architettura - arxnet.net centrale.pdf · padiglione del vetro alla fiera di colonia, 1914),...
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L’opaco. Il trasparente
di/by Vittorio Savi
1. Per me, non solo per me, anche, soprattutto, per Beatriz Colomina, un
passaggio davvero mitico dell’architettura contemporanea europea a indirizzo
moderno coincide con l’incontro fra due maestri protagonisti del secolo breve.
Parigi. Forse, al caffé di boulevard Saint-Germain, un pomeriggio imprecisato
dei primi anni venti (certo, uno degli avventori, Le Corbusier, ne riferirà alla
pag. 174 del suo capitale trattato, Urbanisme, uscito nel 1925). Forse L-C
e Adolf Loos siedono al tavolino, l’uno di fronte all’altro. Di sicuro
conversano di varia umanità.
«Un uomo coltivato non guarda dalla finestra; la sua finestra è di verre
depoli; la finestra non è lì che per illuminare, non per far transitare lo
sguardo oltre il serramento» asserisce Loos.
«Dipende dal panorama» ribatte L-C.
Qualora il panorama riguardi la reale città di oggi, disordinata, confusa, priva
di orizzonti naturali, continuerebbe ad essere lecito un taglio di finestra come
quello vigente, rettangolare in piedi, finito dal serramentro di legno o di ferro,
chiuso dal vetro smerigliato o dal vetro opalino, lucifero ma opaco, niente
affatto trasparente. Qualora il panorama riguardi la città contemporanea
ideale, da lui stesso pianificata in forma di grande parco tipo Versailles,
solcato dalle strade, punteggiato di grattacieli, cosparso di greche formate
dagli edifici a ville sovrapposte, a provocare la parvenza di tessuto
urbano, eccetera, eccetera, allora sarebbe eccellente il taglio della finestra
rettangolare coricata, con il serramento, vetro trasparente, vetro comune
o cristallo molato, per contemplare appunto gli aspetti della città nuova.
Perso nella contemplazione, lì per lì L-C si sottrae al disincanto loosiano,
consono allo spirito europeo in corsa verso la crisi, come il treno verso
la stazione di testa.
L-C rigetta l’ipotesi della opacità – che, saltando di brutto gli annessi
e connessi, vorrei chiamare istanza-Loos. Sceglie invece la visione
ottimistica, tramite i fattori della trasparenza, siano essi finestre in lunghezza
oppure vetrate continue. E sceglie di collegare concettualmente, sensibilmente
la sfera privata interna con la sfera pubblica esterna.
Ci si potrebbe chiedere se, nel corso della carriera che lo attende, rifiuto
dell’opacità, ipostatizzazione della trasparenza andranno sempre di pari
passo, e non si scambieranno mai la parte. Sarebbe domanda alla quale
rispondere.
2. Berlino. Un architetto, che dalla natia Aachen si è traferito nella capitale,
dove adesso vive e opera, elabora progetti di costruzione neo-neoclassica
e, spontaneamente, avanza qualche progetto d’avanguardia, però scisso
dalla ricerca altrui, ad es. l’enfatica ricerca neoromantica nella chiave
espressionista, che, sia a parole, (cfr. le giaculatorie di Paul Scheerbart,
Glasarchitektur, 1913), sia a fatti (magari sperimentali, vds. Bruno Taut,
Padiglione del Vetro alla fiera di Colonia, 1914), sostiene l’architettura del
ferro e del vetro, vetro in lastre trasparenti o opache, nonché vetro pressato
a formare le cosiddette mattonelle translucide.
Nel bel mezzo dello sconvolto primo dopoguerra, il rigorista Ludwig Mies
van der Rohe matura l’idea della costruzione pelle e ossa, per seguitare
nella metafora, pelle (diafana) e ossa (opache), che non siano attaccate
dall’osteoporosi, siano sane, salde. Mies elabora il disegno del grattacielo
incombente sulla Friedrichstrasse, in due versioni, la prima indicata come
espressionista (1919), la seconda indicata come razionalista (l’anno
successivo). La variante razionalista, esibisce la facciata a tutta altezza,
di cristallo, lucido e terso, che si presti a seguire il tracciato curvilineo
della planimetria.
Ammesso e non concesso che Mies focalizzi la questione, una volta per
tutte, si fa fautore del partito dell’impiego del cristallo, lucido e terso, della
trasparenza intesa come categoria operativa per l’architettura. Nel contempo,
1. In my opinion (one that is also shared by others), and above all in the
opinion of Beatriz Colomina, a legendary passage in contemporary European
architecture focused upon modernity coincides with the encounter between two
prominent masters of the ‘brief century’.
Paris. Perhaps, at the café on Boulevard Saint-Germain, any afternoon during
the early 1920’s. (Of course, one of the regular customers, Le Corbusier, will
make a reference to it on page 174 of his revolutionary Urbanisme, published
in 1925.) Perhaps Le Corbusier and Adolf Loos are seated at a table, facing one
another. One thing is sure, they are discussing various fine arts.
«An educated man does not look out the window; his window is made of verre
dépolis; the window is there only to let in the light, not to make one’s glance shift
beyond the shutters», argues Loos.
«That depends on the view», retorts Le Corbusier.
Should the view regard today’s city, untidy, confused and lacking in natural
horizons, it would still be allowable to have a window shaped like those that are
now in use: rectangular, vertical and complete with wooden or iron shutters,
closed with frosted or opal glass that brings in the light while remaining opaque,
in no way transparent. Should the view regard the ideal contemporary city he
designed in the shape of a large park like Versailles, grooved with roads, dotted
with skyscrapers, scattered with meteors, created out of overlapping buildings
and villas to cause the appearance of an urban texture, etcetera etcetera, then
an excellent choice for a window would be rectangular, horizontal with shutters,
transparent glass, plain glass or cut crystal, perfect for contemplating aspects
of the new city.
Lost in contemplation, at the moment Le Corbusier removes himself from Loos’
disenchantment, appropriate for the current European spirit that is heading
towards the crisis, like a train heading towards the terminus.
Le Corbusier rejects the hypothesis of opaqueness – eliminating all the
appurtenances in such a complete way that I would like to call it the Loos-instance. He prefers to take an optimistic viewpoint, by way of transparency
factors, whether they are horizontal or continuous glass panels. And he chooses
to conceptually connect the private interior sphere with the public exterior
sphere, as well as sensibly.
It is only natural to question if the refusal of opaqueness, the hypostatization
of transparency that were in store for him during his career went hand in hand
or if they will ever exchange roles. That is a question that should be answered.
2. Berlin. An architect who leaves his native Aachen to move to the capital,
where he now lives and works, elaborating projects of a neo-neo-classic
construction and spontaneously advances several avant-garde projects, clearly
separated from the research of others. An example of this is the emphatic
Neo-Romantic pursuit in an Expressionist overtone that with words ( Paul
Scheerbart’s short prayer Glasarchitektur 1913) and facts (even though they
were experimental: Bruno Taut’s Glass Pavilion at the Cologne Werkbung
Exhibition, 1914), sustains iron and glass architecture, glass in transparent
or opaque sheets as well as pressed glass to form the so-called translucent tiles.
Right in the middle of the devastating early post-World War One years, the
excessively precise Ludwig Mies van der Rohe developed the idea of the skin and bones architecture, to then continue with the metaphor skin (diaphanous) and bones (opaque). They were not to be affected with osteoporosis, they were
to be healthy and set. Mies elaborates the design of the impending skyscraper
on the Friedrichstrasse in two versions: the first one indicated as Expressionist
(1919), the second indicated as Rationalist (the following year). The rationalist
variant displays the façade at full height, in crystal, lucid and clear that lends
itself to follow the French curve outline of the planimetrics.
For the sake of argument, let’s say that Mies focalises the question and makes
himself a promoter of the party supporting the use of crystal, lucid and clear,
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una volta per tutte, ha recusato l’uso del vetro greggio e l’uso del vetro opaco.
Prova ne sia che Mies, emigrato negli USA nel 1939, lasciandosi dietro
il destino immutabile, dalla propria postazione chicagoiana, progetterà
e/o costruirà, costruirà... unicamente parallelepipeidali teche vitree distese
sull’orizzontale o impennate lungo la verticale.
Interessante lo studio precoce (1942) del museo per small city: facciate
di cristallo minimizzano la presenza degli elementi costruttivi (piastra,
montanti, piastra) e acuiscono l’ostensione delle sculture e dei quadri
di moda, tra questi Guernica.
Significativi il disegno e la vicissitudine realizzativa di Villa Farnsworth
(1945-1951). La villa si avvale dei montanti per staccarsi dalla, anziché
attaccarsi alla terra al limitare dello stagno, intanto i prospetti cristallini,
lucidi e tersi, sanno mescolare la veduta dell’esterno acquoreo con la vista
dell’interno domestico, Tuttavia, considerati nell’insieme, non riescono
ad assurgere alla dignità di involucro.
A tacere della Galleria Nazionale a Berlino (1969), davvero il vertice
dell’architettura di ferro e vetro, intrisa della saga dei Berlinesi, e di uno
in particolare, Mies emigrante: non fa in tempo a tornare ed è subito morto.
I prospetti vitrei, l’enorme zoccolo litico finiscono per configurare l’involucro
trasparente della vasta cella superiore sotto copertura d’acciaio dai lacunari
rimarchevoli. Qui si mostrano temporaneamente le opere. Invece le opere
delle collezioni permanenti riposano sotto, nello zoccolo cavo, oscuro, tutto
sigillato dalle lastre di travertino tranne che sul lato del giardino delle statue.
3. «Alzate lo scheletro della struttura e poi riempite i buchi con quello che
preferite» suona così, volgare, il refrain del famoso Auguste Perret della
Società di progettazione e costruzione dei F.lli Perret. Quasi a scusarsi,
Perret poi avrebbe offerto mille esempi mirabili di erezione dello scheletro
strutturale e altrettanti esempi di riempimento dei varchi.
Il riempimento più spettacolare è quello di Nôtre Dame du Raincy (1921-
23). Enorme schermo a claustra, occupati da grossolani vetri dipinti.
Tutto si può dire meno che lo schermo non risulti analogo alla vetrata
medioevale. (La vetrata si prestava a riscattare l’aere dei duomi dal profondo
monocromo, a colorare l’atmosfera e, in definitiva, a renderla vibrante).
L-C piglia per fondamentale il problema teorico e pratico posto dal suo
maestro. E occupandosi del problema tamponamento della struttura
edilizia, senza volere, torna a imbattersi nell’istanza-Loos, che, se accettata,
diverrebbe risolutiva. Il tamponamento si sarebbe potuto effettuare sì
mediante l’apposizione del cristallo laminato, oppure tramite l’inserimento
di qualcosa di translucente, ormai sinonimo di opaco...
Nel cortile dell’edificio condominiale di rue Saint-Guillaume è attiva l’officina
popolata dai carpentieri piuttosto che dai muratori, tesa al rifacimento
dell’hôtel particulier, al pianterreno deve sistemarsi lo studio medico del dott.
Dalsace e, al piano superiore, l’alloggio dei coniugi Dalsace. Leggenda vuole
che, quando viene in incognito, L-C entri nel cortile, cerchi nella catasta dei
materiali, prenda in mano il mattone di vetro modello Nevada. Prodotto dalla
reputata vetreria Saint-Gobain stampato nel pezzo unico a due facce, l’una
di vetro trattato a scaglie, l’altra uguale alla prima, ma forata dall’oblò,
Design déco al pari di quello del monile. «Sembra uscire dalla oreficeria
di Van Cleef & Arpels anziché dalla reputata vetreria Saint Gobain» pensa
tra sé e sé L-C.
In fondo, L-C viene attratto meno dal pezzo che dall’insieme, meno dal
vetromattone Nevada, che dal telaio a griglia metallica entro il quale posarlo.
Influenzato dal lavoro di Pierre Chareau e Bernard Bijvoët, L-C non solo
elegge il pannello vitreo elementare a chiave della costruzione, la Maison
Dalsace, presto soprannominata Maison de Verre, ma anche si dedica al
perfezionamento del pannello-trasformatore della figura umana in siloetta
once and for all featuring transparency intended as an operative category in
architecture. At the same time, he refutes the use of unelaborated glass once
and for all, along with the use of opaque glass.
Proof of this is that Mies, who emigrated to the United States in 1939 leaving
an unchangeable destiny behind, will design and/or build, build, build from
his new post in Chicago… only parallelepiped glass boxes either horizontally
extended or rising sharply vertically.
The early study of the museum for small city (1942) is interesting: crystal
façades minimize the presence of construction elements (slab, frame, slab) and
heightens the exposition of the sculptures and paintings in vogue, among which,
Guernica.
The creative design and vicissitude of Villa Farnsworth (1945-1951) are
significant. The villa makes use of its frames to detach from, instead of attaching
to the ground bordering the pond while the crystalline, lucid and clear façades
skillfully blend the view of the watery exterior with a view of the domestic
interior. However, when considered on a whole, they cannot be elevated to the
dignity of a building envelope.
At the Neue National Galerie in Berlin (1969), truly the zenith of iron and
glass architecture, imbued with the saga of Berlin natives and in particular,
the emigrated Mies: he died shortly after witnessing its completion. The glass
façades, the enormous stone base end up casting the transparent enclosure
of the wide upper cell under a steel covering that features remarkable coffers.
It is here that the temporary collections are exhibited. Works from the
permanent collections are located below in a stone hollow that is very dark
and completely sealed by travertine sheets, with the exception of the side facing
the garden of statues.
3. «Lift the structure’s frame and then fill the spaces with whatever you prefer».
The refrain of renowned August Perret (Perret is F.lli Perret project design and
construction company) sounds so vulgar. Almost as an apology, Perret would
have later offered a thousand admirable examples of the erection of a structural
frame and another thousand examples of how to fill spaces.
The most spectacular filling is the one at Nôtre Dame du Raincy (1921-23).
An enormous claustra shield, occupied by coarse painted glass.
Many things can be said about this Church, but one thing is for sure: the effect is
analogous to a medieval glass panel. (All things considered, the panel lends itself
to the redemption of areas of the deeply monochromatic domes, to colour the
atmosphere and make it vibrant, all things considered)
Le Corbusier interprets the theoretic and practical problem put forward
by his mentor as fundamental. Dedicating himself to the problem of filling
space in construction, involuntarily stumbles back upon the Loos-instance that,
if accepted, would become decisive. Space-filling could be executed by way
of the apposition of laminated crystal, or through the insertion of something
translucent, that at this point is synonymous with opaque…
In the court yard of the condominium on Rue Saint Guillaume, there is a
workshop filled with carpenters instead of brick layers. They are busy at the
renovation of the hôtel particulier. Dr. Dalsace’s medical studio will be located on
the ground floor and the doctor and his wife will live on the upper floor. Legend
has it that when Le Corbusier arrived incognito, he came through the courtyard,
looked through the heap of materials and put a Nevada model glass brick in his
hand…manufactured by the widely recognized Saint-Gobain glass makers who
created a single two-sided piece. One side of the glass was slivered. The other
side was also slivered but drilled through its oval, Art nouveau jewel style. «It
looks like it came out of the Van Cleef & Arpels jewelry store rather than the
renowned Saint-Gobain glass works», Le Corbusier thought to himself. In the
end, Le Corbusier was not as attracted to the piece as he was of the full effect,
not so much impressed by the Nevada glass brick as to the metallic
sgranata. Onde conseguire la performance nella coibentazione. Il seducente
vetromattone può, deve restare, il telaio di metallo va trasformato in telaio
di c.a., ovviamente quest’ultimo va suddiviso in tanti sottomoduli quadrati,
ciascuno riservato al Nevada.
A conclusione del procedimento si avrà, in lecorbusieriano, il pan de verre;
in italiano, il pannello di vetrocemento prefabbricato a piè d’opera,
Probabilmente L-C non è l’inventore del pan de verre, semmai è colui che
elegge il muro vetrocementizio a elemento della nuova architettura, senza
dimenticare la vetrata continua, opaca ovvero trasparente, anch’essa volta
al tamponamento.
Porterei ad esempio la coppia dei capolavori degli anni 1932-1934,
la Maison Clarté a Ginevra (abitazione condominiale), la Cité de Refuge
a Parigi (albergo collettivo), così qui come là il pan de verre pannello
prefabbricato vetrocementizio si alterna con il pan de verre vetrata continua
Con questa esperienza, L-C aumenta di poco la sua gloria. La aumenta di
molto, allorché ‘nel riempire i buchi’ intuisce la distinzione degli spazi, quale
rimarrà implicita, fino alla predicazione di Louis Kahn sul palcoscenico
della ricerca internazionale.
Nello stesso corpo di fabbrica si verificano spazi serviti e spazi serventi:
a questi occorre prescrivere la cura del pan de verre traslucido opaco,
a quelli la cura del pan de verre traslucido trasparente.
4. «Ah, les italiens» – canta oggi Paolo Conte. Ieri, nel corso del quarto
decennio del novecento, gli italiani, eredi di patrimoni architettonici preclari,
si vantavano di essere clienti di formidabili vetrerie nazionali: la Fidenza
Vetraria di Fidenza; la Balzaretti e Modigliani di Livorno; la possente
succursale pisana della Saint-Gobain.
Al pari di L-C, l’architetto, il costruttore italiano provavano un debole
per il pannello del vetrocemento, caro assemblaggio translucente come
l’alabastro, dalla varia tipologia: solai, volte, tamponanamenti verticali,
altri elementi verticali, orizzontali dal kappa (indice di coibentazione)
elevato, dal lambda (indice di trasparenza) insufficiente.
L’uso del pannello di vetrocemento permetteva all’impresa costruttrice
l’economia di scala e certi vetromattoni evoluti a diffusori, pur annegati nel
cemento, assolvevano al compito, quanto caritatevole, di portare luce al luogo
languente nel buio umido; scantinato, blocco-scala, bagno.
Soffermiamoci sulla copertura prefabbricata nello stabilimento dalla Fidenza
Vetraria e ripiena di diffusori, insomma sul lucernario issato sopra la galleria
degli arrivi ne Fabbricato-Viaggiatori, stazione ferroviaria di SMN, di
Giovanni Michelucci e del Gruppo Toscano, Firenze 1935. Da notare come
il solaio vetrocementizio si sommi alla presenza della vetrata continua fatta
dalla Balzaretti e Modigliani con lastre abbinate, con interposta lana di
vetro, che, opacissima, monta e cala, tra la galleria di testa, il salone delle
biglietterie, la galleria delle partenze.
(Appartenendo al Gruppo, Italo Gamberini, ricorderà quel solaio e mediante
il pannello prefabbricato similare identificherà il cornicione sporgente
a coronamento del presunto primo curtain-wall eretto in un centro storico
italiano, edificio per uffici e abitazioni di via Nazionale, Firenze 1964,
malnoto sebbene lodato dal commento del grande architetto razionalista,
Adalberto Libera).
Milano1936. Il cantiere plurimo nel parco della VI Triennale di Milano.
propone ville riservate a utenti speciali, abitazioni sperimentali soprattutto
nell’uso del vetrocemento, in genere soddisfacendo l’istanza-Loos e, di contro,
sventando l’istanza-Mies.
Alessandria 1937. Ignazio Gardella dispone i diffusori nelle pareti
contrapposte della sala di attesa del suo dispensario antitubercolare
a denotare la trama rada, a connotare la decorazione, paragonabile
grid frame into which it will be set. Influenced by the work of Pierre Chareau
and Bernard Bijvoët, Le Corbusier does not only select the elementary glass
panel as the key to the structure, la Maison Dalsace, soon to be called Maison
de Verre, but he also dedicates himself to perfecting the panel – he transforms
the human shape into a grainy silhouette, so that a performance in caulking
can follow. The enticing glass brick can and must remain as a metal frame in
reinforced concrete. Obviously the latter should be split up into many squared
sub-modules, each of which is reserved for a Nevada.
The procedure concludes, resulting in a Le Corbuisier-style pan de verre, an on-site prefabricated glass block wall. It is probable that Le Corbusier is not
the inventor of the pan de verre. If anything, he is the one who selected a glass
block wall as an element of this new architecture without omitting the use of the
continuous glass panel – opaque or (for precision) transparent, also orientated
towards space-filler.
I would like to cite the pair of masterpieces of the years 1932-1934 as an
example: the Maison Clarté in Geneva (condominium) and the Cité de Refuge in
Paris (collective hotel). In both cases, the pan de verre pre-fabricated glass block
wall alternates with the continuous glass panel. With this experience,
Le Corbusier increased his glory by a bit. What increased his glory much more
was the moment in which he perceives that ‘by filling in the spaces’ there is
a distinction of space that will remain implicit until Louis Kahn preaches
of it on the main stage of international research.
In the same body of work, both spaces that are served and spaces that serve are to be found: the translucent opaque pan de verre is prescribed to one and the other is to be administered translucent transparent pan
de verre.
4. Paolo Conte sings «Ah, les Italiens». Yesterday, during the fourth decade of
the 20th century the Italians, heirs to an illustrious architectural fortune proudly
stated that they were customers of the formidable national glassworks: the
Vetreria di Fidenza in Fidenza; the Balzaretti and Modigliani in Leghorn; and
the imposing Saint-Gobain branch in Pisa.
On par with Le Corbusier the architect, the Italian builder also had a weakness
for glass block walls, assembly translucent like alabaster in various roles:
ceilings, vaults, vertical fillers, other vertical elements, K-index elevated
horizontal (caulking index), Lambda-index (index of insufficient transparency.
Use of the glass block wall allowed the builder to save on returns to scale and
certain glass bricks developed as diffusers, even if they are buried in cement,
resolved the problem by generously bringing light to a place left to languish
in the humid dark; basements, stairwells, bathrooms.
Let’s pause to reflect upon the prefabricated covering at the Fidenza Vetraria
plant, filled with diffusers, in other words on the skylights mounted above
the Arrivals gallery of the Fabbricato-Viaggiatori Florence Railway Station
(Giovanni Michelucci and Gruppo Toscano. Florence 1935). Noteworthy is
the way the glass block ceiling adds to the presence of the continuing glass
panel made by the Balzaretti and Modigliani company with matching sheets,
interposed glass wool (very, very opaque) that rises and falls between the main
gallery, the ticket hall and the Departure gallery.
(Being a member of the Group, Italo Gamberini, will remember that ceiling and
with a similar pre-fabricated panel, he will identify the crowning protruding ledge
of what is presumed to be the first curtain wall erected in an Italian old town
centre: a building used for offices and flats on Florence’s Via Nazionale 1964,
infamous and yet praised by comments from the great Rationalist architect
Adalberto Libera.)
Milan 1936. The multiple construction site in the VI Triennale di Milano park
offers private, reserved villas to special customers, dwellings that can be defined
as experimental, especially regarding the use of glass blocks in a way that
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al rapporto tra negativo e positivo fotografico.
Vigevano 1937-1938. Eugenio Faludi rompe gli indugi e impiega un unico
pannello curvato vetrocementizio per tamponare tutta una parte del Palazzo
dei Congressi. Quale? Naturalmente la tromba delle scale, a spazialità
servente, che, però, trattata così, si fa incerta tra la condizione funzionale
e la condizione monumentale.
Milano 1938. Franco Albini espone il pannello vetrocementizio nel muro
di Villa Pestarini, a modo di insegna araldica, emblematica della costruzione
culturalmente matura, anziché del casato Pestarini.
5. Converrebbe censire le architetture contemporanee moderne, almeno
le italiane, disegnate e fatte di pannelli vetrocementizi dediti non solo
a tamponare, ma anche a integrarsi perfettamente, concettualmente
e sensibilmente, con il telaio trave-pilastro. A raccolta compiuta,
sarebbero leciti certi confronti e l’emissione del giudizio di valore recitante:
una prova dell’atelier svizzero-italiano dei fratelli Tami rappresenta il
campione migliore, segnalato com’è dall’ottima resa estetica e dalla
congruente resa funzionale.
Nel 1937, il titolare, Rino Tami, partecipa al concorso progettuale per
la nuova Biblioteca Cantonale a Lugano.
Il progetto Tami batte il progetto Giuseppe Terragni – nella fattispecie
architetto transfrontaliero, autore della cubizzante, cava Casa del Fascio
a Como (1937), devota all’intento di mettere sotto gli occhi di tutti
i comportamenti dei potenti di turno, i fascisti lariani; perciò forata dalle
finestre ampie; l’interno espressivo di una tal quale trasparenza metaforica,
caratterizzato com’è dai pannelli diafani, sfortunatamente ridotti a riempitivi
estetizzanti, allo scopo di creare le stanze degli uffici.
Il progetto Tami vince la gara. Due anni più tardi, Tami costruisce
la biblioteca in riva al lago, propriamente definibile razionalista,
in quanto obbediente al principio teorico caratteristico: sia lama più lunga
che alta, più alta che larga, ovvero sia torre a base quadrata, di lato inferiore
all’altezza, qualunque corpo di fabbrica parallelepipedo assolve all’unica
funzione principale, e una sola.
Lì, in riva al lago, il porticato corpo di fabbrica secondario, stretto, lungo,
alto cinque piani, è perpendicolare a quello primario. È scatola
parellelepipeda ospitante le file delle scaffalature Lips Vago e i volumi sopra
la scaffalature. Non solo. I pannelli prefabbricati opachi si integrano nel
telaio strutturale grigliato peculiare del deposito librario, unitario e servente
per eccellenza, là dove la translucenza grigia, alla bisogna aiutata dalla
illuminazione artificiale, induce la introvertita consultazione dei dorsi
e esclude la contemplazione estroversa del parco postico.
6. Varrebbe la pena continuare, adempiere però ad altro tipo di censimento.
Censimento delle architetture, almeno le italiane, attente a valersi del
e mostrare l’uso vario del mattone di vetro, glassblock (prima o poi, in
realtà dopo, molto dopo, sarà tale la denominazione internazionale).
Sarebbe tutt’uno tirare il bilancio e avvertire il manifestarsi di una varia
fenomenologia.
Da un lato, la ritirata. Disperando, non a torto, di superare gli standard,
la produzione si sottrae all’innovazione del prodotto, del vecchio buon
mattone dal basic design, dal colore tradizionale, bianco, grigio, verde.
La vetreria si sottrae al nuovo, che non sia l’accoppiamento dei pezzi saldati
a fuoco e dall’introduzione della camera d’aria rarefatta, Risultato un
mattone come il Primalith di Saint-Gobain. Dall’altro, la diffusione
del pronto uso del prefabbricato vitreo presso inadatti frammenti
di costruito: sparsi lucernari calpestabili e transitabili; sparsi schermi;
sparsi solai, sparsi parapetti, sparse pensiline. Propagarsi penoso, in parte
satisfies the Loos-instance and on the other hand, foils the Mies-instance.
Alessandria 1937. Ignazio Gardella places diffusers on the walls facing the
waiting room of his antitubercular dispensary to denote the grazed pattern,
to connote the decoration comparable to the relationship between photographic
negative and positive.
Vigevano 1937-1938. Eugenio Faludi stops delaying and uses a single curved
glass block panel to fill in an entire portion of the Palazzo dei Congressi.
Which area? The stairwell, naturally. A service space that now brings about
a fusion between its condition of being functional and monumental
Milano 1938. Franco Albini displays the glass block wall on the wall at Villa
Pestarini as a coat of arms (emblematic of a culturally mature construction),
instead of the Pestarini family name).
5. It would be advantageous to register a modern contemporary architecture
census (at least Italian architecture) designed and manufactured with glass block panels used not only as filler, but also to be perfectly integrated (conceptually as well as sensibly), with a pillar-beam frame. Once all
information has been gathered, certain comparisons and assessments pertaining
to its basic merit: the Tami brothers’ Swiss-Italian atelier was the best example
since it featured aesthetic excellence as well as functional excellence.
In 1937, owner Rino Tami took part in a planning competition for the new
Biblioteca Cantonale in Lugano.
The Tami project beats the Giuseppe Terragni project. In this case the architect
from over the border, creator of the cube shaped, hollow Casa del Fascio in
Como (1937) was devoted to the intention of showcasing the behaviour of those
in power at the time (the Lariani Fascists) to everyone; it is drilled with wide
windows; an expressive interior featuring a powerful metaphoric transparency
characterized by diaphanous panels that are unfortunately reduced to serving
as aesthetic fillers destined to create office space.
The Tami project won the competition. Two years later, Tami built the library
located along the shores of Lake Lugano, rightfully defined Rationalist in that
it adheres to the theoretic characteristic principle: should the blade be longer
than it is tall, taller than it is wide or – in other words – should the tower have
a square base, or a side inferior to its height, any parallelepiped building
performs one single principle, and only one.
There along the lake, the secondary porticoed building: narrow, tall (five storeys)
is perpendicular to the primary one. It is a parallelepiped box that hosts the
aisles of Lips Vago shelves and the space above them. That’s not all. The opaque
prefabricated panels are integrated with the library deposit’s peculiar grilled
frame, unitary and useful par excellence. Here the grey translucency – with the
help of artificial lighting – induces the indoor consultation of the volumes and
excludes any outdoor contemplation of the park behind.
6. It would be worth the while to continue, fulfilling another kind of census
though. An architectural census, at least of Italian architecture, careful to take
advantage of (as well as) demonstrating the various uses of the glassblock.
(Sooner or later – actually much later – the term will become international.)
It would be a good solution to take full stock and perceive the presence of
a varied phenomenology.
On the one hand, the retreat. Desperate (and rightfully so) to surpass standards, the production removes itself from the product’s innovation,
from the good old brick, with its basic design, in a traditional colour: black, grey,
green. The glassworks removes itself again, could it be that the combination
of welded pieces and the introduction of the rarified air chamber bring about
a result of a brick like that of the Saint Gobain Primalith?
On the other hand, there is the diffusion of the ready-to-use prefabricated vitreous found in unsuitable fragments of construction: scattered,
compensato dall’affermarsi di qualche immagine iconica, assai riconoscibile,
persino familiare (ad es. la sequenza delle voltine all’estremo dei binari del
nuovo fabbricato-viaggiatori della stazione Termini di Eugenio Montuori
e altri, Roma 1948). Dall’altro ancora, incredibile ma vero, il calo del
curtain-wall sotto il profilo qualitativo e il calo della posa dello stesso
sotto il profilo quantitativo; conseguente ritorno in auge del prospetto
composto a forza di finestre, con tanto di serramento. chiuso dal cristallo
lucido e terso. Nel 1956. il critico insigne, apostolo del moderno, Siegfried
Giedion, ha ragione di redigere la didascalia del ritratto fotografico canonico
dei Lake Shore Apartaments di Mies, Chicago 1951: «L’impiego del vetro
può aver toccato qui la punta massima, a meno che l’industria non crei
i mezzi tecnici per regolare le qualità delle luci senza l’impiego di tende».
Evidente che Giedion si riferisce al cristallo in lastra. E il vetro pressato?
Durante una temperie del genere, qual è la sorte del glassblock? Stante
la prerogativa dell’utilità associata all’opacità, ne vengono sfornati milioni
e milioni. Parte stoccati nei magazzini annessi agli stabilimenti industriali
e venduti dagli agenti all’ingrosso. Parte indirizzati alla prefabbricazione
degli elementi architettonici. E gli scarti della produzione? Quasi tutti versati
nel crogiolo del forno vetrario. Alcuni portati alla discarica senza remissione.
Da bambino, frugavo nella piccola discarica vicino al muro di cinta dello
stabilimento vetrario, trovavo spesso qualche sasso strano. Pareva generato
dal fallimento irreparabile della vetrificazione, di sicuro non era buono
neppure per il crogiolo.
7. Un giorno imprecisato al limitare del terzo novecento, l’insigne critico
irregolare Colin Rowe, sbotta come la trasparenza in sé sia ben poca
cosa, ma, in architettura, possa essere lo strumento della percezione
simultanea delle diverse situazioni spaziali. Col che spezza il cuore di
parecchi architetti, che lavorano sul testo e sul contesto. e che cominciano
a credere che la percezione simultanea sarà insieme critica e operativa.
Schiude loro anche la mente e loro si mettono a pensare al modello dotata
di paratie ma trasparenti, anzi, addirittura, priva di diaframmi. Sentimento
di progetto incerto. Presagio di spazialismo liquido.
8. Arrivato a questo punto, desidererei concedermi il racconto rapsodico.
A cavallo dei decenni ottanta e novanta, in oriente, gli architetti giapponesi
devono detestare il muro di mattone; deprecare il muro di vetrocemento opaco,
sempre troppo pesante; prediligere meno la parete di vetro cristallino trasparente
che la medesima resa sipario dalla retroapposizione dei tendaggi di plastica o di
stoffa, di preferenza a tinta lattiginosa. Questi sipari, combinati insieme, creano
una specie di involucro leggero alla terra. Seducente epifania, incompatibile con
la durata, peculiare dell’arte edificatoria occidentale.
Nel 1989-1992, in occidente, si schiude la temperie culturale, per cui il valente
architetto olandese, Wiel Arets, incaricato di dare il progetto e il disegno
dell’Accademia di Architettura e Arte a Maastricht, avendo in odio qualunque
modo rescisso dall’esprit de finesse, abbandonato modo perrettiano di riempire
i buchi dello scheletro portante, decide di assolvere al rito purificatorio – alla
rivisitazione del pannello di L-C. Traccia il disegno, ‘dipinge la tela di formato
rettangolare, pressoché quadrato’. Accenna a dividere il campo in tanti quadrati.
Pian piano il rito si trasforma nell’esercizio disciplinare – progettazione
e prefabbricazione in stabilimento del pannello vetrocementizio completo
di glassblock della serie basic, dalla trasparenza inusitata.
Quindi, a cantiere attivo, ‘farà appendere i quadri astratti’, che ciascuno
si inserisca nella casella corrispondente, fra pilastro e pilastro, fra
trave e trave.
A ben considerare, concettualmente e sensibilmente, sarà la forma
strutturale a dipendere dalla forma del pannello, non il contrario.
passable skylights that are easily stepped on: scattered screens; scattered
ceilings; scattered parapets and scattered shelters. Pitiful propagation, partially
compensated by the establishment of a few iconic images that are easily
recognized, perhaps even familiar (for example the sequence of the small vaults
along the platforms of the new traveler-building at Eugenio Montuori Roma
Termini station and others 1948).
Yet another aspect, incredible but true, is the fall of the curtain-wall under a qualitative profile and its fall under a quantitative profile as well; the consequent return in vogue of the window façade, shutters included,
closed by a lucid and clear crystal. In 1956, the renowned critic and apostle
of modernity, Siegfried Giedion is correct when he drafts the caption of the
photographic, canonical portrait of Mies’ Lake Shore Apartments. Chicago
1951: «The use of glass here might have just attained its maximum expression
unless the industry finds a way to regulate the quality of lights without the use
of curtains».
Obviously, Giedion is referring to sheets of crystal. What of pressed glass?
In such a climate what lies in store for the glassblock? On account of the
prerogative of usefulness associated with opaqueness, millions and millions
are manufactured. Some are stored in industrial warehouses and sold to
wholesale agents. Some are used for the pre-fabrication of architectural
elements. What happens to production rejects? Almost all of them are thrown
into the crucible of the glassmaker’s oven. Some are brought to the dump
without any remission.
As a child, I used to rummage through the nearby scrap-yard near the wall
surrounding the glassworks plant, I often found a strange stone. It seemed
to have been generated by the irreparable failure of its vitrification, surely
it wasn’t even good enough to be tossed into the crucible.
7. One indeterminate day in the 1970’s renowned, nonconformist critic
Colin Rowe burst out with how transparency in itself is not that important a factor but in architecture it can be the instrument of simultaneous perception of diverse spatial situations. Heartbreaking for many architects
who work on text and context and begin to believe that simultaneous perception
can be critical and operative at the same time. It also opens their minds and they
start thinking about a model that features transparent bulkheads, even without
diaphragms. A feeling of an uncertain project, an omen of liquid spatialism.
8. At this point I would like to grant myself a rhapsodic tale. In the Orient
between the 1980’s and 90’s, it must be that Japanese architects hate the
brick wall; deprecate the opaque glass block wall that is always too bulky; not
liking the transparent clear glass wall as much as adopting the same concept
converted into a curtain to be used as a retro-appostion for plastic or cloth
drapes, preferably in a milky shade. These curtains, combined, create a kind
of light envelope to the floor, are an enticing revelation that is incompatible
with the peculiar duration of Western art of building.
From 1989-1992, in the Western countries, the cultural climate opens up.
Therefore, Dutch architect Wiel Arets, appointed to present the project and
design of the Maastricht Academy of Art and Architecture, detesting all that
is rescinded from esprit de finesse in any way and having abandoned Perret’s
manner of filling spaces of the post-and-beam, decides to employ the rite of
purification – to the re-visitation of the Le Corbusier panel. He traces the design,
«painting the rectangular, almost square-shaped canvas», alluding to a division
of the field into many squares.
Gradually, the rite is transformed into a disciplinary exercise – planning and pre-
fabrication into the creation of the glassblock panel complete (basic glassblock)
with its unusual transparency.
So, he ‘has abstract paintings hung’ while the construction site is still open,
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A quanto è dato constatare: esito sublime, insieme epifanico e durevole,
opaco e trasparente, archittettura assegnabile alla cappella dell’edificio
storiografico del tempo postmoderno. (Più avanti, tramite il suggerimento
di Kenneth Frampton, additerò simulacri e tipo della cappella).
Questo non è l’ultimo lavoro di Arets prevedente disegno, fabbricazione,
posa isomorfica dei pannelli. Solo che, malauguratamente, le opere
successive riusciranno impeccabili, cioé fredde e belle di bellezza impoetica.
9. A cavallo del ventunesimo secolo, Renzo Piano si oppone alla moda
dei materiali che fanno il verso all’immaterialità. Forse per questo, in
concomitanza con l’accettazione della commessa della Maison Hermès
a Tokyo, opta per la ripresa della tradizione costruttiva tettonica, opere
high-tech, forti e spaziose.
Il programma è cogente, obbligante alla creazione della showroom
monomarca, organismo multipiano, sorgente dalla stazione metropolitana
Gynza, fronte stretta sulla arteria commerciale battuta dal traffico
incessante, fronte lunga sul vicolo, che lo separa dall’edificio alto
dirimpettaio.
A Piano spettano progettazione e costruzione. E Piano schizza, disegna,
simula il costruito al computer. Ideazione e innovazione non lo toccano da
vicino, semmai riguardano i tecnici della Seves Glassblock, azienda leader
mondiale nel campo della produzione del vetromattone (tra loro, intendo
menzionare Max Davighi).
Ideazione. In base alle esigenze, non ai propositi dell’autore genovese, si
ricorre al sistema Tailor Made, si allestisce il modello e dal modello viene
tratto lo stampo, L’impasto della sabbia è arricchito di ferro, sicché il nuovo
glassblock riesce proprio trasparente (malgrado la diffrazione sia inevitabile).
Formato eccedente il formato consueto: dal 20x20 si sale al 30x30 (lo stesso
del foulard di Hermès). Aggiunta giro giro della finitura metallica a ali tese
(un mattone a ali tese ricorda il mitologico cavallo con le ali: donde
l’appellativo di Pegasus).
Innovazione. L’innovazione veramente rimarchevole consiste nell’agire
le vitree facciate continue, di modo che ognuna non rivesta il ruolo
di facciata a sé ma partecipi in maniera determinante dell’involucro
di pelle trasparente e antidecorativa. La quale, pelle, a sua volta
risulterà organica all’intero corpo di fabbrica, senza possibilità di venir
tolta dalla ‘carne’.
10. Non sarà a caso se, di recente, l’insigne critico Kenneth Frampton,
pioniere dello studio analitico della Maison de Verre, vorrà aumentare il suo
fortunato Architettura moderna: una storia critica, mediante il paragrafo
funzionale alla individuazione della tendenza architettonica. Isole nella
corrente, tre opere scalate nel tempo e nella posizione geografica,
tanto accomunabili per il ricorso alla materia vetrosa, quanto differenti
in ordine alla tipologia dell’uso e al relativo effetto tettonico. «Il
minimalismo svizzero-tedesco sembrerebbe aver esercitato una certa influenza
anche oltre confine, in particolare sull’architetto olandese Wiel Arets
e sulla sua Accademia d’Arte e Architettura (1989-93), abilmente inserita
nel nucleo storico della città di Maastricht. La complessa configurazione di
questo edificio a quattro piani si articola in un telaio strutturale architravato
di calcestruzzo armato con tamponamenti di vetrocemento. In questo caso
l‘immagine complessiva deriva dall’unico materiale, anche se (come nella
Maison de Verre di Pierre Chareau e Bernard Bijvoët a Parigi
del 1932) aperture con telaio di acciaio e vetri trasparenti interrompono
la continuità dei mattoni di vetro. Anche Renzo Piano farà poi ricorso
a un involucro avvolgente di mattoni di vetro per la Maison Hermès,
realizzata a Tokyo nel 2001, riuscendo, in questo caso, a evitare il ricorso
and every painting will be inserted in its corresponding spot between one pillar
and another, one beam and another.
Taking it into careful consideration, conceptually and sensibly, it will be the
structural form that depends on the panel and not vice-versa.
It is easy to verify the results: they are sublime, revealing and enduring, opaque
and transparent, an architecture to be awarded to the chapel of the Historio-
graphic building of post-modern times. (Later, with a suggestion from Kenneth
Frampton, I will point out simulacrums and the type of chapel)
This is not the last work by Arets featuring a planned design, fabrication and
the isomorphic positioning of panels. Unfortunately, later works will turn out
to be impeccable. That is to say, they are cold and beautiful but their beauty
is lacking in poetry.
9. Between the 20th and 21st centuries, Renzo Piano opposes the style adopted
by material to imitate the immaterial. Perhaps it is for this reason, in conjunction
with his acceptance of a request from the Maison Hermès in Tokyo, he chooses
to recapture the tectonic tradition of construction, high-tech works that are
powerful and spacious.
The programme is binding: calling for the creation of a one brand showroom,
a multi-storey organism rising from the Gynza underground station, the narrow
entrance along the commercial strip located on a street with incessant traffic,
the long entrance onto an alley that separates it from the tall building standing
in front of it.
Piano has the assignment of planning and construction. And Piano sketches,
designs, simulates the building on the computer. Conception and innovation do
not directly involve him. Those details regard experts from Seves Glassblock,
world leaders in the field of glassblock construction (among them, I would like
to mention Max Davighi).
Conception. Based upon the demands and not the intentions of the Genoa-native
architect, the Tailor Made system will be adopted, the model is set up and the
mould will be cast from this. The sand mixture is enhanced with iron, so that
the new glassblock will appear transparent (notwithstanding the fact that a
defraction is inevitable).
The dimension exceeds the usual format: from 20x 20 it increases to 30x30 (the
same measurements of a Hermès scarf). A metal finish with outstretched wings
is added around the borders (a brick with outstretched wings evokes the image
of a winged horse: from which the name Pegasus is derived).
Innovation. The truly remarkable innovation consists in positioning the continuous glass façades in such a way that each one does not assume the feature of façade in itself, but it participates in a determining manner in the transparent and anti-decorative outer layer (skin). The façade in
‘leather’ in turn will be organic to the entire structure, without any possibility
of being separated by the flesh.
10. It is no coincidence if recently renowned critic Kenneth Frampton,
a pioneer of the analytic study of the Maison del Verre would like to add
to his successful Modern Architecture: A Critical History with this functional
paragraph regarding the individuation of the architectural tendency. An island in the current, three works that have risen through time and in their geographical position, as associated with the recourse to glass material as they are different in the order of the ways they can be used and their relative tectonic effect.Loosely translated, he states that Swiss-German minimalism seems to have
exercised a certain influence over the border, in particular to Dutch architect
Wiel Arets and his Maastricht Academy of Art and Architecture (1989-93),
skillfully inserted in the city’s historic nucleus. The complex configuration of
this 4-storey building is split into a structural architrave frame out of reinforced
alle finestre. Come nella Maison de Verre, una caratteristica comune a questi
edifici – data dal carattere tettonico dei blocchi di vetro – è il modo con cui
sia il telaio strutturale che la membrana traslucida articolano il carattere
dello spazio interno».
11. Oggi, a Bilbao, nei pressi del Museo Guggenheim di Frank Gehry
(1998) e della Biblioteca Deusto di Rafael Moneo (dieci anni dopo), la
partita tra l’opaco e il trasparente si avvia al finale, ed è probabile termini
con il pareggio.
Nel mentre, va richiamato l’assioma teorico, direi l’assioma teorico
fondamentale di Rafael Moneo, già rinvenibile nella slegata dispensa
universitaria. La formulazione è all’incirca questa: l’adesione ai principi
inerenti all’esperienza dell’architettura A o B non comporta di necessità,
nell’esperienza C, l’adozione degli stessi elementi linguistici.
L’identità profonda della sede, infrastruttura dell’ampio territorio urbano
e extraurbano e, insieme, attrezzatura lungo la riviera del Nervión, la forma
sconvolta,che trae partito dalla dimensione stessa dell’insediamento in quel
sito, sono designabili quali principi presiedenti all’architettura del museo.
Quali che siano le dichiarazioni ufficiali, almeno al primo di questi
l’architettura della biblioteca tiene fede coraggiosamente, rendendosi
essenziale ai sistemi insediativi generali (specie a quello universitario),
perno del paesaggio fluviale.
Di contro, la biblioteca scarta di parlare il medesimo idioletto parlato
dal museo, sceglie invece di articolare il raffinato contestualismo critico.
Se l’organismo esploso del Guggenheim è ricoperto completamente di
cieche scaglie di titanio impermeabile; allora l’organismo quieto della
Deusto, raccolta nella forma cubizzante finto-cilindrica, risulta rivestita
dall’involucro, involucro dato dall’installazione in curva blanda dei nuovi
mattoni di vetro a basso lambda, sfornati da Seves Glassblock,
in trentaseimila pezzi – tutti dotati di scanalature profonde, lungo le quali
scende l’acqua piovuta dal cielo nuvoloso sopra l’estuario; e per via delle
scanalature ecco il nome: Dorico (designer: Rafael Moneo).
Involucro di pelle rigata lungo la verticale, pelle opaca, spenta, – come
lo era la pupilla borgesiana.
Che questo tegumento sia opaco, non significa che manchi di luminescenza.
Più tardi, la luce artificiale sarà accesa. La retroilluminazione provocherà
strisce luminose di strisce avvolgenti, visibili dall’esterno, capaci di
rischiarare appena il notturno bilbaino.
Non sfuggano, a est e a ovest, i magnifici spicchi a tutta altezza, di cristallo,
lucido e terso, intesi a propiziare gli sguardi, lanciati dalla sala alla gran
macchina museale; dall’ufficio al campus universitario.
Il successo di questa ennesima fatica di Moneo è da ricercare nel suo essere
dimostrativa. Essa spiega e prova come al ricorso alla teoria dogmatica
occorra sostituire la strategia progettuale delle soluzioni flessibili. Come
all’obbedienza all’imperativo miesiano oppure all’imperativo lecorbusieriano
occorra lasciar subentrare il ragionamento critico e la strategia progettuale
per cui l’opaco sia là dove la fabbrica possa e debba essere opaca, il
trasparente sia là dove la fabbrica possa e debba essere trasparente.
concrete and glass block wall filling. In this case, the overall image is derived
from a single material, even if (like in Pierre Chareau and Bernard Bijvoët’s
1932 Maison de Verre in Paris) openings featuring steel frames and transparent
glass interrupt the continuity of the glass bricks.
Renzo Piano will also employ the glass brick building envelope for his Maison
Hermès created in Tokyo in 2001. In this case he was able to avoid the use
of windows. As in the Maison de Verre, there is a common feature between
the buildings (given the tectonic characteristics of glass blocks): the way in
which the structural frame as well as the translucent membrane articulate
the characteristics of its interior.
11. Today, the match between opaque and transparent is approaching its
conclusion in Bilbao near Frank Ghery’s Guggenheim Museum (1998) and the
Rafael Moneo’s Deusto Library (ten years later). It is probable that this match
ends in a tie.
In the meantime, the theoretic axiom should be recalled. I would venture
to call it Rafael Moneo’s essential theoretic axiom, already retraceable in
the detached University pantry. The formulation is pretty much the following:
the adherence to principles that are inherent to the experience of architecture
A or B does not necessarily lead to experience C, the adoption of the same
idiomatic elements.
The profound identity of the location, the infrastructure of the wide urban
and extra-urban territory together with the fixtures along the Nervión, the
disarranged shape, that takes its cue from the dimension itself of the installation
on the site, are designable as presiding principles of the museum’s architecture.
Whatever the official declarations, at the very least the first of these the
Library’s architecture remains courageously faithful, making itself essential to
the general installation systems (especially with those regarding the University),
the mainstay of the river’s landscape. On the other hand, the library rejects
the typical expressive form of that of the museum, preferring to articulate the
refined critic contextualism instead.
If the explosive organism of the Guggenheim is completely covered with blind,
waterproof slivers of titanium; then the tranquil organism of the Desuto,
gathered in a cube-like, pseudo-cylindrical shape appears to be covered by
its enclosure. This enclosure is created with an installation of a mild curve
of 36,000 new, low Lambda index Seves Glassblock glass bricks, all of which
feature deep grooves along which rainwater falling from the cloudy skies above
the estuary descends. The name Doric is derived from these grooves. (Rafael
Moneo, designer).
An enclosure made out of a ridged outer layer: an opaque, muted skin – like
a Borgesiana pupil.
Should this integuement be opaque, it does not mean that it is lacking in
luminescence. Later, the artificial light will be turned on. Backlights will cause
luminous stripes of enveloping stripes, visible from outdoors, capable of barely
illuminating the Bilbao night.
Impossible not to admire the magnificent segments of lucid, clear crystal, that
rise to the top from east to west. All eyes will be upon it, from the monumental
museum machine; from the office to the University campus.
The success of yet another effort on the part of Moneo is to be found in his
demonstrative being. It is clarified and proven by the fact that dogmatic theory
must be substituted by the planning strategy of flexible solutions. Faithful
to Mies’ imperative or to that of Le Corbusier, it is necessary to allow critical
reasoning to take over and the planning strategy in which opaque is to be fabricated where it can and must be opaque, the transparentis to be fabricated where it can and must be transparent.
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Architettura ricreativa
di/by Paolo Di Nardofoto di/photos by Arrigo Coppitz
laboratori/labs
teatro/theatre
uffici/offices
mensa/dining hall
mensa/dining hall
residenze/housing
piscina/swimming pool
fattoria cavalli/horses’ farm
planimetria generale/general plan
40 m0
Alla fine degli anni ‘80 Paul Newman dette vita in America al primo Hole in
the Wall Camp il cui obiettivo era quello di rendere migliore la vita dei bambini
affetti da gravi patologie che oltre a minarli nel fisico tolgono loro la forza
e la gioia della vita sociale, del gioco e dello svago propri della loro età. Dopo
20 anni nasce il primo Camp italiano: su iniziativa della Fondazione Dynamo,
una fondazione di venture philantrophy nata nel 2003 da un idea di Vincenzo
Manes, viene recuperato e convertito il complesso degli edifici industriali della
ex SMI Società Metallurgica Italiana, divenuta Europa Metalli del gruppo KME,
a Limestre, alle pendici dell’Appennino Pistoiese. Per una volta il recupero di una
vasta area industriale dismessa, situata in un contesto ambientale di assoluto
rilievo, dichiarato Oasi Naturale dal WWF, non è finalizzato al suo sfruttamento
speculativo, ma alla filantropia. La ‘terapia ricreativa’ è la base scientifica che
ispira l’attività di questo Camp, come degli altri sparsi per il mondo. Questo tipo
di terapia spinge i bambini affetti da gravi patologie a partecipare attivamente
all’avventura del Camp, coinvolgendoli in esperienze in grado di valorizzare
la socializzazione con altri bambini e di far riscoprire loro le proprie capacità.
Gli effetti di tale terapia sono tali da mutare, positivamente, la capacità di questi
bambini di confrontarsi con la propria malattia.
Nella primavera del 2006 per il progettista, l’architetto Elio Di Franco,
e per l’impresa, CPF Costruzioni, che ha realizzato l’intervento, inizia la sfida:
ripulito il complesso da tutto ciò che non era funzionale e congruo alla nuova
destinazione ma anche alla memoria del luogo, si trattava di creare nuovi spazi
o adattare gli esistenti per facilitare la terapia ricreativa. Spazi stimolanti,
facilmente riconoscibili, accessibili in ogni parte, in grado di favorire quelle
attività così importanti per i piccoli ospiti, ed in grado di integrare gli spazi
di vita quotidiana con l’ambiente naturale in cui il complesso è immerso.
Il complesso si articola in 3 nuclei funzionali: le residenze, gli spazi ricreativi
e di socializzazione, le strutture sportive. Gli spazi ricreativi e sociali sono di
fatto il baricentro simbolico e funzionale dell’intero complesso, sottolineando
così il loro ruolo fondamentale nella terapia. Il grande edificio della mensa,
di nuova realizzazione, con la sua struttura trilitica, mista in legno e cemento
armato, sembra voler richiamare simbolicamente gli elementi naturali che lo
nome progetto/project name Dynamo Campprogetto/project Elio Di Francocollaboratori/collaborators Luigi Paccianistrutture/structures Pietro Meleimpianti tecnici/technical systems Francesco Sadovskyimpianti elettrici/electrical systems Studio Tecnico 71impianti idrotermosanitari/hydrotermosanitary systems Francesco Sadovskydirezione lavori/works management Elio Di Francocoordinatore della sicurezza/safety coordinator Stefano Finetticommittente/client KMEproprietà/owner KMEimpresa/general contractor CPF Costruzioniluogo/place Limestre (PT)superficie/area 10.000 mq/sqmdata progetto/design date 2006realizzazione/realization 2006/2007costo/cost 13 milioni euro
sopra: vista generale delle residenzeabove: general view of the residential buildings
nella pagina seguente: la mensain the following page: the dining hall
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In the late ‘80s, actor Paul Newman created the first Hole in the Wall Camp
in America, a project aimed at improving the lives of children with serious
medical conditions that not only undermine their health, but rob them of
the energy and joy of socializing, playing and having fun like other kids their
age. Twenty years later, a camp has now been founded in Italy: Fondazione
Dynamo, a venture philanthropy foundation created in 2003 at the initiative
of Vincenzo Manes, has recovered and converted the industrial complex
that formerly belonged to SMI Società Metallurgica Italiana (later Europa
Metalli – KME Group) in Limestre, on the slopes of the Pistoian Appennines.
For once, the conversion of a vast, abandoned industrial area, located in a
significant environmental setting that is a WWF nature preserve, is not geared
towards speculation, but philanthropy. ‘Recreational therapy’ is the scientific
idea behind the activity of this camp, like the other Hole in the Wall camps
around the world. This type of therapy helps children with serious medical
conditions become active participants in the adventure of camp life, engaging
them in experiences that encourage socialization with other children and help
them rediscover their own abilities. The effects of this therapy have a positive
influence on the children’s capacity to deal with their illnesses.
In spring 2006, the real challenge began for the architect, Elio Di Franco,
and the construction company, CPF: once the complex had been cleared
of everything that was not useful for its new purpose or for preserving the
memory of the place, it was a task of creating new spaces or adapting existing
ones for ‘recreational therapy’. These spaces needed to be stimulating, easily
recognized, and completely accessible, both facilitating the activities that
are so important for the young campers, and integrating daily living spaces
with the natural surroundings.
The complex is divided into three functional clusters: the dormitories, the
recreational and social spaces, and the sports facilities. The spaces for
recreation and socialization are the symbolic and functional heart of the
entire complex, emphasizing their fundamental role in therapy. The large
cafeteria building, which is a new trilithic structure made of wood and
reinforced concrete, seems to symbolically echo the natural elements around 10 m0
pianta della mensa/plan of the dining building
circondano, gli alberi e la pietra, e la ‘semplicità’ formale che questi esprimono.
Come in un gioco di costruzioni le imponenti travi si incastrano e si appoggiano
l’una sull’altra; la pulizia delle linee, la trasparenza delle pareti, sembrano
concentrare l’attenzione sullo spettacolo naturale circostante... Poi ti rendi conto
che gli aspetti funzionali, tecnologici e costruttivi di una struttura in grado di,
tenere libero da qualsiasi ingombro strutturale uno spazio di poco più di 1.000
mq in cui i bambini mangiano, si incontrano e giocano; di permettere l’uso di
pareti vetrate, su 3 lati, senza soluzioni di continuità, che danno la sensazione
di uno spazio aperto; di creare, con gli aggetti esterni, coperti, di 4 metri, degli
spazi di transizione protetti fra interno ed esterno, sono forse più importanti
della loro essenziale, seppur raffinata ed indiscutibile, qualità estetica.
Lo stesso concetto si ritrova ovviamente anche negli altri immobili, anche se
si tratta di ristrutturazioni: le residenze, ad esempio, o la piscina od il centro
medico adiacente alla mensa. Le prime, ricavate in uno dei vecchi edifici
industriali, molto rassicurante con la sua forma tradizionale, così simile
ai disegni dei bambini, ma ugualmente divertente, stimolante ed originale
con le sue numerose finestre, ognuna con un vetro di colore diverso: un ‘gioco’
architettonico, ma anche uno strumento terapico forte, in grado di stimolare
i sensi e la fantasia con una forte spinta simbolica – il mondo esterno che appare
colorato, ma che al tempo stesso entra all’interno attraverso le tantissime
finestre. Allo stesso modo la piscina coperta, che sfrutta tecnologie bioclimatiche
per il suo riscaldamento, ha le pareti in gran parte vetrate, su cui scende in
modo asimmetrico, la falda del tetto come una coperta, protettiva. Il progetto
del centro medico ha, da parte sua, fatto convivere gli aspetti più strettamente
funzionali e tecnologici, con il desiderio di trasformare questo spazio in qualcosa
di divertente, di accogliente, che fosse il più lontano possibile dall’idea di ‘cura’
od ‘ospedale’.
È evidente come in questo caso il progetto, l’architettura, del Dynamo Camp
di Limestre, pur presentandosi ai suoi livelli più alti, sia prima di tutto uno
strumento per migliorare la qualità della vita di questi bambini, rompendo,
simbolicamente, ma anche fisicamente, quell’isolamento dal mondo esterno
che la malattia ed il suo trattamento creano.
residenze, interno ed esternohousing building, interior and exterior
nella pagina seguente: la piscinain the following page: the swimming pool
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it, the trees and stone, and the ‘simplicity’ of their forms. Like a construction
toy, it has massive interlocking beams that rest on each other; its clean lines
and transparent walls seem to focus attention on the spectacular natural
surroundings... Then one realizes that the functional, technological, and
structural aspects of this building design—which manages to eliminate
all obstructions from a space of just over 1000 sqm, where the children eat,
play, and spend time together; that allows for seamless glazed walls on three
sides, to give the feeling of an open space; that uses roofed, four-meter external
projections to create sheltered transitional spaces between the inside and
outside – are perhaps more important than their pared-down,
yet unquestionably sophisticated aesthetic quality.
The same concept can obviously be found in the other buildings, even though
they are renovations: the dormitories, for example, or the swimming pool
and the medical center adjoining the cafeteria.
The former, located in one of the old industrial buildings, have a very
reassuring, traditional form, quite similar to children’s drawings, but are
also fun, stimulating and original, featuring a large number of windows,
each with different coloured glass.
This architectural ‘game’ is a powerful therapeutic tool that spurs the senses
and the imagination through a strong symbolic stimulus: the outside world
becomes a colourful place, and also makes its way inside through the many
windows. In a similar way, the indoor pool, which is heated using bioclimatic
technology, has walls made mostly of glass, and an asymmetrical pitched
roof that descends over them like a sheltering blanket. The design for the
medical center also combines strictly functional, technological elements
with the desire to make this space fun and inviting, as far removed as possible
from the idea of ‘doctors’ or ‘hospital’.
One can clearly see how the design and architecture of the Dynamo Camp
in Limestre, though of outstanding quality, is first and foremost a tool for
improving these children’s lives, breaking down the symbolic and physical
barriers that illness and medical treatment have placed between them and
the outside world. sezione aa/section aa
pianta della piscina/plan of the swimming pool
prospetto sud/south elevation
prospetto ovest/west elevation
a
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99
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lace
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Un nuovo luogo da vivere
di/by Fabio Rosseti
planimetria generale/general plan
40 m0
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A N
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L
M I
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HOTEL ROMA
21.007.60
3.6021.00
22
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7.60
3.60
7.30
La Piazza di Santa Maria Novella, prospiciente l’omonima chiesa, ha assunto
nell’ultimo decennio sempre più una immagine anomala di ‘piazza secondaria’,
quasi un ‘retro’ della ben più viva, produttiva e caotica Piazza della Stazione.
Per i Fiorentini sembrava aver perso il suo ruolo, la sua importanza, a favore
dei turisti o di un transito frettoloso. In questa sorta di abbandono la piazza
è stata tenuta viva da alcune comunità di extracomunitari, unici in quel periodo
a dare a questo spazio la sua funzione originaria di luogo di incontro, popolare.
Nel 2007 il Comune di Firenze, grazie al progetto dell’architetto Maurizio
Barabesi, dà il via al recupero della piazza con lo scopo di far sì che
questa diventi nuovamente anche per i Fiorentini quel luogo di incontro
e di comunicazione che è sempre stato. Il disegno generale recupera in maniera
decisa quello creato da Porcinai negli anni ‘40 del secolo scorso, rinunciando
però alla grande aiuola romboidale centrale, con la sua fontana. Il fuoco
centrale della nuova piazza è una installazione composta da sette manufatti,
sette ‘panche’, realizzate con materiali e colori diversi (corten, legno, vetro,
acciaio inox), il cui gioco di trasparenze ed opacità, grazie alla presenza
di luci esterne ed interne, di superfici riflettenti o grezze, di monitor che
diffondono immagini, attrae, incuriosisce, stimola la comunicazione, l’incontro,
fra le persone. È una dichiarazione di intenti molto netta quella di Barabesi,
sottolineata da scelte progettuali forti, pur nel rispetto della storicità del luogo:
la piazza è un unico piano di calpestio complanare, dove anche il prato è parte
integrante della pavimentazione; la pavimentazione vera e propria, in pietraforte
Albarese dell’Appennino, richiama la facciata dell’Alberti disponendosi
parallelamente a questa, sottolineando questo rapporto con una rigatura
discontinua della superficie e dei ricorsi di acciaio corten ad intervalli regolari.
Nella pietra della pavimentazione è incisa anche la linea che, idealmente e
fisicamente, veniva tirata nell’antichità fra i due obelischi cinquecenteschi con
un canapo, scandendo lo spazio. Questa grande piazza recupera così la sua
funzione originaria non attraverso una sterile restaurazione delle sue condizioni
ma attraverso un profondo lavoro di attualizzazione dello spazio facendo
convivere i valori del passato con una contemporaneità materica e funzionale.
La piazza ritorna così ad essere luogo di riferimento del vivere quotidiano.
dettagli delle panche e della pavimentazione details of the benches and of the paving
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Over the last decade, Piazza Santa Maria Novella, named for the church it lies
in front of, has increasingly taken on the anomalous image of a ‘secondary
piazza’, almost a ‘backstage’ to the much livelier, productive and chaotic Piazza
della Stazione. To Florentines, it seemed to have lost its role and its importance:
a place left to the tourists or crossed through in haste. In this state of neglect,
the square was kept alive by certain immigrant communities, the only people
in that period who preserved its original function as a public gathering place.
In 2007, the City of Florence undertook a restoration project based on
a design by architect Maurizio Barabesi, with the aim of restoring the square’s
status among Florentines as the space of socialization and exchange that
it has always been.
The overall design clearly restores the layout created by Porcinai in the 1940s,
although it sacrifices the large diamond-shaped central lawn and fountain.
The focal point of the new square is an installation composed of seven
structures, ‘benches’ of different materials and colours (corten steel, wood,
glass, stainless steel), whose pattern of transparency and opacity – created
through external and internal lighting, rough or reflective surfaces, monitors
playing images – attracts and intrigues people, stimulating communication
and interchange. Barabesi’s project is a very clear statement of intent,
underscored by design choices that are bold, yet respect the history of the site.
The square is a single plane in which even the lawn becomes an integral part
of the surface; the actual paving, made of Pietraforte Albarese stone from the
Apennines, evokes Alberti’s facade, arranged parallel to it and underscoring this
relationship with broken stripes and courses of corten steel at regular intervals.
The paving stones are also engraved to show the line that was physically and
conceptually drawn in ancient times between the two 16th-century obelisks
by a rope that marked out the course for chariot races.
This large piazza has thus recovered its original function, not through
a sterile restoration to its previous state, but through a profound modernization
of the space that weds the values of the past to contemporary materials and
services. The square has therefore once again become key spot in the daily
life of Florence.
nome progetto/project name Recupero e riqualificazione di piazza Santa Maria NovellaRestoration and redevelopment of Santa Maria Novella Squareprogetto/project Maurizio Barabesicollaboratori/collaborators Marzia CantiniGiovanni Cansella, Nicola Curradi, Giuseppe De Grazia, Rodrigo Diodati, Margherita Tricca, Francesca Privitera, Giuseppe Maradei, Massimo Frosini, Sandra Pratesi, Matteo Redi, Claudio Trimarcodirezione lavori/works management Maurizio Barabesicollaboratori alla direzione lavori/collaborators to the works management Marzia Cantini, Andrea Fiorini, Pietro Di Torecoordinatore della sicurezza/safety coordinator Vito TafaroRUP/municipal coordinator Giuseppe Cinicollaboratori del RUP/municipal coordinator’s collaborators Patrizia Moreno, Giovanni Cinanni, Cristina Brogicommittente/client Comune di Firenze – Direzione Cultura, Servizio Tecnico Belle Arti e Fabbrica di Palazzo Vecchioimpresa appaltatrice/general contractor Lami Costruzionipietra ‘albarese’/‘albarese’ stone F.lli Bianchimanto erboso/grass Bindi Secondoimpianto di irrigazione/irrigation system Pollice Verde
installazione centrale/central installationingegneria/engineering Leonardo Paolini – Sertecvideo installazione/video installation Leonardo Betticarpenteria metallica/metal carpentry Comeaopere di vetro/glass works Santelli Vetriimpianto illuminazione, elettrico ed elettronicolighting, electrical and electronic systems Ciem, Avuellevideo/video Switch Craftluogo/place Firenzedata progetto/design date 2001fine lavori/completion 2009costo/cost 2.143.000 euro
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Next FlorenceNext Florence
Switch – Creative Social Network La contemporaneità non è semplicemente la
ricerca estrema di nuovi linguaggi, la tutela del patrimonio artistico del pas-
sato non si limita alle reti antipiccione e alla peridoica pulizia dello smog dai
monumenti.
Il progetto di riqualificazione urbana di Santa Maria Novella rappresenta un uni-
co nella nostra città di come contemporaneità e tutela del patrimonio possano
avanzare insieme, supportandosi a vicenda, rompendo l’ormai stantia contrap-
posizione fra il grande passato e la ricerca di un futuro per Firenze.
A partire dai nuovi arredi urbani – frutto di un approfondito studio sulla struttura
e l’orientamento originario della piazza – fino all’installazione video che ne sta
al centro, la nuova SMN è a tutti gli effetti a new place to stay, ma anche un
bel passo avanti nella concezione del rapporto fra classico e contemporaneo: la
tecnologia e il linguaggio dell’oggi al servizio del patrimonio di ieri.
L’installazione video full HD che giace orizzontalmente, senza irrompere nelle
architetture, ha le potenzialità tecniche per ospitare le più svariate sperimen-
tazioni di video arte, ma anche contenuti e multimedia che promuovono e infor-
mano sulla ‘classicità’ che la circonda. La fruizione stessa dei contenuti non è
imposta – come nei vari megaschermi inseriti in molte recenti riqualificazioni
– ma abbisogna dell’interesse e della vicinanza dei fruitori, in una logica della
visibilità urbana che si discosta nettamente dagli standard commerciali e dalla
venerazione incondizionata della tecnologia.
Qualcuno recentemente ha scritto che «si può essere pienamente immersi nel-
la contemporaneità anche sviluppando progetti che riguardano il patrimonio
storico-artistico, gli archivi o la musica barocca», la nuova SMN è un primo
bell’esempio in questa direzione.
Switch – Creative Social Network The state of being contemporary is not simply
the extreme pursuit of new idioms. The safeguard of the past’s artistic heritage
is not limited to the nets set up to keep the pigeons away and the periodic smog
removal from monuments.
The SMN urban regeneration project is a unique example for our city of how being
current and safeguarding our heritage can progress side by side, sustaining one
another, breaking what has become a stale opposition between a great past and
the pursuit of a future for Florence.
Starting with new urban furniture – a result of an in-depth study pertaining to
the structure and original orientation of the piazza – up to the video installation
in the old town centre, the new SMN is ‘a new place to stay’ in every sense. It is
also a great step ahead in the conception of the relationship between classic and
contemporary: today’s technology and terminology at the service of yesterday’s
heritage.
The full HD video installation that is positioned horizontally, without invading the
architecture, possesses the technical potential to host the most diverse video art
experimentations as well as services and multimedia that promote and inform
the public about the surrounding ‘classicism’. Making use of the services is not
obligatory – as is the case with the various mega screens found in many recent
urban regenerations – but it needs the interest and the proximity of its users wi-
thin the logic of an urban visibility that absolutely moves away from commercial
standard and unconditional love for technology.
Someone recently wrote that «we can be completely immersed in today’s moder-
nity while developing projects pertaining to an historic-artistic heritage, archi-
ves or baroque music». The new SMN is the first valid example in this direction.
le installazioni video full HD orizzontalithe horizontally positioned video installations