere certamente i beni pubblici (BP) e i beni

comuni (BC). Si noti però che raramente gli ordinamenti giuridici moderni, formatisi nello spirito di

distinguere ciò che appartiene ai privati e ciò che appartiene al pubblico (si veda ad esempio tale

distinzione in Cost. Art. 42), fanno riferimento ad una nozione giuridica di beni comuni.

Nel nostro ordinamento il caso più prossimo a quello dei beni comuni è costituito dai c.d. beni

demaniali (BD) a cui si riferisce l’Art. 822 c.c. primo comma, che comprende il lido del mare, la

spiaggia, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, tutte le acque definite pubbliche dalla legge.

In secondo luogo non tutti gli ordinamenti giuridici riconoscono esplicitamente come

fondamentali i diritti sociali. In quelli che li riconoscono, come quello italiano e molti europei, a

questi diritti corrispondono in genere i beni meritori o beni privati forniti pubblicamente (BM) che

danno luogo a beni (o servizi) inescludibili per ragioni di desiderabilità sociale. Per il nostro

ordinamento si veda ad esempio Cost. Art. 32 sulla salute e sulla garanzia di cure gratuite agli

indigenti (in sostanza la sanità pubblica), Art. 34 sull’istruzione obbligatoria, Art. 38 c.2 sulla

pensione di vecchiaia (in sostanza la previdenza obbligatoria).

In terzo luogo molti ordinamenti riconoscono come beni fondamentali, e in quanto tali

inalienabili, i beni di cui sono titolari le persone, ma che non è consentito alienare in quanto parte

costitutiva del loro corpo. Un esempio tipico riguarda la non commerciabilità del sangue o di

organi del corpo che possono solo essere donati ma non venduti. Si veda su questo punto F&M

cap.2 par.5.Questi beni privati ma fondamentali sono talora definiti personalissimi (BPP)5.

Infine se distinguiamo la nozione economica di bene pubblico da quella giuridica (basata sul

titolo di proprietà attribuita allo Stato), dobbiamo rilevare che vi sono molti beni di proprietà

pubblica cui corrispondono diritti di natura patrimoniale, che sono rivali, ma che sono strumentali

alla fornitura di beni pubblici o meritori.. Questi beni appartengono al Patrimonio dello Stato e

degli Enti locali (PS). Si pensi al caso degli edifici pubblici strumentali rispetto alla fornitura di

beni pubblici puri come la la difesa (si veda ad es. i mezzi di difesa nazionale citate all’ art. 826,

c.c., c.2), o gli edifici destinati a pubblici servizi dello Stato e degli Enti locali (si veda Art. 826

c.c., c.3).

*

4.: L’economia dei diritti fondamentali

NOTA BENE: i contenuti di questo paragrafo sono integrativi rispetto al testo. E’

bene conoscerli!

5 Questa definizione, ad esempio, viene adottata da L.Ferrajoli, Principia iuris, Laterza, Bari, 2006

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Gli economisti hanno spesso assimilato il valore dei diritti a quello dei beni che ne sono

oggetto. Tuttavia questa assimilazione, tipica dell’utilitarismo tradizionale, è stata molto discussa e

criticata 6. In linea di principio, infatti, consumare un bene e avere il diritto di farlo sono oggetti

distinti delle preferenze umane: ad esempio, si può desiderare di avere il diritto a consumare un

certo bene senza necessariamente avere alcun desiderio di consumarlo effettivamente, oppure

desiderare di avere il diritto di opinione pur non gradendo certe opinioni altrui.

Nel caso dei diritti patrimoniali, il loro valore può essere inteso nel doppio senso di valore

dei beni oggetto degli stessi oppure di valore di risarcimento in caso di lesione o di danno ai beni in

questione. Questi però hanno un valore determinato da scambi o contratti che riflette i benefici

ottenuti dal loro consumo o godimento.

Nel caso dei diritti fondamentali, invece, il loro oggetto è costituito da situazioni giuridiche

universalmente riconosciute alle persone in sé, o ai cittadini di un dato paese, e che non sono

suscettibili di essere scambiate. Dunque esse non hanno un “prezzo”, ma nemmeno un ben

definibile valore di risarcimento, poiché la loro protezione è (in molti casi) solo di tipo inibitorio,

cioè volta a impedirne la lesione piuttosto che a risarcirla. Tuttavia il valore della loro protezione

può essere ricondotto a quello dei mezzi necessari al loro enforcement: ad esempio il diritto a un

giusto processo implica l’uso del bene pubblico giustizia; il diritto di opinione consente l’uso di

mezzi privati per esprimerla, ma necessita anche di beni pubblici per essere tutelato7.

I beni che sono atti a soddisfare i diritti fondamentali, o a garantirne la protezione legale,

non sono necessariamente solo beni pubblici. Si pensi al caso dei beni comuni in senso economico

(o commons), che sono inescludibili ma rivali; oppure a quello di molti beni che sono forniti o

sussidiati in modo universale, pur essendo tecnicamente escludibili e rivali. Questi sono spesso

definiti sociali nel linguaggio giuridico, in quanto atti a soddisfare specificamente i corrispondenti

diritti8.Tipici esempi sono costituiti dall’istruzione obbligatoria, dalla sanità pubblica o dalla

previdenza cui, non a caso, sono associati non solo diritti, ma anche obblighi di fruizione e di

contribuzione.

Relativamente a questi ultimi, tradizionalmente ricondotti alla categoria dei merit goods, si

riteneva che lo Stato dovesse provvedere alla loro fornitura onde evitarne la sotto-produzione o il

sotto-consumo determinati dell’insufficiente disponibilità dei privati a pagarli9.

L’insufficiente disponibilità a pagare dei privati viene di norma spiegata con

preferenze incomplete o non informate sul corretto valore di questi beni, ad esempio

perché almeno le categorie con meno risorse non avrebbero la possibilità di

sperimentarne pienamente il consumo per insufficienza di mezzi. L’intervento

6 Per tutti si veda A. SEN, B. WILLIAMS (a cura di), Utilitarismo e oltre, Milano, Il Saggiatore, 1984, trad. it di A. SEN,

B. WILLIAMS (eds.), Utilitarism and beyond, Cambridge, Cambridge University Press, 1984). 7 In effetti tutti i diritti fondamentali, e non solo quelli sociali, hanno un costo derivante dalla necessità di finanziarne

l’enforcement, come hanno correttamente evidenziato S. HOLMES, C. R. SUNSTEIN, Il costo dei diritti, Bologna, Il

Mulino, 2000, trad.it. di The Cost of Rights: Why Liberty Depends on Taxes, New York, Norton, 1999. 8

Si veda per il diritto italiano L. FERRAJOLI, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia. I) Teoria del diritto,

Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 726 ss., che distingue i beni sociali, atti a soddisfare i corrispondenti diritti, dai beni

comuni e da quelli privati, atti a soddisfare diritti patrimoniali. Questa distinzione si affranca da quelle più tradizionali

basate su criteri soggettivi, aventi riguardo ai titolari del diritto di proprietà, ed introduce la categoria dei beni comuni,

oggetto di recenti dibattiti e proposte di modifica dei codici. Su questi dibattiti si veda L. RAMPA, Q. CAMERLENGO, I

beni comuni tra diritto e economia. Davvero un tertium genus?, “Politica del diritto”, 2, 2014 (in corso di

pubblicazione). La categoria di beni sociali è stata, essa stessa, utilizzata dagli economisti, ad esempio da R. A.

MUSGRAVE, Cost-Benefit Analysis and the Theory of Public Finance, “Journal of Economic Literature”, 7, 1969, pp.

797-806, ma con significati di volta in volta diversi, e comunque distinti da quelli adottati nel linguaggio giuridico. 9 Com’è noto, la nozione di merit good è stata introdotta nell’economia pubblica da R. MUSGRAVE, The Theory of

Public Finance: A Study in Public Economy, New York, McGraw-Hill, 1959.

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pubblico, in questo caso, si baserebbe su una valutazione più corretta. Questa

posizione è stata però criticata in quanto paternalistica e rifiutata dagli economisti

liberisti in nome del rispetto delle preferenze individuali.

Tuttavia la successiva discussione nell’ambito dell’economia pubblica ha messo in evidenza

come, in ultima analisi, tali giustificazioni avessero a che fare con i fallimenti del mercato come le

esternalità o le asimmetrie informative 10

.

Si rammenti che in economia pubblica sono stati addotti, in proposito, i seguenti

argomenti:

a) L’istruzione oltre a determinare benefici privati a chi li riceve, genera anche

esternalità positive nel senso che aumenta la produttività delle imprese che impiegano

persone con un maggior livello di istruzione. Ciò determina un fallimento del mercato

cui si può porre rimedi con sussidi, oppure mediante la fornitura pubblica della stessa

b) La sanità e le assicurazioni della vecchiaia (previdenza) consistono in servizi in cui

sono molto diffuse le asimmetrie informative. Coloro che li acquistano ( o buona

parte di essi) non sono in grado di conoscere correttamente la qualità di servizi

piuttosto sofisticati o di alto contenuto tecnico-scientifico. Potrebbe dunque

verificarsi, come nel celebre esempio del mercato delle auto usate, che si determini

un equilibrio sub-ottimale in cui si scambiano solo servizi di bassa qualità e non di

alta qualità. In letteratura si evidenzia anche la presenza di esternalità positive in

quanto una popolazione in “buona salute” contribuisce anche ad una maggiore

produttività dell’intero sistema economico. Si pensi agli effetti della medicina

preventiva (ad esempio le vaccinazioni)

Peraltro queste ultime sono ritenute, oltre che causa di fallimento, anche di impedimento all’

opportunità di accesso ai beni, e dunque di possibili diseguaglianze cui porre rimedio. Nonostante le

obiezioni mosse alle motivazioni paternalistiche, questi beni sono spesso forniti direttamente dallo

stato sulla base di diverse giustificazioni sia di equità che di efficienza11

. Nel seguito assumeremo

comunque che mentre l’enforcement dei diritti di libertà sia garantito da beni pubblici, quello dei

diritti sociali sia invece garantito da beni “di merito” nel senso sopra specificato.

Come abbiamo visto, esiste una vasta letteratura di analisi economica del diritto avente per

oggetto le Costituzioni e i diritti fondamentali che, rifacendosi alla teoria del contratto sociale,

interpreta i processi costituenti come superamento di un dilemma. La visione contrattualistica

descrive le Costituzioni come l’esito di una negoziazione tra i cittadini (o i costituenti) secondo le

forme della bargaining theory12

o, più frequentemente, come un gioco di cooperazione tra gli stessi.

10

Si veda nell’ambito dell’economia pubblica la rassegna di N. BARR, Economic Theory and the Welfare State: A

Survey and Interpretation, “ Journal of Economic Literature”, 2, 1992, pp. 741-803. In ambito giuridico e di analisi

economica del diritto si veda invece R. ROSE-ACKERMAN, Inalienability and the Theory of Property Rights, “Columbia

Law Review”, 5, 1985, pp. 931 ss. 11

Oltre alla già citata rassegna di Barr, si vedano a proposito di tali giustificazioni I. GARFINKEL, Is In-Kind

Redistribution Efficient, “The Quarterly Journal of Economics”, 2, 1973, pp. 320-330; L. H. SUMMERS, Some Simple

Economics of Mandated Benefits, “The American Economic Review”, 2, 1989, pp.177-183; S. BLOMQUIST, V.

CHRISTIANSEN AND L. MICHELETTO, Public Provision of Private Goods and Nondistortionary Marginal Tax Rates,

“American Economic Journal: Economic Policy”, 2, 2010, pp. 1-27. 12

Per una semplice esposizione di tale approccio si veda J. ELSTER, Argomentare e negoziare, Milano, Anabasi, 1993,

(trad. it. di Arguig and negotiating in two constituents assemblies, non pubblicato), pp. 89-111. Per una trattazione più

estesa si veda D. A. HECKATORN, S. M. MASER, Bargaining and Constitutional Contract; “American Journal of

Political Science”, 1, 1987, pp. 142-168.

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Il secondo approccio nasce dall’idea hobbesiana dell’incapacità degli uomini di fuoriuscire da

soli dallo stato di natura accordandosi sulle regole della loro convivenza e, come tale, consiste nella

ricerca delle condizioni, in termini di incentivi, per il superamento di un dilemma del prigioniero13

.

Nella visione hobbesiana l’equilibrio non cooperativo del dilemma può essere superato attraverso la

subordinazione e la rinuncia ai diritti individuali in favore del Leviatano, il che non si addice agli

Stati democratici moderni basati sul consenso.

Quali sono dunque le condizioni, in termini di struttura degli incentivi o dei payoffs dei

consociati, perché il consenso prevalga e il gioco diventi cooperativo?

Le diverse Costituzioni si caratterizzano per combinazioni molto variabili di protezione dei

diritti, in particolare di quelli di libertà e di quelli sociali. La protezione pubblica non esclude infatti

che i cittadini possano procurarsi beni o servizi di protezione privata sia per i primi (ad esempio

acquisendo sul mercato servizi di difesa e sicurezza) che per i secondi (ad esempio procurandosi

direttamente servizi di istruzione oppure servizi sanitari).

Il riconoscimento dei diritti sociali nelle Costituzioni è però relativamente recente. Benché

alcuni di essi, in specie quello dell’istruzione pubblica primaria, fossero almeno implicitamente già

presenti in alcune carte, tale riconoscimento, per la prima volta esplicito nella Costituzione di

Weimar, si è diffuso solo dopo la seconda guerra mondiale..

Nel modello qui adottato14

assumiamo inizialmente che il processo costituente riguardi i soli

diritti di libertà. In esso si tratta di scegliere tra due tipi di protezione, quella pubblica e quella

privata. Se protetti pubblicamente, questi lo sono mediante beni pubblici inescludibili e non rivali

(ad esempio giustizia e difesa). Se protetti privatamente, lo sono mediante beni privati escludibili e

rivali. Il processo costituente avviene in assenza di un sovrano pre-esistente in grado di

condizionare la struttura del gioco.

Per semplicità i costituenti sono due, definiti come giocatore di riga e di colonna, ed hanno a

disposizione le due strategie di protezione pubblica o privata. Questa semplificazione, presente in

molti modelli della letteratura esistente, non consente di considerare la possibilità che una

Costituzione sia l’esito del consenso maggioritario di una coalizione, imponendo la limitazione che

il consenso sia unanime.

Per contro viene ammessa la possibilità che vi sia asimmetria sociale, nel senso che i

payoffs di identiche strategie possono essere diversi tra i giocatori. Ciò allo scopo di catturare la

circostanza che i cittadini abbiano diverse caratteristiche sociali, avendo più o meno risorse di forza,

talenti o diverse capacità di accesso ad esse. In questo modo il gioco perde le caratteristiche di

simmetria di quello illustrato nel par. 1.3.

Ciascun costituente conosce i payoffs delle strategie di protezione pubblica e privata, ma non

sa se (lui o un suo discendente) sarà, dopo la Costituzione, nella posizione di riga e di colonna.

Come argomentato più sopra, la valutazione dei benefici di situazioni caratterizzate da alternative

forme di protezione dei diritti fondamentali viene fatta in base al costo del loro enforcement, ovvero

in base al valore dei beni ad esso necessari. Quanto ai diritti patrimoniali si assume che la loro

protezione comporti identici benefici per ogni cittadino, e quindi non alteri la struttura dei payoffs se

non per una costante, sicché nel seguito essi possono essere trascurati.

In quanto segue assumiamo poi che i soggetti coinvolti, in caso di protezione privata, si

procurino privatamente i beni necessari, mentre in caso di protezione pubblica contribuiscano in

eguale misura alla produzione degli stessi; e che i relativi benefici siano esprimibili in termini di

quantità prodotte.

Immaginiamo che le valutazioni dei payoffs si basino sul beneficio netto o surplus ottenuti

attraverso la protezione dei diritti. Quindi il beneficio netto della protezione pubblica sarà, se

13

Per tutti si veda A. DE JASAY, Prisoner’s Dilemma and the Theory of the State, in P. NEWMAN (ed.), “New Palgrave

Dictionary of Economics and the Law”, New York, Macmillan, 2002, pp. 95-103. 14

Il modello discusso di seguito costituisce una versione ridotta e semplificata di quello trattato in Rampa, L.

(2014), L’economia dei diritti cfondamentali, in Il Politico, f. 2, pp. 5 ss.

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entrambi cooperano, pari valore dei beni pubblici necessari al suo enforcement meno il costo

sostenuto per produrli, diciamo x. Se uno solo coopera, tuttavia, quello più forte ha a disposizione

più risorse o beni per l’enforcement stesso, otternendo xy >x con y > 1.

Nel caso invece della protezione privata il giocatore riga è in grado di ottenere un beneficio

netto maggiore in virtù di maggiori risorse originarie o capacità di accesso. Pertanto, mentre il

giocatore più debole (quello di colonna) ottiene 1, quello più forte (di riga) ottiene y > 1

Nel caso di cooperazione unilaterale si genera però una esternalità positiva di pari valore

anche a favore di chi non coopera (ad esempio, perché entrambi fruiscono della difesa comune

anche se solo uno vi contribuisce).

Le grandezze fondamentali che caratterizzano il gioco sono dunque: x che cattura

l’efficienza della protezione pubblica (ovvero della produzione dei beni pubblici necessari al suo

enforcement) e y che cattura il grado di asimmetria sociale. Per le ipotesi assunte si avrà che 2 > y >

1 > xy > x > ½.

Protezione pubblica Protezione privata

Protezione pubblica 2x , 2x xy , (1+ xy)

Protezione privata (x+y) , x y , 1

Il gioco presenta la struttura di un dilemma del prigioniero nel senso che, sia per il giocatore

riga che per quello colonna, la strategia dominante è quella della protezione privata. L’equilibrio di

Nash sarà dunque quello della protezione privata generalizzata dei diritti che tuttavia è, in termini di

somma dei payoffs, Pareto-inferiore ad ogni altra combinazione di protezione. Si noti peraltro che

ora la protezione pubblica generalizzata non è necessariamente Pareto-ottima, a meno che sia anche

x > (y/2). Cruciale per tale equilibrio è la circostanza che la strategia della protezione pubblica

genera un’esternalità positiva a favore di chi non contribuisce ai beni pubblici ad essa necessari,

ovvero del free rider, creando così un incentivo all’opportunismo.

In molta letteratura si assume che il superamento del dilemma sia garantito dal fatto che i

giocatori-costituenti non sanno se loro o i loro discendenti si troveranno nella futura società nella

posizione di giocatore-riga o in quella di giocatore-colonna. Ciò equivale a dire che i costituenti

deliberano sotto un velo di incertezza. Essi devono in sostanza scegliere la loro strategia

attribuendo eguale probabilità a queste future posizioni. Ciò equivale a dire che in ciascuna casella

della matrice i payoffs sono pari alla media aritmetica dei payoffs originari, ovvero:

Protezione pubblica Protezione privata

Protezione pubblica 2x, 2x (½+ xy), (½+ xy)

Protezione privata (x+ y/2), (x+ y/2x) (½+y/2) (½+y/2)

Ora si noti che solo con y=1 saremmo sicuri che l’equilibrio di Nash è quello della

protezione pubblica generalizzata. Infatti, ripetendo la ricerca della strategia dominante per i due

giocatori-costituenti, si otterrebbe che per entrambi conviene comunque la protezione pubblica.

Se invece fosse y > 1, quanto più grande fosse l’asimmetria sociale tanto più arduo

diventerebbe l’accordo sulla protezione pubblica dei diritti. Infatti con un y sufficientemente

grande (una forte asimmetria sociale) potrebbe verificarsi che [(x + y/2)] > 2x, ovvero che se

colonna sceglie la protezione pubblica (coopera) al giocatore riga conviene scegliere quella privata

(defezionare). Ciò è sufficiente per escludere che la protezione pubblica generalizzata sia un

equilibrio di Nash.

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In breve il dilemma costituzionale con soli diritti di libertà può essere superato da un

accordo sulla protezione pubblica degli stessi solo se l’asimmetria sociale non è

molto forte.

Da queste critiche sono derivate due proposte alternative. La prima è quella di definire il

contratto sociale come un equilibrio di Nash in un contesto di giochi ripetuti ed evolutivi. (Sul

Dilemma del prigioniero ripetuto si veda l’Appendice 2)

In tal caso, tuttavia, è necessario accettare che l’equilibrio non sia unico15

. Inoltre è

necessario ipotizzare che tutte le Costituzioni possano essere spiegate come equilibrio finale di un

(più o meno lungo) processo di interazioni ripetute nel tempo.

In assenza delle condizioni di simmetria, di frequenza delle interazioni e di pazienza, tale

spiegazione, oltre ad essere molto controversa sotto il profilo analitico, risulta anche piuttosto

dubbia come teoria realistica dell’origine delle Costituzioni scritte.

L’altra strada è stata quella di esprimere i payoffs come valutazioni in termini non materiali

dei benefici delle strategie. Se, ad esempio, i costituenti fossero avversi al rischio, il peso attribuito

ai payoffs più elevati nelle loro valutazioni diminuirebbe al crescere dell’avversione riducendo i

loro incentivi ad adottare la strategia della protezione privata.

Alternativamente si potrebbero ipotizzare preferenze ispirate al principio rawlsiano di

differenza che attribuiscono maggior peso ai payoffs di chi è sfavorito dall’asimmetria sociale.

Inoltre si pone il problema della stabilità del rispetto dei diritti. Anche trasformando il gioco

costituzionale in un gioco di cooperazione attraverso preferenze costituzionali capaci di ridurre gli

incentivi ad adottare strategie di mera protezione privata, la stabilità non sarebbe garantita nella

situazione post-costituzionale. Infatti in tale situazione i cittadini, non trovandosi più dietro il velo

di incertezza, sperimenterebbero i benefici effettivi della loro posizione nella società ed avrebbero

incentivi a rimettere in discussione la norma costituzionale della protezione pubblica generalizzata.

Il problema della stabilità potrebbe tuttavia essere visto sotto una diversa luce se la struttura

del gioco costituzionale non fosse modificato attraverso la forma delle preferenze costituzionali ma,

in nome del principio di differenza, inserendo nei payoffs anche i benefici della protezione dei diritti

sociali. Dopo tutto, nelle Costituzioni più recenti, caratterizzate dalla massima inclusione possibile

di ceti anche socialmente eterogenei, questo era lo scopo dei costituenti quando hanno integrato il

principio dell’eguaglianza formale con quello dell’eguaglianza sostanziale mediante il

riconoscimento di una sfera più o meno ampia di tali diritti.

Consideriamo dunque un processo costituente in cui si debba deliberare anche sui diritti

sociali. Se protetti universalmente in modo pubblico, questi lo sono perché vengono resi

costituzionalmente inescludibili. Per semplicità, continueremo a chiamare meritori i beni necessari

al loro enforcement, nonostante le critiche alla giustificazione paternalistica degli stessi.

Adottiamo infatti l’ipotesi standard che in regime di protezione pubblica dei diritti sociali i

benefici sociali vengano internalizzati dal decisore pubblico. Tra essi includiamo sia quelli associati

a eventuali esternalità positive (come nel caso dell’istruzione pubblica) che quelli derivanti dai

rimedi pubblici alle asimmetrie informative (come nel caso della sanità e della previdenza

pubblica)16

.

15

L’approccio evoluzionistico è sostenuto ad esempio da S. VOIGT, Breaking with the Notion of Social Contract:

Constitutions as Based on Spontaneously Arisen Institutions, cit. e, mediante una trattazione più formale, da K.

BINMORE, Just Playing. Game Theory and Social Contract II, cit. In Binmore si può trovare una estesa discussione

circa la possibilità di utilizzare il cosiddetto Folk theorem ai fini della sua teoria del contratto sociale. La generalità del

teorema assicura tuttavia solo l’esistenza di una molteplicità di equilibri, non necessariamente di mutua cooperazione e

anche Pareto-inferiori. 16 In genere si ritiene che le esternalità positive siano prevalenti nel caso dell’istruzione, mentre in quello della sanità

siano prevalenti le asimmetrie informative: si veda ad esempio J. M. POTERBA, Government Intervention in the Markets

for Education and Health Care: How and Why?, in V. R. FUCHS (ed.),“Individual and Social Responsibility: Child

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Formalmente ciò significa che i payoffs associati alla strategia di protezione pubblica

devono essere maggiorati di un termine che include i benefici sociali

dell’internalizzazione, mentre quelli associati alla protezione privata sono maggiorati

di un termine di valore inferiore poiché non li include. Per semplicità non

formalizziamo di seguito tale cambiamento del modello, limitandoci ad una

esposizione meramente verbale.

I possibili equilibri del gioco costituzionale dipendono ora, non solo dal grado di asimmetria

sociale y e dall’efficienza della protezione pubblica dei diritti di libertà x, ma anche dall’efficienza

della protezione pubblica dei diritti sociali rispetto a quella privata.

Ora, se l’efficienza della protezione pubblica dei diritti sociali fosse sufficientemente

forte, l’incentivo a scegliere la stessa piuttosto che quella privata potrebbe far

emergere un equilibrio di Nash di protezione pubblica.

Essenzialmente ciò discende dalla circostanza che l’internalizzazione dei benefici sociali della

protezione pubblica, tecnicamente un’esternalità positiva a favore di chi coopera, compensa

l’esternalità a favore di chi defeziona e quindi riduce l’incentivo a defezionare. In realtà ciò dipende

da quanto la protezione pubblica dei diritti sociali sia più efficiente. Se non fosse troppo superiore a

quella privata si potrebbero avere anche equilibri in cui un giocatore sceglie la prima ed uno la

seconda (come nel gioco del pollo i cui equilibri corrispondono alle caselle extra-diagonali).

Tuttavia i precedenti argomenti portano alla conclusione che, in un processo

costituente che debba deliberare congiuntamente sulla protezione dei diritti di libertà

e su quella dei diritti sociali, sia più facile risolvere il dilemma costituzionale che in

uno in cui invece si tratti solo dei diritti di libertà.

5 Diritti di proprietà

5.1 Origine della proprietà: varie teorie

Come è stato accennato più sopra l’origine dei diritti di proprietà come diritti esclusivi può essere

rinvenuta nelle società prevalentemente agricole nella convenienza di limitare l’accesso alle terre

onde evitarne il sovra- sfruttamento. Se l’accesso alla terra è libero, al crescere del numero di chi la

coltiva o vi fa pascolare animali il beneficio (prodotto) marginale e medio diminuiscono. Ma il

prodotto medio è superiore al marginale. Gli utilizzatori in regime di libero accesso spingeranno la

loro utilizzazione fino al punto che il loro beneficio medio sia eguale al costo dell’utilizzazione

della risorsa. Ma questo non è il livello ottimo che si ottiene invece quando il beneficio marginale è

Care, Education, Medical Care, and Long-Term Care in America”, Chicago, University of Chicago Press, 1996, pp.

277-307. Anche nel caso della sanità, tuttavia, sono presenti esternalità positive (ad esempio nel caso della prevenzione

pubblica di malattie contagiose). Quanto alle asimmetrie informative, se si interpreta la sanità privata come forma di

assicurazione contro i rischi di malattie e infortuni, esse, in ogni caso, danno luogo a benefici marginali privati inferiori

a quelli sociali a causa di possibili forme di moral hazard.

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eguale al costo marginale. Questo è ciò che avveniva sulle terre di proprietà della Corona inglese

prima delle recinzioni (enclosures) del XVI secolo. In sostanza

L’utilizzo della terra in regime di libero accesso determina un sovra-utilizzo della

stessa, ovvero superiore a quello socialmente ottimo.

Ad esempio potremmo supporre che il costo di utilizzazione della risorsa consista nei costi per

stabilirne i diritti di proprietà (registrare i diritti stessi, controllarne il rispetto, fare le recinzioni o

tracciare i confini). Quando il prodotto marginale è inferiore ad essi allora diventa efficiente

l’istituzione del diritto. Tale punto di vista è riassunto nella metafora della Tragedia dei commons di

Garret Hardin già vista nella Parte prima.

Per una semplice trattazione grafica della Tragedia dei commons si veda l’Appendice

1 della Parte Prima.

La storia delle enclosures inglesi è ovviamente più complicata poiché la decisione dei landlords era

efficiente dal punto di vista individuale ma ebbe enormi costi sociali per la popolazione che godeva

liberamente del diritto di pascolo, coltivazione e raccolta. Tommaso Moro criticò aspramente le

enclosures e i suoi argomenti vennero ripresi tre secoli dopo da Marx nella sua critica alla proprietà

privata. Similmente la corsa dei coloni americani dell’est ad appropriarsi delle terre comuni del west

fu contrastata dalle tribù indiane perché toglieva loro diritti consuetudinari di libero accesso per la

caccia e la coltivazione costringendole a condizioni di vita peggiori. In questi casi la valutazione di

efficienza dell’istituzione dei diritti di proprietà viene complicata da considerazioni di equità e di

tipo distributivo.

Gli esempi che si possono fare non si limitano al solo utilizzo della terra per scopi agricoli

(coltivazione e allevamento) o delle risorse ittiche. Nella letteratura economico-giuridica nord-

americana esistono studi relativi alla corsa all’oro in California e ai diritti di proprietà tra le tribù

indiane del Labrador ai fini della caccia di animali da pelliccia. Nel primo caso i diritti di proprietà

minerari non vennero istituiti per alcuni anni fino a quando la corsa all’oro non provocò un eccesso

di cercatori e quindi di sfruttamento delle riserve aurifere. Nel secondo caso le tribù indiane

definirono i diritti di caccia mediante delimitazioni di confini con chiare incisioni sugli alberi dopo

che l’importazione di pellicce in Europa aumentò la domanda con rischio di esaurimento dello stock

di animali.

Riassumendo si può dire che l’istituzione dei diritti di proprietà è certamente spiegabile in termini

di efficienza. Secondo Hobbes, addirittura essa costituisce la ragione principale dell’istituzione

dello Stato il cui scopo preminente sarebbe appunto quella di delegare al Sovrano la definizione del

diritto di proprietà su cui altrimenti i singoli sarebbero incapaci i accordarsi lottando tra di loro

(bellum omnium contra omnes) per accaparrarsene i frutti. Hume, alcuni decenni dopo, sostenne

invece che i diritti di proprietà erano emersi spontaneamente come convenzioni tra gli uomini che

avrebbero imparato senza coercizione da parte del Sovrano la convenienza (leggi l’efficienza) del

loro rispetto. Più ottimisti ancora John Locke e i giusnaturalismi ritenevano che il riconoscimento

del diritto alla proprietà fosse innato nella moralità degli uomini già nello stato di natura.

La teoria di Locke tuttavia ha un aspetto interessante sia dal punto di vista del diritto che dell’analisi

economica. Nello stato di natura la terra è comune e liberamente accessibile, ma il lavoro è di

ciascun uomo. Quando il lavoro dell’uomo viene applicato alla terra favorendone e migliorandone

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la capacità di produrre i suoi frutti, allora tale applicazione istituisce il diritto alla proprietà della

terra. Questa teoria può essere riformulata in termini di efficienza nel seguente modo.

L’investimento sulla terra libera legittima il diritto alla proprietà della stessa se altri non desiderano

effettuarlo. Infatti se uno solo investe e tutti godono dei frutti di tale investimento l’incentivo a

investire in assenza di diritti di proprietà verrebbe meno a causa del free riding (in altri termini si

tratterebbe di un tipico caso di DP).

5.2 Proprietà pubblica e proprietà privata

L’Art. 42 della nostra Costituzione recita: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici

appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla

legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la

funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

L’Art. 810 del Codice civile recita : “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”. Di

qui la definizione dei diritti di proprietà (o patrimoniali) come reali (da res).

La prima osservazione riguarda la natura soggettiva (relativa al soggetto titolare del diritto) della

distinzione che non necessariamente si accorda con la distinzione dei beni economici tra beni

pubblici/beni privati. Infatti nel diritto per beni pubblici si intendono beni di proprietà dello Stato o

di enti pubblici. (Sui beni pubblici si veda anche il Capo II del Libro III del c.c., Artt. 822-831).

La seconda osservazione è che essa non prevede la proprietà comune. Ciò deriva dalla tradizione

giuridica continentale che trascurava la fattispecie della proprietà comune presente nelle tradizioni

consuetudinarie dei secoli precedenti. La possibilità di diritti di proprietà comuni sono ricondotte ad

una fattispecie particolare della proprietà privata (proprietà comune di privati) e regolati nel Codice

civile alla comunione (Artt. 1100-1116 c.c.) e al condominio (Artt. 1117-1139 c.c ). Nel 2008 la

Commissione Rodotà per la riforma del Codice civile aveva previsto esplicitamente di introdurre il

la fattispecie dei beni comuni, distinguendola dai beni pubblici e privati, ma le sue proposte non

hanno avuto seguito.

Si direbbe pertanto che (al momento) nel nostro ordinamento non sia previsto che alcuni beni siano

intrinsecamente comuni (cioè caratterizzati da rivalità ma da inescludibilità), né che essi siano

meritevoli di qualche particolare tutela diversa da quella dei diritti patrimoniali per ragioni di

interesse generale o di efficienza sociale. Quando lo sono ciò deriva dal fatto che su di essi viene

riconosciuta una titolarità pubblica in quanto appartenenti al Demanio pubblico (tra questi il lido del

mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle

leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale: si veda Art. 822 c.c.).

5.3 Art. 832: contenuto del diritto di proprietà

L’Art. 832 c.c. recita: “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed

esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico”.

Dunque il diritto di proprietà è costituito da più diritti (possedere, godere e disporre) o, come talora

si afferma, esso è un fascio (o un paniere di diritti). Infatti dagli stessi codici si possono desumere

diversi diritti di proprietà (ad esempio diritti di godimento quali l’enfiteusi, l’usufrutto e l’uso in

quanto distinti dalla nuda proprietà, diritti di gestione economica, diritti di alienazione, diritto di

ritiro dei frutti o delle risorse- ad esempio idriche). Si vedano i Titoli dal III al VIII del Libro

Terzo c.c.. Anche dal punto di vista fisico su di un bene il diritto può essere scomposto in

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molteplici diritti: ad esempio il diritto di proprietà fondiaria si scompone in diritto superficiario, sul

sottosuolo e sul soprasuolo.

Questa considerazione apre la questione se e quando sia desiderabile o meglio efficiente la divisione

dei diritti di proprietà. In linea di principio l’efficienza dei diritti di proprietà viene giustificata dal

fatto che essi sono trasferibili o alienabili mediante scambi, negozi o contratti (salvo eccezioni

dovute a considerazioni di interesse generale o utilità sociale). Se gli individui sono razionali, infatti

scambieranno i beni secondo criteri di massimizzazione dei benefici privati (utilità o profitti). Se un

individuo acquista un bene da un altro è perché la sua disponibilità a pagare, corrispondente al

beneficio b che ne trae, è maggiore o al più eguale al costo in termini di prezzo p che deve

sostenere. In sostanza lo valuta di più o almeno tanto quanto il venditore. D’altra parte il venditore

sarà disposto a venderlo ad un prezzo p maggiore o almeno eguale al costo c sostenuto per

acquistarlo o produrlo.

In tal modo, in assenza di costi sociali, il surplus dei consumatori e dei produttori, e

perciò il benessere collettivo verrà innalzato di una misura pari a (b – p) – (p – c ) =

(b – c).

Questo è l’usuale argomento in termini di efficienza o di benessere in favore del mercato di

concorrenza perfetta (in assenza di fallimenti del mercato stesso) che viene esteso agli scambi

mediante negozi (ovvero qualsiasi atto negoziale volontario) e contratti. In breve:

I vantaggi degli scambi di beni consistono nel fatto che essi attraverso il trasferimento

attribuiscono il diritto di proprietà a chi li valuta di più

Compito del diritto è quello di promuovere l’efficienza facilitando i negozi giuridici

(scambi e contratti): c.d. Tesi della scuola di Chicago

Questa considerazione può essere estesa ai singoli diritti del fascio. La loro divisione e la

possibilità di alienazione separata consentirebbe infatti di rendere massimo il vantaggio del loro

esercizio separato. In alcuni casi ciò è banale: se il proprietario è incapace di sfruttare al meglio le

risorse che derivano dalla proprietà (ad esempio il legname di un bosco, la coltivazione del terreno)

il trasferimento ad un terzo della gestione di queste risorse aumenterà il surplus di entrambe le parti

che scambiano il diritto; se il proprietario di più case non le usa contemporaneamente, attraverso la

decisione di affittarne una ad un affittuario potrà determinare un reciproco beneficio. In questi

esempi se il fascio di diritti è trasferibile solo nella sua totalità vengono impediti dei negozi che

possono aumentare il surplus dei proprietari. Un altro esempio è costituito diritti di proprietà

comuni. Nel diritto consuetudinario di molti paesi in via di sviluppo (ad esempio Papua Nuova

Guinea) la proprietà dei terreni è comune alla tribù e il diritto edificatorio è solo superficiario,

sicché un membro della comunità può costruire un’abitazione ma per venderla necessità del

consenso di tutta la tribù. A causa di ciò i trasferimenti di abitazione dono resi onerosi dalla

difficoltà di acquisire il consenso (costi di transazione) e le proposte di riforma legale hanno cercato

di evitare questi costi o favorendo la proprietà privata dei terreni o svincolando il diritto di

superficie dal consenso generale.

Ne segue che, almeno in molti casi

La divisione dei diritti di proprietà ne facilita il trasferimento e aumenta l’efficienza

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Questa conclusione tuttavia non è sempre univoca. Ad esempio aver concesso il diritto di

abitazione mediante un contratto di affitto può avere la conseguenza di diminuire il valore

dell’immobile a causa di norme che tutelano gli affittuari.

5.4 La proprietà comporta comunque costi privati e sociali

- Va osservato che, come osservato da F&M (Cap. 2, par. 1) , la proprietà non è priva di costi per le

seguenti ragioni:

(a) Persino in una società in cui lo Stato riduce al minimo i suoi interventi sulla proprietà (Stato

minimo) e i diritti di proprietà sono ben definiti i titolari del diritto devono sostenere dei costi per

acquisirla e per tutelarla: Ciò dà luogo a costi privati di protezione e di transazione.

(b) Ma è possibile che un ordinamento giuridico non assegni completamente i diritti di proprietà.

Due esempi: le imprese di costruzione e manutenzione delle strade hanno tutte il diritto di svolgere

la loro attività utilizzando le risorse disponibili ma, quando si tratta di strade pubbliche, partecipano

a gare d’appalto per ottenere la delega da una amministrazione pubblica ad effettuare i lavori. Ex-

ante, cioè prima della gara, il diritto allo svolgimento dei lavori non è assegnato. Ciò può dare luogo

a costi volti ad ottenere l’appalto mediante attività di influenza sul decisore pubblico per ottenere

una rendita dall’assegnazione dello stesso.

Come vedremo sotto il diritto di edificare su un terreno di proprietà dipende dai Piani regolatori dei

comuni. Durante il processo di decisione di un Piano regolatore i proprietari possono esercitare la

loro influenza sul decisore pubblico per ottenere il diritto edificatorio (a scapito di altri)

conseguendo così una rendita derivante dal maggior valore di mercato dei terreni edificabili.

Questi costi sono definiti di costi da rent seeking.

(c) Anche se i diritti sono ben definiti sappiamo poi che si verificano costi sociali in presenza di

fallimenti del mercato (quali monopolio, esternalità, asimmetrie informative).

Per chi non ricordasse il Corso di Microeconomia l’Appendice 3 nel par. 1 riprende

l’argomento delle esternalità

5.6 Rimedi e limiti al diritto di proprietà a causa delle esternalità

Per ovviare ai costi che l’esercizio dei diritti di proprietà comporta gli ordinamenti giuridici hanno

previsto diverse tipologie di rimedi, alcuni dei quali implicano dei limiti al pieni esercizio dei diritti

stessi. Sotto il profilo dell’efficienza tali rimedi devono soddisfare la seguente condizione:

Il ruolo degli ordinamenti giuridici, in presenza di fallimenti del mercato, non è solo

quello di facilitare gli scambi ma anche quello di porre rimedio ai costi sociali o alle

perdite di benessere che essi determinano. Un rimedio legale è socialmente efficiente

se determina l’internalizzazione dell’esternalità da parte di chi la produce

Tuttavia nell’Analisi economica dei diritto ha trovato larga considerazione la teoria secondo cui è

possibile risolvere (almeno alcuni) fallimenti del mercato senza la necessità che lo Stato preveda

specifici rimedi che richiedano il suo intervento o quello dei suoi organi (amministrativi o

giudiziali). Questa teoria è nota come Teorema di Coase.

E’ necessario saper spiegare questo Teorema. Si veda F&M cap. 2, par.3 o anche

l’Appendice 3 in fondo a questi Materiali.

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Secondo esso il danneggiante che produce una esternalità negativa e il danneggiato che la subisce

possono risolvere in modo efficiente il problema negoziando tra loro. Di questo “teorema” è

importante saper discutere le due proposizioni fondamentali, ovvero:

Teorema di Coase (parte A): se i diritti di proprietà sono ben definiti e i costi di

transazione trascurabili la negoziazione tra le parti determina la soluzione efficiente

dell’esternalità

Teorema di Coase (parte B): indipendentemente dal modo in cui sono distribuiti i

diritti la negoziazione determina la stessa soluzione efficiente

La parte B asserisce in particolare che la soluzione efficiente si ottiene sia nel caso che il

danneggiante risarcisce il danneggiato per il danno, sia in quello in cui il danneggiato “paga” il

danneggiante affinché questi limiti la sua attività dannosa.

Palesemente il Teorema di Coase dichiara esso stesso i limiti delle sue conclusioni. Cosa succede

infatti se i diritti non sono ben definiti e i costi di transazione non sono trascurabili? In questi casi è

evidente che qualche tipo di tutela giuridica addizionale o di intervento amministrativo diretto

diventa inevitabile. Quali siano i tipi di tutele giuridiche o di interventi pubblici più efficienti

dipende dalle seguenti circostanze:

- prossimità delle parti

- numerosità delle parti

- informazioni sulla natura ed entità del danno

- frequenza o probabilità che il danno si verifichi

- estensione territoriale e entità del danno

La prossimità delle parti (danneggiato e danneggiante) e la bassa numerosità possono

effettivamente rendere trascurabili i costi di transazione, sicché ricorrere alla negoziazione tra di

esse avrebbe il vantaggio di evitare ulteriori costi sia privati (le spese private per il giudizio) che

pubblici (i costi amministrativi di un tribunale). Tuttavia persino nel caso di un singolo danneggiato

e di un singolo danneggiante l’insufficienza di informazione, in particolare l’asimmetria informativa

tra le parti, può rendere inefficiente la negoziazione. Si pensi al caso di un danneggiato

inconsapevole del danno derivante dall’esternalità di una vicina fabbrica chimica ( i cui effetti sono

invece noti alla fabbrica). Quand’anche percepisse un generico danno non riuscirebbe a valutarne

l’oggettiva entità ed il risarcimento richiesto non riuscirebbe a far internalizzare completamente

l’esternalità.

Per questa ragione l’ordinamento giuridico italiano, come altri del resto, prevede espliciti limiti di

carattere generale all’esercizio del diritto di proprietà già nella Costituzione laddove prevede che

la legge ne determina i limiti per assicurarne la funzione sociale (Art.42 Cost c.3) ed inoltre che a

fini di utilità sociale essa può prevederne addirittura l’esproprio mediante indennizzo a fronte di

preminenti ragioni di interesse generale (Art. 43 Cost ). Lo stesso Codice civile prevede che a

proprietà fondiaria sia soggetta a regole particolari per il conseguimento di scopi di pubblico

interesse ( Art. 845 c.c.). Questi principi generali sono interpretabili come riconoscimento del fatto

che ai fini del perseguimento del benessere collettivo e dei rimedi ai fallimenti del mercato le

negoziazioni tra privati possono essere insufficienti.

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A sua volta il Libro II, Titolo II del Codice prevede specifici casi di limitazioni, prescrizioni e

obblighi, in particolare con riferimento alla proprietà fondiaria (Sezione V) laddove si

prescrive che i proprietari di immobili devono attenersi alle norme dei Piani regolatori comunali

(Art. 869 c.c.) e dei regolamenti edilizi (Art. 871) e si stabilisce che il mancato rispetto delle stesse

implica sanzioni e il diritto al risarcimento per danni derivanti dal loro mancato rispetto. (art. 872).

Nel Codice civile poi si trovano disposizioni specifiche per i alcuni “prototipi” di esternalità

negative, costituiti dalle immissioni (Art. 844) o invasioni di capi animali in proprietà altrui

(Es.:Art. 924-5 c.c.). Tali fattispecie risalgono ovviamente a situazioni di economie

prevalentemente agricole, mentre le fattispecie di esternalità da inquinamento ambientale sono

regolate da Leggi speciali successive. Inoltre si trovano disposizioni generali su luci, vedute e

distanze degli edifici (Sez. VI artt. 873 e segg e sez VII artt. 900 e segg.) che definiscono degli

standard da rispettare per ragioni igieniche e per la tutela del cosiddetto “diritto di panorama”.

Si veda Frank sul Diritto di panorama La Corte di Cassazione (18 aprile 1996, n.

3679; 20 ottobre 1997, n. 10250) ha affermato che l’esclusione o la diminuzione del

panorama di cui si avvantaggia un appartamento, a seguito alla costruzione di un

fabbricato vicino, costituisce un danno ingiusto e risarcibile.

Per un’ampia categoria di esternalità negative o danni gli ordinamenti prevedono esplicitamente la

possibilità di azioni di inibizione o di risarcimento presso un tribunale (ad esempio per immissioni

oltre la normale tollerabilità o danni derivanti da violazioni di norme edilizie), oppure standard

stabiliti da norme amministrative e sanzioni per il loro mancato rispetto. Sulle tutele risarcitorie

dovremo tornare a proposito della responsabilità civile (FM& Cap. 4). In sostanza

Quando vi sono costi di transazione, di informazione o asimmetrie informative tra le

parti, l’ordinamento giuridico prevede che vi siano obblighi e divieti; oppure

possibilità di azioni giudiziarie per ottenere inibizioni o risarcimenti dei danni.

Se ci limitiamo alle tutele giudiziali contro i danni da esternalità, tuttavia, l’azione risarcitoria non

costituisce l’unico rimedio possibile. Il danneggiato può ricorrere ad un tribunale per ottenere la

cessazione o l’inibizione dell’attività dannosa. L’azione inibitoria è più diffusa negli ordinamenti

anglosassoni di tipo common law, ma è anche prevista in alcuni casi dal Codice italiano (ad.

Esempio Artt. 1171-2 Denunzia di nuova opera e di danno temuto) .

Quale tipo di tutela giudiziale sia preferibile o più efficiente dipenderà dai relativi costi di

transazione (ad esempio costi per un legale oppure per un perito che stima il danno per conto del

danneggiato), da quelli amministrativi del giudizio (sul punto si veda F&M, cap. 2, par.4 per sapere

argomentare le seguenti conclusioni). In generale si può affermare che:

Se costi di transazione < costi amministrativi (giudiziali) è più efficiente la tutela

inibitoria (detta property rule)

Se costi di transazione > costi amministrativi (giudiziali) è più efficiente la tutela

risarcitoria (detta liability rule)

Le azioni risarcitorie o inibitorie intentate presso un tribunale civile comportano costi di transazione

o amministrativi/giudiziali relativamente modesti il che le rende più efficienti (meno costose) di

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altre misure di tutela o di altri interventi pubblici nei casi di prossimità e scarsa numerosità delle

parti e di scarsa probabilità del verificarsi del danno. Ma quando la prossimità viene meno (la

distanza o la non conoscenza tra le parti), la numerosità dei danneggiati e la frequenza dei danni

aumentano la loro efficienza può diminuire.

Quanto alla numerosità delle parti, la possibilità della class action recentemente ammessa anche

nell’ordinamento italiano riduce in misura significativa i costi legali privati che vengono ripartiti tra

i numerosi danneggiati, anche se può aumentare gli altri costi di transazione necessari agli accordi

tra di loro. Tuttavia i costi pubblici o sociali (quelli di giudizio) crescono notevolmente con la

numerosità dei danneggiati e, quando questa si approssima alla totalità dei componenti di una

collettività, possono assumere una frequenza tale da rendere più desiderabile e meno costose regole

amministrative di tipo inibitorio (divieti o obblighi). Si pensi alle legislazioni contro il fumo (Es di

Frank), ma anche alle norme edilizie del Codice civile, dei Piani regolatori e dei Regolamenti

comunali, o alle norme dei Codici stradali. Oppure al divieto di circolare su un’automobile non

assicurata, cui corrisponde l’obbligo di assicurazione RCA. In breve

Quando i possibili danni, per quanto ciascuno di piccola entità, sono molto frequenti

e i costi amministrativi crescono con la loro frequenza, il ricorso a divieti è più

efficiente dei rimedi giudiziali.

Tuttavia il costo del ricorso a rimedi giudiziali può crescere, piuttosto che a causa della frequenza, a

causa della grande entità del danno e della la numerosità dei danneggiati. In tal caso diventano

meno costosi interventi pubblici diretti nella forma di imposte correttive di tipo pigouviano ( o

sussidi nel caso di esternalità positive) o di regolamentazioni (si studi il Cap. 2, par. 3 di F&M).

Per chi non ricordasse il Corso di Microeconomia l’Appendice 3 nel par. 3 riprende

l’argomento delle imposte pigouviane e dei sussidi

Le regolamentazioni possono essere:

- regolamentazione del livello di attività: in questo caso le norme fissano la quantità ottima di

produzione, ad esempio nei Piani regolatori la quantità massima di edificazione.

- regolamentazione del livello del danno o dell’esternalità: in questo caso le norme fissano la

quantità massima di danno, ad esempio prescrivendo filtri che abbattono fino ad un certo limite

(secondo uno standard) le emissioni di sostanze inquinanti come l’ossido di carbonio.

Per chi non ricordasse il Corso di Microeconomia l’Appendice 3 nel par. 4 riprende

l’argomento degli standard

In sostanza si può concludere che:

Quando un’esternalità negativa è di grande entità e coinvolge gran parte della

collettività, i costi di transazione e quelli amministrativi/giudiziali diventano così

elevati da rendere più efficienti le regolamentazioni o le imposte correttive (e/o

sussidi)

Si noti che la scelta tra questi ultimi tipi di rimedi dipende dalle informazioni delle autorità

regolatrici e dai costi (di informazione) che queste devono sostenere, o che possono determinare

quando l’informazione stessa è imperfetta. Ad esempio una regolazione basata su standard (ad

esempio filtri che riducono l’inquinamento) può essere meno costosa in termini informativi di una

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regolazione sulle quantità prodotte che richiede la conoscenza esatta del danno marginale sociale da

far internalizzare agli inquinatori. In sostanza

La scelta in termini di efficienza tra imposte pigouviane, regolamentazioni della

quantità prodotta o standard dipende dai costi di informazione necessarie al

regolatore per ciascuna di esse

5.7 Assegnazione incompleta e rent seeking (F&M Cap.2 par. 1)

Come abbiamo visto più sopra un ordinamento giuridico non assegna completamente i diritti di

proprietà nelle Costituzioni, nei Codici o nelle leggi ordinarie o speciali. In tal caso l’incompleta

assegnazione può dar luogo a costi di rent seeking determinati dalle attività di influenza dei privati

per ottenere rendite da norme di favore.

La prevenzione dei costi di rent seeking può valersi delle indicazioni dell’economia al fine di

ridurre la contesa per ottenere le rendite, attribuendo i diritti in modo da simulare il mercato di

concorrenza che tendenzialmente annulla o minimizza le rendite stesse (o gli extra-profitti di natura

monopolistica).

Se riprendiamo l’esempio della costruzione e manutenzione delle strade pubbliche, la soluzione

consiste nel sistema delle gare e degli appalti supportato da norme di trasparenza, completezza di -

informazione libertà di accesso (ovvero che favoriscano le caratteristiche della concorrenza).

Più complesso è il problema che si pone quando si ricorra a regolamentazioni che fissano limiti al

livello di attività o al livello di esternalità. Ad esempio quando i Piani regolatori fissano gli

ammontari massimi di edificazione mediante un azzonamento (zoning) dei terreni in edificabili e

non edificabili (Piani regolatori tradizionali) o quando le legislazioni anti-inquinamento fissano

obiettivi di riduzione di emissione di ossido di carbonio. Infatti i proprietari di terreni o le imprese

che emettono possono competere per ottenere per sé la massima edificabilità o il diritto alla

maggior quantità di emissioni possibile.

La simulazione del mercato di concorrenza può allora consistere nel mettere per norma tutti in

condizioni di parità. Così, nel caso dei diritti edificatori a tutti viene attribuito uno stesso

ammontare di cubatura per superficie edificabile, mentre nel caso dei diritti di inquinamento a tutti

viene riconosciuto uno stesso ammontare di inquinamento per unità di prodotto. Infatti in questo

modo chi vuol edificare o inquinare di più paga a chi invece vuol edificare o inquinare di meno

senza alterare i limiti complessivi fissati dalla regolamentazione. Lo scambio dei diritti ottiene

inoltre l’effetto in termini di efficienza di assegnare il diritto a chi lo valuta di più In breve:

Quando la regolamentazione fissa limiti massimi di attività o di esternalità

ammissibili, si possono verificare costi sociali da rent seeking. Per minimizzare tali

costi l’efficienza sociale della regolamentazione richiede l’istituzione di un mercato

dei diritti

6. Proprietà intellettuale

6.1 Conoscenza e prodotti di ingegno e brevetti

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Per definizione la conoscenza e le opere di ingegno una volta prodotte da un inventore o da un

autore perdono la caratteristica di rivalità. In assenza di diritti di uso o fruizione esclusiva sarebbero

anche inescludibili. Si configurerebbe pertanto una tipica situazione di bene pubblico e si

determinerebbe una situazione favorevole alla produzione pubblica allo scopo di evitare perdite di

surplus dovute a sotto-produzione del bene.

Negli ordinamenti giuridici tuttavia sono spesso previsti tutele particolari per i diritti sui prodotti

dell’ingegno (invenzioni, produzioni artistiche, ecc). La ragione consiste nell’assunzione che lo

Stato non sarebbe, in taluni casi, in grado esso stesso di provvedere ad una produzione ottimale di

queste opere di ingegno (si tratterebbe, in questo caso, anziché di un fallimento del mercato di un

fallimento del Governo o dello Stato).

Bisogna infatti distinguere tra conoscenza di base, istruzione e, in generale, forme di per i quali non

sono concepibili investimenti privati (ad esempio investimenti in Ricerca e sviluppo) sufficienti a

produrre quel tipo di conoscenza e, invece, forme di conoscenza in cui tali investimenti sono

inaccessibili ai privati (ad esempio l’invio di un satellite ai confini del sistema solare oppure la

costruzione di un acceleratore nucleare in grado di accertare l’esistenza del bosone di Higgs). Nel

linguaggio giuridico del nostro ordinamento questa distinzione prende la seguente forma. Si veda

Legge sui Brevetti, art 12. - le scoperte consistono nella descrizione o nell'interpretazione, basata sull'osservazione e

sull'acquisizione di dati, di un fenomeno o di un oggetto già esistente in natura, ma precedentemente

non spiegabile; in sostanza si tratta di teorie o idee.

- le invenzioni l'invenzione come la soluzione di un problema tecnico, e quindi come la

realizzazione, da parte dell'uomo, di qualcosa che prima non esisteva; in sostanza si tratta di nuovi

oggetti come beni o processi produttivi.

Tenendo conto di questa distinzione:

Le scoperte non sono brevettabili, le invenzioni sono brevettabili

6.2 Brevetto

Il brevetto è un particolare diritto di proprietà intellettuale che assicura l’esclusività dello

sfruttamento economico di un’invenzione per un periodo limitato di tempo allo scopo di creare

incentivi alla ricerca scientifica volta a produrre innovazioni e progresso tecnologico. Tale diritto di

esclusiva è trasferibile mediante licenza di uso, in nome del principio che l’ordinamento deve

favorire il trasferimento dei diritti a che li valuta di più.

L’innovazione, oltre a costituire una novità rispetto allo stato della conoscenza, ad essere originale

e a non determinare risultati o prodotti illeciti, deve dunque avere la caratteristica di poter essere

sfruttata industrialmente (industrialità). Su questi requisiti, definiti dalla Legge sui Brevetti e dal

Codice della proprietà industriale, si veda F&M par. 3.2.

In ambito giuridico le norme sul brevetto sono giustificate sulla base di teorie diverse,

che è opportuno conoscere leggendo il Par. 3.3 di F&M

Dal punto di vista economico il brevetto equivale ad un diritto di sfruttare un’idea innovativa

relativa a un prodotto o un processo produttivo in regime di monopolio per T anni. Dunque è

necessario argomentare in termini del grafico riportato in F&M nel par. 3.4. In esso sono riportati

sugli assi il prezzo di monopolio pM

di concorrenza perfetta pCP

e le corrispondenti quantità prodotte

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QM

e QCP

. Sappiamo che prezzo e quantità di monopolio corrispondono all’eguaglianza tra MC o c’

(costo marginale) e MR (ricavo marginale) la cui curva non è riportata nel grafico del Cap. 3 (per

chi non si ricorda il monopolio conviene vedere il grafico completo 1.18 del Par. 1.10 di F&M).

Una volta note queste grandezze sappiamo anche che:

a) in concorrenza perfetta il surplus affluisce, nell’ipotesi di costi marginali costanti, interamente

ai consumatori (Aree A+B+Π) pertanto

il valore sociale dell’innovazione in assenza di brevetto è pari alla somma delle

Aree A+B+Π ;

b) in monopolio invece il surplus totale si divide tra consumatori (Area A) e produttori (Area Π) e

inoltre c’è una perdita (di surplus) da monopolio pari all’Area B, pertanto

il brevetto, determinando una posizione monopolistica a favore del detentore, riduce

il valore sociale dell’innovazione che è pari alla somma delle Aree A+Π, a causa

della perdita netta pari all’Area B

6.3 Durata ottimale del brevetto

Immaginiamo ora un prodotto nuovo che richiede investimenti in ricerca e sviluppo pari a RS. Se

non c’è brevetto esso non sarà prodotto del tutto e la società non guadagnerà neppure il surplus da

monopolio (A+Π).

- se c’è brevetto per T anni la società guadagnerà invece T(A+Π), a fronte del costo RS sostenuto

dall’innovatore

- l’innovatore a sua volta investirà se il valore attuale o presente dei profitti per la durata T , diciamo

PV(Π,T), al netto delle spese in ricerca e sviluppo RS è positivo, ovvero se PV(Π,T) – RS > 0, il che

significa che

l’incentivo a innovare dipende dal rendimento dell’innovazione, pari a PV(Π,T) –

RS , e cresce al crescere di T

- d’altro canto per ogni anno T la società perderà a causa del monopolio un surplus pari a B (

perdita netta), ma guadagnerà, grazie all’innovazione, per gli stessi anni un surplus A.

Perciò la durata ottimale del brevetto è tanto maggiore quanto più grande è l’Area

A e tanto minore è quanto è più grande l’Area B. Sappiamo dalla Microeconomia che

le Aree A e B dipendono dall’elasticità della domanda. In genere se la domanda è

rigida l’area B è relativamente ridotta e il brevetto dovrebbe avere una durata

maggiore.

La scelta concreta della durata del brevetto nei diverso ordinamenti giuridici dipende dalla

propensione a privilegiare il consumatore nel breve periodo (riducendo quindi la durata) oppure

l’incentivo all’innovatore (aumentando la durata). In Italia la durata standard è di 20 anni, estesa a

25 nel caso dei farmaci. Ciò va inteso nel senso che l’ordinamento tende a privilegiare

l’innovazione e, attraverso essa, il miglioramento qualitativo della capacità terapeutica dei farmaci.

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6.4 Ampiezza ottimale

Tuttavia il problema dell’efficienza sociale non riguarda solo la durata ma anche l’ampiezza del

brevetto. Per ampiezza si intende lo spettro di innovazioni simili a quella tutelata dal brevetto la cui

brevettazione è impedita dallo stesso.

In secondo luogo, durante il periodo di validità del brevetto, i prodotti che ricadono dentro questo

spettro non possono essere prodotti da soggetti diversi dal detentore, poiché in tal caso vi sarebbe

contraffazione .

Si prenda l’aspirina (acido acetilsalicilico) o una qualsiasi altra molecola destinata alla cura di certe

malattie. Se una nuova molecola A è chimicamente molto vicina ad essa, o addirittura identica ma

combinata con piccole dosi di altre molecole già brevettate (esempio: paracetamolo) , non dovrebbe

essere brevettabile né producibile da parte di imprese farmaceutiche diverse da quella che detiene il

brevetto. In questi casi infatti essa potrebbe essere prodotta da altri solo dopo la scadenza del

brevetto su A e venduta come farmaco generico senza beneficiare dei alcun surplus monopolistico.

L’ampiezza è definita da regole variabili da ordinamento a ordinamento. Essa ovviamente

condiziona le dimensioni di Π ( che determina l’incentivo a innovare) e di B (che determina la

perdita sociale). In sostanza

una maggior ampiezza del brevetto aumenta Π e quindi l’incentivo a investire, ma

aumenta la perdita netta da monopolio B.

Da questo punto di vista l’analisi economica del diritto distingue tra ampiezza orizzontale e

verticale. L’ampiezza orizzontale misura la differenza qualitativa a parità di soddisfacimento di un

bisogno, quella verticale misura il miglioramento rispetto all’innovazione originale (nel caso

farmaceutico maggiore capacità terapeutica). In generale un aumento sia dell’ampiezza orizzontale

che di quella verticale aumentano il potere monopolistico e allontanano dalla concorrenza. Ciò può

essere visto nella Figura 3.3 di p.75 di F&M . Esso può essere interpretato nel seguente modo.

Quando il brevetto è ristretto, il potere monopolistico del titolare del brevetto diminuisce, le

quantità prodotte aumentano verso la quantità di concorrenza perfetta QCP

e il prezzo si abbassa

verso quello di concorrenza, ad esempio al livello PR

> PCP

ma inferiore a quello di monopolio PM

.

Di conseguenza le Aree B e Π si restringono.

Quindi un brevetto ristretto fa diminuire sia la perdita di monopolio che l’incentivo a innovare. Per

compensare la caduta dell’incentivo si dovrebbe perciò aumentare la durata T del brevetto. Alla luce

di queste considerazioni Gilbert e Shapiro mostrano che se si considerano congiuntamente durata e

ampiezza :

Il brevetto ottimale dovrebbe avere ampiezza orizzontale minima in modo da ridurre

la perdita netta da monopolio, compensando ciò con una durata massima

(tendenzialmente infinita) per incentivare l’innovazione

Il discorso dell’ampiezza verticale è più complesso. In questo caso è necessario definire la distanza

in termini di miglioramento rispetto all’innovazione originaria o principale. Si veda la figura

3.4 a p. 76 di F&M. L’ampiezza verticale del brevetto cresce quando il grado di miglioramento

richiesto per ottenere un nuovo brevetto è molto elevato. Al fine di valutare il vantaggio derivante

dal miglioramento è necessario un confronto tra il valore sociale dopo il miglioramento e prima di

esso (cioè quello dell’innovazione originaria).

E’ evidente che una maggiore ampiezza verticale fa aumentare Π e B, ma ciò va confrontato con il

valore sociale generato dal brevetto. Perciò

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L’ampiezza verticale del brevetto originario dovrà essere maggiore (a) quanto più

grande è il suo valore sociale relativamente a quello privato, (b) quanto più piccolo è

l’aumento di Π dovuto al miglioramento e (c) quanto maggiore è il costo in Ricerca e

sviluppo per produrre il miglioramento stesso

6.5 Segreto industriale

Il segreto industriale è anch’esso tutelato dal Codice della proprietà industriale, Art. 98. Esso

serve a proteggere da comportamenti “sleali” come lo spionaggio industriale o violazione di

obblighi contrattuali. Il codice riconosce come tutelabili tutte le informazioni aziendali dotate di

requisiti di segretezza contrattualmente stabilita, possibilità di sfruttamento economico e

adozione di misure da parte del privato che ne garantiscono la segretezza. Come si vede in questo

caso non rileva la novità, che è una caratteristica delle sole invenzioni le quali tuttavia potrebbero

essere tutelate anch’esse dal segreto in alternativa al brevetto. Dunque

Il segreto può tutelare informazioni relative a innovazioni organizzative o finanziarie

e non solo derivanti da invenzioni

Nello stesso tempo mentre la durata massima T del brevetto è fissata per legge, non vi è limite per la

durata S del segreto.

Il segreto come il brevetto ha il vantaggio per l’impresa che si tutela con esso di generare una

posizione monopolistica inibendo la concorrenza. Tuttavia

- o esso viene considerato come alternativa al brevetto e, come tale, esso genera valore sociale

attraverso un’innovazione

- oppure esso tutela un’innovazione già adottata e genera solo le perdite nette derivanti dalla

posizione monopolistica

Dunque gli ordinamenti giuridici non considerano con particolare favore il segreto se esso non è

ben giustificato: ad esempio nel caso che vi siano innovazioni organizzative pur in assenza di

invenzioni di nuovi prodotti o processi. Inoltre il segreto è tutelato da vincoli contrattuali privati e

non da pubblici registri.

D’altra parte se il segreto viene considerato come alternativa al brevetto esso potrebbe consentire di

aggirare la norma sulla durata massima del brevetto protraendo la posizione monopolistica

dell’impresa che con esso si tutela per un numero di anni S > T . In questo modo si avrebbero

perdite nette da monopolio per più anni.

F&M ( par. 3.6) considera un caso più semplice di due imprese utilizzatrici di un’invenzione. La

prima impresa si tutela solo con il segreto e non con il brevetto . La seconda, detta duplicatore,

non essendole impedito da un brevetto di adottare l’innovazione, vi riesce dopo S anni e si tutela lei

stessa con il segreto. In questo modo dopo S anni si genera un duopolio. Se tuttavia i duplicatori

sono molti, quanto maggiore è il loro numero N, tanto più ci si avvicina alla concorrenza. Anche

l’oligopolio genera infatti perdite nette, anche se inferiori a quelle del monopolio e via via

decrescenti al crescere di N.

In secondo luogo molto dipende dalla durata S del segreto e dalla sua sostenibilità. Nel caso di

innovazioni di prodotto, ad esempio, il nuovo prodotto può essere imitato: ad esempio una nuova

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molecola può essere facilmente analizzata e riconosciuta. Se fosse S < T e i duplicatori fossero

molti, ci si avvicinerebbe più rapidamente alla concorrenza..

Dal confronto di questa situazione con quella di un brevetto alla cui scadenza subentra la

concorrenza perfetta si conclude che

Socialmente il brevetto è sempre superiore al segreto a meno che la concorrenza tra le

imprese sia così forte da avvicinare rapidamente il mercato alla situazione di

concorrenza perfetta.

6.6 Diritto d’autore

Il diritto d’autore tutela le opere artistiche e più recentemente, software, banche dati e il design. La

ratio è identica a quella del brevetto ovvero quella di incentivare le opere d’ingegno che hanno un

valore sociale attraverso il riconoscimento di un potere monopolistico per un periodo determinato.

Le “opere” protette dal diritto d’autore sono in genere di larga diffusione e più facilmente imitabili.

Per questa ragione la durata del diritto d’autore è più ampia di quella del brevetto. In Italia essa è

pari a quella della vita dell’autore + 70 anni dopo la sua morte. Tuttavia il diritto d’autore comporta

guadagni per lo stesso e costi per gli utilizzatori delle opere tutelate più bassi, determinando così

una perdita netta inferiore rispetto al brevetto. Inoltre l’ampiezza” del diritto è quasi sempre più

ristretta nel senso che sono spesso ammessi casi di libero utilizzo senza pagamento di diritti ad

esempio per ragioni di interesse sociale. Ad esempio un testo ad uso di insegnamento può essere

esente oppure la sua duplicazione può essere ammesso fino a una percentuale massima (per i testi

universitari il 15%).

6.7 Segni distintivi

Si tratta di caratteristiche, come marchi e insegne, che consentono di distinguere un prodotto da

quello di un’impresa concorrente. Si veda Codice della proprietà industriale, Art. 7. Come i

brevetti essi sono registrati e tutelano l’impresa da utilizzi illeciti da parte di altre imprese.

In generale essi caratterizzano mercati di concorrenza monopolistica, in cui il potere

monopolistico deriva dalla differenziazione del prodotto. In questo tipo di mercato le perdite nette

sono meno rilevanti che nel monopolio o in un oligopolio molto concentrato, poiché non vi sono

barriere all’entrata. La libertà di entrata, infatti, consentendo la concorrenza di nuove imprese

attratte dagli extra-profitti, abbassa il potere monopolistico delle vecchie imprese e riduce tali

perdite di surplus.

Tuttavia si può porre la questione se sia socialmente efficiente e perciò meritevole di tutela un

diritto che comporta il rischio di generare perdite nette, seppure inferiori al caso di monopolio. La

giustificazione dell’efficienza sociale della tutela si deve basare sull’esistenza o meno di un valore

sociale della stessa. Ad esempio se, nonostante i marchi o altri segni distintivi, i prodotti sono

omogenei non vi sarebbe ragione di tutelare gli stessi generando vantaggi monopolistici e

conseguenti perdite nette. Lo stesso potrebbe dirsi a proposito di beni eterogenei la cui qualità può

essere conosciuta attraverso l’esperienza del consumo (beni di esperienza).

Se invece si tratta di beni differenziati sulla base di caratteristiche qualitative che hanno un elevato

contenuto tecnico, e che difficilmente possono essere percepite attraverso l’esperienza poiché

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richiedono competenza, le preferenze verso di essi possono essere utilmente orientate da

informazioni acquisite da esperti. Si pensi alle medicine consigliate da un medico o altri beni di alto

contenuto tecnologico. In questo caso si parla di beni di fiducia (o credence goods). Per tali beni

I segni distintivi possono essere giustificati se, segnalando una qualità difficilmente

percepibile, possono generare un valore sociale superiore alle perdite nette orientando

le preferenze e la domanda verso beni di maggior valore sociale .

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APPENDICE 1: Come si gestiscono le risorse naturali? (ovvero: un modo per discutere la Tragedia dei commons)

La Tragedia dei commons è stata utilizzata per spiegare l’istituzione di diritti di proprietà

allo scopo di evitare il sovra-utilizzo delle risorse naturali. Storicamente i diritti di proprietà sono

stati istituiti con varie modalità. In particolare i diritti di proprietà sulla terra sono stati acquisiti o

stabiliti spesso con metodi coercitivi come nel caso delle enclosures inglesi da parte dei proprietari

terrieri che volevano sfruttare territori prima di libero accesso per l’allevamento di pecore; oppure

mediante sorteggi o vere e proprie corse all’occupazione della terre come nel caso della

colonizzazione del far west americano.

Tuttavia in Economia non è scontato che nel caso di un common la soluzione del problema

mediante diritti esclusivi sia sempre la più efficiente. Si prenda il caso di risorse naturali come le

risorse ittiche, la fauna, le foreste o le spiagge. Alcuni interventi, che hanno lo scopo di limitare

l’uso di talune risorse naturali, molto spesso sono giustificati sostenendo che la conservazione di

alcune specie, animali oppure vegetali, è un dovere morale. Questi interventi, però, potrebbero

essere giustificati anche da considerazioni di efficienza.

Consideriamo una comunità che vive sulle sponde di un lago ricco di pesci. Quanti saranno i

pescatori se il numero di coloro che possono dedicarsi alla pesca è deciso da qualcuno interessato al

benessere della società? Quanti saranno i pescatori se ciascun membro della comunità è libero di

scegliere se dedicarsi alla pesca?

Figura 1

La proprietà comune delle risorse

Chi decide di dedicarsi alla pesca sostiene un costo pari al valore di ciò che produrrebbe se

si dedicasse a qualche altra attività. Questo costo non cambia quando cresce il numero dei pescatori

se supponiamo, per semplicità, che le attività che i membri della comunità abbandonano per

dedicarsi alla pesca siano tutte ugualmente redditizie. Dunque, il costo che sostiene un membro

della comunità quando si dedica alla pesca e quello che sostiene la comunità quando un altro

membro decide di dedicarsi alla pesca, cioè il costo marginale privato e sociale, possono essere

rappresentato dalla retta MC.

Qual è, invece, il valore di ciò che si produce quando qualcuno decide di dedicarsi alla

pesca? La pesca è un’attività caratterizzata da esternalità negative: quando il numero dei pescatori

aumenta, il prodotto medio dei pescatori diminuisce, perché la quantità di pesce che è pescata da

ciascun pescatore diminuisce. Se il prodotto medio diminuisce quando il numero dei pescatori

aumenta, ciò significa che il prodotto marginale è inferiore al prodotto medio: quando un altro

membro della comunità decide di dedicarsi alla pesca, il suo contributo alla quantità di pesce

ottenuto dalla comunità è inferiore al pesce che egli riesce a pescare, perché la sua decisione

provoca una riduzione del pesce che è pescato dal resto della comunità. Quindi il valore del

MC C

A

A Pescatori

Costo

Prodotto

0 B

SMB SAB

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prodotto (ovvero il beneficio) medio e quello del prodotto marginale della pesca, cioè la somma che

si ottiene dalla vendita del prodotto medio e marginale ottenuto dai pescatori, è rappresentato nella

Fig. 1 rispettivamente dalle curve SAB (social average benefit) e SMB (social marginal benefit).

Se il numero di coloro che possono dedicarsi alla pesca è deciso da qualcuno interessato al

benessere della comunità, vi saranno OA pescatori. Chi prende questa decisione, infatti, permetterà

che i pescatori aumentino fino a quando MC = SMB, cioè fino a quando il costo addizionale che la

comunità deve sostenere per avere un altro pescatore è uguale al ricavo (beneficio) addizionale

ottenuto dalla comunità. Il numero dei pescatori, invece, sarà OB se tutti i membri della comunità

possono decidere liberamente di dedicarsi alla pesca. Costoro, infatti, decideranno di dedicarsi alla

pesca fino a quando MC = SAB, cioè fino a quando il costo sostenuto da un membro della comunità

che si dedica alla pesca è uguale al valore del pesce che egli può pescare, che è uguale al valore del

pesce pescato in media da ogni pescatore. Allora, poiché il prodotto medio è più alto del prodotto

marginale, se la decisione di pescare è lasciata ai membri della comunità vi saranno più pescatori di

quelli che la comunità dovrebbe avere, e sarà pescato più pesce di quello che la comunità dovrebbe

pescare.

Questa storia, quindi, suggerisce che vi sarà uno sfruttamento eccessivo, rispetto a quello

socialmente ottimo, delle risorse che tutti possono usare senza pagare, perché chi si appropria di

queste risorse non considera il danno che procura al suo prossimo. Cosa si può fare per evitare i

danni provocati dal libero accesso alle risorse naturali? Sicuramente può essere utile regolare lo

sfruttamento di una risorsa naturale da parte dei membri della comunità, limitando i mezzi e il

tempo che costoro possono impiegare per appropriarsi di quella risorsa. Quando ciò per qualche

ragione non è possibile, si può ottenere lo stesso risultato chiedendo a ciascuno di pagare per il

diritto di usare quella risorsa: poiché diminuirà il beneficio che ciascuno potrà ottenere quando

utilizza quella risorsa, saranno meno numerosi coloro che vorranno usarla. In tal caso il diritto non è

di proprietà ma solo di uso attraverso una concessione (si pensi alla “licenza” di caccia). Il secondo

metodo, ovviamente, equivale a privare i membri della comunità del diritto di proprietà comune

(cioè del libero uso) della risorsa riconoscendo solo ad alcuni di essi i diritti di proprietà esclusivi..

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APPENDICE 2: Il Dilemma del prigioniero ripetuto

In questa Appendice, “cooperare” o “adempiere” significa tener fede, per una delle parti

coinvolte, alla promessa fatta quando si è sottoscritto un contratto. Ricordiamo che nei contratti, per

esempio quelli di scambio, emerge facilmente una situazione simile al Dilemma del prigioniero.

Infatti –in assenza di un sistema sanzionatorio – a ciascuna della parti conviene non adempiere

all’obbligazione qualsiasi cosa faccia l’altra parte. Se l’altro consegna la merce (effettua il

pagamento) a me non conviene pagare (consegnare la merce); ma anche se l’altro non consegna la

merce (non paga) a me conviene non pagare (non consegnare la merce). Indicando con “A” e “NA”,

rispettivamente, la scelta di adempiere e non adempiere, abbiamo per esempio la seguente

situazione, che chiaramente è un Dilemma del prigioniero.

Figura 1. Il Dilemma ad ogni singola data, senza sanzioni

L’equilibrio di Nash di questo gioco (entrambi scelgono NA) è inefficiente nel senso di

Pareto, in quanto esiste la possibilità di stare meglio entrambi, scegliendo entrambi A: tuttavia è

chiaro che questa seconda situazione non è un equilibrio di Nash, poiché ciascuno dei due si

pentirebbe della propria scelta. Un sistema di norme giuridiche che protegga le parti dal non

adempimento dell’altra parte ha l’effetto di modificare i guadagni dei due attori. Supponendo che la

sanzione per il non adempimento riduca di 2 il guadagno del non adempiente, avremmo il seguente

gioco:

Figura 2. Il Dilemma ad ogni singola data, con sanzioni

Questo gioco non è più un Dilemma del prigioniero: a entrambi conviene scegliere A. e questa

situazione è l’equilibrio di Nash (inoltre, è ottimo nel senso di Pareto)

Primo A

NA

NA A

4, 4

5, 1

1, 5

2, 2

Primo A

NA

NA A

4, 4

3, 1

1, 3

0, 0

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In quanto segue, dimostriamo che, in un “Dilemma ripetuto” non è necessario un sistema di

sanzioni imposto da una autorità esterna al fine di ottenere la cooperazione (adempimento): sotto

certe condizioni la cooperazione ripetuta può essere l’equilibrio si Nash del gioco ripetuto.

* * *

I giocatori impegnati in un Dilemma del prigioniero solitamente non si confrontano una sola

volta prendendo una sola una decisione, cooperare oppure no, ma si confrontano ripetutamente,

prendendo in tempi diversi molte decisioni di quel tipo. Parliamo in questo caso di “gioco ripetuto”.

Tuttavia, quando i giocatori si confrontano ripetutamente, la nozione di strategia diviene assai più

complessa: non si tratta più di decidere solo se cooperare oppure no, ma si tratta di progettare un

metodo che consenta di decidere in ogni periodo quale decisione prendere (cooperare o no), sulla

base di ciò che è avvenuto sino a quel momento (“storia passata”). Una “strategia” di un gioco

ripetuto, in altri termini, è una funzione che manda da ogni possibile storia passata ad una decisione

per ogni possibile data futura.

Evidentemente, una strategia di questo tipo è un oggetto piuttosto complicato in generale.

Tuttavia, all’interno dell’insieme delle possibili strategie di questo genere, ne esistono alcune che

sono piuttosto semplici da descrivere. Una di queste, chiamata in inglese “tit for tat” (“colpo su

colpo”), prescrive semplicemente di iniziare cooperando, e poi ad ogni data fare la stessa mossa

compita dall’altro giocatore nel periodo precedente. Si può generalizzare un poco tale strategia

pensando che, dopo aver iniziato cooperando, un giocatore gioca la mossa giocata dall’altro T

periodi prima, dove T può dunque essere maggiore di uno: T può essere pensato come il “ritardo di

reazione” dei giocatori alle mosse dell’altro.

In quanto segue faremo vedere che, sotto certe ipotesi, questa strategia è un equilibrio di

Nash del gioco del Dilemma ripetuto per un periodo molto lungo. La logica è la seguente. Quando i

giocatori si confrontano ripetutamente, in un certo senso un giocatore, se ha violato l’accordo, può

essere punito dalla controparte anche senza che esista un’autorità esterna che infligge sanzioni: la

punizione consiste nell’iniziare a giocare la mossa non cooperativa, che oltre a far aumentare il

guadagno di chi prima stava cooperando, fa abbassare quello di chi prima non stava cooperando (si

veda la Figura 1). Quindi, se le parti si aspettano di essere punite abbastanza severamente, è

possibile che esse rispettino l’accordo anche se non esiste un’autorità esterna che le sanzioni.

Supponiamo, per esempio, che due giocatori competano per un numero infinito (o anche

solo molto lungo ma di lunghezza imprecisata) di volte, dove ogni volta si ripete la situazione del

Dilemma del prigioniero illustrato nella Figura 1: il gioco della Figura 1 si chiama anche “gioco

costituente” del gioco ripetuto. Supponiamo poi che entrambe le parti si domandino se convenga

adottare la strategia “colpo su colpo” prima descritta (ricordiamo che tale strategia prescrive di

iniziare con la mossa “A”). Supponiamo, inoltre, che ogni giocatore minacci l’altro di passare alla

mossa non cooperativa (NA), in modo che entrambi si ritrovino con un guadagno inferiore, se

scopre che la controparte non ha rispettato, T periodi prima, l’accordo ed ha scelto la mossa NA. In

queste circostanze vi sarà qualcuno interessato a violare questo accordo oppure tutti saranno

disposti a collaborare?

In generale, possiamo aspettarci che l’adempimento sia più probabile quanto più limitati

sono i vantaggi derivanti dalla violazione dell’accordo, cioè quanto più breve è il periodo durante il

quale si possono godere questi vantaggi, quanto più alto è il danno provocato da un’eventuale

punizione e quanto più lungo è il periodo durante il quale si deve subire questo danno.

Consideriamo la Fig. 3, dove sono riportati i guadagni che un giocatore può aspettarsi di ottenere al

trascorrere del tempo quando rispetta il patto e quando lo viola, supponendo che l’altra parte

continui a rispettarlo. I guadagni del gioco costituente sono quelli illustrati dalla precedente figura

1.

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Figura 3. L’incentivo a rispettare l’accordo

Un giocatore che rispetta l’accordo, mentre anche l’altro lo sta rispettando, ottiene in ogni

periodo un guadagno pari a 4. Poiché il valore attuale di ciò che si guadagnerà in futuro, dato il

saggio di interesse, è tanto più basso quanto più è lontano il periodo nel quale si otterrà questo

guadagno, la curva che esprime il valore attuale di ciò che guadagnerà in ogni periodo

quest’impresa è la curva nera continua che inizia all’intercetta 4, decrescente al trascorrere del

tempo. Il valore attuale di tutto ciò che può guadagnare il giocatore che rispetta l’accordo, mentre

anche l’altro lo rispetta, è uguale alla somma di ciò che può guadagnare in ogni periodo, cioè la

somma dei segmenti verticali sottesi dalla curva. Dunque, il guadagno totale scontato derivante dal

rispetto dell’accordo è misurato dall’area X + Z + V + Y.

Un giocatore che non rispetta l’accordo mentre l’altro lo rispetta, invece, ha la seguente

sequenza di guadagni. Per un certo tempo, OT, può guadagnare in ogni periodo la somma 5. Il

valore attuale dei guadagni che l’impresa può ottenere nel periodo OT, dunque, è rappresentato

dall’area sottostante la parte non tratteggiata della curva rossa che inizia all’intercetta 5: si tratta

dell’area W + X + Z. Tuttavia, siccome l’altro giocatore al tempo T scopre la trasgressione, punirà

chi ha trasgredito scegliendo anch’egli di non collaborare, cioè scegliendo NA. Dopo il tempo T,

dunque, il giocatore che ha trasgredito otterrà un guadagno che è pari a 2 in valore nominale.

Allora, il valore presente dei guadagni ottenuti in ogni periodo successivo a T da questo giocatore è

pari all’area sottesa alla parte non tratteggiata della curva rossa che inizia all’intercetta 2: si tratta

dell’area Y. Di conseguenza il valore presente di tutto ciò che guadagna il giocatore che decide di

trasgredire, mentre l’altro non trasgredisce, è l’area W + X + Z + Y.

Riassumendo: se l’altro giocatore rimane adempiente, un giocatore ottiene W + X + Z + Y

se non adempie, e ottiene X + Z + V + Y se adempie; dunque, il vantaggio di essere inadempiente è

misurato da W V. Questo giocatore, quindi, sarà interessato a violare l’accordo se W è più grande

di V, ma sarà invece disposto a rispettare l’accordo se W è più piccolo di V. Consideriamo, quindi,

qualche possibile circostanza nella quale è forte l’incentivo a violare l’accordo, cioè qualche

circostanza nella quale il guadagno ottenuto dalla violazione del’accordo è elevato, e il danno

derivante dalla punizione della violazione è invece limitato.

Anzitutto, la tentazione di violare l’accordo è forte quando i giocatori sono “impazienti” di

ottenere un guadagno: in altri termini, quando danno molta importanza ai guadagni immediati e

poca a quelli più lontani nel tempo. Ciò accade quando il tasso di interesse utilizzato per

l’operazione di attualizzazione è elevato17

. In tali circostanze le curve disegnate nella Figura 3 si

abbassano sempre più rapidamente man mano che ci si sposta a destra, cosicché l’area V si riduce in

proporzione all’area W.

17

Si rammenta che, se r è il tasso di interesse, il valore attuale della somma F disponibile tra t anni è F / [(1 + r)t].

Tempo

Guadagno

Y

W 4

T

0

5

2 X

Z V

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In secondo luogo, la violazione dell’accordo diviene più conveniente quando i giocatori

prevedono di non convivere a lungo con le loro controparti: in questo caso, di nuovo, l’area V si

riduce rispetto all’area W.

Infine, la tentazione di violare l’accordo è più forte quando la trasgressione non può essere

facilmente scoperta e prontamente punita, cosicché l’intervallo OT durante il quale si possono

ottenere i maggiori guadagni derivanti dalla trasgressione è lungo, e quello durante il quale si

realizza un basso guadagno è breve.

Dunque, le il tasso di interesse è basso, oppure i giocatori convivono a lungo, oppure ancora il

tempo di reazione della punizione è breve, allora diviene più conveniente rispettare l’accordo se

l’altro lo rispetta.

La conclusione del nostro ragionamento è dunque la seguente: se il secondo giocatore adotta

la strategia “colpo su colpo” (che prevede di iniziare con la mossa cooperativa A), sotto certe

condizioni il primo giocatore ha convenienza ad adottare egli stesso la strategia “colpo su colpo”,

iniziando con A. Siccome le posizioni dei due giocatori sono simmetriche, lo stesso vale anche

dall’altra parte: ecco allora che questa combinazione di strategie (“colpo su colpo” giocata da

entrambi) costituisce un equilibrio di Nash del gioco ripetuto.

In alcune circostanze, dunque, i giocatori che si confrontano ripetutamente sulla base di un

gioco costituente come il Dilemma del prigioniero possono riuscire a tener fede all’accordo anche

in assenza di una autorità esterna che faccia rispettare gli accordi.

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APPENDICE 3: Le esternalità

Per chi non ricorda la Microeconomia integra il Par. 1.3 di F&M

NB: anche in Appendice le sigle delle curve sono in italiano anziché in inglese: p.

es. il costo marginale sociale viene chiamato CMaS e non SMC; eccetera

Si ha un’esternalità quando il comportamento di qualcuno influisce sul benessere degli altri in

modo diretto e non attraverso variazioni dei prezzi di mercato. Il fatto che un’impresa, aumentando

la propria produzione, possa far scendere il prezzo di mercato del suo bene e quindi il profitto dei

concorrenti non è, dunque, da considerarsi un caso di esternalità.

In particolare, si ha un’esternalità negativa quando il comportamento di qualcuno procura un

danno ad altri e un’esternalità positiva quando procura un vantaggio ad altri. Poiché il

comportamento che procura il danno oppure il beneficio può essere la produzione oppure il

consumo di un bene, vi possono essere esternalità, positive oppure negative, dovute alla produzione

ed esternalità, positive oppure negative, dovute al consumo. Si ha un’esternalità negativa dovuta

alla produzione, per esempio, quando la produzione di un bene comporta qualche forma

d’inquinamento che danneggia qualcuno, mentre si ha un’esternalità positiva dovuta alla produzione

quando la ricerca scientifica produce conoscenze che sono a disposizione di tutti. Si ha

un’esternalità negativa dovuta al consumo quando qualcuno utilizzando la propria automobile

emette gas di scarico in città, mentre si ha un’esternalità positiva dovuta al consumo quando

qualcuno acquista un nuovo prodotto, perché chi lo acquisterà più tardi può imparare qualcosa sulle

caratteristiche di quel prodotto. &

Sappiamo che un mercato concorrenziale, quando non vi sono esternalità, è efficiente, perché il

surplus sociale è il più alto possibile. Se vi sono esternalità, un mercato concorrenziale continua ad

essere efficiente?

1. Esternalità ed efficienza

Consideriamo due imprese, un’impresa chimica e un’impresa agricola. Quando produce,

l’impresa chimica inquina l’acqua di un fiume usata dall’impresa agricola localizzata a valle, che

subisce un danno dalla produzione chimica perché deve depurare l’acqua prima di usarla oppure

perché ottiene prodotti agricoli di qualità inferiore. L’attività dell’impresa chimica, quindi,

comporta un’esternalità negativa per quella agricola. Nella Fig. 1 è illustrata la situazione nella

quale si trova l’impresa chimica senza potere di mercato quando deve decidere quanto produrre.

In essa la curva CMaP rappresenta il costo marginale privato, cioè il costo sostenuto

dall’impresa chimica quando produce un’unità addizionale di prodotto. La curva DMa indica il

danno marginale subito dall’impresa agricola, cioè il danno subito dall’impresa agricola a causa

dell’inquinamento quando l’impresa chimica produce un’altra unità di prodotto. La curva CMaS

= CMaP + DMa rappresenta il costo marginale sociale della produzione chimica, cioè il costo

che la società sostiene quando si produce un’unità addizionale di prodotti chimici.

Figura 1

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Un’esternalità negativa

Il costo marginale sociale è dato dalla somma del costo marginale sostenuto dall’impresa

chimica e del danno marginale subito dall’impresa agricola. Infine, il beneficio marginale

sociale, BMaS, è misurato dal prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per avere un’unità

addizionale di prodotti chimici. Poiché l’impresa chimica non ha potere di mercato, il prezzo non

cambia quando cambia la quantità prodotta che essa produce. Il beneficio marginale sociale,

quindi, in questa situazione è costante.

L’impresa chimica può vendere ogni quantità al prezzo OP. Allora, poiché l’impresa chimica vuole

ottenere il profitto più alto, produce la quantità OB, perché questa è la quantità dove il prezzo è

uguale al costo marginale. Dalla vendita di questa quantità l’impresa chimica ottiene un beneficio,

che è il suo surplus, uguale alla differenza tra il ricavo e il costo privato della produzione chimica.

Questo beneficio, misurato dall’area compresa tra il prezzo e il costo marginale privato, è pari a W

+ X + Y. L’impresa agricola, invece, subisce un danno, pari alla differenza tra il costo sociale e il

costo privato della produzione chimica. Questo danno, misurato dall’area compresa tra il costo

marginale sociale e il costo marginale privato, è uguale a X + Y + Z. Il surplus complessivo

determinato dalla decisione dell’impresa chimica è dato dalla differenza tra il beneficio ottenuto

dall’impresa chimica e il danno subito da quella agricola. Questo surplus, che qui chiameremo

surplus sociale, è dunque uguale a W Z.

Quale sarebbe la produzione chimica se la decisione relativa a quanto produrre fosse presa da

qualcuno interessato al benessere della società? La produzione chimica sarebbe OA, perché in

corrispondenza di questa quantità il beneficio marginale sociale, misurato dal prezzo, è uguale al

costo marginale sociale. Se si producesse questa quantità, il beneficio ottenuto dall’impresa chimica

sarebbe W + X e il danno subito dall’impresa agricola sarebbe X. Il surplus sociale, quindi, sarebbe

W. Dunque, quando la decisione relativa alla produzione chimica è presa dall’impresa chimica, la

società subisce una perdita pari a Z.

Vediamo ora cosa succede quando vi è invece un’esternalità positiva. Consideriamo un’altra

un’impresa chimica, che non effettua produzioni inquinanti, e un’altra impresa agricola.

Supponiamo però che per produrre l’impresa chimica debba depurare l’acqua di un fiume inquinato,

che è usata anche dall’impresa agricola. L’impresa agricola, quindi, ottiene un beneficio dalla

produzione chimica, perché non deve depurare l’acqua che usa o perché ottiene prodotti di qualità

superiore.

Nella Fig. 2 la curva CMaP rappresenta ancora il costo marginale privato sostenuto dall’impresa

chimica, la curva BMa rappresenta il beneficio marginale che l’impresa agricola ottiene dall’attività

dell’impresa chimica, e la curva CMaS = CMaP BMa rappresenta il costo marginale sociale della

produzione chimica, dato dalla differenza tra costo marginale sostenuto dall’impresa chimica e il

beneficio marginale ottenuto dall’impresa agricola.

P W

X Y

Z CMaP

CMaS

DMa

BMaS

A

A Quantità

Prezzo

0 B

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Figura 2

Un’esternalità positiva

L’impresa chimica produce la quantità OA, perché quando produce questa quantità il prezzo è

uguale al costo marginale privato. Quando produce OA l’impresa chimica ottiene un beneficio, che

è uguale alla differenza tra il ricavo e il costo privato della produzione chimica. Questo beneficio,

misurato dall’area compresa tra il prezzo e il costo marginale privato, è pari a W. L’impresa

agricola, invece, ottiene un beneficio pari alla differenza tra il costo privato e il costo sociale della

produzione chimica. Questo beneficio, misurato dall’area compresa tra il costo marginale privato e

il costo marginale sociale, è pari a X. Il surplus sociale, che è dato dalla somma del beneficio

ottenuto dall’impresa chimica e da quella agricola, è pari a W + X. Se la decisione relativa alla

produzione chimica, però, fosse presa da qualcuno interessato al benessere della società, la

produzione chimica sarebbe OB, dove il beneficio marginale sociale, misurato dal prezzo, è uguale

al costo marginale sociale. Se si producesse OB, il beneficio ottenuto dall’impresa chimica sarebbe

W Z e il beneficio ottenuto dall’impresa agricola sarebbe X + Y + Z. Il surplus sociale, quindi,

sarebbe pari a W + X + Y. Allora, se la decisione relativa alla produzione chimica è presa

dall’impresa chimica sulla sola base dei suoi incentivi privati, la società subisce una perdita pari a Y.

Possiamo concludere, dunque, che quando vi è un’esternalità, negativa oppure positiva, il mercato

non promuove un’allocazione efficiente delle risorse: si produce troppo, oppure troppo poco,

rispetto a quanto sarebbe socialmente desiderabile produrre. In particolare, quando l’esternalità è

negativa la produzione che provoca il danno è più alta di quella socialmente ottima, perché chi

decide quanto produrre, se non deve pagare per il danno che provoca, non considera tutti i costi che

comporta la produzione. Quando l’esternalità è positiva, invece, la produzione che genera il

beneficio è inferiore a quella socialmente ottima, perché chi decide quanto produrre, se non riceve

alcun compenso per i vantaggi che procura al suo prossimo, non considera tutti i benefici assicurati

dalla produzione.

Se il mercato dei prodotti chimici è concorrenziale, l’impresa chimica è così piccola che le sue

decisioni di produzione non influiscono sul prezzo. Se tutte le imprese chimiche, però, provocano

un danno oppure procurano un beneficio ad altri soggetti, dobbiamo studiare cosa succede in tutto il

mercato, dove le decisioni di produzione di questa industria influiscono sul prezzo.

Consideriamo la Fig. 3a, dove è illustrato il mercato dei prodotti chimici quando la produzione di

tutte le imprese chimiche procura un danno ad altri soggetti nella forma di qualche aumento dei loro

costi marginali. La curva CMaP rappresenta il costo marginale sostenuto dalle imprese chimiche e

la curva CMaS rappresenta il costo marginale sociale, dato dalla somma del costo marginale

sostenuto dalle imprese chimiche e del danno marginale procurato ad altri soggetti dalla produzione

chimica. La curva BMaS rappresenta il beneficio marginale ottenuto dai consumatori di prodotti

chimici e quindi dall’intera società.

Figura 3

Il mercato con un’esternalità negativa (a) e con un’esternalità positiva (b)

W X

Y

Z

CMaS

CMaP

BMa

BMaS P

A

A Quantità

Prezzo

0 B

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Le imprese chimiche produrranno la quantità dove la domanda è uguale all’offerta. Come

sappiamo, però, la curva di domanda coincide con la curva del beneficio marginale ottenuto dai

consumatori di prodotti chimici e la curva di offerta coincide con la curva del costo marginale

privato sostenuto dai produttori. Le imprese chimiche, quindi, produrranno la quantità OQ, che

venderanno al prezzo OP. La quantità socialmente ottima, invece, è quella dove il beneficio

marginale sociale è uguale al costo marginale sociale. La quantità socialmente ottima, quindi, è OR,

che dovrebbe essere venduta al prezzo OS. Anche se il mercato è concorrenziale, dunque, quando la

produzione di un bene comporta un’esternalità negativa la quantità prodotta è troppo alta rispetto a

quella socialmente ottima.

Si noti, però, che una situazione socialmente ottima comporta che vi sia ancora inquinamento,

perché prevede che vi sia ancora produzione chimica. Per eliminare l’inquinamento sarebbe

necessario impedire la produzione chimica, ma ciò comporterebbe la rinuncia al surplus che la

società ottiene quando le imprese chimiche producono la quantità socialmente ottima e che deriva

dal fatto che i prodotti chimici procurano benefici ai loro consumatori.

Consideriamo ora la Fig. 3b, dove è illustrato il mercato dei prodotti chimici quando la produzione

di tutte le imprese chimiche procura un beneficio ad altre imprese nella forma di qualche riduzione

dei loro costi marginali. Ora la curva che rappresenta il costo marginale sociale, CMaS, è data dalla

differenza tra il costo marginale privato, sostenuto dalle imprese chimiche, e il beneficio marginale

che altre imprese ricevono dalla produzione chimica. La quantità prodotta dalle imprese chimiche è

ancora OQ e il prezzo al quale è venduta è OP. La quantità socialmente ottima, invece, ora è OT e il

prezzo al quale questa quantità dovrebbe essere venduta è OV. Quando vi è un’esternalità positiva

nella forma di riduzione dei costi di qualche impresa, dunque, anche se il mercato è concorrenziale

la quantità prodotta dall’industria chimica è troppo bassa rispetto a quella socialmente ottima.

Cosa si può fare per consentire a un mercato concorrenziale di funzionare in maniera efficiente

anche quando vi è qualche esternalità? Qualcuno ha sostenuto che in particolari condizioni non è

necessario fare alcunché, mentre altri sostengono che è necessario un intervento pubblico che

produca qualche cambiamento delle decisioni di produzione oppure di consumo che generano

l’esternalità.

2. La soluzione di Coase mediante negoziazione tra privati Vediamo, anzitutto, perché un intervento pubblico può non essere necessario, come è stato

sostenuto, tra gli altri, dall’economista Ronald Coase nel 1960. A questo scopo consideriamo

nuovamente un’impresa chimica che inquina l’acqua usata dall’impresa agricola, illustrata nella

Fig. 1 che per comodità è riprodotta nella Fig. 4.

Se si stabilisce che l’impresa agricola ha diritto all’acqua pulita, l’impresa chimica può produrre

solo se convince quella agricola a tollerare l’inquinamento provocato dalla produzione chimica

Quantità Quantità

A

Prezzo

0

Prezzo

P

A

P

Q

A

Q T 0 R

CMaS

BMaS

V

BMaS CMaS

CMaP

S

CMaP

(a) (b)

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pagandole una somma opportuna. La somma più alta che l’impresa chimica è disposta a pagare per

convincere quella agricola a permettere la produzione chimica è pari al profitto che l’impresa

chimica otterrebbe da quella produzione. La somma più bassa che l’impresa agricola è disposta ad

accettare per consentire la produzione chimica, invece, è uguale al danno che l’impresa agricola

riceverebbe da quella produzione. Entrambe le imprese, quindi, saranno interessate a raggiungere

un accordo se il profitto ottenuto dall’impresa chimica è superiore, o al massimo uguale, al danno

subito dall’impresa agricola. Qual è, allora, la produzione chimica sulla quale le imprese possono

trovare un accordo?

Se si produce la quantità OA, l’impresa chimica ottiene un profitto pari a W + X e l’impresa agricola

subisce un danno pari a X. Poiché l’impresa chimica può pagare più di quanto quella agricola è

disposta ad accettare per permettere che sia prodotta la quantità OA, le imprese possono accordarsi

per consentire all’impresa chimica di produrre la quantità OA. Non possiamo aspettarci, però, che le

imprese raggiungano un accordo che consenta all’impresa chimica di produrre una quantità

superiore a OA. Se si producesse per esempio anche la quantità AB, dalla produzione di questa

quantità l’impresa chimica otterrebbe un ulteriore profitto pari a Y e l’impresa agricola subirebbe un

ulteriore danno pari a Y + Z. L’impresa chimica, dunque, non è interessata a pagare la somma più

bassa richiesta dall’impresa agricola per tollerare anche la produzione della quantità AB, e quindi si

limiterà a produrre OA.

Figura 4

Un’esternalità negativa: somme pretese e proposte per fare un accordo

Cosa succede, invece, se l’impresa chimica ha diritto a inquinare? L’impresa chimica ora non

deve ottenere da quella agricola il permesso di inquinare e l’impresa agricola, per non subire il

danno provocato dall’inquinamento, deve convincere quella chimica a limitare la produzione,

tramite il pagamento di una somma opportuna. La somma più alta che l’impresa agricola può

pagare per convincere quella chimica a non produrre è uguale al danno del quale l’impresa

agricola si libererebbe in seguito alla riduzione della produzione chimica. La somma più bassa

che l’impresa chimica è disposta ad accettare per non produrre è uguale al profitto che

perderebbe se rinunciasse a produrre. Entrambe le imprese, dunque, saranno interessate ad

accordarsi per limitare la produzione chimica se il danno che l’impresa agricola subisce dalla

produzione chimica è superiore al profitto che ne ottiene quella chimica. Qual è la produzione

chimica sulla quale le imprese possono trovare un accordo?

Anche in questo caso le imprese troveranno un accordo che prevede una produzione chimica pari a

OA. L’impresa agricola non può convincere quella chimica a non produrre questa quantità, o una

quantità inferiore, perché dalla produzione di questa quantità l’impresa agricola subirebbe un danno

pari solamente a X e quella chimica otterrebbe un profitto pari a W + X. L’impresa agricola, quindi,

non può pagare la somma più bassa richiesta dall’impresa chimica per rinunciare a produrre OA.

L’impresa agricola, però, può convincere quella chimica a non produrre una quantità superiore ad

OA. Se si producesse per esempio anche la quantità AB, l’impresa agricola subirebbe un ulteriore

P W

X Y

Z CMaP

CMaS

DMa

BMaS

A

A Quantità

Prezzo

0 B

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danno pari a Y + Z e quella chimica otterrebbe un ulteriore profitto pari a Y. L’impresa agricola,

quindi, può pagare più di quanto quella chimica è disposta ad accettare per non produrre AB.

Possiamo concludere, dunque, che per indurre l’impresa chimica a produrre la quantità

socialmente ottima è sufficiente stabilire che l’impresa agricola ha diritto all’acqua pulita, e

dunque a farsi pagare per tollerare l’inquinamento, oppure che l’impresa chimica ha diritto ad

inquinare, e dunque a farsi pagare per non inquinare. Non dobbiamo preoccuparci, quindi, se la

produzione oppure il consumo provoca qualche esternalità: se si definiscono con sufficiente

chiarezza i diritti di ciascuno e si consente a tutti di vendere e comprare questi diritti,

indipendentemente da come i diritti sono inizialmente distribuiti si produrrà e si consumerà la

quantità socialmente ottima del bene la cui produzione o consumo genera l’esternalità.

Naturalmente la distribuzione iniziale dei diritti, anche se non influisce sul risultato finale in

termini di quantità, influisce però sulla distribuzione del reddito: il diritto all’acqua pulita,

oppure il diritto ad inquinare, rappresenta un’opportunità di guadagno per chi lo riceve e un

costo per chi lo deve comprare. La distribuzione iniziale dei diritti, dunque, può forse

rappresentare una soluzione del problema della produzione della quantità efficiente, ma non

comporta necessariamente una soluzione equa della distribuzione dei guadagni.

Possiamo dubitare, però, che la semplice definizione dei diritti di ciascuno rappresenti una

soluzione sempre efficace del problema delle esternalità. Supponiamo, infatti, che vi siano molte

imprese chimiche che inquinano in misura diversa e molte imprese agricole che sono danneggiate in

misura diversa dall’inquinamento. In queste circostanze lo scambio dei diritti può diventare così

costoso da scoraggiare le parti interessate, perché può essere molto complicato individuare tutte le

parti interessate, negoziare con ciascuna un accordo, prevenire una violazione dell’accordo ed

ottenere il rispetto dell’accordo dopo che è stato violato. Inoltre, è possibile che non si riesca a

raggiungere un accordo anche quando le parti interessate sono poco numerose e negoziare un

accordo è poco costoso. Supponiamo che vi sia una sola impresa che inquina e una sola impresa

danneggiata dall’inquinamento. Per raggiungere un accordo queste imprese devono stabilire come

dividersi la differenza tra la somma più alta che il compratore è disposto a spendere per ottenere il

diritto all’acqua pulita e la somma più bassa che il venditore è disposto ad accettare per cedere quel

diritto. Se un’impresa vuole ottenere più di quanto l’altra è disposta a concedere, è possibile che non

si riesca a raggiungere un accordo.

Non ci si può aspettare, dunque, che il problema posto da un’esternalità sia risolto dalla semplice

definizione dei diritti di ciascuno se il costo del negoziato per lo scambio dei diritti è molto alto,

come può succedere quando le parti interessate sono molto numerose, oppure se il negoziato può

fallire, come può succedere quando le parti sono incerte sul prezzo al quale ciascuno è disposto a

procedere allo scambio. Per risolvere il problema creato da un’esternalità, quindi, può essere

necessario un intervento pubblico.

3. L’intervento pubblico: imposte sulla produzione e sussidi Un’esternalità provoca un problema di efficienza perché chi produce, oppure chi consuma, non

paga per i danni subiti dal suo prossimo oppure non è pagato per i benefici ottenuti dal suo

prossimo. Una soluzione di questo problema, quindi, può essere rappresentata da un

provvedimento delle autorità che faccia pagare chi provoca un danno e rimborsi chi procura un

beneficio. Questa soluzione è stato avanzata, tra gli altri, dall’economista Arthur Pigou nei primi

anni del Novecento.

Consideriamo ancora l’impresa chimica e l’impresa agricola. Nella Fig. 5a è illustrata la situazione

nella quale si trova l’impresa chimica quando la produzione chimica danneggia l’impresa agricola.

L’impresa chimica produce la quantità OB, dove il prezzo è uguale al costo marginale privato, ma la

quantità socialmente ottima è OA, dove il prezzo, che misura il beneficio marginale sociale, è

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uguale al costo marginale sociale. Per indurre l’impresa chimica a ridurre la produzione si può

obbligarla a pagare per ogni unità prodotta un’imposta pari a T, cioè pari al danno marginale che

subirebbe l’impresa agricola se la produzione chimica fosse quella socialmente ottima. Quando

l’impresa chimica deve pagare questa imposta, il suo costo marginale aumenta, perché diventa

CMaP + T, e l’impresa chimica sceglierà di produrre proprio la quantità OA.

Figura 5

Esternalità negativa e tassazione (a) ed esternalità positiva e sussidio (b)

Nella Fig. 5b, invece, è illustrata la situazione nella quale si trova l’impresa chimica quando procura

un beneficio all’impresa agricola. La produzione chimica è OA, dove il prezzo è uguale al costo

marginale privato, e la produzione socialmente ottima è OB, dove il prezzo è uguale al costo

marginale sociale. Per indurre l’impresa chimica ad aumentare la produzione si può pagarle per

ogni unità prodotta un sussidio pari a S, cioè pari al beneficio marginale che otterrebbe l’impresa

agricola se la produzione chimica fosse quella socialmente ottima. Quando l’impresa chimica riceve

questo sussidio il suo costo marginale diminuisce, perché diventa CMaP – S, e la produzione

chimica aumenta, perché diventa OB.

Un’imposta oppure un sussidio, dunque, può risolvere il problema posto dalla presenza di

un’esternalità. Per definire correttamente l’imposta oppure il sussidio, però, le autorità devono

possedere molte informazioni: devono conoscere chi procura il danno oppure il beneficio, devono

conoscere chi subisce il danno oppure chi riceve il beneficio, devono valutare la consistenza del

danno oppure del beneficio e le loro conseguenze economiche. Anche quando si tratta di intervenire

in situazioni molto semplici, come quelle che abbiamo considerato, ottenere queste informazioni

può essere abbastanza difficile, perché molti sono interessati a fornire informazioni non veritiere a

chi dovrebbe definire l’imposta oppure concedere il sussidio. Se l’imposta oppure il sussidio non è

definito in maniera corretta, però, è possibile che l’intervento pubblico non rappresenti una

soluzione pienamente soddisfacente del problema delle esternalità.

4. L’intervento pubblico: imposte sulle sostanze inquinanti e standard Finora si è implicitamente assunto che per ridurre i danni procurati dalla produzione di qualche

bene fosse necessario ridurre la produzione di quel bene. Questa ipotesi, però, non è sempre

plausibile. Talvolta, come accade nel caso dell’inquinamento, non è necessario diminuire la

produzione di un bene per ridurre il danno che essa provoca, perché è possibile limitare il danno con

opportuni, anche se costosi, interventi che consentono di ridurre l’inquinamento.

RMa

CMaP

CMaP + T

T

Quantità 0

Prezzo

A

B A Quantità

Prezzo

A

A B 0

S CMaS

CMaP - S

RMa

CMaP (a) (b)

CMaS =

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Consideriamo la Fig. 6, dove è illustrata la situazione nella quale si trova la famigerata impresa

chimica che degrada la qualità dell’acqua di un fiume rilasciando una sostanza inquinante.

Supponiamo che a parità di quantità prodotta questa impresa possa adottare qualche accorgimento,

che è costoso, per ridurre l’inquinamento. La curva CMaS rappresenta il costo marginale sostenuto

dall’impresa chimica per ridurre l’inquinamento a parità di produzione: essa è decrescente perché si

può supporre che il costo di un’ulteriore riduzione dell’inquinamento sia più elevato quando

l’inquinamento è basso. Siccome nessun altro, tranne l’impresa chimica, deve sostenere costi per il

disinquinamento, questa curva è anche quella del costo marginale sociale (da cui il simbolo). La

curva BMaS, invece, rappresenta il costo marginale che la società deve sostenere se non si riduce

l’inquinamento, e dunque è uguale al beneficio che la società ottiene da una riduzione

dell’inquinamento (beneficio marginale sociale del disinquinamento): essa è crescente perché si può

supporre che il danno provocato da un ulteriore aumento dell’inquinamento (e quindi il beneficio

tratto da un aumento del disinquinamento) diventi sempre maggiore quando l’inquinamento

aumenta.

Figura 6

Standard di inquinamento e imposte

Se la decisione relativa al controllo dell’inquinamento è lasciata all’impresa chimica,

l’inquinamento sarà OB, perché l’impresa chimica non è interessata a sostenere il costo di una sua

riduzione. La quantità d’inquinamento socialmente ottima, invece, è OA. Quando l’inquinamento è

più alto di OA, è conveniente per la società ridurlo, perché il costo che si deve sostenere per ridurlo

è inferiore al danno che la mancata riduzione provocherebbe alla società. Quando l’inquinamento è

più basso di OA, per la società è conveniente lasciare aumentare l’inquinamento, perché il danno

che la società subisce è inferiore al costo che dovrebbe sostenere per limitare l’inquinamento.

Per ottenere che l’inquinamento sia quello conveniente per la società si può intervenire in due modi.

Anzitutto le autorità possono imporre un limite all’inquinamento che può essere provocato

dall’impresa chimica: se si decide che l’inquinamento non può essere superiore a OA e si

stabiliscono sanzioni abbastanza severe per chi non rispetta questo limite, l’impresa chimica dovrà

adottare qualche accorgimento che le consentirà di ridurre l’inquinamento a OA. Le autorità, però,

possono ottenere lo stesso risultato imponendo all’impresa chimica di pagare un’imposta su ogni

unità di sostanza inquinante emessa (cioè per ogni unità di disinquinamento omessa): se questa

somma è OC, l’impresa chimica sarà interessata a ridurre l’inquinamento da OB fino a OA, perché

per tutta la quantità AB il costo marginale di una riduzione dell’inquinamento è inferiore all’imposta

che si dovrebbe pagare se non si provvedesse a ridurre l’inquinamento, mentre per riduzioni

ulteriori il costo marginale è superiore all’imposta.

Anche per effettuare questi interventi, però, le autorità devono avere informazioni sui costi e sui

benefici di una riduzione dell’inquinamento, che può essere difficile ottenere quando coloro che

inquinano sono molto numerosi. Solitamente, quindi, si definisce un limite all’inquinamento, o

C

A

A Inquinamento

Costo

0 B

CMaS BMaS

E

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indifferentemente un’imposta su ogni unità di sostanza inquinante emessa, entrambi uguali per tutte

le imprese.

Se però le imprese devono sostenere costi tra loro diversi per ridurre l’inquinamento, un’imposta

sulla sostanza inquinante uguale per tutte le imprese può rappresentare lo strumento più efficiente

rispetto al controllo diretto dell’inquinamento.

Supponiamo, infatti, che vi siano due imprese chimiche che hanno costi marginali di riduzione

dell’inquinamento diversi, come quelli illustrati nella Fig. 7. L’inquinamento prodotto da queste

imprese in assenza di un intervento è 2OD, ma l’inquinamento desiderato dalle autorità è per

esempio 2OB. Per ottenere la quantità desiderata di inquinamento, le autorità possono imporre a

ciascuna impresa un limite pari a OB, o alternativamente possono imporre a entrambe le imprese

un’imposta su ogni unità di sostanza inquinante pari a OT.

L’imposizione dello stesso limite all’inquinamento, OB, ad entrambe le imprese non rappresenta

una procedura efficiente di controllo dell’inquinamento. Se ciascuna delle due imprese riduce

l’inquinamento di un ammontare pari a BD, il costo marginale dell’inquinamento diventa OR per

un’impresa e OS per l’altra. Quindi, se si richiedesse all’impresa con il costo marginale più basso

d’inquinare meno e si consentisse a quella con il costo marginale più alto d’inquinare di più,

l’inquinamento complessivo sarebbe lo stesso, ma il costo complessivo sostenuto per ridurlo

sarebbe più basso. In particolare, se si potesse imporre il limite OA alla prima impresa e il limite OC

alla seconda impresa, l’inquinamento sarebbe quello desiderato, cioè OA + OC = 2OB, ma il costo

della riduzione dell’inquinamento sarebbe il più basso possibile: poiché le imprese avrebbero lo

stesso costo marginale, OT, non si potrebbe ridurre ulteriormente il costo dell’inquinamento

modificando i limiti imposti a ciascuna impresa.

Ù

Figura 7

Standard e imposte uniformi

Cosa succede, dunque, se le autorità impongono ad entrambe le imprese di pagare la stessa imposta,

OT, su ogni unità di sostanza inquinante emessa dalle due imprese? Ogni impresa ridurrà

l’inquinamento fino a quando il costo di un’ulteriore riduzione sarà uguale all’imposta che si deve

pagare su ogni unità di sostanza inquinante. L’impresa con il costo più basso, quindi, ridurrà

l’inquinamento fino a OA e quella con il costo più alto fino a OC, cosicché l’inquinamento sarà

quello desiderato, OA + OC = 2OB. Inoltre, poiché il costo marginale di entrambe le imprese sarà

uguale a OT, le autorità otterranno la riduzione desiderata dell’inquinamento al costo più basso

possibile.

S

A

A Inquinamento

Costo

0 D

CMa1 CMa2

T

R

B C

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Supponete a questo punto che le autorità decidano che le imprese possono inquinare il fiume solo se

hanno un permesso. Supponete, inoltre, che le autorità decidano di distribuire alle imprese OD

permessi di inquinamento. Supponete, infine, che un permesso possa essere usato da chi lo possiede

per scaricare nel fiume un’unità di sostanza inquinante oppure possa essere venduto.

L’inquinamento complessivo è sicuramente quello desiderato, OD, perché le imprese non possono

inquinare più di quanto consentano i permessi distribuiti dalle autorità. L’inquinamento desiderato,

però, è ottenuto al costo più basso? Considerate la FIG. 8, che è del tutto analoga alla 7 (con costi

marginali ora lineari): siccome per inquinare occorre avere dei permessi, in ascissa riportiamo la

quantità di permessi anziché quella di inquinamento. Le rette QD e PD indicano il costo di una

riduzione marginale dell’inquinamento che le imprese devono sostenere in corrispondenza a

ciascuna quantità di sostanza inquinante scaricata nel fiume. Poiché la quantità di sostanza

inquinante rilasciata nel fiume è misurata dai permessi posseduti dall’impresa, queste rette indicano

qual è il costo di una riduzione marginale dell’inquinamento in corrispondenza ai permessi

posseduti da un’impresa. Cosa succede se le autorità dividono equamente OD permessi tra le

imprese, assegnando a ciascuna impresa OB permessi?

FIGURA 8

Il mercato dei permessi

Chi ottiene un permesso può evitare di ridurre l’inquinamento di un’unità. La somma più alta che

un’impresa è disposta a spendere per avere un permesso, quindi, è uguale al costo che dovrebbe

sostenere per ridurre l’inquinamento di un’unità. Chi vende un permesso, invece, deve ridurre

l’inquinamento di un’unità. La somma più bassa che un’impresa deve ricevere per rinunciare ad un

permesso, dunque, è uguale al costo che questa impresa deve sostenere per ridurre l’inquinamento

di un’unità. Dopo la distribuzione dei permessi, quando ciascuna impresa ha OB permessi, il costo

di una riduzione marginale dell’inquinamento dell’impresa con il costo alto è BF e quello

dell’impresa con il costo che basso è BH. L’impresa con il costo marginale alto, quindi, comincia a

comprare permessi e quella con il costo marginale basso a venderli, perché l’impresa con il costo

alto può avere un permesso spendendo meno di quanto le costa ridurre l’inquinamento di un’unità, e

dalla vendita di un permesso l’impresa con il costo basso può ricavare più di quanto deve spendere

per ridurre l’inquinamento di un’unità.

L’impresa con il costo alto, inoltre, continua a comprare permessi fino a quando ne ha acquistati

BC e l’impresa con il costo basso ne ha venduti AB = BC. Quando un’impresa possiede OC = OB +

BC permessi e l’altra ne ha OA = OB - AB, il costo di una riduzione marginale dell’inquinamento è

OT per entrambe le imprese. L’impresa con il costo alto, quindi, smette di comprare permessi e

quella con il costo basso smette di venderli, perché per comprare un altro permesso l’impresa con il

Costo

marginale

Permessi 0 D A C

T

P

Q

F

G E

B

H

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costo alto spenderebbe OT, che è quanto risparmia se non riduce l’inquinamento di un’unità, e dalla

vendita di un permesso quella con il costo basso ricaverebbe OT, che è quanto deve spendere per

ridurre l’inquinamento di un’unità. L’inquinamento complessivo, dunque, è quello desiderato, OD =

OA + OC, e la riduzione desiderata dell’inquinamento è ottenuta al costo più basso possibile, perché

entrambe le imprese sostengono il medesimo costo per avere una riduzione marginale

dell’inquinamento.

L’assegnazione di permessi negoziabili d’inquinamento, dunque, permette di ottenere lo stesso

risultato che si ottiene imponendo limiti all’emissione della sostanza inquinante oppure facendo

pagare un’imposta sulla sostanza inquinante emessa. La creazione di un mercato dei permessi, però,

presenta almeno due vantaggi.

Anzitutto con un mercato dei permessi si può ottenere la riduzione desiderata dell’inquinamento

anche se non si ha alcuna conoscenza dei costi di riduzione dell’inquinamento delle imprese, che è

necessaria, invece, per definire opportunamente i limiti all’emissione di sostanza inquinante oppure

l’imposta sulla sostanza inquinante emessa. Come si può facilmente verificare, inoltre, la riduzione

dell’inquinamento non dipende dalla distribuzione iniziale dei diritti tra le imprese. Dalla

distribuzione iniziale dei permessi, però, dipende il reddito delle imprese, perché chi vende

permessi ottiene un guadagno e chi li compra sostiene un costo. La creazione di un mercato dei

permessi, dunque, consente alle autorità non solo di ottenere l’inquinamento desiderato, ma anche,

se lo si ritiene opportuno, una ridistribuzione del reddito tra le imprese.